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Leonard Mazzone
  • Polo delle Scienze Sociali
    via delle Pandette 21 – Firenze
    (edificio D5)
  • +392484622686
  • Leonard Mazzone (1984, Torino) is Research Fellow in Social and Political Philosophy at the Department of Political a... moreedit
  • Elena Pulcini, Pier Paolo Portinaro, Enrico Donaggio, Luigi Bonanateedit
Inconfessata per definizione, l’ipocrisia è una delle categorie polemiche più usate e abusate, ancora oggi, per denunciare il “cinismo mascherato” di certi attori sociali, soprattutto quando rivestono cariche pubbliche. Ma l’ipocrisia è... more
Inconfessata per definizione, l’ipocrisia è una delle categorie polemiche più usate e abusate, ancora oggi, per denunciare il “cinismo mascherato” di certi attori sociali, soprattutto quando rivestono cariche pubbliche. Ma l’ipocrisia è stata sempre e solo questo? Dovremmo davvero diffidarne sempre e contestare ogni sua manifestazione? Quali e quante forme di ipocrisia possiamo distinguere? Quale rapporto esiste fra l’ipocrisia e la scarsa attitudine autocritica di chi è solito contestare le condotte di vita altrui? E soprattutto: quale rapporto esiste fra questo vizio comune, la politica democratica e la riproduzione istituzionale di diverse forme di oppressione e di dominio? Sono solo alcune delle domande che ispirano questo viaggio filosofico a ritroso nella storia di uno dei concetti più camaleontici della cultura occidentale. Le svolte semantiche che da Omero a Sloterdijk scandiscono questa storia sorprendente consentiranno di differenziare diverse accezioni del fenomeno: dall’ipocrisia psicologica di chi dissimula la propria personalità per proteggersi dall’aggressività altrui al narcisismo etico di chi tradisce sistematicamente le qualità professate, passando attraverso diverse manifestazioni di opportunismo auto-indulgente e di moralismo ipocrita. Al termine di questo viaggio, ci si soffermerà sulle forme contemporanee di ipocrisia democratica per analizzare criticamente le “messinscene apologetiche” che gli attori istituzionali sono soliti utilizzare per immunizzare se stessi, il loro operato e le istituzioni che rappresentano, dalle rivendicazioni egualitarie di cittadini e cittadine che contestano diverse forme di violenza e di dominio.
Quando morì, a Zurigo, il 14 agosto 1994, Elias Canetti lasciò a lungo increduli amici e conoscenti. Il premio Nobel per la letteratura aveva infatti dedicato tutta la vita al tentativo di sconfiggere la morte attraverso il potere... more
Quando morì, a Zurigo, il 14 agosto 1994, Elias Canetti lasciò a lungo increduli amici e conoscenti. Il premio Nobel per la letteratura aveva infatti dedicato tutta la vita al tentativo di sconfiggere la morte attraverso il potere salvifico della scrittura. Suoi compagni, in questa missione impossibile, furono la lingua tedesca, il vizio di ascoltare le voci dei contemporanei, l’abilità nel decifrare alcuni dei fenomeni più enigmatici del Novecento con immagini capaci di "afferrare il secolo alla gola". Tracce affascinanti di questa guerra solitaria attraversano il suo unico romanzo, i drammi teatrali, i quaderni di appunti, i saggi e quella che Canetti stesso definì l’opera della sua vita: Massa e potere. Questa Introduzione restituisce al lettore tutta la ricchezza della produzione letteraria, autobiografica, saggistica, aforistica e drammaturgica di un grande intellettuale indisciplinato.
Elias Canetti dedicò più di tre decenni della sua biografia intellettuale all’impresa di decifrare l’enigma della massa, la molteplicità delle sue forme, la relazione di complicità instauratasi con il nazionalsocialismo e le potenzialità... more
Elias Canetti dedicò più di tre decenni della sua biografia intellettuale all’impresa di decifrare l’enigma della massa, la molteplicità delle sue forme, la relazione di complicità instauratasi con il nazionalsocialismo e le potenzialità emancipative veicolate da alcune varianti critiche di questo fenomeno. Questo studio offre la prima introduzione ragionata, completa ed esaustiva a uno dei testi più provocatori, affascinanti e, ancora oggi, sottovalutati del xx secolo. Concepita dal suo stesso autore come l’“opera di una vita”, Massa e potere rivoluziona le categorie tradizionali con cui la sociologia e, prima ancora, la psicologia collettiva avevano interpretato il fenomeno, alla luce delle esperienze dirette dell’autore con alcune formazioni di massa del suo tempo. Ripercorrendo tali esperienze e i principali nodi di questo capolavoro, si intende qui restituire al lettore contemporaneo l’attualità della caccia al potere indetta da Canetti e preservare la possibilità di un riscatto collettivo dalle forme di sopravvivenza oggi dominanti su scala globale.
La tradizione filosofica occidentale identifica di norma l'ingiustizia con l'assenza di quelle proprietà ideali che definiscono una società come perfettamente giusta. Ma cosa impedisce di pensare all'ingiustizia in altri termini rispetto... more
La tradizione filosofica occidentale identifica di norma l'ingiustizia con l'assenza di quelle proprietà ideali che definiscono una società come perfettamente giusta. Ma cosa impedisce di pensare all'ingiustizia in altri termini rispetto alla pura e semplice assenza di giustizia? Muovendo da questo interrogativo, il libro sviluppa un'originale prospettiva teorica per affrontare alcune delle questioni più urgenti che assillano le società contemporanee. Il baricentro dell'analisi si sposta infatti sulle asimmetrie di potere che offendono la dignità di milioni di esseri umani su scala globale. Sui mali comuni della crudeltà fisica, dell'umiliazione simbolica, del dominio culturale, economico e politico. È la negazione pratica di queste ingiustizie a definire l'idea di giustizia, rappresentando così la migliore premessa teorica per la costruzione conflittuale di una società più giusta.
This article outlines the chief challenges concerning the philosophical theories of emancipation and clarifies the solutions provided by a so-called negative theory of justice. Besides highlighting the classic questions that every... more
This article outlines the chief challenges concerning the philosophical theories of emancipation and clarifies the solutions provided by a so-called negative theory of justice. Besides highlighting the classic questions that every philosophical theory of emancipation is expected to answer, the article aims to highlight the link between this theoretical framework and an immanent critique of conditions of domination. Moreover, it sheds light on the main differences between this theoretical perspective and Honneth's theory of recognition, Fraser's threedimensional conception of justice, and the critique of power relations recently advanced by Rainer Forst. The comparative analysis of these theoretical approaches will make it possible to highlight and appreciate the main merits of a so-called negative theory of justice that combines a multidimensional diagnosis of existing asymmetries of power with an immanent critique of their justifications.
In this article I will combine Erving Goffman's sociology with some of the main aspects of Actor-Network Theory in order to outline a theatrical conception of social power. My first aim is to try to summarize the sociological perspective... more
In this article I will combine Erving Goffman's sociology with some of the main aspects of Actor-Network Theory in order to outline a theatrical conception of social power. My first aim is to try to summarize the sociological perspective introduced by Kenneth Burke and then improved on by Erving Goffman to understand the face-to-face interactions of everyday life. Secondly, I will try to use the theatrical metaphor underlying this theoretical framework to describe power-over relations in everyday life. Thanks to the combination of the dramaturgical theory proposed by Erving Goffman and the 'object turn' given to social theory by Actor-Network Theory, a theatrical conception of power allows the episodic, dispositional and systemic dimensions of power relations to be mapped respectively depending on the actors' performances, their roles of power and the institutionalized scripts. Moreover, this theatrical representation of power-over relations is a defaced understanding of the phenomenon that enables us to investigate not only its different directional forms (power-to,-over and-with), but also their possible variants (empowerment, resistance, domination and solidarity).
Collective Identities at Work. The recovered companies by workers: a case study for new forms of collective and supportive actions The article aims at shedding light on the main expiring tendencies of the so called "projective city"... more
Collective Identities at Work. The recovered companies by workers: a case study for new forms of collective and supportive actions

The article aims at shedding light on the main expiring tendencies of the so called "projective city" promoted by the new spirit of capitalism which are at the root of the overproduction of (either human and non-human) wastes; at the same time, the article will focus on some collective, recovering strategies able to reconvert, regenerate and share human and non-human resources which would otherwise be condemned to remain mere wastes by the imbalances due to the market's global competition. The core assumption of the article is that social phenomena like the recovered companies of workers would not be possible without some kind of collective identity able to breathe the sense of belonging to a shared community.

Keywords: collective identity; the new spirit of capitalism; projective city; expiring lives; recovered companies.
The essays collected in Rahel Jaeggi, Forme di vita e capitalismo, ed. by M. Soli-nas, represent an exemplar exception to what I would be tempted to call the “division of theoretical labour” within the social sciences. After the economic... more
The essays collected in Rahel Jaeggi, Forme di vita e capitalismo, ed. by M. Soli-nas,
represent an exemplar exception to what I would be tempted to call the “division of theoretical labour” within the social sciences. After the economic crisis of 2007, many disciplinary fields – including political philosophy – have focused their attention on the topic of critique; however, this renewed interest towards this issue has not been combined with a similar, deep consideration of the social order that produced that crisis. At the same moment political philosophy calls into question the validity and the efficacy of social critique, it seems not to criticize neoliberal capitalism. Rahel Jaeggi tries to bridge such a theoretical gap through a wide understanding of economy and a pragmatical critique of capitalism as a form of life. Besides analysing the main advantages ensured by this original framework, the article tries to shed light on the structural contradictions of capitalism that Jaeggi’s approach would risk to underestimate. Capitalism can be criticized not only because of the crisis met by the institutionalized norms of economical institutions, but also because this form of life threats its structural conditions of reproduction, be they economical or extra-economical. Rather than representing a confutation of Jaeggi’s perspective, such a integration is aimed at reinforcing her philosophical proposal by developing a multidimensional critique of capitalism as a form of life.
Dopo il fallimento epocale di quei regimi politici che nel corso del Novecento avevano tentato di raccogliere l’invito marxiano a superare la filosofia attraverso la prassi rivoluzionaria, il XXI secolo si è aperto all’insegna di un nuovo... more
Dopo il fallimento epocale di quei regimi politici che nel corso del Novecento avevano tentato di raccogliere l’invito marxiano a superare la filosofia attraverso la prassi rivoluzionaria, il XXI secolo si è aperto all’insegna di un nuovo proclama ideologico, che annunciava la fine della storia e, con essa, delle grandi narrazioni che  avevano movimentato la modernità politica. Precocemente confutati dalla più ideologica delle tesi neoliberali – la fine delle ideologie – e dall’urgenza di tornare ad “apprendere il proprio tempo col pensiero”, questi prematuri annunci funebri celebrano il ritorno spettrale di una metafora filosofica speculare al mito platonico della caverna: se nel libro VII della Repubblica Platone inaugura la storia della filosofia politica all’insegna di una metafora visiva che contrappone l’idea solare del bene all’oscurità di un’opprimente ignoranza, l’immagine hegeliana della nottola di Minerva e della talpa configura i rapporti tra filosofia e storia all’insegna di una messa a fuoco senza fine, più che di un finale da contemplare. Dall’incontro fra la lungimiranza crepuscolare e lassista della filosofia e l’operosità cieca e sotterranea della storia sorge la nozione di “spirito del tempo”, impossibile da cogliere quando un’epoca è ormai giunta al suo tramonto per l’insolubilità dei conflitti che la dilaniano. D’altra parte, la necessità di cogliere lo spirito del proprio tempo si fa tanto più impellente quanto meno una certa epoca si lascia immediatamente decifrare dai suoi contemporanei: lungi dal rappresentare la fine della Storia, infatti, il tramonto di un’epoca coincide anzitutto con l’alba di quella successiva. È precisamente quanto sta accadendo oggi, nel bel mezzo di una trasformazione epocale dei rapporti fra democrazia e capitalismo, le cui tracce possono essere facilmente riscontrate sul terreno economico, politico, sociale e ideologico: ne sono un esempio il passaggio dal fordismo al toyotismo e alla finanziarizzazione dell’economia, la transizione da uno spirito capitalistico incentrato su valori meritocratici e tarato su imprese a vasta scala a una nuova configurazione spirituale, fondata sulla flessibilità, sulla polivalenza e sulla mobilità dei lavoratori, la predominanza del discorso del capitalista su quello del padrone e, infine, la prevalenza sistematica dei principi neoliberali di governance e di governabilità su quelli democratici della rappresentanza e della rappresentatività. Questa complessa serie di processi trova oggi una combinazione paradossale nell’elezione di un miliardario a capo degli Stati Uniti d’America, di fronte a cui hanno dovuto arrendersi le profezie di inguaribili ottimisti e con cui, oggi, è chiamata a fare i conti una diagnosi del presente all’altezza di questo nome. È in occasione di fasi di transizione epocale come l’attuale che può tornare utile aggrapparsi alle spalle di un gigante del pensiero come Elias Canetti, riuscito nell’impresa di catturare alcune delle linee di fuga prospettiche del proprio tempo, prima ancora che la sua epoca giungesse al tramonto.
For many observers the morning of November 9th 2016 was a rude awakening. Apart from a smattering of “prophets of doom” like Michael Moore, few intellectuals anticipated Trump’s electoral success. Besides revealing a certain weakness of... more
For many observers the morning of November 9th 2016 was a rude awakening. Apart from a smattering of “prophets of doom” like Michael Moore, few intellectuals anticipated Trump’s electoral success. Besides revealing a certain weakness of most theoretical or media predictions, such unexpected news restored some crucial issues to the core of public debate. Trump’s victory should refocus public attention on the historical relationships between so-called baiting crowds and power: as Canetti defines it, a baiting crowd “forms with reference to a quickly attainable goal,” [3] and that goal is typically to do violence to human prey, whether enacted through murder or through the systematic exclusion of an individual or a group of people from a certain political space. Further, there are different ways of hunting humans via exclusion: baiting crowds can hunt down and exclude human prey outside the boundaries of a certain community — by rejecting or expelling them — or inside the boundaries by imprisoning, stigmatizing and humiliating them.
Research Interests:
The essay presents and problematizes the «political turn» that Rainer Forst suggests for political philosophy in order to continue, from a different theoretical perspective, the controversy between Axel Honneth and Nancy Fraser concerning... more
The essay presents and problematizes the «political turn» that Rainer Forst suggests for political philosophy in order to continue, from a different theoretical perspective, the controversy between Axel Honneth and Nancy Fraser concerning the preference of recognition or participation as a paradigm of justice. Having defined the historical premises and the main conceptual elements of this debate, the essay highlights the differences between Honneth's theory of recognition, the bi-dymensional conception of justice developed by Fraser and the critique of the relationships of justification articulated by Forst. The comparative analysis of these different theoretical approaches allows to show and appreciate the merits of a negative theory of justice, which combines a multi-dymensional analysis of the existing asymmetries of power - on an economic, cultural and political level - and an internal critique of the relative (and possible) narratives of justification.
The Philosophical Dreams of Emancipation One of the main reasons of the current crisis of “utopian imagination” can be brought back to the long-term effect of the Berlin wall’s fall: facing the historical perversion of the socialist... more
The Philosophical Dreams of Emancipation
One of the main reasons of the current crisis of “utopian imagination” can be brought back to the long-term effect of the Berlin wall’s fall: facing the historical perversion of the socialist dream, the western emancipating imagination seems to be entered in a state of permanent insomnia, which does not allow to elaborate the past nightmares, nor to project and realize new daydreams of a better freedom. Starting from an historical account of the main philosophical theories of emancipation along the western history of ideas, the article tries to update the theoretical and political answers to the classical questions which concern any theory of emancipation: 1) From which kind of oppression should we be liberated? 2) Who are the victims of this state of oppression? 3) Who are the liberators? 4) How can the liberators free the victims of the oppression? 5) Why should such a process of emancipation start?
Research Interests:
Keywords: Flight and Baiting Crowds; International Migrations; Politics of Recognition; Symmetrical Interactionism; Elias Canetti. The article analyses the current phenomenon of international migration by adopting the internal... more
Keywords: Flight and Baiting Crowds; International Migrations; Politics of Recognition; Symmetrical Interactionism; Elias Canetti.

The article analyses the current phenomenon of international migration by adopting the internal perspective of the migrants. This analytical turn allows to appreciate the autonomous subjectivity of the migrant, who cannot be reduced to an object of the migratory politics of the hosting countries. It is also possible to focus on the new risks faced today by migrants: even though they survive the risk of shipwreck, they can suffer institutionalized practises of social mortification coming from the countries of arrival. On the other hand, the potential transformation of the spectators in victims arranged by current global risks could transform the citizens and the migrants also in the actors of politics of recognition, according to which the status of citizens can be extended to the migrants.
Research Interests:
Democratic Indignation: from Patients to moral Actors The paper aims to examine the risks linked with the so called victimizing paradigm, which usually attributes the features of passivity and powerlessness to victims of injustices. The... more
Democratic Indignation: from Patients to moral Actors
The paper aims to examine the risks linked with the so called victimizing paradigm, which usually attributes the features of passivity and powerlessness to victims of injustices. The victimizing paradigm is one of the main ideological trajectories of neoliberalism: beyond providing powerful people the opportunity to self-represent themselves as presumed victims of injustice, neoliberalism tries to make responsible real victims of injustice about their social conditions. In order to avoid such tendencies, the article presents the main aspects of a negative theory of justice, which tries to give back real victims of injustice the power to transform asymmetrical relations of power within which they are involved.

Keywords: victimizing paradigm, victimization, injustice, negative theory of justice, social suffering, domination


Indignazione democratica: da pazienti ad attori morali
L'articolo si propone di esaminare i rischi connessi al cosiddetto paradigma vittimario, solito attribuire alle vittime dell'ingiustizia le caratteristiche della passività e dell'impotenza. Il vittimismo si configura come uno dei vettori ideologici del neoliberalismo, che oltre a concedere ai potenti l'opportunità di auto-rappresentarsi come presunte vittime dell'ingiustizia punta a iper-responsabilizzare le vittime reali dell'ingiustizia. Al fine di salvaguardare tale distinzione tra vittime presunte e reali dell'ingiustizia, il saggio presenta i punti nevralgici di una teoria negativa della giustizia: focalizzando l'attenzione sulle vittime dell'ingiustizia, tale prospettiva consente di ovviare alla cosiddetta ‘presunzione di impotenza’, riconoscendo priorità al loro senso di ingiustizia ma senza assecondare la deriva vittimaria; riconoscendo loro, piuttosto, il potere di trasformare le relazioni asimmetriche di potere in cui sono coinvolte.

Parole chiave: paradigma vittimario, vittimismo, ingiustizia, teoria negativa della giustizia, sofferenza sociale, dominio
Research Interests:
In the last few years the social question has reoccupied the core of the public scene of democracies: unemployment, precarization of life conditions, labour market deregulation and social marginalization cannot be denied any more by... more
In the last few years the social question has reoccupied the core of the public scene of democracies: unemployment, precarization of life conditions, labour market deregulation and social marginalization cannot be denied any more by politicians , journalists and social researchers. Nevertheless, the empirical evidence of social suffering due to these conditions finds it hard to be represented by social movements of critique: together with the spectacularization of social suffering contemporary societies are shot through by a privatization of the experience of injustice. Rather than being due to masses conformism or to the absence of alternatives, this empirical diagnosis allows to read today crisis of social critique as the effect of the spread dissociation of social suffering from feelings of injustice. In order to reduce this distance, critical theory should take social suffering seriously, by adopting a normative language armed with words able to interrupt its silence and the fragmentation of existing social struggles. Nevertheless, social suffering is not only removed from the disciplinary fields of social sciences and political philosophy; it is often denied by the subjects who are directly affected by this experience in their ordinary life, within and out their workplaces. In order to avoid these theoretical and practical denials of social suffering, a negative theory of justice puts the attention on asymmetrical relations of power which undermine human beings' dignity at economical, cultural and political level. According to this theoretical perspective, social justice means giving priority to the practical overcoming of these humiliating asymmetrical relations of power. Starting from a diagnosis of the existing asymmetrical relations of power, the critique of social injustices is always connected to a critique of justifications connected with these asymmetries: they are synonymous of social injustices when they are grounded on self-contradictory or paradoxical promises. The promises of self-actualization embodied in the new spirit of capitalism are of this second type: contemporary capitalism does not maintain them, because they cannot be maintained, since that they are incompatible with the social conditions which should render possible a «good life» for individuals. In this new scenery, the social critique can claim its emancipatory issues by putting the attention on the paradoxes of capitalism.
Research Interests:
The paper tries to highlight the potential merits of the application of so called “politics of recognition” to the context of international relations. Besides having to do with political sphere, this hypothesis concerns the theory of... more
The paper tries to highlight the potential merits of the application of so called “politics of recognition” to the context of international relations. Besides having to do with political sphere, this hypothesis concerns the theory of international relations. In the first part, the article introduces and explains the category of “epochal events” in order to describe the global challenges which Statehoods have to face in the “post-national constellation”. In a second step, the paper summarizes the main theories of international relations which have differently conceived the causes and remedies to wars. In the last part, the article will show analogies and differences between these traditional approaches and the theory of recognition applied to international relations, as recently recommended by Axel Honneth.
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In this article I will try to argue that the concept of respect can be appropriately defined in opposition to that of humiliation. What I call a “negative theory of equal respect” starts from a critical approach towards humiliating... more
In this article I will try to argue that the concept of respect can be appropriately defined in opposition to that of humiliation. What I call a “negative theory of equal respect” starts from a critical approach towards humiliating conditions, in order to highlight respectful policies and conditions like those within which an equal not-humiliation is ensured to every human being.
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This paper tries to stimulate the debate within political philosophy about the concept of justice by adopting a critical perspective towards social phenomena implying conditions of domination. Despite the undervaluation of this category... more
This paper tries to stimulate the debate within political philosophy about the concept of justice by adopting a critical perspective towards social phenomena implying conditions of domination. Despite the undervaluation of this category in political philosophy's field, the goal to prevent and to avoid social conditions implying domination should be conceived as one of the fundamental parts of a (negative) theory of justice.
This negative approach to the concept of justice is suggested by a double impasse, coming from the weakness of political philosophy in understanding social feelings and judgements about the illegitimacy of certain policies and, secondly, from the main goal of a critical theory of society: that is, in my account, the presentation of a theoretical framework within which the possibility of emancipation from social conditions of domination is directly related to the experience of subordinate social groups and to their capacity to overcome them. In this sense, a critical theory of society should connect the normative role played by the concept of justice with the immanent character of a social diagnosis about contemporary social pathologies (Honneth A., 1994; Pulcini E., 2009; Renault E., 2008).
Moreover, this perspective would allow political philosophy not only to use some theoretical and political criteria to assess contemporary societies, but also to understand people's motivations in lasting conflicts and to value the rightness of their goals.
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In the foreword of his course concerning the theory of the forms of government in the history of political thought, Norberto Bobbio noticed that – differently from the history of political doctrines and political science – the study and... more
In the foreword of his course concerning the theory of the forms of government in the history of political thought, Norberto Bobbio noticed that – differently from the history of political doctrines and political science – the study and the analysis of the so-called recurrent ideas identify the disciplinary status of political philosophy.1  Among these recurrent ideas, justice deserves particular attention: besides having assumed a primary role within the whole of the ideas discussed in the course of the history of political thought, this idea represents the main concern that political philosophy – intended as the doctrine of the “best republic” – is requested to solve.2  Justice is one of the central topics of political philosophy because it calls to mind its normative status, through which social institutions and, more generally, social relations can be made a subject of critique.
Not coincidentally, the most influential works in political philosophy can be conceived as attempts to propose solutions to achieve a good society through an ideal model of State, grounded on some ultimate ethical postulates, regardless of its actual fulfilment.  Among these works, political philosophy cannot but compete with A Theory of Justice:3 besides contributing to the rebirth of the international interest in political philosophy as such, Rawls' great work has influenced not only the debate within this discipline, but also the rest of social sciences.  Without any exaggeration, one of the strictest critics of A Theory of Justice argued that, after its publication, all political philosophers should either work within the Rawlsian conception of “justice as fairness” or they have to explain why they choose not to do so.4 
Although “the characterization of perfectly just institutions has become the central exercise in the modern theories of justice”,5 in the first part of this article I will provide some reasons not to keep working within its most important example, the Rawlsian conception of “justice as fairness”.  After all, together with the ideal theory of justice advanced by the majority of political philosophers, there is another way to mean this concept.  In this regard, Marxian criticism of justice can be very useful to directly face the sense of injustice – as suggested by Judith Shklar6 – rather than continuing not to keep it into account simply because it is not justified by already institutionalised norms.
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Analizzando alcuni saggi recenti di Axel Honneth – tradotti e raccolti nell'edizione italiana Capitalismo riconoscimento –, l'articolo focalizza l'attenzione sull’influenza reciproca tra le moderne sfere del riconoscimento sociale e gli... more
Analizzando alcuni saggi recenti di Axel Honneth – tradotti e raccolti nell'edizione italiana Capitalismo riconoscimento –, l'articolo focalizza l'attenzione sull’influenza reciproca tra le moderne sfere del riconoscimento sociale e gli ultimi sviluppi del capitalismo. Attraverso questo confronto, l'articolo sintetizza il tentativo di Honneth di articolare una teoria della giustizia incentrata sul concetto di riconoscimento. Questa opzione teorica consente di prospettare una diagnosi delle odierne patologie sociali e di affrontare gli effetti paradossali connessi alle tendenze di sviluppo del capitalismo: in effetti, la disamina dei processi sociali, culturali, economici e politici degli ultimi decenni testimonia l'inversione delle intenzioni normative originariamente connesse ai media istituzionali del riconoscimento sociale. Questa prospettiva teorica stimola un approccio critico verso lo stesso concetto di riconoscimento, le cui forme giustificate devono essere distinte da quelle illegittime. In questo modo, una teoria critica della società può nuovamente giovarsi del tema classico della critica all'ideologia, attraverso cui è possibile sviluppare una critica interna del capitalismo e ricondurre le istanze sociali di un lavoro qualitativamente soddisfacente alle forme della sua organizzazione sociale.
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Al pari della nozione di “beni comuni”, anche quella di “mali comuni” rimanda al concetto di uguaglianza. Tuttavia, se i beni comuni devono poter essere egualmente fruiti da tutti, la categoria di “mali comuni” si riferisce a quelle... more
Al pari della nozione di “beni comuni”, anche quella di “mali comuni” rimanda al concetto di uguaglianza. Tuttavia, se i beni comuni devono poter essere egualmente fruiti da tutti, la categoria di “mali comuni” si riferisce a quelle esperienze di sofferenza indebita, da cui ogni essere umano dovrebbe essere egualmente esentato, per essere messo nelle condizioni di vivere una vita degna.
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1. Il lavoro ai tempi dei reality Nel giugno 2013, Milano e Roma sono state invase da migliaia di persone. Corpi ordinatamente disposti in fila indiana: non per entrare allo stadio e assistere a una partita di calcio o a un concerto; né... more
1. Il lavoro ai tempi dei reality
Nel giugno 2013, Milano e Roma sono state invase da migliaia di persone. Corpi ordinatamente disposti in fila indiana: non per entrare allo stadio e assistere a una partita di calcio o a un concerto; né per partecipare a uno dei cortei politico-sindacali che quasi ogni settimana sfilano nelle due metropoli, e nemmeno per accaparrarsi elettrodomestici o hardware a basso costo.
I membri di quella massa statica – come l'avrebbe definita Elias Canetti – hanno atteso pazientemente il proprio turno, prima di essere sottoposti a una lunga serie di prove attitudinali, comportamentali e caratteriali, finalizzate a vivisezionare i loro profili. Come il più tradizionale dei riti di passaggio, quella prima prova rappresentava una soglia esistenziale, al di là della quale avrebbe potuto iniziare una nuova vita: diventare uno/a dei quattordici concorrenti del programma televisivo The Apprentice.
Uomini e donne, di età compresa fra i venti e i quarant'anni, bussano alle porte di uno dei massimi esponenti del capitalismo italiano, il “boss'” Flavio Briatore. Nessuna delle critiche al programma ideato da Donald Trump si è soffermata a sufficienza sulla promessa di felicità che questo reality può offrire a una generazione di precari; una prospettiva che mobilita i sogni e le aspirazioni di chi è alle prese con la disoccupazione o, nel migliore dei casi, con un lavoro che – per ruolo, mansioni e/o stipendio – non soddisfa appieno. Una promessa che consente di mettere in luce alcune delle tendenze oggi attive nel mondo del lavoro e il loro nesso con la felicità delle giovani generazioni di italiani1.
Accanto alla proletarizzazione crescente del lavoro intellettuale, oggi si assiste infatti a una dilagante “managerizzazione del proletariato” giovanile italiano. Prendere sul serio un reality come The Apprentice consente di apprezzare le finzioni messe in scena nel mercato del lavoro in Italia, dove gli appelli alla mobilità, alla flessibilità e alla polivalenza tipici del cosiddetto “nuovo spirito del capitalismo” convivono con un mondo imprenditoriale in larga parte ancora fondato su vincoli familistici.
Research Interests:
L'attuale crisi economica è stata spesso accostata a un imprevedibile fenomeno naturale dai catastrofici effetti e le reazioni dei soggetti coinvolti sono stati paragonati alle ondate di panico che recentemente hanno travolto le vittime... more
L'attuale crisi economica è stata spesso accostata a un imprevedibile fenomeno naturale dai catastrofici effetti e le reazioni dei soggetti coinvolti sono stati paragonati alle ondate di panico che recentemente hanno travolto le vittime di Tsunami. Come si evince da una simile equiparazione, la naturalizzazione del sociale è uno dei principali vettori dell'ideologia neo-liberale oggi egemone: fin dai suoi esordi, una simile narrazione si è preoccupata di confondere sistematicamente i casi di 'iniquità' con quelli di 'cattiva sorte', proiettando l'ineluttabilità che contraddistingue le catastrofi naturali su fenomeni propriamente sociali.
Ancora minore attenzione è stata rivolta all'altro lato della medaglia attinente la presente crisi globale, che concerne la crescente antropomorfizzazione del naturale.
I cosiddetti rischi globali sembrano capovolgere l'immagine mitologica della punizione inflitta da Zeus al fratello di Prometeo, il titano Atlante, per essersi alleato col rivale Crono: è l'uomo, oggi, a pesare sulle spalle del pianeta che lo ospita. Il senso di tale capovolgimento è tutto fuorché metaforico, in quanto segnala un rischio reale e inedito al tempo stesso: che l'uomo si lasci il mondo alle sue spalle. Negli stessi anni in cui l'industria culturale ha prontamente colonizzato l'immagine religiosa della fine del mondo, quello che si profila dinanzi ai nati a cavallo tra il Novecento e il XXI secolo è uno scenario apocalittico, esposto com'è all'assenza potenziale di spettatori che possano assistere all'epilogo in questione.
Research Interests:
The article presents some arguments in favour of Michael Doyle's recent theory, according to which socialism represents an autonomous conception of international relations, which cannot be reduced to realism nor to liberalism. By... more
The article presents some arguments in favour of Michael Doyle's recent theory, according to which socialism represents an autonomous conception of international relations, which cannot be reduced to realism nor to liberalism. By analyzing the different interpretations provided by Martin Wight and Kenneth Waltz in this regard, the article will precise better what are the main differences between them and Doyle. A second step of the article will consist in summarizing Marx and Engels' complex theory on this topic, so that it will be possible to consider them as co-founders of a third conception of international relations.
Research Interests:
Secondo una diffusa ricostruzione storiografica che trova una sintesi emblematica nel terzo volume di Wirtschaft und Gesellschaft, la storia della giustizia popolare sarebbe giunta al suo epilogo con l'età moderna. Il monopolio statale... more
Secondo una diffusa ricostruzione storiografica che trova una sintesi emblematica nel terzo volume di Wirtschaft und Gesellschaft, la storia della giustizia popolare sarebbe giunta al suo epilogo con l'età moderna. Il monopolio statale dell'amministrazione della giustizia e la razionalità formale del diritto moderno avrebbero reso anacronistiche le tradizionali istituzioni e pratiche di “esercizio popolare della giustizia”, tra cui vanno annoverate le forme spontanee ed extra-istituzionali di linciaggio e le esecuzioni sommarie (Lynchjustiz, Selbstjustiz) diffuse durante periodi di transizione politica come la Rivoluzione francese.
Book Review: A. Honneth, Die Idee des Sozialismus. Versuch einer Aktualisierung, Suhrkamp, Frankfurt a. M. 2015; tr. it. di M. Solinas, L'idea di socialismo. Un sogno necessario, Feltrinelli, Milano 2016, pp. 160, € 18,00.
Research Interests:
Book Review: Luc Boltanski, Ève Chiapello, Le nouvel esprit du capitalisme, Gallimard, Paris 1999; tr. it. di M. Schianchi, revisione di M. Guareschi, Il nuovo spirito del capitalismo, Mimesis, Milano 2014, pp. 728, € 38,00.
Research Interests:
Book Review: Émile Delivré, Emmanuel Berger, Popular Justice in Europe (18th-19th Centuries), il Mulino, Bologna – Duncker & Humboldt, Berlin 2014, pp. 212.
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Solo di rado le problematiche quotidianamente incontrate dagli operatori sociali sono state poste in relazione con l’attuale evoluzione del sistema socio-economico e con l'annessa organizzazione del lavoro. Tuttavia, molti dei problemi... more
Solo di rado le problematiche quotidianamente incontrate dagli operatori sociali sono state poste in relazione con l’attuale evoluzione del sistema socio-economico e con l'annessa organizzazione del lavoro. Tuttavia, molti dei problemi che assillano l’uomo contemporaneo rinviano, oltre che alla mancanza e alla precarietà del lavoro, anche alle inedite richieste avanzate sul luogo di lavoro: fiducia in se stessi, autostima, controllo delle emozioni e padronanza del linguaggio sono solo alcune delle “competenze personali” che le aziende si aspettano di veder messe in atto dai loro dipendenti nel corso della loro attività professionale. Di contro alle nobili intenzioni proclamate a gran voce dai sostenitori di questo nuovo modello organizzativo, tuttavia, qualora gli obiettivi imposti dall’azienda non saranno raggiunti, la responsabilità potrà ricadere solo su chi non avrà avuto abbastanza fiducia in se stesso e padronanza di sé da raggiungere i risultati prefissati.
Proprio il coinvolgimento emotivo dei lavoratori non consente più di delimitare l’impegno profuso a livello professionale entro i luoghi e i tempi di lavoro prestabiliti dai contratti: gli oneri, le tempistiche e gli obiettivi imposti a livello professionale sembrano aver progressivamente colonizzato anche gli ambiti della vita extra-lavorativa dei soggetti, con ricadute profonde sui rispettivi contesti familiari e sociali. Fenomeni psico-sociali in rapida espansione – come ansia, vulnerabilità psicosociale, disagio psichico, abuso di ansiolitici – testimoniano, ognuno a suo modo, il processo di progressiva “aziendalizzazione dell’esistenza” che ha coinvolto le nostre società. Sono, queste, tematiche che Gino Mazzoli ha affrontato nell'inserto pubblicato sul numero di agosto/settembre 2010 di Animazione Sociale. I lavoratori sembrano immersi a tal punto nelle loro attività professionali da cadere in preda a una nuova forma di “servitù volontaria”: da eteronomo, lo sfruttamento sembra oggi assumere progressivamente un carattere consensuale.
Le politiche neoliberiste, infatti, hanno saputo strumentalizzare i processi socio-culturali di emancipazione individuale risalenti agli anni Settanta del secolo scorso: gli attuali assetti socio-economici hanno fatto propri gli slogan dei movimenti di protesta degli anni Settanta, per poi eleggere l'odierno «iperindividualismo» a vera e propria chiave di volta ermeneutica del presente. D’altra parte, l'identificazione tra lavoro e autorealizzazione professionale esige dai lavoratori un costante adeguamento alle esigenze funzionali dell'azienda: essere autonomi (senza mai poterlo realmente essere) sembra essere diventato lo slogan prediletto da quanti invitano a cogliere nell'era della competizione globale infinite occasioni per la propria autorealizzazione personale. I paradossi connessi a queste esortazioni, tuttavia, si palesano con maggior evidenza in un momento storico monopolizzato dai proclami della cosiddetta “crisi permanente”, rivelandosi, a uno sguardo attento, contraddittori e ambivalenti. Nel momento stesso in cui la nostra epoca viene descritta all’insegna del superamento di ogni ideologia, i media e la politica si ostinano a derubricare come ideologica qualsiasi idea critica di società, così da neutralizzarne il potenziale critico ed emancipativo. Con ciò si vorrebbe mettere al bando ogni possibilità di trasgredire all'immagine del mondo veicolata dall’attuale sistema socio-economico, con le sue ricadute extra-lavorative: rimandiamo, a tal proposito, alla provocazione di Eugéne Enriquez nell’articolo Si può ancora trasgredire?, comparso su «Animazione Sociale» lo scorso marzo.
La possibilità di coniugare seriamente realizzazione personale e lavoro, dunque, deve passare preliminarmente attraverso la critica della sua rappresentazione falsata: analogamente, la possibilità di svolgere in modo qualitativamente soddisfacente il proprio lavoro non può prescindere da un’idea alternativa di società che si proponga di mettere al centro la dignità umana nel lavoro. Un requisito indispensabile, a questo proposito, è rappresentato dalla socializzazione di spazi e tempi in cui condividere le proprie comuni esperienze di assoggettamento e disporre, assieme, di strumenti di critica appropriati per denunciare l’ideologia contemporanea: non a caso, la solitudine e l'assenza di solidarietà tra lavoratori sono il primo scoglio che questi sono chiamati ad affrontare.
In conclusione, oggi sembriamo condannati a vivere per lavorare, piuttosto che a lavorare per vivere. Come siamo potuti approdare a questa situazione? Quali sono i presupposti, gli ideali in nome dei quali il mercato del lavoro e i relativi contratti sono stati sottoposti, rispettivamente, a una progressiva e crescente flessibilizzazione e precarizzazione? Come contrastare le derive connesse alla diffusine di tale modello di managerialità che si propone come partecipativo, ma svuota dal di dentro ogni possibile partecipazione nei vari contesti di lavoro e di socializzazione?
A partire da tali quesiti abbiamo intervistato Michela Marzano, che nel suo ultimo libro Estensione del dominio e della manipolazione dall’azienda alla vita privata, edito da Mondadori nel 2009, ha tentato di interpellare sotto una nuova luce le sfide di fronte a cui ogni potenziale lettore, cittadino e lavoratore è tenuto a cimentarsi nella sua quotidianità.
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L'attuale crisi internazionale ha imposto agli stati maggiormente investiti dai suoi effetti di rivedere l'agenda delle priorità da affrontare a livello sociale, economico, culturale e politico: ciononostante, proprio il carattere globale... more
L'attuale crisi internazionale ha imposto agli stati maggiormente investiti dai suoi effetti di rivedere l'agenda delle priorità da affrontare a livello sociale, economico, culturale e politico: ciononostante, proprio il carattere globale in cui si inscrivono le sfide connesse alla crisi aumenta notevolmente la complessità di una loro accurata lettura e interpretazione, fino a rendere incerto e confuso il quadro delle possibili soluzioni.
Non è casuale che, di fronte all'attuale deficit di comprensione dei fenomeni e dei processi riconducibili sotto la macro-categoria di “globalizzazione”, a livello locale spesso si faccia ricorso a soluzioni affrettate e particolaristiche per rispondere alle ansie indotte dalle minacce sociali, economiche ed ambientali che incombono sulla scena globale del mondo. Tale deficit può render conto di come una delle parole che spesso ricorrono anche nel dibattito pubblico italiano, la “paura”, non sembri essere consapevole delle minacce reali che sono a monte di tale emozione. In effetti, si tratta di una paura più detta che sofferta, spesso ridotta a una sorta di valvola di sfogo attraverso cui dare espressione alle ansie quotidiane che provengono dall'incertezza che caratterizza la crescente interdipendenza tra locale e globale. Intanto, nuovi capri espiatori sostituiscono i precedenti, in un circolo vizioso che alimenta senza soluzione di continuità il problema da cui scaturisce l'ansia di trovare nuovi presunti colpevoli, con il risultato di eludere nuovamente le cause reali del presente e diffuso malessere sociale, radicato a livello locale e globale allo stesso tempo.
Alcune questioni inerenti le possibili alternative teoriche e pratiche a tale nebuloso e minaccioso contesto acquistano un'urgenza e una pregnanza inedite per via del carattere potenzialmente irreversibile dei rischi che la globalizzazione porta con sé: alla luce di tale scenario drammatico, in che modo è possibile formulare una diagnosi coerente delle patologie prodotte a livello planetario dalla globalizzazione? Come possiamo ancorare i nostri stili di vita (e le nostre passioni) alla presa in carico di un mondo in preda a cambiamenti più repentini della nostra capacità di analizzarli singolarmente e nel loro complesso? Ogni risposta a questi interrogativi, come è facile comprendere, non chiama solo in causa gli stili di vita individuali di ciascuno di noi, ma investe anche e soprattutto il futuro della convivenza democratica e dell'annesso modello di sviluppo.
A fronte di questi interrogativi, abbiamo intervistato Elena Pulcini, docente ordinario di Filosofia sociale presso il Dipartimento di Filosofia dell'Università degli studi di Firenze: le questioni accennate poco sopra sono al centro del suo ultimo libro, significativamente intitolato La cura del mondo e attraversato in ogni sua pagina dalla consapevolezza che dalla ponderatezza delle risposte fornite a tali domande dipende la possibilità stessa che si dia un futuro per il nostro pianeta e, di conseguenza, per noi tutti che lo abitiamo. A suo avviso, tuttavia, se tali nodi critici palesano la vulnerabilità di ogni uomo, mostrano altresì che dalla paura per il mondo e per la sua eventuale scomparsa possiamo nuovamente attingere la possibilità di un’inedita presa in carico dell'Altro e del mondo.
Contaminazione, paura, responsabilità e cura sono solo alcune delle parole chiave che ricorrono maggiormente nelle sue riflessioni: in un dialogo critico costante con il recente dibattito internazionale intorno al tema della globalizzazione, Pulcini tenta infatti di restituire tali concetti al loro significato e, a partire dal loro intreccio teorico e pratico, di articolare inedite suggestioni per ricostruire e rivitalizzare le nostre relazioni con l'Altro e con il mondo.
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Questo breve saggio offre una ricostruzione inedita sulla lenta e ininterrotta stesura di Massa e potere, protrattasi per oltre trent'anni di attività.
La crisi dei tradizionali modelli e strumenti di cura deriva da uno squilibrio sempre meno sostenibile tra famiglia e lavoro? O ci troviamo di fronte a una crisi sociale, politica, economica e culturale assai più vasta e profonda, di cui... more
La crisi dei tradizionali modelli e strumenti di cura deriva da uno squilibrio sempre meno sostenibile tra famiglia e lavoro? O ci troviamo di fronte a una crisi sociale, politica, economica e culturale assai più vasta e profonda, di cui la trasformazione della cura sarebbe solo un elemento, difficile da isolare rispetto ad altri? Attraverso la ricostruzione dei diversi momenti storici in cui la cura entra in crisi e dei movimenti politici che ne evidenziano le contraddizioni -- in particolare i vari femminismi -- Nancy Fraser propone la sua visione del capitalismo contemporaneo e del modello neoliberale di femminismo.
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Ipocrisia. Simulazione e dissimulazione nella sfera pubblica (XI, n. 2, 2020) A cura di Leonard Mazzone A differenza dei classici lemmi che hanno attirato l'attenzione dei critici sociali dall'antica Grecia ai giorni nostri-dall'errore... more
Ipocrisia. Simulazione e dissimulazione nella sfera pubblica (XI, n. 2, 2020)
A cura di Leonard Mazzone
A differenza dei classici lemmi che hanno attirato l'attenzione dei critici sociali dall'antica Grecia ai giorni nostri-dall'errore (Platone) al cinismo (Sloterdijk), passando attraverso la menzogna (Agostino, Kant) e l'ideologia (Marx)-la categoria di ipocrisia è stata in larga parte trascurata dalla filosofia. Una delle ragioni principali a monte di questa disattenzione filosofica consiste nella riduzione dell'ipocrisia a un caso particolare della menzogna o a una forma particolarmente subdola di cinismo, che all'ostentata auto-affermazione del soggetto preferirebbe la più prudente e, spesso, efficace strategia indiretta del mascheramento. Nell'uno e nell'altro caso, però, si finisce per assecondare una concezione assai riduttiva del fenomeno: a differenza della menzogna, l'ipocrisia può anche essere involontaria (non si può, invece, mentire senza volerlo); diversamente dalle ben note forme di cinismo mascherato esemplificate da personaggi letterari come il Tartufo di Molière, inoltre, l'ipocrisia può consistere anche in svariate forme disinteressate o, addirittura, altruistiche di inganno. La mancanza di un approfondimento del concetto di ipocrisia, delle sue sfumature e delle sue implicazioni è tutt'altro che secondaria, perché rende impossibile riuscire a cogliere adeguatamente un fenomeno che sembra comunque costitutivo delle interazioni nella sfera pubblica: le varie forme del simulare e dissimulare, del darsi o non darsi a vedere, rispetto agli altri e rispetto a se stessi. A questo vuoto di attenzione teorica il presente numero di Lessico di etica pubblica intende porre rimedio, ospitando le riflessioni di invited contributors di rilievo nazionale e internazionale e selezionando tramite la presente call for papers contributi che:
-tenteranno di elaborare una distinzione accurata e argomentata del fenomeno dell'ipocrisia rispetto alle nozioni di menzogna e/o ideologia;
-indagheranno i rapporti fra l'ipocrisia e uno o più dei seguenti fenomeni sociali, solitamente annoverati fra le patologie sociali della società moderna: dalla dissimulazione all'inautenticità, passando attraverso l'alienazione e l'incoerenza;
-indagheranno la problematizzazione dell'ipocrisia nell'opera di autori che hanno dato un contributo particolarmente decisivo nel rinnovamento del significato del concetto lungo la storia della filosofia;
-approfondiranno le implicazioni normative dell'ipocrisia in politica, con particolare attenzione al contesto delle democrazie costituzionali;
- analizzeranno criticamente le possibili nuove forme di ipocrisia che si sviluppano o potrebbero svilupparsi all’interno della società della trasparenza e della disintermediazione informatico-digitale.
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IL PRINCIPIO POSSIBILITÀ. MASSE, POTERE E METAMORFOSI NELL'OPERA DI ELIAS CANETTI
Rosenberg  & Sellier Editore
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Elias Canetti dedicò più di tre decenni della sua biografia intellettuale all’impresa di decifrare l’enigma della massa, la molteplicità delle sue forme, la relazione di complicità instauratasi con il nazionalsocialismo e le potenzialità... more
Elias Canetti dedicò più di tre decenni della sua biografia intellettuale all’impresa di decifrare l’enigma della massa, la molteplicità delle sue forme, la relazione di complicità instauratasi con il nazionalsocialismo e le potenzialità emancipative veicolate da alcune varianti critiche di questo
fenomeno. Il principio possibilità offre la prima introduzione ragionata,
completa ed esaustiva a uno dei testi più provocatori, affascinanti e, ancora oggi, sottovalutati del XX secolo. Concepita dal suo stesso autore come l’“opera di una vita”, Massa e potere rivoluziona le categorie tradizionali con cui la sociologia e, prima ancora, la psicologia collettiva avevano interpretato il fenomeno alla luce delle esperienze dirette dell’autore con alcune formazioni di massa del suo tempo. Ripercorrendo tali esperienze e i principali nodi di questo capolavoro, Il principio possibilità intende restituire al lettore contemporaneo l’attualità della caccia al potere indetta da Canetti e, per l’appunto, preservare la possibilità di un riscatto collettivo dalle forme di sopravvivenza oggi
dominanti su scala globale.

4 maggio - ore 13.30, Sala Optima - Pad. 4

con Leonard Mazzone, autore di Il principio possibilità. Masse, potere e metamorfosi nell'opera di Elias Canetti, e Adriano Zamperini, Università di Padova
Critica sociale versus ipocrisia politica Il seminario interdisciplinare Il nuovo spirito della democrazia si propone di problematizzare la cosiddetta " crisi della democrazia " a partire da diverse prospettive di diagnosi critica del... more
Critica sociale versus ipocrisia politica Il seminario interdisciplinare Il nuovo spirito della democrazia si propone di problematizzare la cosiddetta " crisi della democrazia " a partire da diverse prospettive di diagnosi critica del presente: dalle " patologie sociali " che hanno investito questa forma di governo ai mutati rapporti fra capitalismo neoliberale e democrazia, passando attraverso le trasformazioni avvenute al livello dei processi di legittimazione democratica.
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Quali sono le origini dell’ipocrisia? Come e perché, da alleata dell’attività critica, l’ipocrisia si è trasformata in un suo oggetto potenziale? Quali caratteristiche consentono di distinguerla dai classici lemmi (ignoranza, menzogna,... more
Quali sono le origini dell’ipocrisia? Come e perché, da alleata dell’attività critica, l’ipocrisia si è trasformata in un suo oggetto potenziale? Quali caratteristiche consentono di distinguerla dai classici lemmi (ignoranza, menzogna, ideologia e cinismo) contro cui si è storicamente scagliata la critica? Politicizzare un fenomeno socialmente diffuso e inevitabile come l’ipocrisia consente di circoscrivere l’analisi del fenomeno ai mutevoli rapporti tra poteri e giustificazioni. In che cosa consistono le cosiddette “strategie di de-responsabilizzazione” che fanno da sfondo all’ipocrisia politica? Come variano storicamente e socialmente?
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IL PRINCIPIO POSSIBILITÀ. MASSE, POTERE E METAMORFOSI NELL'OPERA DI ELIAS CANETTI
Rosenberg  & Sellier Editore
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Al centro del mediterraneo Migrazione, cura e accoglienza 11 dicembre 2017 alle 15 Edificio D5 - III piano - Aula 3.50 con Monica Toraldo (Comitato nazionale per la bioetica) Discussant Leonard Mazzone Coordina Elena Pulcini... more
Al centro del mediterraneo
Migrazione, cura e accoglienza

11 dicembre 2017 alle 15
Edificio D5 - III piano - Aula 3.50

con Monica Toraldo
(Comitato nazionale per la bioetica)

Discussant Leonard Mazzone

Coordina Elena Pulcini

Laboratorio di Filosofia dell’età globale
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Analizzando alcuni saggi recenti di Axel Honneth - tradotti e raccolti nell'edizione italiana-, l'articolo focalizza l'attenzione sull'influenza reciproca tra le moderne sfere del riconoscimento sociale e gli ultimi... more
Analizzando alcuni saggi recenti di Axel Honneth - tradotti e raccolti nell'edizione italiana-, l'articolo focalizza l'attenzione sull'influenza reciproca tra le moderne sfere del riconoscimento sociale e gli ultimi sviluppi del capitalismo. Attraverso questo confronto, l'articolo sintetizza il tentativo di Honneth di articolare una teoria della giustizia incentrata sul concetto di riconoscimento. Questa opzione teorica consente di prospettare una diagnosi delle odierne patologie sociali e di affrontare gli effetti paradossali connessi alle tendenze di sviluppo del capitalismo: in effetti, la disamina dei processi sociali, culturali, economici e politici degli ultimi decenni testimonia l'inversione delle intenzioni normative originariamente connesse ai media istituzionali del riconoscimento sociale. Questa prospettiva teorica stimola un approccio critico verso lo stesso concetto di riconoscimento, le cui forme giustificate devono essere distinte da quelle ill...
This article outlines the chief challenges concerning the philosophical theories of emancipation and clarifies the solutions provided by a so-called negative theory of justice. Besides highlighting the classic questions that every... more
This article outlines the chief challenges concerning the philosophical theories of emancipation and clarifies the solutions provided by a so-called negative theory of justice. Besides highlighting the classic questions that every philosophical theory of emancipation is expected to answer, the article aims to highlight the link between this theoretical framework and an immanent critique of conditions of domination. Moreover, it sheds light on the main differences between this theoretical perspective and Honneth’s theory of recognition, Fraser’s three-dimensional conception of justice, and the critique of power relations recently advanced by Rainer Forst. The comparative analysis of these theoretical approaches will make it possible to highlight and appreciate the main merits of a so-called negative theory of justice that combines a multidimensional diagnosis of existing asymmetries of power with an immanent critique of their justifications.
L’articolo intende analizzare le ragioni storiche e teoriche della debolezza delle voci critiche nelle società odierne. L’autore cerca di di rivitalizzare la critica sociale per mezzo di una ricostruzione delle trasformazioni materiali e... more
L’articolo intende analizzare le ragioni storiche e teoriche della debolezza delle voci critiche nelle società odierne. L’autore cerca di di rivitalizzare la critica sociale per mezzo di una ricostruzione delle trasformazioni materiali e ideologiche della recente storia del capitalismo, che hanno segnato una segreta alleanza tra questa forma di vita e la critica originariamente diretta contro di essa. Come il capitalismo, la critica sembra essere permeata da un nuovo spirito: dopo aver distinto l’antico modello di critica dalla sua versione moderna, l’autore descrive gli aspetti ideologici e organizzativi del suo nuovo spirito. Parole chiave: emancipazione, oppressione, nuovo spirito del capitalismo, critica,
In this article I will combine Erving Goffman’s sociology with some of the main aspects of Actor-Network Theory in order to outline a theatrical conception of social power. My first aim is to try to summarize the sociological perspective... more
In this article I will combine Erving Goffman’s sociology with some of the main aspects of Actor-Network Theory in order to outline a theatrical conception of social power. My first aim is to try to summarize the sociological perspective introduced by Kenneth Burke and then improved on by Erving Goffman to understand the face-to-face interactions of everyday life. Secondly, I will try to use the theatrical metaphor underlying this theoretical framework to describe power-over relations in everyday life. Thanks to the combination of the dramaturgical theory proposed by Erving Goffman and the ‘object turn’ given to social theory by Actor-Network Theory, a theatrical conception of power allows the episodic, dispositional and systemic dimensions of power relations to be mapped respectively depending on the actors’ performances, their roles of power and the institutionalized scripts. Moreover, this theatrical representation of power-over relations is a defaced understanding of the phenome...