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«napoli è tutto il mondo» neapolitan art and culture fr om humanism to the enlightenment international c onference r om e , j u n e 1 9 - 21, 2 0 03 edited by livio pestilli, ingrid d. r owland and sebastian schütze PISA · ROMA FABRIZIO SERRA · EDIT ORE MMVIII Sono rigorosamente vietati la riproduzione, la traduzione, l’adattamento, anche parziale o per estratti, per qualsiasi uso e con qualsiasi mezzo efettuati, compresi la copia fotostatica, il microfilm, la memorizzazione elettronica, ecc., senza la preventiva autorizzazione scritta della Fabrizio Serra · Editore®, Pisa · Roma, un marchio della Accademia editoriale®, Pisa · Roma. Ogni abuso sarà perseguito a norma di legge. * Proprietà riservata · All rights reserved © Copyright 2008 by Fabrizio Serra · Editore®, Pisa · Roma, un marchio della Accademia editoriale®, Pisa · Roma www.libraweb.net Uici di Pisa: Via Santa Bibbiana 28 · I 56127 Pisa Tel. +39 050 542332 · Fax +39 050 574888 E-mail: accademiaeditoriale@accademiaeditoriale.it Uici di Roma: Via Ruggiero Bonghi 11 b · I 00184 Roma Tel. +39 06 70493456 · Fax +39 06 70476605 E-mail: accademiaeditoriale.roma@accademiaeditoriale.it Stampato in Italia · Printed in Italy issn 1 8 2 8 - 8 6 4 2 i s b n 9 7 8 - 8 8 - 8 0 1 1 - 13 9 - 9 CONTENTS «Napoli è tutto il mondo». Arte a Napoli tra Umanesimo ed Illuminismo Nicolas Bock, Center or periphery? Artistic migration, models, taste and standards Serena Romano, Alfonso d’Aragona e Napoli Helen Rotolo, Contibuto all’edilizia napoletana del Quattrocento Gennaro Toscano, Da lui cominciò ad rinovarsi la antiquità: per la fortuna di Andrea Mantegna a Napoli Andreas Beyer, Il Nord che venne dal Sud. Il contributo della Napoli aragonese alla divulgazione e rinascita della pittura sotto il primato fiammingo André Stoll, Jusepe de Ribera, Combattimento femminile. Un manifesto interculturale delle passioni ispano-napoletane tra Rinascimento e Barocco Ingrid D. Rowland, Naples as Image of the World in Giordano Bruno’s Candelaio Sabina de Cavi, Il palazzo reale di Napoli (1600-1607): un edificio ‘spagnolo’? Viviana Farina, Un episodio di committenza genovese nella Napoli del primo quarto del Seicento: la Cappella Massa ai Santi Severino e Sossio Daniela del Pesco, Il cantiere del Pio Monte della Misericordia a Napoli (1606-1678) Cesare de Seta, I viaggiatori stranieri e l’immagine di Napoli nel Seicento Lorenzo Finocchi Ghersi, Luca Giordano a Venezia e la moda dei ‘Tenebrosi’ Rodney Palmer, Making Sense: Neapolitan Illustrated Books in the European Republic of Letters Michele Rak, L’immagine di Napoli nel Seicento europeo Livio Pestilli, Shaftesbury’s «amusements [...] morally turned»: Naples 1711-1713 Sonja Grund, La Pudicizia di Antonio Corradini: la donna velata e la sua fortuna tra Venezia e Napoli Aloisio Antinori, Settecento napoletano a Roma: Filippo Raguzzini per Benedetto XIII nella chiesa e nel convento di Santa Maria sopra Minerva Clara Gelao, Pasquale Ricca, uno scultore dell’Ottocento tra Napoli, Roma e la Puglia 9 11 37 57 79 99 107 141 147 171 185 203 227 243 271 295 309 329 345 DA LUI COMINCIÒ AD RINOVARSI LA ANTIQUITÀ: PER LA FORTUNA DI ANDREA MANTEGNA A NAPOLI Gennaro Toscano C ome ha scritto Giovanni Romano in un noto saggio sulla nascita della maniera ‘moderna’, la fortuna di Andrea Mantegna al di là delle frontiere venete e mantovane è stata facilitata dal sistema delle corti principesche e dalle loro relazioni. Anche a Napoli il celebre artista padovano fu infatti apprezzato dagli umanisti che gravitavano intorno alla corte dei re d’Aragona e copiato dai miniatori locali. 1 Nella prima parte di questo intervento verranno riletti alcuni documenti sui rapporti tra Mantegna e l’ambiente umanistico meridionale, mentre nella seconda si analizzeranno alcuni codici miniati ispirati alla produzione dell’artista padovano. Mantegna tra principesse e umanisti Durante il lungo regno di Ferrante d’Aragona, re di Napoli dal 1458 al 1494, la vita politica e culturale della capitale meridionale è caratterizzata da una notevole apertura verso gli altri centri artistici della Penisola, contatti rinvigoriti soprattutto da un’attenta politica matrimoniale. Se a partire dal 1465, anno del matrimonio tra Alfonso duca di Calabria, figlio di Ferrante, e Ippolita Maria Sforza, si rinsaldano i rapporti con la corte di Milano, i contatti con gli Este di Ferrara già proficui al tempo del Magnanimo – la figlia naturale di Alfonso il Magnanimo, Maria, aveva sposato Lionello d’Este – vengono rinvigoriti grazie al matrimonio tra la figlia di Ferrante, Eleonora, ed Ercole d’Este nel 1473. Da quest’ultimo matrimonio nacque nel 1474 « la prima donna del Rinascimento », Isabella d’Este, che sposò Francesco Gonzaga a Ferrara il 12 febbraio 1490 e tre giorni dopo giunse a Mantova : il pittore di famiglia era, come è noto, Andrea Mantegna, al servizio dei Gonzaga da circa trent’anni. 2 Nel gennaio del 1493 Isabella d’Este accettò di farsi ritrarre dal pittore e promise di inviare il ritratto alla Contessa di Acerra. La Marchesa di Mantova scrisse infatti a Jacopo da Atri che era in viaggio nelle province meridionali : « per satisfare a la ill.ma M.na Contessa de la Cerra, quale amamo cordialmente havemo ordinato de esser retrata in tavola per mane de Andrea Mantinea, et lo faciamo solicitare per mandartila dreto, aciò che tu sii quello che ge la presenti, nanti la partita tua, la quale volemo che non sia senza la eigie de p.ta M.na Contessa, doppo che essa vuola la nostra ». 3 Jacopo da Atri rientrò da Napoli con il rittratto « in carta e in cera » della Contessa di Acerra, come si evince da una lettera del 3 aprile 1493. In tale lettera la Marchesa di Mantova ringraziò l’amica napoletana e, conscia delle diicoltà di trovare « pictori che perfectamente contrafaciano el vulto naturale », le chiese di mandargliene un 1 Giovanni Romano, Verso la maniera moderna : da Mantegna a Rafaello, in Storia dell’arte italiana : dal Cinquecento all’Ottocento, vi, i, Cinquecento e Seicento, Torino, Einaudi, 1981, p. 7. 2 Numerosi sono gli studi sull’attività di Mantegna al servizio dei Gonzaga, si rimanda ai lavori recenti di Alberta De Nicolò Salmazo, Mantegna. La Camera Picta, Milano, Electa, 1996 ; Eadem, Andrea Mantegna, Milano, 2004, pp. 145-232 con bibliografia precedente. 3 Alessandro Luzio, I ritratti di Isabella d’Este, in La Galleria dei Gonzaga venduta all’Inghilterra nel 1627-1628, Milano, L. F. Cogliati, 1913, p. 188. 80 gennaro toscano altro in tavola : « la pregamo non manchi de la fede dattace per mezzo de Jacomo de mandarcece un altro in tavola ; che cussi faremo nui del nostro a la S. V. per satisfare a la richiesta sua, non già perché la vedi una eigie bella, ma perché l’habia in casa la figura di quella che gli è cordialissima sorella ». 1 Da un’altra lettera del 20 aprile dello stesso anno inviata da Isabella alla Contessa di Acerra, si evince che Mantegna aveva finito il ritratto. La Marchesa di Mantova si mostrò però insoddisfatta annunciando alla Contessa di Acerra di non poter inviare il ritratto a Napoli e di doversi rivolgere ad altro pittore : « Dolne summamente che non gli potiamo mandare al presente el nostro retraccto, perché el pittore ne ha tanto mal facta che non ha alcuna de le nostre simiglie : havemo mandato per uno forestiere, qual ha la fama de contrafare bene el naturale ; facto chel serrà lo manderemo subito a la S. V. quale non se scordarà in questo mezzo che siamo tutta sua ». 2 Il pittore che aveva « la fama de contrafare bene el naturale » era Giovanni Santi, sicuramente raccomandato ad Isabella dalla cognata Elisabetta Gonzaga, duchessa di Urbino. 3 Giovanni Santi fu infatti chiamato a Mantova nel 1493 per realizzare non solo il ritratto di Isabella ma anche altri lavori commissionatigli dagli altri membri della famiglia Gonzaga. Tuttavia, Giovanni Santi si spense il primo agosto 1494 4 e non riuscì a portare a termine le imprese per i Gonzaga, tranne il ritratto di Isabella d’Este inviato direttamente alla Contessa di Acerra come si rileva dalla lettera che lo accompagnava, scritta dalla Marchesa il 13 gennaio 1494 : « Ill.ma ed Ex.ma tamquam soror charissima. Per satisfare al desiderio de V. S., non perché la eigie mia sia de tal beleza che la meriti andare in volta depincta, gli mando per Simone da Canossa, cameriere de l’Ill.mo S. Duca de Calabria, el retrato in tavola facto per mano de Zohan de Sancte pintor de la Ill.ma Duchessa di Urbino, qual dicono far bene dal naturale, etiam che questo, secundo m’è referto, se me puoteria più assimigliare ». 5 Chi era la Contessa di Acerra, questa nobildonna meridionale cara ad Isabella « tamquam soror charissima » ? I primi studiosi moderni di Mantegna non si preoccuparono di sciogliere l’enigma, limitandosi semplicemente a commentare le lettere di Isabella e di Jacopo da Atri, sicché Alessandro Luzio nel 1913 non formulò nessuna proposta di identificazione. 6 In anni più recenti, Giovanni Romano, 7 seguito da Giovanni Agosti, 8 Françoise Viatte 9 e da Alberta De Nicolò Salmazo 10 hanno identificato la Contessa di Acerra con Isabella del Balzo, sposa di Federico, ultimo sovrano aragonese di Napoli. 11 Una rilettura delle fonti induce qualche correzione 1 Ibidem. 2 Ivi, pp. 188-189. 3 Sui rapporti tra la Marchesa di Mantova e la duchessa di Urbino vedi : Alessandro Luzio, Rodolfo Renier, Mantova e Urbino. Isabella d’Este e Elisabetta Gonzaga nelle relazioni famigliari e nelle vicende politiche, Torino-Roma, L. Roux e C. Editori, 1893. 4 Ranieri Varese, Giovanni Santi, Fiesole, Nardini, 1994, pp. 24-25. 5 Alessandro Luzio, op. cit., pp. 189-190. 6 Altri studiosi si sono astenuti da qualsiasi proposta di identificazione della Contessa di Acerra : Niny Caravaglia, L’opera completa del Mantegna, presentazione di Maria Bellonci, Milano, Rizzoli, i ed. 1967, nuova serie 1979, pp. 85, 115, n. 82) ; Rodolfo Signorini, Isabella d’Este im Portrait, in “La prima donna del mondo”. Isabella d’Este Fürstin und Mäzenatin der Renaissance, catalogo della mostra a cura di Sylvia Ferino Pagden, Vienna, 1994, p. 88 (dove però viene stranamente citata come « Marchesa von Acerra »). 7 Giovanni Romano, Verso la maniera moderna, cit., pp. 42-43. 8 Giovanni Agosti, Su Mantegna, 4. (A Mantova nel Cinquecento), « Prospettiva », 77, 1995, pp. 64, 77, nota 48. 9 Françoise Viatte, Léonard de Vinci. Isabelle d’Este, Paris, Louvre-rmn, 1999, p. 18. 10 Alberta De Nicolò Salmazo, Andrea Mantegna, Paris, Electa-Gallimard, 1997, p. 18 ; Eadem, Andrea Mantegna, cit., 2004, pp. 173, 220-221. 11 Isabella del Balzo era diventata per matrimonio zia di Isabella d’Este, dato che il re Federico era fratello di Eleonora d’Aragona, madre della Marchesa di Mantova. Su Isabella del Balzo cfr. Benedetto Croce, Isabella del Balzo regina di Napoli, in Storie e leggende napoletane, a cura di Giuseppe Galasso, Milano, Adelphi, 1990, pp. 181-208 ; Santiago López-Ríos, A New Inventory of the Royal Aragonese Library of Naples, « Journal of la fortuna di andrea mantegna a napoli 81 di tiro. La Contessa di Acerra è in realtà Costanza d’Avalos, 1 figlia di Iñigo e di Antonella d’Aquino, entrambi esponenti di famiglie tra le più nobili del regno aragonese, fedelissime alla corte ed alleate con illustri casate europee. 2 Costanza d’Avalos aveva sposato verso il 1477 Federico del Balzo, figlio di Pirro del Balzo e di Maria Donata Orsini. Grazie a questo matrimonio, Costanza divenne cognata di Isabella del Balzo, moglie di Federico d’Aragona, 3 ma anche di Antonia che aveva sposato nel 1479 Gianfrancesco Gonzaga, 4 terzogenito di Ludovico e di Barbara Hohenzollern, zio di Francesco Gonzaga, marito d’Isabella d’Este. Rimasta vedova e senza prole nell’estate del 1483, Costanza d’Avalos ereditò a tutti gli efetti il titolo di Contessa di Acerra 5 e, il 27 aprile del 1501, fu investita del feudo di Francavilla, « nomine et re insigni ». Nel settembre del 1503, dopo la morte del fratello governatore d’Ischia, Costanza assunse il comando dell’isola difendendola dall’assedio delle galee francesi. 6 Costanza non fu solo donna d’azione, anzi sull’isola d’Ischia aveva creato una vera e propria corte interessandosi personalmente all’educazione dei propri nipoti : Ferdinando Francesco marchese di Pescara e marito di Vittoria Colonna, Alfonso d’Avalos, futuro governatore di Milano, ed infine la nipote Costanza, poi andata in sposa ad Alfonso Piccolomini, duca d’Amalfi. A proposito di Ischia, la rilettura di una lettera inviata da Jacopo da Atri alla Marchesa di Mantova il 17 gennaio 1499 conferma inequivocabilmente che la « Contessa della Cerra », amica della Marchesa di Mantova e primitiva destinataria dello sventurato ritratto di Mantegna, fu proprio Costanza d’Avalos. In questa celebre lettera relativa ad un progetto di statua di Virgilio di cui si parlerà più avanti, Jacopo si rammarica di non essersi ancora recato ad Ischia a causa dei tempi invernali poco propizi : « né ad Ischia ho possuto andar a veder la Contessa de la Cerra per li sinistri tempi, bisognando andare per mare, dove non se va senza pericolo, quando è fortuna ». 7 Donna di spicco nella Napoli filoaragonese, legata a Pontano e a Sannazaro che fu suo ospite al rientro dalla Francia, immortalata dal Cariteo, dal Moncada e da altri poeti dell’umanesimo meridionale, Costanza aveva raccolto tra l’altro un’importante biblioteca nota attraverso l’inventario stilato alla sua morte nel 1541. 8 the Warburg and Courtauld Institutes », lxv, 2002, pp. 201-243 ; S. Fodale, Isabella del Balzo, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 62, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 2004, pp. 623-625 ; Santiago LópezRíos, “Pur ancora si dimostra esser regina” : el exilio de Isabella del Balzo y la biblioteca aragonesa de Nápoles, in El libro antiguo español (in c.d.s.). 1 Per un primo profilo di Costanza d’Avalos, vedi Claudio Mutini, Costanza d’Avalos, in Dizionario biografico degli italiani, iv, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italana, 1962, pp. 619-620 e soprattutto Raffaele Colapietra, Costanza d’Avalos e il mito d’Ischia, in Baronaggio, umanesimo e territorio nel Rinascimento meridionale, Napoli, La città del sole, 1999, pp. 103-125. 2 Il fratello di Costanza d’Avalos, Alfonso, marchese di Pescara, aveva sposato Diana di Cardona, mentre la sorella Beatrice aveva sposato il celebre condottiere milanese Gian Giacomo Trivulzio. 3 Sarà stata sicuramente questa parentela tra Costanza d’Avalos-del Balzo ed Isabella del Balzo-d’Aragona ad aver fatto confondere la destinataria del ritratto di Isabella d’Este. 4 I. Lazzarini, in Dizionario biografico degli italiani, lvii, Roma, Istituto dell’Enciclopedia italiana, 2001, pp. 771-773. Antonia del Balzo fu immortalata in una medaglia da Pier Jacopo Alari-Bonacolsi : Karl Schulz, in “La prima donna del mondo”, cit., p. 379, cat. 122. 5 Con questo titolo viene menzionata nelle Cedole della tesoreria regia : « A Madama Costanza de Davalos, contessa della Cerra si danno 10 ducati in parte di 100, che gli si debbono dare per sostentamento suo e dei figliuoli del quondam marchese di Pescara, i quali tiene in suo governo », cedola del 29 dicembre 1497 pubblicata da Nicola Barone, Le cedole di tesoreria dell’archivio di stato di Napoli dall’anno 1460 al 1504, « Archivio storico per le province napoletane », x, 1885, p. 40. 6 Quale compenso alla sua posizione ostentatamente filospagnola, Ferdinando il Cattolico, con regio diploma del 10 maggio 1504, elevò a ducato la dignità di Costanza su Francavilla : Raffaele Colapietra, Costanza d’Avalos e il mito d’Ischia, cit., p. 118. 7 Armand Baschet, Recherches de documents d’art et d’histoire dans les archives de Mantoue, « Gazette des Beaux-Arts », xx, 1866, pp. 486-490. 8 Nell’inventario sono annoverati alcuni codici con lo stemma di Ferrante o di Federico d’Aragona. La Biblioteca nazionale di Napoli possiede una copia settecentesca di questo inventario (Napoli, Biblioteca nazionale, Ms. XIV.G.16), segnalato da Tammaro De Marinis (La Biblioteca napoletana dei re d’Aragona, Milano- 82 gennaro toscano La Contessa di Acerra dovette quindi accontentarsi del ritratto del modesto Giovanni Santi e non di quello di Andrea Mantegna che agli occhi di Isabella d’Este non sapeva « far bene dal naturale ». Tuttavia, nonostante questa ‘occasione mancata’, altre fonti lasciano supporre che la cultura antiquaria-archeologica del grande pittore padovano fosse nota ed apprezzata dagli umanisti meridionali e che sue opere circolavano nella città meridionale. La corrispondenza tra Isabella d’Este e il suo inviato nella capitale del regno, Jacopo da Atri, relativa alla realizzazione di una statua commemorativa di Virgilio, fornisce un altro elemento per valutare le relazioni Napoli-Mantova nonché l’apprezzamento e la fama di Mantegna tra gli umanisti meridionali. In una lettera del 17 marzo 1499, Jacopo da Atri riferì alla Marchesa i suggerimenti di Giovanni Gioviano Pontano, del quale « meritatamente se può dire non solamente all’età nostra, ma dopoi Virgilio, la natura humana non havea producto homo de magiore doctrina, ne valuta de luy ». Pontano avrebbe raccomandato alla Marchesa che il monumento dovesse farsi « de un bel marmo cum una bella basa de sotto, et posta in luoco degno : vedendo farla lavorar ad un qualche degno sculptore, advertendo havere il suo Naturale [...] : et per seguire el stile de li antiqui, gli pareva che la statua dovesse esser sola con la laurea in testa, et col manto allantica, cum l’habito togato col groppo in su la spalla, overo col suo habito senatorio, che e la vesta et il manto sopra come se dice vulgarmente ad arme a collo : come ben saprà ritrovare M. Andrea Mantinia senza cosa alcuna in mano : ma la statua semplice senza libro ne altro sotto in quello acto parerà ad esso M. Andrea, cum le scarpe a lantiqua ». 1 Che Mantegna fosse particolarmente apprezzato dagli umanisti meridionali ne è prova ulteriore l’onorevole menzione che ne fa Sannazaro nell’Arcadia, stampata prima nel 1501 e 1502 a Venezia, e poi in redazione definitiva nel 1504 a Napoli per le cure di Pietro Summonte. Nel capitolo xi dell’Arcadia, Ergasto mette in palio in una lotta tra pastori un bel vaso di acero dipinto dal padovano Mantegna : E subito ordinò i premî a coloro che lottare volessono, ofrendo di dare al vincitore un bel vaso di legno di acero, ove per mano del padoan Mantegna, artefice sovra tutti gli altri accorto e ingegnosissimo, eran dipinte molte cose ; ma tra l’altre una ninfa ignuda con tutti i membri bellisimi, dai piedi in fuori, che erano come quegli de le capre. La quale sovra un Verona, 1947-1969, Supplemento, vol. i, p. 5). Nella vita di Costanza d’Avalos scritta da Gianvincenzo Meola e che precede questa raccolta, sono evocate le relazioni tra la duchessa e i letterati italiani. Meola scrive che il cognato di Costanza, il re Federico d’Aragona, le aveva prestato numerosi libri, rimasti in possesso della duchessa al momento della fuga del sovrano per la Francia. Sul soggetto vedi Gennaro Toscano, A la gloire de Ferdinand d’Aragon, roi de Naples : le ‘De Maiestate’ de Iuniano Maio, enluminé par Nardo Rapicano, in L’Illustration : essais d’iconographie, a cura di Maria Teresa Caracciolo e Segolène Le Men, Paris, Klincksieck, 1999, pp. 134-135 ; R. De Vivo, La biblioteca di Costanza d’Avalos, « Annali di Filologia Romanza dell’Istituto Universitario Orientale di Napoli », 1996, pp. 287-302. 1 La celebre lettera, inviata da Jacopo da Atri ad Isabella d’Este, fu scoperta e pubblicata per la prima volta da Armand Baschet nel 1866 (op. cit., pp. 486-490), poi ripubblicata da Alessandro Vezzosi in Leonardo e il leonardismo a Napoli e a Roma, catalogo della mostra, Firenze, Giunti Barbèra, 1983, pp. 127-128, e da Rodolfo Signorini in “La prima donna del mondo”, cit., pp. 130-132. Sui rapporti tra Pontano e Isabella d’Este vedi : Paul Kristeller, Andrea Mantegna, London-New York-Bombay, Longmans, Green, 1901, p. 403 ; Alessandro Luzio et R. Renier, La coltura e le relazioni letterarie di Isabella d’Este Gonzaga, Torino 1903, p. 399 ; Giovanni Romano, Verso la maniera moderna, cit., p. 7, n. 5 ; Rodolfo Signorini in “La prima donna del mondo”, cit., pp. 127-132, nn. 57-58 ; Giovanni Agosti, Su Mantegna, 3. (Ancora all’ingresso della “maniera moderna”), « Prospettiva », 73-74, 1994, pp. 131, 139, n. 3 ; Alberta de Nicolò Salmazo, Andrea Mantegna, cit., 2004, pp. 22-23. Sul disegno raigurante una statua di Virgilio (Parigi, Louvre, Département des Arts-Graphiques, inv. RF 239) vedi Andrea Mantegna, catalogo della mostra a cura di Giovanni Paccagnini, Mantova, settembre-ottobre 1961, Vicenza, Neri Pozza, 1961, p. 171, n. 126 e fig. 144 ; Giovanni Agosti, Su Mantegna, 3, cit., p. 139, n. 3 ; Rodolfo Signorini in “La prima donna del mondo”, cit., pp. 127-132, nn. 57-58 ; sul disegno 1672 F del Gabinetto di Disegni e stampe degli Uizi vedi David Ekserdjian in Andrea Mantegna, catalogo della mostra a cura di Jane Martineau, Londra-New York 1992, Milano, Electa, 1992, n. 152, p. 474 ; Giovanni Agosti, Su Mantegna, 3, cit., p. 139, n. 3. la fortuna di andrea mantegna a napoli 83 gonfiato otre sedendo, lattava un picciolo satirello, e con tanta tenerezza il mirava che parea che di amore e di carità tutta si struggesse : e ‘l fanciullo ne l’una mammella poppava, ne l’altra tenea distesa la tenera mano, e con l’occhio la si guardava, quasi temendo che tolta non gli fusse. Poco discosto da costoro si vedean duo fanciulli pur nudi, i quali, avendosi posti duo volti orribili di mascare, cacciavano per le bocche di quelli le picciole mani per porre spavento a duo altri che davanti gli stavano ; de’ quali l’uno fuggendo si volgea indietro e per paura gridava, l’altro caduto già in terra piangeva e, non possendosi altrimente aitare, stendeva la mano per graiarlo. Ma di fuori del vaso correva a torno a torno una vite carica di mature uve ; e ne l’un de’ capi di quella une serpe si avolgeva con la coda, e con la bocca aperta venendo a trovare il labro del vaso formava un bellisimo e strano manico da tenerlo.1 Paul Kristeller 2 fu il primo a sta- Fig. 1. Andrea Mantegna (copia da), Putti che giobilire un rapporto tra questo passo cano con maschere, Parigi, museo del Louvre, Dépardell’Arcadia e il disegno con Puttement des Arts Graphiques, inv. 5072. ti che giocano con maschere (Parigi, museo del Louvre, département des Arts Graphiques, inv. 5072, Fig. 1). Il foglio, oggi ritenuto copia da un’invenzione dell’artista databile alla fine degli anni Settanta del Quattrocento, raigura infatti due putti spaventati da altri due che cercano di terrorizzarli con delle maschere ; a destra del foglio, si vedono i frammenti di un albero con una pelle di leone, un secchio e un uccello, nonché i resti di una zampa pelosa e dell’otre sui cui era seduta la Ninfa descritta da Sannazaro. 3 Oltre che dal foglio del Louvre, quest’invenzione mantegnesca descritta nell’ekphrasis del Sannazaro ci è stata trasmessa attraverso i frontespizi di due codici umanistici miniati da Gaspare da Padova, vero e proprio creato del pittore padovano attivo a Roma dal 1467 al 1487 ca. Le Vitae Duodecim Caesarum di Svetonio (Parigi, Bibliothèque nationale de France, ms. Latin 5814) furono miniate verso il 1475, mentre l’Interpretatio edita per Beatum Hieronymum (Londra, British Library, ms. Royal 14 C III), una delle opere della piena maturità dell’artista, fu realizzata per Bernardo Bembo verso il 1485-1488. 4 1 Arcadia, xi, 35-39. 2 Paul Kristeller, op. cit., p. 461 ; sulla citazione di Sannazaro vedi anche Otto Kurz, Sannazaro and Mantegna in Studi in onore di Riccardo Filangieri, ii, Napoli 1959, pp. 277-283, ripubblicato in The Decorative Arts of Europe and the Islamic East. Selected Studies, London, 1977 ; Giovanni Romano, Verso la maniera moderna…, cit., pp. 6-7 ; Giovanni Agosti, Su Mantegna, 3, cit., pp. 131-132 ; Alberta de Nicolò Salmazo, Andrea Mantegna, cit., 2004, p. 199. 3 Per una bibliografia sul disegno cfr. la scheda di David Ekserdjian, in Andrea Mantegna, Londra-New York, 1992, cit., n. 149, pp. 457-458 ; Giovanni Agosti, Su Mantegna, 3, cit., pp. 131-132. 4 Gennaro Toscano in La miniatura a Padova dal Medioevo al Settecento, catalogo della mostra a cura di Giovanna Baldissin Molli, Giordana Mariani Canova e Federica Toniolo, Padova, 21 marzo-27 giugno 1999, Modena, Panini, 1999, pp. 310-311 (n. 123), 324-325 (n. 131), con bibliografia precedente cui bisogna aggiungere Alberta de Nicolò Salmazo, Andrea Mantegna, 2004, p. 199 ; Beatrice Bentivoglio-Ravasio, Gaspare da Padova o Padovano detto Gaspare Romano/Maestro dell’Omero Vaticano, in Dizionario biografico dei miniatori italiani, a cura di M. Bollati, Milano, 2004, pp. 251-258. 84 gennaro toscano Fig. 2. Simone da Firenze, Deposizione (da Andrea Mantegna), Angri (Salerno), Collegiata di San Giovanni Battista. Come è stato più volte sottolineato, i rapporti tra la Marchesa di Mantova e Sannazaro 1 dovettero sicuramente facilitare la fortuna di Andrea Mantegna nel circolo degli umanisti e degli artisti meridionali. E fu proprio l’editore del Sannazaro, Pietro Summonte, nella celebre lettera inviata a Marcantonio Michiel del 1524 a descrivere una Deposizione del pittore padovano nella chiesa di San Domenico Maggiore, forse la sua unica opera presente a Napoli : « In Santo Dominico una cona, dove è Nostro Signore levato dalla croce e posto in un lenzolo, di mano del Mantegna, al quale, come sapete miglior di noialtri, è tenuta assai la pictura, poiché da lui cominciò ad rinnovarsi l’antiquità, ad cui successe il vostro Bellini ». 2 Ferdinando Bologna ha riconosciuto una copia di quest’opera del Mantegna nella Deposizione (Fig. 2) del registro superiore del grande polittico della collegiata di San Giovanni Battista ad Angri (Salerno), realizzato verso il 1510, e in una versione più tarda, un tempo in collezione privata a Sanremo. 3 Riccardo Naldi ha identificato l’autore del polittico di Angri con Simone da Firenze, pittore contrassegnato « dall’incapacità di creazioni originali », che « cerca di aggiornare la propria cultura e di rimpolpare il vecchio repertorio derivato dai centri che via si ponevano come riferimento (Firenze, Napoli) rifacendosi ai modelli per antonomasia dopo l’esplosione rafaellesca romana del secondo decennio del secolo, ossia le ‘invenzioni’ diffuse da Marcantonio Raimondo e soci ». 4 Se, in omaggio alle sue origini fiorentine, 1 Isabella d’Este possedeva ad esempio un manoscritto dell’Arcadia : Giovanni Romano, Verso la maniera moderna, cit., p. 64 sgg. 2 La lettera di Summonte, scritta nel 1524, fu parzialmente pubblicata da von Fabriczy nel 1907 (C. Von Fabriczy, Summontes Briefs an M. A. Michiel, « Repertorium für Kunstwissenschaft », 30, 1907, pp. 143-168), e poi con ricco apparato di note da Fausto Nicolini nel 1925 : Fausto Nicolini, L’arte napoletana del Rinascimento e la lettera di P. Summonte a M. A. Michiel, Napoli, Ricciardi, 1925. Per la citazione della Deposizione di Mantegna cfr. ivi, p. 164. 3 Ferdinando Bologna, Ricordi di un ‘Cristo morto’ del Mantegna, « Paragone », 1956, marzo, pp. 56-61, tavv. 36-37. 4 Sul polittico di Angri vedi la scheda di Riccardo Naldi in Andrea da Salerno nel Rinascimento meri- la fortuna di andrea mantegna a napoli 85 il pittore si ispira agli afreschi di Domenico Ghirlandaio a Santa Maria Novella per le scene della predella del retablo di Angri, la copia da Mantegna per la cimasa dello stesso polittico nonché il San Michele Arcangelo del pannello centrale del polittico di San Chirico Raparo (Potenza), copia dal veronese Cristoforo Scacco, 1 ofrono una chiara testimonianza della fortuna della pittura veneta nell’ambiente meridionale agli inizi del Cinquecento. Mantegna, modello per i miniatori In aggiunta alle poche ma significative tessere che attestano la conoscenza diretta e la stima che del Mantegna ebbero personalità di rilievo sia della Corte che della cultura napoletana, bisogna sottolineare il ruolo di mediatore svolto dal miniatore Gaspare da Padova nella difusione del gusto mantegnesco nell’ambito prima della famiglia reale poi di alcuni membri ad essa legati. Ancora una volta, per capire l’importanza di questo illustre miniatore al servizio del cardinale Francesco Gonzaga († 1483), del cardinale Giovanni d’Aragona († 1485) e del cardinale Riario, il ricorso alla già citata lettera di Summonte è d’obbligo. Attento anche a quanto si era prodotto nel campo della miniatura, Summonte ha lasciato una valida testimonianza che consente di valutare la fama di cui ancora godevano agli inizi del Cinquecento gli artisti del libro legati alla corte dei re d’Aragona, ed in particolare il peso della miniatura all’antica di ascendenza padovana e mantegnesca. Scrive Summonte : « In arte d’illuminare, sive frequentius dicunt miniare libri, avemo avuto qua un singulare artefice a’ tempi nostri : Ioan Todeschino [...]. Costui da principio tirava al lavoro di Fiandra ; poi si donò tutto all’imitazione delle opere d’un Gasparo romano, lo qual andava al garbo antiquo, per la quale via il Todeschino pervenne in tanta sublimità, che non vi arrivò mai alcuno ». Dopo aver celebrato la perizia dell’artista, l’umanista descrive « lo Plinio bellissimo del reverendissimo e illustrissimo signor cardinal don Ioanne di Aragona, figliolo del signor re Ferrando primo », miniato da Gaspare. 2 L’attività del miniatore per il cardinale Giovanni d’Aragona trovava conferma in due documenti del 1485 attestanti che il prelato aveva assunto alle sue dipendenze un miniatore « Gasparo de Padua », abitante a Roma. 3 Lo stesso Gaspare da Padova, ‘romano’ perché residente nell’Urbe, era stato menzionato tra i familiares et continui commensales del cardinale Francesco Gonzaga nel suo testamento del 1483. 4 In tale documento Gaspare appare in relazione con il celebre calligrafo padovano Bartolomeo Sanvito. 5 A partire dagli studi pioneristici di Tammaro De Marinis e di José Ruysschaert, la critica aveva cercato di collegare alcuni codici miniati ‘all’antica’ all’attività del « Gaspare de Padua » citato dalle fonti. L’artista era stato di volta in volta identificato sia con il Maestro dell’Omero Vaticano, 6 autore del celebre manoscritto appartenuto dionale, catalogo della mostra a cura di Giovanni Previtali, Padula, Certosa di San Lorenzo, 21 giugno-31 ottobre 1986, Firenze, Centro Di, 1986, p. 81-85, n. 5, con bibliografia precedente ; Idem, Centro e periferia nel primo Cinquecento meridionale : il caso di Simone da Firenze pittore senza disegno, « Bollettino d’arte », vi, lxxxiii, 1988, pp. 17-52. 1 Ivi, pp. 24-25. 2 Fausto Nicolini, op. cit., pp. 165-166, par. 271-276. 3 Tammaro De Marinis, La Biblioteca napoletana, cit., ii, p. 312, docc. 963-964. 4 Questa fonte, pubblicata nel 1882 (Eugène Müntz, L’art à la cour des papes pendant le xv e et le xvi e siècle, Parigi, 1882, p. 299), era purtroppo ignota a Tammaro De Marinis. Sul soggetto vedi ora David S. Chambers, A Renaissance Cardinal and his Wordly Goods : the Will and Inventory of Francesco Gonzaga (1444-1483), Londra, The Warburg Institute,1992, pp. 58, 62, 69, 83-86, 112, 115-116 ; appendice, pp. 193-197. 5 Il miniatore è di nuovo citato nel Giornale tenuto da Sanvito tra il 1505-1510 : S. De Kunert, Un padovano ignoto ed un suo memoriale de’ primi anni del Cinquecento (1505-1511) con cenni su due codici miniati, « Bollettino del Museo Civico di Padova », 10 (1907), pp. 1-16, pp. 64-73, la citazione è a p. 5. 6 Jonathan J. G. Alexander, Albinia De La Mare, The Italian Manuscripts in the Library of Major J. R. Abbey, London, 1969, pp. 107-110 (scheda di Alexander) ; Albinia De La Mare, The Florentine Scribes of 86 gennaro toscano al cardinale Gonzaga (Omero, Iliade, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat. Gr. 1627), sia con Sanvito stesso, 1 sia con il Maestro del Plinio di Londra, 2 sia con Lauro Padovano. 3 La pubblicazione della monografia sul cardinale Gonzaga ad opera di D. S. Chambers ha permesso non solo di ricostruire l’attività del miniatore su basi più solide, ma soprattutto di attribuirgli con certezza la realizzazione del già citato Omero per il cardinal Gonzaga, nonché tutta la serie di manoscritti che in passato circolavano come opere del maestro che da questo codice aveva tratto il suo nome convenzionale. Nel 1484, infatti, Gaspare da Padova in una lettera indirizzata a Federico Gonzaga, fratello del defunto cardinale, ricordava che un « certo Homero gli è rimasto ne le mane, et non n’è fornito di scrivere né di miniare ». 4 La rilettura delle fonti gonzaghesche e aragonesi ha consentito quindi di seguire l’attività del miniatore padovano nella città papale dal settimo al nono decennio del Quattrocento, prima al seguito del cardinale Gonzaga, poi al servizio del cardinale d’Aragona. Gaspare aveva lavorato per il cardinale Francesco Gonzaga almeno dall’ottobre del 1467 o forse addirittura dal novembre dell’anno precedente, svolgendo non solo la funzione di miniatore, ma anche quella di antiquario, raccogliendo per il suo protettore medaglie, sculture, gemme e « altre cose antiche ». 5 Il miniatore era stato con buona probabilità raccomandato al prelato mantovano proprio da Andrea Mantegna, di cui Gaspare sembra essere un vero e proprio creato. Gaspare non solo condivide pienamente la visione archeologica e nostalgica del grande pittore padovano, nella cui cerchia probabilmente si era formato, ma durante l’intero arco della sua carriera utilizza iconografie e stilemi desunti dal repertorio mantegnesco, in particolare dell’attività padovana e del primo periodo mantovano. Gaspare aveva sicuramente avuto l’occasione di ammirare i magnifici afreschi della cappella Ovetari, ove putti, ghirlande e motivi a candelabra, nonché i rilievi a monocromo che accompagnavano le architetture dipinte, potevano essere ritrascritti, alla lettera, nei suoi manoscritti. Gli irrequieti angeli e cherubini che circondano l’Assunta di Mantegna furono particolarmente apprezzati dal miniatore padovano che se ne servì per popolare i suoi fastosi frontespizi ‘all’antica’. Nella bottega padovana di Andrea Mantegna, Gaspare aveva potuto seguire le fasi di realizzazioni dei polittici di Santa Giustina o di quello per San Zeno di Verona. Più di una volta il miniatore avrà meditato sugli splendidi putti o sui medaglioni a monocromo dell’architettura della pala di San Zeno per riproporli in seguito nelle sue opere. Ma furono soprattutto gli afreschi della Camera degli Sposi con la decorazione ‘all’antica’ della volta e delle paraste a contrassegnare l’intera produzione di Gaspare, a tal punto da far ipotizzare un passaggio del miniatore sul cantiere mantovano. Cardinal Giovanni of Aragona, in Il Libro e il testo, atti del convegno internazionale, Urbino, 20-23 settembre 1982, a cura di C. Questa e R. Rafaelli, Urbino, 1984, pp. 245-293. 1 José Ruysschaert, Miniaturistes “romains” à Naples, in Tammaro De Marinis, La biblioteca napoletana, cit., pp. 264-271 ; Idem, Il copista Bartolomeo Sanvito miniatore padovano a Roma dal 1469 al 1501, « Archivio romano della società di storia patria », cix, 1986, pp. 37-47. 2 Antonella Putaturo Murano, Ipotesi per Gaspare Romano miniatore degli Aragonesi, « Archivio storico per le province napoletane », xciii, 1975, pp. 95-110. Per l’attività del Maestro del Plinio di Londra cfr. Lilian Armstrong, Renaissance Miniature Paintings and Classical Imagery : The Master of the Putti and his Venetian Workshop, London, 1981 ; Beatrice Bentivoglio-Ravasio, Maestro del Plinio di Londra, in Dizionario biografico dei miniatori italiani, cit., pp. 642-651 con bibliografia precedente. 3 Ulrike Bauer-Eberhardt, Lauro Padovano und Leonardo Bellini als Maler, Miniatoren und Zeichner, « Pantheon », 47, 1989, pp. 49-82. 4 David S. Chambers, A Renaissance Cardinal and his Wordly Goods, cit., pp. 193-194 ; Gennaro Toscano, Gaspare da Padova, in La biblioteca reale al tempo della dinastia aragonese, catalogo della mostra a cura di Gennaro Toscano, Napoli, Castel Nuovo, 30 settembre-15 dicembre 1998, Valencia, Generalitat Valenciana, 1998, pp. 453-464 ; Idem, Gaspare da Padova e la difusione della miniatura “all’antica” tra Roma e Napoli, in La miniatura a Padova, cit., pp. 523-331 ; Beatrice Bentivoglio-Ravasio, Gaspare da Padova, cit., pp. 251-258, con bibliografia precedente aggiornata. 5 David S. Chambers, A Renaissance Cardinal, cit., p. 194. la fortuna di andrea mantegna a napoli 87 Questa cultura ‘all’antica’ di stampo mantegnesco, dopo la Roma dei papi e dei cardinali, 1 fu particolarmente apprezzata, come accennato, nell’ambito della corte aragonese di Napoli, grazie alla personalità di Alfonso, duca di Calabria, e del fratello, il cardinale Giovanni. I rapporti personali tra il duca di Calabria e il cardinale Francesco Gonzaga, attestati da una serie di fatti storici e dal ricordo del duca nel testamento del cardinale, misero sicuramente Alfonso in contatto con il clan degli adepti della cultura anticheggiante che gravitava intorno al prelato mantovano. Il 3 gennaio 1483 il cardinale Gonzaga giunse a Ferrara allo scopo di difendere la città nella guerra contro Venezia ; il comandante delle truppe alleate era il duca Alfonso di Calabria. 2 Nel febbraio dello stesso anno il cardinale Gonzaga assistette alla dieta di Cremona in compagnia del duca di Calabria, di Ercole d’Este e di Lorenzo de’ Medici. 3 Inoltre, il cardinale Gonzaga si ricordò del duca di Calabria nel Fig. 3. Gaspare da Padova, frontespizio del Giusuo testamento, datato 20 ottobre seppe Flavio, De bello Judaico, Valencia, Biblioteca universitaria, ms. 836-819, f. 1. 1483, lasciandogli una corniola con l’eige di Cesare : « Item iure legati relinquo Illustrissimo principi et Excellentissimo domino Alphonso de Aragonia duci Calabrie etc. quandam corniolam meam magnam, in qua insculpta est facies Julii Cesaris ». 4 Ed è proprio in questo testamento che fra i familiares et continui commensales di Francesco Gonzaga sono citati numerosi umanisti e artisti, tra i quali « Bartholomeo Sanvito » e « Gasparo de Padua ». In questa congiuntura bisogna dunque inserire la decorazione del De bello Judaico di Giuseppe Flavio (Valencia, Biblioteca universitaria, ms. 836-819), miniato da Gaspare e rubricato da Sanvito per il duca di Calabria, verso il 1478. 5 Il prologo si apre con titoli e incipit in capitali epigrafiche su una pergamena in trompe-l’oeil srotolata da putti dall’alto del frontespizio architettonico che incornicia la pagina (Fig. 1 Sul soggetto cfr. Gennaro Toscano, La miniatura « all’antica » tra Roma e Napoli all’epoca di Sisto IV, in Sisto IV. Le arti a Roma nel primo Rinascimento, Atti del convegno internazionale, a cura di Fabio Benzi, Roma, 2000, pp. 249-287, passim. 2 David S. Chambers, Virtù militare del cardinale Francesco Gonzaga, in Guerre, stati e città. Mantova e l’Italia padana dal secolo xiii al xix . Atti delle giornate di studio in omaggio a Adele Bellù, Mantova, 1988, pp. 215-229. 3 David Chambers, A Renaissance Cardinal, cit., pp. 12 e 67. 4 Ivi, p. 134, n. 13. 5 Jonathan J. G. Alexander, in The Painted Page. Italian Renaisance Book Illumination 1450-1550, catalogo della mostra, Londra-New York 1994-1995, Monaco di Baviera-New York, Prestel, 1994, pp. 158-159, n. 75, con bibliografia precedente ; Gennaro Toscano, in La miniatura a Padova, cit., pp. 325-326, n. 132. 88 gennaro toscano 3). La base del frontespizio presenta un fregio imitante il bronzo con putti che reggono le armi d’Aragona-Calabria, stemma di Alfonso, duca di Calabria, destinatario del manoscritto. Trofei di guerra ornano le paraste del frontespizio. L’iniziale Q, incipit del prologo, è sospesa all’interno di una miniatura tabellare raigurante un prete con soldati e scena di sacrificio. L’altare ornato da un bassorilievo con vittoria alata è sormontato da una figura con scudo e trofeo, forse Marte. Il ‘principio’ del i libro è composto da un altro frontespizio architettonico formato da putti e vasi : le due basi presentano due bassorilievi raiguranti un putto che combatte con un leone e due putti che si abbracciano. Al centro dell’insula erbosa su cui si erge il frontespizio due putti reggono lo stemma d’Aragona-Calabria, sormontato dalla corona ducale, altri due reggono due corazze. L’iniziale C, incipit del primo libro, è sospesa all’intero di una Fig. 4. Cristoforo Majorana (copia da Gaspa- miniatura tabellare raigurante Tito e re da Padova), fontespizio del Pontano, De Vespasiano che ricevono l’omaggio di Principe, De Obedientia, Valencia, Biblioteca un soldato. universitaria, ms. 52, f. 26. Il codice con il ricco repertorio di motivi classici – putti, centauri, fauni, ippocampi e nereidi – rappresenta uno dei risultati più alti raggiunti dalla miniatura ‘all’antica’ nella Roma del secondo Quattrocento. Un linguaggio mantegnesco parlano i personaggi che abitano le due miniature tabellari (f. 1 e 4) nonché gli irrequieti putti che si arrampicano sulle complesse macchine architettoniche, mentre i putti bronzei del secondo frontespizio evocano le sculture di Donatello al Santo, opere che Gaspare, al pari del suo ‘maestro’, aveva potuto ammirare durante la sua formazione padovana. Accanto alla meditazione su Mantegna e su Donatello le altre pagine di questo codice rivelano una volontà di apertura verso nuovi orizzonti da parte del miniatore : certe durezze mantegnesche vengono stemperate ricorrendo al fare pacato di Giovanni Bellini, come dimostrano i due putti che ornano l’iniziale T del foglio 57. Questo codice, il più antico miniato da Gaspare da Padova per i sovrani aragonesi, trovò eco immediata presso gli artisti del libro al servizio del duca, ed in particolare nella produzione di Cristoforo Majorana che, come vedremo, divenne nell’ultimo quarto del secolo il vero e proprio divulgatore del gusto padovano e mantegnesco in ambito meridionale. Majorana riprodusse infatti quasi alla lettera il frontespizio architettonico del primo foglio del Flavio Giuseppe di Valencia in un altro codice realizzato per il duca di Calabria, contenente il De Principe ed il De Obedientia di Giovanni Pontano (Valencia, Biblioteca universitaria, ms. 52, Fig. 4). 1 1 François Avril in Dix siècles d’enluminure italienne (vi e-xvi e siècle), catalogo della mostra, Parigi, Bibliothèque nationale, 1984, p. 176 ; Maria Cruz Cabeza Sanchez Albornoz, Gennaro Toscano, in La Bilioteca reale di Napoli, cit., pp. 638-639, n. 52, con bibliografia precedente. la fortuna di andrea mantegna a napoli 89 Al pari del duca di Calabria, anche il fratello Giovanni, nominato cardinale con il titolo di Sant’Adriano nel dicembre del 1477, si servì per la decorazione dei suoi lussuosi manoscritti non solo di miniatori napoletani, quali Cristoforo Majorana e Nardo Rapicano, ma anche di artisti provenienti dal Veneto, il Maestro del Plinio di Londra e Gaspare da Padova. Quest’ultimo passò alle dipendenze del prelato aragonese dopo la morte di Federico Gonzaga (14 luglio 1484), fratello del cardinale Francesco. Grazie a due lettere di Giovanni d’Aragona (2 aprile e 13 luglio 1485), sappiamo infatti che il miniatore, residente a Roma, riceveva uno stipendio annuo di 125 ducati. 1 I rapporti tra Gaspare e il cardinale d’Aragona dovettero cominciare sin dalla fine degli anni Settanta. Tra le prime opere realizzate da Gaspare per il cardinale va infatti ricordato il Giuseppe Flavio, Antiquitates Iudaicae, De vetustate iudaeorum (Londra, British Library, ms. Harley 3699), scritto a Firenze dallo scriba Omnium rerum nel 1478 e miniato a Roma. 2 Il testo si apre con un monumentale frontespizio architettonico in rovina poggiato su un paesaggio delicatissimo. Le cornici e i frammenti marmorei che compongono questo straordinario pastiche fanno pensare ancora una volta ad un capolavoro di Mantegna, il San Sebastiano inviato in Francia nel 1481 in occasione del matrimonio di Chiara Gonzaga con Gilbert di Montpensier, già nella Sainte-Chapelle di Aigueperse in Alvernia, e al Museo del Louvre dal 1910. 3 Sempre al grande pittore padovano rinvia la rappresentazione di Giuseppe Flavio ritratto in una littera mantiniana, sullo sfondo di un arco ‘all’antica’ : la posizione del nobile personaggio nonché l’elaborato panneggio presuppongono il Mantegna degli Ovetari. Pochi anni dopo Gaspare dovette miniare il Valerio Massimo, Facta et dicta memorabilia, (New York, The New York Public Library, Spencer Ms. 20), scritto probabilmente da Antonio Sinibaldi e rubricato da Bartolomeo Sanvito. 4 Il testo è incorniciato da uno strano pastiche formato da monete romane coniate durante il regno di Tiberio, monocromi con profili di imperatori e virtù. In alto, al centro, dritto di un denaro o di aureo dell’imperatore, tre monete raigurano rovesci di un sesterzio e di due assi, mentre quella con l’aquila ad ali spiegate è tratta dal rovescio di un rarissimo dupondio di Tito, coniato sotto Vespasiano. Un esemplare di queste monete, quella raigurata in alto a destra con il Divo Augusto su di un carro trainato da quattro elefanti, era conservata nelle collezioni Gonzaga. 5 Accanto a questi esempi tipici della cultura antiquaria padovana, gli omaggi a Mantegna non potevano mancare : l’autore del testo rappresentato mentre scrive in un’edicola con un’ardita prospettiva di libri rinvia al San Marco oggi a Francoforte (Städelsches Kunstinstitut), mentre le virtù entro lunette sembrano ispirarsi ai monocromi della volta della Camera degli Sposi, in particolare alla figura femminile che ascolta Orfeo mentre suona la lira. Tra gli ultimi codici miniati da Gaspare per il cardinale d’Aragona va ricordato il San Gregorio, Moralia in Job (Parigi, Bibliothèque nationale de France, ms. latin 2231), datato 1485. Questo codice era stato trascritto da Giovanni Rainaldo Mennio probabilmente a Napoli e inviato a Roma per essere miniato. Il testo del foglio 25 è inserito in un frontespizio architettonico sorretto alle due estremità da 1 Tammaro De Marinis, La Biblioteca napoletana, cit., p. 312, docc. 963-964. 2 Per una descrizione dettagliata del codice e per la sua fortuna critica cfr. Thomas Haffner, Die Bibliothek des Kardinals Giovanni d’Aragona (1456-1485), Wiesbaden, Dr. Ludwig Reichert Verlag, 1997, pp. 202-210, n. 6, con bibliografia precedente. 3 Sul San Sebastiano e sulla sua fortuna cfr. il contributo di Giovanni Agosti, Su Mantegna, 2. (All’ingresso della “maniera moderna”), « Prospettiva », 72, 1993, pp. 66-82. 4 Johathan J. G. Alexander in The Painted Page, cit., pp. 106-108, n. 41 ; Thomas Haffner, op. cit., pp. 210-218, n. 7, con bibliografia aggiornata. 5 Gennaro Toscano, Gaspare da Padova e la difusione della miniatura “all’antica”, cit., p. 527. 90 gennaro toscano grifi e al centro da due basi di candelabri ; in basso, entro ghirlande, al centro lo stemma della casa d’Aragona di Napoli sormontato dalla corona reale, a destra e a sinistra imprese del cardinale Giovanni d’Aragona. Nella miniatura tabellare, inquadrata da un’elegante cornice di gusto classico, San Gregorio Magno compone la sua opera, ispirato dallo Spirito Santo in forma di colomba ; il papa è seduto su una cattedra marmorea al centro di una biblioteca umanistica (Fig. 5). Accanto ai motivi tipici della produzione ‘all’antica’ caratteristica di Gaspare (grifi, candelabri), il miniatore vuole rendere ancora una volta un omaggio ad Andrea Mantegna. La rappresentazione del papa nel suo studiolo, seduto a un tavolo marmoreo visto in un ardito sotto in su, è una chiara ripresa dal pannello centrale del Polittico di San Luca, oggi a Brera (Fig. 6), opera che Gaspare aveva potuto vedere nella chiesa di Santa Giustina a Padova. Come nel polittico di San Luca, anche il Fig. 5. Gaspare da Padova, frontespizio piano del tavolo di san Gregorio è in finto del San Gregorio, Moralia in Job, Parigi, marmo, con venature che richiamano la Bibliothèque nationale de France, ms. latin perizia mantegnesca. Tuttavia il respiro 2231, f. 25 (particolare). architettonico dello studiolo rinvia alle esperienze prospettiche di Melozzo e dei pittori della Sistina. A Roma Gaspare, pur continuando a dialogare con il suo maestro padovano, si aggiorna sulla cultura centro-italiana afermatasi durante il pontificato di Sisto IV. Ancora all’ambiente sistino rimanda il volto di san Gregorio, vicino ai ritratti dei papi dipinti fra le finestre della Cappella Sistina. 1 I codici miniati da Gaspare da Padova e rubricati da Bartolomeo Sanvito per i membri della famiglia reale aragonese furono di importanza capitale per gli artisti napoletani che lavoravano per la corte. Questo gusto ‘all’antica’, nato in ambito padovano e rielaborato nella Roma dei papi e dei cardinali, si difuse rapidamente in ambito aragonese : tale influenza appare con evidenza sin dalla fine degli anni Settanta nei codici prodotti da Nardo Rapicano e da Cristoforo Majorana. 2 Negli stessi anni la passione per l’antico cominciò a pervadere anche la lingua della burocrazia reale aragonese. Nelle cedole della Tesoreria regia agli artisti si chiedeva ormai di realizzare opere ‘moderne’ e ‘all’anticha’ ; se il termine ‘moderno’ rinvia al ricco repertorio decorativo di foglie d’acanto e racemi, il concetto di ‘anticho’ rinvia sicuramente ai fastosi frontespizi architettonici di origine padovana, difusi nella capitale aragonese grazie ai codici miniati da Gaspare. 3 Non è un caso, infatti, se, come più spesso ribadito, la prima analisi dell’opera 1 Gennaro Toscano in La miniatura a Padova, cit., pp. 327-328, n. 133, con bibliografia precedente. 2 Per l’attività dei due artisti cfr. Gennaro Toscano, La bottega di Cola e Nardo Rapicano, Cristoforo Majorana, in La Biblioteca reale di Napoli, cit., pp. 385-415, 441-452 ; Idem, in Dizionario biografico dei miniatori italiani, cit., pp. 718-721, 896-899, con bibliografia precedente. 3 Gennaro Toscano, Gaspare da Padova e la difusione della miniatura “all’antica”, cit., p. 529. la fortuna di andrea mantegna a napoli 91 di Gaspare è nel lucido giudizio di Pietro Summonte. L’umanista napoletano si era mostrato particolarmente sensibile alla culura ‘all’antica’ e al suo iniziatore, Andrea Mantegna. Se Summonte aveva capito che l’arte di Andrea Mantegna rappresentava la svolta verso la moderna cultura antiquaria, appare più chiaro l’interesse che l’umanista meridionale mostrò nei confronti di Gaspare da Padova, il quale, al pari di Ioan Todeschino, 1 miniava secondo il ‘garbo antico’. Gaspare era stato in realtà durante tutto l’arco della sua carriera un vero e proprio divulgatore della cultura antiquaria mantegnesca nel campo della miniatura. A questo punto, è possibile quindi afermare che le opere miniate da Gaspare da Padova per i membri della famiglia reale fecero conoscere ai miniatori che lavoravano nello scrittorio di Castel Nuovo il repertorio all’antica di gusto mantegnesco. Accanto a questa conoscenza dell’arte di Mantegna, mediata attraverso l’attività di Gaspare per i sovrani aragonesi, è il caso di considerare l’arrivo in città negli ultimi decenni del Quattrocento di stampe del pittore padovano. I miniatori napoletani sembrano Fig. 6. Andrea Mantegna, pannello centrale del poinfatti particolarmente sensibili littico di San Luca, Milano, pinacoteca di Brera. alle stampe di Mantegna proprio a partire dall’ultimo decennio del Quattrocento, anni che corrispondono ad una più vasta difusione di stampe del maestro. 2 In un esemplare della Geografia di Tolomeo nella versione latina di Jacopo Angeli (Parigi, Bibliothèque nationale de France, ms. latin 10764), destinata al grande bibliofilo meridionale Andrea Matteo III Acquaviva (1458-1529), la rappresentazione del Ratto d’Europa del foglio 236v (Fig. 7) deriva, come rilevato da François Avril nel 1984, 3 dalla celebre stampa di Mantegna raigurante la Lotta dei tritoni (1470 1 Sul miniatore cfr. Teresa D’Urso, Joan Todeschino [“Maestro del Plinio di Londra” ?], in La Biblioteca reale di Napoli, cit., pp. 465-482 ; Eadem, Giovanni Todeschino, in Dizionario biografico dei miniatori italiani, cit., pp. 302-305. 2 Sulle stampe di Mantegna vedi David Landau, Mantegna as Printmaker, in Andrea Mantegna, catalogo della mostra, Londra-New York, 1992, pp. 44-54, Keith Christiansen, The case for Mantegna as printmaker, « Burlington Magazine », cxxxv, 1993, pp. 603-612 ; Andrea Canova, Gian Marco Cavalli incisore per Andrea Mategna e altre notizie sull’oreficeria e la tipografia a Mantova nel xv secolo, « Italia Medioevale e Umanistica », xlii, 2001, pp. 149-179. 3 François Avril in Dix siècles d’enluminure italienne, cit., p. 177. 92 gennaro toscano Fig. 7. Miniatore attivo nella bottega romana di Gaspare da Padova e Bartolomeo Sanvito, Ratto di Europa, Tolomeo, Cosmografia, Parigi, Bibliothèque nationale de France, ms. latin 10764, f. 236v. ca., Duke of Devonshire and the Chatsworth Settlement Trustees, Fig. 8), oppure dall’interpretazione che di essa ne aveva dato il Maestro del Plinio di Londra nel bas-de-page dei frontespizi del Diodoro Siculo, Bibliotheca Historica (Bologna, Biblioteca universitaria, ms. 618), miniato per Ferrante d’Aragona verso il 1480, 1 e del Quintiliano, De Institutione oratoria (Valencia, Biblioteca universitaria, ms. 738, Fig. 9), miniato nel 1482 per il cardinale Giovanni d’Aragona. 2 La Geografia di Tolomeo, appartenuta a Andrea Matteo III Acquaviva e uscita dalla bottega di Bernardo Sylvano da Eboli nel 1490, è stata dipinta da due artisti : un anonimo maestro attivo nella bottega romana di Gaspare da Padova e di Bartolomeo Sanvito, 3 autore delle allegorie dei Continenti e delle carte geografiche, e Cristoforo Majorana, autore dell’Allegoria della Geografia (f. iv) e di Tolomeo (f. 2). 4 1 Lilian Armstrong, op. cit., pp. 38-41, 132, n. 46 ; Albinia de la Mare, The Florentine Scribes, cit., p. 293, n. 20a. 2 Lilian Armstrong, op. cit., p. 135, n. 50 ; Thomas Haffner, op. cit., pp. 250-259, n. 18 ; Maria Cruz Cabeza Sanchez Albornoz, Teresa D’Urso, in La biblioteca reale di Napoli, cit., pp. 600-603, n. 36. 3 Teresa D’Urso, Un manifesto del ‘classicismo’ aragonese : il frontespizio della Naturalis historia di Plinio il Vecchio della Bibliotea di Valencia, « Prospettiva », 105, 2002, pp. 46-47, nota 20. 4 François Avril in Dix siècles d’enluminure italienne, cit., p. 117 ; Germaine Aujac, La Géographie de Ptolémee, Arcueil, Editions Anthèse, 1998, pp. 84-87, con bibliografia precedente. la fortuna di andrea mantegna a napoli 93 Fig. 8. Andrea Mantegna, La Lotta dei tritoni, Duke of Devonshire and the Chatsworth Settlement Trustees. Nato nel 1458 da Giulio Antonio Acquaviva, duca d’Atri, e da Caterina Orsini, Contessa di Conversano, Andrea Matteo aveva seguito le lezioni di Giovanni Pontano e frequentato assiduamente la corte. Nel 1477 sposò Isabella Piccolomini, nipote di Ferrante, e due anni dopo ebbe dal re il privilegio di inquartare le sue armi con quelle aragonesi. 1 Amico di Sannazaro, Andrea Matteo fece miniare splendidi codici servendosi per lo più del pennello di Reginaldo Pirano da Monopoli e di Cristoforo Majorana. 2 Accanto ai manoscritti, l’Acquaviva non disdegnò la stampa, tanto che nel 1525 fece installare la tipografia di Antonio Frezza nel suo palazzo napoletano che vi produsse nel 1526 l’editio princeps del De partu Virginis di Sannazaro, con alcuni esemplari realizzati su pergamena che costituiscono l’episodio più alto della storia della tipografia napoletana. 3 Allievo del Pontano, amico e ‘mecenate’ di Sannazaro, è possibile che il bi1 Sulla personalità di Andrea Matteo Acquaviva vedi Vincenzo Bindi, Gli Acquaviva letterati. Notizie biografiche e bibliografiche, Napoli, 1881 ; Costanza Lorenzetti, in Dizionario Biografico degli Italiani, cit., vol. i, pp. 185-187. 2 Sulla sua collezione di codici vedi H. Julius Hermann, Miniaturhandschriften aus des Bibliothek des Herzogs Andrea Matteo III Acquaviva, Vienna, 1898 ; Antonella Putaturo Murano, Alessandra Perriccioli Saggese, Antonella Locci, Reginaldo Pirano da Monopoli e i miniatori attivi per Andrea Matteo III Acquaviva, in Monopoli nell’età del Rinascimento, Atti del convegno, a cura di Domenico Cofano, Monopoli, 1988, pp. 1105-1168 (con bibliografia) ; Codici miniati della biblioteca oratoriana dei Girolamini di Napoli, a cura di Antonella Putaturo Murano, Alessandra Perriccioli, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1995, p. 51 sgg. 3 Tobia R. Toscano, Contributo alla storia della tipografia a Napoli nella prima metà del Cinquecento (15031553), Napoli, e.di.s.u., 1992, pp. 41-42. 94 gennaro toscano bliofilo Andrea Matteo Acquaviva potesse avere nelle sue collezioni stampe del Mantegna, oppure che avesse potuto ammirare lo splendido frontespizio del Quintiliano miniato dal Maestro del Plinio di Londra, giunto nella biblioteca reale di Napoli dopo la morte del cardinale d’Aragona nel 1485. Per la decorazione dei suoi lussuosi codici, Andrea Matteo Acquaviva, come accennato, aveva mostrato una predilezione particolare proprio per Cristoforo Majorana, il miniatore napoletano più sensibile alla lezione di Gaspare da Padova, soprattutto nella resa delle figure dalla monumentalità ‘mantegnesca’ e nella rappresentazione di frontespizi architettonici all’antica. Il miniatore non solo si era servito dei modelli elaborati da Gaspare ma aveva adattato per alcune sue realizzazioni proprio delle incisioni del Mantegna, come dimostra un foglio del Libro d’ore miniato per Pascasio Diaz Garlon. 1 La Deposizione del foglio 155 (Fig. 10) riprende infatti con alcuFig. 9. Maestro del Plinio di Londra, frontespizio ne varianti dovute alla taglia della del Quintiliano, De Institutione oratoria, Valencia, miniatura la stampa di medesimo Biblioteca universitaria, ms. 738, f. 2. soggetto (Fig. 11), realizzata da Mantegna negli anni 1470. 2 Questa miniatura fu realizzata da Cristoforo Majorana durante l’ultimo decennio del Quattrocento, sicuramente prima del 1499, anno della morte del committente, 3 ed in concomitanza con un’altra sua opera, tutta mantegnesca, quale la decorazione del Vesperale, miniato per Ferrante d’Aragona nel 1491. 4 Durante l’ultimo decennio del secolo i miniatori attivi a Napoli – Cristoforo Majorana in primis – sembrano particolarmente sensibili all’opera del Mantegna, 1 Napoli, Biblioteca nazionale, ms. I.B.26 : Antonella Putaturo Murano, Miniature napoletane del Rinascimento, Benevento, 1973, pp. 74-75, n. 32 ; Antonella Locci, L’Oicium Beatae Mariae Virginis, ms. I.B.26 della biblioteca nazionale di Napoli, in Antonella Putaturo Murano, Alessandra Perriccioli Saggese, Antonella Locci, op. cit., pp. 1162-1168 ; Fabienne Cacciapuoti in Libri a corte : testi e immagini nella Napoli aragonese, catalogo della mostra, Napoli, Paparo, 1997, pp. 126-128 ; Gennaro Toscano, La bottega di Cola e Nardo Rapicano, cit., pp. 401-404. Sul soggetto vedi anche Teresa D’Urso, Un manifesto del ‘classicismo’ aragonese, cit., fig. 12 a p. 37, pp. 46-47, nota 20. 2 Sulle varie versioni della Deposizione cfr. David Landau, in Andrea Mantegna, catalogo della mostra, Londra-New York, 1992, cit., pp. 199-202 ; Keith Christiansen, The case for Mantegna as printmaker, cit., pp. 603-606. 3 Pascasio Diaz Garlon, personaggio di spicco presso la corte di Napoli, fu bibliotecario di Ferrante duca di Calabria (1452-1458), poi regio tesoriere, castellano di Castel Nuovo, tesoriere generale del Regno e conte di Alife : Riccardo Filangieri, Il codice miniato della Confraternita di Santa Marta, Firenze, Electa, 1950, p. 76. 4 Valencia, Biblioteca universitaria, ms. 391-815 : Maria-Cruz Cabeza Sanchez Albornoz, Gennaro Toscano, in La biblioteca reale di Napoli, cit., pp. 588-589, n. 32, con bibliografia precedente. la fortuna di andrea mantegna a napoli 95 Fig. 10. Cristoforo Majorana (da Andrea Mantegna), Deposizione, foglio miniato nel Libro d’Ore di Pascasio Diaz Garlon, Napoli, Biblioteca nazionale, ms. I. B. 26, f. 155 (particolare). conosciuta prima attraverso la mediazione svolta dai miniatori veneti, poi grazie alla circolazione di stampe del maestro, ma soprattutto in concomitanza con il soggiorno romano dell’artista padovano nel 1488-1490, chiamato da Innocenzo VIII. Se i rapporti tra gli artisti del libro attivi Napoli e l’oicina romana di Gaspare-Sanvito erano stati particolarmente fecondi nel nono decennio del secolo, l’ultimo decennio registra l’attività nella capitale meridionale di un altro miniatore proveniente da Venezia, Ioan Todeschino, portatore di una cultura antiquaria oscillante tra il Maestro del Plinio di Londra, Girolamo da Cremona – artista particolarmente apprezzato e protetto da Mantegna – e Giovanni Bellini. 1 Tuttavia, la circolazione di idee mantegnesche nella Napoli degli ultimi due decenni del secolo fu stimolata non soltanto dall’attività dei miniatori di origine veneta, ma fu sicuramente rinvigorita dalla presenza nella capitale aragonese di pittori, di tavole e di afreschi, di cultura e di formazione veneta quali il veronese Cristoforo Scacco 2 o il veneziano Paolo degli Agostini, 3 maestri che a loro volta ne aiancarono altri provenienti da Padova, oggi conosciuti soltanto attraverso le fonti. Agli inizi del 1487, ad esempio, un certo Galvano da Padova fu chiamato dal Duca di Calabria a dipingere la « sala et logia de le stancie fatte novamente al 1 Teresa D’Urso, Giovanni Todeschino, in Dizionario biografico dei miniatori italiani, cit., pp. 302-305, con bibliografia precedente ; Gennaro Toscano, Témoins d’Italie. Manuscrits enluminés de la Renaissance italienne dans les collections françaises, in De l’Italie à Chambord. François Ier et la chevauchée des princes français, catalogue de l’exposition, Chambord, 7 luglio-7 ottobre 2004, Parigi, Somogy, 2004, pp. 128-134. 2 Per una corretta analisi della formazione squarcionesca-mantegnesca del pittore vedi Riccardo Naldi, Riconsiderando Cristoforo Scacco cit., pp. 35-55, con bibliografia precedente. Il pittore veronese è presente nei territori del regno aragonese almeno dal 1483, data che compariva su un polittico commissionatogli da Onorato II Caetani per la chiesa di San Francesco di Fondi, e vi risulta attivo fino ai primi anni del Cinquecento : Ibidem. Per una diversa ma improbabile lettura della cultura pittorica del maestro vedi anche il saggio di Fausta Navarro, Nel raggio della difusione bramantesca : Cristoforo Scacco da Verona, in Scritti di storia dell’arte in onore di Rafaello Causa, a cura di Pierluigi Leone de Castris, Napoli, Electa Napoli, 1988, pp. 77-89. 3 Fausto Nicolini, op. cit., pp. 50-51, 249-250. 96 gennaro toscano Fig. 11. Andrea Mantegna, Deposizione, Washington, The National Gallery of Art, H.2.II. Jardino grande », situato nei pressi di Castel Capuano ; in « una facciata de la sala » dello stesso giardino il pittore padovano aveva inoltre dipinto una veduta di Otranto, a ricordo di quell’episodio che aveva particolarmente segnato la storia di casa d’Aragona. Lo stesso pittore riceve ancora nel maggio 1489 uno stipendio dal duca di nove ducati e tre tarì al mese. 1 Nel febbraio 1492, un « Carluccio de Padoa » riceve insieme a Costanzo de Moysis trentatrè ducati « per certi dipinti fatti in un tempio di legno con cornice, festoni e 13 figure di Ninfe » e « per aver dipinto un fregio di carta al palco posto intorno ad una camera del Duca la quale servì per la farsa che S. Signoria fece fare addi 3 del presente ». 2 Anche se oggi nulla rimane a Napoli di Galvano e Carluccio da Padova, le fonti testimoniano il successo di tale scuola in ambito aragonese, successo che non si estinse con la dinastia regnante (1503) ma che rimase in voga fino ai primi decenni del xvi secolo, come si evince nella celebre lettera di Pietro Summonte del 1524. Come più volte accennato nel corso di quest’intervento, Mantegna era apparso agli occhi di Summonte come l’iniziatore del recupero dell’antico (« da lui cominciò ad rinovarsi la antiquità »), e Giovanni Agosti ha sottolineato che questo giudizio rispecchiava i gusti di Giovanni Pontano e di Jacopo Sannazaro, due letterati legati a filo doppio con la famiglia reale aragonese. 3 Ed erano stati proprio alcuni membri della famiglia reale, Alfonso duca di Calabria insieme al fratello, il cardinale Gio1 Nicola Barone, Le cedole di tesoreria dell’Archivio di Stato di Napoli dall’anno 1460 al 1504, estratto « Archivio Storico per le province napoletane », Napoli, Giannini, 1885, p. 137 ; Erasmo Pèrcopo, Nuovi documenti su gli scrittori e gli artisti dei tempi aragonesi, in « Archivio storico per le province napoletane », 1893, pp. 777-779 ; Fausto Nicolini, op. cit., pp. 238-239. Sull’attività dell’artista per il duca di Calabria cfr. Roberto Pane, Il Rinascimento nell’Italia meridionale, Milano, Edizioni di Comunità, vol. ii, pp. 59-60, 73, 278. 2 Nicola Barone, Le cedole di tesoreria, cit., p. 161. 3 Giovanni Agosti, Su Mantegna, 3, cit., pp. 131-132, note pp. 138-140. la fortuna di andrea mantegna a napoli 97 vanni, a promuovere in ambito meridionale quella miniatura ‘all’antica’ di gusto veneto-padovano. Concludendo, è possibile quindi afermare che la fortuna napoletana di Mantegna, rinnovatore dell’antichità, andò di pari passo con la ricca produzione di codici miniati secondo un gusto veneto-padovano che tanto successo ebbe nell’ambito della corte e dei suoi umanisti. Non è un caso, infatti, che tra i numerosi artisti del libro attivi per la famiglia reale di Napoli, Summonte abbia citato soltanto due miniatori, Gaspare da Padova e Ioan Todeschino, entrambi di formazione e di cultura veneta, gli unici capaci di riprodurre sulla pergamena quel ‘garbo antiquo’ che aveva avuto in Mantegna il suo iniziatore. Post Scriptum Nelle more della stampa di questa raccolta di saggi, numerosi sono stati i contributi consacrati alla difusione del linguaggio mantegnesco. Si segnalano i volumi dove sono stati in parte afrontati i problemi qui trattati: Charles Dempsey, Inventing the Renaissance Putto, Chapel Hill-London, The Univesity of North Carolina Press, 2001 (pp. 90-114); Paola Santucci, Su Andrea Mantegna, Napoli, Liguori, 2004 (pp. 178-179); Giovanni Agosti, Su Mantegna I, La storia dell’arte libera la testa, Milano, Feltrinelli, 2005 (pp. 53, 178, 210, 246, 405); Renata Casarin, Il Seppellimento di Cristo di Viadana e gli influssi mantegneschi nella scultura in area lombarda, in Andrea Mantegna e i Gonzaga. Rinascimento nel castello di San Giorgio, catalogo della mostra a cura di Filippo Trevisani, Milano, Electa 2006, (p. 289, fig. 19). Io stesso ho avuto modo di ritornare sul medesimo argomento in varie occasioni: Gennaro Toscano, Andrea Mantegna, Isabella d’Este e la Contessa di Acerra, “Atti dell’Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti. Classe di scienze morali, lettere ed arti”, clxiii, 2005-2006, pp. 145-151; Idem, Bartolomeo Sanvito e Gaspare da Padova, “familiares et continuii commensales” di Francesco Gonzaga, in Andrea Mantegna e i Gonzaga. Rinascimento nel castello di San Giorgio..., cit., pp. 103-111; Idem, “Cristoforo Majorana e la miniatura all’antica: a proposito di qualche manoscritto conservato a Cambridge”, in Cambridge Illumination, atti del convegno internazionale a cura di Stella Panoyotova, Cambridge, dicembre 2005 (in c. d. s.); Idem, Gasparre da Padova e la difusione del linguaggio mantegnesco tra Roma e Napoli, in Andrea Mantegna. Impronta del genio, atti del convegno internazionale, Padova, Mantova, Verona, 8-10 novembre 2006, Mantova, Accademia nazionale Virgiliana (in c. d. s.); A. Iacobini, G. Toscano, “More graeco, more latino”. Gaspare da Padova e la miniatura all’antica, in Mantegna e Roma. L’artista davanti all’antico, atti del convegno internazionale a cura di Teresa Calvano, Claudia Cieri Via, Leandro Ventura, Roma, 8-10 febbraio 2007 (in c. d. s.). composto, in carattere imprint monotype, impresso e rilegato in italia dalla accademia editoriale ® , pisa · roma * Luglio 2008 (cz2/fg9) Tutte le riviste Online e le pubblicazioni delle nostre case editrici (riviste, collane, varia, ecc.) possono essere ricercate bibliograficamente e richieste (sottoscrizioni di abbonamenti, ordini di volumi, ecc.) presso il sito Internet: www.libraweb.net Per ricevere, tramite E-mail, periodicamente, la nostra newsletter/alert con l’elenco delle novità e delle opere in preparazione, Vi invitiamo a sottoscriverla presso il nostro sito Internet o a trasmettere i Vostri dati (Nominativo e indirizzo E-mail) all’indirizzo: newsletter@iepi.it * Computerized search operations allow bibliographical retrieval of the Publishers’ works (Online journals, journals subscriptions, orders for individual issues, series, books, etc.) through the Internet website: www.libraweb.net If you wish to receive, by E-mail, our newsletter/alert with periodic information on the list of new and forthcoming publications, you are kindly invited to subscribe it at our web-site or to send your details (Name and E-mail address) to the following address: newsletter@iepi.it