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Rita Pellegrini

  • Biologa, ha lavorato per alcuni anni nella ricerca oncologica. In seguito a studi e approfondimenti personali, è attu... moreedit
L’altare maggiore settecentesco della cattedrale di Como venne commissionato dal capitolo dei canonici ed è opera romana del terzo decennio del secolo. Non ci sono noti né l’autore del progetto né gli esecutori materiali; sappiamo però... more
L’altare maggiore settecentesco della cattedrale di Como venne commissionato dal capitolo dei canonici ed è opera romana del terzo decennio del secolo. Non ci sono noti né l’autore del progetto né gli esecutori materiali; sappiamo però che direttore dei lavori fu il padre teatino Alessandro Salaroli. Fra i disegni d’altare conservati nell’archivio capitolare, ne esiste uno, «fatto fare» dall’abate Corbellini, in cui le forme risultano particolarmente consone a quelle del manufatto.
L’altare è costruito con marmi antichi e pregiati: Africano, Alabastro orientale, Alabastro di Montaùto, Alabastro di Palombara, Breccia di Settebasi, Fior di pesco, Giallo antico, Verde antico. In esso si leggono le influenze stilistiche caratterizzanti la temperie artistico-culturale romana dell’epoca.
Le lastre di marmo per l’opera giunsero a Como per la via di Genova nel 1729 e il trasporto fu facilitato dall’intervento del cardinale Juan Alvaro Cienfuegos, che riuscì a ottenere l’esenzione dai dazi. Il nuovo altare fu montato intorno a quello trecentesco che fino ad allora era stato utilizzato. Immediatamente vennero fatti realizzare alcuni arredi per ornare l’altare. Tale attenzione proseguì nel secolo successivo, in cui, in particolare, venne realizzato un tronetto ligneo dorato, progettato da Biagio Magistretti, opera che in seguito divenne il trono di sostegno per l’antica statua della Madonna del Soccorso nel santuario del Sacro Monte a Ossuccio.
Lo studio si è basato specialmente sui documenti capitolari, che consentono però una ricostruzione solo frammentaria degli eventi che condussero alla realizzazione dell’altare. Potrebbe essere utile per un approfondimento, svolgere una specifica ricerca presso l’Archivio Generale dei Teatini di Roma.
L'articolo è disponibile per chi ne faccia richiesta all'autrice
Don Stanislao Santelli, originario di Oga, fu arciprete di Bormio dal 1844 al 1856, anno in cui egli dovette interrompere il proprio mandato a causa della condanna seguita a un processo a suo carico che si tenne presso il Tribunale di... more
Don Stanislao Santelli, originario di Oga, fu arciprete di Bormio dal 1844 al 1856, anno in cui egli dovette interrompere il proprio mandato a causa della condanna seguita a un processo a suo carico che si tenne presso il Tribunale di Sondrio e che lo vide imputato per calunnia. Le carte relative ai fatti e gli atti giudiziari non sono, almeno ad ora, reperibili, ma una prima parziale ricostruzione è possibile grazie a documentazione di altra provenienza e in modo particolare grazie a quanto conservato dai frati francescani di Dongo, che nel 1857 ospitarono l’ex arciprete di Bormio, la cui prima condanna a due anni di carcere duro era stata commutata a un anno presso una casa ecclesiastica.
Lo studio propone una biografia del sacerdote Stanislao Santelli, particolarmente incentrata sul periodo che lo vide tristemente coinvolto in vicende su cui si spera che nuovi documenti possano gettare in futuro ulteriore luce.
L'estratto è disponibile su richiesta all'autrice.
Il saggio esamina la storia della chiesa dei SS. Carlo e Ignazio di Arigna (SO), soffermandosi sui suoi reliquiari in argento, legati per la maggior parte alla emigrazione a Roma. L'estratto dell'articolo è disponibile su richiesta... more
Il saggio esamina la storia della chiesa dei SS. Carlo e Ignazio di Arigna (SO), soffermandosi sui suoi reliquiari in argento, legati per la maggior parte alla emigrazione a Roma.
L'estratto dell'articolo è disponibile su richiesta all'autrice.
Lo scritto qui presentato si ricollega all’articolo di Simonetta Coppa contenuto in questo stesso volume, nel quale si parla del ritratto dell’arciprete di Montagna Giovanni Battista Castellani, dipinto con la ferula da Antonio Caimi nel... more
Lo scritto qui presentato si ricollega all’articolo di Simonetta Coppa contenuto in questo stesso volume, nel quale si parla del ritratto dell’arciprete di Montagna Giovanni Battista Castellani, dipinto con la ferula da Antonio Caimi nel 1846.
L'articolo, disponibile su richiesta, tratta della ferula d'argento di Montagna in Valtellina.
Lo studio si propone come proseguimento dell’analisi iconografica di opere raffiguranti la zampogna in Valtellina, analisi intrapresa in ricerche precedentemente pubblicate. Nel caso specifico vengono presi in considerazione - ad... more
Lo studio si propone come proseguimento dell’analisi iconografica di opere raffiguranti la zampogna in Valtellina, analisi intrapresa in ricerche precedentemente pubblicate. Nel caso specifico vengono presi in considerazione - ad eccezione di un dipinto presente a Grosio - alcuni manufatti di tipo ligneo temporalmente collocati nel XVII e nel XIX secolo.
La rappresentazione dello strumento risente di varie suggestioni culturali, oltre che, naturalmente, della fantasia piuttosto che del realismo dell’artista, nonché della sua abilità tecnica.
Referring to the studies on precious metal works of both sacred and profane destination, which arrived in western Alto Lario in the context of the migratory flows that affected this particular area and Sicily from the 15th to the 19th... more
Referring to the studies on precious metal works of both sacred and profane destination, which arrived in western Alto Lario in the context of the migratory flows that affected this particular area and Sicily from the 15th to the 19th century, the scholar here proposes an analysis of the earrings that emigrants in Palermo brought to their families in Alto Lario in the 19th century, popular goldsmiths’ artefacts for which the creativity of the goldsmiths generally manifested itself in various forms.
The retinoid N-(hydroxyphenyl) retinamide (4-HPR) appears to be a promising tool for chemoprevention of breast carcinoma, and clinical trials to evaluate its effect are in progress. However, its action on tumor cells has remained largely... more
The retinoid N-(hydroxyphenyl) retinamide (4-HPR) appears to be a promising tool for chemoprevention of breast carcinoma, and clinical trials to evaluate its effect are in progress. However, its action on tumor cells has remained largely undefined. We report here that 4-HPR induced apoptosis and/or differentiation in breast cancer cell lines, independent of hormone receptor status and retinoic acid receptor expression, although it was slightly more efficient in inhibiting proliferation of estrogen receptor-positive cells. 4-HPR up-modulated expression of several differentiation markers (class 1 HLA, laminin, and beta 1 integrin chain) and down-regulated expression of molecules associated with tumor progression, including the p185/HER2 oncoprotein, the epidermal growth factor receptor, and the M(r) 67,000 laminin receptor. These data suggest that 4-HPR could exert a beneficial effect by inhibiting cell proliferation and modulating breast tumor aggressiveness.
The extensive essay relates to the deepening - compared to previous works - of the iconographi evidence of the bagpipe in the territory of the province of Como and, to an extent, of that of Sondrio, in Lombardy. An area in which images... more
The extensive essay relates to the deepening - compared to previous works - of the iconographi evidence of the bagpipe in the territory of the province of Como and, to an extent, of that of Sondrio, in Lombardy. An area in which images containing representations of bagpipes and / or bagpipers are quite smalli in number but for this reason even more important and significant from an iconographic point of view and in relation to the history of the territory. Te images suerveyed and studied refer both to the religion sphere (in particular to the theme of the Nativity and the Adoration of the sherperds) and profane.
Most of them are painted but there are also sculpted ones and, as the author points out, they provide a non-univocal representation of the instrumentwith the bag giving the impressionthat extravagance or fantasies aside, the artists have seen or had knowledge of bagpipes that are different  from each other. The article also highlights that a tradition of using the instrument has not been preserved in the area under study and that according to oral sources already in the first half of the 19th century the bagpipers came from the valleys of the Bergamo area. Significant, also in terms of its circulation through the popular as well as aristocratic channel, is the representation of a Neapolitan sordellina.
The retinoid N-(hydroxyphenyl) retinamide (4-HPR) appears to be a promising tool for chemoprevention of breast carcinoma, and clinical trials to evaluate its effect are in progress. However, its action on tumor cells has remained largely... more
The retinoid N-(hydroxyphenyl) retinamide (4-HPR) appears to be a promising tool for chemoprevention of breast carcinoma, and clinical trials to evaluate its effect are in progress. However, its action on tumor cells has remained largely undefined. We report here that 4-HPR induced apoptosis and/or differentiation in breast cancer cell lines, independent of hormone receptor status and retinoic acid receptor expression, although it was slightly more efficient in inhibiting proliferation of estrogen receptor-positive cells. 4-HPR up-modulated expression of several differentiation markers (class 1 HLA, laminin, and beta 1 integrin chain) and down-regulated expression of molecules associated with tumor progression, including the p185/HER2 oncoprotein, the epidermal growth factor receptor, and the M(r) 67,000 laminin receptor. These data suggest that 4-HPR could exert a beneficial effect by inhibiting cell proliferation and modulating breast tumor aggressiveness.
Several studies have suggested a correlation between the metastatic potential and the expression of adhesion molecules and/or their receptors on tumour cell surface membranes. In this study we investigated the expression of functional... more
Several studies have suggested a correlation between the metastatic potential and the expression of adhesion molecules and/or their receptors on tumour cell surface membranes. In this study we investigated the expression of functional laminin receptors on small cell lung cancer (SCLC) cells. To this aim we set up an adherence assay to determine the in vitro binding capability of tumour cell lines to laminin. All of the three SCLC lines tested and cells from a short-term SCLC line adhered to laminin in cell culture plates, and the affinity of cell-matrix adhesion proved to be higher than the cell-cell adhesion. This effect was always laminin dose-dependent. On a laminin affinity chromatography column three major proteins could be eluted with EDTA from soluble extracts of SCLC lines. Their molecular weights of 120, 90 and 30 kDa suggested a possible relationship with the integrin family. This putative integrin laminin receptor expressed on SCLC does not react with fibronectin, vitronectin or collagen.
Il saggio analizza oreficerie in argento donate dagli emigrati di Gordona a Napoli, Roma e Palermo alla propria chiesa di origine tra XVII e XIX secolo.
L'estratto può essere richiesto all'autrice.
Si ipotizza che la tela appesa nel presbiterio della chiesa di Corneliano Bertario e raffigurante l'Immacolata sia opera di Giacomo Parravicini detto il Gianolo.
L'estratto del saggio può essere richiesto all'autrice.
Vissuto tra XVII e XVIII secolo, lo Stampa fondò la nuova chiesa arcipretale di Dongo. Alla devozione per l'Addolorata univa una profonda passione per la cultura.
L'estratto del saggio può essere richiesto all'autrice.
L'emigrazione da San Martino Valmasino a Roma tra XVII e XIX secolo è testimoniata dalle indulgenze, dalle reliquie e dai manufatti romani in argento procurati dagli emigrati alla chiesa locale valtellinese. Gli emigrati a Roma donarono... more
L'emigrazione da San Martino Valmasino a Roma tra XVII e XIX secolo è testimoniata dalle indulgenze, dalle reliquie e dai manufatti romani in argento procurati dagli emigrati alla chiesa locale valtellinese. Gli emigrati a Roma donarono anche il denaro necessario per l'acquisto di una bella croce processionale in argento realizzata a Milano nella bottega all'insegna del Carciofo o Melone.
L'estratto del saggio può essere richiesto all'autrice.
Il saggio si propone di studiare la storia di casa Quadrio Curzio di Ponte in Valtellina e il suo apparato decorativo esterno, costituito da stemmi e grottesche.
Si può richiedere l'estratto all'autrice.
The 67-kd laminin receptor is a cell-surface protein that binds laminin with high affinity. In vitro studies suggest that this protein is involved in the progression of human tumors to invasive cancers (metastasis), but there have been... more
The 67-kd laminin receptor is a cell-surface protein that binds laminin with high affinity. In vitro studies suggest that this protein is involved in the progression of human tumors to invasive cancers (metastasis), but there have been few in vivo studies. Identification of such proteins would allow development of therapies aimed at interfering with their mechanisms of action. This large retrospective study was designed to investigate the association of expression of this laminin receptor molecule with established prognostic factors and overall survival in breast carcinoma patients. We immunohistochemically stained archival paraffin-embedded sections of 1160 primary breast carcinomas, using an immunoperoxidase technique and the MLuC5 monoclonal antibody, which is specific for the 67-kd laminin receptor. Specimens were obtained from consecutive surgeries performed from January 1968 through December 1971. Patients with negative lymph nodes or involved regional nodes had been treated with surgery alone; those with positive axillary nodes had received surgery and radiotherapy. No chemotherapy had been administered until disease recurrence. The statistical analysis was carried out using the logrank method for the survival curves and the actuarial life table to calculate survival rates according to the different prognostic variables. We found statistically significant associations between laminin receptor expression and young age (P < .001), premenopausal status (P = .001), positive axillary lymph nodes (P = .01), peritumoral lymphatic invasion (P = .02), and the diameter of the tumor (P = .05). Moreover, the association of expression of the receptor protein with poor prognosis, as indicated by survival curves, was statistically significant (P < .01). For patients with receptor-negative tumors, the survival rate was 50% at 20 years; for those with receptor-positive tumors, the survival rate was 50% at 13 years. Multivariate analysis showed the laminin receptor to be an independent prognostic factor (P = .005), indicating its predictive value in relation to overall survival. Our data suggest that the 67-kd laminin receptor is associated with the metastatic process. These preliminary findings also suggest that hormones may have a regulatory role in the in vivo expression of the 67-kd laminin receptor, which supports the hypothesis that hormone therapy might inhibit expression of the receptor. Studies of expression of this receptor in tumors of patients with extremely different sex hormone levels (e.g., men and pregnant women) are in progress.
In order to obtain further information on the biological role of the HER2/neu oncoprotein monoclonal antibodies (MAbs) were produced against the p185 extracellular domain. To immunize the mice and screen the hybridoma supernatants we... more
In order to obtain further information on the biological role of the HER2/neu oncoprotein monoclonal antibodies (MAbs) were produced against the p185 extracellular domain. To immunize the mice and screen the hybridoma supernatants we selected a lung adenocarcinoma cell line (Calu-3), which demonstrated an over-expression of p185HER2 measured as the reactivity with polyclonal rabbit serum to the 14-amino-acid carboxy-terminal-HER2/neu. Two MAbs, designated MGR2 (IgG1) and MGR3 (IgG2), selected for reactivity on Calu-3 and negativity on A43I live cells, the reference target cell for EGF receptor expression, were found to immunoprecipitate a 185-kDa molecule. Immunodepletion experiments with the polyclonal antiserum and cross-competition experiments indicated that the 2 reagents recognized 2 different epitopes located on the p185HER2 molecule. One of the 2 MAbs, MGR3, was found to internalize, induce p185HER2 phosphorylation and inhibit tumor cell growth in vitro. These results indicate that MGR3 is directed against a determinant located in the p185HER2 ligand binding site and may compete with the p185HER2 ligand, but is incapable of inducing a complete mitotic signal.
Preincubation of yeast cells in the presence of benzoate or sorbate at an extracellular pH value of 6.8 elicited a set of metabolic effects on sugar metabolism, which became apparent after the subsequent glucose addition. They can be... more
Preincubation of yeast cells in the presence of benzoate or sorbate at an extracellular pH value of 6.8 elicited a set of metabolic effects on sugar metabolism, which became apparent after the subsequent glucose addition. They can be summarized as follows: a) reduced glucose consumption; b) inhibition of glucose- and fructose-phosphorylating activities; c) suppression of glucose-triggered peak of hexoses monophosphates; d) substantial reduction of glucose-triggered peak of fructose 2,6-bisphosphate; e) block of catabolite inactivation of fructose-1,6-bisphosphatase and phosphoenolpyruvate carboxy-kinase, but not of cytoplasmic malate dehydrogenase. On the whole this pattern resulted in prevention of glucose-induced switch of metabolism from a gluconeogenetic to a glycolytic state. Our data also show that, unlike former assumptions, intracellular acidification is not likely to mediate the bulk of metabolic effects of benzoate and sorbate, since under our working conditions intracellular pH kept close to neutrality.
In the past the goldsmiths of Como mainly resided in the St. Giacomo’s parish and especially in the ‘‘contrata Sanzellariorum’’ or ‘‘contrata aurificum’’. This paper presents some biographical informations about the goldsmiths working or... more
In the past the goldsmiths of Como mainly resided in the St. Giacomo’s parish and especially in the ‘‘contrata Sanzellariorum’’ or ‘‘contrata aurificum’’. This paper presents some biographical informations about the goldsmiths working or almost residing in St. Giacomo between 1439 and 1628. The study is completed with some notes regarding other goldsmiths which in the same period resided in other parrishes and/or operated outside S. Giacomo.
In this research the author examines some silver furnishings made in Palermo, made between the seventeenth and eighteenth centuries, kept in the locations of the ancient parish church of Sorico, an ecclesiastical-geographical entity... more
In this research the author examines some silver furnishings made in Palermo, made between the seventeenth and eighteenth centuries, kept in the locations of the ancient parish church of Sorico, an ecclesiastical-geographical entity consisting of towns along the banks of the lake and
halfway up the coast in a territory on the border between the provinces of Como and Sondrio.These furnishings were donated to their churches by the emigrants who, at that time, went to work in Palermo. Their study allows us to broaden our knowledge of Palermo’s historical silverware manufacturing.
The article studies the gold monstrance made by the brothers Stanislao Giuseppe and Cornelio Raffaele Borghi, protagonists of a working partnership that lasted until the end of the 1940s. The work is contextualized with the historical,... more
The article studies the gold monstrance made by the brothers Stanislao Giuseppe and Cornelio Raffaele Borghi, protagonists of a working partnership that lasted until the end of the 1940s. The work is contextualized with the historical, artistic and cultural panorama of the period and its symbolic aspects are analyzed in detail.
The study shows a list of marks used in XIX century by the goldsmiths of Como and its district. Marks have been collected from documents delivered to local administration and, until now, have been found only on little objects reserved to... more
The study shows a list of marks used in XIX century by the goldsmiths of Como and its district. Marks have been collected from documents delivered to local administration and, until now, have been found only on little objects reserved to a widespread trade.
This catalogue of marks will allow us to ascribe precious artifacts to their makers, so we’ll can better understand and describe the work of local workshops.
In linea generale la documentazione relativa al monastero della Ss. Annunciata di Domaso e alla congregazione delle Orsoline che cronologicamente lo precedette in maniera diretta è assai vasta e potrebbe dar luogo ad uno studio... more
In linea generale la documentazione relativa al monastero della Ss. Annunciata di Domaso e alla congregazione delle Orsoline che cronologicamente lo precedette in maniera diretta è assai vasta e potrebbe dar luogo ad uno studio monografico approfondito. Attraverso
i due articoli che verranno qui presentati si intende offrire un quadro delle principali vicende che hanno caratterizzato la storia delle Agostiniane di Domaso dalla loro fondazione agli anni immediatamente precedenti la soppressione del monastero.
In linea generale la documentazione relativa al monastero della Ss. Annunciata di Domaso e alla congregazione delle Orsoline che cronologicamente lo precedette in maniera diretta è assai vasta e potrebbe dar luogo ad uno studio... more
In linea generale la documentazione relativa al monastero della Ss. Annunciata di Domaso e alla congregazione delle Orsoline che cronologicamente lo precedette in maniera diretta è assai vasta e potrebbe dar luogo ad uno studio monografico approfondito. Attraverso i due articoli che verranno qui presentati si intende offrire un quadro delle principali vicende che hanno caratterizzato la storia della agostiniane di Domaso dalla loro fondazione agli anni immediatamente precedenti la soppressione del monastero.
Lo scritto analizza alcune suppellettili palermitane del XVII e XVIII secolo custodite in Valchiavenna, ove tali opere pervennero attraverso il processo emigratorio che coinvolse l’Alta Lombardia occidentale tra Quattrocento e Ottocento.... more
Lo scritto analizza alcune suppellettili palermitane del XVII e XVIII secolo custodite in Valchiavenna, ove tali opere pervennero attraverso il processo emigratorio che coinvolse l’Alta Lombardia occidentale tra Quattrocento e Ottocento. Si prendono in considerazione le caratteristiche morfologiche dei manufatti, la loro punzonatura e le notizie archivistiche che li concernono.
Riassunto Gli abitanti dell'Alto Lario Occidentale, regione nota come «Tre Pievi» (Dongo, Gra-vedona e Sorico), mostrarono fin dal Quattrocento una vivace attitudine a emigrare. Di tale emigrazione, che coinvolse diversi ceti sociali,... more
Riassunto Gli abitanti dell'Alto Lario Occidentale, regione nota come «Tre Pievi» (Dongo, Gra-vedona e Sorico), mostrarono fin dal Quattrocento una vivace attitudine a emigrare. Di tale emigrazione, che coinvolse diversi ceti sociali, viene qui esaminata quella parte che si svolse tra XV e XIX secolo, prima verso alcune città della penisola italica e poi, dal Settecento, verso il Nord Europa. Per l'emigrazione interna, si rileva la predilezione di alcune mete a seconda delle aree di provenienza, sebbene in linea generale tutto l'Alto Lario fu accomunato da un flusso verso Palermo e la Sicilia. La pieve di Dongo mostra il quadro emigratorio più composito, le cui mete principali furono Ferrara,. In molti casi si esercitava il mestiere di calderaio e fabbro ferraio. Dalla pieve di Sorico si emigrava verso Palermo e Ancona, mentre Palermo, Roma e Napoli furono le mete prescelte dalla pieve gravedonese. In Sicilia gli emigranti lavora-vano soprattutto come vinai e panificatori, ma non mancarono medici e argentieri. Erano inseriti nella Nazione Lombarda e fondarono confraternite che raccoglievano fondi e com-missionavano opere d'arte da inviare in patria. I documenti consentono di stabilire il tipo di merce casalinga che gli emigrati portavano con sé o inviavano in patria dalla Sicilia, argenteria compresa. La cultura siciliana influenzò in vari modi il culto. A Palermo un buon numero di emigranti studiò teologia e ricevette l'ordinazione sacerdotale. L'emigrazione verso il Nord Europa caratterizzò XVIII e XIX secolo, sebbene testimo-nianze si trovino già in precedenza. Di questo flusso si riconoscono due casi estremi: quello di chi viaggiava per affari legati ad attività imprenditoriali e quello di coloro che si mette-vano in viaggio con la speranza di far fortuna. In mezzo chi aveva un mestiere spendibile e riuscì così a integrarsi nel Paese ospite in tempi brevi. Lo studio sistematico di questi processi è solo alle fasi iniziali, ma evidenzia che molti emigranti altolariani trovarono impiego come barometrai, costruttori di occhiali e di termometri, intagliatori di cornici, orologiai, gioiellieri. Tappe furono principalmente l'. Un caso particolare è quello di Giuseppe Fedele Caprani da Vercana (1839-1920), che a Dublino divenne capo-tipografo dell'«Irish Nation Newspa-per». Nel 1887 mise a punto una nuova tecnica di stampa di sua invenzione che brevettò e che venne applicata con successo dal giornale londinese «The Graphic». Premesse generali L'emigrazione storica degli abitanti dell'Alto Lario Occidentale fu un fenomeno piut-tosto articolato e complesso, del quale troviamo le prime attestazioni verso la metà del
Questo volume si prefigge di presentare i “ritratti” dei Caduti donghesi delle due guerre mondiali inserendoli in un quadro riguardante la vita del paese nell’arco temporale interessato dai conflitti e dal relativo dopoguerra. Punto di... more
Questo volume si prefigge di presentare i “ritratti” dei Caduti donghesi delle due guerre mondiali inserendoli in un quadro riguardante la vita del paese nell’arco temporale interessato dai conflitti e dal relativo dopoguerra. Punto di riferimento per quanto concerne le scelte di contenuto è  stato l’Archivio Comunale di Dongo, supportato e completato dalle notizie desunte dagli articoli di giornale dell’epoca e da documenti provenienti da altri archivi. Essenziali per le ricostruzioni biografiche si sono dimostrati, quando disponibili, i fogli matricolari dei soldati e, per ciò che concerne la prima guerra, le pagine lasciate dal coadiutore di Dongo don Ettore Civati. Alla biografia di quest’ultimo si è data rilevanza in un capitolo a parte proprio in considerazione del suo contributo alla ricostruzione, nonché del fatto di aver vissuto una parabola umana espressa "in nuce" nel periodo della sua vita trascorso a Dongo.
I documenti disponibili per organizzare il discorso sui singoli Caduti non sono quantitativamente comparabili tra loro. Il “ritratto” costruito dipende quindi dalla relativa consistenza documentaria, non certo da una maggiore o minore importanza del personaggio analizzato.
Apparentemente contraddittorio si dimostra il fatto che le notizie raccolte siano maggiori per la prima che per la seconda guerra, più vicina a noi da un punto di vista cronologico. Ciò è tuttavia spiegabile a motivo di due principali fattori: 1) i giornali pubblicati all’epoca della prima guerra davano mediamente più notizie di cronaca locale; 2) molti fondi archivistici legati alla seconda guerra non sono ancora accessibili.
Stazzona è un comune altolariano della Valle Albano. Almeno dal XVI e fino al XIX secolo fu caratterizzato da un flusso emigratorio verso la Sicilia, in particolare Palermo, fenomeno che ha lasciato segni importanti nel patrimonio... more
Stazzona è un comune altolariano della Valle Albano. Almeno dal XVI e fino al XIX secolo fu caratterizzato da un flusso emigratorio verso la Sicilia, in particolare Palermo, fenomeno che ha lasciato segni importanti nel patrimonio culturale locale, sia materiale che immateriale.
Oggetto dello studio è il corredo di suppellettili liturgiche in argento di fattura palermitana che gli emigrati inviarono in paese tra Sei e Settecento. Non è da escludersi che in alcuni casi anche la parrocchia abbia contribuito al loro acquisto. La gestione di tali beni era affidata ai fabbricieri dell’«Opera Pia eretta in Palermo». Dai documenti si evince che non tutti i manufatti inviati sono stati conservati. La maggior parte di quelli pervenutici risale al XVIII secolo ed è opera degli argentieri Francesco Nicodemi e Antonino Maddalena.
La relazione propone confronti con suppellettili palermitane custodite in altre chiese altolariane e siciliane. Oltre al noto legame con la devozione per S. Rosalia, emerge come, fin dalla metà del Seicento, l’iconografia di S. Giuliano, patrono della parrocchia, sia stata influenzata da quella ericina
Il contributo offre i risultati di uno studio storico-artistico sui reliquiari più importanti della cattedrale di Como e sulle reliquie in essi contenute
<<Carissimo signore cugino salute, la presente servirà per salutarlo asieme con suo fratello, denotandoli anche la di noi guoduta salute sperando seguire il simile anche di loro, e di tutti parenti amici di quelle parti. Sua sorella Gina... more
<<Carissimo signore cugino salute,
la presente servirà per salutarlo asieme con suo fratello, denotandoli anche la di noi guoduta salute sperando seguire il simile anche di loro, e di tutti parenti amici di quelle parti. Sua sorella Gina guode salute asieme con suo nepote salvo pero la indispositione del dinocio che ancora seguita quale stimiamo che forse col cresciere si risolverà; però dovete sapere che le miserie sono troppo, e la fame va mercato in casa sua, vi sono ancora taglie vechie da paguare e le nove imminenti, tre persone che vogliono mangiare, e la racolta, e stata scarsissima per tanto lasso a voi considerare come passa, e se non volete venire a dare conto alli fatti vostri, almeno mandate da paguare altrimenti benche l’esatore habia portato in anzi sino adesso ad instanza mia nondimeno vole essere satisfatto dove li ho detto che dinari non ne havevo però che essendo che si aspetta li paesani di giorno in giorno che dovesse aspettare che forse havaressimo mandato qualche cosa altrimenti che dovesse pigliare di quella che e in casa che dinari non ne ho ne se ne trova. Per fine li saluto caramente augurandoli dal Cielo un optima salute, preguandoli a salutarmi alli parenti ed in particolare al cugino Antonio Bassa>>.
Così scriveva il 19 aprile 1736 da S. Gregorio don Andrea Peracca ai cugini Natale e Andrea Riella, originari di Dosso Liro, emigrati a Palermo. La lettera, conservata presso l’Archivio parrocchiale di Dosso Liro, esprime chiaramente quali fossero le aspettative che si riponevano in Alto Lario Occidentale nei proventi derivanti dall’attività esercitata da coloro, e furono molti, che scelsero la via dell’emigrazione nella città sicula. Il fenomeno avvenne tra il decimosesto e gli inizi dell’Ottocento, con un picco rilevante nei secoli diciassettesimo e diciottesimo. Non furono soltano i “poverissimi” a emigrare, coloro che per intraprendere il viaggio dovevano ricorrere a prestiti di danaro, ma anche terrieri di migliori condizioni economiche i quali desideravano migliorare il proprio status sociale. Certamente l’emigrazione non modificò radicalmente la vita delle comunità altolariane, ma consentì alle famiglie di affrontare con maggiore tranquillità le difficoltà quotidiane e di pagare almeno parzialmente le tasse dalle quali i comuni erano all’epoca oppressi. Sul piano culturale l’incontro con la civiltà siciliana risultò di grande arricchimento per gli emigranti, specialmente in rapporto all’acquisizione di un certo “gusto del bello” che si manifestò nell’invio alle chiese patrie di bellissimi oggetti liturgici d’argento di fattura isolana che ancora oggi si conservano.
Sulla valenza estetica di questa relazione Alto Lario – Sicilia si inserisce anche lo studio che viene qui presentato.
Stando ad alcune testimonianze bibliografiche ed alla tradizione orale, i gioielli indossati dalle donne dei monti dell’Alto Lario sarebbero stati portati sul territorio dagli emigrati a Palermo. Qualche anno fa mi chiesi se fosse possibile confermare oggettivamente tale notizia e pensai che due potessero essere le vie possibili: un esame diretto dei monili, volto alla ricerca di eventuali punzoni che significassero una produzione siciliana, e uno studio parallelo dei documenti storici che rivelasse qualche dato significativo in proposito. Gli esiti iniziali sui gioielli non furono incoraggianti giacché prima di cominciare a trovare qualche pezzo marchiato a Palermo intercorse del tempo. Tuttavia si scoprirono subito, conservati dalle famiglie, alcuni monili interessanti e curiosi che permisero in seguito di costruire un discorso omogeneo. Le carte d’archivio offrirono d’altra parte un importante punto di aggancio e di sostegno alla ricerca, consentendo di estendere il discorso dal gioiello al bene prezioso (le posate in argento, per esempio) che l’emigrante portava in famiglia da Palermo. Non solo: gli atti notarili e gli epistolari parlavano anche di altri beni materiali recati in Alto Lario dalla Sicilia. Il quadro insomma si veniva ad ampliare. Parallelamente si dimostrò sempre più necessaria una indagine sul costume e in generale sulla “indumentaria” tipica dei monti dell’Alto Lario, non potendosi scindere una analisi sui gioielli storici da una contestuale ricerca sul modo di vestire delle donne del territorio in studio.
Che cosa rappresentava un oggetto portato da Palermo per l’emigrante dei secoli trascorsi? Il suo significato non coincideva sicuramente con quello degli odierni souvenirs. Un lenzuolo o una coperta “di Palermo” per chi ha conosciuto la durezza e la fatica di un viaggio e di un lavoro lontano, hanno il valore concreto di un bene d’uso per la propria casa. E il gioiello? Qui entra in gioco un aspetto diverso, la sensibilità alla bellezza: scegliere una corona da rosario in base al materiale che ne forma i grani, apprezzare un certo medaglione a smalto per i suoi colori particolari, non acquistare dei coralli perché “toccati dalla camola”, comprare l’anello di santa Rosalia... Presso la zona in cui risiedevano i Lombardi v’erano le maestranze orafe e argentiere di Palermo: una autentica <<scuola di bellezza>>.
Quanti più dovevano essere in passato i monili conservati nei monti dell’Alto Lario rispetto a quelli che oggi si possono ammirare! Un patrimonio che è caratterizzante della zona e che purtroppo si è in parte perso, a causa di vendite avvenute in tempi trascorsi, e in parte geograficamente disperso per il trasferimento di buona parte degli abitanti di questi luoghi in aree più prossime alla città.
I pezzi che vengono qui presentati sono stati raccolti nelle località di Stazzona, Germasino, Brenzio, Peglio, Dosso Liro, Livo, Traversa, Vercana, Càino, Trezzone e Montemezzo. Su esplicita richiesta di alcuni proprietari, esse non vengono citate in corrispondenza del gioiello presentato.
Ciascun oggetto è stato corredato di una scheda tecnica relativa a materiale compositivo, dimensioni, peso, eventuale punzonatura, con consulenza dell’orafo Sergio Gatti. Nel corso della ricerca sono stati catalogati in tutto duecentoquaranta gioielli.
Quando si lavora quotidianamente per mesi e mesi con i documenti storici di un certo paese, si acquisisce un certo senso di familiarità con i personaggi che lo popolavano. Ciò accade in particolare sfogliando gli atti notarili relativi a... more
Quando si lavora quotidianamente per mesi e mesi con i documenti storici di un certo paese, si acquisisce un certo senso di familiarità con i personaggi che lo popolavano. Ciò accade in particolare sfogliando gli atti notarili relativi a un lasso cronologico ben definito: allora si chiariscono i rapporti familiari, si riescono ad interpretare i nessi di conoscenza tra le persone e a far emergere certi ruoli di primato che avevano nel tessuto sociale determinati personaggi.
Il fatto che i paesi vengano spesso connotati per le caratteristiche dei loro abitanti non è di per sé un’usanza priva di fondamento. Sinceramente non so se anche i Donghesi abbiano meritato un soprannome. A me personalmente, dopo aver passato più di due anni di studio sulle carte di Dongo, l’impressione che ne viene è quella di una popolazione di animo nobile che ha operato e opera silenziosamente. Il che vale e per il notabilato, che ha lasciato traccia di sé, e per la gente comune. Quella nobiltà d’animo che durante i tragici istanti precedenti la fucilazione di massa del ’45 fece pronunciare al sindaco Giuseppe Rubini le ormai note parole di dissenso: «Ma a me degli ordini dei vostri superiori, a me interessa soltanto sino ad un certo punto: io obbedisco anzitutto agli ordini della mia coscienza; a quelli derivanti dalla carica conferitami nell’interesse della mia popolazione, certo di interpretarne il genuino consenso, e anche per la sua sicurezza!» e che lo fece testimoniare più tardi: «sentii la coscienza libera e leggera; libera e leggera la mia coscienza e colla mia quella della popolazione di Dongo!!».
Questo però non è un libro sui “fatti di Dongo”. La scelta è stata quella di tracciare un excursus sulla storia del paese, inquadrandola all’interno del contesto di quella delle cosiddette Tre Pievi altolariane, dai primi documenti storici disponibili fino alla fine del XIX secolo, giungendo solo per alcuni argomenti (per esempio la cronotassi degli arcipreti e dei vicari) fino ai nostri giorni.
Stazzona è paese di lunga tradizione rurale. Benché le attività agricole siano state abbandonate da qualche decennio, l’anima agreste respira nei vicoli che si snodano fra le case delle sue frazioni. Il vivace dialetto locale, per quanto... more
Stazzona è paese di lunga tradizione rurale. Benché le attività agricole siano state abbandonate da qualche decennio, l’anima agreste respira nei vicoli che si snodano fra le case delle sue frazioni. Il vivace dialetto locale, per quanto contaminato dall’uso sempre più frequente della lingua italiana, è caratterizzato da particolarità terminologiche e dure o secche inflessioni che non ne rendono sempre agevole la comprensione. Il territorio viene descritto dagli abitanti con un lessico piuttosto ricco: è fatto di noc, di cavarott, di medée, di sass, di ciazz... Ed è, usando un’espressione dialettale, tra noc e sass che si svolge la storia di questa comunità: fra solchi scavati dalle valli e sassi  che affiorano sulla superficie. Dove selve, boschi, prati e campi sono designati con nomi specifici per poter essere riconosciuti da tutti. Dove la vegetazione non è soltanto un bene naturale, ma può divenire punto di riferimento essenziale per intendersi col compaesano.
Considerare la storia di Stazzona comporta la necessità di non prescindere da certe relazioni. Affacciato dalla valle dell’Albano sul lago di Como, il paese è tradizionalmente pertinente al monte di Dongo. Non possiamo così ignorarne la passata subordinazione alla arcipretura dongana. Non possiamo soprattutto ignorare che nei secoli trascorsi Stazzona ha condiviso vicende e problematiche sociali con i villaggi dello stesso monte: Germasino e Garzeno. Fu condivisione tanto partecipata e dinamica da aprirsi ad altri comuni delle Tre Pievi altolariane e, grazie alla loro unione, alcune fra queste terre si avvantaggiarono talora di provvedimenti politico-sociali di interesse collettivo.
Ritengo questa sottolineatura importante. Viviamo in un’epoca in cui superficialmente il senso comune è retto dall’ottimistica e superba convinzione di aver raggiunto un elevatissimo grado di organizzazione, di aver inventato forme di relazione perfette. Le reti hanno in realtà ben più antica origine, perché l’uomo necessita per sua natura di stabilire rapporti. Rapporti che non cancellino però la sua appartenenza e ne esaltino invece il significato; che non diano l’illusione di comunicare, ma siano fruttuosi.
Nei documenti cinquecenteschi il paese si connotava come "Commune Stazonae montis dongi lacus et episcopatus Comi" (1536) oppure "Commune Stationae montis super dongum" (1549) o ancora "Communitas Stazonae Trium plebium superiorum Larij Lacus" (1597). È questa dunque la sua nicchia storica: monte di Dongo, Tre Pievi del Lario. Gli stazzonesi conoscevano il territorio comunale con grande precisione, attribuivano anche al più piccolo appezzamento una specifica denominazione, avrebbero potuto narrare la storia naturale delle piante di castagno che crescevano nelle selve. E d’altra parte però non si ponevano come limite la propria fetta di monte. Anzi: oltre a stringere relazioni nelle Tre Pievi, furono disposti a lasciare la loro terra per emigrare a Bologna, a Palermo e poi ovunque. Necessità dettata dagli eventi, si dirà. Certamente. Eppure affrontata con grande coraggio, dignità ed intraprendenza, raggiungendo posizioni sociali di buon livello, lavorando, oltre che per se stessi, a vantaggio della propria comunità di origine e impegnandosi in prima persona per il bene comune degli emigrati, come fece per esempio G. Bregazzi in Sicilia nel secolo XVIII.
Credo che, leggendo le seguenti pagine, i limiti di questo lavoro e le possibili linee di approfondimento emergeranno da sé. Evidenzierei soltanto che sarebbe proficuo approfondire anche la storia delle comunità di Garzeno e di Germasino, per trovare i fili che legano le vicende del monte di Dongo. E penso che ulteriori studi su Brenzio potrebbero ampliare e chiarire il quadro culturale e sociale di questa regione.
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La storia di Garzeno è per gran parte legata a quella delle bellissime montagne che fanno corona al paese e che coi loro toni ne connotano l’aspetto al variare delle stagioni. Nei secoli trascorsi l’attività lavorativa dei Garzenesi era... more
La storia di Garzeno è per gran parte legata a quella delle bellissime montagne che fanno corona al paese e che coi loro toni ne connotano l’aspetto al variare delle stagioni. Nei secoli trascorsi l’attività lavorativa dei Garzenesi era concentrata soprattutto sull’allevamento e sulla pastorizia, grazie all’abbondanza dei pascoli che il territorio offriva. Pertanto gli atti notarili sono ricchi di patti e convenzioni stilati allo scopo di rendere maggiormente fruibile al singolo i terreni senza calpestare nel frattempo i diritti degli altri pastori. Tali regole normano spesso anche l’uso dei boschi, altra risorsa importantissima, tanto che la lavorazione del legname condusse nel tempo a designare le figure dei cosiddetti “resegotti”. Non si trattava certo di mestieri che costituissero gran fonte di guadagno, tuttavia essi risultavano senza dubbio più proficui dell’agricoltura che, a questa altitudine, si rivelava più che nei paesi circumvicini destinata ad un mero e menomo sostentamento familiare.
Come il resto dell’Alto Lario, anche il paese Garzeno tra il XVI e il XVIII secolo fu interessato da un fenomeno di movimento emigratorio intrapeninsulare. Mentre però gli altri paesi montani delle Tre Pievi si connotano in maniera molto evidente per la loro emigrazione storica verso Palermo, della quale possiedono spesso una ricca documentazione cartacea e artistica, Garzeno si presenta come una debole eccezione da questo punto di vista, nel senso che tale movimento, che avvenne, non fu probabilmente molto corposo e forse non si recepì così profondamente come nelle località viciniori. Al di là di certi aspetti più legati alla tradizione (culto di S. Rosalia, uso del costume della moncecca), non si manifestarono scelte di più consistente portata, quale l’importazione di beni artistici di fattura palermitana (unica eccezione una tela nella parrocchiale), tanto che le suppellettili e i paramenti della chiesa vennero commissionati soprattutto a Milano. Caratterizzante invece, come emerge da questo studio, è l’emigrazione dei Garzenesi verso altre due città: Modena e Siena. Di tale fenomeno, che si realizzò a cavallo tra il XVI ed il XVII secolo, abbiamo alcune notizie marginali e non conosciamo per ora la portata complessiva. Esso sta a dirci però che, come avvenne anche altrove in quel paio di secoli, parallelamente e prima del grande boom palermitano, taluni paesi scelsero anche una propria città “target” per l’emigrazione.
Ciò che certamente caratterizza Garzeno rispetto ai villaggi circostanti è il suo rapporto con i vicini Svizzeri. Dopo fasi alterne di sottomissione alla famiglia d’oltralpe dei Sax, nel 1477 un importante giuramento legò la comunità garzenese agli Sforza, proprio un anno prima della battaglia di Giornico, nelle circostanze della quale una parte delle truppe ducali transitò verso la Svizzera dalla strada del S. Jorio, ove Garzeno rappresentava l’ultimo centro abitato al di qua del confine. Fu questa strada una via d’accesso interessantissima, poco sfruttata forse per la sua pur agognata vocazione commerciale, ma molto battuta per i traffici illeciti dai tempi antichi fino a quelli del più recente contrabbando. Oltre a ciò, in Val Morobbia i Garzenesi possedevano tre alpeggi che furono al centro di una plurisecolare questione dopo che nel 1503 il Contado di Bellinzona venne ceduto ai Tre Cantoni: nel 1917 le proprietà vennero espropriate dal Canton Ticino.
Centro della vita della comunità fu senza dubbio la parrocchia: la chiesa di Garzeno venne costantemente abbellita dai fedeli con opere che la rendono ancor oggi significativamente attraente. I documenti storici recano spesso l’attestazione di un paese povero e comunque dotato di pochi mezzi finanziari. Nonostante ciò i Garzenesi impegnarono le proprie sostanze a fare del proprio edificio ecclesiale un luogo accogliente ed artisticamente apprezzabile, a testimonianza di una concezione della vita che, andando al di là delle aspettative materiali, si apre al Mistero.
Il volume offre uno studio storico-documentario e artistico sugli organi a canne delle chiese della Valle Intelvi, per ciascuno dei quali viene offerta una scheda tecnico-fonica. La ricerca è completata da brevi excursus storico-artistici... more
Il volume offre uno studio storico-documentario e artistico sugli organi a canne delle chiese della Valle Intelvi, per ciascuno dei quali viene offerta una scheda tecnico-fonica. La ricerca è completata da brevi excursus storico-artistici sulle antiche chiese in cui gli organi sono conservati.
Questo volumetto nasce da un approfondimento degli studi su Palazzo Manzi a Dongo. Vengono qui presi in considerazione alcuni scritti tratti dall’epistolario Polti Petazzi custodito presso l’Archivio Comunale di Dongo, nonché documenti... more
Questo volumetto nasce da un approfondimento degli studi su Palazzo Manzi a Dongo. Vengono qui presi in considerazione alcuni scritti tratti dall’epistolario Polti Petazzi custodito presso l’Archivio Comunale di Dongo, nonché documenti provenienti da altri archivi storici, al fine di mettere meglio in luce alcune vicende concernenti la famiglia che fece costruire l’edificio come propria dimora. Si mette inoltre a fuoco per la prima volta l’iconografia della Sala d’Oro, con le sue implicazioni storiche, artistiche e letterarie. Vengono infine portati alla conoscenza del pubblico i reperti storici legati alla famiglia Polti Petazzi - Manzi, conservati presso i Musei Civici di Como.
I principali calici della cattedrale di Como vengono analizzati da un punto di vista storico-documentario e artistico
Per offrire ai soci e a tutti gli appassionati di storia valtellinese una testimonianza visiva e tangibile di questi primi 100 anni di vita del sodalizio, la Società storica valtellinese inaugura una mostra il prossimo 5 ottobre, alle ore... more
Per offrire ai soci e a tutti gli appassionati di storia valtellinese una testimonianza visiva e tangibile di questi primi 100 anni di vita del sodalizio, la Società storica valtellinese inaugura una mostra il prossimo 5 ottobre, alle ore 17,30, presso la sala della Acque del BIM a Sondrio. Nella mostra si potranno conoscere i protagonisti e gli eventi che hanno portato alla fondazione della Società e che ne hanno poi guidato ed animato l’attività per i successivi decenni. Inoltre, per la prima volta, la Società storica esporrà documenti e materiali antichi provenienti dall’archivio dell’associazione, comprendenti lettere di Pio Rajna e di altri protagonisti della vita culturale valtellinese del Novecento, nonché due rare pergamene cinquecentesche ed un album di disegni ottocenteschi di Pietro Martire Rusconi. Nelle settimane di apertura della mostra sono previsti, venerdì 7 e 14 ottobre, sempre alle ore 17,30, due conferenze che accompagneranno alla riscoperta di tesori di oreficeria e scultura lignea sul territorio provinciale.