Studi e ricerche 7
—
Tales of Unfulfilled
Times
Saggi critici in onore
di Dario Calimani
a cura di
Fabio Fantuzzi
Edizioni
Ca’Foscari
Tales of Unfulfilled Times
Studi e ricerche
7
Edizioni
Ca’Foscari
Studi e ricerche
Direttore | General Editor
prof. Eugenio Burgio (Università Ca’ Foscari Venezia, Italia)
Comitato scientifico | Advisory Board
Vincenzo Arsillo (Università Ca’ Foscari Venezia, Italia)
Agar Brugiavini (Università Ca’ Foscari Venezia, Italia)
Giovanni Colavizza (École Polytechnique Fédérale de Lausanne, Suisse)
Giulio Giorello (Università degli Studi di Milano, Italia)
URL http://edizionicafoscari.unive.it/it/edizioni/collane/studi-e-ricerche/
Tales of Unfulfilled Times
Saggi critici in onore di Dario Calimani
offerti dai suoi allievi
a cura di
Fabio Fantuzzi
Venezia
Edizioni Ca’ Foscari - Digital Publishing
2017
Tales of Unfulfilled Times. Saggi critici in onore di Dario Calimani offerti dai suoi allievi
Fabio Fantuzzi (a cura di)
© 2017 Fabio Fantuzzi per il testo
© 2017 Edizioni Ca’ Foscari - Digital Publishing per la presente edizione
Qualunque parte di questa pubblicazione può essere riprodotta, memorizzata in un sistema di
recupero dati o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, senza
autorizzazione, a condizione che se ne citi la fonte.
Any part of this publication may be reproduced, stored in a retrieval system, or transmitted in any
form or by any means without permission provided that the source is fully credited.
Edizioni Ca’ Foscari - Digital Publishing
Università Ca’ Foscari Venezia
Dorsoduro 3859/A
30123 Venezia
http://edizionicafoscari.unive.it/
ecf@unive.it
1a edizione maggio 2017
978-88-6969-156-0 [ebook]
978-88-6969-157-7 [print]
Tales of Unfulfilled Times. Saggi critici in onore di Dario Calimani offerti dai suoi allievi / A cura di
Fabio Fantuzzi. — 1. ed. — Venezia: Edizioni Ca’ Foscari - Digital Publishing, 2017. — 108 p.; 23 cm.
— (Studi e Ricerche; 7). — ISBN 978-88-6969-157-7.
URL http://edizionicafoscari.unive.it/it/edizioni/libri/978-88-6969-157-7/
DOI 10.14277/978-88-6969-156-0
Tales of Unfulfilled Times
Saggi critici in onore di Dario Calimani offerti dai suoi allievi
a cura di Fabio Fantuzzi
Sommario
Introduzione
Fabio Fantuzzi
7
La Centaura di Giovan Battista Andreini tra poetica e teatro
Francesco Marco Aresu
9
«A Poetry of Moving Images»
La costruzione dell’immagine sulla scena beckettiana
Silvia De Min
31
Cenni di ermeneutica ebraica nelle teorie di Norman Raeben,
figlio di Scholem Aleichem e maestro di Bob Dylan
Fabio Fantuzzi
53
La Philomathia di Angelo Michele Salimbeni e Sebastiano Aldrovandi:
cenni di analisi
Nicolò Groja
79
L’Orfeo di Jonathan Coe, tra postmodernismo e impegno
Elena Sbrojavacca
89
Tales of Unfulfilled Times
Saggi critici in onore di Dario Calimani offerti dai suoi allievi
a cura di Fabio Fantuzzi
Introduzione
Fabio Fantuzzi
The Jew is an expert at unfulfilled times.
(Arthur Cohen)
Questa affermazione di Arthur Cohen ben si presta a descrivere la carriera
di Dario Calimani. Una carriera che è anzitutto indagine e interrogazione
del testo; testo a sua volta inteso come un processo che per il tramite di
un instancabile dialogo interno rifiuta di esaurirsi in risposte semplici,
alimentando l’obbligo e il peso dell’interpretazione. Non è tanto, infatti, il
desiderio di soluzioni, per natura effimere, a muovere la sua ricerca, quanto il bisogno di scandagliare e riformulare più propriamente i quesiti. Una
ricerca che è anzitutto studio di ciò che è ‘altro’, perseguita assumendo le
lenti dell’altro. Basti a questo proposito uno sguardo rapido agli autori di
cui si è occupato: T.S. Eliot, James Joyce, William Butler Yeats, John Millington Synge, Oscar Wilde, George Bernard Shaw e Samuel Beckett, tutti
scrittori irlandesi o americani che hanno in comune il fatto di rappresentare l’‘altro’ e il ‘diverso’ nel canone della letteratura inglese. Così anche
Harold Pinter, nato sì inglese ma anche ebreo, e dunque ‘altro’ per eccellenza. E così pure William Shakespeare, la cui oscura biografia e complessità tematica ne fanno il paradigma stesso dell’alterità, paradigma la cui
comprensione ha permesso a Calimani di rivoluzionarne la lettura tanto
delle opere teatrali che dei sonetti. Una ricerca, però, che al contempo
rabbinicamente non ammette l’esistenza del fuori-testo e pone rigorosamente al centro dell’indagine la scrittura. Una scrittura, la sua, che si fa
elemento stesso della propria indagine attraverso uno stile asiano misurato
in cui tradizione critica e filosofia ed ermeneutica ebraica si incontrano,
unendo alla forza evocativa della scrittura la chiarezza e la concretezza
dell’investigazione. Il risultato è una critica che, al contrario di quella dei
grandi pensatori di cui si nutre e nella cui compagnia a pieno si inserisce,
rifiuta di esaurirsi nell’univocità di un metodo, fondendo dialetticamente le
metodologie che il testo in quanto ‘altro’ richiede. Una critica che rispetto
a quella di altri grandi accademici, forse, nel far ciò restringe la cerchia
dei propri proseliti e seleziona i propri studenti. Allievi che Calimani ha
sempre nutrito la convinzione dovessero stabilire tra loro un rapporto di
Studi e Ricerche 7
DOI 10.14277/6969-156-0/SR-7-0 | Submission 2017-03-30
ISBN [ebook] 978-88-6969-156-0 | ISBN [print] 978-88-6969-157-7 | © 2017
7
Tales of Unfulfilled Times, 7-8
scambio, umano prima ancora che accademico. Uno scambio di cui è sempre naturalmente parte il professore stesso, che mira a fare della critica un
ideale di vita: un’idea di letteratura che si riappropria della quotidianità,
e che porta la dialettica anche fuori dai dipartimenti, non disdegnando
talora i calici di un’osteria o le gioie della tavola di freschi pranzi montani.
È questo ideale, questo scambio, a dar vita a una miscellanea che per sua
stessa natura non poteva racchiudere nient’altro che articoli di suoi studenti – e che, purtroppo, può contare solo dell’apporto di alcuni dei suoi
allievi più recenti. Allievi, i suoi, che con questa miscellanea gli esprimono
tutta la gratitudine per aver fatto conoscere loro un’idea di Università che
sembra sempre meno esistere, e che forse non è mai esistita, se non in
figure come quella di Dario Calimani.
8
Fantuzzi. Introduzione
Tales of Unfulfilled Times
Saggi critici in onore di Dario Calimani offerti dai suoi allievi
a cura di Fabio Fantuzzi
La Centaura di Giovan Battista Andreini
tra poetica e teatro
Francesco Marco Aresu
(Wesleyan University, Middletown, Connecticut, USA)
Abstract Giovan Battista Andreini’s La Centaura (1622) is a mixed play that juxtaposes comedy,
pastoral, and tragedy. Through a close reading of the ways in which the play combines diferent
genres, presents manifold metatextual elements, and alludes to the critical debate on literary genres, La Centaura reveals itself as a peculiar treatise in dramatic form on literature and theatre. Also,
it ofers an all-inclusive repertoire and repository of dramatic elements. Moreover, it engages with
the relationship between literature and life, describing life as already theatricalized and suggesting
that no authentic reality exists.
Sommario 1 Introduzione. – 2 Soglie testuali e sperimentalismo di genere. – 3 Teoria e pratica del
dramma: inventio. – 4 La dispositio e il dibattito critico. – 5 Conclusioni.
Keywords La Centaura. Giovan Battista Andreini. Italian theatre. Baroque.
The best actors in the world, either for tragedy, comedy, history,
pastoral, pastoral-comical, historical-pastoral, tragical-historical, tragical-comical-historical-pastoral, scene individable, or
poem unlimited.
(William Shakespeare, Hamlet, 2, 2)
1
Introduzione
Nel trattato sul miglior tipo di oratore Marco Tullio Cicerone sostiene che
la commistione di tragico e comico sia inappropriata e indecorosa: «Itaque
et in tragoedia comicum vitiosum est et in comoedia turpe tragicum» (I, 1;
Ippolito 1998, 5). Per Quinto Orazio Flacco, nell’Ars poetica, la commistione tra generi deve essere evitata (anche se talvolta la verosimiglianza è più
importante del rigore). In entrambi si può leggere un chiaro richiamo ai
principi di coerenza, verosimiglianza, e necessità che informano la Poetica
di Aristotele e che dettano le norme delle estetiche e poetiche classiciste
(cf. Herrick 1946). Il presente studio analizza alcuni aspetti poetologici
della Centaura (1622), testo teatrale di Giovan Battista Andreini, in relazione ai suoi aspetti metatestuali e alla teoria e alla pratica anticlassicista
Studi e Ricerche 7
DOI 10.14277/6969-156-0/SR-7-1 | Submission 2017-03-30
ISBN [ebook] 978-88-6969-156-0 | ISBN [print] 978-88-6969-157-7 | © 2017
9
Tales of Unfulfilled Times, 9-30
di contaminazione dei generi drammatici. Si vuole rilevare come il testo
di Andreini, caratterizzato da una peculiare combinazione di generi e da
intenso sperimentalismo, lasci trasparire dichiarazioni di poetica non solo
nelle sezioni pre-testuali, tradizionalmente deputate alla riflessione teorica, ma anche negli elementi metatestuali, di riflessione del testo su se
stesso, che puntellano la struttura e il linguaggio del dramma. La Centaura
si configura cioè insieme come precetto di poetica e sua esecuzione. Nel
reinventarsi come testo drammatico e teoretico, la Centaura sembra proporsi come un catalogo delle possibili varianti dell’intreccio drammatico
e inserirsi, infine, nel più ampio discorso sulla relazione tra arte drammatica e realtà, rappresentazione e referenza, finzione e autenticità. Nel suo
continuo rimandare alla riflessione su se stesso, il testo sembra ammettere
per il suo autore e per l’uomo di teatro il ruolo di intellettuale plausibile e
credibile nell’ambito del dibattito teorico-critico contemporaneo.
Nella sua monografia su Andreini, Maurizio Rebaudengo sottolinea la
dimensione biunivoca nella quale l’autore si muove. La sua produzione,
difatti,
offre come primo dato la doppia configurazione delle sponde entro cui
si snoda – autore ed attore –, soggetto alle continue modificazioni dell’elemento spaziale da parte dell’attore e rintracciabile grazie a lettere e
notizie sparse nelle prefazioni, nelle dediche e all’interno dei testi stessi.
(Rebaudengo 1994, 9)
La professione attoriale e registica da un lato e la sua formazione come
poeta doctus e letterato dall’altro sembrano implicarsi, piuttosto che radicalizzarsi in una relazione oppositiva. Nella produzione di Andreini, cioè, il
dato critico-letterario e quello teatrale-rappresentativo dialogano costantemente: le scelte di logica poetica sono funzionali alla messa in scena, e la
scrittura del testo drammatico tiene sempre conto della rappresentazione.
Qualora poi le esigenze di amplificatio o di ornatus del testo letterario si
discostino dalle concrete possibilità dell’allestimento teatrale, Andreini
si spinge fino a segnalare con appositi espedienti grafici le componenti
non drammaturgicamente funzionali dell’opera. Se quindi la tradizione
manoscritta e a stampa delle pièces, nonché il carattere di indeterminatezza visiva della parola letteraria legittimano la fruizione dell’opera da
parte del lettore (e non solo da parte dello spettatore), è però opportuno
ricordare che la scrittura del testo è pensata in termini di resa scenica,
quando non sia di fatto affidata alla pubblicazione solo dopo una effettiva
rappresentazione.
Nella più raffinata ed elaborata produzione di Andreini, esperienza scenica e competenza teoretica tendono peraltro a collimare in testi dall’elevato carattere metateatrale e metaletterario. Si veda a titolo di esempio
il testo delle Due comedie in comedia. In esso si mette in scena un agone
10
Aresu. La Centaura di Giovan Battista Andreini tra poetica e teatro
Tales of Unfulfilled Times, 9-30
drammatico tra due compagnie, con implicazioni metateatrali evidenti e
un conseguente effetto vorticoso di play within the play. Silvia Carandini
(1990) descrive come il testo si articoli
in un doppio vertiginoso teatro dentro il teatro, con effetti multipli di
rifrazione fra vicenda narrata e dramma rappresentato, finché le vite dei
personaggi, degli attori e delle maschere, prospetticamente ordinate,
in un unico punto di fuga si risolvono. (160-1)
L’intenzione del testo sembra quindi quella di una duplice legittimazione:
il testo è un copione, ma anche il prodotto di una intensa elaborazione
retorica che conferma il suo autore come letterato e critico.
La tradizionale dicotomia autore-attore si risolve nella biografia e bibliografia di Andreini in una ferma volontà di riscattare la professione
teatrale, evidenziando la forte componente dotta della rappresentazione, e
di rivendicare uno statuto intellettuale al drammaturgo. La Centaura è una
ulteriore dimostrazione di ciò. Da un lato il testo offre un mirabile esempio
di esperienza di uomo di teatro e di volontà di realizzare uno spettacolo che
soddisfi un orizzonte di attesa non facile: quello di un pubblico avvezzo a
essere divertito da una esibizione sostanziata di virtuosismo spettacolare e
forte carica visiva. Dall’altro intende porsi come testo in cui ogni elemento
sia funzionale alla sua riuscita come prodotto letterario esteticamente apprezzato in sede critica. Infine, e forse soprattutto, si impone come documento al confine tra testo drammatico e teoretico, quasi a voler realizzare
un trattato di poetica in forma drammatica. Se, nei termini proposti da Jurij
Lotman, «l’opera d’arte è il modello finito di un mondo infinito» (1970, 253),
con la Centaura ci troviamo invece di fronte a un’opera che aspira ad essere
il più possibile inclusiva e proporre esplicitamente un campionario di temi,
motivi, sequenze, caratteri, strategie. La Centaura, piuttosto che un testo
fabulistico che rappresenta un episodio, si pone come testo mitologico: un
testo, cioè, che simula un intero universo nelle sue infinite varianti.
2
Soglie testuali e sperimentalismo di genere
Quando Andreini dà alle stampe la Centaura,1 è ben conscio del carattere innovativo del testo e della sua singolare collocazione nell’ambito del
sistema letterario e del circuito teatrale contemporaneo. Nella Centaura,
Si segue l’edizione a cura di Franco Vazzoler (2004), la quale riproduce il testo pubblicato
nel 1633 a Venezia per i tipi di Sonzonio. Dell’edizione si mantengono anche i segni diacritici:
tra parentesi graffe sono indicati i tagli suggeriti dallo stesso Andreini all’atto III, ma non
si riproducono del testo curato da Vazzoler i tagli tra parentesi quadre per l’allestimento
dello spettacolo per la regia di Luca Ronconi. I tre punti di sospensione tra parentesi qua-
1
Aresu. La Centaura di Giovan Battista Andreini tra poetica e teatro
11
Tales of Unfulfilled Times, 9-30
l’autocoscienza critica è tale da essere tematizzata ed assunta ad argomento strutturale del dramma stesso. L’opera realizza insomma una peculiare
convergenza metatestuale tra composizione dei fatti (l’aristotelica sýsthasis tôn pragmátôn), opzioni di genere letterario, e impostazioni teoretiche
sulle quali esse si fondano.
La congruenza metatestuale tra piano mimetico ed elaborazione critica
emerge fin da quelle che, in termini genettiani (Genette 1987), possiamo
definire le ‘soglie’ testuali della Centaura: innanzitutto, il titolo. Il titolo
del testo è tematico (indicativo di ‘ciò di cui’ nel testo si parla) e insieme
rematico (indicativo delle ‘modalità con le quali’ se ne dice): la natura
ibrida della centaura eponima, insomma, non fa solo riferimento a una
delle protagoniste del dramma, ma è anche rappresentativa della commistione di generi di cui il testo si sostanzia. Ai tre atti della pièce corrispondono dichiaratamente, infatti, altrettanti generi drammatici (nell’ordine:
commedia, pastorale, tragedia). Il dato della commistione di generi emerge con prepotente chiarezza: rivolgendosi a Maria di Francia nella dedica
dell’opera nel 1622 (e con poche varianti a Vincenzo Grimani, capitano a
Vicenza, nel 1633), Andreini descrive l’ibridismo testuale della Centaura
nei termini di «stravagante» e «artificioso» (Vazzoler 2004, 40), quasi a
sottolineare come la chiave di lettura del testo debba essere ricercata
in questa sua peculiarità. Che il dato della polifonia dei generi emerga
sin dai suoi elementi paratestuali si spiega con la volontà da parte del
testo stesso di rivendicare la propria autocoscienza letteraria e critica.
La scelta del titolo, difatti, inserisce il testo nel dibattito letterario antico
e contemporaneo. Il titolo assai verosimilmente dialoga intertestualmente
con un celebre passo della Poetica di Aristotele dove si tratta delle caratteristiche distintive del poeta:
In modo simile [scil. in relazione alla definizione di poeta] anche chi compisse l’imitazione combinando tutti i versi come Cheremone ha composto
il Centauro, rapsodia mista di tutti i versi, dovrebbe essere chiamato
poeta. (Arist., Poet., 1447 b 20-3)2
Il testo di Andreini non solo opta per un titolo che doveva apparire come
una esplicita allusione alla Poetica per quegli addetti ai lavori abituati a
compulsare ogni pericope del testo aristotelico, ma (ed è questo il dato
più interessante) impiega le stesse considerazioni di Aristotele ai fini di
una teoria e prassi poetiche sostanzialmente anti-classiciste (e paradossalmente anti-aristoteliche). La Centaura si serve dell’autorità aristotelica
dre indicano mie omissioni. I riferimenti al testo della Centaura sono dati per atto, scena,
e numero di pagina dell’edizione di riferimento.
2
12
Le citazioni della Poetica sono tratte da Lanza 1987.
Aresu. La Centaura di Giovan Battista Andreini tra poetica e teatro
Tales of Unfulfilled Times, 9-30
così come fanno i teorici classicisti, ma per sostenere posizioni in linea con
una poetica informata al più consapevole sperimentalismo in riferimento
all’unità di azione e alla coerenza di genere.
Se è vero che, nel passo citato supra, Aristotele sembra tutto sommato
riconoscere dignità poetica alle scelte polimetriche di Cheremone (del
cui poema ci sono giunti solo alcuni frammenti per tradizione indiretta),
Andreini si sente autorizzato ad applicare il giudizio aristotelico all’elaborazione del proprio testo in funzione di commistione di generi mimetici
differenti. In questo senso, con un riferimento evidente per il lettore colto
suo contemporaneo, Andreini pone il testo sotto l’egida rassicurante della
massima auctoritas della poetica tardo-rinascimentale, che ne sanziona la
legittimità contro le eventuali accuse di chi avesse voluto usare Aristotele
per tacciare la Centaura di una contaminazione di generi ‘monstruosamente’ irrazionale e anticlassicista.
Le considerazioni di poetica sono rese più complesse dalla fitta rete
di percorsi teoretici e intertestuali che fin dal sottotitolo si dipanano e si
sovrappongono. Il «Suggetto diviso in Commedia, Pastorale, e Tragedia»
cui il sottotitolo si riferisce, palesa, dalla posizione privilegiata conferitagli dal frontespizio dell’editio princeps, un elemento di aperto conflitto
con le poetiche classiciste. Il termine «diviso» contraddice difatti il noto
principio proposto da Orazio per cui il testo deve essere «simplex [...] et
unum» (Ars poet., 23) e parimenti la nozione aristotelica per cui l’azione
nel testo deve essere haplê: unica e semplice (ancorché fosse lo stesso
Aristotele a introdurre successivamente la nozione di diplê sýstasis, ‘doppia composizione’, variamente interpretata nella trattatistica manierista
e barocca ora come doppia azione ora come compresenza di un finale
tragico e di uno comico, con ovvia rilevanza per questo testo). Sulla peculiare struttura del testo si insiste oltretutto nella lettera dedicatoria,
in cui la Centaura è definita «composito drammatico», e di essa è ancora
una volta sottolineata la «stravagante» commistione di generi.
È nella premessa al lettore, tuttavia, che il testo offre la proposizione più organica sulla validità della tecnica di contaminazione dei generi.
Nell’apostrofe ai «Lettori cortesissimi», Andreini ripetutamente sottolinea
lo stretto legame del titolo con la struttura dell’opera (e quindi non solo
con il suo argomento):
Fra tutti non c’è il più stravagante di questo suggetto, intitolato la CENTAURA. Quest’è un’invenzione contrarissima in se stessa, nel prim’atto
essendo commedia, nel secondo pastorale e nel terzo tragedia. [...] altro
che di Centaura io non poteva imporre il nome a questo suggetto come
di più corpi e mostruosissimo in se stesso. (Vazzoler 2004, 41-2)
L’idea che una figura ibrida tra uomo e animale possa metaforicamente
rappresentare il carattere fortemente eterogeneo di un testo non è nuova.
Aresu. La Centaura di Giovan Battista Andreini tra poetica e teatro
13
Tales of Unfulfilled Times, 9-30
Nel celebre esordio della sua Ars poetica, Orazio descrive il ridicolo che
potrebbe suscitare un pittore che volesse rappresentare un soggetto ibrido
di uomo e animale:
Humano capiti cervicem pictor equinam
iungere si velit et varias inducere plumas
undique collatis membris, ut turpiter atrum
desinat in piscem mulier formosa superne,
spectatum admissi risum teneatis, amici? (Hor., Ars poet., 1-5)
Se a un pittore venisse talento di congiungere a una testa umana un
collo equino, e a membra accozzate da cento parti inserir piume variopinte, facendo sì che una donna, bella in viso, terminasse sconciamente
in un sozzo pesce, ammessi a contemplare il quadro, sapreste, amici
miei, trattener le risa?3
Il passo oraziano celebra due principi basilari della poetica classica e
delle teorie classiciste che ad essa si ispirano: la coerenza dell’opera e
la coesione delle sue parti in una struttura organica. Il passo è peraltro
conforme alla trattazione aristotelica della composizione dei caratteri,
basata su criteri di naturalezza e verosimiglianza: «Poiché la tragedia è
imitazione di persone migliori di noi, si devono imitare i buoni ritrattisti:
pur riproducendone la particolare fisionomia, facendoli somiglianti li dipingono migliori» (Arist. Poet., 1454 b 9-10).
Le due citazioni, nella loro coerenza argomentativa e terminologica,
rappresentano un significativo ed autorevole monito per i teorici cinquecenteschi e richiamano all’ordine in tema di conveniens e proprietà. Allo
stesso tempo offrono ai trattatisti di poetiche e retoriche (sia classiciste
sia anticlassiciste) di Cinquecento e Seicento un bagaglio di strumenti
dialettici da sfruttare pro domo.
Sulla scorta del passo oraziano, ad esempio, la metafora dell’ibrido diventa immagine collaudata e ricorrente. Mosso da esigenze analoghe a
quelle di Andreini, Giovan Battista Guarini legittima la composizione e
l’alto valore poetico di opere strutturalmente basate sulla commistione
di generi con un’analogia tra arte e natura che trae fondamento da una
citazione dal De generatione animalium aristotelico, laddove Aristotele
sostiene «che l’Affrica apporti sempre alcuna cosa di nuovo, dicendo esserne la cagione i vari congiungimenti degli animali di diversa spezie, che
per penuria d’acqua si riducono tutti a un luogo per estinguere la sete»
(Guarini 1737-38, 3: 399; enfasi dell’Autore). L’utilizzo da parte di Andreini
di una simile analogia, divenuta quasi canonica nella teoria letteraria an-
3
14
Si segue la traduzione di Colamarino, Bo 1967.
Aresu. La Centaura di Giovan Battista Andreini tra poetica e teatro
Tales of Unfulfilled Times, 9-30
tica e moderna, è una testimonianza della sua attenzione all’ambito della
riflessione poetologica oltre che drammaturgica; una competenza che indubbiamente segna la sua vicinanza al dibattito letterario contemporaneo.
La rilevanza delle considerazioni di poetica è amplificata dal fatto che
esse sono riprese nel prologo (in versi), tradizionale tribuna per la difesa
delle proprie scelte letterarie, già a partire dalle commedie terenziane. Il
prologo è recitato da Talia (musa della poesia comica), Pan (a rappresentare la pastorale), dall’allegoria della Tragedia, e da Sagittario.
L’intervento di Sagittario è il più pregnante, poiché coordina e organizza
i precedenti interventi:
Tutt’è l’opra conforme e diseguale
Tutt’è pien di calma e di procelle;
È la primera a comparir con arte
Commedia, Pastoral, Tragedia in carte. («Prologo», 52)
Sagittario, egli stesso un centauro, evidenzia la dimensione eterogenea e
insieme organica delle parti, e dà rilievo alla novità del testo. La sua dichiarazione rivendica difatti il primo «comparir» del dramma che introduce,
sottolineandone il carattere di innovazione; tuttavia, ulteriormente specificando la novitas con il sintagma «con arte», segna il riconoscimento di una
tradizione precedente (il cui esito estetico è implicitamente riconosciuto
inferiore al proprio), rispetto alla quale si rivendica un’evoluzione tecnica.
Difatti, la commistione tra generi drammatici diversi è fenomeno già
consueto nella produzione della stessa commedia dell’Arte. Uno scenario
di Flaminio Scala, parte del suo Teatro delle favole rappresentative (la
prima raccolta di canovacci, pubblicata a Venezia nel 1611), porta emblematicamente il titolo Gli avvenimenti comici, pastorali e tragici, a testimonianza di una relazione osmotica tra commedia dell’arte e teatro culto:
una relazione nell’ambito della quale Andreini, per ragioni biografiche e
culturali, è abituato a muoversi con autorevolezza e destrezza, razionalizzando la concreta pratica di uomo di spettacolo con le sue competenze
letterarie, e servendosi di strategie schiettamente drammaturgiche per
rendere i propri testi coesi e coerenti come un concreto esito scenico.
Il termine «arte», in privilegiata posizione di clausola nell’ultimo passo citato, rima peraltro non solo fonologicamente, ma anche semanticamente con
«carte», quasi a voler intendere che lo scarto e l’innovazione siano di fatto
connessi alla stesura di un testo scritto e alla scrivibilità stessa del teatro.
Sagittario riproduce con effetti di scrittura ricorsiva la struttura composita del testo, e allude metatestualmente al dramma stesso, secondo la
transizione Sagittario centauro La Centaura:
E si come Centauro in Cielo i’ sono,
Così l’Opra Centaura i’ chiamo al Mondo;
Aresu. La Centaura di Giovan Battista Andreini tra poetica e teatro
15
Tales of Unfulfilled Times, 9-30
E se varie di Membra il don le dono,
Di Composito vario io reggo il pondo. («Prologo», 52)
Quando Sagittario auspica la concordia come risoluzione delle vicende
del dramma, egli sta innanzitutto auspicando la concordia in un singolo
testo delle diverse componenti di genere che costituiscono il dramma. Alla
rappresentazione figurale di queste componenti egli si rivolge nel prologo:
Tutti uniti dunque in bel legame
Senza più favellar lievi partite;
Tra voi tessete un triplicato stame,
A le mete di gloria alte salite. («Prologo» 52-3)
Ancora una volta il piano narrativo-mimetico e il piano teoretico e poetologico coincidono. La volontà di costituire una discordia concors è infine
confermata nell’indicazione in didascalia che conclude il prologo con un
abbraccio simbolico tra i personaggi allegorici. Il ruolo di Sagittario nel
prologo è tanto più significativo qualora si voglia riconoscere in esso, con
Ferdinando Taviani (1989, 221), una citazione dal frontespizio della prima
edizione della Mandragola di Niccolò Machiavelli (Firenze, s.d., ma 1519),
in cui il centauro presenta e insieme impersona la commedia e addirittura,
secondo Franco Fido (1977, 111), ne reciterebbe il prologo.
Lo stesso prologo, nella sua struttura polifonica (un’innovazione rispetto
alla tradizione classica comica e tragica), si configura come una immagine
ricorsiva del testo stesso, con un curioso ‘effetto Droste’ che sembrerebbe
avvalorare il forte afflato metaletterario dell’intero apparato paratestuale.
Il prologo è un microtesto che, ridotto secondo proporzione, riproduce
l’organizzazione composita del testo in commedia, pastorale e tragedia,
riprendendone il procedimento costitutivo di giustapposizione delle tre
forme drammatiche e realizzando così una macro-struttura superiore e
organica. Le soglie del testo non implicano semplicemente il loro ruolo
convenzionale di presentazione e non si limitano a riconoscere e ad ammettere la presenza del pubblico, ma anticipano l’articolazione dell’opera e la
riflettono con una immagine rifratta, parziale, anamorfica, e paradossale.
3
Teoria e pratica del dramma: inventio
Si è detto che l’ambizioso progetto di far coincidere testo drammatico e
riflessione letteraria non si limita alle sezioni paratestuali della Centaura
o alle dichiarazioni programmatiche: esso investe l’intera tessitura dell’opera, il suo ‘triplicato stame’. Non sarà quindi fuori luogo fornire una
breve sinossi (per quanto possibile) del suo stravagante e complicatissimo
intreccio: nonostante le celebrate rappresentazioni per la regia di Luca
16
Aresu. La Centaura di Giovan Battista Andreini tra poetica e teatro
Tales of Unfulfilled Times, 9-30
Ronconi allo Stabile di Genova e al Teatro Metastasio di Prato, la Centaura
è, difatti, un testo ancora poco noto. Come si è detto, essa è divisa in tre
atti: commedia, pastorale, tragedia.
Primo atto (commedia). Sull’isola di Creta, Soliquio e Tritonio hanno
affidato i propri figli Lelio (promesso in sposo a Ermellinda e gemello di
un altro Lelio disperso in tenera età) e Filenia al medico dei pazzi Stillino. Lidia confida a Bernetta di essere figlia del Re di Rodi. A questi, in
precedenza, era nata una figlia centaura dopo che la Regina di Rodi sua
consorte, durante la gravidanza, aveva guardato un padiglione affrescato
con storie di centauri, regalo del Re di Cipro. La figlia centaura era poi
stata esposta. Lidia è chiesta in moglie dal Re di Cipro (che in passato
aveva smarrito due figlie gemelle), ma si innamora del principe Fidimarte
e scappa con lui a Creta. Fidimarte (col falso nome di Capitan Rinoceronte) si separa da lei per recarsi a Rodi nel tentativo di riappacificarsi con
il Re, ma non torna. Lidia si innamora quindi di Lelio. Lelio e Filenia non
sono in realtà pazzi, ma tali si fingono perché sono innamorati. Fidimarte
rivela al servo Fedele di non amare più Lidia; le invia una lettera in cui la
informa di volerla abbandonare (in realtà solo per testare la sua fedeltà);
ascolta le conversazioni di Lelio e Filenia; riceve la risposta di Lidia, ben
contenta di essere abbandonata e di potersi dedicare a Lelio; offre a Lelio
e Filenia di aiutarli a fuggire purché Lelio si finga innamorato di Lidia, che
Lelio incontra e con la quale amoreggia. La fuga dall’ospedale dei pazzi
riesce. Soliquio e Tritonio seguono i fuggitivi.
Secondo atto (pastorale). Durante un litigio con la sua sposa centaura
Rosibea (sorella centaura di Lidia) il centauro Plageone rivela che Rosibea era stata trovata su una spiaggia ed era cresciuta con Plageone che
l’aveva quindi sposata (e tradita con una ninfa). Rosibea rivela di avere
avuto ripugnanza della sua natura semi-equina e avere pregato gli dei di
concederle un figlio umano. Avutolo, se lo vide ripudiare da Plageone che
lo costrinse alla fuga, per paura di una profezia che indicava che il figlio
uomo avrebbe ucciso i genitori centauri e sarebbe stato da loro ucciso. Il
mago Astianante, giunto per far rappacificare i coniugi, li invita alla preghiera. Una corona d’oro scende dal cielo sul capo di Rosibea. Astianante
rivela la storia della figlia del Re di Rodi nata centaura e abbandonata.
Tritonio confessa di avere in passato rapito le piccole figlie gemelle del
Re di Rodi (entrambe chiamate Florinda), di averne affidato una a un pastore durante una fuga dai pirati turchi, di avere chiamato Filenia quella
rimastagli. Lelio, Filenia, Lidia, e Fedele (naufragati) entrano in scena e si
travestono da pastori per sfuggire alle ricerche di Tritonio e Soliquio. Tirsi
(il Lelio disperso) e Filli (la Florinda rapita e poi affidata a un pastore) si
credono fratello e sorella, ma si amano e sono tormentati dalla passione
dalla quale aborrono perché credono incestuosa. Tirsi incontra Filenia (che
crede Filli) e Filli incontra Lelio (che crede Tirsi). I quattro non resistono
alla passione (benché Tirsi e Filli credano sia incestuosa). Fidimarte ferisce
Aresu. La Centaura di Giovan Battista Andreini tra poetica e teatro
17
Tales of Unfulfilled Times, 9-30
Lidia a morte; Rosibea trova Lidia morente; Lidia e Rosibea si riconoscono
sorelle; Rosibea la guarisce con l’aiuto di erbe medicinali. Lelio e Filenia,
creduti Tirsi e Filli, sono stati condannati al rogo perché creduti amanti
incestuosi. Durante il corteo che li conduce al rogo avviene una serie di
riconoscimenti. Clonico, padre adottivo di Tirsi e Filli, racconta la loro origine. Le coppie vengono ricomposte: Lelio e Filenia (Florinda), Tirsi e Filli
(Lelio e Florinda abbandonati da piccoli), Lidia e Rinoceronte (Fidimarte).
Terzo atto (tragedia). Artalone, Viceré di Rodi, si compiace col servitore
Bibenio della propria trama per succedere al moribondo Re di Rodi (apparentemente senza eredi, ma in realtà padre di Rosibea e Lidia): ha infatti
persuaso quest’ultimo a lasciare Rodi per Creta per curarsi, convinto che
il viaggio lo avrebbe ulteriormente indebolito. Intende inoltre usurpare
il trono del Re di Creta, anch’egli apparentemente senza eredi (in realtà
padre delle due Florinde, ovvero Filenia e Filli). Il Re di Rodi, moribondo,
appare in scena e consegna una lettera ad Artalone, nella quale lo fa suo
erede con la clausola che se una delle due scomparse Florinde dovesse riapparire dovrà consegnarle la corona di Cipro; se invece la figlia centaura
dovesse ripresentarsi, suo dovrà essere il trono di Rodi. Quando giunge la
notizia dell’effettivo ritrovamento delle Florinde e della centaura, Artalone
finge di compiacersi e decide di sposare una delle due Florinde. Durante
il corteo funebre per l’ormai defunto Re di Rodi, Bibenio (complice di
Artalone) distribuisce coppe di libagioni avvelenate. Scoperto, rivela il
piano di Artalone, che, nonostante un tentativo di fuga, è raggiunto e infine ferito a morte da Plageone e Rosibea e da Crinea ed Efinoo (loro figli
centaurini). Artalone svela di essere figlio di centauri e il segno che ha
sul petto (come Rosibea) lo rivela come il figlio umano di Rosibea fuggito
anni addietro. Come annunciato dall’oracolo, i genitori uccidono il figlio e
da quest’ultimo sono uccisi: Rosibea e Plageone si uccidono per espiare il
proprio figlicidio. A regnare su Cipro restano le due coppie di gemelli; su
Rodi i centaurini Crinea ed Efinoo.
La scelta del soggetto, l’inventio, implica e si adibisce ad un atteggiamento segnatamente inclusivo, sia dal punto di vista tematico che da quello
poetologico. Il centauro è, difatti, figura archetipica di congiunzione di
opposte nature: umana e ferina, mortale e divina, flemmatica e furiosa,
razionale e impulsiva, homo e belua, Chirone e Nesso (Dumézil 1929, 15593 e ss.). Ezio Raimondi riporta la nota di Cristoforo Landino a proposito
del centauro Chirone, quando l’umanista commenta l’apparizione del centauro nella Commedia dantesca: il centauro rappresenterebbe un’allegoria
intermedia di «quell’animo el quale benché sia efferato nell’ambizione e
nella cupidità del signoreggiare, nientedimeno non è sanza alcuna dottrina
e ragione e qualche giustizia» (cit. in Raimondi 1998, 136). La dimensione dialettica dell’ermeneutica neoplatonica e cristiana di Landino non è
lontana da quanto affiora nella caratterizzazione dei centauri nel testo
di Andreini: si pensi alla prepotenza tutta bestiale di Plageone (anche
18
Aresu. La Centaura di Giovan Battista Andreini tra poetica e teatro
Tales of Unfulfilled Times, 9-30
in considerazione dell’unione ipostatica tra satiri e centauri già vulgata
nella tradizione classica) e, per contrasto, alla situazione tutta umana del
litigio familiare in cui egli è coinvolto con Rosibea (II, i, 88-95); o ancora
alla rhésis di Rosibea, intensa auto-apologia contro le accuse di ferinità
mossele da Artalone (III, xi, 163): «Siam fere: ma humane; siam fere: ma
Reali; siam fere: ma fere tali non solo temute furno tra boschi, inchinate tra
Regie: ma stellificate in cielo», battuta in cui la natura ambigua e duplice
del centauro è retoricamente sottolineata dal parallelismo, dall’antitesi,
e dall’anafora, oltre che amplificata nella klímax concettuale e sillabica
ascendente.
Si è detto che il soggetto dell’opera è funzionale ad una struttura fortemente inclusiva. Sul piano delle scelte di poetica e conformemente alla
fabula, questa inclusione implica sia una commistione ibrida di generi sia
la possibilità di sfruttare al massimo ogni eventuale soluzione drammatica,
in funzione dell’esito spettacolare della messa in scena, secondo le modalità di interazione tra considerazioni letterarie ed esigenze di mercato
teatrale cui si è più volte accennato. Il testo, inoltre, sembra configurarsi
come un catalogo e repertorio di possibili espedienti drammatici a uso di
futuri drammaturghi. Il testo teatrale diventa di fatto teatro della memoria,
in quanto lo svolgimento della Centaura sembra diretto a inventariare,
registrare, e replicare le strategie sceniche e testuali del dramma barocco
con scene incastonate nella scena, maschere, cerimonie, cambi di ruolo,
travestimenti, e accenni ai più svariati arredi di scena. Nulla sembra mancare sulla scena comico-pastorale-tragica e palesi sembrano essere persino
i suggerimenti sull’esecuzione della voce e delle musiche. La natura di catalogo del testo è sottolineata peraltro dal ripetersi di pause nell’azione per
dare spazio a resoconti e riepiloghi che ‘facciano il punto’ su una vicenda
massimamente intricata per il sovrapporsi e accumularsi di temi e motivi.
Si è detto che la possibilità di leggere l’impianto teoretico della Centaura
come trattato di poetica in forma di dramma sembra essere autorizzata in
primo luogo dalla presenza di numerosi spunti di riflessione metatestuale
e metadrammatica dell’opera, che sottolinea continuamente la relazione
tra realtà e letteratura e la propria natura di testo.
È in effetti difficile sfuggire alla tentazione di leggere in chiave metatestuale simili speculazioni sulla natura degli avvenimenti umani: «Ecco
o d’Athene Filosofi maggiori, falso e bugiardo il vostro detto, che duo
contrarii in un suggetto solo, in un sol tempo non possano insieme stare;
e pur hoggi alberga in noi doglia e contento» (III, viii, 149). La presenza
radicata di riferimenti metatestuali intensifica la pregnanza teoretica del
testo e invita il lettore alla decodifica di esso in senso critico-letterario.
Il fatto che, d’altra parte, tra realtà rappresentata, poesia, e poetica vi
sia un alto grado di consustanzialità emerge ripetute volte nel corso
del dramma. Basti citare, dal primo atto (la commedia), la motivazione
offerta per la nascita di una centaura da una coppia di umani:
Aresu. La Centaura di Giovan Battista Andreini tra poetica e teatro
19
Tales of Unfulfilled Times, 9-30
il tutto era successo per opra di un Padiglione tutto a Centauri così bene
al vivo espressi, che il moto solo a questi mancava. […] e questo caso co’
più savi Telchini strettamente considerato trovarono ch’una fissa immaginazione, una virtù operativa (uno sforzo di Natura interno) questo far
poteva; e qui portarono in campo l’essempio e di huomini e d’animali, e
di Clorinda e di cent’altri, che farà lungo il raccontarli. (I, iv, 62)
Il lettore (lo spettatore) è intento nella lettura (nella visione) del testo
(della sua rappresentazione scenica); parallelamente il testo racconta di
un personaggio che fissa un dipinto che rappresenta, con effetti dirompenti
sul fruitore, lo stesso soggetto del dramma (i centauri). Secondo il celebre
paradosso wildiano, non è l’arte a imitare la vita, quanto piuttosto la vita
a imitare l’arte. L’effetto telescopico indurrebbe quasi nella tentazione di
pensare che il dipinto del padiglione altro non sia che quello ipotizzato da
Orazio nel citato esordio della sua Ars poetica, ma invertito di segno: non
una testa di cavallo su un collo umano, bensì viceversa una testa umana
su un corpo equino, poiché, in linea con le considerazioni neoplatoniche
della dedica, «la parte umana si prende per le più alte e sovrane speculazioni, e la ferina per le cose basse e vili» (Vazzoler 2004, 40). Ad essere
invertito di segno è anche l’effetto sul fruitore: non una risata (si pensi alla
interrogativa retorica «risum teneatis» nel citato passo di Orazio), ma la
premessa di uno sviluppo tragico degli eventi.
In un classico studio sull’argomento, Richard Hornby articola le strategie metadrammatiche in cinque categorie che spesso si sovrappongono l’una all’altra o interagiscono reciprocamente: il play within the play e il role
playing within the role (l’interpretazione da parte di un personaggio di un
ruolo diverso dal suo), i riferimenti letterari, gli elementi autoreferenziali,
e gli episodi cerimoniali o rituali (cf. Hornby 1986). Lo studio di Hornby
pecca talvolta di esprit de système ed eccessivo rigore classificatorio, ma
un uso flessibile di queste categorie può essere utile a delineare alcune
tipologie costanti di occorrenze metatestuali della Centaura.
Nella Centaura un lungo episodio di play within the play è legato alla
citata simulazione della follia da parte di Filenia e Lelio. La finzione da
parte dei due caratteri costituisce di fatto la messa in scena di una rappresentazione di secondo grado all’interno del dramma: una rappresentazione
che è peraltro, con ulteriore stratificazione di livelli testuali, un esempio
paradigmatico dei lazzi di pazzia della commedia dell’arte. L’episodio riproduce gli elementi del play within the play piuttosto che proporsi come mero
role playing within the role per una serie di elementi che ne sottolineano
la natura teatro nel teatro: la presenza di uno spazio-soglia (l’ospedale
dei pazzi) e di un pubblico di spettatori interno al testo, che riproduce le
condizioni degli spettatori esterni. La nozione di simulazione è peraltro
affermata esplicitamente ed evidenziata dal poliptoto del verbo ‘fingere’,
che puntella le scene di pazzia:
20
Aresu. La Centaura di Giovan Battista Andreini tra poetica e teatro
Tales of Unfulfilled Times, 9-30
LELIO Eh, eh, eh, tuf, tuf, tuf; tappa, tappa, tà.
FEDELE E V.S. dice che non son pazzi; son tali, che ne faran divenir
pazziancor noi, se non ci veliam di qua prestamente.
FIDIMARTE Fingono ti dico, fermati. O Lelio, o Lelio; ho già per dirla
udito il tutto; so che pazzo non siete: ma per Filenia il fingete. (I, x,
75; enfasi dell Autore)
Lo stesso verbo fingere è assunto a termine emblematico del fenomeno artistico e delle sue implicazioni in termini di teoria del verosimile e
del meraviglioso nella premessa al lettore, in cui la forza della poesia è
definita «facere, aut fingere verisimilia» (Vazzoler 2004, 44). L effetto di
inserimento di un episodio scenico in un altro offre peraltro piena legittimità artistica e letteraria ai citati lazzi di pazzia della commedia dell arte,
e palesa un ulteriore esempio della tecnica combinatoria e inclusiva di
Andreini. Nella Centaura la finzione di secondo grado produce una dislocazione della percezione; costringe lo spettatore e il lettore a una visione
bifocale (il «seeing double» descritto da Hornby); mette in discussione,
in definitiva, il valore di verità dei diversi livelli drammatici, insinuando il
sospetto che ve ne siano altri di cui lo spettatore sia parte senza esserne
partecipe: come scrive Hornby, «the play within the play is projected onto
life itself, and becomes a mean for gauging it» (1986, 45). La finzione di
secondo grado crea inoltre una interferenza in quella di primo grado e
influisce radicalmente sugli sviluppi di questa. Si ritornerà brevemente
su questi elementi nelle conclusioni.
Si è detto che i passi autoreferenziali palesano il testo drammatico in
quanto testo, ne rivelano la natura di finzione letteraria, e ne intensificano
la pregnanza teoretica di trattato sui generis sull arte drammatica. Gli
esempi sono numerosi. Quello che segue non vuole esserne un inventario
sistematico, ma piuttosto dare un idea della loro varietà.
Un esempio di manifesta metateatralità è nell annuncio della morte del
re Cercàso nel terzo atto (la tragedia), che avviene secondo la classica
strategia del Botenbericht (il racconto del messaggero), come non manca
di rilevare, con forte coscienza della propria teatralità, una battuta di
Perlino («paggio favorito del Re, e molto letterato», come ci informa la
sezione sulle dramatis personae): «ma s io taccio, ben la Fama sollecita
e infaticabile è già comparsa nella Scena del Mondo, quasi tragico messaggero dicendo, che Cercàso è morto» (III, viii, 146). La realtà dei fatti è
assimilata allo spazio scenico, le vicende umane narrate vengono palesate
nella loro natura fittizia, e le dinamiche della storia vengono lette nei modi
(e nei termini tecnici) della prassi drammaturgica.
Un simile approccio alla vicenda rappresentata, percepita in termini di
evento scenico, è nella lunga battuta di Perlino che, per la sua pregnanza
metatestuale, vale la pena riportare nella sua interezza:
Aresu. La Centaura di Giovan Battista Andreini tra poetica e teatro
21
Tales of Unfulfilled Times, 9-30
PERLINO
morto; e con la sua morte questa corte che fu Idea delle
maniere gravi, Specchio delle Azzioni Cavalleresche, e Theatro delle
heroiche imprese, hoggi di se stessa dimenticata, co’l capo chino, si
rappresenta ne gli occhi del mondo Idea: ma di dolore Specchio: ma
di horrore Theatro: e di tormento {Gemono i Cigni, che sì dolcemente nel Carpathio Mare solevano musici canori diportarsi; imprimono
piaghe le penne, che formavano caratteri, stridono le tombe che armoniose facevano risuonar l’aria, sordi e flebili s’odono i tamburi,
che guerrieramente strepitosi, e allegri risvegliavano i cuori: sono
imbrunite l’armi, che lampeggiavano fiamme, e corre per ultimo d’inchiostro il Fiume Gandura che già dalle fauci sgorgava puro argento}
(III, viii, 146)
La scena del mondo è tragica, la materia è grave, con richiami agli argomenti della tradizione cavalleresca, e gli stessi fiumi si riempiono dell’inchiostro della eloquenza tragica di Andreini. A questa battuta fa eco quella
di Artalone, che definisce «accidente Tragico e Reale» il dover compiangere
il re morto e che non si spiega come da un testo tragico si possa raggiungere un finale comico, «da un infausto principio un lieto fine», quasi ponendo
all’interno del testo la questione della legittimità della natura composita
dell’opera. Artalone prosegue quindi definendo il suo dubbio degno di «mostruosa Sfinge» e Perlino (chiamato a risolverla) un «novello Edippo» (III,
viii, 146-7). Non sarà tuttavia una Sfinge a risolvere questa aporia stilistica
e retorica, ma piuttosto una centaura. Perlino sembra alludere, ambiguamente e anfibologicamente, sia al personaggio di Florinda (la centaura che
Artalone dovrebbe sposare per essere legittimamente coronato sovrano)
sia al testo (la Centaura, in cui è egli stesso un personaggio e che coniuga
materia comica e tragica). Il riferimento al protagonista della più nota
tragedia classica (e quella celebrata come esemplare da Aristotele) è un
ulteriore indicazione che i personaggi del testo interpretano la loro realtà
tutta letteraria attraverso il filtro della letteratura e che per loro, come per
noi, sia difficile sfuggire alla propria natura testuale.
La relazione con Aristotele non è mai facile. È il consigliere Tirenio a
lamentare la insensatezza della norma logica (e si potrebbe aggiungere: poetologica) del principio di non contraddizione, che vieti «che duo
contrari in un suggetto solo, in un sol tempo non possano stare insieme»
(III, viii, 149). Sulla definizione degli eventi come misti di commedia e
tragedia ritorna il mago Astianante in conclusione del dramma: «casi di
lagrime, e di contento misti» che inducono a «e lagrimare, e giubilare»
(III, xi, 175). Anche Plageone, in punto di morte, riconosce il carattere
fondamentalmente tragico della vicenda dei suoi figli come un «tragico
accidente» (III, xi, 170).
I riferimenti ai testi letterari e l’accostamento di questi alla vicenda del
dramma presentano una casistica altrettanto varia e contribuiscono al di22
Aresu. La Centaura di Giovan Battista Andreini tra poetica e teatro
Tales of Unfulfilled Times, 9-30
svelamento della natura letteraria e teatrale del testo. Si è detto dell’associazione tra la materia del dramma e la tragedia di Edipo. Riferimenti simili
popolano numerose battute del dramma. Le «novelle» (notizie) che giungono a Bernetta sono l’occasione per quest’ultima di sfruttare le strategie
dell’aequivocatio e di associarle scherzosamente al genere della novella,
quasi a voler sottolineare il carattere testuale di entrambe: «E che sono le
novelle del Boccaccio, o dello Straparola?» (I, vii; 68). Il riferimento letterario è tanto più pertinente se si considera che la produzione dei due autori
costituisce un vero e proprio serbatoio di temi, miti, e motivi per il teatro
rinascimentale. Ed è ancora Bernetta a fornire un apprezzamento sull’esito
positivo dell’intreccio della commedia che è anche una valutazione estetica
e critica del testo in cui è ella stessa personaggio: «O che bel caso d’amore è
questo; si potrebbe farne al certo una Commedia bellissima» (I, xiii, 82). Se è
vero che a teatro, come scrive Cesare Segre, «il pubblico è consapevole del
carattere non spontaneo delle enunciazioni che ascolta e della loro natura
di enunciato di un autore assente» (1984, 20), nella Centaura la stessa consapevolezza sembra caratterizzare anche i personaggi: in particolare quelli
secondari, i quali, meno coinvolti nello sviluppo della vicenda, assumono il
ruolo di pubblico privilegiato e di osservatori (e commentatori) interni alla
cornice del testo.
È questo anche il caso di Orintio («sacerdote Rhodiotto del Re»), il quale, nel constatare la morte del Re Cercàso, produce un elenco di oggetti
scenici ed elementi drammatici che assumono caratteristiche funebri e,
di fatto, tragiche: «l’apparato è tetro, la pompa oscura, la vista horrenda, lo spettacolo horrendo, le facelle nere, il rogo infausto, gli stendardi
funesti, le tombe rauche, i tamburi discordi, i sembianti pallidi, il canto
flebile, la voce roca, e ’l mio cuore trafitto» (III, x, 152). Il passo è peraltro
sintomatico di quella tendenza catalogica della Centaura, che si pone come inventario non solo di soluzioni testuali, ma anche di arredi di scena.
Che Orintio sia particolarmente consapevole della natura teatrale della
vicenda alla quale partecipa e al contempo intuisca quanto la realtà si
muova sulle linee guida di una ‘topica’ drammatica emerge chiaramente
dal suo continuo interpretare la storia secondo categorie teatrali: «O così
grandi spettacoli, e nuovi di dolore» (III, xi, 168). Una simile transizione
da semplice personaggio che agisce sulla scena ad individuo che ha consapevolezza testuale (e anzi autoriale) degli eventi del dramma è quella di
Bibenio, che spesso coordina la rappresentazione e l’azione scenica degli
altri personaggi. Egli ordisce e gestisce la trama della vicenda chiamando
in scena gli attori al momento opportuno e dando loro indicazioni quasi
registiche (III, ii, 131).
Tra le categorie impiegate da Hornby per descrivere i fenomeni metateatrali (e metatestuali), il role playing within the role assume particolare
rilievo nella Centaura, in virtù del fatto che i personaggi si fingono altri,
spesso si travestono, e talvolta interpretano un ruolo che credono autenAresu. La Centaura di Giovan Battista Andreini tra poetica e teatro
23
Tales of Unfulfilled Times, 9-30
tico, ma che in realtà è stato scritto ad hoc per loro da altri. I personaggi
che passano dalla commedia alla pastorale (tramite l’evento liminale del
naufragio) sentono la necessità del travestimento: «sarà bene che ‘n habiti di pastori, ci vestiamo» (II, iii, 99). I personaggi sono guidati da un
duplice istinto: da un lato il bisogno di perseguire la strategia dell’inganno
elaborata nel primo atto, dall’altro l’urgenza metatestuale di conformare
stile e carattere al contenuto secondo il principio retorico del conveniens
(adeguamento della forma al contenuto). L’insistenza, anche terminologica,
sull’idea di travestimento e costume conferma quanto detto in una battuta
di Lelio, in cui si noti il poliptoto del verbo ‘vestire’ e la serie sinonimica
«arnesi»/«habiti»: «Rimangasi intanto, ch’io vesto questi pastorali arnesi
Lidia alla Capanna di Solimbrio, ch’io con iscusa di cercar per lei habiti
ninfali, mi sono allungato della sua importunità, e lasciando Filenia che
da Ninfa si vesta» (II, vi, 103). E lo conferma ancora la battuta di Fedele:
«Egli è tutto intento a cercare spoglie pastorali, perché tutti a genitori ci
occultiamo» (II, viii, 106). La stessa isola di Rodi è chiamata ad un gesto
di personificazione e ad adeguarsi, teatralmente, a un nuovo costume. La
realtà fisica e naturale deve informarsi a principi di azione drammatica:
«Ah, Rhodi, Rhodi, se ti vanti d’haver ogni giorno rimirato il Sole, mal
grado d’ogni membroso horrore, cangia, cangia costume, e ti contenta che
per sempre la sua faccia nasconda, se per sempre Cercàso in cieca tomba
asconde la sua (III, iv, 135-6; enfasi dell’Autore).
Conforme alla nozione di play within the play sono anche gli episodi in
cui il pubblico interno al testo è chiamato ad assistere a rituali o cerimonie
caratterizzati da una forte connotazione drammatica e da una chiara impostazione scenica e ostensiva. Il patibolo dove Tirsi e Filli dovrebbero essere
giustiziati alla fine del secondo atto assume i connotati di un piano rialzato
che replica within the play il palcoscenico e mette in scena un rito di purificazione che sembra richiamare le origini rituali del dramma; un rito che
gode appunto di un duplice pubblico, interno ed esterno al testo, la cui presenza è richiamata e sottolineata dalla pulsione scopica dei ricorrenti verba
videndi. Un effetto simile produce il «letto superbo» (e rialzato) sul quale
si trova il Re di Rodi moribondo e il cui movimento sulla scena è indicato
dal riferimento ad «aurati rotondi ordigni» nel dialogato e nelle didascalie
(III, iv, 132-3). L’effetto di ostensione e la natura di rappresentazione della
scena del re morente sono di nuovo sottolineate dalla presenza di verbi di
percezione visiva: «Hor ti veggio, misero me, morire»; nonché dall’esplicita descrizione dell’evento in termini di spettacolo: «rimirare spettacolo
così lagrimoso, e mesto» (III, iv, 134). Anche il consigliere Dalmazio è ben
conscio della natura drammatica degli eventi cui assiste, del suo ruolo di
spettatore, e della sua posizione mediana tra la scena interna al testo (cui
partecipa e che osserva) e chi assiste al dramma al di là di quella quarta
parete che sembra sempre più un confine permeabile e poroso: «veniamo
ad essere spettatori di così eccelse meraviglie» (III, viii, 149).
24
Aresu. La Centaura di Giovan Battista Andreini tra poetica e teatro
Tales of Unfulfilled Times, 9-30
All’insistenza sull’immagine dell’altare, che sottolinea il carattere rituale dell’azione e insieme le modalità visuali e teatrali di essa, si ricollega
quindi l’ostinato riferimento al carattere scenico e metatestuale del re
Cercàso morente sul letto: «spettacolo tanto lagrimoso» (III, xi, 172). Nel
testo il rito e la cerimonia, anche quando siano solo anticipati e si svolgano in realtà oltre i confini testuali, hanno carattere metaletterario per
il lettore e lo spettatore informati, in quanto si ricollegano culturalmente
alle origini del teatro: tanto più per un fruitore secentesco subissato da
continui riferimenti alla Poetica aristotelica, dove questo collegamento è
teorizzato per la prima volta. Il rito ha inoltre funzione metateatrale in
quanto con esso si presenta un fenomeno culturale che ha i caratteri della
performance e che per estensione, per dirla con Hornby, «stimulates an
interest in the nature of human ‘performing’ generally» (1986, 55).
4
La dispositio e il dibattito critico
Se a livello di inventio la scelta della materia palesa la volontà di coniugare
teoria e prassi drammatiche, erudizione letteraria, e dimensione professionale autoriale e attoriale, è nella dispositio (l’ordine di presentazione
della materia) che forse più compiutamente si prospetta una teoria del
genere drammatico e si inferisce una implicita considerazione sulla storia della sua evoluzione. La dispositio procede da commedia a tragedia
attraverso il genere pastorale intermedio. Il testo punta innanzitutto a una
classificazione di valore dei generi, con la progressione da testo comico
a testo tragico; offre inoltre un implicito approccio teorico e storico alla
loro genealogia e ai loro rispettivi rapporti; dialoga, infine, con i contributi
critici della precettistica poetica contemporanea. La struttura della Centaura sembra difatti considerare con particolare attenzione le valutazioni
critiche sulle forme drammatiche espresse da Giovan Battista Guarini e
Giovan Battista Giraldi Cinthio.
Le posizioni teoriche di Giovan Battista Guarini sono per molti versi
affini alla prassi combinatoria e inclusiva che emerge dalla Centaura, ma
se ne distanziano in un punto specifico: il Pastor fido, tragicommedia pastorale secondo il frontespizio della sua editio princeps (Venezia, 1590),
non si pone come testo molteplice, che produca una doppia struttura e che
offra due diversi esiti. L’opera di Guarini è «non doppia ma mista», «non
semplice ma composta», ovvero coniuga elementi comici e tragici in una
coesiva ambientazione pastorale con una singola conclusione di carattere
comico, sulla scorta dell’Amphitruo di Plauto,4 ovvero della commedia
Tito Maccio Plauto stesso, si dica per incidens, nel prologo dell’Amphitruo definisce il
suo dramma tragicocomoedia (secondo altre lezioni tragicomoedia), sancendo per Guarini la
4
Aresu. La Centaura di Giovan Battista Andreini tra poetica e teatro
25
Tales of Unfulfilled Times, 9-30
terenziana, di cui intende riprodurre lo sviluppo secondo la tripartizione
strutturale in prótasis, epítasis e catastrophê.
La posizione di Giraldi Cinthio è invece più coerente con il dettato aristotelico che ammetteva in alcuni casi la possibilità di una tragedia diplê
(duplice), sulla scorta delle microstrutture del poema odissiaco (che presentavano il lieto fine per i giusti e un esito disastroso per i riprovevoli).
Sulla base di questa tipologia tragica, Cinthio rivendica la plausibilità di
una tragedia di lieto fine, categoria nella quale peraltro includeva anche
l’Amphitruo plautino e molta della produzione euripidea.
La Centaura da un lato dialoga con la soluzione prospettata da Guarini:
riproduce cioè nella sua macrostruttura lo sviluppo tricolico di prótasis-epítasis-catastrophê nella sequenza commedia-pastorale-tragedia, in cui ognuno
degli atti si sviluppa a propria volta in microstrutture trimembri, secondo la
ormai consueta tecnica della contaminazione dei modelli e della massima
inclusione di elementi topici. Inserisce inoltre elementi tragici nella commedia (l’orrore e la violenza dell’ospedale dei pazzi di Stillino) e nella pastorale
(la minaccia di morte che incombe sui presunti fratelli accusati di incesto).
Dall’altro lato non rifiuta l’idea di una più rigorosa struttura binaria
sull’esempio cinthiano e accoglie l’istanza di un finale duplice: morte (e
dannazione) per Artalone, Plageone e Rosibea, ma anche rigenerazione
nel matrimonio dei due centaurini e nell’incoronazione della centaurina.
In maniera non inopportuna nell’ambito di un discorso e di una pratica
di forme drammatiche eterogenee, Andreini inserisce inoltre un interludio pastorale, sulla scorta dell’esempio offerto dal Ciclope di Euripide,
unico dramma satiresco superstite, e soprattutto dell’autorità oraziana in
materia. Il carattere più rilevante dell’ambiguo accenno che Orazio fa al
dramma satiresco nell’Ars poetica è indicativo della stretta connessione di
esso con la tragedia, nonostante la presenza dell’elemento comico:
Carmine qui tragico vilem certavit ob hircum
mox etiam agrestis Satyros nudavit et asper
incolumi gravitate iocum temptavit eo quod
inlecebris erat et grata novitate morandus
spectator functusque sacris et potus et exlex. (Hor., Ars poet., 220-4)
Quei, che per un misero capro affrontò le gare della tragedia, portò nudi
sulla scena anche i satiri campagnoli e, sempre conservando il decoro,
tentò alla rustica un componimento scherzoso, perché doveva trattenersi con facezie e nuovo diletto lo spettatore, che dato fine al sacrifizio,
era brillo e senza freno.
legittimità del concetto e del termine, che non sarà invece mai utilizzato da Giraldi Cinthio.
Cf. Plaut., Amph., 59.
26
Aresu. La Centaura di Giovan Battista Andreini tra poetica e teatro
Tales of Unfulfilled Times, 9-30
La dispositio delle sezioni della Centaura sembra conferire un ruolo centrale alla pastorale, cui la precettistica cinquecentesca e l’autorità oraziana
avevano fermamente legato il dramma satiresco. Dal testo sembra emergere il suggerimento che al centro dello sviluppo delle forme drammatiche
più nobili vi siano le prime forme comiche di improvvisazioni satiresche e
falliche, e che la tragedia si realizzi per un graduale processo di differenziazione del serio dal comico o comunque per una differenziazione reciproca a partire da una comune origine. Come scrive Ferdinando Vazzoler negli
appunti di lettura premessi alla sua edizione della Centaura, «la chiave
per capire la struttura della Centaura, allora, è quella non della fusione
dei generi, del loro mescolamento, ma piuttosto quello della loro metamorfosi» (2004, 26). Una tipologia genealogica comune giustificherebbe
l’accostamento e l’interazione delle tre forme testuali in una struttura
organica superiore, ancor più alla luce della accennata affinità tipologica
tra satiri e centauri e sulla scorta di due noti (benché criptici) passaggi
della Poetica di Aristotele, secondo il quale la tragedia:
da racconti piccoli e un linguaggio scherzoso, poiché il suo processo di
trasformazione muoveva dal satiresco, assunse tardi toni solenni, e il
verso di tetrametro si fece giambo. All’inizio si adoperava il tetrametro
perché la poesia era satiresca e piuttosto ballabile. (Arist., Poet., 1449 a
19-23)
Sorta dunque [scil. la tragedia] da un principio di improvvisazione – sia
essa sia la commedia, l’una da coloro che guidavano il ditirambo, l’altra
da coloro che guidavano i cortei fallici che ancora oggi rimangono in uso
in molte città –, a poco a poco crebbe perché i poeti sviluppavano quanto
in essa veniva manifestandosi, ed essendo passati per molti mutamenti,
la tragedia smise di mutare quando ebbe conseguito la propria natura.
(Arist., Poet., 1449 a 9-15)
Ancora una volta il testo di Andreini sembra tener ben presente il dibattito critico contemporaneo e costituirsi a propria volta come riflessione
teorica su forme drammatiche, pratica di scrittura, e tecnica di rappresentazione.
Un ulteriore indizio a conferma della plausibilità di una simile lettura
è peraltro offerto dalla distribuzione dei personaggi nel testo: benché le
dramatis personae siano infatti catalogate sulla base della loro occorrenza
nei tre atti, e quindi siano in principio classificate come comiche, pastorali
o drammatiche, «la dinamica dei personaggi, nella Centaura è diversa.
Essi non si distinguono in tre diversi generi, ma viaggiano da un genere
all’altro» (Taviani 1989, 227). Questo aspetto assume una rilevanza ancora
maggiore se consideriamo che i personaggi che sono effettivamente in
grado di attraversare il testo sono individui nati in coppie gemellari, ovvero
Aresu. La Centaura di Giovan Battista Andreini tra poetica e teatro
27
Tales of Unfulfilled Times, 9-30
personaggi identici che subiscono indifferentemente un trattamento comico o tragico; e il fatto che le coppie gemellari abbiano anche gli stessi nomi
sembra enunciare teoricamente l’ambivalente natura, comica e tragica,
del personaggio drammatico, e quindi la legittimità della commistione dei
generi. Come sempre alla dimensione poetica si affianca la possibilità di
massimizzare, con l’utilizzo delle coppie di gemelli, le dinamiche dell’intreccio, secondo la più classica tipologia della commedia degli equivoci.
5
Conclusioni
Nel testo di Andreini, in sintesi, si teorizza, si descrive, e si realizza una
tensione inclusiva che tende a sfruttare in maniera funzionale le più difformi strategie che possano giovare al copione, al suo esito scenico, e al testo
letterario pubblicato (a prescindere dall’ordine reale in cui queste fasi si
presentino). La Centaura si configura inoltre, in virtù del suo continuo
riflettere su se stessa, come trattato di teoria della letteratura drammatica in forma di testo teatrale. Si presenta, infine, come summa del teatro
rinascimentale e insieme catalogo di tutti gli elementi caratterizzanti della spettacolarità barocca: colpi di scena, apparizioni di mostri e diavoli,
ostentazione di crudeltà, miracoli, allegorie, giochi militari, intermezzi. Le
implicazioni non sono esclusivamente letterarie: «al centro della Centaura
[…] c’è il rifiuto delle scelte unilaterali. L’esigenza di preservare la vita
dei contrasti. Un’idea di ordine basata sull’armonia degli opposti e non
sull’eliminazione del polo ‘negativo’» (Taviani 1989, 239).
Da quanto detto deriva anche il minore valore pragmatico e performativo della parola nel testo di Andreini che assume spesso tendenze diegetiche più consone ai testi narrativi. Come scrive Ferdinando Taviani, «la
scrittura dell’Andreini non è fatta per lasciar trasparire l’azione dietro le
battute dei personaggi» (1989, 223). È normale riscontrare, insomma, battute analettiche che riproducono, spiegano, o valutano segmenti testuali
precedenti; ovvero battute prolettiche, che presentano diegeticamente
temi da animare poi mimeticamente. Da ciò deriva anche, come nota Siro
Ferrone, l’innovazione tipografica di inserire didascalie a commento delle parti dialogate, nonché l’amplificazione descrittiva di alcune battute
che sembrano innestare sul dialogo annotazioni implicite atte a fornire
ulteriori indicazioni di scenotecnica, regia, e recitazione (Ferrone 1993,
224). Per dirla ancora con Siro Ferrone: «Andreini ama esibire le tracce di
spettacolo che costituiscono la sedimentazione drammaturgica della sua
tessitura letteraria» (223).
Ma non basta. Nella Centaura, la nozione di teatro del mondo non è
limitata a quella che Silvia Carandini descrive come mera dimensione
metaforica di «miraggio di un complesso universo delineato nelle proiezioni illusionistiche di uno spazio architettonico, nelle visioni oniriche
28
Aresu. La Centaura di Giovan Battista Andreini tra poetica e teatro
Tales of Unfulfilled Times, 9-30
di una scena teatrale in cui si rispecchia la ‘macchina terrena’ della vita
dell’uomo» (1999, 6). Nella Centaura si realizza invece una confusione
progressiva tra testo e realtà al di fuori di esso, tra finzione e verità. La
vita è percepita e, soprattutto, rappresentata come già teatralizzata, «seen
as already theatricalized» (Abel 2003, 134-5), e non vi è traccia di una fase
in cui sia stata precedentemente autentica, non testuale. Il vestire costumi diversi e l’assunzione di ruoli alternativi sono strategie interpersonali
fondamentali a teatro come nella vita: qualsiasi cosa facciamo, recitiamo.
Per citare ancora Hornby: «We have come to see life not only as a play, but
as a play with no framing reality. All the world’s a stage for us–but nobody
is watching it» (1986, 47).
Bibliografia
Abel, Lionel (2003). Tragedy and Metatheatre: Essays on Dramatic Form.
New York; London: Holmes & Meier.
Benedetti, Laura; Monorchio, Giuseppe; Musacchio, Enrico (a cura di)
(1999). Giovambattista Giraldi Cinthio: Discorso dei romanzi. Bologna:
Millennium.
Carandini, Silvia (1990). Teatro e spettacolo nel Seicento. Roma; Bari:
Laterza.
Carandini, Silvia (2003). «La Ferinda di Giovan Battista Andreini: strategie musicali di un comico dell’Arte». Lattanzi, Alessandro; Maione,
Paologiovanni (a cura di), Commedia dell’Arte e spettacolo in musica
tra Sei e Settecento. Napoli: Editoriale Scientifica, 113-32.
Colamarino, Tito; Bo, Domenico (a cura di) (1967). Quinto Orazio Flacco:
Le opere. Testo latino, trad. e note a cura di T. Colamarino e D. Bo.
Torino: UTET.
Dumézil, Georges (1929). Le problème des Centaures. Étude de mythologie
comparée indo-européenne. Paris: Geuthner.
Ferrone, Siro (1993). Attori, mercanti, corsari. La commedia dell’arte in
Europa tra Cinque e Seicento. Torino: Einaudi.
Fido, Franco (1977). Le metamorfosi del centauro. Studi e letture da Boccaccio a Pirandello. Roma: Bulzoni.
Genette, Gérard (1987). Seuils. Paris: Seuil.
Giavarini, Laurence (a cura di) (2008). Giovan Battista Guarini: Compendio
della poesia tragicomica. Edizione del testo, trad. francese e note a cura
di L. Giavarini. Paris: Honoré Champion.
Guarini, Giovan Battista (1737-38). Opere, vol. 3, Il Verato secondo. Verona: Tumermani.
Henke, Robert (1997). Pastoral Transformations. Italian Tragicomedy and
Shakespeare’s Late Plays. Newark: University of Delaware Press.
Aresu. La Centaura di Giovan Battista Andreini tra poetica e teatro
29
Tales of Unfulfilled Times, 9-30
Herrick, Marvin T. (1946). The Fusion of Horatian and Aristotelian Literary
Criticism, 1531-1555. Urbana: The University of Illinois Press.
Herrick, Marvin T. (1955). Tragicomedy. Its Origin and Development in
Italy, France and England. Urbana: The University of Illinois Press. Illinois Studies in Language and Literature 39.
Hirst, David L. (1984). Tragicomedy. London: Methuen.
Hornby, Richard (1986). Drama, Metadrama, and Perception. Lewisburg:
Bucknell University Press.
Ippolito, Antonella (a cura di) (1998). Marco Tullio Cicerone: De optimo
genere oratorum. Commento a cura di A. Ippolito. Palermo: L’Epos.
Lanza, Diego (1987). Aristotele: Poetica. Introduzione, trad. e note di D.
Lanza. Milano: Rizzoli.
Lombardi, Marco (1995). Processo al teatro. La tragicommedia barocca e
i suoi mostri. Ospedaletto (Pisa): Pacini.
Lotman, Jurij M. (1970). La struttura del testo poetico. Milano: Mursia.
MacNeil, Anne (2004). «Dynastic Iconography and Musical Allusion in
Giovan Battista Andreini’s La Centaura». Reardon, Colleen; Parisi, Susan H. (eds.), Music Observed. Studies in Memory of William C. Holmes.
Warren: Harmonie Park Press, 261-79.
Raimondi, Ezio (1998). Politica e commedia. Il centauro disarmato. Bologna: il Mulino.
Rebaudengo, Maurizio (1994). Giovan Battista Andreini tra poetica e drammaturgia. Torino: Rosenberg & Selliers.
Sarnelli, Mauro (1999). Col discreto pennel d’alta eloquenza. ‘Meraviglioso’
e Classico nella tragedia (e tragicommedia) italiana del Cinque-Seicento.
Roma: Aracne.
Segre, Cesare (1984). Teatro e romanzo. Torino: Einaudi.
Smith, Winifred (1922). «Giovan Battista Andreini as a Theatrical Innovator». The Modern Language Review, 17(1), 31-41.
Taviani, Ferdinando (1989). «Centaura». Alonge, Roberto (a cura di), Viaggi teatrali dall’Italia a Parigi fra Cinque e Seicento = Atti del convegno internazionale (Torino, 6-8 aprile 1987). Genova: Costa & Nolan, 200-33.
Vazzoler, Franco (a cura di) (2004). Giovan Battista Andreini: La Centaura.
Genova: il melangolo.
30
Aresu. La Centaura di Giovan Battista Andreini tra poetica e teatro