Si intende insomma offrire al lettore italiano un viaggio all’interno del “prisma Simondon”, in g... more Si intende insomma offrire al lettore italiano un viaggio all’interno del “prisma Simondon”, in grado di ripartirsi su una grande varietà di ambiti disciplinari senza al contempo allontanarsi dalla sua ispirazione più profondamente speculativa (e per ciò stesso innovatrice): quella cioè di fornire all’indagine filosofica una cornice che sia all’altezza del contemporaneo.
Il termine ‘postumanesimo’ è stato usato per la prima volta nel senso critico che è entrato poi n... more Il termine ‘postumanesimo’ è stato usato per la prima volta nel senso critico che è entrato poi nel linguaggio comune da Ihab Hassan nel 1977. Nei suoi quasi quattro decenni di vita la teoria del postumano ha subito non poche evoluzioni, trasformazioni e raffinamenti, non da ultimo perché questo concetto non designa un campo teorico omogeneo e compatto, ma è piuttosto un ‘discorso’ nel senso foucauldiano del termine, una molteplicità di filoni diversi, eterogenei e frammentati, tenuti insieme da un’idea portante: la convinzione che il vecchio umanesimo sia ormai finito. Questo numero de «Lo Sguardo» si propone di fare una sorta di bilancio degli ultimi quattro decenni per analizzare i limiti e confini del concetto di postumano. Il filo conduttore del numero è quindi la domanda: che cosa è ancora vivo e attuale, oggi, nella questione del postumano? Quali sono i filoni e le tendenze che si sono progressivamente esauriti, e quali invece sono passati in primo piano? Come si sono evolute le domande, e soprattutto le risposte, alla questione del postumano?
La questione della tecnologia, e cioè dell’ibridazione tra umano e macchina, è ancora per molti il tratto più ‘appariscente’ del postumano, sia per la cultura popolare, sia per il senso comune all’interno dell’accademia; e tuttavia il trionfalismo di certo postumanesimo – e soprattutto delle sue derive transumaniste – ha alienato non pochi studiosi, a partire proprio da una delle ‘madri’ della teoria postumana, Donna Haraway. Resta il fatto che i livelli di intimità e intrusione della tecnologia nell’umano sono, semmai, enormemente cresciuti dai tempi del Manifesto Cyborg, come anche le resistenze a essi, e questo continua a sollevare inesauribili questioni ontologiche, etiche ed estetiche.
Una questione che ha invece assunto sempre più centralità è quella dell’‘animale’, tanto da imprimere una vera e propria ‘svolta’ – il cosiddetto animal turn – all’interno delle scienze umane. L’interdisciplinarità (o multidisciplinarità) che caratterizzava la ricerca sul postumano in senso spiccatamente tecnologico, orientandola primariamente verso le scienze hard (in particolare la cibernetica), si è aperta quindi anche a discipline come la biologia evoluzionistica e l’etologia, dove il post del postumano viene dunque a segnalare anche il superamento (o il progressivo sgretolarsi) della dicotomia umano/animale.
Il tema dell’impersonale costituisce il fulcro di un dibattito odierno forse sfuggente ma variame... more Il tema dell’impersonale costituisce il fulcro di un dibattito odierno forse sfuggente ma variamente presente in assi tematiche e ambiti di ricerca assai differenti. Si tratta, molto in generale, di un tentativo di rimettere in discussione la nozione di soggettività, antropologicamente circoscritta, per giungere a teorizzare una sorta di spazio impersonale, capace di fondare e articolare le linee dell’intero piano della realtà concretamente esperibile. Si potrebbe obiettare che un simile tema mantenga un’impostazione di tipo “metafisico”, intesa in senso negativo, come fautrice di una speculazione antiquata, piattamente astratta e slegata dalla contemporaneità. A questa obiezione, che tende a schivare con forse troppa leggerezza gli ammonimenti heideggeriani e derridiani – è possibile uscire dall’epoca della metafisica? O meglio, è possibile una filosofia che non sia per ciò stesso metafisica? – corrisponde un atteggiamento oggi ben radicato, che tende a svalutare il pensiero “puro”, considerato logoro e inadatto a cogliere le linee in cui si articola il mondo di oggi. Ora, è piuttosto facile rispondere a questa obiezione mostrando quanto un pensiero esplicitamente metafisico possa essere al contempo vigorosamente attuale: si prenda a titolo di esempio la figura di Gilles Deleuze, la cui riflessione scotista sull’univocità molteplice del reale finisce per chiamare in causa il problema della distribuzione dello (e nello) spazio politico. In effetti così interpretato il pensiero filosofico, lato sensu, anche il più distante dalla dimensione materiale della prassi, nell’atto stesso del suo porsi non può che implicare al contempo una concreta riflessione sulla realtà. Più precisamente – ed è l’ipotesi che vorremmo vagliare proponendovi il presente CFP – la filosofia teorica per eccellenza, la prote philosophia come pensiero della meraviglia e dell’astrazione, non è tale (“filosofia prima”) se non per la sua specifica capacità di cercare – a partire dai diversi ambiti del sapere – le ragioni e le modalità di questo primo incontro con il reale. Prendendo le mosse da una certa tradizione di pensiero, si tratterebbe allora di considerare come genuinamente “Metafisico”, e pertanto autenticamente filosofico, il tentativo di cogliere l’esperienza nel suo nascere. Significherebbe, in altre parole, approfondire la ricerca del fondamento immettendola in un processo che precede ogni polarità e che risale, appunto, al livello prettamente impersonale.
Non occorre un grande impegno teorico per mostrare come si possa fare filosofia senza ricorrere a... more Non occorre un grande impegno teorico per mostrare come si possa fare filosofia senza ricorrere alla nozione di “trascendentale” ‒ oppure, in maniera più profonda, senza assumere la posizione trascendentale. Lo mostra, banalmente, la storia del pensiero filosofico novecentesco. Dalla filosofia analitica alla filosofia ermeneutica, non si contano le tradizioni filosofiche che hanno reso persuasiva l’idea secondo cui l’interrogazione filosofica potesse ‒ e, anzi, dovesse ‒ articolarsi senza ripetere il gesto fondativo, ovvero senza declinare la domanda sulla fondazione in modo tale da dover passare attraverso la questione trascendentale.
Si fa prima se si interrogano i saperi che descrivono ‒ o spiegano ‒ l’esperienza. Si fa prima se si imposta il discorso filosofico immettendolo nell’alveo del discorso scientifico, il quale parla direttamente dell’esperienza. Un po’ come quando si deve insegnare a qualcuno come si nuota. Gli si mostrano i gesti del nuoto stando sulla riva? No, lo si butta in acqua, magari in acque poco profonde, e gli si insegna, dentro l’acqua, a nuotare. Così, appunto, si fa prima. Assumere la posizione trascendentale, in tale prospettiva, non risulta essere altro che un’inutile perdita di tempo.
Tuttavia, è lecito almeno sollevare un dubbio: si può davvero accordare alla filosofia il ruolo di sapere critico, che interroga i propri fondamenti, quelli degli altri saperi e, più in generale, il fondamento del rapporto tra sapere ed esperienza, senza passare attraverso la nozione di trascendentale? Si può davvero fare a meno di chiedersi sia come è fatto, in generale, il soggetto che fa esperienza del mondo, sia come sono fatti quei mondi ai quali si rapporta ogni esperienza possibile?
Se tale domanda, tale dubbio, risulta anche solo vagamente plausibile, allora si vede bene che perseguire l’obiettivo di praticare una filosofia in qualche modo definibile come “trascendentale” non si configura più come una semplice perdita di tempo.
Tutta la difficoltà sta, ora, nel mettersi d’accordo su ciò che l’espressione “in qualche modo” indica. Lo scopo di questo primo numero consiste nel mettere alla prova alcune possibili letture e declinazioni di tale espressione
Simondon descrive l'oggetto tecnico come qualcosa di tendente all'organizzazione e alla propria i... more Simondon descrive l'oggetto tecnico come qualcosa di tendente all'organizzazione e alla propria individuazione. Una relazione dinamica costituisce i termini stessi messi in rapporto nel movimento di individuazione dell'oggetto tecnico: si dirà che tale oggetto si individua in maniera trasduttiva. La trasduzione è una relazione dinamica poiché, a partire da un orizzonte pre-individuale, essa tende verso l'unità senza mai arrestarsi: animata da uno sfasamento interno, essa è da parte a parte temporale. In un altro testo Simondon descrive l'individuazione psicosociale negli stessi termini, ossia come un processo trasduttivo operante sullo sfondo del preindividuale. Tuttavia Simondon non ha articolato questi due momenti del suo lavoro. Non sarà pertanto la tecnica che, in quanto traccia ed eredità, lega insieme l'individualità psichica e collettiva in quella che qui verrà chiamata "epifilogenesi"? A partire da Heidegger e da Derrida, si tratta allora di mostrare l'irriducibile priorità della tecnica la quale, nel ruolo di differenza temporale originaria, costituisce l'orizzonte di tutte le individuazioni psicosociali.
This is a review of the book of R. Esposito, Le persone e le cose. Torino: Einaudi, 2014, pp. 136... more This is a review of the book of R. Esposito, Le persone e le cose. Torino: Einaudi, 2014, pp. 136, € 10,00.
In this paper I will demonstrate how, in Derrida's approach to Husserl, phenomenology is to b... more In this paper I will demonstrate how, in Derrida's approach to Husserl, phenomenology is to be understood through the notions of sound and space. First, I will show how the deconstruction of Husserl's phonologocentrism leads to a repositioning of the traditional concept of sound. Then, I will emphasize the relevance of the spatial element and its rhythmic dynamism. Under these premises, I will present my interpretive hypothesis, that in Derrida's thought there persists a transcendental dimension as a new transcendental aesthetics.
Ci pare indubbio che il Novecento filosofico (non meno di quello letterario o ar- tistico), per l... more Ci pare indubbio che il Novecento filosofico (non meno di quello letterario o ar- tistico), per lo meno a partire dalla sua seconda metà, abbia circoscritto, ac- cerchiato e poi dismesso il suo principale avversario, vale a dire la nozione di soggettività, così come era stata ereditata dalla tradizione moderna di ascen- denza cartesiana. Non sarebbe difficile mostrare quanto, a partire da questo pun- to di vista, pensatori assolutamente eterogenei come Martin Heidegger, Michel Foucault, Ernst Mach o Ludwig Klages, con tonalità e modi radicalmente differen- ti, abbiano tutti manifestato una medesima e generale inquietudine nei confronti del soggettivismo proprio della tradizione filosofica occidentale.
1. Perché il postumano, oggi? Il termine 'postumanesimo' è stato usato per la prima volta... more 1. Perché il postumano, oggi? Il termine 'postumanesimo' è stato usato per la prima volta nel senso critico che è entrato poi nel linguaggio comune da Ihab Hassan nel 1977 1. Nei suoi quasi quattro decenni di vita la teoria del postumano ha subito non poche evoluzioni, trasformazioni e raffinamenti, non da ultimo perché questo concetto non designa un campo teorico omogeneo e compatto, ma è piuttosto un 'discorso' nel senso foucauldiano del termine, una molteplicità di filoni diversi, eterogenei e frammentati, tenuti insieme da un'idea portante: la convinzione che il vecchio umanesimo sia ormai finito. Questo numero de «Lo Sguardo» si propone di fare una sorta di bilancio degli ultimi quattro decenni per analizzare i limiti e confini del concetto di postumano. Il filo conduttore del numero è quindi la domanda: che cosa è ancora vivo e attuale, oggi, nella questione del postumano? Quali sono i filoni e le tendenze che si sono progressivamente esauriti, e quali inve...
In this essay I would like to propose a reinterpretation of certain passages of the earlier Derri... more In this essay I would like to propose a reinterpretation of certain passages of the earlier Derrida’s works, specifically on Edmund Husserl. I will focus mainly on his dissertation ( Memoire d’etudes superieures ) and his Introduction to the Husserlian appendix The origin of geometry . My purpose is to point out some aspects that I consider relevant for the development of the following Derrida’s philosophy. First of all, I’ll try to take into account the concept of dialectic in his transition from Kant to Husserl. Then, starting from Derrida’s interpretation of The Lectures on Internal Time-Consciousness, I’ll try to explain the meaning of what could be described as an aesthetic refoundation of the transcendental. In these early stages Derrida attempted to lay the foundation of what he’ll then call “quasi-transcendental”. From this perspective, we might note that the deconstructive reading – as such – involves a phenomenological attention towards the original contamination between t...
Simondon descrive l'oggetto tecnico come qualcosa di tendente all'organizzazione e alla p... more Simondon descrive l'oggetto tecnico come qualcosa di tendente all'organizzazione e alla propria individuazione. Una relazione dinamica costituisce i termini stessi messi in rapporto nel movimento di individuazione dell'oggetto tecnico: si dirà che tale oggetto si individua in maniera trasduttiva. La trasduzione è una relazione dinamica poiché, a partire da un orizzonte pre-individuale, essa tende verso l'unità senza mai arrestarsi: animata da uno sfasamento interno, essa è da parte a parte temporale. In un altro testo Simondon descrive l'individuazione psicosociale negli stessi termini, ossia come un processo trasduttivo operante sullo sfondo del preindividuale. Tuttavia Simondon non ha articolato questi due momenti del suo lavoro. Non sarà pertanto la tecnica che, in quanto traccia ed eredità, lega insieme l'individualità psichica e collettiva in quella che qui verrà chiamata "epifilogenesi"? A partire da Heidegger e da Derrida, si tratta allora di mostrare l'irriducibile priorità della tecnica la quale, nel ruolo di differenza temporale originaria, costituisce l'orizzonte di tutte le individuazioni psicosociali.
Breve editoriale del numero XXIV/17.2 (settembre 2017) de Lo Sguardo dedicato ai limiti e confini... more Breve editoriale del numero XXIV/17.2 (settembre 2017) de Lo Sguardo dedicato ai limiti e confini del postumano.
Si intende insomma offrire al lettore italiano un viaggio all’interno del “prisma Simondon”, in g... more Si intende insomma offrire al lettore italiano un viaggio all’interno del “prisma Simondon”, in grado di ripartirsi su una grande varietà di ambiti disciplinari senza al contempo allontanarsi dalla sua ispirazione più profondamente speculativa (e per ciò stesso innovatrice): quella cioè di fornire all’indagine filosofica una cornice che sia all’altezza del contemporaneo.
Il termine ‘postumanesimo’ è stato usato per la prima volta nel senso critico che è entrato poi n... more Il termine ‘postumanesimo’ è stato usato per la prima volta nel senso critico che è entrato poi nel linguaggio comune da Ihab Hassan nel 1977. Nei suoi quasi quattro decenni di vita la teoria del postumano ha subito non poche evoluzioni, trasformazioni e raffinamenti, non da ultimo perché questo concetto non designa un campo teorico omogeneo e compatto, ma è piuttosto un ‘discorso’ nel senso foucauldiano del termine, una molteplicità di filoni diversi, eterogenei e frammentati, tenuti insieme da un’idea portante: la convinzione che il vecchio umanesimo sia ormai finito. Questo numero de «Lo Sguardo» si propone di fare una sorta di bilancio degli ultimi quattro decenni per analizzare i limiti e confini del concetto di postumano. Il filo conduttore del numero è quindi la domanda: che cosa è ancora vivo e attuale, oggi, nella questione del postumano? Quali sono i filoni e le tendenze che si sono progressivamente esauriti, e quali invece sono passati in primo piano? Come si sono evolute le domande, e soprattutto le risposte, alla questione del postumano?
La questione della tecnologia, e cioè dell’ibridazione tra umano e macchina, è ancora per molti il tratto più ‘appariscente’ del postumano, sia per la cultura popolare, sia per il senso comune all’interno dell’accademia; e tuttavia il trionfalismo di certo postumanesimo – e soprattutto delle sue derive transumaniste – ha alienato non pochi studiosi, a partire proprio da una delle ‘madri’ della teoria postumana, Donna Haraway. Resta il fatto che i livelli di intimità e intrusione della tecnologia nell’umano sono, semmai, enormemente cresciuti dai tempi del Manifesto Cyborg, come anche le resistenze a essi, e questo continua a sollevare inesauribili questioni ontologiche, etiche ed estetiche.
Una questione che ha invece assunto sempre più centralità è quella dell’‘animale’, tanto da imprimere una vera e propria ‘svolta’ – il cosiddetto animal turn – all’interno delle scienze umane. L’interdisciplinarità (o multidisciplinarità) che caratterizzava la ricerca sul postumano in senso spiccatamente tecnologico, orientandola primariamente verso le scienze hard (in particolare la cibernetica), si è aperta quindi anche a discipline come la biologia evoluzionistica e l’etologia, dove il post del postumano viene dunque a segnalare anche il superamento (o il progressivo sgretolarsi) della dicotomia umano/animale.
Il tema dell’impersonale costituisce il fulcro di un dibattito odierno forse sfuggente ma variame... more Il tema dell’impersonale costituisce il fulcro di un dibattito odierno forse sfuggente ma variamente presente in assi tematiche e ambiti di ricerca assai differenti. Si tratta, molto in generale, di un tentativo di rimettere in discussione la nozione di soggettività, antropologicamente circoscritta, per giungere a teorizzare una sorta di spazio impersonale, capace di fondare e articolare le linee dell’intero piano della realtà concretamente esperibile. Si potrebbe obiettare che un simile tema mantenga un’impostazione di tipo “metafisico”, intesa in senso negativo, come fautrice di una speculazione antiquata, piattamente astratta e slegata dalla contemporaneità. A questa obiezione, che tende a schivare con forse troppa leggerezza gli ammonimenti heideggeriani e derridiani – è possibile uscire dall’epoca della metafisica? O meglio, è possibile una filosofia che non sia per ciò stesso metafisica? – corrisponde un atteggiamento oggi ben radicato, che tende a svalutare il pensiero “puro”, considerato logoro e inadatto a cogliere le linee in cui si articola il mondo di oggi. Ora, è piuttosto facile rispondere a questa obiezione mostrando quanto un pensiero esplicitamente metafisico possa essere al contempo vigorosamente attuale: si prenda a titolo di esempio la figura di Gilles Deleuze, la cui riflessione scotista sull’univocità molteplice del reale finisce per chiamare in causa il problema della distribuzione dello (e nello) spazio politico. In effetti così interpretato il pensiero filosofico, lato sensu, anche il più distante dalla dimensione materiale della prassi, nell’atto stesso del suo porsi non può che implicare al contempo una concreta riflessione sulla realtà. Più precisamente – ed è l’ipotesi che vorremmo vagliare proponendovi il presente CFP – la filosofia teorica per eccellenza, la prote philosophia come pensiero della meraviglia e dell’astrazione, non è tale (“filosofia prima”) se non per la sua specifica capacità di cercare – a partire dai diversi ambiti del sapere – le ragioni e le modalità di questo primo incontro con il reale. Prendendo le mosse da una certa tradizione di pensiero, si tratterebbe allora di considerare come genuinamente “Metafisico”, e pertanto autenticamente filosofico, il tentativo di cogliere l’esperienza nel suo nascere. Significherebbe, in altre parole, approfondire la ricerca del fondamento immettendola in un processo che precede ogni polarità e che risale, appunto, al livello prettamente impersonale.
Non occorre un grande impegno teorico per mostrare come si possa fare filosofia senza ricorrere a... more Non occorre un grande impegno teorico per mostrare come si possa fare filosofia senza ricorrere alla nozione di “trascendentale” ‒ oppure, in maniera più profonda, senza assumere la posizione trascendentale. Lo mostra, banalmente, la storia del pensiero filosofico novecentesco. Dalla filosofia analitica alla filosofia ermeneutica, non si contano le tradizioni filosofiche che hanno reso persuasiva l’idea secondo cui l’interrogazione filosofica potesse ‒ e, anzi, dovesse ‒ articolarsi senza ripetere il gesto fondativo, ovvero senza declinare la domanda sulla fondazione in modo tale da dover passare attraverso la questione trascendentale.
Si fa prima se si interrogano i saperi che descrivono ‒ o spiegano ‒ l’esperienza. Si fa prima se si imposta il discorso filosofico immettendolo nell’alveo del discorso scientifico, il quale parla direttamente dell’esperienza. Un po’ come quando si deve insegnare a qualcuno come si nuota. Gli si mostrano i gesti del nuoto stando sulla riva? No, lo si butta in acqua, magari in acque poco profonde, e gli si insegna, dentro l’acqua, a nuotare. Così, appunto, si fa prima. Assumere la posizione trascendentale, in tale prospettiva, non risulta essere altro che un’inutile perdita di tempo.
Tuttavia, è lecito almeno sollevare un dubbio: si può davvero accordare alla filosofia il ruolo di sapere critico, che interroga i propri fondamenti, quelli degli altri saperi e, più in generale, il fondamento del rapporto tra sapere ed esperienza, senza passare attraverso la nozione di trascendentale? Si può davvero fare a meno di chiedersi sia come è fatto, in generale, il soggetto che fa esperienza del mondo, sia come sono fatti quei mondi ai quali si rapporta ogni esperienza possibile?
Se tale domanda, tale dubbio, risulta anche solo vagamente plausibile, allora si vede bene che perseguire l’obiettivo di praticare una filosofia in qualche modo definibile come “trascendentale” non si configura più come una semplice perdita di tempo.
Tutta la difficoltà sta, ora, nel mettersi d’accordo su ciò che l’espressione “in qualche modo” indica. Lo scopo di questo primo numero consiste nel mettere alla prova alcune possibili letture e declinazioni di tale espressione
Simondon descrive l'oggetto tecnico come qualcosa di tendente all'organizzazione e alla propria i... more Simondon descrive l'oggetto tecnico come qualcosa di tendente all'organizzazione e alla propria individuazione. Una relazione dinamica costituisce i termini stessi messi in rapporto nel movimento di individuazione dell'oggetto tecnico: si dirà che tale oggetto si individua in maniera trasduttiva. La trasduzione è una relazione dinamica poiché, a partire da un orizzonte pre-individuale, essa tende verso l'unità senza mai arrestarsi: animata da uno sfasamento interno, essa è da parte a parte temporale. In un altro testo Simondon descrive l'individuazione psicosociale negli stessi termini, ossia come un processo trasduttivo operante sullo sfondo del preindividuale. Tuttavia Simondon non ha articolato questi due momenti del suo lavoro. Non sarà pertanto la tecnica che, in quanto traccia ed eredità, lega insieme l'individualità psichica e collettiva in quella che qui verrà chiamata "epifilogenesi"? A partire da Heidegger e da Derrida, si tratta allora di mostrare l'irriducibile priorità della tecnica la quale, nel ruolo di differenza temporale originaria, costituisce l'orizzonte di tutte le individuazioni psicosociali.
This is a review of the book of R. Esposito, Le persone e le cose. Torino: Einaudi, 2014, pp. 136... more This is a review of the book of R. Esposito, Le persone e le cose. Torino: Einaudi, 2014, pp. 136, € 10,00.
In this paper I will demonstrate how, in Derrida's approach to Husserl, phenomenology is to b... more In this paper I will demonstrate how, in Derrida's approach to Husserl, phenomenology is to be understood through the notions of sound and space. First, I will show how the deconstruction of Husserl's phonologocentrism leads to a repositioning of the traditional concept of sound. Then, I will emphasize the relevance of the spatial element and its rhythmic dynamism. Under these premises, I will present my interpretive hypothesis, that in Derrida's thought there persists a transcendental dimension as a new transcendental aesthetics.
Ci pare indubbio che il Novecento filosofico (non meno di quello letterario o ar- tistico), per l... more Ci pare indubbio che il Novecento filosofico (non meno di quello letterario o ar- tistico), per lo meno a partire dalla sua seconda metà, abbia circoscritto, ac- cerchiato e poi dismesso il suo principale avversario, vale a dire la nozione di soggettività, così come era stata ereditata dalla tradizione moderna di ascen- denza cartesiana. Non sarebbe difficile mostrare quanto, a partire da questo pun- to di vista, pensatori assolutamente eterogenei come Martin Heidegger, Michel Foucault, Ernst Mach o Ludwig Klages, con tonalità e modi radicalmente differen- ti, abbiano tutti manifestato una medesima e generale inquietudine nei confronti del soggettivismo proprio della tradizione filosofica occidentale.
1. Perché il postumano, oggi? Il termine 'postumanesimo' è stato usato per la prima volta... more 1. Perché il postumano, oggi? Il termine 'postumanesimo' è stato usato per la prima volta nel senso critico che è entrato poi nel linguaggio comune da Ihab Hassan nel 1977 1. Nei suoi quasi quattro decenni di vita la teoria del postumano ha subito non poche evoluzioni, trasformazioni e raffinamenti, non da ultimo perché questo concetto non designa un campo teorico omogeneo e compatto, ma è piuttosto un 'discorso' nel senso foucauldiano del termine, una molteplicità di filoni diversi, eterogenei e frammentati, tenuti insieme da un'idea portante: la convinzione che il vecchio umanesimo sia ormai finito. Questo numero de «Lo Sguardo» si propone di fare una sorta di bilancio degli ultimi quattro decenni per analizzare i limiti e confini del concetto di postumano. Il filo conduttore del numero è quindi la domanda: che cosa è ancora vivo e attuale, oggi, nella questione del postumano? Quali sono i filoni e le tendenze che si sono progressivamente esauriti, e quali inve...
In this essay I would like to propose a reinterpretation of certain passages of the earlier Derri... more In this essay I would like to propose a reinterpretation of certain passages of the earlier Derrida’s works, specifically on Edmund Husserl. I will focus mainly on his dissertation ( Memoire d’etudes superieures ) and his Introduction to the Husserlian appendix The origin of geometry . My purpose is to point out some aspects that I consider relevant for the development of the following Derrida’s philosophy. First of all, I’ll try to take into account the concept of dialectic in his transition from Kant to Husserl. Then, starting from Derrida’s interpretation of The Lectures on Internal Time-Consciousness, I’ll try to explain the meaning of what could be described as an aesthetic refoundation of the transcendental. In these early stages Derrida attempted to lay the foundation of what he’ll then call “quasi-transcendental”. From this perspective, we might note that the deconstructive reading – as such – involves a phenomenological attention towards the original contamination between t...
Simondon descrive l'oggetto tecnico come qualcosa di tendente all'organizzazione e alla p... more Simondon descrive l'oggetto tecnico come qualcosa di tendente all'organizzazione e alla propria individuazione. Una relazione dinamica costituisce i termini stessi messi in rapporto nel movimento di individuazione dell'oggetto tecnico: si dirà che tale oggetto si individua in maniera trasduttiva. La trasduzione è una relazione dinamica poiché, a partire da un orizzonte pre-individuale, essa tende verso l'unità senza mai arrestarsi: animata da uno sfasamento interno, essa è da parte a parte temporale. In un altro testo Simondon descrive l'individuazione psicosociale negli stessi termini, ossia come un processo trasduttivo operante sullo sfondo del preindividuale. Tuttavia Simondon non ha articolato questi due momenti del suo lavoro. Non sarà pertanto la tecnica che, in quanto traccia ed eredità, lega insieme l'individualità psichica e collettiva in quella che qui verrà chiamata "epifilogenesi"? A partire da Heidegger e da Derrida, si tratta allora di mostrare l'irriducibile priorità della tecnica la quale, nel ruolo di differenza temporale originaria, costituisce l'orizzonte di tutte le individuazioni psicosociali.
Breve editoriale del numero XXIV/17.2 (settembre 2017) de Lo Sguardo dedicato ai limiti e confini... more Breve editoriale del numero XXIV/17.2 (settembre 2017) de Lo Sguardo dedicato ai limiti e confini del postumano.
Il termine “postumanesimo” è stato usato per la prima volta nel senso critico che è entrato poi n... more Il termine “postumanesimo” è stato usato per la prima volta nel senso critico che è entrato poi nel linguaggio comune da Ihab Hassan nel 1977. Nei suoi quasi quattro decenni di vita la teoria del postumano ha subito non poche evoluzioni, trasformazioni e raffinamenti, non da ultimo perché questo concetto non designa un campo omogeneo e compatto, ma è piuttosto un “discorso” nel senso foucauldiano del termine, una molteplicità di filoni diversi, eterogenei e frammentati, tenuti insieme da un’idea portante: la convinzione che il vecchio umanesimo sia ormai finito. Questo numero de Lo Sguardo si propone di fare una sorta di bilancio degli ultimi quattro decenni per analizzare i limiti e confini del concetto di postumano. Il filo conduttore del numero è quindi la domanda: che cosa è ancora vivo e attuale, oggi, nella questione del postumano? Quali sono i filoni e le tendenze che si sono progressivamente esauriti, e quali invece sono passati in primo piano? Come si sono evolute le domande, e soprattutto le risposte, alla questione del postumano?
La questione della tecnologia, e cioè dell’ibridazione tra umano e macchina, è ancora per molti il tratto più “appariscente” del postumano, sia per la cultura popolare, sia per il senso comune all’interno dell’accademia; e tuttavia il trionfalismo di certo postumanesimo – e soprattutto delle sue derive transumaniste – ha alienato non pochi studiosi, a partire proprio da una delle “madri” della teoria postumana, Donna Haraway. Resta il fatto che i livelli di intimità e intrusione della tecnologia nell’umano sono, semmai, enormemente cresciuti dai tempi del Manifesto cyborg, come anche le resistenze a essi (Habermas, Fukuyama), e questo continua a sollevare inesauribili questioni ontologiche, etiche ed estetiche (decisive, in merito, le riflessioni di Bostrom).
Una questione che ha invece assunto sempre più centralità è quella dell’“animale”, tanto da imprimere una vera e propria “svolta” – il cosiddetto animal turn (Ritvo) – all’interno delle scienze umane. L’interdisciplinarità (o multidisciplinarità) che caratterizzava la ricerca sul postumano in senso spiccatamente tecnologico, orientandola primariamente verso le scienze hard (in particolare la cibernetica), si è aperta anche a discipline come la biologia evoluzionistica e l’etologia. Anche i riflessi estetici del dibattito sul postumano hanno subito varie evoluzioni nella letteratura, nel cinema, nelle arti plastiche e nei media, ma rimangono uno degli ambiti più interessanti di investigazione.
Rispetto a tali filoni, questo numero de “Lo Sguardo” vorrebbe esplorare la questione posta dal superamento definitivo della dicotomia natura/cultura: riscoprire l’animalità di homo sapiens significa infatti considerare come la modificazione dell’ambiente, tramite la costruzione e l’uso di protesi, sia da sempre parte integrante del nostro rapporto con il mondo esterno. Ben prima dell’invenzione del microchip, gli umani sono impegnati nella costruzione di artefatti, e proprio in questo si manifesta la comunanza con gli altri viventi: non esiste specie che non modifichi la propria nicchia ecologica più di quanto non ne sia modificata. In tal senso, il paradigma postumanistico non può non dialogare con quelle correnti delle neuroscienze contemporanee che pongono al centro delle proprie ricerche il tema della plasticità cerebrale, l’enattivismo, la concezione della mente estesa. Questo non significa arruolare forzatamente nelle fila dei pensatori postumanistici autori come Varela, Gibson, Clark o Hutto; significa però partire da essi per ripensare la questione della posizione dell’uomo nel cosmo al di fuori di ogni ipoteca veterounmanistica, che concepiva l’evoluzione culturale e tecnologica come ciò che viene necessariamente dopo l’evoluzione biologica. Un ambito che sembra invece essere stato lasciato un po’ ai margini è l’aspetto politico, o più propriamente economico-politico del postumano. Tanta riflessione, in particolar modo quella orientata verso l’aspetto tecnologico, mostra, implicitamente o esplicitamente, una spiccata neutralità politica. E tuttavia l’impatto della trasformazione postumanista sulle questioni economico-politiche è un punto assolutamente centrale: il capitalismo contemporaneo non solo si è facilmente adattato alle trasformazioni socioculturali degli ultimi decenni in senso post-gender, post-razza, post-specie, ecc., ma le spinge anzi verso eccessi in-umani, dove l’economia globale unifica tutto sotto l’imperativo delle biopolitiche neoliberali, incentrate sull’idea che ciascun individuo è in tanto libero in quanto costituisce un’impresa che deve implementare il proprio capitale fatto di competenze, desideri, aspirazioni. Vi è dunque una questione spesso sbrigativamente accantonata, ma che rimane centrale e irrisolta: che cosa dovrà prendere il posto, dopo l’umanesimo, del suo universalismo astratto? Tuttavia, l’impianto teorico del postumano permette di ricavare utili indicazioni in tal senso. Un’etica postumanistica, proprio perché attenta agli invarianti culturali che l’evoluzione della nostra specie determina, ci aiuta a leggere in modo inedito il nesso che li lega tra loro. A questo proposito, l’espressione inglese entanglement risulta decisamente pertinente in quanto permette di cogliere l’aspetto ecologico di specifiche dinamiche sociali di lungo periodo le quali non si danno mai separate le une dalle altre: l’aggressività intraspecifica, dal neolitico in poi organizzata nella forma della guerra, si intreccia al nostro rapporto violento con le altre specie, trattate in modo tale da togliere ai loro rappresentanti ogni dignità emotiva; vi fa da correlato l’oppressione del genere femminile, sia a livello simbolico che a livello politico-giuridico, così come la credenza religiosa, la quale organizza, entro la sfera dell’immaginario, quelle distinzioni tra il proprio e l’estraneo che stanno alla base della distinzione politica tra amico e nemico.
The term " posthumanism " was used for the first time in the critical sense that entered then com... more The term " posthumanism " was used for the first time in the critical sense that entered then common language by Ihab Hassan in 1977. In its almost four decades of existence, posthuman theory has witnessed several evolutions, transformations and refinements, not least because this concept does not name an homogeneous and compact field, but is rather a " discourse " in the Foucauldian sense, a multiplicity of different streams, heterogeneous and fragmented, held together by a basic idea: the notion that old humanism is over. This issue of " Lo Sguardo " intends to attempt a sort of assessment of the last four decades, in order to analyse the limits and boundaries of the concept of posthuman. The leading thread of this issue is thus the question: what is still alive and topical, today, in the question of the posthuman? What themes and trends have progressively run out, and what instead have come to the foreground? How did the questions, and most importantly the answers, to the problem of the posthuman evolve? The question of technology, that is of the hybridization between human and machine, is still for many the most " showy " trait of the posthuman, both in popular culture and for the common understanding within academia; and yet the triumphalism of a certain posthumanism – and above all of its transhumanist deviations – alienated a number of scholars, starting precisely with one of the " mothers " of posthuman theory, Donna Haraway. The fact remains that the levels of technology's intimacy and intrusion into the human have, if anything, enormously increased sinceA Cyborg Manifesto (1983), and so have also the oppositions to it (Habermas, Fukuyama), and this keeps raising inexhaustible ontological, ethical and aesthetic questions (decisive are here Bostrom's reflexions).
Il tema dell’impersonale costituisce il fulcro di un dibattito odierno forse sfuggente ma variame... more Il tema dell’impersonale costituisce il fulcro di un dibattito odierno forse sfuggente ma variamente presente in assi tematiche e ambiti di ricerca assai differenti. Si tratta, molto in generale, di un tentativo di rimettere in discussione la nozione di soggettività, antropologicamente circoscritta, per giungere a teorizzare una sorta di spazio impersonale, capace di fondare e articolare le linee dell’intero piano della realtà concretamente esperibile. Si potrebbe obiettare che un simile tema mantenga un’impostazione di tipo “metafisico”, intesa in senso negativo, come fautrice di una speculazione antiquata, piattamente astratta e slegata dalla contemporaneità. A questa obiezione, che tende a schivare con forse troppa leggerezza gli ammonimenti heideggeriani e derridiani – è possibile uscire dall’epoca della metafisica? O meglio, è possibile una filosofia che non sia per ciò stesso metafisica? – corrisponde un atteggiamento oggi ben radicato, che tende a svalutare il pensiero “puro”, considerato logoro e inadatto a cogliere le linee in cui si articola il mondo di oggi. Ora, è piuttosto facile rispondere a questa obiezione mostrando quanto un pensiero esplicitamente metafisico possa essere al contempo vigorosamente attuale: si prenda a titolo di esempio la figura di Gilles Deleuze, la cui riflessione scotista sull’univocità molteplice del reale finisce per chiamare in causa il problema della distribuzione dello (e nello) spazio politico. In effetti così interpretato il pensiero filosofico, lato sensu, anche il più distante dalla dimensione materiale della prassi, nell’atto stesso del suo porsi non può che implicare al contempo una concreta riflessione sulla realtà. Più precisamente – ed è l’ipotesi che vorremmo vagliare proponendovi il presente CFP – la filosofia teorica per eccellenza, la prote philosophia come pensiero della meraviglia e dell’astrazione, non è tale (“filosofia prima”) se non per la sua specifica capacità di cercare – a partire dai diversi ambiti del sapere - le ragioni e le modalità di questo primo incontro con il reale. Prendendo le mosse da una certa tradizione di pensiero, si tratterebbe allora di considerare come genuinamente “Metafisico”, e pertanto autenticamente filosofico, il tentativo di cogliere l’esperienza nel suo nascere. Significherebbe, in altre parole, approfondire la ricerca del fondamento immettendola in un processo che precede ogni polarità e che risale, appunto, al livello prettamente impersonale.
Scuola di Dottorato del Politecnico di Torino. Dottorato in Architettura. Storia e Progetto, 2018
The course is part of an interdisciplinary research whose gen-eral theme concerns the relationshi... more The course is part of an interdisciplinary research whose gen-eral theme concerns the relationship between architecture and philosophy. The research involves a collaboration be-tween the Ph.D. course in ‘Architecture, History and Design’ of the Politecnico di Torino and the magazine of philosophi-cal studies of the University of Turin ‘Philosophy Kitchen’. The premise of this collaborative research is that exchanges be-tween architecture and philosophy can be developed on the basis of concepts that belong to the theoretical apparatus of both disciplines, even if the meaning such disciplines provide of these concepts might be different. The goal is practical: to write a lemma that can provide op-erational guidance to practitioners of both disciplines. Hence, to introduce other words and to produce other lemmas as well as schema. In this first attempt, coincidences, misunder-standings, overlaps wil be constitutive facts of a map that will trace the semantic regions of the word “schema” in a hyper textual form.
Workshop il 25-26 ottobre per il corso di "Ermeneutica filosofica", Dipartimento di Scienze Umane... more Workshop il 25-26 ottobre per il corso di "Ermeneutica filosofica", Dipartimento di Scienze Umane, Università di Verona
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La questione della tecnologia, e cioè dell’ibridazione tra umano e macchina, è ancora per molti il tratto più ‘appariscente’ del postumano, sia per la cultura popolare, sia per il senso comune all’interno dell’accademia; e tuttavia il trionfalismo di certo postumanesimo – e soprattutto delle sue derive transumaniste – ha alienato non pochi studiosi, a partire proprio da una delle ‘madri’ della teoria postumana, Donna Haraway. Resta il fatto che i livelli di intimità e intrusione della tecnologia nell’umano sono, semmai, enormemente cresciuti dai tempi del Manifesto Cyborg, come anche le resistenze a essi, e questo continua a sollevare inesauribili questioni ontologiche, etiche ed estetiche.
Una questione che ha invece assunto sempre più centralità è quella dell’‘animale’, tanto da imprimere una vera e propria ‘svolta’ – il cosiddetto animal turn – all’interno delle scienze umane. L’interdisciplinarità (o multidisciplinarità) che caratterizzava la ricerca sul postumano in senso spiccatamente tecnologico, orientandola primariamente verso le scienze hard (in particolare la cibernetica), si è aperta quindi anche a discipline come la biologia evoluzionistica e l’etologia, dove il post del postumano viene dunque a segnalare anche il superamento (o il progressivo sgretolarsi) della dicotomia umano/animale.
Si fa prima se si interrogano i saperi che descrivono ‒ o spiegano ‒ l’esperienza. Si fa prima se si imposta il discorso filosofico immettendolo nell’alveo del discorso scientifico, il quale parla direttamente dell’esperienza. Un po’ come quando si deve insegnare a qualcuno come si nuota. Gli si mostrano i gesti del nuoto stando sulla riva? No, lo si butta in acqua, magari in acque poco profonde, e gli si insegna, dentro l’acqua, a nuotare. Così, appunto, si fa prima. Assumere la posizione trascendentale, in tale prospettiva, non risulta essere altro che un’inutile perdita di tempo.
Tuttavia, è lecito almeno sollevare un dubbio: si può davvero accordare alla filosofia il ruolo di sapere critico, che interroga i propri fondamenti, quelli degli altri saperi e, più in generale, il fondamento del rapporto tra sapere ed esperienza, senza passare attraverso la nozione di trascendentale? Si può davvero fare a meno di chiedersi sia come è fatto, in generale, il soggetto che fa esperienza del mondo, sia come sono fatti quei mondi ai quali si rapporta ogni esperienza possibile?
Se tale domanda, tale dubbio, risulta anche solo vagamente plausibile, allora si vede bene che perseguire l’obiettivo di praticare una filosofia in qualche modo definibile come “trascendentale” non si configura più come una semplice perdita di tempo.
Tutta la difficoltà sta, ora, nel mettersi d’accordo su ciò che l’espressione “in qualche modo” indica. Lo scopo di questo primo numero consiste nel mettere alla prova alcune possibili letture e declinazioni di tale espressione
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La questione della tecnologia, e cioè dell’ibridazione tra umano e macchina, è ancora per molti il tratto più ‘appariscente’ del postumano, sia per la cultura popolare, sia per il senso comune all’interno dell’accademia; e tuttavia il trionfalismo di certo postumanesimo – e soprattutto delle sue derive transumaniste – ha alienato non pochi studiosi, a partire proprio da una delle ‘madri’ della teoria postumana, Donna Haraway. Resta il fatto che i livelli di intimità e intrusione della tecnologia nell’umano sono, semmai, enormemente cresciuti dai tempi del Manifesto Cyborg, come anche le resistenze a essi, e questo continua a sollevare inesauribili questioni ontologiche, etiche ed estetiche.
Una questione che ha invece assunto sempre più centralità è quella dell’‘animale’, tanto da imprimere una vera e propria ‘svolta’ – il cosiddetto animal turn – all’interno delle scienze umane. L’interdisciplinarità (o multidisciplinarità) che caratterizzava la ricerca sul postumano in senso spiccatamente tecnologico, orientandola primariamente verso le scienze hard (in particolare la cibernetica), si è aperta quindi anche a discipline come la biologia evoluzionistica e l’etologia, dove il post del postumano viene dunque a segnalare anche il superamento (o il progressivo sgretolarsi) della dicotomia umano/animale.
Si fa prima se si interrogano i saperi che descrivono ‒ o spiegano ‒ l’esperienza. Si fa prima se si imposta il discorso filosofico immettendolo nell’alveo del discorso scientifico, il quale parla direttamente dell’esperienza. Un po’ come quando si deve insegnare a qualcuno come si nuota. Gli si mostrano i gesti del nuoto stando sulla riva? No, lo si butta in acqua, magari in acque poco profonde, e gli si insegna, dentro l’acqua, a nuotare. Così, appunto, si fa prima. Assumere la posizione trascendentale, in tale prospettiva, non risulta essere altro che un’inutile perdita di tempo.
Tuttavia, è lecito almeno sollevare un dubbio: si può davvero accordare alla filosofia il ruolo di sapere critico, che interroga i propri fondamenti, quelli degli altri saperi e, più in generale, il fondamento del rapporto tra sapere ed esperienza, senza passare attraverso la nozione di trascendentale? Si può davvero fare a meno di chiedersi sia come è fatto, in generale, il soggetto che fa esperienza del mondo, sia come sono fatti quei mondi ai quali si rapporta ogni esperienza possibile?
Se tale domanda, tale dubbio, risulta anche solo vagamente plausibile, allora si vede bene che perseguire l’obiettivo di praticare una filosofia in qualche modo definibile come “trascendentale” non si configura più come una semplice perdita di tempo.
Tutta la difficoltà sta, ora, nel mettersi d’accordo su ciò che l’espressione “in qualche modo” indica. Lo scopo di questo primo numero consiste nel mettere alla prova alcune possibili letture e declinazioni di tale espressione
La questione della tecnologia, e cioè dell’ibridazione tra umano e macchina, è ancora per molti il tratto più “appariscente” del postumano, sia per la cultura popolare, sia per il senso comune all’interno dell’accademia; e tuttavia il trionfalismo di certo postumanesimo – e soprattutto delle sue derive transumaniste – ha alienato non pochi studiosi, a partire proprio da una delle “madri” della teoria postumana, Donna Haraway. Resta il fatto che i livelli di intimità e intrusione della tecnologia nell’umano sono, semmai, enormemente cresciuti dai tempi del Manifesto cyborg, come anche le resistenze a essi (Habermas, Fukuyama), e questo continua a sollevare inesauribili questioni ontologiche, etiche ed estetiche (decisive, in merito, le riflessioni di Bostrom).
Una questione che ha invece assunto sempre più centralità è quella dell’“animale”, tanto da imprimere una vera e propria “svolta” – il cosiddetto animal turn (Ritvo) – all’interno delle scienze umane. L’interdisciplinarità (o multidisciplinarità) che caratterizzava la ricerca sul postumano in senso spiccatamente tecnologico, orientandola primariamente verso le scienze hard (in particolare la cibernetica), si è aperta anche a discipline come la biologia evoluzionistica e l’etologia. Anche i riflessi estetici del dibattito sul postumano hanno subito varie evoluzioni nella letteratura, nel cinema, nelle arti plastiche e nei media, ma rimangono uno degli ambiti più interessanti di investigazione.
Rispetto a tali filoni, questo numero de “Lo Sguardo” vorrebbe esplorare la questione posta dal superamento definitivo della dicotomia natura/cultura: riscoprire l’animalità di homo sapiens significa infatti considerare come la modificazione dell’ambiente, tramite la costruzione e l’uso di protesi, sia da sempre parte integrante del nostro rapporto con il mondo esterno. Ben prima dell’invenzione del microchip, gli umani sono impegnati nella costruzione di artefatti, e proprio in questo si manifesta la comunanza con gli altri viventi: non esiste specie che non modifichi la propria nicchia ecologica più di quanto non ne sia modificata. In tal senso, il paradigma postumanistico non può non dialogare con quelle correnti delle neuroscienze contemporanee che pongono al centro delle proprie ricerche il tema della plasticità cerebrale, l’enattivismo, la concezione della mente estesa. Questo non significa arruolare forzatamente nelle fila dei pensatori postumanistici autori come Varela, Gibson, Clark o Hutto; significa però partire da essi per ripensare la questione della posizione dell’uomo nel cosmo al di fuori di ogni ipoteca veterounmanistica, che concepiva l’evoluzione culturale e tecnologica come ciò che viene necessariamente dopo l’evoluzione biologica.
Un ambito che sembra invece essere stato lasciato un po’ ai margini è l’aspetto politico, o più propriamente economico-politico del postumano. Tanta riflessione, in particolar modo quella orientata verso l’aspetto tecnologico, mostra, implicitamente o esplicitamente, una spiccata neutralità politica. E tuttavia l’impatto della trasformazione postumanista sulle questioni economico-politiche è un punto assolutamente centrale: il capitalismo contemporaneo non solo si è facilmente adattato alle trasformazioni socioculturali degli ultimi decenni in senso post-gender, post-razza, post-specie, ecc., ma le spinge anzi verso eccessi in-umani, dove l’economia globale unifica tutto sotto l’imperativo delle biopolitiche neoliberali, incentrate sull’idea che ciascun individuo è in tanto libero in quanto costituisce un’impresa che deve implementare il proprio capitale fatto di competenze, desideri, aspirazioni. Vi è dunque una questione spesso sbrigativamente accantonata, ma che rimane centrale e irrisolta: che cosa dovrà prendere il posto, dopo l’umanesimo, del suo universalismo astratto?
Tuttavia, l’impianto teorico del postumano permette di ricavare utili indicazioni in tal senso. Un’etica postumanistica, proprio perché attenta agli invarianti culturali che l’evoluzione della nostra specie determina, ci aiuta a leggere in modo inedito il nesso che li lega tra loro. A questo proposito, l’espressione inglese entanglement risulta decisamente pertinente in quanto permette di cogliere l’aspetto ecologico di specifiche dinamiche sociali di lungo periodo le quali non si danno mai separate le une dalle altre: l’aggressività intraspecifica, dal neolitico in poi organizzata nella forma della guerra, si intreccia al nostro rapporto violento con le altre specie, trattate in modo tale da togliere ai loro rappresentanti ogni dignità emotiva; vi fa da correlato l’oppressione del genere femminile, sia a livello simbolico che a livello politico-giuridico, così come la credenza religiosa, la quale organizza, entro la sfera dell’immaginario, quelle distinzioni tra il proprio e l’estraneo che stanno alla base della distinzione politica tra amico e nemico.
Si potrebbe obiettare che un simile tema mantenga un’impostazione di tipo “metafisico”, intesa in senso negativo, come fautrice di una speculazione antiquata, piattamente astratta e slegata dalla contemporaneità. A questa obiezione, che tende a schivare con forse troppa leggerezza gli ammonimenti heideggeriani e derridiani – è possibile uscire dall’epoca della metafisica? O meglio, è possibile una filosofia che non sia per ciò stesso metafisica? – corrisponde un atteggiamento oggi ben radicato, che tende a svalutare il pensiero “puro”, considerato logoro e inadatto a cogliere le linee in cui si articola il mondo di oggi. Ora, è piuttosto facile rispondere a questa obiezione mostrando quanto un pensiero esplicitamente metafisico possa essere al contempo vigorosamente attuale: si prenda a titolo di esempio la figura di Gilles Deleuze, la cui riflessione scotista sull’univocità molteplice del reale finisce per chiamare in causa il problema della distribuzione dello (e nello) spazio politico.
In effetti così interpretato il pensiero filosofico, lato sensu, anche il più distante dalla dimensione materiale della prassi, nell’atto stesso del suo porsi non può che implicare al contempo una concreta riflessione sulla realtà. Più precisamente – ed è l’ipotesi che vorremmo vagliare proponendovi il presente CFP – la filosofia teorica per eccellenza, la prote philosophia come pensiero della meraviglia e dell’astrazione, non è tale (“filosofia prima”) se non per la sua specifica capacità di cercare – a partire dai diversi ambiti del sapere - le ragioni e le modalità di questo primo incontro con il reale. Prendendo le mosse da una certa tradizione di pensiero, si tratterebbe allora di considerare come genuinamente “Metafisico”, e pertanto autenticamente filosofico, il tentativo di cogliere l’esperienza nel suo nascere. Significherebbe, in altre parole, approfondire la ricerca del fondamento immettendola in un processo che precede ogni polarità e che risale, appunto, al livello prettamente impersonale.