Novelle

Il presente studio, che ha per oggetto l’opera superstite di Walter Map, scrittore e poeta inglese del XII secolo nell’orbita della corte di Enrico II Plantageneto, si articola in quattro parti che focalizzano aspetti salienti, sia generali che particolari, della figura dell’autore nel contesto in cui operò e del De Nugis Curialium, l’unico testo superstite e incompiuto, tanto che è stato definito in vari modi, ora una serie di frammenti sparsi e disordinati (è l’interpretazione di Brooke e Mynors), ora uno zibaldone di opere da rielaborare successivamente (Fortunata Latella), ora una serie di opere autonome e quasi del tutto compiute (la recente tesi di Joshua Byron Smith). Tuttavia l’obbiettivo di queste pagine sarà anche quello di sostenere una indimostrabile, come tutte le tesi precedenti, unità dell’opera nella quale infatti emergono i riflessi di uno scheletro che poteva costituire una struttura portante di quello che avrebbe costituito un libro composito ma unitario, anche in accordo alle svariate dichiarazioni di poetica che l’autore dissemina nel corso delle scedulae della sua opera.
  In particolare, il capitolo 1 consiste in un affresco, per sommi capi, del contesto storico e culturale in cui Map operò. In esso si illustra, oltre alla storia politico-istituzionale dell’aera britannica, anche la letteratura in latino (Giovanni di Salisbury, Pietro di Blois, Giraldo di Barri, Stefano di Rouen, Gautier de Châtillon, Gervasio di Tilbury, Goffredo di Monmouth) e in volgare romanzo, medio inglese e gallese (Benoît de Sainte Maure, Wace, Thomas d’Angleterre, Marie de France, Chrétien de Troyes, Laʒamon, I Mabinogion) composta negli ambienti della corte inglese o comunque nell’aera britannica intorno alla seconda metà del XII secolo.
  Nel capitolo 2 l’attenzione è posta sulla figura dell’autore e sulla sua opera, sia quella a lui ascrivibile con certezza (il solo De nugis e pochi versi), sia quella di dubbia attribuzione (i romanzi in prosa di materia bretone del Ciclo Vulgato). Si sintetizza il processo di trasmissione del testo in una nota filologica (§2.2) e si procede con una anatomia dell’opera (§2.3) nella quale si analizzano brevemente tutte le 92 decisiones del testo tramandatoci disposte a loro volta in cinque sezioni (o distinctiones) delle quali si offre uno specchietto dei titoli in appendice.
  Il capitolo 3 si concentra nell’analisi dei proemi, degli interventi d’autore e nelle dichiarazioni di poetica col fine di comprendere il messaggio estetico del libro e coglierne la sua unitarietà dal punto di vista dell’offerta letteraria.
  Il capitolo 4, in fine, consiste in un esempio di analisi di una fra le più celebri e discusse storie del De nugis curialium, quella di Re Herla/ Herlethingo/ Hellequin e della sua masnada, presente nell’opera in due versioni e spesso richiamata dagli autori coevi e posteriori quasi sempre in brevi accenni a questa misteriosa figura che poi si ripresenta in svariate tradizioni folcloriche attraverso l’archetipo della caccia selvaggia (wild hunt).

Der Aufsatz ergänzt die erzähltheoretische Figur der Metalepse um ein wirkungsästhetisches Prinzip, das mit dem Begriff des
novellistischen Zeigarnik-Effektes bezeichnet wird. Dieser geht zurück auf die Arbeiten der Gestaltpsychologin Bljuma Wulfowna Zeigarnik und findet seinen Ausdruck in der Formel: „Unerledigte Handlungen bleiben besser im Gedächtnis haften als erledigte Handlungen!“
Ludwig Tieck verzichtete im Unterschied zu Novalis auf die belehrende Funktion des Märchens und verrätselte das
einfache, linear erzählte Märchengeschehen im Bewusstseinshorizont seines Helden. Damit ebnet Tieck den Weg für den schon in Der blonde Eckbert entfalteten
novellistischen Zeigarnik-Effekt, der in der Folge für die romantische Erzählung bestimmend bleibt.

Prestigioso intellettuale vissuto in Toscana a cavallo fra Tre e Quattrocento, Giovanni Gherardi da Prato è stato consulente giuridico e artistico, lettore di Dante presso lo Studio fiorentino e viceprovveditore ai lavori della cupola di Santa Maria del Fiore. Il presente volume propone una monografia aggiornata sulla biografia e sull’integrale produzione dell’autore, giungendo a una complessiva rivalutazione della sua attività letteraria. Particolare attenzione è dedicata al 'Paradiso degli Alberti', capolavoro in prosa in equilibrio fra le “tre corone fiorentine” e i nuovi fermenti umanistici; dell’opera vengono esaminati la tradizione manoscritta, l’articolato connubio di generi, lo stile, la cornice e le novelle narrate. Conclude lo studio un capitolo dedicato alla produzione poetica e trattatistica.

The Motti e facezie are an important collection of Renaissance Italian short stories, characterized by the presence of a leading actor: Arlotto de' Mainardi, an historically documented Florentine priest. While the text was a bestseller in the sixteenth century, unfolding in a vast number of editions despite the pressures of Catholic counter-reformation censorship, its print history has been largely neglected even by its most recent scholarly editor. This essay focuses on the likely first philological analysis of the Motti e Facezie del Piovano Arlotto's princeps, offering a brief summary of the text, its composition and reception histories, its manuscript tradition, and the problematic decision by G. Folena to neglect the print tradition in the preparation of his edition. After laying this contextual groundwork, the essay turns to an analysis of five (of the seven) remaining copies of the editio princeps, showing two different states of variants and focusing on one particular copy (Florence, Biblioteca Nazionale Centrale, Pal. E.6.6.28) owned and annotated by the important philologist and Florentine refugee in France, Jacopo Corbinelli.

Lecture held at the University of Helsinki, Finland, within the Department of Philosophy, History and Art Studies, on April 28th, 2022.

Lectio Magistralis tenuta presso l'università di Helsinki, Finlandia, presso il Dipartimento di filosofia, storia e studi artistici, il 28 aprile 2022.

Lezione tenuta presso la "Società Dante Alighieri - Comitato di Helsinki", sabato 21 maggio 2022, dove si sono mostrate e discusse le modalità di rappresentazione del personaggio Dante Alighieri nelle raccolte di novelle immediatamente successive al 'Decameron' di Giovanni Boccaccio, e le reminiscenze testuali, tematiche e stilistiche che della sua opera sopravvivono in queste collezioni.

Lecture held at the "Società Dante Alighieri - Comitato di Helsinki", sabato 21 maggio 2022. In this lesson I show how Dante Alighieri is represented in the collections of short stories immediately following Giovanni Boccaccio's 'Decameron', and the textual, thematic, and stylistic reminiscences of his work that survive in these collections.

https://dante.fi/blogi/nicola-esposito-reminiscenze-dantesche-nella-novellistica-post-boccaccio-21-maggio-2022/

Die literarischen Inhalte und die sprachlichen Ausdrucksformen der Gattung der Novelle zeigen mit ihrer Struktur und dem Ablauf der Handlung, mit Ausgangspunkt und Exposition, Höhe- und Wendepunkt, Handlungsabfall und Ausklang, der strukturierten Kürze der epischen Erzählung, die Kreativität und der Phantasie des Leser öffnende und zum schöpferischen Mitdenken anregende Offenheit der Handlung, die besondere charakteristische Formgebung und die Herausforderung der literarischen Gestaltung einer Novellenerzählung. Johann Wolfgang von Goethe schuf mit seiner "Novelle" (1827) das Idealbild einer neuen Erzählungsform. Als Aufgabenstellung formuliert er das Ziel "Zu zeigen, wie das Unbändige, Unüberwindliche oft besser durch Liebe und
Frömmigkeit als durch Gewalt bezwungen werde, war die Aufgabe dieser
Novelle, und dieses schöne Ziel, [...], reizte mich zur Ausführung".
Werner Bergengruen sieht die Novelle als höchste Form der Epik an. Als Zielsetzung für das Verfassen seiner "Ungeschriebene Novelle" (1952), den Menschen in seiner Freiheit und in seiner
Notwendigkeit zugleich darzustellen. In der scheinbaren Regellosigkeit,
Willkürlichkeit und Zufälligkeit unseres irdischen Geschehens versucht Bergengruen, diejenigen Gesetzmäßigkeiten herauszufinden und aufzuspüren, die einen Beleg für die Richtigkeit menschlichen Handelns und für die  Rechtmäßigkeit des Weltgefüges und aller in ihm statthabenden Bewegungen eine Garantie leistet.

The study of orality in Homer usually concentrates on the oral composition of the Homeric poems, the use of formulaic elements in the epic language, or the connections with the foregoing traditions of epic performance. Another important aspect is often overlooked: namely, the relations of the Homeric corpus with the traditions of oral storytelling, the rich substratum of popular legends, Märchen, and novellas that were widespread in the people’s mouths, throughout the communities of Archaic Greece. An important narrative repertoire in this respect must have been the novellistica of the Ionian world, a thriving production of novellas characterized by piquant or morbid eroticism, suspenseful intrigues, and sensational adventures. This genre is indirectly known through the traces it has left in the works of Herodotus and other logographoi of the Classical period, as well as its influences on the ancient novel. Originally, however, the Ionian novella was a form developed and diffused by word of mouth, and must have flourished already from an early period, parallel to the evolution of heroic epic.

The Homeric compositions draw story patterns and plots from the repertoire of the Ionian novella and rework them, usually as incidental episodes or inserted tales; in the Homeric text, of course, the storylines of the novellistica are projected onto the epic world of gods and heroes. In another study I have argued that the story of the adulterous amours of Ares and Aphrodite (Odyssey 8.266–366) and the episode of Hera’s erotic deception of Zeus (Iliad 14.153–351) are based on scabrous comic novellas, which the epic poet has transposed to the domain of the Olympian gods. In this paper I will focus on two other Iliadic specimens, which represent the genre of the “dramatic novella”, otherwise best exemplified in tales of Herodotus and other logographoi, especially in stories about oriental courts and their intrigues. Novellas of this type are usually set in a palace milieu and involve the king, members of the royal family, and courtiers. All these characters are enmeshed in dark passions, illicit love affairs, and disturbing emotions of desire, envy, or hatred; they become involved in complicated guiles and tortuous machinations, which often produce a sombre or tragic outcome.

The Homeric examples under discussion, Bellerophon’s life-story (Iliad 6.155–205) and Phoenix’s brief autobiography (ibid. 9.438–495), conform to this narrative form and present many parallels to novelistic tales from other sources — both the early literatures of the Near East and the later romances of the Greco-Roman world. They seem to stem from the same fictional universe as the gloomy and sensational court tales of Herodotus. Bellerophon’s story gathers together a whole series of adventurous and romance-like motifs widespread in the narrative traditions of the ancient Orient: “Potiphar’s wife”, “Uriah’s letter”, and the ordeal of monster-slaying imposed as a result of a love intrigue (a common pattern in Iranian legends, e.g. in the cycle of Gushtāsp). Phoenix’s account adapts in a more solemn mood essentially comic motifs of the scabrous erotic novella: it begins with a variation on the theme of “father and son loving the same woman” (a favourite of later domestic comedy) and culminates with the hero’s sexual impotence and the concomitant personal and social pressures (another widespread motif of piquant storytelling, from the Hittite Schwank of Appu to the tribulations of Encolpius in Petronius’ Satyricon). An interesting aspect of both these tales is that, although they are summarily given, they are full of pregnant formulations and briefly sketched scenes of concentrated force and dramatic potential, which could be developed at greater length in a different performance context. In the Homeric compositions these stories have been condensed, so as to be incorporated as digressions into the epic plot. However, their form hints at an ampler narrative expansion and a wealth of further details, which may have characterized their primary oral diffusion in the context of Ionian storytelling.

En este trabajo trato de demostrar que las novelas de Agnolo Firenzuola (1493-1543), prácticamente desconocidas hoy en día en España, fueron no obstante muy leídas en el Siglo de Oro, gracias, sobre todo, a las "Cento novelle scelte" compiladas por Francesco Sansovino. Así lo demuestran dos autores como Sebastián Mey y Lugo y Dávila, que imitaron varios textos de Firenzuola, basándose a todas luces en la antología de Sansovino.

Generalmente considerato il primo e meno brillante tra gli epigoni del Boccaccio, l’autore del Pecorone e le sue novelle non sono stati mai analizzati con occhio attento e con sincero animo critico, piuttosto come sottoprodotto dell’onda lunga generata dalla novità decameroniana. La critica positivista e quella di scuola crociana, pur essendosi spese alacremente nella ricerca delle fonti delle novelle e dell’identità autoriale (Gorra, Di Francia, Novati, Volpi, Errera), o nell’interpretazione della filosofia dell’opera e dei rapporti tra cornice, novelle e ballate (Li Gotti, Muscetta, Stoppelli), concordavano sulla bassa qualità dello stile narrativo, sulla mancanza di inventiva autoriale, e sull’arretratezza della forma linguistica rispetto al precedente maggiore. Preconcetti e opinioni ingenerose che hanno portato i più – forse per pigrizia – a ritenere esaustiva delle questioni storico-filologiche e linguistiche del Pecorone l’edizione solo divulgativa di Enzo Esposito del 1974, anche a fronte delle aspre ma puntuali critiche di Enrico Malato (recensione all’ed. Esp., in “Filologia e critica”, 1, 1976, 160-62). Da allora, purtroppo, sul Pecorone la critica tace.
Questo lavoro riprende e continua alcune indagini preliminari contenute in un capitolo della mia tesi magistrale del 2017 “Studi per l’edizione critica e commentata del Pecorone di Ser Giovanni”. In esso si notava la presenza di particolari raffinatezze retoriche nella prosa del novelliere, totalmente affini a quelle riscontrate nel testo del Decameron da Vittore Branca (Strutture della prosa e ritmi di fantasia, in Boccaccio Medievale, 19561). Lo studioso, infatti, nel ricostruire il testo delle novelle boccacciane, nota il frequente inserimento di strutture ritmiche versificatorie nella prosa del Decameron, nonché il ricorso alle clausole di cursus secondo le regole delle artes dictandi, e del cosiddetto “stile romano”. Le ragioni di questi inserimenti stanno non solo in un’attività di abbellimento della narrazione, ma pure nel tentativo di regolamentazione della sintassi, ancora priva di un sistema decodificato di segni di interpunzione.
In questo intervento si intende mostrare come l’autore del Pecorone (unico tra gli epigoni di Boccaccio), non solo conosce, ma utilizza con cognizione di causa e abbondanza i detti espedienti decameroniani nella sua prosa. Nell’individuare passaggi significativi all’interno del testo del Pecorone, verranno definiti alcuni paramenti per la classificazione e l’analisi dei suddetti elementi retorici e stilistici. In seconda battuta verranno appaiati e commentati brani da entrambi i testi, al fine di indagare su una possibile relazione diretta tra Decameron e Pecorone. Tale derivazione, se dimostrata, rimetterebbe in discussione molti aspetti delle relazioni tra Boccaccio ed i suoi epigoni, spingendo la critica a riaprire più serie e attente riflessioni sulla ricezione Tre-Quattrocentesca del Decameron in Italia.

La construcción del Tirano: Mario y el Mago, Rebelión en la granja
Verónica Rafaelli
CELYC-UNLP
2011
veronicarafaelli@yahoo.com

Capítulo publicado en Actas de las X Jornadas de Literatura Comparada, organizadas por la Asociación Argentina de Literatura Comparada (AALC), sede 2011 UNLP. Publicación digital en CD (ISBN 978-950-34-0837-7); edición en libro electrónico próximamente disponible en Memoria Académica FaHCE-UNLP.



RESUMEN

En el presente trabajo se intentará revisar las claves textuales que delinean la figura del Tirano como herramienta de construcción de poder en dos obras que tematizan el autoritarismo: Mario y el mago (Mario und der Zauberer, 1930), novelle de Thomas Mann, y Rebelión en la granja (Animal Farm, 1945), novela corta de George Orwell. La descripción de la naturaleza y el accionar de los líderes tiránicos postulados ficcionalmente en ambas obras —en parte, para evocar a sus contrapartes históricas— permitirá verlos como metacreaciones: máscaras construidas por los mismos personajes a fin de avanzar en el desarrollo de su poder y en la edificación de la autoridad carismática a partir del culto de la personalidad, cuya instauración se documenta en los distintos niveles estructurales de ambas obras.

En el otoño de 1978 Juan-Luc Godard aceptó la oferta del Conservatoire dÁrt Cinèmatographique de Montrèal para impartir un curso que tituló: “Introducción a una verdadera historia del cine”. Godard con el término “verdadera” se refería a que estaba hecha con imágenes y con sonidos, y no con textos, aún ilustrados. En este artículo se intenta revivir la “verdadera” historia del cine que explicó el profesor Juan A. Hernández Les. Fallecido en 2019, impartía aulas en la Universidad de Santiago de Compostela desde 1993. Se explica, también, su relación con Godard, la selección de sus películas, sus inferencias, sus formas de producción, sus tópicos y directores de cabecera y, sobre todo, de su particular visión de las dimensiones históricas del cine.

Questo saggio ha lo scopo di mostrare come la scelta del tempo narrativo predominante influenzi la trama biografica del racconto breve e determini diversi effetti di lettura. Il tempo passato è il tempo narrativo tipico della tradizione biografica del racconto breve (da Marcel Schwob) perché permette di proiettare nella distanza di un evento concluso la trama e il significato della vita narrata; l'uso di alcuni altri tempi narrativi obbliga l'autore ad adottare una dimensione narrativa sospesa e incerta. In "Vite di uomini non illustri" (1993) di Giuseppe Pontiggia, il tempo presente "storico" definisce un ordine teleologico che viene negato dalla banalità della vita dei personaggi. In "Vite brevi di idioti" (1994) Ermanno Cavazzoni utilizza la ripetitività dell'imperfetto per mostrare "l'illusione del principio di causalità" (Celati) e sposta la costruzione del significato dal racconto singolo alla macrostruttura che lo contiene.

Analisi della novella "Ah, non credea mirarti..", di Salvatore Di Giacomo, già pubblicata con il titolo "Nel silenzio", con particolare riferimento agli aspetti onomastico-letterari del testo, collegati alla presenza-assenza del suono e delle voci e, indirettamente, alla melomania dell'autore.

Cet article constitue une analyse de la « nouvelle artistique » « Le Peintre » écrite par l’écrivain romantique Vladimir Odoevskij en 1839 et traditionnellement interprétée, à l’instar l’ensemble du corps des « nouvelles artistiques » romantiques et post-romantiques, comme une démonstration qu’il est impossible de réaliser des valeurs artistiques supérieures dans le monde ordinaire. Or, l’article propose de relire à nouveaux frais ce texte typique, en utilisant la grille de lecture élaborée au croisement des sciences sociales et de la critique littéraire dans l’étude d’autres littératures européennes : cette méthode suggère que l’interprétation de tels textes a été longtemps conditionnée par le support sur lequel ces œuvres parvenaient au lecteur, mais qu’un retour au contexte originel de publication permet de les considérer d’une manière nouvelle. Dans cette perspective, il devient ainsi possible de lire la « nouvelle artistique » composée par Odoevskij, non comme une forme de désillusion envers les idéaux romantiques, mais comme la seule manière de les maintenir et de les diffuser.

This paper offers an analysis of the « artist story » « The Painter », written by the Romantic writer Vladimir Odoevskij in 1839: this short story is usually interpreted as are all the genre of the Romantic and post-Romantic “artist stories” and considered a demonstration that it is impossible to realize superior artistic values in the ordinary world. This paper applies to Odoevskij’s short story a new way of reading of such well-known texts, using the frame constructed in collaboration between social sciences and literary criticism in the studies of other European literatures: such a method suggests that, during long years, the interpretation of theses texts has proceeded from the material support on which these works were read by the modern public, but that returning to the original conditions of publication helps reading them anew. In this perspective, it becomes possible to consider the “artist story” composed by Odoevskij, not as a form of disillusion towards Romantic ideals, but as the only way to perpetuate them and make them public.

В статье предлагается анализ «художественной повести» «Живописца», написанной романтическим писателем Владимиром Одоевским в 1839 году. Такой рассказ обычно интерпретируется точно так, как интерпретируется весь жанр романтической и пост-романтической "художественной повести" : она считается демонстрация того, что невозможно реализовать превосходные художественные ценности в обычном мире. Статья предлагает изпользовать о рассказе Одоевского новую методику чтения таких хорошо известных текстов, построенную на распутье между общественными науками и литературной критики в исследованиях других европейских литературах : в этом кадре полагается, что в течение долгих лет, интерпретация таких текстов была тесно связанной с материальними обстановками современной публикации таких рассказов в книге и, что возвращаться к исходным условиям публикации поможет читать их заново. С этой точки зрения делается возможно рассмотреть художестенную повесть написанную Одоевским, не как форму разочарования к романтическим идеалам, но как единственный способ их увековечить и рассеить.

"Trentatré brevissimi racconti come lampi, sospesi tra reale e surreale. Hanno l’obiettivo esplicito di disorientare chi legge, di inserirlo in un’atmosfera che, attraverso il gioco linguistico, i ghiribizzi della fantasia, le riflessioni e le manovre all’ombra di autori prediletti, risveglia le molteplici attività della mente.
Evocativi, elusivi, allusivi, ambigui, i testi esplorano con ironia sottile l’ordinaria follia che ci circonda o è dentro di noi.

In Toscana, i decenni a cavallo tra il XIV e il XV secolo, immediatamente successivi al Tumulto dei Ciompi (1378), vedono una progressiva imposizione di nuovi potentati d’origine non aristocratica sulle più antiche famiglie patrizie cittadine. A Firenze, per esempio, in questo periodo, al tramonto dei Donati e dei Cavalcanti si oppone l’ascesa di nuove famiglie d’origine borghese quali, ad esempio, i Medici, gli Alberti o i Guicciardini. Queste ultime, cinquant’anni più tardi, incarneranno una nuova aristocrazia cittadina, dalla quale emergeranno quei casati che si porranno alla guida delle nascenti Signorie (si veda, a titolo esemplare, la storia dei Guinigi di Lucca).
Le novelle degli epigoni di Boccaccio si inseriscono attivamente in questo preciso arco temporale, e vengono pressoché tutte redatte da autori (Ser Giovanni, Sacchetti e Sercambi) che sono, al contempo, letterati, borghesi e politici attivi dentro e fuori la loro città. Con questo intervento mi propongo di analizzare le modalità di rappresentazione dell’emergente classe borghese e gli stimoli sociopolitici e culturali ad essa indirizzati dagli autori nelle loro raccolte. Questi stimoli, infatti, nascono dalla consapevolezza degli autori del fatto che questa classe era sì, ormai, la più ricca nella società toscana loro coeva, ma che non era forse ancora sufficientemente educata per prendere le redini del governo. Nello specifico presenterò i risultati delle mie ricerche sul primo dei tre novellieri da me studiati, il Pecorone di Ser Giovanni, riguardo il quale dal 2014 sto approntando il testo critico per un'edizione critica e commentata dell'intero novelliere.

Franco Sacchetti (1332-1400) may be considered Boccaccio's most important follower in the 'golden century' of the Italian literary language, and his Novelle rank among the undisputed classics of early Italian literature. However, with no extant autograph witness, their text must be reconstructed from manuscripts copied almost two centuries after (second half of the sixteenth century). Thus, the authorial form of the collection title has been long disputed, but often with little attention paid to period documentation. This essay attempts to outline the main issues of the discussion, which has been recently reopened with new arguments, and to reassess it in the light of the work's reception history as well as authorial intention.

American Boccaccio Association, 4th triennial conference, Madison (WI), October 3-5, 2019.

In this paper, I try to establish some parameters for classifying the vernacular rhetorical and stylistic elements of the Pecorone, a Florentine collection of short stories written between 1378 and 1385 probably by Giovanni d’Agnolo Capponi, a former copyist at the service of Boccaccio. I analyze the work’s organized system of clausole as well as the metrical insertions with which Boccaccio chose to enrich his prose. These insertions consist in both verses and groups of verses added by the author in specific and relevant textual places. On the basis of this analysis, I demonstrate the extent of the Decameron’s influence on Capponi’s literary style.
This analysis focuses on a comparison of select passages from the Pecorone with their parallels in the Decameron. In conclusion, I address the larger questions of how to classify these Decameronian excerpts from the Pecorone and, thence, how best to understand the literary relationship between Capponi and Boccaccio. In sum, the identification of such literary features in the Pecorone sheds light on the nature of the earliest reception of the Decameron in Italy.

A prosimetrum is text in which prose and poetry collaborate to the general sense of the book, as one could see, for instance, in Boetius’s De Consolatione Philosophiae or, for the Italian vernacular, Dante’s Vita Nova or Convivio. But what happens with the Italian collections of short stories seems quite different. In Boccaccio’s Decameron, for example, scholars have not yet found a valid theory which explains the relation between the ten ballate and its one-hundred novelle. The same happens in Boccaccio’s epigones, including Ser Giovanni’s "Pecorone". The singular nature of Capponi’s collection (18 original novelle, plus 32 copied by Giovanni Villani’s "Nuova Cronica"), creates a literary case that I will analyze in my paper, responding to the following questions: how do the 25 ballate relate with the short stories, especially with the non-original ones? Is there a connection between a few of them and some novelle, or with the cornice?
This research finds its roots in the effort I'm doing since 2014 to give birth to the first critical and commented edition of Ser Giovanni's "Pecorone".

L'inarrestabile ricerca linguistica tipica di Gadda si mescola, in questo racconto, con altre due chiavi di lettura caratteristiche di questo autore: la polemica antimussoliniana e la critica sociale verso ogni forma di indiscriminato conformismo.

Dante's Dilemma. The role of Narrator and Author in Conrad Ferdinand Meyer's The Monk's Wedding.
In the research literature, Dante, the narrator of C.F. Meyer's The Monk's Wedding, is treated as an example of an author who successfully asserts the autonomy of his art over against princely sovereignty. This autonomy is questioned in the present article by judging Dante's manner of narration, which is characterized by resentments toward his audience, to be a mirror of the situation of the writer in the 19th century, who finds himself in various dependencies (publishers, readership, etc.). Dante's reactions to his audience will be related to Meyer's reactions towards socio-historical and typographical innovations of his time.