<<Carissimo signore cugino salute, la presente servirà per salutarlo asieme con suo fratello, denotandoli anche la di noi guoduta salute sperando seguire il simile anche di loro, e di tutti parenti amici di quelle parti. Sua sorella Gina...
more<<Carissimo signore cugino salute,
la presente servirà per salutarlo asieme con suo fratello, denotandoli anche la di noi guoduta salute sperando seguire il simile anche di loro, e di tutti parenti amici di quelle parti. Sua sorella Gina guode salute asieme con suo nepote salvo pero la indispositione del dinocio che ancora seguita quale stimiamo che forse col cresciere si risolverà; però dovete sapere che le miserie sono troppo, e la fame va mercato in casa sua, vi sono ancora taglie vechie da paguare e le nove imminenti, tre persone che vogliono mangiare, e la racolta, e stata scarsissima per tanto lasso a voi considerare come passa, e se non volete venire a dare conto alli fatti vostri, almeno mandate da paguare altrimenti benche l’esatore habia portato in anzi sino adesso ad instanza mia nondimeno vole essere satisfatto dove li ho detto che dinari non ne havevo però che essendo che si aspetta li paesani di giorno in giorno che dovesse aspettare che forse havaressimo mandato qualche cosa altrimenti che dovesse pigliare di quella che e in casa che dinari non ne ho ne se ne trova. Per fine li saluto caramente augurandoli dal Cielo un optima salute, preguandoli a salutarmi alli parenti ed in particolare al cugino Antonio Bassa>>.
Così scriveva il 19 aprile 1736 da S. Gregorio don Andrea Peracca ai cugini Natale e Andrea Riella, originari di Dosso Liro, emigrati a Palermo. La lettera, conservata presso l’Archivio parrocchiale di Dosso Liro, esprime chiaramente quali fossero le aspettative che si riponevano in Alto Lario Occidentale nei proventi derivanti dall’attività esercitata da coloro, e furono molti, che scelsero la via dell’emigrazione nella città sicula. Il fenomeno avvenne tra il decimosesto e gli inizi dell’Ottocento, con un picco rilevante nei secoli diciassettesimo e diciottesimo. Non furono soltano i “poverissimi” a emigrare, coloro che per intraprendere il viaggio dovevano ricorrere a prestiti di danaro, ma anche terrieri di migliori condizioni economiche i quali desideravano migliorare il proprio status sociale. Certamente l’emigrazione non modificò radicalmente la vita delle comunità altolariane, ma consentì alle famiglie di affrontare con maggiore tranquillità le difficoltà quotidiane e di pagare almeno parzialmente le tasse dalle quali i comuni erano all’epoca oppressi. Sul piano culturale l’incontro con la civiltà siciliana risultò di grande arricchimento per gli emigranti, specialmente in rapporto all’acquisizione di un certo “gusto del bello” che si manifestò nell’invio alle chiese patrie di bellissimi oggetti liturgici d’argento di fattura isolana che ancora oggi si conservano.
Sulla valenza estetica di questa relazione Alto Lario – Sicilia si inserisce anche lo studio che viene qui presentato.
Stando ad alcune testimonianze bibliografiche ed alla tradizione orale, i gioielli indossati dalle donne dei monti dell’Alto Lario sarebbero stati portati sul territorio dagli emigrati a Palermo. Qualche anno fa mi chiesi se fosse possibile confermare oggettivamente tale notizia e pensai che due potessero essere le vie possibili: un esame diretto dei monili, volto alla ricerca di eventuali punzoni che significassero una produzione siciliana, e uno studio parallelo dei documenti storici che rivelasse qualche dato significativo in proposito. Gli esiti iniziali sui gioielli non furono incoraggianti giacché prima di cominciare a trovare qualche pezzo marchiato a Palermo intercorse del tempo. Tuttavia si scoprirono subito, conservati dalle famiglie, alcuni monili interessanti e curiosi che permisero in seguito di costruire un discorso omogeneo. Le carte d’archivio offrirono d’altra parte un importante punto di aggancio e di sostegno alla ricerca, consentendo di estendere il discorso dal gioiello al bene prezioso (le posate in argento, per esempio) che l’emigrante portava in famiglia da Palermo. Non solo: gli atti notarili e gli epistolari parlavano anche di altri beni materiali recati in Alto Lario dalla Sicilia. Il quadro insomma si veniva ad ampliare. Parallelamente si dimostrò sempre più necessaria una indagine sul costume e in generale sulla “indumentaria” tipica dei monti dell’Alto Lario, non potendosi scindere una analisi sui gioielli storici da una contestuale ricerca sul modo di vestire delle donne del territorio in studio.
Che cosa rappresentava un oggetto portato da Palermo per l’emigrante dei secoli trascorsi? Il suo significato non coincideva sicuramente con quello degli odierni souvenirs. Un lenzuolo o una coperta “di Palermo” per chi ha conosciuto la durezza e la fatica di un viaggio e di un lavoro lontano, hanno il valore concreto di un bene d’uso per la propria casa. E il gioiello? Qui entra in gioco un aspetto diverso, la sensibilità alla bellezza: scegliere una corona da rosario in base al materiale che ne forma i grani, apprezzare un certo medaglione a smalto per i suoi colori particolari, non acquistare dei coralli perché “toccati dalla camola”, comprare l’anello di santa Rosalia... Presso la zona in cui risiedevano i Lombardi v’erano le maestranze orafe e argentiere di Palermo: una autentica <<scuola di bellezza>>.
Quanti più dovevano essere in passato i monili conservati nei monti dell’Alto Lario rispetto a quelli che oggi si possono ammirare! Un patrimonio che è caratterizzante della zona e che purtroppo si è in parte perso, a causa di vendite avvenute in tempi trascorsi, e in parte geograficamente disperso per il trasferimento di buona parte degli abitanti di questi luoghi in aree più prossime alla città.
I pezzi che vengono qui presentati sono stati raccolti nelle località di Stazzona, Germasino, Brenzio, Peglio, Dosso Liro, Livo, Traversa, Vercana, Càino, Trezzone e Montemezzo. Su esplicita richiesta di alcuni proprietari, esse non vengono citate in corrispondenza del gioiello presentato.
Ciascun oggetto è stato corredato di una scheda tecnica relativa a materiale compositivo, dimensioni, peso, eventuale punzonatura, con consulenza dell’orafo Sergio Gatti. Nel corso della ricerca sono stati catalogati in tutto duecentoquaranta gioielli.