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Michele Chiaruzzi
  • Palazzo Hercolani, Strada Maggiore 45, 40125 - Bologna, Italia (EU)
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  • Professor of History of Political Thought and International Relations, Bologna; Clare Hall Life Member, Cambridge; CR... moreedit
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This article examines Torquato Tasso's Il Messaggiero [The Messenger] (1582), by focusing on the political subject matter, as discussed in the final part of the text through an imaginary dialogue, that is, the figure of the ambassador,... more
This article examines Torquato Tasso's Il Messaggiero [The Messenger] (1582), by focusing on the political subject matter, as discussed in the final part of the text through an imaginary dialogue, that is, the figure of the ambassador, the framework of his office and its relationship with power. Tasso's dialogue features the nature of the ambassador as a figure incarnating his own 'self', while simultaneously representing his prince and acting on his own behalf within a specific political context, an external dimension, namely, the 'international'. Such a condition of alienation is one of the origins of the office's 'conflicting obligations' toward the prince and toward its conciliatory function. We should indeed discuss the diplomatic personae or a divided persona. Tasso rejects the concept of the ambassador as a mere executor of policy, which is a striking departure from the previous general conception of the ambassador. The paradoxical conclusion that emerges is that the messenger, or the ambassador, is not a simple messenger. Tasso's text and its context is the article's epicentre. However, this article concerns the possible links between certain ideas and discourses regarding the ambassador's persona and the growth of diplomacy as a part of the rise of the 'international'.
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LEGITIMACY AND SECURITY: THE "SECOND" ITALIAN REPUBLIC'S WAR CYCLE The constant involvement in war has been a central aspect of the so-called "Second" Italian Republic. This article concerns the conduct of war as an empirical regularity... more
LEGITIMACY AND SECURITY: THE "SECOND" ITALIAN REPUBLIC'S WAR CYCLE The constant involvement in war has been a central aspect of the so-called "Second" Italian Republic. This article concerns the conduct of war as an empirical regularity of that period. One fact in the history of the second republic stands out: during all legislatures the Italian authorities have taken decisions for war, following the Atlantic Alliance or the United States of America. Considered in the framework of the transatlantic relations and the alliance which is still its cornerstone, the period of second republic presents notable features: the first armed attack as belligerent, the first military operation «out of area», the longest war effort both in the Italian and American history. There are two distinct theoretical enquiries in the study of international politics: the character, or nature of war as a phenomenon, and the purpose and conduct of war as a policy. This article concerns the latter. The first part is articulated by an analytical proposal to frame the war cycle of the Second Republic which is considered, with a unitary extension, in the second part.
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La brutale aggressione della Russia di Putin dell'Ucraìna ci ha costretti a pensare nuovamente il nostro destino di europei nei termini della pace e della guerra, a fare i conti con questi concetti e la nuda realtà alla quale rimandano.... more
La brutale aggressione della Russia di Putin dell'Ucraìna ci ha costretti a pensare nuovamente il nostro destino di europei nei termini della pace e della guerra, a fare i conti con questi concetti e la nuda realtà alla quale rimandano. Di nuovo parliamo di pace e guerra nel cuore dell'Europa. E non possiamo non interrogarci su cosa possa rappresentare per l'Europa che ancora stiamo costruendo questo evento. Un evento che all'improvviso rovescia prospettive e Esteri Serve un'Europa unita e federale che parli alla pari con Usa e Cina ⁄ di Sofia Ventura Dialogo con Michele Chiaruzzi. Prima il covid e ora la guerra hanno avviato la nuova UE. Di nuovo al centro del pianeta. La politica della forza e i valori della democrazia
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Створення реєстру воєнних збитків та інтеграція Києва до ЄС і НАТО означає, що вільний світ визнає кримінальну відповідальність Москви за скоєні нею злочини Unsplash
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L'UE, progetto di pace, di fronte alla guerra in Ucraina di Michele Chiaruzzi L'ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO rappresenta per l'Unione Europea(UE) un altro passaggio cruciale causato dalla guerra che grava sull'Europa. Checché... more
L'UE, progetto di pace, di fronte alla guerra in Ucraina di Michele Chiaruzzi L'ingresso di Svezia e Finlandia nella NATO rappresenta per l'Unione Europea(UE) un altro passaggio cruciale causato dalla guerra che grava sull'Europa. Checché se ne pensi, è ovvio che i 27 Stati membri dell'Unione non fanno tutti parte dell'Alleanza atlantica. La svista del Corriere della Sera a tal proposito (martedì 11 luglio, p. 2) è emblematica. Testimonia difatti una diffusa superficialità nel considerare un fatto capitale: proprio perché gli Stati dell'Unione nonpartecipano tutti alla NATO, la scelta di altri due Stati europei d'integrarsi in questa alleanza militare-perdipiù, si badi bene, due Stati ex neutrali-designa un grave momento per il processo d'integrazione europea. Coinvolto dagli eventi è il concetto stesso dell'Unione quale zona esclusiva di pace destinata ad allargarsi, integrarsi e poi concludersi, a
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La guerra in Ucraina nel triangolo Washington, Mosca, Pechino di Michele Chiaruzzi Un turbinio di eventi e discorsi si addensa intorno alla giornata del 24 febbraio quando, un anno fa, il governo russo tentò la conquista dell'Ucraina con... more
La guerra in Ucraina nel triangolo Washington, Mosca, Pechino di Michele Chiaruzzi Un turbinio di eventi e discorsi si addensa intorno alla giornata del 24 febbraio quando, un anno fa, il governo russo tentò la conquista dell'Ucraina con una seconda aggressione dopo quella del 2014. Essa è divenuta oggi l'apice fallimentare di una guerra decennale che rivela ormai compiutamente un significato politico ben più ampio del teatro europeo in cui si combatte. Su quel teatro gli effetti imprevisti della guerra russa contro l'Ucraina sono tanti e tali da rendere ogni bilancio parziale. Tutti però segnalano che la politica russa di divisione e ricatto in Europa è finora fallita, come pure un'offensiva bellica consumatasi in crimini di guerra, distruzione massiccia e
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L'energia come arma politica di Michele Chiaruzzi L'approvvigionamento energetico è un fattore centrale in ogni calcolo strategico e la fase attuale della guerra d'Ucraina lo dimostra, accomunando le azioni dei belligeranti e dei loro... more
L'energia come arma politica di Michele Chiaruzzi L'approvvigionamento energetico è un fattore centrale in ogni calcolo strategico e la fase attuale della guerra d'Ucraina lo dimostra, accomunando le azioni dei belligeranti e dei loro alleati proprio intorno a questo fattore. Esso riguarda il teatro bellico sia
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Oggi l'Unione Europea ha compiuto un passo decisivo per fronteggiare la minaccia di una completa interruzione del gas da parte di Putin». Così la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, a margine dell'accordo politico... more
Oggi l'Unione Europea ha compiuto un passo decisivo per fronteggiare la minaccia di una completa interruzione del gas da parte di Putin». Così la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, a margine dell'accordo politico raggiunto dai capi dei 27 Stati membri dell'Unione per ridurre in modo ordinato e coordinato il consumo di gas. Dal prossimo mese fino alla fine di marzo 2023, tutti gli Stati membri dell'Unione Europea (UE) si adopereranno per una riduzione volontaria del 15% del consumo di gas. In caso dell'interruzione completa del gas russo, l'Unione
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Il conflitto antico e ampio in cui si inquadra la crisi ucraina di Michele Chiaruzzi «Questa minaccia d'invasione la aspettiamo da otto anni. Questa è la guerra, questa è la Russia. E anche quest'anno ci aspettiamo che Mosca sfrutti... more
Il conflitto antico e ampio in cui si inquadra la crisi ucraina di Michele Chiaruzzi «Questa minaccia d'invasione la aspettiamo da otto anni. Questa è la guerra, questa è la Russia. E anche quest'anno ci aspettiamo che Mosca sfrutti qualsiasi momento buono: la fine dell'inverno, la fine delle Olimpiadi a Pechino, la fine della nostra pazienza». Così parlò il generale Oleksandr Pavlyuk, capo di Stato Maggiore ucraino. Sono nitide parole atte ad intendere alcuni fatti offuscati dalla nebbia della guerra d'Ucraina; questa guerra è d'altronde il campo dell'incerto come lo è ogni guerra e, come spiegò Clausewitz, «i tre quarti delle
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La responsabilità principale delle grandi potenze rispetto all'ordine internazionale è gestire le relazioni reciproche. Lo è perché dalla loro gestione dipende in massima parte l'ordine internazionale, a partire dal mantenimento delle... more
La responsabilità principale delle grandi potenze rispetto all'ordine internazionale è gestire le relazioni reciproche. Lo è perché dalla loro gestione dipende in massima parte l'ordine internazionale, a partire dal mantenimento delle prospettive di pace e dalla limitazione della guerra. Ciò significa cercare anzitutto di evitare crisi nei rapporti reciproci e poi controllare le crisi che si verificano prima che s'aggravino o precipitino. Le azioni che le grandi potenze possono intraprendere per conseguire questo scopo comune, nell'interesse di tutti, riguardano principalmente misure negoziali per rafforzare la collaborazione. Qualsiasi negoziato può però verificarsi solo col dialogo, perché il dialogo è la condizione necessaria seppur non sufficiente alla collaborazione.
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Cosa deve essere l'Unione Europea (UE)? Una unione di Stati o una federazione? Ridotto all'osso, schematizzato, è questo un dilemma riproposto dall'incidente diplomatico occorso alla delegazione europea giunta ad Ankara per incontrare il... more
Cosa deve essere l'Unione Europea (UE)? Una unione di Stati o una federazione? Ridotto all'osso, schematizzato, è questo un dilemma riproposto dall'incidente diplomatico occorso alla delegazione europea giunta ad Ankara per incontrare il presidente turco Erdoğan. È un dilemma tanto vetusto quanto attuale e coglie la sostanza di un problema politico, ripresentatosi con una questione di forma protocollare. In effetti, constatare la subdola facilità con la quale è possibile incrinare la tenuta diplomatica dell'esecutivo comunitario, offrendo banalmente una poltrona per due, dovrebbe stimolare una riflessione realistica sui due, non sulla poltrona o il suo proprietario. Se è così, la forma dell'affaire turco induce a meditarne la sostanza.
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«Dovremmo impedire il nazionalismo dei vaccini». È stato questo il primo grido d'allarme pronunciato dal direttore dell'Organizzazione mondiale della sanità. Egli presagiva ciò che sta accadendo in questa fase della pandemia. Allertava,... more
«Dovremmo impedire il nazionalismo dei vaccini». È stato questo il primo grido d'allarme pronunciato dal direttore dell'Organizzazione mondiale della sanità. Egli presagiva ciò che sta accadendo in questa fase della pandemia. Allertava, con lungimiranza, sulle nefaste conseguenze della competizione tra gli Stati per dotarsi dei vaccini in modo unilaterale, trascurando le implicazioni di questa condotta per cui pochi hanno molto e molti hanno poco. Oggi si moltiplicano timori analoghi perché, se le richieste di vaccini fossero soddisfatte solo negli Stati che hanno acquistato la maggior parte delle scorte, ciò potrebbe significare una continua incidenza del virus sulla popolazione restante degli Stati non vaccinati. Il timore è che la sua capacità nel mutare e la sua rapidità nel diffondersi possano
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Il Consiglio europeo non è stato come il Congresso di Vienna di Michele Chiaruzzi Per ricorrere ad una immagine evocativa, senza pretese analogiche, si potrebbe dire che il Consiglio europeo appena concluso è il nostro Congresso di... more
Il Consiglio europeo non è stato come il Congresso di Vienna di Michele Chiaruzzi Per ricorrere ad una immagine evocativa, senza pretese analogiche, si potrebbe dire che il Consiglio europeo appena concluso è il nostro Congresso di Vienna. A Vienna, due secoli fa, l'Europa si riorganizzò con una serie complessa di negoziati dopo lo sconvolgimento bellico. A Bruxelles, pochi giorni fa, l'Europa si è riorganizzata con una serie complessa di negoziati dopo lo sconvolgimento pandemico. A prescindere dalle cause, tanto a Vienna quanto a Bruxelles la posta in palio era l'assetto politico dell'Europa. A Vienna si trattava la fine del tentativo di predominio europeo di uno; a Bruxelles si è trattato per evitare la fine del tentativo d'integrazione europea di tutti. A Bruxelles era in gioco la sopravvivenza di un'idea d'Europa unita pacificamente anche nella disgrazia; a Vienna si spartiva la divisione dell'Europa dopo la guerra, intesa come una grazia. Il Consiglio di Bruxelles passerà alla storia per questo, com'è stato, al contrario, per il Congresso di Vienna.
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La dimensione politica dell'Europa post-Covid di Michele Chiaruzzi La rilevanza del Consiglio dell'Unione Europea appena concluso si comprende nel contesto in cui è maturato, più che di per sé. Non conta, difatti, in quest'occasione,... more
La dimensione politica dell'Europa post-Covid di Michele Chiaruzzi La rilevanza del Consiglio dell'Unione Europea appena concluso si comprende nel contesto in cui è maturato, più che di per sé. Non conta, difatti, in quest'occasione, l'elemento di novità, bensì quello di continuità. Esso è rappresentato dalle linee già definite dalla Commissione europea per una politica comune di aiuti collettivi, volta a fronteggiare la crisi pandemica. Tale politica è ancora oggi, dopo il Consiglio europeo, la direttrice su cui convergono gli Stati dell'Unione. Salvo fatti imprevedibili, d'ora in poi si svolgerà, com'è naturale, un processo d'elaborazione tecnica e maturazione negoziale. Resta tuttavia intatta tale politica comune. La quale, a conti fatti, ha superato un'altra prova cruciale e s'avvia ad essere sancita dalla presidenza tedesca dell'Unione. Se nulla accadrà in contrario, il Consiglio dovrà presto accordarsi non su quale politica di aiuti ma su come questa politica di aiuti dovrà svolgersi. In concreto, dovrà decidere, tra l'altro, come ripartire prestiti e sussidi per circa 750 miliardi di euro.
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Libia, una nuova fase della guerra, nuovi equilibri di potenza di Michele Chiaruzzi Abbiamo scritto tempo addietro che la politica delle potenze esterne coinvolte nella guerra di Libia riguarda la definizione delle sfere d'influenza. Di... more
Libia, una nuova fase della guerra, nuovi equilibri di potenza di Michele Chiaruzzi Abbiamo scritto tempo addietro che la politica delle potenze esterne coinvolte nella guerra di Libia riguarda la definizione delle sfere d'influenza. Di conseguenza la guerra cesserà quando tale condizione sarà soddisfatta col negoziato, la vittoria o la resa delle forze che si combattono in Libia col sostegno delle potenze esterne. In questo senso, la politica delle forze locali e delle potenze esterne è interdipendente: l'una s'alimenta dell'altra ed entrambe dipendono dall'andamento bellico. L'intervento diretto della Turchia non ha cambiato questa condizione fondamentale, ma ha alterato profondamente gli equilibri politici legati all'equazione della guerra. La forza militare turca, impiegata sul terreno con combattenti efficaci e nel cielo con droni adeguati, ha causato due cambiamenti notevoli sul teatro di guerra. Anzitutto ha consentito al governo riconosciuto dalle Nazioni Unite, quello del primo ministro Fayez al-Sarraj, di liberare Tripoli da un lungo accerchiamento. Condotto dalle forze del generale Haftar, sostenuto dai propri alleati e da varie potenze sul teatro bellico e diplomatico-tra le quali Egitto, Emirati, Russia e Francia-l'accerchiamento ha evidentemente logorato più gli assedianti che gli assediati. L'intervento turco ha poi permesso una controffensiva, tuttora in corso, destinata almeno alla presa di Sirte, città posta a quasi 500 km di distanza da Tripoli. Dopo Sirte, giacciono ancora inerti le istallazioni petrolifere controllate dalle fazioni orientali flebilmente
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Perché non si può parlare di guerra di Michele Chiaruzzi «Guerra, sola igiene del mondo». L'assurda analogia medica di Marinetti, motto supremo del bellicismo, ha raggiunto oggi la sua apoteosi rovesciata: «epidemia, sola guerra del... more
Perché non si può parlare di guerra di Michele Chiaruzzi «Guerra, sola igiene del mondo». L'assurda analogia medica di Marinetti, motto supremo del bellicismo, ha raggiunto oggi la sua apoteosi rovesciata: «epidemia, sola guerra del mondo»-si potrebbe dire. Perché la parola «guerra» e il gergo bellicista sono penetrati così in profondità nel nostro linguaggio? Sentiamo parlare ossessivamente di una guerra che non c'è: la «guerra al virus», «guerra globale» al «nemico invisibile», con «medici al fronte» e una «lunga battaglia» da vincere con «tutte le armi disponibili». Per Marinetti la guerra avrebbe ripulito il mondo. Per i cultori del gergo bellicista, l'igiene ripulirà il mondo dalla guerra? Quando il virus sarà vinto, la guerra sarà sconfitta? Questo paradosso grottesco porta all'apice logico la sequenza d'insensatezze semantiche e distorsioni cognitive generate dal gergo bellicista, tanto diffuso quanto esiziale. Si sa che è invalso in tutti i campi e certo non da oggi: «guerra commerciale», «battaglia parlamentare», sono esempi d'uso figurato e pernicioso. Oggi, in questa emergenza epidemica, travisa malamente un fatto: la malattia ha origine in natura, la guerra ha origine nella volontà umana. La guerra è un atto di forza mirato a piegare il nemico alla propria volontà. In quale senso, accolto nel lessico sociale, cioè quello in cui va realmente collocata la guerra, un virus ha volontà? Cosa vuole dalla sua vita parassitaria
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La politica del rischio calcolato nel triangolo USA-Iran-Iraq di Michele Chiaruzzi La guerra contro l'Iraq, voluta da George W. Bush nel 2003, indicava nell'Iran la seconda potenza del cosiddetto "asse del male" teorizzato dai... more
La politica del rischio calcolato nel triangolo USA-Iran-Iraq di Michele Chiaruzzi La guerra contro l'Iraq, voluta da George W. Bush nel 2003, indicava nell'Iran la seconda potenza del cosiddetto "asse del male" teorizzato dai repubblicani americani. Giungendo oggi al confronto militare diretto con l'Iran, il presidente Trump e i suoi sodali sono dunque, effettivamente, in perfetta continuità ideologica con quella gotica dottrina più che altro vaneggiante. Ne incarnano, semplicemente, un momento storico ulteriore. L'assassinio di Qasem Soleimani e la rappresaglia iraniana segnano così una nuova fase, poco sorprendente, della lunga guerra d'Iraq. La posta in palio di questa guerra, in ogni fase, è il controllo del governo di quel territorio, annientato nel 2003. È stata l'invasione dell'Iraq a creare questa posta in palio e generare, nel vuoto che ha prodotto, il lungo travaglio bellico che, negli anni, ha avvantaggiato l'espansione delle forze politiche e militari iraniane verso Occidente, permettendone la proiezione diretta nel confinante Iraq. Oggi la guerra dell'Iraq, quell'errore fatale, si ripresenta nuovamente per gli Stati Uniti e gli alleati come un conto ancora da saldare e non da riscuotere: il problema è come saldarlo. Ad altri spettano, difatti, i saldi positivi e i conti fatti ad Occidente non tornano affatto. Non tornano per tanti motivi e perché, in queste condizioni, il ritiro statunitense e degli alleati dall'Iraq, propagandato da Trump e i repubblicani, non è un'opzione plausibile, semmai lo sia stata. Il ritiro coinciderebbe, difatti, con il compimento del disegno politico tracciato di converso a Teheran, ossia la
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Il gioco politico della Brexit e la forza delle istituzioni democratiche Dopo il voto nel Parlamento di Westminster di martedì scorso, il Regno Unito sarà presto obbligato ad indicare alla presidente della Commissione europea, Ursula von... more
Il gioco politico della Brexit e la forza delle istituzioni democratiche Dopo il voto nel Parlamento di Westminster di martedì scorso, il Regno Unito sarà presto obbligato ad indicare alla presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen, un candidato per il posto di Commissario dell'Unione Europea. Sarebbe obbligato, occorre dire. Perché, in realtà, il primo ministro Boris Johnson ha già dichiarato che non ne ha la minima intenzione. Il che è comprensibile: quella nomina sancirebbe platealmente che, di fatto, dopo quasi quattro anni di calvario politico autodistruttivo per lasciare l'Unione Europea, il Regno Unito non si è mosso dal punto di partenza, se non di poco e male. S'aggiunga che, in ogni caso, l'eventuale accordo finale tra Unione Europea e Regno Unito dovrebbe essere ratificato da tutti gli Stati membri, compresi i loro Parlamenti. Questo ipotetico percorso non solo prefigura perciò un tempo lungo e penoso, bensì gronda incertezza totale. Il fatto è che se anche uno solo non lo farà, se non ratificherà l'accordo finale, saremo daccapo. È chiaro ormai da tempo: la cosiddetta 'Brexit' ha assunto i contorni di un estenuante Gioco dell'oca, costellato di soste e retrocessioni. Il fallimentare gioco d'azzardo di Cameron diede avvio al primo, sconsiderato, lancio di dadi nel vuoto politico. I protagonisti d'Oltremanica credevano troppo, come spesso accade, alla propria intelligenza. Ma il Gioco dell'oca è un gioco della sorte, non d'intelligenza. Per questo il gioco politico della Brexit, sfortunatissimo, ha portato i conservatori inglesi dove tutte le caselle politiche hanno imposto finora soste e retrocessioni. La fortuna arriverà, dice qualcuno e ciò è ben possibile. Ma ormai non si tratta di considerare la fortuna perché, in realtà, la politica non è solo un gioco della sorte, ma anche d'intelligenza. È questo che i più spregiudicati tra i giocatori inglesi non
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Gli attacchi all'Arabia Saudita, tra astuzia e contesto di Michele Chiaruzzi Nel contesto della guerra, diceva Carl von Clausewitz, l'astuzia è un gioco di prestigio per mezzo di azioni, come il sofisma è un'illusione in fatto di idee... more
Gli attacchi all'Arabia Saudita, tra astuzia e contesto di Michele Chiaruzzi Nel contesto della guerra, diceva Carl von Clausewitz, l'astuzia è un gioco di prestigio per mezzo di azioni, come il sofisma è un'illusione in fatto di idee (Vom Kriege, X). Gli attacchi condotti contro l'Arabia Saudita sono stati un astuto gioco di prestigio per mezzo di azioni in un contesto di guerra. Per discuterne possiamo considerare proprio questi tre aspetti: astuzia, abilità, contesto. L'astuzia è stata quella di mostrare con la violenza, ma senza vittime, che l'Arabia Saudita è incapace di difendere il proprio territorio da attacchi a distanza. Colpire con tale precisione e controllo il possessore di uno dei bilanci militari più grandi del mondo, alleato della principale potenza mondiale, afferma un concetto d'offesa e difesa esemplare. Traduce in pratica la capacità d'infliggere danni crescenti e insopportabili, grazie a una creatività strategica imprevista e-appunto-notevole astuzia. In caso di una rappresaglia contro l'Iran, tale capacità-è stato detto da fonti iraniane-«non sarebbe limitata alla fonte» diretta della rappresaglia. Essa colpirebbe a sorpresa tra i vari obiettivi americani e alleati nella zona del Golfo, almeno entro «duemila chilometri». L'astuzia, associata alla potenza, ha generato una condizione di deterrenza chiara e concreta che bilancia capacità militari sulla carta imparagonabili. Non solo: tale condizione contribuisce a divaricare le opzioni diplomatico-strategiche degli alleati dell'Arabia Saudita che, possibili bersagli di attacchi analoghi, mediteranno sui costi crescenti del proprio allineamento, come già hanno fatto gli Emirati con il loro disimpegno nello Yemen e un atteggiamento assai cauto proprio verso l'Iran.
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di Michele Chiaruzzi Nella crisi del Golfo, provocata dal confronto diretto tra Stati Uniti e Iran, il profilo militare sta assumendo un contorno sempre più definito e sempre più pressante. È una tensione da tempo latente, acuita dalla... more
di Michele Chiaruzzi Nella crisi del Golfo, provocata dal confronto diretto tra Stati Uniti e Iran, il profilo militare sta assumendo un contorno sempre più definito e sempre più pressante. È una tensione da tempo latente, acuita dalla decisione solitaria del Presidente Trump di ripudiare il noto accordo nucleare e imporre robuste sanzioni all'Iran. Il ritorno delle truppe da combattimento americane in Arabia Saudita è l'immagine più plastica del tono scelto per questo confronto. Incarna uno schieramento di forze armate che aggiunge ulteriore profondità alla crisi in corso. Gli atti ostili si ripetono ormai su più fronti e a tratti hanno già assunto la tipica dinamica a spirale, per cui ad azione corrisponde reazione, ad un attacco la rappresaglia. Dalle navi iraniane bloccate in Brasile, a quelle assaltate a Gibilterra e quindi nel Golfo, ai reciproci abbattimenti di droni, il fronte di confronto si dilata e le potenze direttamente coinvolte aumentano. Il caso del Regno Unito è esemplare, passato repentinamente dal ruolo di sostenitore dell'accordo nucleare a quello di attaccante a Gibilterra e poi, a sua volta, attaccato nel Golfo. È una condotta, tra le altre, che disorienta e pone domande. Come si spiega tale condotta, appunto destinata a suscitare una scontata rappresaglia? Perché una potenza che fonda la propria esistenza sulla libertà dei mari ha contribuito a creare le condizioni destinate a porre quella libertà in pericolo? Come potrebbe la flotta del Regno Unito proteggere tutte le navi, in teoria ora a rischio sistematico? Come va intesa la richiesta britannica di costituire oggi, a qualche mese dallo scadere di Brexit, una forza comune europea per garantire la sicurezza marittima? Non si danno risposte se non le si conosce ma, osservando da vari angoli questo rebus della crisi, viene a mente il tipico caso d'intrappolamento che si può produrre nelle
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Nella repressione dei Rohingya la relazione tra politica e morale Nel caso della persecuzione politica della minoranza rohingya in Myanmar e del loro esodo in Bangladesh, l'attualità è portatrice di fatti nuovi ma non di novità. Il... more
Nella repressione dei Rohingya la relazione tra politica e morale Nel caso della persecuzione politica della minoranza rohingya in Myanmar e del loro esodo in Bangladesh, l'attualità è portatrice di fatti nuovi ma non di novità. Il ministro degli Affari esteri del Bangladesh Shahriar Alam ha comunicato al segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres la propria delusione per l'inerzia da parte di Myanmar nel procedere al rimpatrio dei rohingya rifugiatisi in Bangladesh per sfuggire alla letale repressione che da lungo tempo subiscono. L'accordo fra i due stati, siglato due anni fa, è ancora lettera morta e Alam ha informato Guterres della volontà di presentare la questione della responsabilità del Myanmar di fronte alla Corte Internazionale. D'altra parte, la diplomazia mondiale sembra sostanzialmente inerte di fronte a questo dramma politico-a partire dall'ASEAN. Perché, dunque, tale questione dovrebbe assumere valore ai nostri occhi. Tra i tanti motivi, vale la pena discuterne uno. Proteggere le minoranze dalla possibile tirannide della maggioranza e, soprattutto, dalla sua potenziale violenza è un principio cardine di ogni sistema liberaldemocratico. Il fatto che ciò avvenga in pochi stati al mondo-compreso il nostro-dovrebbe permetterci di capire il valore di questi sistemi politici e sociali, oltreché i limiti, sostenendone il rafforzamento istituzionale invece che l'indebolimento. Ma ognuno trae dalla politica internazionale le lezioni che può e vuole trarre. 'Il volto del terrore buddista' fu il titolo del Time Magazine quando decise di dedicare la propria copertina a U Wirathu, un capo 'spirituale' del movimento nazionalista buddista in Myanmar. Alludeva così al ruolo di questa figura reputata cruciale nel contesto di politicizzazione criminale della maggioranza bamar contro i rohingya. Quando Gerhard Ritter scrisse Il volto demoniaco del potere (1958), non si limitò invece al confronto con certi calibri maggiori della storia del pensiero politico europeo. Volle anche concentrarsi su una relazione tormentata e imperitura che travalica secoli e generazioni, quella tra politica e morale, tra
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Libia, tra princìpi e condizioni della realtà Tre anni fa, trattando la questione della guerra in Libia, scrivemmo che «la ragione principale della guerra anglo-francese contro la Libia nel 2011 è la stessa che guida ancora oggi la... more
Libia, tra princìpi e condizioni della realtà Tre anni fa, trattando la questione della guerra in Libia, scrivemmo che «la ragione principale della guerra anglo-francese contro la Libia nel 2011 è la stessa che guida ancora oggi la politica di queste due potenze come altre potenze esterne: estendere la propria sfera d'influenza in Libia». Da allora un fatto è sempre più evidente: sono proprio «altre potenze esterne» a definire con più determinazione la rotta di collisione dei divergenti interessi nazionali che oggi affondano le prospettive di pace. Si complica perciò un problema fondamentale, ossia che per ottenere una pace stabile occorre giungere a un compromesso politico tra le potenze esterne sulle proprie sfere d'influenza, senza produrre la partizione del Paese. L'alternativa, stante lo stallo sul teatro bellico, è una guerra lunga e sanguinosa. Intanto, in Libia, la gente scappa, muore al fronte o per strada e i suoi effetti si propagano in Europa.Cui prodest? A chi giova tutto ciò? La risposta a questa domanda non è possibile conoscerla mentre si combatte e si muore. Potrebbe però essere rivolta a coloro che, otto anni fa, ritennero sensato alimentare col proprio intervento militare l'inizio della guerra attuale o, perlomeno, decisero che la propria responsabilità politica non stava nella ragionevole ponderazione delle conseguenze delle proprie azioni bensì nell'astratta «responsabilità di proteggere». Proteggere chi, ci si potrebbe domandare oggi. «La Libia è stata sconvolta dalla violenza e dall'instabilità politica da quando Muammar Gheddafi è stato deposto e ucciso nel 2011», ha scritto la BBC con sintesi esemplare. Le conseguenze politiche e diplomatiche dell'intervento occidentale del 2011 restano, inutile sottolinearlo, l'unico criterio politico ragionevole sulla base del quale misurare il suo successo e le ragioni di chi lo ha voluto, deciso e sostenuto. L'esito si vedrà alla fine della guerra. Intanto pare evidente che l'obiettivo «umanitario», ossia la «responsabilità di proteggere», ha costituito solo il contrappunto, o la maschera, dell'obiettivo non dichiarabile del cambiamento di regime in Libia, come
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Permanent exhibition at the Università di Bologna - Forlì Campus, Padiglione Gaddi, Via Giacomo della Torre 8, Forlì, Italia (free entry).
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