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In Materia e memoria (1896), Henri Bergson pone all’origine della percezione umana un campo a-centrato di immagini “in sé”; più di cinquant’anni dopo Gilles Deleuze inizia a elaborare la nozione di piano di immanenza quale condizione... more
In Materia e memoria (1896), Henri Bergson pone all’origine della percezione umana un campo a-centrato di immagini “in sé”; più di cinquant’anni dopo Gilles Deleuze inizia a elaborare la nozione di piano di immanenza quale condizione virtuale di ogni stato di cose. Da Bergson a Deleuze – e attraverso una serie di illustri mediatori – emerge così un’eterogenea riflessione intorno a quel dispositivo che Sartre ha battezzato “campo trascendentale impersonale”. Il presente saggio si propone di ricostruire la genesi di tale istanza, mostrandone al contempo alcune decisive implicazioni: dalla riscrittura in senso immanentista del motivo trascendentale kantiano sino alla conseguente riabilitazione della speculazione metafisica e cosmologica. Dalle riflessioni di Bergson e Deleuze emerge una linea minoritaria nel panorama filosofico novecentesco, in grado di concepire un cosmo “univoco” abitato da una molteplicità di relazioni non più profilate a partire da uno sguardo umano.
Il saggio che presentiamo per la prima volta in lingua italiana, Verso il concreto. Studi di storia della !loso!a contemporanea – William James, Whitehead, Gabriel Marcel, esce nel 1932 per la casa editrice J. Vrin, quando Jean Wahl,... more
Il saggio che presentiamo per la prima volta in lingua italiana, Verso il concreto. Studi di storia della !loso!a contemporanea – William James, Whitehead, Gabriel Marcel, esce nel 1932 per la casa editrice J. Vrin, quando Jean Wahl, ormai quarantaquattrenne, pur non avendo ancora ottenuto il posto di professore di Storia della filosofia alla Sorbona, è un filosofo ormai riconosciuto in Francia; la sua originale tesi di dottorato sulle filosofie pluraliste inglesi e americane, uscita dodici anni prima, era stata accolta positivamente, così come la tesi complementare sul ruolo dell’istante nel pensiero di Descartes, il successivo studio sul Parmenide di Platone e, soprattutto, l’importante lavoro sulla coscienza infelice nella filosofia hegeliana. Giunto ormai alla sua quinta opera, Wahl dà alle stampe Verso il concreto, saggio che rappresenta, a nostro avviso, una tappa fondamentale nel percorso filosofico che egli stava cominciando a delineare. Cosa rende quest’opera così importante? Iniziamo a chiarirlo da un punto di vista ‘interno’, prospettando quattro nuclei tematici che, ben presenti nel testo, diventeranno dei veri e propri capisaldi della rifessione di Wahl.
Avec Vers le Concret, publié en 1932, Jean Wahl s'introduit, avec une certaine ironie, dans le débat sur le "concret" qui avait capté l'attention de bien des intellectuels français et porté au devant de la scène trois philosophes... more
Avec Vers le Concret, publié en 1932, Jean Wahl s'introduit, avec une certaine ironie, dans le débat sur le "concret" qui avait capté l'attention de bien des intellectuels français et porté au devant de la scène trois philosophes atypiques: William James, Alfred North Whitehead et Gabriel Marcel.
In Whitehead's philosophy, perception is enlarged to every entity of the world: "prehensions" and "feelings" constitutes reality as a series of events. In other words, Whitehead builds a "cosmo-aesthetics", mixing up aesthetics-in its... more
In Whitehead's philosophy, perception is enlarged to every entity of the world: "prehensions" and "feelings" constitutes reality as a series of events. In other words, Whitehead builds a "cosmo-aesthetics", mixing up aesthetics-in its ety-mological sense-and cosmology (beyond Kantian interdiction). Aim of this work is to study the implications of these intuitions according to which what we perceive (and feel) in the world should serve as a basis for a speculative analysis of the world itself.
When Henri Bergson, in Duration and simultaneity, intends to show that durée constitutes the ‘pattern’ of reality, he refers to Alfred North Whitehead’s «beautiful» book on the philosophy of nature (The Concept of Nature). Whitehead, in... more
When Henri Bergson, in Duration and simultaneity, intends to show that durée constitutes the ‘pattern’ of reality, he refers to Alfred North Whitehead’s «beautiful» book on the philosophy of nature (The Concept of Nature). Whitehead, in return, paid his respect multiple times to bergsonian philosophy, from which he had been deeply influenced. The relationship between Bergson and Whitehead is not, however, that of a merely mutual admiration, but it is based on a common naturalistic view, intent in building a consistent cosmology of beings. Aim of my presentation is – following some pioneering remarks made by Jean Wahl – to study the reflections on perception of Bergson and Whitehead: both in the first chapter of Matter and Memory and in the third part of Process and Reality, the two extend perceptivity from the domain of subject to reality in itself, building an original «cosmo-aesthetics» which reunites immediate experience, metaphysics and scientific thought.
Al netto di una certa “aria di famiglia” tra le riflessioni di Bergson e Simondon, ci sembra che il fulcro – a nostro parere ancora poco studiato in sede critica – in grado di evidenziare una fondamentale prossimità tra i due pensatori... more
Al netto di una certa  “aria di famiglia” tra le riflessioni di Bergson e Simondon, ci sembra che il fulcro – a nostro parere ancora poco studiato in sede critica – in grado di evidenziare una fondamentale prossimità tra i due pensatori sia il comune riferimento alla decisiva nozione di campo. Proprio a partire da tale concetto, introdotto da Bergson nel primo capitolo di Materia e memoria e largamente utilizzato da Simondon al fine di spiegare i meccanismi che presiedono al processo di individuazione, si rende evidente la posta in gioco comune della metafisica bergsoniana e simondoniana, impegnata a cogliere il reale prima della sua svolta in senso umano o “individuato” e di riposizionare conseguentemente l’emergenza della soggettività (nonché, specularmente, dell’oggettività) e della conoscenza a tappe di un più ampio e organico processo ontogenetico.
Tra le differenti declinazioni della questione che dopo Kant identifichiamo con il nome di trascendentale – forse la sola che, perlomeno dall’aporia su cui si conclude il Menone platonico in avanti, torna costantemente a inquietare il... more
Tra le differenti declinazioni della questione che dopo Kant identifichiamo con il nome di trascendentale – forse la sola che, perlomeno dall’aporia su cui si conclude il Menone platonico in avanti, torna costantemente a inquietare il pensiero filosofico – una delle principali è stata senza dubbio quella del complesso rapporto tra materia e forma. Dietro tale dicotomia, infatti, si articolano una serie quasi infinita di dualismi (anima versus corpo, stile versus contenuto, ecc.) che costituiscono il modo stesso attraverso cui concettualizziamo il reale, articolando aspe!i ontologici ed epistemologici: in altri termini, risuona, dietro il tentativo di comprendere i rapporti tra materia e forma, il quesito stesso della filosofia, da sempre orientata all’aggancio tra concetti e realtà, e i cui due estremi pseudo filosofici oscillano così ogni volta da un ingenuo empirismo dei fatti fino a un astra!o idealismo delle nozioni.
Between 1956 and 1976, cognitive science led the philosophical debate, claiming that mind and body are separated and that mind is located inside the body. The more recent speculations on embodied, situated and external cognition have... more
Between 1956 and 1976, cognitive science led the philosophical debate, claiming that mind and body are separated and that mind is located inside the body. The more recent speculations on embodied, situated and external cognition have challenged these assumptions. Core of my work is to enlighten Gilbert Simondon's and Gilles Deleuze's intuitions on perception, body and mind in order to suggest the possibility of giving to the externalist field an original ontological framework.
Quando Gilles Deleuze, ne L’immagine-movimento, sta concludendo una serrata analisi dedicata al concetto di fuori campo, a essere citato, oltre al Theodor Dreyer de La passione di Giovanna d’Arco e di Gertrud, è Michelangelo Antonioni,... more
Quando Gilles Deleuze, ne L’immagine-movimento, sta concludendo una serrata analisi dedicata al concetto di fuori campo, a essere citato, oltre al Theodor Dreyer de La passione di Giovanna d’Arco e di Gertrud, è Michelangelo
Antonioni, capace, attraverso i suoi spogli quadri geometrici, di raggiungere una zona di vuoto, un «“bianco su bianco” impossibile da filmare, propriamente invisibile» (Deleuze 1983: 31-32)1. A partire da questa intuizione, che richiama in gioco uno dei cardini della filosofia deleuziana
– il cosiddetto divenire-impercettibile –, si tenterà di mettere in luce l’originalità dell’estetica antonioniana del paesaggio, all’interno della quale pare emergere una concezione di genius loci che è al tempo stesso astratta
e concreta, preumana e genetica, paesaggistica eppure interiore. Si tratterà, insomma, di comprendere, attraverso l’analisi di qualche lungometraggio e di alcune dichiarazioni di poetica del regista ferrarese, la visione del paesaggio
secondo Antonioni, nel suo riarticolare con originalità i rapporti tra uomo, spazio e sguardo e, più in generale, tra astrazione e concretezza.
Research Interests:
It is well known that Gilles Deleuze is the heir of a complex vitalistic tradition, beginning with Henri Bergson’s Creative Evolution and spanning through an important part of 20th century French philosophy. According to this line of... more
It is well known that Gilles Deleuze is the heir of a complex vitalistic tradition, beginning with Henri Bergson’s Creative Evolution and spanning through an important part of 20th century French philosophy. According
to this line of thought, philosophy has to sharpen its vision in order to grasp the irreducible nature of the living. On one hand Deleuze seems to
explicitly follow these intuitions, on the other though he strives to find a
viable ontological framework for an actual philosophy of life, reaffirming the Nietzschean notion of being as becoming, the Bergsonian virtual coexistence of memory and Scotist univocity of the being. Through such operation, Deleuze actually seems to distance himself from a simply vitalistic approach, and to build instead an original metaphysics that understands life as a powerful inorganic force crossing all levels of reality. The organic, thus, is what traps and diverts (détourne) this impersonal and germinal life. Aim of the presentation is to clarify the originality of Deleuze’s vitalistic ontology and point to its ambiguities and debts towards other philosophical traditions. Even if Deleuze apparently overturns his vitalistic roots, it is nevertheless undeniable that the vital domain will engage him throughout all of his work.
Dziga Vertov era considerato da Sergej Michailovič Ėjzenštejn un formalista impreciso, autore di «ingiustificati effetti speciali della macchina da presa», così come di «deviazioni e stramberie». Allo stesso modo, è difficile non pensare... more
Dziga Vertov era considerato da Sergej Michailovič Ėjzenštejn un formalista impreciso, autore di «ingiustificati effetti speciali della macchina da presa», così come di «deviazioni e stramberie». Allo stesso modo, è difficile non pensare all’opera di Ėjzenštejn quando Vertov liquidava gran parte del cinema a lui contemporaneo perché ancora troppo legato alle forme mimetiche proprie del teatro e della
letteratura. Obiettivo di questo lavoro è analizzare il conflitto estetico, filosofico e politico che, ben al di là di sterili accuse o antipatie personali, divide Ėjzenštejn e Vertov. Ben lontano dalla pretesa di illuminare nel dettaglio le poetiche dei due registi e il contesto storico-culturale di appartenenza, lo studio che si vuole qui proporre prende piuttosto le sue mosse da una serie di intuizioni di Gilles Deleuze, che ha dedicato alcune parti de L’immagine-movimento e de L’immagine-tempo a Vertov e Ėjzenštejn: a partire da queste intuizioni, si cercherà di rendere chiaro il conflitto che divide i due registi, compresente in almeno tre ambiti tematici differenti, seppur tra loro strettamente legati.
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In his analysis of memory, Henri Bergson introduces the key concept of 'virtuality', understood as a non-actual reality, an unpredictable and pre-human élan vital. Several years later, the virtual will play a key role in the way that... more
In his analysis of memory, Henri Bergson introduces the key concept of 'virtuality', understood as a non-actual reality, an unpredictable and pre-human élan vital. Several years later, the virtual will play a key role in the way that Gilles Deleuze tries to conceive the notion of a 'plane of immanence', that is, a whole that guides an inexhaustible process of actualisation. Deleuze, however, refers not only to Bergson but to Gilbert Simondon and to his concept of 'preindividual field', which corresponds to a metastable state, full of potential energy, from which a structured process can arise. This article undertakes an analysis of the different theoretical pathways leading to the concept of the virtual in Bergson, Simondon and Deleuze. It will investigate the transformations of this concept by focusing on the memory of the present individuated by Bergson, then applied to the cinema of the time-image by Deleuze, and on the figure of the crystal as an emblematic materialisation of the virtual, deeply present in the philosophy of both Deleuze and Simondon. The intention is to show – apart from the inevitable differences ‒ the significant continuity between these three authors, who share a common attempt to build an affirmative ontology of life. Combined Bergsonian and Simondonian influences lead in Deleuze to a metaphysics of becoming, where virtuality is always on the point of actualising itself in percepts, affects and concepts.
Henri Bergson, in Matter and memory, theorizes a universe of images that exist before subject; after almost ninety years, Gilles Deleuze, following Bergson, defines cinema as a non-centered set of movement-images. Through the study of... more
Henri Bergson, in Matter and memory, theorizes a universe of images that exist before subject; after almost ninety years, Gilles Deleuze, following Bergson, defines cinema as a non-centered set of movement-images. Through the study of Dziga Vertov’s kinoglaz,  Michelangelo Antonioni’s desolate shots and Alain Resnais’ sheets of memory, this paper aims to highlight the main points of a cinema-thing, where ontology and aesthetics, creation and construction coincide in the end with a virtual plan of immanence, conceived as the impersonal genesis of every reality.
Gilles Deleuze, in Cinema 1. The movement-image, approaches Henri Bergson to Dziga Vertov: while Bergson theorizes the image in-its self, Vertov reaches it through the cine-eye (Kinoglaz). The sovietic director realizes then, through the... more
Gilles Deleuze, in Cinema 1. The movement-image, approaches Henri Bergson to Dziga Vertov: while Bergson theorizes the image in-its self, Vertov reaches it through the cine-eye (Kinoglaz). The sovietic director realizes then, through the technique of a constructivist montage, the materialist program drawn by Bergson in the first chapter of his classic book Matter and memory. In other words, Vertov overcomes the human’s point of view on reality. The goal of this presentation is to study Deleuze’s approach and to search out the persistent bergsonian influence on Vertov and, more in general, on both western and russian’s avant-garde.
Nel 1919, Alfred North Whitehead interviene nel corso di un convegno interdisciplinare dedicato ai dati scientifici ultimi, mostrando come né il tempo né lo spazio né alcun tipo di materiale siano in grado ricoprire questo ruolo. La... more
Nel 1919, Alfred North Whitehead interviene nel corso di un convegno interdisciplinare dedicato ai dati scientifici ultimi, mostrando come né il tempo né lo spazio né alcun tipo di materiale siano in grado ricoprire questo ruolo. La natura, ai suoi occhi, è invece un insieme in continua crescita di eventi ed oggetti che si intersecano e si sovrappongono tra loro, totalmente irriducibile a ogni visione materialistica e atomistica. Il testo, finora inedito in lingua italiana, si presenta come un’efficace panoramica intorno ad alcuni concetti-chiave della filosofia di Whitehead (evento, oggetto, cogredienza, avanzamento creativo) ed è corredato da una breve introduzione, utile a contestualizzarlo.
Con "Vers le concret" (1932) Jean Wahl si inserisce, non senza ironia, in quel dibattito sul "concreto" che aveva saputo catturare, nel primo dopoguerra, l'attenzione di molti intellettuali francesi, portando sulla scena tre filosofi... more
Con "Vers le concret" (1932) Jean Wahl si inserisce, non senza ironia, in quel dibattito sul "concreto" che aveva saputo catturare, nel primo dopoguerra, l'attenzione di molti intellettuali francesi, portando sulla scena tre filosofi atipici, legati al "vecchio" Bergson (William James, Alfred North Whitehead e Gabriel Marcel). Nelle pagine del saggio emerge una linea filosofica votata a un empirismo immanentista, capace di connettere speculazione metafisica, senso del reale, indagine filosofica, scientifica e persino estetico-poetica:" Verso il concreto" anticipa così tanto le future direzioni di ricerca dell'autore quanto i più recenti dibattiti intorno al realismo, al naturalismo e alla metafisica. Postfazione di Barbara Wahl.
Simondon descrive l'oggetto tecnico come qualcosa di tendente all'organizzazione e alla propria individuazione. Una relazione dinamica costituisce i termini stessi messi in rapporto nel movimento di individuazione dell'oggetto tecnico: si... more
Simondon descrive l'oggetto tecnico come qualcosa di tendente all'organizzazione e alla propria individuazione. Una relazione dinamica costituisce i termini stessi messi in rapporto nel movimento di individuazione dell'oggetto tecnico: si dirà che tale oggetto si individua in maniera trasduttiva. La trasduzione è una relazione dinamica poiché, a partire da un orizzonte pre-individuale, essa tende verso l'unità senza mai arrestarsi: animata da uno sfasamento interno, essa è da parte a parte temporale. In un altro testo Simondon descrive l'individuazione psicosociale negli stessi termini, ossia come un processo trasduttivo operante sullo sfondo del preindividuale. Tuttavia Simondon non ha articolato questi due momenti del suo lavoro. Non sarà pertanto la tecnica che, in quanto traccia ed eredità, lega insieme l'individualità psichica e collettiva in quella che qui verrà chiamata "epifilogenesi"? A partire da Heidegger e da Derrida, si tratta allora di mostrare l'irriducibile priorità della tecnica la quale, nel ruolo di differenza temporale originaria, costituisce l'orizzonte di tutte le individuazioni psicosociali.
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The history of Henri Bergson’s (1859-1941) philosophy is one of the most complex and problematic of the 20th century. Bergson gained increasing popularity over the course of his life and career, to the point of becoming the French... more
The history of Henri Bergson’s (1859-1941) philosophy is one of the most complex and problematic of the 20th century. Bergson gained increasing popularity over the course of his life and career, to the point of becoming the French philosopher par excellence. His works – from the 1889 Essay on the Immediate Data of Consciousness to his last works from the 1930s – exercised a crucial influence on a wide range of fields in 20th-century French and European culture. Significant traces of his thought are to be found not just in subsequent philosophy, but also in the spheres of literature, psychology, science, epistemology, art, and theology. While the popularity of this French philosopher gradually declined after the 1930s, recent decades have witnessed a renewed interest – if not a genuine resurgence – in Bergsonian studies.

The recent revival in Bergsonian studies has been fuelled by an important critical edition project, led by Frédéric Worms. The most important stage was completed in 2011 with the republication of Bergson’s eight major works and the Écrits philosophiques. To these, two previously unpublished landmark texts have recently been added: the two courses Histoire de l’idée de temps and L’évolution du problème de la liberté, which were held at the Collège de France in 1902/1903 and 1904/1905 respectively. Péguy entrusted two stenographers with transcribing the lectures when he could not attend the courses himself. The transcriptions from the two courses were then donated to the Fonds Doucet in 1997, and finally edited respectively by Camille Riquier and Arnaud François for “Presses Universitaires de France”, which in coming years will carry on the publication of other previously unpublished texts from the same collection.

These publications lend a new voice to the philosopher through the famous lectures that so greatly contributed to his ‘glory’. Their content was hitherto completely unknown to 21st-century readers, with the exception of the brief summaries provided in the Mélanges and the few, partial transcriptions published in “Annales bergsoniennes” – some of which have already been translated into Italian (Storia della memoria e storia della metafisica, ETS 2007; Sul segno. Lezioni del 1902-1903 sulla storia dell’idea di tempo, Textus 2011).
Si intende insomma offrire al lettore italiano un viaggio all’interno del “prisma Simondon”, in grado di ripartirsi su una grande varietà di ambiti disciplinari senza al contempo allontanarsi dalla sua ispirazione più profondamente... more
Si intende insomma offrire al lettore italiano un viaggio all’interno del “prisma Simondon”, in grado di ripartirsi su una grande varietà di ambiti disciplinari senza al contempo allontanarsi dalla sua ispirazione più profondamente speculativa (e per ciò stesso innovatrice): quella cioè di fornire all’indagine filosofica una cornice che sia all’altezza del contemporaneo.
I rapporti diretti tra il filosofo e l’architetto sono storicamente molto più rari di quanto le tendenze contemporanee possano far credere. A differenza dell’interesse destatogli dal principe, si pensi ai burrascosi trascorsi tra Platone... more
I rapporti diretti tra il filosofo e l’architetto sono storicamente molto più rari di quanto le tendenze contemporanee possano far credere. A differenza dell’interesse destatogli dal principe, si pensi ai burrascosi trascorsi tra Platone e Dionisio tiranno di Siracusa, il filosofo ha sempre avuto difficoltà a interloquire con l’ar- chitetto, sia per ragioni storiche – com’è noto il prestigio intellettuale dell’archi tetto varia con le epoche e inizia ad assumere i caratteri sociali e professionali che oggi lo caratterizzano a partire dal XV secolo con la riscoperta del De architectura di Vitruvio e la fiorente stagione della trattatistica – sia per ragioni strettamente legate al suo metodo e ai suoi obiettivi...
Il tema dell’impersonale costituisce il fulcro di un dibattito odierno forse sfuggente ma variamente presente in assi tematiche e ambiti di ricerca assai differenti. Si tratta, molto in generale, di un tentativo di rimettere in... more
Il tema dell’impersonale costituisce il fulcro di un dibattito odierno forse sfuggente ma variamente presente in assi tematiche e ambiti di ricerca assai differenti. Si tratta, molto in generale, di un tentativo di rimettere in discussione la nozione di soggettività, antropologicamente circoscritta, per giungere a teorizzare una sorta di spazio impersonale, capace di fondare e articolare le linee dell’intero piano della realtà concretamente esperibile. Si potrebbe obiettare che un simile tema mantenga un’impostazione di tipo “metafisico”, intesa in senso negativo, come fautrice di una speculazione antiquata, piattamente astratta e slegata dalla contemporaneità. A questa obiezione, che tende a schivare con forse troppa leggerezza gli ammonimenti heideggeriani e derridiani – è possibile uscire dall’epoca della metafisica? O meglio, è possibile una filosofia che non sia per ciò stesso metafisica? – corrisponde un atteggiamento oggi ben radicato, che tende a svalutare il pensiero “puro”, considerato logoro e inadatto a cogliere le linee in cui si articola il mondo di oggi. Ora, è piuttosto facile rispondere a questa obiezione mostrando quanto un pensiero esplicitamente metafisico possa essere al contempo vigorosamente attuale: si prenda a titolo di esempio la figura di Gilles Deleuze, la cui riflessione scotista sull’univocità molteplice del reale finisce per chiamare in causa il problema della distribuzione dello (e nello) spazio politico. In effetti così interpretato il pensiero filosofico, lato sensu, anche il più distante dalla dimensione materiale della prassi, nell’atto stesso del suo porsi non può che implicare al contempo una concreta riflessione sulla realtà. Più precisamente – ed è l’ipotesi che vorremmo vagliare proponendovi il presente CFP – la filosofia teorica per eccellenza, la prote philosophia come pensiero della meraviglia e dell’astrazione, non è tale (“filosofia prima”) se non per la sua specifica capacità di cercare – a partire dai diversi ambiti del sapere – le ragioni e le modalità di questo primo incontro con il reale. Prendendo le mosse da una certa tradizione di pensiero, si tratterebbe allora di considerare come genuinamente “Metafisico”, e pertanto autenticamente filosofico, il tentativo di cogliere l’esperienza nel suo nascere. Significherebbe, in altre parole, approfondire la ricerca del fondamento immettendola in un processo che precede ogni polarità e che risale, appunto, al livello prettamente impersonale.
Non occorre un grande impegno teorico per mostrare come si possa fare filosofia senza ricorrere alla nozione di “trascendentale” ‒ oppure, in maniera più profonda, senza assumere la posizione trascendentale. Lo mostra, banalmente, la... more
Non occorre un grande impegno teorico per mostrare come si possa fare filosofia senza ricorrere alla nozione di “trascendentale” ‒ oppure, in maniera più profonda, senza assumere la posizione trascendentale. Lo mostra, banalmente, la storia del pensiero filosofico novecentesco. Dalla filosofia analitica alla filosofia ermeneutica, non si contano le tradizioni filosofiche che hanno reso persuasiva l’idea secondo cui l’interrogazione filosofica potesse ‒ e, anzi, dovesse ‒ articolarsi senza ripetere il gesto fondativo, ovvero senza declinare la domanda sulla fondazione in modo tale da dover passare attraverso la questione trascendentale.
Si fa prima se si interrogano i saperi che descrivono ‒ o spiegano ‒ l’esperienza. Si fa prima se si imposta il discorso filosofico immettendolo nell’alveo del discorso scientifico, il quale parla direttamente dell’esperienza. Un po’ come quando si deve insegnare a qualcuno come si nuota. Gli si mostrano i gesti del nuoto stando sulla riva? No, lo si butta in acqua, magari in acque poco profonde, e gli si insegna, dentro  l’acqua, a nuotare. Così, appunto, si fa prima. Assumere la posizione trascendentale, in tale prospettiva, non risulta essere altro che un’inutile perdita di tempo.
Tuttavia, è lecito almeno sollevare un dubbio: si può davvero accordare alla filosofia il ruolo di sapere critico, che interroga i propri fondamenti, quelli degli altri saperi e, più in generale, il fondamento del rapporto tra sapere ed esperienza, senza passare attraverso la nozione di trascendentale? Si può davvero fare a meno di chiedersi sia come è fatto, in generale, il soggetto che fa esperienza del mondo, sia come sono fatti quei mondi ai quali si rapporta ogni esperienza possibile?
Se tale domanda, tale dubbio, risulta anche solo vagamente plausibile, allora si vede bene che perseguire l’obiettivo di praticare una filosofia in qualche modo definibile come “trascendentale” non si configura più come una semplice perdita di tempo.
Tutta la difficoltà sta, ora, nel mettersi d’accordo su ciò che l’espressione “in qualche modo” indica. Lo scopo di questo primo numero consiste nel mettere alla prova alcune possibili letture e declinazioni di tale espressione
The end of the world raises questions that cannot be inscribed only in the complex development of historic cultures: the disturbing echo of the recall to the end of the world – from Judaic apocalyptic up to early Christendom, from eastern... more
The end of the world raises questions that cannot be inscribed only in the complex development of historic cultures: the disturbing echo of the recall to the end of the world – from Judaic apocalyptic up to early Christendom, from eastern Asian religions up to Germanic mythologies, from Hellenistic philosophies up to the advent of digital technologies – has never ceased to be heard.

La fine del mondo suscita interrogativi che difficilmente possono essere inscritti solo nella complessa vicenda delle culture storiche: l’eco inquietante del richiamo alla fine del mondo – dall’apocalittica giudaica al cristianesimo primitivo, dalle religioni dell’Asia orientale alle mitologie germaniche, dalle filosofie ellenistiche all’avvento delle tecnologie digitali – non ha mai smesso di farsi sentire
The theme of the impersonal lies at the very heart of the current debate. At times this might be less obvious but it is always present across a variety of issues and research fields often very different one from the other. Generally... more
The theme of the impersonal lies at the very heart of the current debate. At times this might be less obvious but it is always present across a variety of issues and research fields often very different one from the other. Generally speaking its primary concern is to challenge the anthropologically-centered notion of subjectivity, in order to theorize a sort of “impersonal field” capable of establishing and expressing the main lines of the space of concretely experienced reality.
It could be argued that similar ideas maintain, in a negative way, a typical metaphysical perspective, supporting obsolete speculations that are too abstract and disconnected from our contemporaneity. Related to this kind of criticism and its attempt to elude, probably in an incautious manner, Heidegger’s and Derrida’s monitions – Is it possible to escape from the age of metaphysics? Is a non-metaphysical philosophy possible? – there is in the present day a well-established approach that tends to dismiss “pure” thought, deemed as outdated and incapable of grasping the different ways in which our world is manifested. However it has to be also considered the risk of underestimating the significance of similar objections by merely showing how an explicitly metaphysical thought can be at the same time strongly attached to the present: for example the philosophy of Gilles Deleuze, whose scotist thought of a multiple univocity of the real leads to the problematization of the distribution of (and in) the political space.
Indeed, philosophical thought in general, even in its most abstract expressions distant from the material dimension of practices, in the very act of positing itself it also entails inevitably a concrete reflection on reality. To be more precise, this is the main thesis we would like to investigate with this CFP: theoretical philosophy as the prote philosophia that reflects on wonder and abstraction, can’t be considered as a “first philosophy” if not by its specific capacity of investigating – in the various fields of knowledge – the reasons and the conditions of this first encounter with the real. Building on this kind of line of thought, this means to consider as genuinely “metaphysical”, and therefore authentically “philosophical”, the very effort to conceive experience in its construction. In other words, it would mean to delve deeper into the research of foundations by inserting it in a process that precedes any kind polarity and that it resides precisely at the level of the impersonal.
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Il tema dell’impersonale costituisce il fulcro di un dibattito odierno forse sfuggente ma variamente presente in assi tematiche e ambiti di ricerca assai differenti. Si tratta, molto in generale, di un tentativo di rimettere in... more
Il tema dell’impersonale costituisce il fulcro di un dibattito odierno forse sfuggente ma variamente presente in assi tematiche e ambiti di ricerca assai differenti. Si tratta, molto in generale, di un tentativo di rimettere in discussione la nozione di soggettività, antropologicamente circoscritta, per giungere a teorizzare una sorta di spazio impersonale, capace di fondare e articolare le linee dell’intero piano della realtà concretamente esperibile.
Si potrebbe obiettare che un simile tema mantenga un’impostazione di tipo “metafisico”, intesa in senso negativo, come fautrice di una speculazione antiquata, piattamente astratta e slegata dalla contemporaneità. A questa obiezione, che tende a schivare con forse troppa leggerezza gli ammonimenti heideggeriani e derridiani – è possibile uscire dall’epoca della metafisica? O meglio, è possibile una filosofia che non sia per ciò stesso metafisica? – corrisponde un atteggiamento oggi ben radicato, che tende a svalutare il pensiero “puro”, considerato logoro e inadatto a cogliere le linee in cui si articola il mondo di oggi. Ora, è piuttosto facile rispondere a questa obiezione mostrando quanto un pensiero esplicitamente metafisico possa essere al contempo vigorosamente attuale: si prenda a titolo di esempio la figura di Gilles Deleuze, la cui riflessione scotista sull’univocità molteplice del reale finisce per chiamare in causa il problema della distribuzione dello (e nello) spazio politico.
In effetti così interpretato il pensiero filosofico, lato sensu, anche il più distante dalla dimensione materiale della prassi, nell’atto stesso del suo porsi non può che implicare al contempo una concreta riflessione sulla realtà. Più precisamente – ed è l’ipotesi che vorremmo vagliare proponendovi il presente CFP – la filosofia teorica per eccellenza, la prote philosophia come pensiero della meraviglia e dell’astrazione, non è tale (“filosofia prima”) se non per la sua specifica capacità di cercare – a partire dai diversi ambiti del sapere - le ragioni e le modalità di questo primo incontro con il reale. Prendendo le mosse da una certa tradizione di pensiero, si tratterebbe allora di considerare come genuinamente “Metafisico”, e pertanto autenticamente filosofico, il tentativo di cogliere l’esperienza nel suo nascere. Significherebbe, in altre parole, approfondire la ricerca del fondamento immettendola in un processo che precede ogni polarità e che risale, appunto, al livello prettamente impersonale.
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