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Workshop 6 Smart planning, big data e computational social science _ Coordinatori: Romano Fistola, Daniele Ronsivalle Discussants: Luciano De Bonis, Paolo Fusero, Ferdinando Trapani La pubblicazione degli Atti della XIX Conferenza nazionale SIU è il risultato di tutti i papers accettati alla conferenza. Solo gli autori regolarmente iscritti alla conferenza sono stati inseriti nella pubblicazione. Ogni paper può essere citato come parte degli “Atti della XIX Conferenza nazionale SIU, Cambiamenti. Responsabilità e strumenti per l’urbanistica al servizio del paese, Catania 16-18 giugno 2016, Planum Publisher, Roma-Milano 2017. © Copyright 2017 Planum Publisher Roma-Milano ISBN 9788899237080 Volume pubblicato digitalmente nel mese di marzo 2017 Pubblicazione disponibile su www.planum.net | Planum Publisher È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, anche ad uso interno e didattico, non autorizzata. Diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento, totale o parziale con qualsiasi mezzo sono riservati per tutti i Paesi. Workshop 6 SMART PLANNING, BIG DATA E COMPUTATIONAL SOCIAL SCIENCE Coordinatori: Romano Fistola, Daniele Ronsivalle Discussants: Luciano De Bonis, Paolo Fusero, Ferdinando Trapani Le nuove frontiere dell’ICT impongono cambiamenti epocali alle pratiche d’uso della città e del territorio. Allo stesso tempo deve cambiare il modo in cui si studiano i sistemi insediativi tenendo conto di una quantità e qualità del tutto diversa dei dati disponibili. Quali sono le pratiche che fanno propria questa continua innovazione, al di là delle retoriche e del senso comune che avvolge spesso questi temi? I campi di applicazione delle nuove tecnologie ai sistemi insediativi sono talmente ampi e pervasivi che richiedono una riflessione ampia e articolata. Le città sperimentano sistemi insediativi più complessi, distribuiti per reticoli interagenti in cui tutte le parti agiscono entro una relazione integrata e metabolica, orientata alla loro qualità materiale e immateriale e al benessere dei loro abitanti. Le città si compongono sempre più come sistemi di dati e informazioni, di sensori e attuatori, si arricchiscono di intelligenze distribuite. Tuttavia, non basta una immissione di tecnologia e la distribuzione di protesi urbane, bisogna accoppiare alla componente tecnologica i fattori abilitanti della social innovation. La Smart City ci obbliga a un ritorno a una visione olistica e metabolica della città: la città intelligente è soprattutto una Human Smart City e richiede un nuovo approccio analitico e pianicatorio per governarne l’evoluzione. Obiettivo del workshop è quello di cogliere i segnali che emergono nelle forme più innovative della comunicazione, della produzione e della gestione di servizi che interessano la città e il territorio. Si intende costruire, a partire dalle diverse esperienze e competenze dei partecipanti, una riflessione attorno alla necessità di elaborare protocolli di pianicazione integrata e strategica capaci di accelerare lo sviluppo di intelligenza urbana come fattore abilitante per lo sviluppo di città creatrici di valore, più ricche di intelligenza sociale e più resilienti rispetto ai cambiamenti climatici. PAPER DISCUSSI La relazione tra percezione e caratteristiche dello spazio. Un’analisi empirica come fondamenta per un sistema di valutazione dello spazio urbano Dario Canu Le Smart Grid nelle politiche di sviluppo territoriale Sebastiano Curreli Global Smart City Pillars: metodo di valutazione dell’intelligenza urbana Giulia Esopi Smart City e cambiamenti nel governo delle trasformazioni urbane Romano Fistola Le città come piattaforme di sviluppo socio-economico. I Living Lab come laboratori di sperimentazione per costruire un sistema di welfare community in ambito urbano Giancarlo Gallitano Sull’integrazione de-facto della bigliettazione per il TPL in area metropolitana: Puglia e Catalogna a confronto Federica Greco, Antonio V. Scarano Innovazione delle analisi urbanistiche: i Big Data per la ricerca dei valori identitari urbani Carmelo Ignaccolo, Paolo La Greca, Francesco Martinico Competitività e vulnerabilità delle città turistiche: la prospettiva Smart City Rosa Anna La Rocca Riconoscere e monitorare la potenziale fragilità dei sistemi commerciali urbani: una proposta per la Regione Lombardia Giorgio Limonta, Mario Paris CAMBIAMENTI Nuove tecnologie e gestione dell’informazione per la costruzione di quadri conoscitivi integrati e innovativi per la pianificazione climatica locale Denis Maragno, Francesco Musco, Federica Appiotti Verso uno strumento di SMART planning per la pianificazione dei centri storici: il caso studio di Assolo Stefano Pili Mobilità pedonale e accessibilità al TPL: Applicazione di un modello di calcolo all’ambiente GIS Silvia Rossetti, Michela Tiboni, David Vetturi Una sperimentazione di strumenti web-based per la partecipazione dei cittadini ai processi di rigenerazione urbana: l’infrastruttura ICT CAST e l’Urban Center Virtuale Piergiuseppe Pontrandolfi, Francesco Scorza Nuove frontiere dell’ICT: smart planning e uso dei Big Data Sara Maria Serafini Ecosistema digitale per la valorizzazione e la crescita del territorio Alessandro Seravalli Smart Planning per la città contemporanea Susanna Sturla Reti per la mobilità e struttura sociale dello spazio urbano: una rappresentazione multidimensionale dei cambiamenti in corso a Palermo Ignazio Vinci, Roberto Raimondi La relazione tra percezione e caratteristiche dello spazio. Un’analisi empirica come fondamenta per un sistema di valutazione dello spazio urbano Dario Canu Università degli studi di Sassari DADU – Dipartimento di Architettura Design e Urbanistica di Alghero Email: dacanu@uniss.it Abstract Questo studio è progettato per esaminare i fattori associati alla camminabilità percepita dai pedoni, come la qualità, il comfort e la piacevolezza dello spazio urbano. Lo studio si concentra sui fattori fisici dell’ambiente urbano e tenta di determinare la loro correlazione con la percezione della qualità dichiarata dai pedoni. Per mezzo di un’indagine sul campo, sono state raccolte informazioni su 24 attributi stradali (variabili indipendenti) ed un giudizio sintetico di qualità percepita (variabile dipendente), per l’intera rete stradale (408 segmenti) della città di Alghero. Attraverso un’analisi di regressione si sono individuati 9 attributi significativi (Larghezza utile del marciapiede, Attrattività ambientale e urbana, Densità di servizi e attività, Sosta (Panchine), Ripari e ombra, Larghezza carreggiata automobili, Ciclabilità, Separazione pedoni-veicoli e Illuminazione) che definiscono un modello di stima della qualità dello spazio con una bontà di adattamento R2=0,59. Lo scopo dello studio è quello di fornire indicazioni utili sia per modellizzazione e valutazione della pedonabilità urbana, sia per suggerire gli elementi importanti nella progettazione e pianificazione urbana, che possono incoraggiare la camminabilità e gli spostamenti a piedi. Parole chiave: percezione della pedonabilità, regressione lineare multipla, level of service. 1 | Introduzione Una misura della pedonabilità può essere di supporto ai policy maker per valutare la qualità dei percorsi urbani. Nell’ottica dello sviluppo di un sistema di valutazione della camminabilità urbana, basato sulla costruzione di un modello formale di misurazione, è opportuno identificare i fattori che influenzano gli usi dello spazio pubblico. Quando un pedone sceglie un percorso la sua decisione è influenzata da un certo numero di fattori; questi possono essere catalogati in caratteristiche socio-demografiche (età, reddito, genere, ecc.), caratteristiche di viaggio (motivo dello spostamento, frequenza, ecc.) e attributi dell’ambiente pedonale. Almeno dal punto di vista della pianificazione urbana i primi due gruppi sono fissi e non possono essere modificati, mentre il terzo, quello composto dagli attributi dello spazio, può essere trasformato (Mateo-Babiano, 2016). Scopo del lavoro è quello di identificare quali caratteristiche ambientali (variabili modificabili) condizionano comportamenti e percezioni degli individui nello spazio urbano. La ricerca di una relazione tra percezioni e attributi ha radici in una visione della qualità dello spazio legata alla fruibilità piuttosto che alla sola disponibilità, la valutazione di questi aspetti è una questione fondamentale per le iniziative politiche di incoraggiamento all’attività pedonale, verso un tentativo di migliorare le condizioni dello spazio condiviso. La ricerca sulla qualità dello spazio trova i fondamenti nella teoria delle capacità di A. Sen (2009), l’acquisizione del benessere individuale è un processo di interazione tra l’individuo, la sua percezione dello 985 spazio e le caratteristiche dell’ambiente fisico per lui disponibili. La sola contabilizzazione delle componenti della città non è sufficiente ad intercettare una misura della qualità; ciò che serve è identificare il loro ruolo nella percezione e quindi nell’effettiva fruizione degli elementi base dello spazio pubblico. Il metodo di investigazione trova le proprie radici nella interazione tra l’approccio psicometrico e i sistemi di valutazione del Level Of Service (LOS) dell’ingegneria dei trasporti (National Research Council, 2010); secondo una visione delle performances stradali applicate alla pedonabilità ed una definizione della misura in funzione di percezioni soggettive piuttosto che di qualità oggettive. Lo studio proposto si basa su un’intervista condotta su tutta la rete stradale di Alghero, una città costiera di circa 40.000 abitanti nel nord-ovest della Sardegna. Ogni semento stradale è stato oggetto di verifica per 24 attributi (audit) e di classificazione secondo il grado di qualità percepita. I dati raccolti sono elaborati con approcci statistici per definire correlazioni e relazioni di causa-effetto tra le variabili di descrizione dello spazio ed i giudizi di qualità. Nella prossima sezione (2) si discute una breve rassegna degli approcci e dei metodi di studio analoghi riportati in letteratura. In seguito è presentata (3) la metodologia e le impostazioni dello studio sperimentale oltre ai (4) principali risultati e (5) conclusioni. 2 | Background Sul tema della relazione tra lo spazio e la sua percezione, gli studiosi hanno impiegato una serie di diversi modelli statistici e metodi di interviste differenti. Come variabili dipendenti si possono trovare misure di soddisfazione dell’ambiente urbano, come la sua qualità, il giudizio sul LOS e la percezione di sicurezza o comfort. I dati sono raccolti sia su sementi stradali che su incroci, e sono spesso posti in relazione alle caratteristiche personali (es. bambini e genitori). Quando si tenta di acquisire misure ‘oggettive’ piuttosto che giudizi valutativi o preferenze dichiarate, gli studiosi utilizzano dati osservati sull’attività (e inattività) fisica, sulle relazioni con i sistemi di trasporto e sulla la scelta del percorso. Tra le variabili indipendenti, assunte come indicatori della pedonabilità, in letteratura si incontrano tre tipi di variabili lungo l’asse oggettivo-soggettivo: caratteristiche dello spazio fisico (es. larghezza del marciapiede, numero di corsie per auto, presenza di aree verdi, grado di manutenzione, ecc.), pratiche d’uso dello spazio (frequenza, densità, flussi, tassi di utilizzo, ecc.) e percezioni o reazioni allo spazio (es. senso di sicurezza, qualità percepita, senso di appartenenza, ecc.). Per quanto riguarda la raccolta dei dati e metodi di indagine, sono stati intrapresi percorsi diversi. I metodi in-strada illustrati da Ling, Ni, Cherry e Li (2014) possono essere riassunti in: • Observational Method (OM), calcolo del LOS basato sull'osservazione del processo di attraversamento dei pedoni in-situ (densità di pedoni, flusso di pedoni e velocità dei pedoni). • Intercept survey (IS), consiste nell’intercettare i pedoni dopo il loro passaggio o attraversamento e chiedere loro un giudizio sul segmento appena percorso. • Contingent Field Survey (CFS), consiste nell’analisi di segmenti o incroci prestabiliti che l’intervistato percorre e classifica. A differenza del primo metodo questo coinvolge i soggetti intervistati preventivamente permettendo di avere più giudizi da uno stesso soggetto. • Controlled Field Valuation (CFV), consiste in un’analisi osservativa dei segmenti o incroci prestabiliti che l’intervistato valuta senza necessariamente attraversare. È generalmente adottato per la valutazione di incroci. • Laboratory/Simulation Study (LSS), consiste nella valutazione di una rappresentazione dello spazio pedonale. Le simulazioni adottano differenti metodi di rappresentazione: descrizioni fisiche dello spazio, rappresentazioni 3D, fotografie e fotomontaggi o sequenze video. Altri approcci, basati su interviste standard (in strada, via telefono, via mail, via web, ecc.) sono usati per determinare la percezione o il comportamento dei pedoni. I metodi di preferenze rilevate (PR) sono usati per indagare la scelta del percorso, mentre le preferenze dichiarate (PD) per conoscere giudizi o preferenze sulle caratteristiche dello spazio. Mentre metodi di comparazione a coppie (CC) (o paired comparison) sono usati per stimare l’importanza delle caratteristiche urbane. 3 | Metodologia L’analisi proposta applica una Contingent Field Survey basata sull’approccio psicometrico di valutazione del livello dei servizi LOS. Agli intervistati è stato chiesto di valutare la qualità dello spazio di circa quattrocento segmenti stradali secondo le istruzioni: 986 «Per ogni via assegnata va espresso un giudizio sintetico di percezione della qualità e della camminabilità dal punto di vista del pedone. Il giudizio è espresso su una scala Qualitativa Ordinale, da 1 (insufficiente) a 5 (eccellente), tenendo conto delle Caratteristiche Fisiche del percorso pedonale; delle Caratteristiche Qualitative complessive dello spazio; ed in generale di quanto la strada è Sicura, Comoda, Piacevole, Attrattiva, Attraversabile. Per valutare la camminabilità NON occorre considerare la distanza dal centro e gli elementi temporanei di disturbo (es. lavori in corso).» Le risposte sono espresse su scala Likert a 5 punti, specificando il significato di ogni livello: 5. Eccellente: massimo confort del pedone, strada molto piacevole da percorrere con elementi di particolare pregio e attrattività dello spazio urbano o del paesaggio circostante, nella quale è interessante sostare o passeggiare; 4. Molto Buona: strada confortevole percorrere, nella quale il transito è piacevole e privo di intralci; 3. Buona: strada percorribile, transito non troppo difficoltoso ma spazio non di particolare pregio; 2. Sufficiente: strada percorribile con difficoltà, ostacoli nel transito o qualità dello spazio scarsa; 1. Insufficiente: strada impossibile o molto insicura da percorrere, qualità dello spazio scarsa Le variabili indipendenti sono definite in accordo con studi preliminari (Ble i , Cecchini, Congiu, Fancello, Trunfio, 2015) ed incrementate con l’uso della procedura del Value Focused Thinking proposta da Keeney (1996). I livelli di ogni indicatore sono espressi in forma qualitativa ordinale su scala da 1 (situazione migliore) a 2, 3, 4 o 5 (situazione peggiore). La lista delle variabili indipendenti è proposta in Tabella I. Ogni livello (modalità) delle caratteristiche dello spazio (variabili indipendenti) è descritto ai revisori in maniera dettagliata e per mezzo di esemplificazioni, per tentare di limitare ambiguità e interpretazioni soggettive. Ad esempio, l’attributo ‘larghezza del marciapiede’ è composto dai cinque livelli: Ampio, Comodo, Minimo, Inadeguato e Assente. Secondo i differenti sistemi di stima degli intervistati, queste descrizioni potrebbero essere dissimili, per questo — nelle line guida fornite per l’audit — ogni livello è stato descritto accuratamente. Quindi, per la larghezza del marciapiede i cinque livelli sono: 1. Ampio (consente il passaggio di 4 persone senza ostacoli) 2. Comodo (consente il passaggio di 3 persone con qualche ostacolo ma irrilevante) 3. Minimo (consente il passaggio di 2 persone ma con presenza di ostacoli che costringono ogni tanto a deviare il percorso) 4. Inadeguato (consente il passaggio di 1 persona con presenza di numerosi ostacoli lungo il percorso) 5. Assente (assente o in condizioni di impossibilità d’uso) Tabella I | Lista attributi e livelli. Attributi [1] Larghezza utile del marciapiede [2] Attrattività ambientale e urbana [3] Densità servizi e attività [4] Densità edifici [5] Sosta (panchine) [6] Ripari e ombra [7] Pendenza [8] Senso di marcia [9] Larghezza carreggiata automobile [10] Limite di velocità [11] Ciclabilità [12] Permeabilità pubblico/privato [13] Presenza di parchi/aree sportive e piazze [14] Separazione pedoni veicoli [15] Illuminazione [16] Qualità pavimentazione [17] Parcheggio su strada [18] Riduttori di velocità fisica (dossi, attraversamenti rialzati, attraversamenti controllati, isole di traffico, minirotatorie) [19] Riduttori di velocità non fisica (densità semafori o enclosure) [20] Fermate di trasporto pubblico Livelli 1 Ampio, 2 Comodo, 3 Minimo, 4 Inadeguato, 5 Assente 1 Molti elementi, 2 Alcuni elementi, 3 Assenza di elementi, 4 Alcuni elementi di disturbo, 5 Molti elementi di disturbo 1 Abbondanti, 2 Alcuni, 3 Rari, 4 Assenti 1 Densa, 2 Spazi aperti, 3 Bassa densità, 4 Terreni non edificati 1 Estesa, 2 Rada, 3 Assente 1 Forte, 2 Debole, 3 Assente 1 Piatta, 2 Leggera, 3 Salita 1 Strada pedonale, 2 Senso unico, 3 Senso doppio 1 Strada pedonale, 2 Una corsia, 3 Due corsie, 4 Tre corsie, 5 Quattro (o più) corsie 1 Strada pedonale, 2 ≤20km/h, 3 30km/h, 4 50km/h, 5 ≥70km/h. [Se non indicato scegliere 50km/h] 1 Corsia esclusiva, 2 Corsia su strada, 3 In-strada condivisa con veicoli, 4 Non permesso 1 Integrato, 2 Filtrato, 3 Separato 1 Sì, 2 No 1 Strada pedonale, 2 Forte, 3 Debole, 4 Assente 1 Eccellente, 2 Buona, 3 Inadeguata, 4 Assente 1 Ottima, 2 Buona, 3 Mediocre, 4 Dissestata, 5 Assente 1 Strada pedonale, 2 Proibito, 3 Permesso, 4 Illegale 1 Strada pedonale- 2 Abbondanti, 3 Alcuni, 4 Rari -5 Assenti 1 Strada pedonale, 2 Alta, 3 Media, 4 Bassa, 5 Assente 1 Sì, 2 No 987 [21] Fermate di trasporto condiviso [22] Densità attraversamenti (opportunità di attraversamento) [23] Ostacoli (muri/ferrovie che costeggiano la via) [24] Tipo strada 1 Sì, 2 No 1 Strada pedonale, 2 Forte, 3 Debole, 4 Assente 1 Sì, 2 No 1 Pedonale, 2 Carrabile L’esperimento è stato condotto nella città di Alghero nel periodo di gennaio 2016. Le strade sono state suddivise in segmenti (408) e l’intera città in 10 aree (Figura 1). I dati sono stati raccolti da 24 studenti suddivisi in 12 gruppi, ogni coppia ha condotto un audit per la raccolta dei 24 attributi di un’area ed ha fornito una valutazione sintetica personale di qualità dello spazio di un’altra area. Ogni gruppo ha raccolto dati per aree differenti per non avere una conoscenza analitica dettagliata che potesse influenzare fortemente la valutazione sintetica delle strade. Figura 1 | Aree di suddivisione della città (destra), e segmenti stradali (esempio dell’area 7). Fonte: elaborazione propria. 4 | Risultati Un primo test esplorativo è il calcolo del valore di correlazione tra la variabile dipendente (giudizio di percezione sulla qualità del LOS) e le variabili indipendenti (caratteristiche dello spazio). Diciotto dei ventiquattro indicatori hanno una correlazione positiva >0,30 con il giudizio espresso dagli intervistati (Tabella II); è perciò plausibile ipotizzare un rapporto di causa-effetto delle caratteristiche dello spazio con la qualità percepita, rapporto indagato più nel dettaglio adottando una regressione lineare multipla. Tabella II | Matrice di correlazioni tra Variabile dipendente e Variabili indipendenti [X]. Var. [X] Correlaz. [1] 0,63 [2] 0,56 [3] 0,46 [4] 0,45 [5] 0,40 [6] 0,40 [7] -0,13 [8] 0,43 [9] 0,38 [10] 0,51 [11] 0,57 [12] 0,31 Var. [X] Correlaz. [13] 0,19 [14] 0,60 [15] 0,44 [16] 0,54 [17] 0,45 [18] 0,50 [19] 0,22 [20] 0,13 [21] 0,06 [22] 0,56 [23] 0,11 [24] 0,45 A partire dal primo modello di regressione, che include tutte le variabili (R2=0,61), sono state escluse quelle non significative e la regressione è stata condotta con le dieci variabili indipendenti rimanenti. Una di queste (parcheggio su strada) è stata scartata per poca variabilità. Il modello finale di nove variabili (Larghezza utile del marciapiede [1], Attrattività ambientale e urbana [2], Densità di servizi e attività [3], Sosta (Panchine) [5], Ripari e ombra [6], Larghezza carreggiata automobili [9], Ciclabilità [11], Separazione pedoni-veicoli [14] e Illuminazione [15]) ha una bontà di adattamento di R2=0,59; dato in linea con i risultati della letteratura di riferimento. La Tabella III mostra in dettaglio i risultati della regressione lineare per il modello a nove variabili; una rappresentazione grafica della variabilità e della relazione tra variabile dipendente e variabili indipendenti è presentata dal diagramma a mattonelle in Figura 2. Una varianza maggiore è rappresentata dall’uniformità dei colori, mentre più contingenza è indicata dalla linearità delle frequenze. 988 Un ulteriore test è stato condotto con un’analisi di regressione stepwise, il risultato del modello include oltre le dieci variabili già discusse nel precedente modello, il ‘parcheggio su strada’ e il ‘tipo di strada’, entrambe con significatività 0,1 e R2=0,60. I due caratteri soffrono però di una ridotta variabilità, in un’ottica d’uso dell’analisi come perditore della qualità dello spazio è preferibile semplificare il modello, scartando le due variabili. Questo a discapito di un punto percentuale sulla bontà di adattamento, ma con il vantaggio di una riduzione dei possibili errori di stima. Tabella III | Risultati della regressione lineare, modello finale. (Intercetta) Larghezza utile del marciapiede Attrattività ambientale e urbana Densità servizi e attività Sosta (panchine) Ripari e ombra Larghezza carreggiata automobile Ciclabilità Separazione pedoni veicoli Illuminazione Coefficiente -1.04917 0.20256 0.23638 0.12629 0.17816 0.11252 0.11852 0.17042 0.16041 0.26554 Errore st. 0.23159 0.04764 0.05601 0.03976 0.07688 0.05648 0.06706 0.07589 0.06841 0.06305 Valore t -4.530 4.252 4.220 3.176 2.317 1.992 1.767 2.246 2.345 4.212 Pr(>|t|) 7.80e-06 2.65e-05 3.03e-05 0.00161 0.02099 0.04702 0.07793 0.02527 0.01953 3.14e-05 Sign. *** *** *** ** * * . * * *** Codici di significatività: 0 ‘***’ 0.001 ‘**’ 0.01 ‘*’ 0.05 ‘.’ 0.1 Figura 2 | Diagramma a mattonelle della distribuzione di frequenza dei giudizi e delle caratteristiche stradali. Fonte: elaborazione propria. 989 Tabella IV| Matrice di correlazione variabili X1, X2, X3, X11 e X14. X1 X2 X3 X11 X14 X1 1 X2 0,48 1 X3 0,43 0,38 1 X11 0,51 0,49 0,25 1 X14 0,59 0,45 0,36 0,69 1 Per un’analisi di importanza relativa delle variabili indipendenti significative, si sono effettuate regressioni lineari monovariate. La regressione semplice mostra che cinque variabili X1, X2, X3, X11 e X14 hanno un forte effetto singolo (R2>0,20). Un modello di regressione lineare multivariato per questi quattro caratteri produce un R2=0,56. Questi risultati stanno a significare che esiste una dipendenza tra le variabili, così come intuibile dalla matrice di correlazione in Tabella IV. Figura 3 | Confronto tra giudizi rilevati (A) e giudizi stimati (B). Fonte: elaborazione propria. Adottando il modello a nove variabili (che minimizza gli errori di stima) è possibile predire il valore ! secondo l’equazione: != "o+ "1X1 +"2 X2 +"3 X3 +"5 X5 +"6 X6 +"9 X9 +"11 X11 +"14 X14 +"15 X15 Dove ! è il giudizio stimato, "o è l’intercetta, "i sono i coefficienti della i-esima variabile e Xi i valori della variabile. La valutazione del LOS stimato è stata calcolata per ogni segmento stradale campionato nell’indagine, la Figura 3 mostra le differenze tra i giudizi dichiarati (y) e i giudizi stimati dal modello (!). Come rilevato in figura non ci sono diversità significative, questo è confermato dalla differenza tra i giudizi reali e stimati, che presentano bassi valori e bassa dispersione: Min. 1° Qu. Mediana Media 3° Qu. Max -2.4090 -0.4184 -0.0659 0.0000 0.4973 2.0640 Graficamente, la frequenza dei residui è illustrata nell’istogramma in Figura 4; si ha una probabilità pari al 55% di classificare correttamente le nuove unità statistiche (segmenti stradali) (errore: -0,5 ÷ +0,5) ed il 95% di classificarle al più in una classe superiore o inferiore (errore: -1,5 ÷ +1,5). 990 5 | Discussione Questo studio - condotto nell’ottica della definizione di uno strumento di misurazione della pedonabilità (Ble!i" et al., 2015) - propone un esempio di analisi empirica che indaga quali caratteristiche dello spazio camminabile influenzano la percezione della qualità dell’ambiente urbano. L’analisi ha il pregio di svolgere una rilevazione sul campo delle percezioni e degli attributi dello spazio urbano; a differenza della letteratura di riferimento lo studio analizza un ampio numero di attributi (variabili) definendo nel dettaglio i possibili livelli (modalità). Dei metodi di raccolta dei dati la Contingent Field Survey ha permesso di stimare la significatività e l’importanza degli indicatori in maniera indiretta, a partire dalla percezione di qualità dello spazio, così da minimizzare gli errori di stima ‘diretta’ delle preferenze dichiarate. Come sottolineato da Guo e Loo (2013) «contingent rating based on stated preference may overestimate the importance of more tangible attributes, such as distance and safety, because pedestrians were often unable to articulate intangible amenities, such as streetscapes and façade designs». Figura 4 | Istogramma dei residui. Fonte: elaborazione propria. I dati sui giudizi e sulle caratteristiche fisiche degli archi stradali sono inoltre stati raccolti in-situ per catturare il più possibile le reali sensazioni nello spazio urbano; sensazioni che possono perdersi con metodi di intervista standard. I risultati della regressione indicano nove attributi significativi che descrivono il modello con una buona bontà di adattamento (R2=0,59), ed in linea con la letteratura di riferimento; i risultati usati come modello di previsione del LOS garantiscono un errore minimo (95% di fiducia di classificare le alternative al massimo in una categoria superiore o inferiore), che rende il modello un buon metodo di classificazione basato su esempi di assegnazione. Gli attributi sono relativi alla piacevolezza dello spazio, al comfort ed alla sicurezza, che in accordo con la gerarchia dei bisogni dei pedoni di Alfonzo, Boarnet, Day, McMillan e Anderson (2008) si trovano in cima alla piramide. Ricerche future sono orientate all’analisi dei dati con differenti approcci statistici, come l’analisi ordinale, la conjoint analysis e modelli che adottano funzioni part-worth. Sarà inoltre investigata la correlazione tra le variabili con choice modeling e modelli ad equazioni strutturali (path analysis). I metodi di stima dei valori predetti saranno analizzati con differenti procedure di supporto alla decisione, compatibili con la definizione dei parametri a partire da esempi di assegnazione, come il modello ELECTRE TRI, il modello MR Sort o il Dominance Based Rough set Approach. 991 Riferimenti bibliografici Alfonzo M., Boarnet M.G., Day K., McMillan T., Anderson C.L. (2008), “The relationship of neighbourhood built environment features and adult parents’ walking”, in J. Urban Des. n. 13, pp. 29–51. Blečić I., Cecchini A., Congiu T., Fancello G., Trunfio G. A. (2015), “Evaluating Walkability: A Capability-Wise Planning and Design Support System”, in International Journal of Geographical Information Science, n. 29 vol. 8, pp. 1350–1374. Guo Z., Loo B.P.Y. (2013), “Pedestrian environment and route choice: evidence from New York City and Hong Kong”, in Journal of Transport Geography, n. 28, pp. 124-136. Ling Z., Ni Y., Cherry C. R., Li K. (2014) “Pedestrian Level of Service at Signalized Intersections in China Using Contingent Field Survey and Pedestrian Crossing Video Simulation”. In Transportation Research Board Annual Meeting, n. 14, pp. 41-52. Keeney R.L. (1996) Value-Focused Thinking, A Path to Creative Decisionmaking. Harvard University press. Cambridge UK. Mateo-Babiano I. (2016), “Pedestrian's needs matter: Examining Manila's walking environment”, in Transport Policy, n. 45, pp. 107-115. National Research Council (2010) Highway Capacity Manual, 5th ed. Transportation Research Board, Washington, D.C. Sen A. K. (2009), The idea of justice, Harvard University Press, Cambridge, Mass. 992 Le Smart Grid nelle politiche di sviluppo territoriale Sebastiano Curreli Università degli Studi di Cagliari DICAAR - Dipartimento di Ingegneria Civile, Ambientale e Architettura Email: sebastiano.curreli@tiscali.it Le politiche incentivanti di produzione dell’energia elettrica da fonti rinnovabili hanno determinato un aumento considerevole della Generazione Distribuita. Questo nuovo scenario impone un ripensamento delle norme di utilizzo e gestione della rete elettrica e dei relativi flussi di energia: da flusso unidirezionale a flusso bidirezionale. Sorge quindi la necessità di regolare e controllare questi flussi energetici convertendo la gestione passiva del sistema elettrico in gestione attiva. A livello internazionale il nuovo scenario del sistema elettrico è associato all’uso delle Smart Grid e inquadrato nel più ampio paradigma delle Smart Cities. Le Linee di Indirizzo del recente Piano Energetico Ambientale Regionale (PEARS) evidenziano come la Sardegna sia un laboratorio ideale per lo sviluppo delle Smart Grid e la sperimentazione di modelli energetici innovativi, sia per la sua configurazione geografica, ambientale e climatica, sia perché caratterizzata da una presenza diffusa di competenze e di strutture di ricerca in tale settore. Tra i progetti pilota quello inserito nel Protocollo d’Intesa stipulato tra la Regione Sardegna, l’Università di Cagliari e le municipalità di Benetutti e Berchidda per la sperimentazione di una rete intelligente che utilizza le infrastrutture già presenti nel territorio integrandole secondo il paradigma delle Smart Grid. Parole chiave: governance, energy, smart city. 1 | Ruolo strategico delle Smart G rid La necessità di mitigare i cambiamenti climatici ha favorito nell’ultimo decennio un crescente utilizzo delle risorse energetiche rinnovabili. Tuttavia alcune di queste forme di energia risultano fortemente intermittenti, funzioni delle situazioni meteorologiche, dei cicli giornalieri e stagionali, ponendo la necessità di essere coniugate con l’esigenza degli utilizzatori finali di disporre di un flusso di energia elettrica sempre adeguato alle proprie necessità. Una gestione efficace dello scenario che si sta profilando si basa sulle reti e sulle infrastrutture elettriche controllate in modo intelligente, in grado quindi di gestire flussi di potenza e di influenzare gli utilizzatori finali di energia elettrica attraverso informazioni relative alla produzione di energia elettrica presente e di quella necessaria. In questo quadro si colloca anche l’efficientamento del trasporto, che accanto alla riduzione locale degli inquinanti, renderà utilizzabili risorse strategiche per l’ottimizzazione del sistema elettrico locale e nazionale. L’accresciuto ruolo delle reti elettriche e la maggiore consapevolezza circa le potenzialità di questo settore, ha generato il concetto di Smart Grid. La Smart Grid (SG) è una concezione innovativa di infrastruttura di rete che, con i limiti imposti dalla complessità e dall’estensione dell’infrastruttura esistente, ha come obbiettivo primario di supportare le strategie di utilizzo dell’energia elettrica in chiave di affidabilità, sostenibilità e competitività. 1.1 | Fattori qualificanti delle SG ed evoluzione del sistema elettrico I fattori qualificanti le SG risiedono nelle tecnologie che garantiscono l’integrazione delle risorse energetiche diffuse e rinnovabili, sia in termini di energia che di potenza; all’integrazione di natura fisica si somma la necessità di disporre di adeguati modelli di business. Finanziare e operare in un contesto 993 competitivo di libero mercato richiede l’impiego di opportuni modelli di business che prevedano relazioni, transazioni, pagamenti e remunerazioni quanto più possibile adeguati ai reali servizi offerti/richiesti ai diversi attori operanti nell’intero sistema SG. Il coinvolgimento del consumatore finale, come attore principale del modello di business SG, è necessario per aprire con esso un canale di comunicazione bidirezionale; l’infrastruttura più adatta al raggiungimento di tale scopo è certamente quella dei misuratori di elettricità intelligenti. I gruppi di misura intelligenti sono lo strumento per trasmettere agli utenti finali i prezzi dell’energia che rispecchiano i reali costi di produzione e di fornitura di prodotti e servizi. Le SG non si limitano evidentemente alla diffusione dei contatori elettronici. Per fornire un servizio orientato al cliente, garantire il mantenimento o il miglioramento del livello attuale di qualità della fornitura, in regime competitivo è richiesta una funzionalità nuova e ultimamente un adeguato livello di conoscenza e formazione per tutti gli attori coinvolti. Gli adeguamenti richiesti al sistema elettrico sono necessariamente di ampio spettro e avranno conseguenze sulla progettazione, pianificazione e operazione, interessando in misura diversa tutti i portatori di interesse1 del sistema elettrico. I sistemi elettrici sono realtà estremamente complesse: con estensioni geografiche molto vaste, essi devono garantire il costante equilibrio tra generazione e consumo, per mezzo di sofisticati sistemi di controllo automatici, e la supervisione di operatori esperti in centri di telecontrollo. Tale necessità è dettata dalla scarsa capacità di stoccare a basso costo e in grossi quantitativi l’energia elettrica; ciò richiede pertanto di assicurare continuamente il bilancio fra la potenza elettrica generata e la potenza assorbita, ossia di produrre la potenza esattamente quando serve. La pianificazione energetica si occupa dell’evoluzione del sistema e considera una scala temporale con un orizzonte di medio e lungo termine. Appare evidente che la necessità di garantire il costante equilibrio tra energia prelevata ed energia immessa sulla rete, è l’obiettivo perseguito tanto dalle funzioni di esercizio, ovvero dalla gestione e controllo del sistema in tempo reale (con un orizzonte che arriva a qualche ora), quanto dalla funzione di pianificazione, che deve preoccuparsi oggi dello sviluppo del parco di generazione, della rete e di tutti gli apparati di regolazione e controllo, per far fronte alle esigenze che si presenteranno negli anni a venire. 2 | Servizi e Funzioni delle Smart Grid Per facilitare l’implementazione delle SG a livello dell’Unione, la Commissione Europea ha promosso una serie di iniziative volte a definire una visione comune. I portatori di interesse sono chiamati a sintetizzare le loro aspettative sul sistema elettrico del futuro. Sono stati costituiti a tal fine gruppi di esperti con diverse finalità, tra le quali l’identificazione dei servizi e delle funzionalità delle SG. L’interesse di questi tavoli tecnici ha riguardato sia le reti elettriche della distribuzione che della trasmissione. Infatti, la diffusione della Generazione Distribuita (GD) sulle reti della distribuzione, inevitabilmente impatterà anche le reti elettriche della trasmissione che dovranno compensare eventuali squilibri che potrebbero verificarsi sulle reti elettriche della distribuzione a fronte di un’elevata penetrazione della GD. 2.1 | Coordinamento tra le reti di trasmissione e di distribuzione Molte delle caratteristiche proprie delle SG sono insite nelle reti di trasmissione tradizionale dell’energia. Esse tuttavia richiedono alcuni adattamenti per rendere disponibile tutta la flessibilità necessaria a dispacciare non solo la GD allacciata alle reti elettriche della distribuzione, ma anche le grandi rinnovabili geograficamente diffuse, attraverso nuove interconnessioni, corridoi di energia, capacità di controllare flussi di potenza e sistemi di accumulo2. La politica energetica europea ha delineato un percorso verso innovative reti di trasmissione che prevede precisi obblighi degli operatori del sistema di trasmissione (TSO) e la sottomissione alle autorità regolatrici di un piano di sviluppo di rete di medio termine computato in 10 anni con aggiornamenti biennali. Inoltre la Direttiva 2009/714/CE richiede a tutti i TSO europei di collaborare attraverso l’ENTSO-E2 (European Network of Transmission System Operators for Electricity) elaborando i codici di rete, integrando il mercato transfrontaliero, armonizzando e standardizzando le regole e i dati da scambiare. I principali portatori di interesse nelle Smart Grid: Produttori (centralizzati, decentralizzati e prosumers). Utilizzatori (finali puri). Operatori delle reti di trasmissione (TSO). Operatori delle reti di distribuzione (DSO). Venditori di energia (elettricità, gas, acqua e calore). Operatori di bilanciamento e loro coordinatori, compresi gli aggregatori (controllo della domanda, degli accumuli e della fornitura di potenza reattiva). Fornitori dei servizi di misura. Operatori del mercato elettrico (raccolta e negoziazione delle offerte). Operatori delle reti di comunicazione. Fornitori di tecnologia per le Smart Grid. I regolatori. 2 È il concetto di Super Grid. 1 994 Le reti intelligenti di trasmissione dovranno avere i seguenti effetti: • aumento della capacità di trasmissione sulla base di scambi di dati in tempo reale; • migliore monitoraggio e controllo in tempo reale dello stato operativo del sistema; • migliore flessibilità e controllo dei flussi di potenza, al fine di aumentare la capacità di trasmissione. Migliorare il coordinamento internazionale, aumentare la capacità di interconnessione, promuovere il bilanciamento transfrontaliero, gestendo in modo efficace il sistema: significa a tutti gli effetti la promozione di un mercato elettrico unico europeo. Per assicurare il contributo delle risorse energetiche diffuse, anche di taglia ridotta, alla sicurezza globale del sistema è necessario coordinare l’esercizio tra la rete di trasmissione e le reti di distribuzione: in particolare, per quanto riguarda il controllo della domanda, l’esercizio e la gestione della GD specialmente se di piccola taglia. Più in dettaglio, tale coordinamento è volto a garantire gli sviluppi di seguito elencati: • un migliore coordinamento in situazioni di emergenza sulla base di procedure comuni, piani di difesa in grado di gestire il contributo delle risorse rinnovabili e diffuse, della domanda attiva anche durante le situazioni di emergenza; • un controllo della domanda operato a livello di gestore delle reti di trasmissione: esso può costituire un’importante risorsa per il sistema elettrico, a patto che il gestore delle reti di trasmissione disponga di un’adeguata capacità di controllo anche degli utenti sulle reti di distribuzione. A tal fine è di primaria importanza il ruolo dei distributori che hanno il ruolo dell’implementazione pratica delle azioni di controllo della domanda sulle reti di distribuzione; • un’aggregazione dell’offerta di energia operata attraverso la virtualizzazione degli impianti di generazione (VPP, virtual power plant) formati dalla gestione organizzata di impianti di GD anche molto distanti tra loro. Tale sistema necessita di un scambio di informazioni tra gli operatori della distribuzione e della trasmissione. Solo in questo modo è possibile garantire un adeguato controllo della frequenza, stabilità di sistema, controllo del flusso di potenza, affidabilità della rete e livelli di sicurezza del sistema pari o migliori degli attuali. I VPP potrebbero essere gestiti come risorsa per le operazioni di sistema. Le SG aumentano di fatto la flessibilità della rete introducendo una maggiore intelligenza sulla rete stessa, integrata all’interno delle apparecchiature e in grado di assicurare una migliore capacità di comunicazione tra i diversi soggetti del panorama elettrico. 4 | Caso di studio Le municipalità di Berchidda e Benetutti, situate nel nord Sardegna (rispettivamente nelle province di Olbia-Tempio e di Sassari), possedendo una gestione diretta della rete di distribuzione elettrica rivestono una posizione di privilegio unica nell’isola. Nei territori comunali interessati dalla sperimentazione, vi è una scarsa penetrazione di impianti da fonti rinnovabili, se escludiamo un grande parco eolico ai confini di Berchidda (comune di Tula); in compenso è presente una discreta diffusione di impianti di piccola/media taglia di fotovoltaico nei Comuni confinanti entro il raggio di 20 km, più specificatamente Berchidda beneficia della presenza di almeno 11 impianti per una produzione pari a 2,35 GWh, pari al 30% del fabbisogno e Benetutti beneficia di almeno 14 impianti per una produzione pari a 5 GWh , pari al 75%. Nella situazione attuale le due reti di distribuzione non possono accedere a questo potenziale locale di produzione di energia, in quanto entrambi non hanno standard tecnologici adeguati e si forniscono dall’acquirente unico senza nessuna possibilità di influire sul prezzo. Il progetto sperimentale si propone pertanto di realizzare, attraverso una corretta pianificazione energetica del territorio, un upgrade della rete in chiave SG. Le caratteristiche territoriali, demografiche, del tessuto produttivo e la presenza di impianti di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili (FER), permettono infatti di strutturare un’ipotesi di sviluppo del progetto senza prevedere ulteriori interventi particolarmente importanti e onerosi per i bilanci comunali3. Gli obiettivi specifici del progetto sono i seguenti: 1. monitorare i consumi dei territori locali creando delle vere e proprie isole energetiche; 2. ridurre i consumi in modo consapevole; 3. promuovere il consumo dell’energia prodotta in loco; 3 Il progetto prevede un piano di investimenti di € 1.800.000. 995 4. favorire la produzione di energia verde da fonti rinnovabili; 5. creare un nuovo modello di gestione energetica del territorio. Il progetto, a regime, porterà significativi vantaggi per lo sviluppo economico delle comunità: 1. riduzione dei consumi e dei relativi costi in bolletta. Al momento i costi in bolletta del territorio di Berchidda e Benetutti hanno un valore stimato di € 3.600.000; il progetto prevede una riduzione progressiva dei costi energetici fino al 30% nel terzo anno di gestione, successivamente il livello di gestione sulla rete fisica permetterà di ottimizzare i costi progressivamente fino al 50%. Questi vantaggi economici una volta acquisiti rimarranno costanti; 2. riduzione delle emissioni. Attraverso la realizzazione dei Piani di Azione per l’Energia Sostenibile (PAES) si prevede una riduzione delle emissioni almeno del 20%; 3. aumento della produzione di energia locale. Il progetto include la realizzazione di mini-impianti di produzione da fonti rinnovabili che determineranno un aumento della produzione di energia pari al 30% del fabbisogno locale. 5 | Sviluppi della sperimentazione: il modello Energy People Il Progetto sperimentale si fonda su un modello tecnologico denominato Energy People. Pensato per le comunità locali prevede di collegare tutte le utenze, siano esse imprese o residenze, pubbliche o private e i punti dove si consuma e si produce energia con dispositivi di nuova generazione in grado di monitorare costantemente i consumi sulla base di innovativi software di gestione di dispositivi di misura intelligente. Il sistema permette così di razionalizzare da subito i consumi e di relazionarsi all’esterno, con chi fornisce e distribuisce l’energia, come un’unica utenza per acquistare l’energia a prezzi migliori, eliminare i costi accessori di commercializzazione, ridurre i costi associati alle perdite derivanti dalle inefficienze delle reti di distribuzione. Agendo in maniera unitaria, conoscendo in maniera puntuale il fabbisogno energetico e amministrando i flussi di energia grazie al sistema di monitoraggio intelligente, si creano le condizioni per produrre e consumare l’energia prodotta localmente. 5.1 | Il partenariato pubblico-privato Un grande ostacolo allo sviluppo di politiche energetiche virtuose da parte dei Comuni è rappresentato dal patto di stabilità; le stringenti normative sugli investimenti infatti, rendono difficoltoso pianificare e realizzare qualsiasi intervento. Il partenariato pubblico-privato rappresenta lo strumento idoneo per gli enti pubblici per attuare le politiche energetiche senza far gravare i costi sul proprio bilancio: il modello Energy People si serve di Shardana Energia, società in accomandita per azioni, alla quale i Comuni possono aderire in qualità di soci accomandanti, con la possibilità di programmare le azioni energetiche insieme ai soci e raggiungere l’autonomia energetica senza la necessità di investire fondi e senza sostenere rischi di impresa. All’interno della società in accomandita il Consorzio S.I.E.S., come socio accomandatario, sostiene i rischi di impresa e programma su indicazione delle comunità gli interventi da realizzare, acquistando ed offrendo energia per le esigenze dei soci a condizioni immediatamente più favorevoli e reinvestendo quanto risparmiato per realizzare gli interventi previsti. I Comuni eleggono il Collegio dei Sindaci e rappresentano gli interessi territoriali per politiche energetiche e interventi di pianificazione energetica. Cittadini e imprese sono coinvolti con meccanismi cooperativi e diventano anch’essi soci di Shardana Energia in un processo trasparente dove tutti possono diventare protagonisti della nuova comunità energetica mantenendo pari diritti. 5.2 | Caratteristiche del modello Fino a qualche anno fa i ruoli nel mercato dell’energia erano ben definiti: c’era chi consumava energia, chi la produceva e chi si occupava della distribuzione e vendita. Con la liberalizzazione del mercato elettrico e con il diffondersi dei sistemi di produzione di energia da fonti rinnovabili, complici anche le politiche europee e nazionali a sostegno di queste ultime, l’univocità del ruolo è andata perdendosi; il caso simbolo è dato dal “prosumer” in cui il ruolo di produttore e consumatore si fondono in un unico soggetto4. Questo di fatto mette in crisi l’infrastruttura della rete elettrica che è stata concepita per una gestione dell’energia con flusso unidirezionale dai centri di produzione ai punti di consumo; su questo punto si 4 Nel seguito sotto la denominazione prosumer sono da intendersi inclusi anche i soli produttori, prosumer a consumo nullo, e i soli consumatori, prosumer con produzione nulla. 996 incentra il modello di business Energy People. Il prosumer diventa il punto centrale del sistema ed in quanto tale deve essere in grado di comunicare con gli altri prosumer. Il modello si basa sul coinvolgimento diretto degli stakeholder di un territorio nella fruizione e nella produzione di energia; l’insieme di più prosumer in un determinato territorio costituisce di fatto l’implementazione di una Micro Grid basata sulla generazione distribuita con un suo mercato energetico locale. In questo modo nasce un nuovo mercato dell’energia, quello locale dove la domanda e l’offerta si incontrano, non su un mercato virtuale condizionato solo dal fattore prezzo, ma su un mercato reale e locale dove alla determinazione del prezzo contribuiscono altri fattori come la distanza, il clima, il matching tra curva di produzione e curva di consumo. Il Consorzio S.I.E.S., servendosi di un’apposita architettura tecnologica, si pone come catalizzatore e coordinatore delle Micro Grid distribuite sul territorio divenendo a tutti gli effetti soggetto operatore elettrico grazie al quale i prosumer potranno valorizzare l’energia prodotta e ridurre i costi legati a quella consumata. Gli smart device consentono a S.I.E.S. di avere in tempo reale i dati di energia consumata e prodotta e di ridurre al minimo la sbilanciamento tra domanda e offerta con conseguente ottimizzazione dei profitti aziendali; il modello Energy People inoltre incentiva il prosumer ad avere un ruolo attivo nella gestione della propria energia, consentendogli di acquisire consapevolezza dei propri usi e costumi energetici così da trarne un diretto vantaggio in termini di risparmi e di esser protagonisti di una corretta politica di sviluppo energetico territoriale. Il modello Energy People si ispira a due principi fondamentali: 1. energia a chilometri zero, in quanto produzione e consumo di energia hanno luogo nello stesso territorio; 2. energia Verde, poiché l’energia prodotta e consumata proviene interamente da fonti rinnovabili. I vantaggi hanno ricadute di natura ambientale, economica e sociale sviluppandosi su tre aspetti fondamentali: 1. Il prezzo competitivo ottenuto attraverso: • la capacità di controllo dei costi di approvvigionamento dell’energia, degli oneri associati ai servizi di rete; • la previsione puntuale del fabbisogno energetico dei propri cittadini monitorati in tempo reale. 2. La trasparenza e l’assistenza per la riduzione dei consumi verso l’utente, il quale è dotato di strumenti di controllo per incidere sui propri consumi e di servizi informativi per adottare pratiche tendenti al risparmio energetico; 3. L’up grade tecnologico per la gestione dei flussi energetici e il bilanciamento dei carichi costituito da: • software di gestione del sistema centrale; • strumenti web, utili per un personale monitoraggio dell’uso dell’energia. In sintesi il modello Energy People risponde a due grandi fenomeni caratterizzanti la pianificazione energetica degli ultimi anni: lo sviluppo e la diffusione delle fonti rinnovabili nel quadro della liberalizzazione del mercato elettrico. Entrambi i fenomeni hanno contribuito allo sviluppo di un nuovo paradigma energetico, una generazione decentralizzata che condivide l’idea che i consumatori possano essere agenti attivi nell’utilizzo dell’energia e nella gestione delle reti. Riferimenti bibliografici Direttiva 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali e che abroga la direttiva 2004/17/CE. Direttiva 2012/27/UE del Parlamento europeo e del Consiglio sull’efficienza energetica, che modifica le Direttive 2009/125/CE e 2010/30/UE e abroga le Direttive 2004/8/CE e 2006/32/CE. Regolamento (UE) n. 1227/2011 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2011, concernente l’integrità e la trasparenza del mercato dell’energia all’ingrosso. Direttiva 2009/28/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, sulla promozione dell’uso dell’energia da fonti rinnovabili, recante modifica e successiva abrogazione delle Direttive 2001/77/CE e 2003/30/CE. Direttiva 2009/714/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 luglio relativa alle condizioni di accesso alla rete per gli scambi transfrontalieri di energia elettrica e che abroga il regolamento (CE) n. 1228/2003. 997 EU Commission Task Force for Smart Grids. Expert Group 1: Functionalities of smart grids and smart meters. Final Deliverable for Steering Committee on 2010 June 22nd. Riconoscimenti L’autore del presente paper collabora con la Società Ener.Med. ideatrice e proprietaria del modello sperimentale Energy People. 998 Global Smart City Pillars: metodo di valutazione dell’intelligenza urbana Giulia Esopi Università degli Studi di Pavia DICAr - Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura Email: giulia.esopi01@universitadipavia.it Abstract A partire dagli ultimi decenni del secolo scorso il tema della Smart City ha avuto molta rilevanza all’interno della letteratura scientifica: inizialmente inteso come applicazione delle nuove tecnologie (Information and Communication Technologies) al contesto urbano, il tema successivamente si è occupato dell’utenza della Smart City (Smart Community) focalizzandosi sul capitale umano e sulle pratiche di partecipazione sociale. Il dibattito contemporaneo è scaturito in un approccio integrato delle due componenti al fine di migliorare sia l’efficienza sia la vivibilità delle città (Papa, Gargiulo, Galderisi, 2013; Morandi, Rolando, Di Vita, 2013; Barresi, Pultrone, 2013). Da alcuni anni l’Unione Europea, attraverso il Programma Horizon 2020, ha lanciato numerose iniziative mirate alla crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva, tra le quali il bando ‘Smart Cities and Communities’. Recentemente, alcune città italiane, aderenti all’Osservatorio Nazionale Smart City, hanno avviato progetti finalizzati alla tutela ed alla valorizzazione del territorio locale. La International Summer School ‘Flexible City for Smart Communities’ organizzata dall’Urban Project Laboratory dell’Università di Pavia è divenuta occasione di riflessione sul tema. In particolare, si è ricercato un set di risposte a quesiti come: quali caratteristiche deve possedere una reale Smart City? quali strategie possono contribuire a rendere smart una città? come si valuta il livello di smartness di un insediamento urbano? Tra le interessanti riflessioni emerse, una proposta è stata l’estensione al contesto internazionale delle dimensioni della Smart City (Smart Mobility, Smart Environment, Smart Living, Smart People, Smart Economy e Smart Governance) attraverso l’elaborazione di ‘pilastri globali’. Per la loro definizione sono stati considerati case studies noti nel mondo scientifico per l’elevato livello di smartness. Il paper si propone di individuare i ‘pilastri globali’ della Smart City e di elaborare successivamente un metodo di valutazione validabile a livello internazionale, attraverso il quale sarà possibile stimare il livello di smartness delle città. Parole chiave: Smartness; global pillars; metodo di valutazione. La Smart City: dalle origini al dibattito contemporaneo Il tema della Smart City, entrato a far parte della letteratura scientifica internazionale a partire dagli ultimi decenni del secolo scorso, si è evoluto concettualmente nel tempo: inizialmente inteso come città digitale e successivamente come città inclusiva, attualmente il termine connota un insediamento urbano efficiente e vivibile. Durante gli anni Ottanta, lo sviluppo delle tecnologie informatiche e di comunicazione venne interpretato come mezzo in grado di condurre verso nuove forme di organizzazione e gestione del territorio e, quindi, di contribuire alla crescita urbana. Nacque così il concetto di Smart City, riferito ad un’organizzazione urbana che basava la pianificazione del territorio e la gestione delle risorse sulle nuove tecnologie (Information and Communication Technologies). A partire dalla seconda metà degli anni 2000 si iniziò a riflettere sul ruolo fondamentale del capitale umano e l’attenzione venne spostata sull’utenza della Smart City, la Smart Community. In particolare, questa fase si focalizzò su temi quali l’inclusione sociale e le pratiche partecipative. Il dibattito contemporaneo, invece, è scaturito in un approccio integrato delle due componenti (tecnologia e capitale umano) al fine di migliorare sia l’efficienza sia la qualità della vita delle città (Papa, Gargiulo, Galderisi, 2013; Morandi, Rolando, Di Vita, 2013; Barresi, Pultrone, 2013). 999 Attualmente non esiste una definizione univoca e condivisa di Smart City, tuttavia alcuni autori hanno proposto interessanti formulazioni concettuali. «A city to be smart when investments in human and social capital and traditional (transport) and modern (ICT) communication infrastructure fuel sustainable economic growth and a high quality of life, with a wise management of natural resources, through participatory governance» (Caragliu, Del Bo, Nijkamp, 2009: 50)1. Secondo Carlo Ratti una città è intelligente quando mette le tecnologie al servizio delle persone (Senseable City). «Il termine Senseable ha doppia connotazione, significa sia di buon senso sia ‘capace di sentire’. Penso che questa definizione sia il modo migliore di esprimere la nostra visione che è proprio focalizzata sulla componente umana più che su quella tecnologica» (senseable.mit.edu, 2014: 1). La città intelligente utilizza la tecnologia come mezzo finalizzato alla tutela dell’ambiente, alla valorizzazione delle risorse e ad una gestione integrata e coordinata del territorio. Essa si basa su una struttura snella, dotata di strumenti efficienti in grado di fornire informazioni aggiornate e condivise con i cittadini e, quindi, di rispondere alle loro esigenze in tempo reale (Axhausen, Batty, Bazzani, Giannotti, Ouzounis, Portugali, Pozdnoukhov, Wachowicz, 2012; Costantino, 2012). Le dimensioni della smartness La ricerca condotta dal Politecnico di Vienna, in collaborazione con l’Università di Lubiana ed il Politecnico di Delf, ha definito le principali dimensioni della Smart City attraverso l’analisi di alcune città europee. I settori chiave, riportati in tabella, consentono di valutare il livello di smartness di un insediamento urbano e di evidenziare gli ambiti sui quali intervenire (www.smart-cities.eu; osservatoriosmartcity.it). Tabella I | Le dimensioni della Smart Cities. Smart Mobility Smart Environment Smart Living Smart People Smart Economy Smart Governance 1 Dimensione Mobilità interconnessa (spostamenti agevoli e rapidi), sicura (tutela della mobilità dolce) e sostenibile (a basso impatto ecologico) attraverso l’utilizzo delle tecnologie Sostenibilità ambientale ed efficienza energetica Miglioramento della qualità della vita, valorizzazione dell’identità urbana e del patrimonio culturale Società inclusiva a favore del dialogo, della partecipazione e dell’interazione tra gli individui, i quali divengono co-autori delle politiche urbane Aumento della produttività, flessibilità del mercato del lavoro e crescita della imprenditorialità attraverso l’innovazione, la ricerca e la creatività Amministrazione trasparente e aperta attraverso lo scambio di informazioni con i cittadini e la cooperazione tra i diversi soggetti (pubblici e privati) coinvolti nei processi urbani • • • • • • • • • • • • • Esempi applicativi Rete di sensori lungo le arterie stradali capaci di dirottare i flussi di traffico grazie ai dati rilevati Nodi intermodali che integrano al loro interno diversi sistemi di trasporto Sistemi car sharing, car pooling e bike sharing Programmi di raccolta differenziata e riciclaggio dei rifiuti Sistemi di illuminazione a risparmio energetico Sistemi innovativi di monitoraggio della qualità dell’aria e dell’acqua Tutela dei parchi e del verde urbano Utilizzo di fonti di energia rinnovabili Piattaforme digitali per migliorare la fruizione e la valorizzazione delle risorse artistico, culturali ed ambientali; Servizi di nuova generazione basati sul social networking in grado di migliorare l’esperienza turistica dell’utente. Infrastrutture tecnologiche innovative per la comunicazione tra la Pubblica Amministrazione e i cittadini Percorsi formativi volti a sensibilizzare i cittadini sulle tematiche ambientali, sociali ed economiche • Sistema sinergico di collaborazione tra enti pubblici, imprese private e istituti di ricerca Norme per favorire la nascita e la gestione di imprese innovative (startup) Centri tecnologici high tech • • • • Portali open data che rendono disponibili le informazioni Creazioni di network tra enti pubblici e privati Erogazione di servizi per la collettività efficienti Partecipazione dei cittadini alle scelte politiche • «Una città è smart quando gli investimenti in capitale umano e sociale e nelle infrastrutture tradizionali (trasporto) e moderne (ICT) alimentano una crescita economica sostenibile e un’elevata qualità della vita, con una gestione consapevole delle risorse, attraverso una governance partecipativa». 1000 Iniziative europee a sostegno della Smart City Lo sviluppo sostenibile, basato su una crescita economica equilibrata, sul progresso sociale e sulla tutela dell’ambiente, rappresenta uno degli obiettivi cardine dell’Unione Europea. A questo scopo, sono state promosse diverse iniziative volte a migliorare l’efficienza e la vivibilità delle città europee, tra le quali il bando ‘Smart Cities and Communities’ e il Programma Horizon 2020 dedicato alla ricerca e all’innovazione. In particolare, quest’ultimo mira al raggiungimento dei seguenti obiettivi tematici (europa.eu): • ricerca, sviluppo tecnologico e innovazione; • accesso alle tecnologie dell’informazione e della comunicazione; • competitività delle piccole e medie imprese; • transizione verso un’economia a basse emissioni di carbonio; • adattamento ai cambiamenti climatici, prevenzione e gestione dei rischi; • tutela dell’ambiente e delle risorse; • trasporto sostenibile e infrastrutture di rete; • occupazione sostenibile e di qualità e mobilità dei lavoratori; • inclusione sociale e lotta contro povertà e discriminazione; • istruzione, formazione e apprendimento permanente; • efficienza della Pubblica Amministrazione. A completamento dei fondi strutturali, l’Unione Europea ha previsto altre forme di finanziamento: • ‘European Energy Efficiency Fund’ (EEEF): partnership pubblico-privata mirata all’aumento dell’efficienza energetica ed alla promozione dell’energia rinnovabile (www.eeef.lu) • ‘European Local Energy Assistance’ (ELENA): programma di assistenza finanziaria e tecnica a supporto di progetti nell’ambito dell’efficienza energetica, delle fonti di energia rinnovabili e del trasporto urbano sostenibile (www.covenant.it) • ‘Green Investment Scheme’ (GIS): programma basato sullo scambio di quote di emissioni a livello internazionale e su un’attività di ecologizzazione consistente nell’implementazione di progetti verdi • ‘Joint European Support for Sustainable Investment in City Areas’ (JESSICA): strumento finanziario destinato allo sviluppo urbano sostenibile ed alla coesione sociale (www.covenant.it) • ‘Competitiveness of Enterprises and Small and Medium Size Enterprises’ (COSME): programma che agevola l’accesso ai finanziamenti alle piccole e medie imprese (ec.europa.eu) • ‘Connecting european facility’ (CEF): strumento finalizzato alla promozione della crescita, dell’occupazione e della competitività; esso supporta lo sviluppo di efficienti reti trans-europee nei campi dei trasporti, dell’energia e dei servizi digitali (ec.europa.eu) Successivamente all’introduzione del Fondo Kyoto (2007), in accordo con le politiche europee, sono stati emanati bandi nazionali a sostegno di soluzioni urbane innovative. Alcune di questi progetti sono raccolti nell’Osservatorio Nazionale Smart City, piattaforma digitale finalizzata alla produzione e alla condivisione di conoscenza sui temi dell’innovazione e della sostenibilità urbana, oltre che all’individuazione di esperienze pratiche e soluzioni tecnologiche in grado di guidare le amministrazioni locali (osservatoriosmartcity.it). Metodo di valutazione dell’intelligenza urbana La International Summer School ‘Flexible City for Smart Communities’ organizzata dall’Urban Project Laboratory dell’Università di Pavia è divenuta occasione di riflessione sul tema. L’evento, tenutosi a Pavia lo scorso settembre 2015, ha coinvolto universitari provenienti del corso di laurea in Ingegneria Edile e Architettura dell’ateneo pavese e dal College of Architecture and Urban Planning della Tongji University di Shanghai. 1001 Figura 1 | Logo Summer School ‘Flexible City for Smart Communities’. Fonte: http://summerschoolteam4.wix.com/. In particolare, l’obiettivo della Summer School è stato quello di ricercare un set di risposte a quesiti come: quali caratteristiche deve possedere una reale Smart City? quali strategie possono contribuire a rendere smart una città? come si valuta il livello di smartness di un insediamento urbano? A questo scopo sono state analizzate soluzioni progettuali innovative sperimentate nel panorama internazionale. Tra le interessanti riflessioni emerse, una proposta è stata l’estensione al contesto internazionale delle dimensioni della Smart City definite dal Politecnico di Vienna (Smart Mobility, Smart Environment, Smart Living, Smart People, Smart Economy e Smart Governance) attraverso l’elaborazione di ‘pilastri globali’. La metodologia proposta è stata articolata in tre fasi distinte: l’analisi degli ambiti della smartness, la loro rielaborazione e la valutazione finale. La fase di analisi è stata incentrata sugli ambiti chiave della Smart City focalizzandosi sugli aspetti legati alla mobilità (Smart Mobility) e all’ambiente urbano (Smart Environment). In particolare, sono state ricercate soluzioni e progetti innovativi adottate smartness sperimentate nel panorama nazionale (Copenaghen, Amsterdam, Aarhus, Gent, etc.). Nella fase successiva ad ogni macro-ambito è stato associato un elenco di criteri, i quali vengono riportati nella tabella sottostante. Tabella II | Criteri per Smart Mobility e Smart Environment. Smart Mobility Sistema di trasporto locale • infrastrutture stradali • infrastrutture ferroviarie Accessibilità • parcheggi • connessioni intermodali Accessibilità internazionale • aeroporti • porti Infrastrutture ITC • WiFi Areas • dispositivi elettronici di controllo dei flussi e del traffico • App per la condivisone dei dati rilevati Sostenibilità del sistema di trasporto • percorsi pedonali-ciclabili • rete di trasporto pubblico efficiente Smart Environment Qualità dell’aria • percentuale di sostanze inquinanti • temperatura • percentuale di umidità Qualità dell’acqua • percentuale di sostanze inquinanti • ph – concentrazione di ioni di idrogeno Sostenibilità ecologica • raccolta differenziata • sistemi di riciclo dei rifiuti • fonti di energia rinnovabile Aree verdi • polmoni verdi urbani • connessioni ecologiche Qualità dei prodotti alimentari • misure per il controllo di qualità Conservazione e tutela degli habitat: • protezione degli habitat naturali • mantenimento della biodiversità I parametri sono stati utilizzati nella valutazione finale, dove sono state confrontate fra loro le città di Pavia e Shanghai. In questa fase, ad ogni criterio è stato attribuito un peso, un valore numerico da 1 a 5 connesso al livello di smartness (il giudizio 1 corrisponde ad un basso livello, mentre il giudizio 5 ad un livello elevato). Di seguito vengono riportati i risultati della valutazione effettuata sulle due città. 1002 Figura 2 | Rappresentazione grafica dei risultati della valutazione effettuata sulle città di Pavia e Shanghai. Fonte: http://summerschoolteam4.wix.com/. Considerazioni e conclusioni Dalla valutazione si evince che il livello di smartness di un insediamento urbano non può essere prestante su tutti i singoli temi, ma varia a seconda della dimensione considerata. Come evidenziato da Godshalk esistono alcuni elementi conflittuali ‘strutturali’ tra temi tra loro indipendenti. La città di Pavia risulta essere meno efficiente rispetto a Shanghai nel settore della mobilità e dei trasporti mentre, per quanto riguarda l’ambiente urbano, si verifica il contrario. «Nella pratica, non si ravvisano smart city “a tutto tondo” (…); piuttosto applicazioni del concetto ad ambiti specifici e limitati» (ABB, 2012: 68). La valutazione consente di verificare quali sono gli elementi e gli ambiti urbani carenti da potenziare attraverso l’avvio di progetti innovativi. Le città contemporanee diventano, così, laboratori di sperimentazione di nuovi modelli di sviluppo urbano. Questa caratteristica le rende estremamente competitive, in grado di offrire posti di lavoro e servizi efficienti, di attrarre investitori e ceti emergenti e di garantire una migliore qualità della vita. Per la creazione di un sistema urbano competitivo fondamentale è il ruolo delle politiche, le quali devono pianificare la crescita del territorio fungendo «da raccordo fra lo sviluppo di capitale fisico e lo sviluppo di capitale sociale» (www.cliclavoro.gov.it, 2014: 8). 1003 Riferimenti bibliografici ABB (2012), “Smart Cities in Italia: un’opportunità nello spirito del Rinascimento per una nuova qualità della vita”, The European House Ambrosetti. Axhausen K.W., Batty M., Bazzani A., Giannotti F., Ouzounis G., Portugali Y., Pozdnoukhov A., Wachowicz M. (2012), “Smart cities of the future”, in The European Physical Journal Special Topics, 214, Springler-Verlag, pp. 481-518. Barresi A., Pultrone G.(2013), “European strategies for smarter cities”, in TeMA Journal of Land Use, Mobility and Environment, n. 6 (1), pp. 61-72. Caragliu A., Del Bo C., Nijkamp P. 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La riduzione della prefigurazione urbanistica dell’evoluzione sistemica alla sterile applicazione della norma, che ha caratterizzato molta dell’attività pianificatoria nei centri di medie e piccole dimensioni (cosi numerosi all’interno dei confini nazionali), ha caratterizzato la pianificazione in Italia negli ultimi 30 anni. Come spesso accade i momenti di crisi consentono una riconsiderazione radicale della disciplina che sembra oramai imporsi anche per il campo urbanistico. La definizione di una smartness urbana generata dalla capacità di indirizzare l’evoluzione del sistema città attraverso nuovi approcci al governo delle trasformazioni territoriali, dalla considerazione di una nuova visione del rapporto fra città ed innovazione tecnologica e dalla promozione dei catalizzatori del capitale sociale urbano, può rappresentare il primo effettivo cambiamento verso nuove dimensioni scientifico-disciplinari. Parole chiave: smart city, spatial planning, new technologies and big data. Crisi della pianificazione urbanistica e freccia del tempo La pianificazione urbanistica in Italia è attualmente e diffusamente percepita come un’attività non più centrale per la definizione del futuro del Paese ed, in particolare, non più in grado di prefigurare efficacemente un assetto dei contesti antropizzati e prevedere un opportuno disegno del territorio. Le ragioni della crisi sono molte, endogene ed esogene alla disciplina urbanistica, ma il dato emergente è che, mentre alcuni decenni fa si assegnava all’urbanistica (ed agli urbanisti), forse con eccessivo affidamento, il compito di disegnare gli scenari territoriali della nazione, oggi l’urbanista è un ruolo di difficile “identificazione” e riconoscibilità essendosi nel tempo diluita l’autorevolezza di tale figura professionale (Fistola, 2011). Avendo perso tale riconoscibilità l’urbanistica non riesce più a svolgere quel ruolo di servizio al Paese che, nelle attuali condizioni di elevato rischio dei sistemi urbani (di matrice antropica e/o naturale) e di scarsità di risorse a disposizione (il territorio è una risorsa non rinnovabile), risulta vitale tornare ad assumere. L’innovazione tecnologica, e la mancata comprensione dei fenomeni che tale rivoluzione catalizza all’interno dei contesti antropizzati, hanno contribuito alla deriva e rappresentano oggi un formidabile acceleratore del processo di polverizzazione disciplinare. Come è possibile continuare ad immaginare scenari futuri della città utilizzando approcci, metodi e procedure nati ed elaborati quando il contesto socio-funzionale era totalmente diverso da quello attuale ed in ogni caso descrivibile attraverso variabili (ad andamento lineare) spesso utilizzate proditoriamente per disegnare prospettive di sviluppo rivelatisi ampiamente sovradimensionate. I processi di crescita, connessi alla rendita fondiaria (che ci si è illusi di controllare attraverso i dettami normativi di una pianificazione territoriale drammaticamente in ritardo) hanno prodotto devastanti effetti di cementificazione e di perdita 1005 di territorio agricolo pari a circa 30 milioni di ettari negli ultimi trent’anni e 80 mila solo negli ultimi 4 (il consumo di suolo avanza in Italia al ritmo di 7 mq. al secondo) (ISPRA). Alla pianificazione urbanistica era anche riconosciuto il ruolo di attività orientata ad innalzare i livelli di vivibilità dei contesti antropizzati attraverso l’obbligatoria predisposizione di spazi, gli standard urbanistici, destinati ad accogliere i servizi alla residenza. Come è noto, in molti casi, tali attrezzature non sono state realizzate, lasciando aree defunzionalizzati all’interno di contesti edilizi privati di ogni decoro. D’altro canto le nuove e consistenti pressioni fiscali sulle piccole e singole proprietà immobiliari, che da sempre caratterizzavano la prospettiva di serenità delle famiglie italiane, hanno ulteriormente contribuito a trasformare il mercato e l’attività edilizia che attualmente, in particolare al Sud Italia, segna un consistente rallentamento. Questo, per sommi capi, il contesto nel quale l’attività di pianificazione urbanistica sembra perdere ogni efficacia in un panorama nazionale caratterizzato da preoccupanti fenomeni quali i processi di senilità nazionale, la mancanza di politiche significative nei settori trainanti e nell’ambito della cultura, le nuove pressioni migratorie, etc.. In questo variegato contesto di crisi si innesta l’azione, ulteriormente destabilizzante, dell’innovazione tecnologica che ha completamente mutato il modo di agire ed interagire degli individui all’interno della città. L’innovazione tecnologica ha totalmente trasformato le componenti del sistema urbano, ma tale trasformazione non è stata percepita e men che mai formalizzata all’interno dei metodi di modellizzazione delle traiettorie evolutive urbane che necessiterebbero di una profonda revisione e ridefinizione anche per configurare una nuova cassetta degli attrezzi dell’urbanista. Le nuove tecnologie agiscono sul sistema urbano modificandone gli assetti sosttosistemici, virtualizzando le funzioni, trasformando la mobilità, alterando le relazioni fra gli attori urbani. La rivoluzione infotelematica ha prodotto in ambito urbano una sostanziale modificazione delle interazioni sociali, delle organizzazioni funzionali, delle scelte di mobilità, della base economica, etc.. La tecnologia si diffonde in maniera pervasiva in ogni ambito di attività della città e ne trasforma dall’interno le caratteristiche strutturanti. La attività urbane sono quelle che mostrano una maggiore sensibilità a tale trasformazione subendo un progressivo processo di “virtualizzazione” (Fistola, 2001). Le funzioni urbane informano il sottosistema funzionale del quale si dirà nell’immediato seguito. Ciò che in questa sede si intende sottolineare, relativamente al processo di pianificazione urbanistica, è che la tecnologia impatta principalmente sul tempo, contraendolo sensibilmente a parità di attività svolta. Si pensi al tempo della produzione industriale o a quello della produzione agricola, tradizionalmente scandita dai cicli stagionali e dalle culture rurali locali e che oggi, grazie all’innovazione tecnologica, è in grado di produrre qualsiasi cosa, ovunque. La freccia del tempo, che caratterizza il passaggio fra passato e futuro di un sistema complesso (quale è la città), si è sensibilmente contratta mandando in crisi tutte le attività previsionali e/o prefigurative dei futuri assetti sistemici come la pianificazione urbanistica. L’errore che può condurre alla scomparsa dell’attività pianificatoria risiede nel continuare ad ignorare gli effetti sul sistema urbano delle nuove tecnologie o orientarsi verso azioni di addizione della componente tecnologica alla città invece di prefigurare nuovi metodi, processi e strumenti urbanistici che adottino la tecnologia nella loro ridefinizione. Continuare a constatare la crisi conduce ad un pericoloso stallo disciplinare mentre tutto intorno continua a modificarsi. È necessario ripartire dalla ridefinizione aggiornata dei paradigmi interpretativi orientandosi verso quelli in grado di spiegare, definire e modellizzare al meglio il processo evolutivo urbano. L’approccio sistemico, opportunamente riveduto, appare in tal senso il paradigma sufficientemente in grado di rappresentare la metamorfosi urbana nelle sue dinamiche evolutive e utile a mettere a punto nuove procedure di governo delle trasformazioni sistemiche, introiettando i potenziali delle nuove tecnologie. Interpretazione sistemica della città Come già richiamato in precedenti contributi (Fistola, 1992), l’adozione della logica sistemica congiunta al riferimento paradigmatico alla teoria della complessità, strutturano il modello interpretativo di maggior efficacia ed utilità per comprendere le evoluzioni e le modificazioni che caratterizzano le attuali dinamiche urbane. Muovendo dalla definizione di Prigogine che interpreta la città come un ecosistema complesso (Prigogine e Nicolis, 1977), è possibile affermare, che la complessità è un fattore che assicura l’autorganizzazione dei sistemi ambientali. È oramai matura la definizione interpretativa della città come sistema dinamicamente complesso che evolve nello spazio e nel tempo e per il quale è necessario governare lo sviluppo assicurando opportuni livelli di sostenibilità, dichiarando però che uno sviluppo “totalmente” sostenibile, non potrà mai essere assicurato al sistema urbano. 1006 L’approccio sistemico consente l’individuazione di molteplici sottosistemi urbani che contribuiscono, in senso olistico, allo stato ed alla conformazione dell’intero sistema. È possibile definire una sequenza di azioni da operare per giungere a definire un’opportuna configurazione del sistema. In prima istanza è necessario definire il contesto sistemico e modellizzare le traiettorie di sviluppo; successivamente vanno individuati i sottosistemi significativi per la definizione di azioni di governo delle trasformazioni territoriali; quindi è opportuno creare una classificazione dei sottosistemi alfine di individuarne la sequenza generativa; infine vanno distinte le parti e la struttura (insieme delle relazioni di ciascun sosttosistema componente) con l’obiettivo di comprendere come poter intervenire sulla struttura e quali siano le parti da controllare, nel processo evolutivo. È quindi possibile suddividere il sistema urbano in sottosistemi componenti per rilevanza e caratteristiche (Figura 1). Tali sottosistemi possono essere distinti in: generativi, generati e caratterizzanti. I sotto-sistemi generativi sono il socio-antropico ed il geo-morfologico, che rappresentano gli elementi fondanti la città e riconducibili alla componente umana ed al substrato territoriale sul quale l’insediamento antropico si colloca. Da tali sistemi ne scaturiscono altri quali il sottosistema funzionale (atività/relazioni) e quello fisico (spazi/connessioni materiche). In ultimo si possono individuare ulteriori sistemi, definiti caratterizzanti, che connotano ulteriormente il sistema urbano quali il sottosistema economico, quello percettivo, etc. (Figura 1). Non si condurrà oltre l’approfondimento interpretativo, peraltro già proposto altrove, ma risultava utile richiamare tale approccio per rendere in maniera più efficace l’urgente necessità di adottare nuove visioni nello studio e nel governo del sistema urbano ed anche per una migliore definizione del rapporto fra città e innovazione tecnologica che conduce naturalmente verso la definizione di Smart City. Figura 1 | Schema concettuale dell’articolazione del sistema urbano in sottosistemi generativi, generati e caratterizzanti. Sostenibilità, entropia e smartness urbana In ogni sistema, aperto o chiuso, la misura dell’energia non più disponibile per compiere un lavoro è espressa dall’entropia. Per estensione, considerando l’eco-sistema (e quindi anche il territorio) si può affermare che l’entropia misuri il livello del disordine, della discrasia del malfunzionamento del sistema stesso (Rifkin, 1989). Il principale antagonista della sostenibilità all’interno della città è l’entropia antropica, espressione del malfunzionamento e della somma (sinergica) delle discrasie nei diversi sotto sistemi. Alfine di innescare opportuni processi in grado di indirizzare il sistema urbano verso assetti di sostenibilità è necessario agire per la riduzione dell’entropia urbana totale. Nell’entropia antropica possono distinguersi effetti diretti, che si traducono nel consumo di suolo ed un effetto indotto che si manifesta nelle emissioni inquinanti riconducibili alla presenza ed al funzionamento delle attività sul territorio. In maniera sintetica è possibile affermare che la città è una struttura dissipativa che assorbe energia ed emette entropia. All’interno del sistema urbano l’entropia che supera una determinata soglia non è più metabolizzabile ed agisce riducendo la complessità, attraverso la distruzione delle interrelazioni fra le parti, inficiando conseguentemente la capacità autorganizzativa dell’intero sistema. In altri termini è possibile ritenere che l’entropia agisca riducendo l’energia che consente l’attivarsi delle relazioni fra le parti, arrivando a inibirle del tutto; conseguentemente il sistema perde la capacità 1007 autorganizzativa e si innescano al suo interno processi di “atrofizzazione entropica”. Da quanto detto ne deriva che una città con elevati valori entropici può difficilmente offrire servizi efficienti ai suoi cittadini, presentare un contesto spaziale di elevata qualità e caratterizzarsi per un alto capitale sociale nella componente socio-antropica. L’adozione della teoria generale dei sistemi (von Bertanlaffy, 1972) per l’interpretazione urbana consente di pervenire ad una definizione di Smart City nella quale l’interesse di ricerca è in generale posto nell’identificazione dei fattori e delle caratteristiche sistemiche in grado di configurare un contesto urbano come smart tentando di utilizzare un approccio sostanzialmente dissimile da quello attualmente più diffuso. La maggior parte dei lavori presenti in letteratura individua la smartness urbana attraverso una serie di indicatori, più o meno condivisi. Seguendo tale approccio però sono state definite smart città con evidenti discrasie e problematicità all’interno delle componenti strutturali, che potrebbero definirsi ad elevata entropia. Richiamando quanto appena esposto in merito alla teoria generale dei sistemi ecodinamici è forse possibile riuscire a definire la urban smartness in maniera antinomica rispetto all’entropia urbana. In altre parole si ritiene possibile partire dalle caratteristiche e proprietà del sistema per comprendere se vi sia un livello di smartness di una qualche significatività all’interno di un dato contesto urbano formalizzando, in primo luogo, il livello di entropia presente nel sistema. L’entropia può essere quindi pensata come un’antagonista della smartness e va considerata come l’energia negativa in grado di far evertere il sistema urbano dalla sua traiettoria di evoluzione spazio-temporale. La smartness va intesa come la capacità del sistema di riorganizzare le proprie componenti (o di autorganizzarsi) in presenza di liberazione entropica (esogena/endogena). Come suggerito da recenti lavori è da approfondire, non tanto l’autorganizzazione come redistribuzione delle componenti, ma come variazione del rango endosistemico delle stesse in risposta ad eventi perturbanti. In tale visione la prefigurazione di azioni orientate all’innalzamento del capitale sociale (espressione del sottosistema socio-antropico), assumono una particolare rilevanza, in quanto è oramai opinione condivisa che l’unica possibilità di mitigare l’entropia e favorire un innalzamento della smartness urbana è riconducibile alla trasformazione dei comportamenti antropici. L’innovazione tecnologica, se opportunamente adottata, può in tal senso risultare un elemento strategico, determinante. Innovazione tecnologica e cambiamenti nel governo della città: prime conclusioni L’informazione rappresenta il nuovo bene di riferimento per l’economia urbana. La città produce, elabora e trasferisce informazione; su tale produzione immateriale basa attualmente il suo posizionamento nei ranking internazionali ed attiva i processi di competizione. Gran parte del livello di smartness di ciascun insediamento antropico è riconducibile al livello e qualità dell’informazione che è in grado di produrre. Ogni città genera una nuvola informativa, una quantità di dati, un concentrato di big data. La sfida nell’immediato futuro si giocherà sulla capacità di ciascun aggregato urbano di estrarre senso dalla nuvola di dati ed utilizzarlo per configurare opportune procedure di governo dell’evoluzione del sistema urbano. Muovendo da tali assunzioni appare chiaro come le nuove tecnologie, che modificano dall’interno il sistema urbano, possano essere adottate per guidare opportunamente la città verso stati compatibili con le risorse a disposizione, all’interno di traiettorie di sostenibilità e mitigando l’entropia. Le nuove tecnologie consentono di simulare condizioni future del sistema, studiarne gli stati, modellizzarne il comportamento. Allo stesso tempo, grazie all’enorme diffusione sociale, permettono una generazione di dati informativi continua ed in tempo reale grazie a reti di sensori ed anche ai cosiddetti: «sensori antropici» (Fistola, 2013). L’innovazione tecnologica va adottata nei nuovi processi di governo delle trasformazioni urbane attraverso la misura dei suoi effetti sul sistema funzionale, l’interpretazione in tempo reale dei dati generati e la prefigurazione delle evoluzioni sistemiche che consentono una prevalutazione del miglior impiego delle risorse disponibili (economiche, sociali, ambientali, etc.). L’intelligenza urbana va ricondotta alla sua capacità di mitigare l’entropia, ed innalzare il capitale sociale. Il livello di smartness urbana va connesso alla potenzialità della città di interpretare opportunamente i processi in atto, individuare tempestivamente i generatori entropici, intervenire per riportare il sistema lungo traiettorie di sostenibilità. La smart city si contraddistingue per la tecnologia «adottata» nei processi di governo e non semplicemente «addizionata» al contesto fisico (Fistola, La Rocca, 2013). L’innovazione tecnologica consente di attivare sincronicamente tali azioni ed assicurare al sistema uno sviluppo orientato alla sostenibilità. La pianificazione urbanistica deve quindi orientarsi verso nuove dimensioni dinamiche, caratterizzate da azioni di controllo e reindirizzo continuo del sistema che solo un uso opportuno ed adottivo delle nuove tecnologie può consentire. 1008 Riferimenti bibliografici ISPRA, (2016), Il consumo di suolo in Italia, (edizione 2015), maggio 2015, (http://www.isprambiente.gov.it/files/pubblicazioni/rapporti/Rapporto_218_15.pdf). Fistola R. (2013), “Smart City: riflessioni sull'intelligenza urbana”, in TeMA Journal of Land Use, Mobility and Environment, volume 6. Fistola R., La Rocca R. A. (2013), “Smart City: un’occasione per rivedere i compiti della pianificazione urbana”, in: Sbetti F., Rossi F., Talia M. e Trillo C. (a cura di), Urbanistica Dossier on line: Il governo della città nella contemporaneità. 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I Living Lab come laboratori di sperimentazione per costruire un sistema di welfare community in ambito urbano Giancarlo Gallitano Università degli Studi di Palermo, Scuola Politecnica D'Arch, — Dipartimento di Architettura Email: giancarlo.gallitano@unipa.it Abstract La ricerca valuta l'adattabilità in ambito urbano del modello, di matrice aziendale, dei Living Lab: «interaction spaces, in which stakeholders form public-private-people partnership (4Ps) of companies, public agencies, universities, users, and other stakeholders, all collaborating for creation, prototyping, validating, and testing of new technologies, services, products, and systems in real-life context» (Westerlund, Leminen, 2011: 20.); interpretate come piattaforme di sviluppo basate su un approccio multidisciplinare non formalizzato e aperto in cui la distanza tra finanziatori, produttori e consumatori è azzerata. A partire dallo studio di esperienze di Living Lab già attivi in Europa e in Italia, la ricerca ne evidenzia l'utilità quali laboratori di sperimentazione urbana per nuovi sistemi di servizi in ambito welfare a partire da iniziative legate alla dimensione di comunità. Ragionare su ruoli e potenzialità dei Living Lab rappresenta un tema di ricerca trasversale che, richiamando la tradizione dei laboratori urbani, attinge contemporaneamente alla letteratura sulle Smart City e sulle Creative City, offrendo una lettura sincretica che incorpora anche i fenomeni di auto-appropriazione e gestione legati al tema degli urban commons. Parole chiave: collaborative urban design, governance, neighborhood. 1 | Premessa La distanza fra spazializzazione del welfare urbano e reale capacità prestazionale dei servizi manifesta una generale ‘disattenzione pubblica’ verso le specificità di realtà locali complesse e mutevoli. Tale “disattenzione”, motivata da un sistema di pianificazione territoriale necessariamente burocratizzato, è accompagnata dal diffondersi di pratiche di auto-appropriazione e gestione di spazi, beni e servizi. Il concetto di 'condivisione' in ambito economico ha generato nuove forme di economia; analogamente esso si è inserito nell'ambito della progettazione di servizi in ambito welfare, generandone nuove forme (Cottam, Leadbeater, 2004; Ferrera, Maino, 2013; Boyle, Harris, 2009). Diversi autori affermano che, attraverso logiche mutuate dalla sharing economy e da ambienti aziendali basati sulla innovazione aperta, le città possano essere lette come piattaforme di condivisione di risorse e servizi in cui i cittadini possano concorrere alla costruzione di ambienti di vita secondo un'ottica smart. Parallelamente la città volontaria crea la propria realtà attraverso pratiche non formalizzate che necessitano di piattaforme in cui utenti, enti pubblici, settore economico-produttivo e Terzo Settore possano collaborare per gestire al meglio beni e strutturare i servizi urbani sulla base delle reali necessità della popolazione locale. Alla luce di queste osservazioni iniziali, il contributo s'interroga sul reale contributo in ambito urbano del modello dei Living Lab intesi come «user-driven innovation environments where users and producers co- 1010 create innovation in a trusted, open ecosystem that enables business and societal innovation»1. Tale definizione consente di evidenziare i caratteri generali utili ad adattare tali piattaforme a processi di sperimentazione urbana per nuovi sistemi di servizi in ambito welfare. 2 | Cosa sono i Living Lab Un Living Lab è un ecosistema di open-innovation guidato dagli utenti2, può operare in un contesto territoriale, integrando i processi di ricerca e innovazione all'interno di un sistema di Public-Private-People Partnership (4Ps)3. Rispetto al partenariato pubblico-privato (PPP), basato su tradizionali rapporti acquirente-fornitore, in cui l'acquirente (pubblico) rappresenta l'“omogeneità” degli utenti finali del servizio, un modello 4Ps consente una fornitura flessibile di servizi regolata su una domanda mutevole (Majamaa, 2004). Un Living Lab si basa su un approccio sistematico di co-creazione, esplorazione, sperimentazione e valutazione di idee innovative, scenari, concetti e manufatti tecnologici e consente a tutti gli stakeholder coinvolti di valutare contemporaneamente sia le caratteristiche di prodotti o servizi che la loro potenziale adozione da parte degli utenti in base ai feedback avuti durante il processo. Figura 1 | Caratteristiche dei modelli di Living Lab, in evidenza il tipo user-driven. Fonte: Leminem et al. (2012, modificato). Un Living Lab non è un semplice banco di prova per prodotti e servizi, la sua filosofia è quella di trasformare gli utenti, tradizionalmente considerati soggetti osservati nei test prestazionali, in produttori di valore nel loro contribuire alla co-creazione e all'esplorazione di idee emergenti. Un Living Lab rappresenta piuttosto un ambiente di apprendimento pratico, dove gli utenti sono immersi in uno spazio sociale creativo per progettare e sperimentare. In altri termini, essi agiscono come catalizzatori dell'innovazione, Questa è la più comune definizione adottata dall'ENoLL Secretariat e da alcuni dei membri dell'ENoLL. Per altre definizione è possibile consultare la letteratura sui Living Lab citata dal sito www.openlivinglabs.eu. 2 Almirall E., Wareham J. (2011), “Living Labs: Arbiters of Mid- and Ground-Level Innovation”, in Technology Analysis and Strategic Management, no. 23, voll. 1, 2011 pp. 87-102. 3L'attenzione è posta all'interfaccia tra utenti finali e fornitori dei servizi, sia pubblici che privati. Anche se la loro fornitura si basa su modelli standard di servizi pubblici e su contratti di tipo PPP, un fornitore di servizi privato, all'interno di un sistema di tipo 4Ps, può ampliare l'offerta di servizi, se necessario anche attraverso la mobilitazione di terzi, sulla base delle necessità degli utenti. In questo modo le loro esigenze sono riconosciute da due canali separati: formalmente tramite le decisioni politiche locali e in modo informale attraverso il contatto quotidiano fornitore-utente. Nel modello PPP, invece, anche quando un fornitore di servizi privato è a diretto contatto con l'utente finale, ogni feedback formalmente arriva tramite l'ente pubblico. 1 1011 come propulsori e attuatori del processo di innovazione dei servizi in chiave: strategica, competitiva, organizzativa e sistemica. Il movimento dei Living Lab è stato promosso con il Manifesto di Helsinki4, durante la presidenza finlandese dell'UE nel 2006, in risposta alla necessità di un modello europeo efficiente di innovazione basato sulla open-innovation (Chesbrough, 2003). Ciò ha portato alla formazione della rete europea dei Living Lab (EnoLL, European Network of Living Lab), che da allora è cresciuta fino a diventare un'organizzazione ombrello per quasi 350 realtà nel mondo. Dato il successo del modello Living Lab e la rapida crescita del loro numero in Europa e nel mondo, due autori, Leminen e Westerlund (2015) si sono interessati al loro rapporto con lo sviluppo urbano e alla trasferibilità del concetto di piattaforma di innovazione collaborativa alla città stessa. In generale la letteratura sui Living Lab ha concentrato progressivamente la sua attenzione su questioni legate al tema delle smart city, a differenza dei primi studi concentrati su ricerche nell'ambito di tecnologie integrate in contesti più ristretti, come edifici o piccoli quartieri. C'è chi sostiene (Coenen et al., 2014) che i Living Lab siano particolarmente utili, come metodologia, nella creazione di servizi nelle 'città intelligenti', anche perché, come altri studiosi affermano (Ballon et al., 2011), le iniziative Smart City dovrebbero essere intese come processi locali. Nel suo insieme, la prima letteratura dei Living Lab documenta diverse forme di innovazioni e di collaborazione in città. Tuttavia, Baccarne et al. (2014) sottolineano che gli studi sul loro valore nella creazione delle Smart City non abbiano raggiunto un adeguato grado di approfondimento. Un chiaro punto di forza di queste piattaforme è che strutturano partnership esclusive con le istituzioni produttrici di conoscenza, come università e istituti di ricerca. Attualmente questi partenariati sono prevalentemente orientati verso temi legati alla sostenibilità, come ad esempio la riduzione delle emissioni di CO2 nelle città, ma se guardiamo indietro nella storia, potremmo cogliere delle analogie già nelle attività di ricerca connesse al panorama immobiliare britannico del 1960 (Strebel e Jacobs, 2014) e ancora con l'esperienze della Scuola di Chicago, i cui studiosi hanno lavorato nella prospettiva che società e città fossero dei laboratori (Gross e Krohn, 2005; Gieryn, 2006). 3 | La città come laboratori di innovazione L'idea di paragonare la città ad ambienti aziendali capaci di far evolvere gli utenti in prosumer5 implica un critico ripensamento dell'idea di città e della figura del cittadino inteso come consumatore di beni e servizi urbani 'attivabile' nella produzione degli stessi. Figura 2 | Collaborative innovation in cities. Fonte: Leminen e Westerlund (2015: 170). 4 Il 'Manifesto di Helsinki' del 20 Novembre 2006 ha infatti posto la modalità incentrata sull'essere umano (human centric way) al centro delle misure richieste per trasformare in effettiva realtà la strategia di Lisbona. Il tema della competitività e dell'innovazione si è così arricchito di nuovi strumenti, orientati a favorire la collaborazione co-creativa con gli utenti dei prodotti e dei servizi quando questi sono ancora in fase di sviluppo e realizzazione. 5 Crasi dei termini producer e consumer, coniata da Alvin Toffler nel libro The third wave (1980), che indica un consumatore che è a sua volta produttore o, nell’atto stesso che consuma, contribuisce alla produzione. 1012 La citata ricerca di Leminen e Westerlund (2015), analizza esperienze avviate in diverse città e produce un modello concettuale per la comprensione dell'innovazione collaborativa in città (Figura 2). Il modello comprende due dimensioni: l'asse orizzontale, il 'bersaglio della collaborazione', che distingue se l'innovazione sia orientata al miglioramento dell'esistente o alla creazione di qualcosa di nuovo, e l'asse verticale, la 'iniziazione', si riferisce al fatto che le attività di innovazione possano essere avviate da società o da parte dei cittadini. Il quadro elaborato, incrociando 'bersagli' e 'promotori', fornisce quattro forme di innovazione collaborativa in città: I) la città come piattaforma per migliorare le attività quotidiane e le condizioni di vita da parte dei cittadini, tra cui l'aumento delle opportunità di lavoro per i cittadini (tali iniziative si ritrovano in particolare nei Living Lab in Svezia e Sud Africa: cfr. Nyström et al., 2014); II) la città come piattaforma per esperimenti di consumo creativo, che coinvolgono cittadini-consumatori, trasformandoli in prosumer nel corso di attività creative di base, come nelle attività di co-creazione di Rotterdam City (Mulder, 2012), o come il Citilab Living Lab a Barcellona (Leminen et al., 2014); III) sperimentazione e implementazione di nuove tecnologie, per esempio l'iniziativa Manchester Smart City attua molti esperimenti con tecnologie digitali, ad esempio l'uso di tecnologie IoT (Internet of Things) in collaborazione con i 'cittadini intelligenti'; IV) città come una piattaforma per la creazione/ri-creazione di nuove opportunità economiche, in tal senso la Silicon Valleye e l'area metropolitana di Helsinki, sono esempi di creazione di nuove opportunità di business in città. Figura 3 | Guidelines for various forms of collaborative innovation. Fonte: Leminen e Westerlund (2015: 171). Va osservato che l'attuale letteratura presenta i Living Lab come un modello ideale di 'democratizzazione del processo produttivo' che può essere trasferito tout court alle città solo se le si assume come piattaforme in cui è possibile sperimentare nuove tecnologie e aprire nuovi mercati, in un'ottica assolutamente neoliberista. Se si sposta invece l'accento sulla produzione di beni e servizi legati all'abitare, il passaggio non è immediato. La città è un dispositivo che eroga determinati beni e servizi in funzione di una domanda che va costantemente interpretata, ma tali servizi non possono essere inseriti esclusivamente in logiche di mercato. Allora il modello dei Living Lab diventa una matrice di riferimento all'interno di processi di cittadinanza attiva e di costruzione di forme condivise di welfare. 1013 4 | Una nuova attenzione verso i quartieri Concentrandosi sulle sole forme di innovazione attivate dai cittadini, sia che si vogliano migliorare le attrezzature e i servizi esistenti che crearne di nuovi, la dimensione del quartiere è una opportunità di lavoro. Una comunità di quartiere coinvolge e integra i diversi ruoli e le attività dei residenti, che spesso sono sia produttori che consumatori di beni e servizi che tale realtà abbraccia. La domanda di ricerca è se i Living Lab possano rappresentare modelli validi per laboratori di cittadinanza attiva nei quartieri? Ovvero guarda a tali laboratori/piattaforme come dispositivi di 'rimodulazione' delle attrezzature pianificate, basata su considerazioni di tipo prestazionale, a partire da forme stabili di partecipazione attiva dei cittadini nella progettazione, pianificazione ed erogazione di servizi e nella costruzione di attrezzature suppletive. Le forme di innovazione collaborativa realmente guidate dai cittadini sono da considerarsi prioritarie perché dal loro successo deriverebbe la mobilitazione di un numero maggiore di soggetti e la possibilità di incrociare le diverse forme di innovazione collaborativa e ottenerne diversi gradi e benefici, non solo nuove opportunità economiche. Ragionando sulla citata definizione di Living Lab, i quartieri sono 'ambienti di vita reale', aree delle città in base a cui generalmente vengono erogati 'servizi, beni e infrastrutture sociali'. Questi beni e servizi possono essere co-prodotti, ciò avviene anche in modo informale attraverso pratiche di autoappropriazione e gestione degli spazi sottoutilizzati. Ma è possibile contestualizzare i movimenti di rinnovamento urbano all'interno del paradigma della openinnovation secondo una 'democratizzazione' di tipo aziendale? Ciò è possibile con i dovuti accorgimenti. Il quartiere è un terreno di sperimentazione naturale per i processi di innovazione sociale, un campo di prova in cui metodi e risultati possono essere validati prima di venire esportati in altre aree della città e in altri contesti urbani analoghi. Un punto a favore dell'innovazione aperta è che prevede il coinvolgimento di soggetti esterni al processo decisionale abituale, soprattutto cittadini e terzo settore, favorendo, nel superare forme stereotipate di governance, la loro partecipazione in processi trasparenti, collaborativi e spesso non codificati. Dalla convinzione che nelle comunità si trovi il vero potenziale del cambiamento e della sostenibilità delle trasformazioni urbane contemporanee, un Living Lab, limitato alla dimensione di quartiere, potrebbe essere un utile strumento nella costruzione di comunità di cittadini attivi intorno a obiettivi e progetti comuni. Attraverso la mobilitazione che può derivare dal senso di appartenenza e dalle criticità del quotidiano, in un Living Lab di quartiere (da ora LLdQ) possono essere capitalizzate pratiche già collaudate quali il crowdsourcing, che rivoluziona grazie alla rete la dinamica del bando pubblico estendendone la partecipazione a popolazioni sconosciute; il citizen sensing, che trasforma gli abitanti in antenne volontarie della città senziente; le tecniche di co-design, che consentono di inserire il punto di vista dei cittadini nelle fasi fondamentali della progettazione dei servizi e degli spazi urbani; le logiche di gamification, che applicano le tecniche dei videogiochi per realizzare simulazioni delle funzioni del quartiere e della città e supportare i processi decisionali; il co-working, che rimodella gli spazi produttivi su nuove forme più vicine alle esigenze del lavoratore, e che per tanto può diventare un catalizzatore delle realtà economiche e produttive del quarti Tabella I | Difference between advantages in living lab and living lab di quartiere. ADVANTAGE IN LIVING LAB (Leminem, 2015) Area INNOVATION Area INNOVATION enhance learning tackle complex real-life problems foster vertical integration enhance SME incubation filtrer problems enable open collaboration between actors enhance multi-organizational collaboration act as a focal point for multiorganizational collaboration engage all key actors for innovation 1014 ADVANTAGE IN LIVING LAB DI QUARTIERE enhance learning tackle complex real-life problems foster vertical integration enhance SME incubation filtrer problems enable open collaboration between actors enhance multi-organizational collaboration act as a focal point for multiorganizational collaboration engage all key actors for innovation understand innovation enable unique knowledge access real interaction data and real application contexts motivate users enhance sustainable solution development CONTEXT understand social innovation enable unique knowledge motivate citizan enhance sustainable solution development CONTEXT can be used in different contexts provide an environment to study richness of complex user behaviour and use of technology in home integrate fundamental and applied research empower rural communities in developing countries advance smart city opearations upscale urban development provide assets for the innovation environment BUSINESS OPPORTUNITIES provide an environment to understand complex citizen behaviours and needs integrate fundamental and applied research empower rural communities in developing countries advance smart city opearations upscale urban development provide assets for the innovation environment SOCIAL OPPORTUNITIES create new business opportunities localize products lead to unexpected market opportunities create new social opportunities enhance social coesion create new business opportunities Nei LLdQ sarebbe possibile adattare più facilmente aspetti peculiari degli incubatori d'impresa e della coprogettazione alle pratiche emergenti di gestione condivisa di beni e servizi, secondo forme di progettazione avviate e centrate sugli utenti a partire dalla messa a sistema di competenze e risorse offerte dalla realtà locale, capitalizzando e reinvestendo il capitale della comunità all'interno della comunità stessa. Un coinvolgimento continuativo dei cittadini, utenti finali dei beni e servizi urbani, limita il rischio di un uso retorico degli strumenti di co-progettazione, strutturandoli in forme stabili di “innovazione guidata da parte degli utenti”. Alcune iniziative condotte dal Malmö Living Labs (Björgvinsson et al., 2010) illustrano come il modello possa essere facilmente orientato verso pratiche di innovazione sociale. Tra queste possono essere citati i laboratori collaborativi di produzione culturale, come 'The Stage', istituito nel 2007 e seguito da altri due nel 2009 e nel 2010, e il lavoro di miglioramento dell'immagine delle popolazioni di immigrati residenti nei sobborghi di Molmö condotto insieme all'associazione di giovani repper RGRA. All'interno di un LLdQ si potrebbe realizzare la progettazione integrata tra design di servizi e il design strategico che si concentra sulle partnership da creare, attraverso la piena collaborazione degli attori pubblici e sociali, idealmente orientati all'interesse generale della comunità. Un LLdQ sarebbe una piattaforma in cui poter progettare i servizi collaborativi, in esso i cittadini verrebbero mobilitati nella loro co-progettazione e co-produzione, attivando processi di costruzione di 'comunità creative' (Moroni, 2007). Un esempio potrebbe essere rappresentato dall'esperienza di Cascina Cuccagna a Milano nell'ambito del progetto Cittadini Creativi del Politecnico di Milano (Selloni, 2013; 2014) che si configura come un 'fab-lab di servizi', uno spazio ibrido tra profit e no-profit. Un LLdQ non sarebbe un 'laboratorio di consensi' ma una piattaforma di dialogo fra istituzioni e cittadini, capace di superare il modello 4P, basato sempre sul concetto di feedback, a favore di un modello 'codecisionale' propositivo. All'interno del LLdQ le istituzioni, le aziende municipalizzate erogatrici di servizi, la realtà imprenditoriale locale, le associazioni e i privati cittadini concorrerebbero al miglioramento della qualità di vita, alle università e agli istituti di ricerca spetterebbe il compito di avviare e facilitare il processo. 1015 Tabella II | Confronto tra le caratteristiche dei Living Lab e dei Living Lab di quartiere. OBJECTIVE KIND OF PROJECT MANAGER Living Lab Living Lab di quartiere argeted to an undefined objectives targeted to identified objectives of the community final objectives change based on the needs of users final objectives change based on the needs of citizen company project manager university local authority citizen local authority ROLE OF PROJECT MANAGER management and control of own resources management and control of neighbourhood resources and activities facilitation and encouragement of users engagement, facilitation and encouragement of citizen CONTROL POINT adjustments can even be made daily adjustments can even be made daily KIND OF USERS AND USER-COMMUNITIES end-users of service or product citizen citizen neighbourhood association business owner ROLE OF USERS AND USER-COMMUNITIES equal and active partecipants in the project co-creators of products or services co-creators of products or services equal and active partecipants in the project shared management activities. RESOURCES AND CAPABILITIES readjustment and redefinition are the next steps readjustment and redefinition are the next steps flexibility in integrating different types of flexibility in integrating different types of knowledge in the livin lab network/community knowledge in urban issue TOOLS facilitation of end users and user communities facilitation of citizen and communities. facilitative methods and group work tools facilitative methods, partecipative methods and group work tools Tali laboratori urbani agirebbero su aree limitate e in contesti in cui sono attivabili nuove forme di partenariato e di governance a partire dalla necessità di cambiamento e dall'indeterminatezza della agenda politica che collega le questioni di potere a quelle del luogo (Karvonen e van Heur, 2014). I singoli LLdQ, come piattaforme di sviluppo costante di beni e di servizi di comunità, potrebbero essere una infrastruttura operante all'interno della città e capace di relazionarsi con le altre realtà urbane nel diffondere e adattare velocemente processi e metodi d'intervento adatti alle diverse realtà urbane così come avviene già per le reti di Living Lab in ambito economico-produttivo. Inteso come piattaforma collaborativa, il principale compito di un LLdQ sarebbe quello di costruire un ambiente in ci i membri della comunità possano interagire tra loro, mutuando il modello dalle piattaforme collaborative on-line che si basano sul ruolo attivo dei membri. Nel nostro caso i servizi collaborativi coinvolgerebbero i cittadini e le piattaforme sarebbero arene di dibattito attraverso cui costruire strumenti di fiducia. Spesso tali strumenti sono già operanti nella dimensione della prossimità e della quotidianità, essi devono solo essere rivitalizzati e implementati. Oltre allo sviluppo di processi partecipativi, la piattaforma, se istituita in forma stabile, promuoverebbe in senso ampio lo scambio e il rafforzamento dell'interazione sociale. Ciò attraverso la promozione di forme di attivazione sociale in accompagnamento alle azioni di trasformazione di tipo tradizionale. 1016 5 | Conclusioni Le città sono per definizione luoghi di progresso socio-culturale, in esse ideologie e modelli politici ed economici si sviluppano e vengono messi in crisi, quindi sono luoghi deputati all'innovazione. Come Evans e Karvonen (2014) sostengono, i laboratori urbani e le specifiche sperimentazioni costituiscono 'nicchie classiche' per l'innovazione, dato che sono stati ideati per 'proteggere' idee e pratiche innovative dalle pressioni tradizionali che si possono manifestare in uno specifico contesto urbano e, grazie a particolari partnership di ricerca con le università (Strebel e Jacobs, 2014), approcci specifici, apparentemente puntuali, possono avere effetti più ampi. L'applicazione del modello di 'innovazione aperta' di tipo aziendale in città rischia di produrre derive neoliberiste nella costruzione del welfare urbano. Quando la fornitura di servizi pubblici risulta insufficiente è possibile sia delegare soggetti privati attraverso partenariati pubblico-privati che attivare forme di produzione collaborativa del welfare, approfittando dei modelli propri delle piattaforme di condivisione online e applicandoli ai reali contesti locali. La differenza è sostanziale riflettendo sulla reale accessibilità dei servizi. Quali piattaforme-laboratori di quartiere i Living Lab garantirebbero il superamento di una logica di partenariato che favorirebbe il settore privato a sostegno di un approccio collaborativo di tipo orizzontale in cui cittadini, enti pubblici e il terzo settore rispondono insieme alla domanda di beni e servizi di valenza pubblica e collettiva. Rispetto al Living Lab aziendale, un LLdQ riporta l'attenzione dall'utente al cittadino, una loro istituzione non rappresenta un salto culturale per le amministrazioni, ma la possibilità di migliorare forme collaudate di governance, spesso confinate a soluzioni occasionali, raramente implementabili. Elevare le performance della città operando attraverso una piattaforma-laboratorio di tipo collaborativo, anche grazie al supporto dalle tecnologie ICT, è un obiettivo raggiungibile se si pensa che già i cittadini, anche grazie ai social media, si organizzano e intervengono laddove l'amministrazione locale è meno presente. Questo tipo di iniziative troverebbe nei LLdQ una piattaforma di condivisione e in tal senso essi potrebbero rappresentare un luogo di apprendimento, miglioramento e crescita della comunità. Affinché ciò sia possibile, tale dispositivo deve farsi garante di approcci 'civicentrici' in cui i processi sono avviati a partire dalle motivazioni dei cittadini accompagnate da una loro adeguata informazione e preparazione rispetto a criticità e benefici di determinate scelte. In questi luoghi i cittadini, incontrando amministrazioni, aziende municipalizzate che gestiscono i servizi urbani e settore privato, possono proporsi come ideatori, produttori e gestori di beni e servizi utili alla comunità. In un'ottica sistemica essi rappresenterebbero i nodi attivatori di un ecosistema d’innovazione urbana, basato su 'nuovi cittadini' caratterizzati da un sentimento di co-responsabilità e di impegno nei confronti del proprio territorio. Riferimenti bibliografici Almirall E., Wareham J. (2011), “Living Labs: Arbiters of Mid- and Ground-Level Innovation”, in Technology Analysis and Strategic Management, no. 23, voll. 1, 2011 pp. 87-102. Baccarne B., Mechant P., Schuurman D., De Marez L. (2014), “Urban Socio-Technical Innovations with and by Citizens”, in Interdisciplinary Studies Journal, no.3, vol. 4, 143–156. Ballon P., Glidden J., Kranas P., Menychtas A., Ruston S., Van der Graaf S. 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Il presente lavoro riporta un confronto tra due realtà territoriali, oltre che strutturalmente differenti, asincrone dal punto di vista delle politiche di integrazione in tema di trasporto pubblico: la situazione pugliese e della Città Metropolitana di Bari e quella dell'area metropolitana di Barcellona. In particolare si confrontano i meccanismi di integrazione tariffaria già diventati 'buona pratica' in Catalogna, con i tentativi in corso in tema di “Sistema tariffario integrato”, “che consenta all'utente l'utilizzo di tutti i servizi di T.P.R.L. sul proprio territorio con il pagamento di un unico titolo di viaggio, anche con carte multiservizi”, posto tra gli obiettivi dichiarati dalla L.R. n. 18/2002 pugliese (Testo Unico sulla disciplina del trasporto pubblico locale), ma che ancora stentano a concretizzarsi. Per la Puglia si fornisce una interpretazione in chiave 'inversa' dell'attuazione delle politiche pubbliche in tema di bigliettazione unica. Parole chiave: strategic planning, integration, mobility. 1 | Integrazione e sostenibilità del sistema tariffario per il Tpl Il tema dell’integrazione tra le componenti strutturali delle comunità e l’ambiente che le ospita è di rilevo nel governo delle trasformazioni socio territoriali nell'ottica di uno sviluppo ‘smart’. Allo stesso modo la relazione diretta tra l’accesso alla mobilità territoriale e le opportunità di crescita economica, culturale ed intellettiva si è spostata, ormai, verso l’accesso ad una molteplicità di servizi integrati per i trasporti e non solo a quelli di spostamento. La garanzia di mantenere relazioni positive tra i bisogni di spostamento, i 'tempi e gli spazi delle città' e i servizi di trasporto collettivo si basa principalmente su fattori di qualità del servizio garantiti da misure sostenibili di finanziabilità che non possono più esporre, come accaduto in passato, il sistema a ricorrenti rischi di default. Nel caso delle misure di integrazione tariffaria finalizzate ad agevolare, in molti casi, oltre che il viaggio multimodale anche l’accesso ai servizi delle città, i caratteri di sostenibilità economica degli interventi stessi rappresentano condizioni imprescindibili per il successo delle iniziative. In generale gli sforzi di migrazione verso un sistema di integrazione tariffaria ricomprendono sia costi volti ad offrire particolari vantaggi sull’acquisto di titoli di viaggio sia costi indiretti ascrivibili alle politiche di clearing2 e agli apprestamenti tecnologici necessari a governare l’integrazione: unificazione degli algoritmi di 1Le opinioni qui espresse sono frutto dell’autore e non coinvolgono, in nessun modo, l’Ente di appartenenza. procedure di clearing identificano le compensazioni tra i entità aderenti a formule di integrazione tariffaria. Tali regole ricomprendono le modalità di ascrizione, alle diverse gestioni (operatori differenti, modalità differenti), dei principali fattori di 2Le 1019 codifica/decodifica dei titoli di viaggio, applicazioni multi-operatore e multi-modo per l’emissione del titolo di viaggio, armonizzazione dei software gestionali d’impresa, ecc. Il panorama nazionale offre particolari spunti di riflessione circa le modalità di sussidio delle iniziative di integrazione tariffaria per i servizi di trasporto pubblico locale. Un esempio di evoluzione delle politiche di integrazione tariffaria è quello attuato dal consorzio UnicoCampania. Con un meccanismo a clearing fisso, basato in larga parte sulla ricostruzione storica dei ricavi da traffico per le singole modalità e per i singoli soggetti consorziati, sin dall’anno 2003 in tutta la regione Campania è possibile viaggiare con un titolo di viaggio unico, differenziato per zone omogenee di traffico. Recentemente, anche per sanare alcune distorsioni, la struttura tariffaria è stata rivista e sono stati reintrodotti i c.d. titoli di viaggio aziendali (ossia fuori dal meccanismo di integrazione tariffaria multioperatore) al fianco del TIC – Ticket Integrato Campania. La situazione pugliese mostra invece uno spettro di esperienze di integrazione di titoli di viaggio per lo più basato su accordi commerciali tra operatori. Quello che da un lato non offre unitarietà alle integrazioni in atto a causa della geografia frammentata delle buone pratiche di integrazione, dall’altro si è rivelato uno schema economicamente sostenibile per la diffusione del titolo di viaggio unico. Piuttosto che di una vera e propria integrazione tariffaria, dove l’integrazione si manifesta anche in un’agevolazione sul costo del biglietto, il panorama pugliese, negli ultimi tempi ha visto crescere due modelli di integrazione frutto di accordi commerciali: il biglietto unico (privo di alcuna agevolazione sul costo) e il biglietto integrato (con agevolazioni a carico degli operatori) che però, quest’ultimo, attualmente non risulta più attivo. 2 | Il servizio di trasporto pubblico locale nell'Area Metropolitana di Barcellona L'area metropolitana di Barcellona, in tema di trasporto pubblico integrato, rappresenta senz'altro un esempio di buona pratica, sia in tema di organizzazione, sia per l'attenzione posta alla qualità del servizio offerto. In merito al soddisfacimento degli utenti, infatti, una indagine svolta dalla Swedish Opinion Institute (TEMO), in base ad uno studio comparato su otto città europee3 ha mostrato come l’area metropolitana di Barcellona risultati essere al primo posto per la soddisfazione del cliente. Tale indagine è avvenuta attraverso più di 1000 interviste telefoniche fatte a coloro, con più di 15 anni d’età, che utilizzano il trasporto pubblico locale nelle città interessate. Inoltre, si evidenzia che la TMB (Transports Metropolitans de Barcelona), la società che si occupa di controllare e garantire alla cittadinanza il corretto funzionamento delle compagnie che erogano il servizio di trasporto, ha sviluppato il 'Quality Action Plan', una strategia volta a dare una concreta implementazione agli impegni dichiarati nella Carta dei Servizi. La qualità del servizio è monitorata attraverso i cosiddetti 'Customer Care Centre', a servizio dei passeggeri. Nel merito del funzionamento e coordinamento del sistema di trasporto pubblico nell'area metropolitana di Barcellona, come ben rappresentato nel testo "Il Servizio di Trasporto Pubblico a Barcellona"4, un ruolo chiave è svolto dall’Autoritat Metropolitana del Transport(ATM), un consorzio intra-authority, istituito nel 1997, i cui membri sono: - La Generalitat de Catalunya (il governo della Regione); - La Municipalidad di Barcellona (il governo locale della città); - La Entitat Metropolitana del Transport, EMT (un organismo composto dai 18 municipi che fanno parte dell’area metropolitana di Barcellona). La EMT rappresenta l’ente governativo che stabilisce le linee di condotta delle aziende erogatrici del servizio di trasporto nella regione di Barcellona, i cui membri provengono dalle 18 municipalità dell’area metropolitana. La Transports Metropolitans de Barcelona (TMB),come già anticipato, è la società, interamente partecipatada EMT, cui spetta il controllo delle compagnie Ferrocarril Metropolità de Barcelona AS e Transports de Barcelona che erogano il servizio di trasporto. La TMB, tenendo conto delle indicazioni fornite dal consiglio dell’Entitat Metropolitana, organizza e gestisce i servizi di trasporto su autobus (80 linee per 750 Km), su metropolitana (5 linee per 81,2 km), ed i servizi erogati attraverso modalità particolari (funicolare di Monjuic, cabina di funivia di Monjuic, la Tranvia Blau e i bus turistici), nonché ne controlla le fasi di produzione. produzione dei servizi di trasporto (passeggeri, passeggeri×km, sussidio, ricavi da traffico, eventuale pricing della sosta e/o della circolazione, ecc…). 3 Barcellona, Copenaghen, Helsinki, Monaco, Oslo, Stoccolma, Torino e Vienna. 4 https://www.comune.roma.it/PCR/resources/cms/documents/Scheda_Tpl_Barcellona.pdf, consultato il 26-04-2016. 1020 Essa fornisce il servizio attraverso le società controllate: Ferrocarril Metropolità de Barcelona SA, per il trasporto su metropolitana, e Transports de Barcelona SA, per il trasporto su autobus. Le compagnie che operano nella città di Barcellona e collegano tra di loro le 18 municipalità sono: • Ferrocarrils de la Generalitat de Catalunya (FGC):totalmente di proprietà della Regione che realizza servizi di trasporto su ferrovia locale e regionale; • Rodalies Renfe (Renfe Cercanias-Barcelona): ferroviaria statale che realizza il servizio di trasporto su ferrovia interurbana; • Compagnie private: sono circa 40 e realizzano il servizio di trasporto nella modalità bus e garantiscono il collegamento tra i comuni. Le imprese pubbliche, in particolare TMB e FGC, stipulano con ATM dei Contratti di Programma che stabiliscono il grado di copertura dei deficit operativi, gli investimenti in manutenzione e rinnovo delle infrastrutture e l’eventuale ricorso a procedure di indebitamento, cui corrispondono degli obblighi da parte degli operatori, atti a garantire la quantità e qualità del servizio. La RodaliesRenfe, invece, stipula un contratto di programma direttamente con il Governo Centrale. I 40 operatori privati che offrono un servizio di trasporto su gomma interurbano operano attraverso una concessione rilasciata da ATM. Il finanziamento del trasporto urbano è regolato dalla Legge sulla Finanza Locale (Legge 25/1988),in base alla quale gli Enti locali possono godere di crediti agevolati da parte dello Stato. É possibile usufruire di tali crediti o attraverso la stipula di contratti di programma tra Governo centrale e Ente locale, oppure attraverso il trasferimento, da parte del governo centrale, di sussidi atti a finanziare determinate infrastrutture. È possibile usufruire di tali sussidi solo dopo un’attenta analisi della domanda di servizi di trasporto in quella specifica area e delle caratteristiche più generali del territorio. Nel merito del ruolo delle amministrazioni, centrali e locali, nel finanziamento degli investimenti e delle operazioni di manutenzione, vi è una ripartizione delle responsabilità tra Stato, Comunità e Municipalità. Sicuramente, in materia di finanziamento, un ruolo chiave è svolto dallo Stato, che finanzia, per il 100%, gli investimenti (in materiale rotabile, manutenzione delle reti, sviluppo di nuove linee) che riguardano Rodalies Renfe; partecipa alla manutenzione e al nuovo acquisto di materiale rotabile di TMB e FGC; finanzia parte degli investimenti in capitale rotabile della rete di trasporto su autobus, gestita da concessionari privati. Complessivamente, finanzia un terzo dei progetti di investimento in infrastrutture. La regione finanzia gli investimenti in materiale rotabile di TMB e di FGC (sia per la manutenzione che per nuovi acquisti) e, per il trasporto interurbano, il 55% degli investimenti in materiale rotabile, per le linee di competenza regionale. La Comunità partecipa, per i due terzi, al finanziamento delle nuove infrastrutture, mentre le amministrazioni municipali finanziano solo gli investimenti in materiale rotabile5. A partire dall’anno 2000, ATM ha optato per un sistema di integrazione tariffaria valido per tutta la Catalogna, prevedendo in particolare, che i biglietti siano prodotti da ATM; ATM riceva le entrate derivanti dalla vendita dei titoli di viaggio; vengano realizzate le necessarie deduzioni, in relazione alla copertura dei costi di stampa, distribuzione e vendita; una apposita commissione di monitoraggio stabilisca i criteri di distribuzione delle entrate tariffarie; la distribuzione delle risorse e le operazioni di compensazione vengano realizzate su base mensile. Nel merito del biglietto integrato, in particolare, esistono diverse possibilità d'acquisto per l'utente, a partire dal biglietto singolo, al T10, con validità illimitata all'interno dell'anno solare, pluripersonale, che dà diritto a 10 tratte in metropolitana, FGC, autobus, tram e Rodalies Renfe, acquistabile per una o più zone tra le 6 in cui è suddivisa l'intera area metropolitana (il T10 per una zona permette l'utilizzo dei citati mezzi di trasporto purché il viaggio abbia una durata inferiore ad 1 ora e 15 minuti), al T50 (50 corse, unipersonale), Tmes (corse illimitate per un mese, unipersonale). 5 Tutte le informazioni relative al trasporto pubblico locale dell'Area metropolitana di Barcellona sono tratte da 'Il Servizio di Trasporto Pubblico a Barcellona' (https://www.comune.roma.it/PCR/resources/cms/documents/scheda_tpl_barcellona.pdf). 1021 Figura 1 | Servizio di trasporto pubblico su metropolitana, Barcellona. 3 | Il trasporto pubblico metropolitano di Bari e le integrazioni incipienti L’organizzazione del tpl pugliese ispirala sua struttura gestionale al principio di sussidiarietà tra lo Stato e i livelli periferici dell’Amministrazione pubblica: Regione, Province/Città Metropolitana e Comuni. Sebbene il Piano Triennale dei Servizi di tpl recentemente approvato con (Delibera di Giunta Regionale pugliese n.598 del 26/04/2016) delinea importanti mutamenti di questo modello di sussidiarietà, ad oggi è del tutto plausibile trovare, in una stessa area geografica pugliese, almeno tre diversi Enti titolari di contratti di servizio di trasporto, oltre che, ovviamente, operatori differenti. Oltre a ciò, l’unicità, tutta pugliese, di poter contare sui servizi di tre ferrovie regionali oltre il gruppo FSI, moltiplica gli sforzi di integrazione che gli Enti sono chiamati a sostenere per garantire servizi di qualità ai cittadini che risultano utenti e finanziatori dello stesso servizio. All’interno della Città Metropolitana di Bari, che ospita oltre un milione di abitanti, convergono tre di queste ferrovie oltre ad una fittissima rete di servizi automobilistici extraurbani, eserciti sia dagli stessi operatori (servizi sostitutivi/integrativi) sia dal Consorzio Co.Tr.A.P.. A ciò devono aggiungersi i servizi gestiti dai singoli Comuni nei propri territori. La molteplicità di questi servizi si traduce in una frammentazione dei meccanismi di sussidio che, attraverso lo Stato e gli Enti, raggiungono gli operatori. Il servizio ferroviario e automobilistico sostitutivo/integrativo è regolato da contratto di servizio con la Regione Puglia che, al contempo, ha sottoscritto anche un contratto di servizio con il consorzio degli operatori automobilistici extraurbani. Similmente la Città Metropolitana di Bari gestisce il proprio contratto di servizio con lo stesso Consorzio, ma su ulteriori relazioni extraurbane tra i comuni dell'area. Ancora, il Comune di Bari gestisce il servizio urbano, attraverso Amtab: il proprio operatore di trasporto in-house providing. Solo una parte di questi servizi di trasporto concorre, ad oggi, all'integrazione del sistema tariffario. Sulla scorta di accordi commerciali esistenti, infatti, nella Città Metropolitana di Bari6 si è realizzata 'spontaneamente' la bigliettazione unica tra due ferrovie metropolitane, una sub-urbana, tra linee automobilistiche extraurbane gestite da queste ultime (integrazione intra-operatore) e il trasporto urbano 6In realtà gli accordi commerciali tra operatori di tpl sono presenti in diverse realtà territoriali, non solo nella Città Metropolitana di Bari. Alcuni esempi sono: l'integrazione tra ATAF-Foggia e la ferrovia garganica, o ancora, la ferrovia Bari-Barletta e i servizi urbani di Barletta. 1022 del capoluogo7 sulla scorta di accordi commerciali esistenti e senza sussidio specifico da parte degli Enti locali. Le immagini che seguono presentano lo scenario attuale delle reti di tpl, ferroviario ed automobilistico, che concorrono al sistema tariffario integrato. Figura 2 | Città Metropolitana di Bari. Infrastruttura ferroviaria. In arancio le Ferrovie Appulo Lucane, in blu la Ferrotramviaria, in verde le Ferrovie del Sud-Est. Fonte: Elaborazione grafica degli autori su dati del Sistema informativo territoriale della Regione Puglia. Lo scenario di integrazione tariffaria tra le ferrovie regionali Bari-Matera e Bari-Barletta e quella suburbana Bari-q.re San Paolo concretizza solo parzialmente l'indirizzo della L.R. 18/2002 di generare un ‘sistema integrato’ della mobilità. Figura 3 | Città Metropolitana di Bari. Rete dei servizi automobilistici sostitutivi/integrativi di Ferrovie Apulo-Lucane s.r.l.. Fonte: Elaborazione grafica degli autori su dati Ferrovie Appulo-Lucane s.r.l. - www.ferrovieappulolucane.it. 7Circa dieci anni fa venne attivato il primo esempio di integrazione tariffaria ad esclusivo carico degli operatori tra i treni della Linea ferroviaria Bari-Barletta e il trasporto urbano di Bari. Ad oggi è possibile viaggiare con un titolo di viaggio unico su treno e autobus di Ferrotramviaria (ferrovia Bari-Barletta e ferrovia sub-urbana Bari-San Paolo e relative autolinee), Ferrovie Appulo-Lucane (ferrovia Bari-Altamura-Matera e relative autolinee) e Amtab (autolinee urbane di Bari). 1023 Figura 4| Città Metropolitana di Bari. Rete dei servizi automobilistici sostitutivi/integrativi esercìti da Ferrotramviaria s.p.a.. Fonte: Elaborazione grafica degli autori su dati Ferrovie Appulo-Lucane s.r.l - www.ferrotramviaria.it. 4 | Le politiche pugliesi in materia di bigliettazione unica: il ‘modello inverso’ Come visto in precedenza, la frammentazione degli Enti titolari di contratti di servizio di tpl, talvolta anche su relazioni sovrapponibili, rende laborioso ogni sforzo di integrazione del sistema tariffario. Piuttosto che affrontare il tema dell'integrazione tariffaria in senso stretto, con la necessità di evitare gli insuccessi dei modelli di clearing prefissato, in Puglia si va determinando un modello de-facto di bigliettazione integrata che si poggia sull'armonizzazione degli accordi esistenti tra gli operatori oltre che su modesti investimenti in tecnologia. In questo senso l’Amministrazione regionale, in relazione ai propri compiti istituzionali di governance del settore del trasporto pubblico nonché di garantire l’accesso equo, indiscriminato, sostenibile e non in ultimo smart, favorisce la diffusione degli accordi commerciali inter-operatore garantendo massa critica all'intero sistema del trasporto pubblico ed accompagna il processo con i necessari investimenti in upgrade tecnologico8. In particolare si fa riferimento al caso pilota del progetto di cooperazione internazionale GIFT 2.0 (Greece-Italy Facilities for Trasport 2.0), che permette l''armonizzazione' dei sistemi informativi di tariffazione, bigliettazione e clearing di tre operatori di trasporto pubblico che, attraverso un accordo commerciale di tipo privatistico, hanno, di fatto, concretizzato un sistema unico di bigliettazione che coinvolge due ferrovie metropolitane (la Ferrovia Bari-Barletta e la Ferrovia Bari-Altamura-Matera), una ferrovia sub-urbana (Bari–San Paolo) e il vettore urbano di tpl della città di Bari. Per il caso pugliese, dunque, si può parlare di un approccio di revers-engeneering rispetto al processo di costruzione ed attuazione delle politiche pubbliche in materia di bigliettazione unica per il tpl. Le esperienze italiane in tale campo individuano come strategico il sussidio pubblico a copertura della spesa corrente di clearing tariffario tra le diverse modalità di trasporto nonché tra i diversi operatori. Il modello pugliese, invece, ha desunto la strategia direttamente dalle azioni incipienti riferite agli accordi commerciali che andavano configurandosi spontaneamente: è questo il senso dell'inversione del meccanismo di attuazione delle strategie pubbliche. Questo paradigma, inoltre, ha il pregio di garantire il coinvolgimento di stakeholder qualificati nella costruzione della strategia: il solo fatto di aver preso come modello gli accordi commerciali esistenti e averne fatto diventare un’azione di governo gratifica gli 'operatori pionieri' con sufficiente garanzia di successo dell'intervento pubblico. 8I modesti investimenti cui si fa riferimento costituiscono parte dell'output di uno dei progetti pilota del più ampio progetto di cooperazione transfrontaliero GIFT 2.0 (Greece Italy Facilities For Transport 2.0). 1024 5 | ‘Ritardi’ e sostenibilità: un modello possibile Alla luce di quanto rappresentato, appare chiaro come lo scenario pugliese si presenti tutt’altro che lineare. É ragionevole presupporre che la frammentarietà delle competenze nella gestione dei servizi di trasporto, sia stato l'elemento frenante del processo di integrazione indirizzato dalla L.R. Puglia 18/2002. Risulta altrettanto evidente come, l’integrazione multiservizi catalana sia, invece, il risultato dell'unitarietà delle competenze programmatorie e gestionali del sistema della mobilità. In una regione come la Puglia, con cinque operatori ferroviari e una costellazione di operatori automobilistici, sia pure consorziati, la governance di un sistema di bigliettazione integrata risulterebbe oneroso dal punto di vista della sua sostenibilità economica se classicamente inteso. In questo senso, il ritardo e l’asincronia di attuazione dell'integrazione tariffaria pugliese ha spontaneamente munito il sistema di caratteristiche di autosostenibilità economica evitando il continuato sussidio di queste misure da parte degli Enti competenti. Riferimenti bibliografici Greco F., Mangialardi G., Scarano A.V. (2015), “Mobilità e trasporti nella città metropolitana di Bari”, in Urban@it Centro nazionale di studi per le politiche urbane, Metropoli attraverso la crisi, Rapporto sulle città 2015, disponibile su: http://www.urbanit.it/wp-content/uploads/2015/10/BP_A_Greco-2.pdf. Indagine conoscitiva di Roma Capitale su organizzazione dei servizi di trasporto nelle capitali europee “Il Servizio di Trasporto Pubblico a Barcellona”, disponibile su: https://www.comune.roma.it/PCR/resources/cms/documents/Scheda_Tpl_Barcellona.pdf. Piano triennale dei servizi di trasporto pubblico regionale e locale 2015-2017, disponibile su: http://www.regione.puglia.it/www/web/files/trasporti/piano_regionale_trasporti/Progetto_del_Piano _Attuativo/Piano_Triennale_dei_Servizi_2015_2017.pdf. Sitografia Materiale informativo e presentazione delle reti di Tpl dell’Area Metropolitana di Barcellona, disponibile sul portale della società in-house TMB - Trasnsports Metropolitans de Barcelona dell’Area Metropolitana di Barcellona http://www.tmb.cat. 1025 Innovazione delle analisi urbanistiche: i Big Data per la ricerca dei valori identitari urbani Carmelo Ignaccolo Fulbrighter at Columbia University, NYC, GSAPP Email: i.carmelo@columbia.edu Paolo La Greca Università degli Studi di Catania Dipartimento di Ingegneria Civile Architettura (DICAR) Email: plagreca@dau.unict.it Francesco Martinico Università degli Studi di Catania Dipartimento di Ingegneria Civile Architettura (DICAR) Email: fmartinico@dau.unict.it Abstract Le città devono essere sempre più studiate come reti sociali di contatti e interazioni. Lo spazio urbano aumenta la sua complessità, anche a causa della aumentare dei livelli di informazioni che in esso si sovrappongono. La ricerca di elementi che caratterizzano valori identitari delle città costituisce un campo di interessante sperimentazione per individuare nuovi strumenti di pianificazione e gestione della città consolidata. In questa prospettiva, la tematica identitaria dei nuclei storici urbani è una questione di primario interesse in quanto queste parti della città pongono, tradizionalmente impegnative sfide concettuali ai pianificatori, a partire dalla loro individuazione. L’utilizzazione dei big data può fornire interessanti spunti per innovare i metodi di analisi della complessità urbana, ma richiede un notevole sforzo interpretativo. Questo studio, presenta alcuni elementi utili a definire metodologie innovative, da combinare con gli strumenti tradizionali dell’analisi urbanistica, per la definizione e identificazione dell’identità e della percezione della qualità da parte di abitanti e city users. La metodologia proposta si base sull’estrazione e l’elaborazione dei dati relativi alle fotografie geo-localizzate condivise dagli utenti del social network Flickr. Parole chiave: surveys & analyses, identity, historic centers. Il più delle volte gli ideografi vedono solo le cartacee rappresentazioni del mondo e non guardano il mondo reale. Eppure lo spazio ideografico esiste perché materializza i rapporti tra esseri umani e manufatti.[...]. Occorrerebbero molti “fumetti” e cioè notazioni verbali complementari, per arrivare a capire qualcosa. Ma anche questo non arriva a dare quello che dà l’esperienza fisica della percezione diretta, tridimensionale e sensuale Ismè Gimdalcha, Il progetto Kalhesa L’urbanistica al tempo dei big data. Le nuove sfide La grande diffusione dell’ICT costituirà un inevitabile punto di svolta per innovare i metodi tradizionali propri della pianificazione urbana. Una sfida di grande portata sarà quella di studiare con nuovi metodi le città come complesse reti sociali, dense di contatti e interazioni, evidenziandone le relazioni con la struttura insediativa per definire i nuovi strumenti per gestirne e governarne il funzionamento. 1026 Se già negli anni sessanta G. Astengo (1966) evidenziava la palese inadeguatezza degli strumenti conoscitivi a fronte del fascino e della straordinaria ampiezza del fenomeno urbano, ogni qual volta ci si confronta con il tentativo di disegnarne il futuro1, non si può non riconoscere una sensazione di disorientamento nelle discipline territoriali dovuta agli innumerevoli strumenti analitici oggi disponibili attraverso i Big Data. Tuttavia, questi aprono prospettive del tutto inedite per una comprensione orientata al piano e al governo della città. E. Schmidt, executive chairman di Google, sostiene che se l’insieme delle informazioni prodotte dal sorgere delle prime civiltà al 2003 può essere quantificato in 5 Exabyte, oggi la stessa quantità viene creata in due giorni2. Ancora più disorientante è la considerazione relativa alla qualità e disponibilità dei dati. Oggi siamo tutti produttori di una gigantesca quantità di informazioni che possono diventare disponibili in modo molto più agevole rispetto al passato, quando il processo di storing delle informazioni era infinitamente più selettivo e molto più elitario era l’accesso alle informazioni3. Lo spazio urbano può essere letto come un sistema complesso, in cui diversi livelli di informazioni si sovrappongono. Si può interpretare la città come una vera e propria struttura hardware e software che può essere compresa grazie ad un’analisi d’insieme delle sue dinamiche. Un approccio parametrico (Karled e Kelly, 2011) diventa quindi un modo di relazionare i tangible and intangibile systems. Questo approccio, avviato da circa un decennio, utilizza parametri quantificabili dei fenomeni urbani e delle loro interazioni, con l’obiettivo di tradurre in regole matematiche, gli aspetti dinamici della città. Applicando queste metodologie si possono comprendere i processi di adaptation e self organization di un sistema, verificando come alcune decisioni possono creare nuovi equilibri di coesistenza (Fusero et al., 2013). Come ha affermato Ratti (2011), «utilizzare le informazioni urbane catturate in tempo reale e renderle pubblicamente accessibili può permettere alla popolazione di fare scelte più oculate riguardo l’uso delle risorse urbane, in termini di mobilità e interazione sociale». Questo feedback loop crea un’esperienza urbana in cui atomi di materia e bits si amalgamano in una koinè di informazioni accessibili, che spingono a immaginare l’avvento di uno smart bottom-up approach nella cultura della pianificazione. Le analisi tradizionali rischiano di ridursi a mera cristallizzazione statica delle dinamiche odierne di una città. Per contro, una metodologia parametrica può offrire molteplici snapshots che discretizzano un processo in continua evoluzione, restituendone la dinamicità e consentendo di avviare la successiva sintesi interpretativa (Batty, 2013). L’idea di una città, intesa come sistema attivo di infiniti elementi facilmente e/o difficilmente parametrizzabili, in realtà era già stata espressa da sociologi ed urbanisti del secolo scorso, i quali constatavano la necessità di andare oltre una visione eccessivamente semplificata indotta anche dall’assenza delle tecnologie oggi invece disponibili. K. Lynch, per esempio, affermava come, a volte, le forme fisiche degli spazi urbani non abbiano un ruolo significativo nella soddisfazione di importanti valori umani, che invece dipendono dalla complesse relazioni umane e di vicinanza. Si può essere infelici in una isola paradisiaca e felici in un slum (Lynch, 1984). Al pianificatore spetta il compito di comprendere queste relazioni, di «guardare da vicino le città, poiché oltre a guardarle egli potrebbe anche ascoltare e pensare a quello che sta vedendo» (Jacobs 1961). Lynch constatava che molte importanti caratteristiche spaziali delle città non venivano considerate. Mentre vi era la possibilità di registrare il traffico veicolare già nella seconda metà del XX secolo, lo stesso non avveniva per i flussi d’informazioni e comunicazioni. Egli denunciava, allora, l’impossibilità di valutare l’attrattività percettiva dei luoghi da parte degli abitanti. Oggi è possibile tentare di utilizzare social networks come Facebook, Twitter, Flickr o Instagram per mettere a punto degli indicatori di attrattività dei luoghi (Paldino et al., 2015) cogliendone gli aspetti identitari (Zou et al. 2014). Nei centri storici delle città italiane questa ricerca assume un significato di particolare rilevanza. La densità e concentrazione di emergenze architettoniche, assieme alla crescente pressione dovuta alle modalità d’uso spesso fortemente impattanti che si affermano nei centri maggiori o più vitali, richiede, oltre a corrette politiche di pianificazione orientate alla conservazione del patrimonio architettonico, accurate metodologie di gestione degli spazi da individuare e verificare anche in base alla percezione degli utenti. Per una dettagliata disamina degli strumenti consolidati di analisi cfr. Palermo 1992. http://techcrunch.com/2010/08/04/schmidt-data/. 3 Sul ruolo della Documentalità nella società contemporanee cfr. Ferraris 2009. 1 2 1027 Identità e centri storici Il tòpos del centro storico italiano si presenta come un interessante ambito esplorativo di queste metodologie innovative, volte a captarne l’attrattività e il valore percettivo. Il concetto di centro storico si è consolidato attraverso un lungo e articolato processo culturale e normativo. Non a caso, nella legislazione nazionale non esiste una definizione di stretto rilevo giuridico di “centro storico” (Urbani e Matteucci, 2010) proprio per garantire la giusta discrezionalità nell’individuazione di un ambito la cui definizione è determinata da molteplici fattori che si evolvono nel tempo e che da un cinquantennio utilizzano le tradizionali analisi storico – critiche e tipologico – morfologiche normalmente utilizzate nei Piani Urbanistici Comunali4. Le strategie urbanistiche sul centro storico, quasi sempre ridotte al blocco di ogni sostanziale alterazione dei caratteri edilizio-architettonici della parte più antica e rappresentativa della città, sono state la giusta reazione alle distruzioni brutali e rozze della speculazione edilizia del dopoguerra. Tuttavia, i più attenti osservatori evidenziano da oltre un trentennio, una visione più articolata del centro-città, inteso come punto centrale della vita sociale e delle relazioni di scambio, in cui confluiscono i problemi connessi all’uso del patrimonio edilizio di pregio e quelli di controllo rigoroso degli effetti sul piano sociale (Ciardini e Falini, 1978). In questo senso l’evoluzione dell’approccio ai centri storici non può prescindere dal contributo offerto da G. Astengo e G. Campos Venuti, rispettivamente nelle esperienze di Assisi nel 1955 e di Bologna nel 1970. Se alla prima esperienza si deve la codificazione dell’inscindibilità del rapporto tra analisi e piano, la seconda fa emergere in modo evidente la chiave di lettura identitaria, interpretata nella sua dimensione politica. Il caso bolognese, in un momento storico in cui l’opinione pubblica considerava i centri storici “un fastidio da eliminare”, introduce la componente identitaria nelle scelte di piano. «Il fatto che fossero i comunisti a difendere una chiesa, fece scalpore a livello nazionale e aiutò a lanciare l'operazione della salvaguardia di tutto il centro storico» (Campos Venuti, 2007) Nella Bologna d'inizio anni Sessanta, fu proprio la classe operaia a interpretare e raccogliere i valori culturali della città, schierandosi per la difesa del centro storico. Anche nel caso di Catania, una lettura innovativa venne proposta all’inizio degli anni 1980, evidenziando la dualità del patrimonio edilizio corrispondente a una precisa polarizzazione delle classi sociali che avevano prodotto il tessuto storico (Dato, 1983) I casi del Piano Regolatore di Assisi e quello di Bologna si propongono come esempi di rottura con un corredo analitico dei piani poco più che descrittivo, ampiamente diffuso nell’Italia degli anni ’50 e ’60. Da queste basi è necessario prendere le mosse, mettendo a frutto la disponibilità di nuovi strumenti analitici che le tecnologie mettono a disposizione dei pianificatori. Metodologie per la quantificazione di un indicatore di vitalità Lynch aveva già evidenziato come le persone che vivono in un luogo creano delle mappe mentali, basate sulle loro personali esperienze e reazioni all’ambiente urbano circostante. Quercia et al. (2014) hanno realizzato un web-game che mostra come le aree con maggiori problemi sociali di Londra sono raramente presenti nella immagine mentale dei residenti. Utilizzando i data-set come Flickr e Foursquare gli autori individuano inoltre i parametri che rendono una strada più o meno sicura. Batty (2005) offre una visione d’insieme della lettura delle dinamiche urbane tramite modelli che dimostrano come la teoria della complessità può coinvolgere molteplici processi ed elementi in un tutt’uno organico. Modelli basati sugli automi cellulari (cellular automata – CA), a cui seguono gli ABM (agent-based models), applicati a specifiche situazioni e a differenti scale (dalla strada a una intera regione metropolitana) possono servire a discutere e mettere a fuoco le criticità, le potenzialità e le fasi di transizione, a prescindere dalla loro capacità di fornire soluzioni operative. Lo studio svolto sul centro storico catanese utilizza come principale data source il social network di photosharing Flick che contiene oltre 5 miliardi di foto, molte delle quali ricche di metadati come tags e geolocalizzazioni. Rispetto ad altri social network di condivisione di foto, Flickr si caratterizza per una maggiore attenzione degli utenti alla qualità della foto e alla loro corretta geo-localizzazione. A differenza di altri data source come Google Street View, le fotografie su Flickr non sono limitate agli spazi che possono essere esplorati dalla Google car. Su Flickr, quindi, emergono in maniera più chiara quelli che sono le AOI (Area of Interest) come siti storici, luoghi di aggregazione ecc. 4 Nella circolare del Ministero dei LL.PP. n. 3210 del 1967 si descrivono tre tipologie di strutture urbane, identificabili quali centri storici basate sul principio di datazione evidenziando prioritariamente le strutture urbane in cui prevalgono edifici costruiti in epoca anteriore al 1860. 1028 Ulteriore elemento che ha condotto alla scelta di Flickr è la possibilità di consentire interessanti estrazioni di dati tramite API (Application Programming Interface) attraverso la sezione developer del sito. La procedura di estrazione dei dati ha compreso le seguenti fasi: 1. Conversione attraverso il flickr.places.find del nome della città con un codice specifico; 2. Accuracy del dato, impostata a “9” (livello urbano); 3. Tipo del contenuto da estrarre (“6”=foto); 4. Specificazione dell’arco temporale (dal 2000, anno precedente alla creazione del sito stesso); 5. Esportazione su file di testo di: id dell’immagine, longitudine, latitudine e livello di accuracy. L’analisi del centro storico di Catania Le fotografie estratte dal social network Flickr sono state 26.696. Queste sono le foto che hanno informazioni di geo-localizzazione, quindi la ricerca ha, per semplicità escluso, un’analisi tag-based. Il dataset è stato quindi importato su piattaforma GIS e successivamente sono state eliminate quelle foto che: • erano state scattate fuori dal territorio comunale; • presentavano un codice identificativo analogo ad altre fotografie (repetition bias). Figura 1 | Zone di concentrazione delle foto estratte da Flickr. Il primo dato rilevante è che all’interno del territorio comunale (181,63 Km2) solo un’area di 9,37 Km2 ha una concentrazione di Flickr digital footprints. Quest’area coincide appunto con quella che è la città consolidata (il 5,5 % del territorio comunale). [Figura 1]. L’area del centro della città è stata suddivisa in celle da 50x50 m per individuare i luoghi con più alta densità di scatti. Un DEM (Digital Elevation Model), in cui le informazioni di quota z sono sostituite dal numero di fotografie presenti è stato prodotto utilizzando MatLab, mostrando i cinque luoghi a più alta concentrazione puntuale di fotografie Flickr che coincidono con i punti di maggior rilievo turistico [Figura 2]. 1029 Figura 2 | DEM della densità fotografica che evidenzia le concentrazioni delle foto nelle zone di maggior rilevanza monumentale. Poiché l’obiettivo dello studio è quello di identificare un indicatore di vitalità diffuso e non puntuale, si è adoperata una metodologia di clustering, la quale si basa su semplici criteri di: − Prossimità geografica; − Riduzione di errori da imprecisa geo-localizzazione; − Verifica del contenuto per le foto scattate in prossimità di due o più poli; − Aggregazione per evitare la perdita di informazioni a discapito di aree vaste meno densamente fotografate. Dal processo di clustering è emerso che l’immagine del centro può essere sintetizzata in sedici clusters [Figura 3], di cui nove si trovano all’interno del perimetro delle mura cinquecentesche e i rimanenti sette si trovano nelle zone di espansione, della città dal tardo ’800 sino a quella degli anni ’60. L’analisi si è concentrata sui 9 clusters del centro storico, in cui i valori di densità fotografica sono tutti maggiori della mediana, pari a 1.69 x 10-3 pts/m2. Le aree al di fuori del perimetro delle mura cinquecentesche sono caratterizzate da una maggiore dispersione del dato ma in esse emergono chiaramente le “pratiche sociali locali”. Quindi, se da un lato il centro storico attira l’attenzione maggiore degli utenti Flickr, le fotografie scattate nell’area più moderna della città evidenziano gli usi e abitudini locali. Emblematica è la concentrazione di foto attorno ai chioschi di vendita di bevande fresche, localizzati in una piazza della zona di espansione tardo ottocentesca che testimoniano una abitudine molto diffusa in città e che accomuna tutte le generazioni. Un fenomeno simile è stato riscontrato in altri luoghi come lo stadio nel quartiere Cibali e un noto laboratorio dolciario sito nelle espansioni degli anni 1950-60 che rimane aperto tutta la notte e pertanto attrae la vastissima comunità di flâneur che popola le notti cittadine. 1030 Figura 3 | Classificazione dei clusters di concentrazione delle foto. La concentrazione di fotografie nel centro storico è principalmente dovuta al “fattore monumentale” dei luoghi. La qualità percepita della città, continua a essere percepita, essenzialmente, nel tessuto della citta tardobarocca della ricostruzione post-terremoto del 1693. Non vi è alcuna area al di fuori delle mura cinquecentesche in cui la concentrazione di photo digital footprints sia uguale o maggiore al valore di densità fotografica del centro storico. Il 53% del dataset Flickr è all’interno delle mura, un’area di soli 0.8 Km2 rispetto all’intero territorio comunale di 181,63 Km2. La densità di foto è, infatti, pari a 2246.25 pts/Km2 rispetto ai 18.48 pts/ Km2 dell’intero comune. Poiché l’obiettivo dello studio era l’individuazione di indicatori di vitalità urbana basati sulla distribuzione di photo digital footprints, si è proceduto ad escludere dal dataset di analisi quei cluster il cui valore di densità fotografica risultava condizionato dalla presenza di una particolare emergenza architettonica. Questo processo di esclusione, si è avvalso del documento ufficiale UNESCO del 2002 che individua gli edifici di pregio della core area. Tuttavia, vi sono delle zone comprese tra i poli con edifici di pregio come via dei Crociferi e il Monastero dei Benedettini che non sono rappresentati dal dataset Flickr. Questi dataset holes si possono spiegare considerando il carattere prevalentemente residenziale e popolare di queste zone non ancora non interessate da quei processi di gentrification che appaiono già consolidati nella zona del Teatro Massimo Bellini ed in corso nella zona del Castello Ursino. Escludendo quindi i cluster che contengono beni patrimonio dell’umanità, la ricerca dell’area con un indicatore di vitalità diffusa si è concentrata sui 4 cluster rimanenti [Figura 4]: ü Piazza Stesicoro – San Domenico –Minoriti ü Teatro Greco Romano – Terme della Rotonda ü Piazza Teatro Massimo Bellini ü Castello Ursino – Piazza Mazzini – Gammazita 1031 Figura 4 | Clusters privi degli edifici di pregio (campiti in rosso), inclusi nella Core Area UNESCO. L’ultima fase dello studio ha utilizzato dei dati censuari del 2011, al fine di verificare la relazione tra la presenza di digital footprints e la densità abitative, un indicatore tradizionale della vitalità della città. In [Figura 5] emerge come il cluster “Castello Ursino – Piazza Mazzini – Gammazita” abbia un valore di densità abitativa media, maggiore rispetto alle rimanenti aree di studio (135,51 abitanti/ha). Infatti nonostante tutti i quattro clusters rimanenti abbiano degli importanti monumenti e/o siti archeologici, l’area circostante il castello Ursino è quella che risulta non solo più densamente popolata ma anche quella in cui la presenza di photo digital footprints non è catalizzata dal maniero federiciano. Sono numerose le fotografie scattate in vicoli con particolari scorci o elementi di interesse non monumentale che testimoniano un elevato interesse per un’area in trasformazione. È appunto questo il cluster che, alla luce di questa ricerca, risulta quello più attrattivo del territorio comunale. Figura 5 | I cluster sovrapposti alla mappa della densità di popolazione per sezione Censuaria (elaborazione su dati Istat 2011). 1032 Alcune considerazioni e i passi successivi Lo studio qui brevemente presentato si iscrive all’interno di un emergente corrente di ricerca che punta all’utilizzo dei Big Data per una maggiore comprensione del dinamismo urbano (De Nadai et al., 2016). Seppure ancora limitata nell’ampiezza, l’indagine condotta ha evidenziato come, anche l’analisi di una singola fonte di dati conferma alcuni dei complessi fenomeni in atto nel sistema urbano catanese e nella differenti parti del centro storico. Questo ha subito profondi mutamenti, dovuti a vari fenomeni di gentrification e di concentrazione di attività legate al tempo libero e all’uso notturno della città da parte di un consistente numero di city users. Un ulteriore valore aggiunto risiede quindi nella capacità di questi strumenti di rilevare abitudine ed usanze di una comunità, in modo molto più rapido rispetto ai costosi e complessi strumenti analitici, come ad esempio i questionari e le interviste. La possibilità di analizzare dataset come quello di Flickr può porre il pianificatore nelle condizioni di conoscere i dinamismi del territorio oggetto di studio. Luoghi anche non significativi da un punto di vista della qualità architettonica costituiscono, per altri ragioni, spazi di aggregazione di cui il pianificatore dovrebbe tener conto per migliorarne le condizioni di agibilità e fruizione. È un campo di ricerca aperto a notevoli sviluppi che richiede, tuttavia, una grande sforzo interpretativo per comprenderne, non solo le potenzialità ma anche i limiti e i rischi. Nel caso analizzato, emerge come una mancata conoscenza di alcune pratiche sociali radicate non riesca a spiegare la concentrazione di foto in punti apparentemente banali dal punto di vista della qualità urbana. Poiché inoltre non tutta la popolazione utilizza pienamente gli strumenti digitali il dataset deve essere accettato nella sua parzialità. Per quanto riguarda l’analisi dell’user Flickr, bisognerà comprendere se l’utente sia un turista o un residente nella città in cui la foto è stata scattata. Un successivo passo sarà l’utilizzazione dei dati open source (ad esempio Open Street Map) che geolocalizzano le attività non residenziali per studiare le correlazioni con la densità fotografica. La comprensione dei fenomeni di gentrification e dell’emergere di usi conflittuali nelle aree storiche delle città potrà essere di grande utilità nell’orientare le azioni di trasformazione e governo, attraverso piani di dettaglio del centro storico di nuova generazione fissando, per esempio, priorità di intervento e modalità di gestione anche in base ai comportamenti e alle percezioni dei city-users, secondo le logiche di un vero e proprio smart bottom-up approach. Riferimenti bibliografici Batty M., Manley E., Milton R. Reades J. (2013), “Smart London”, in Bell S. Paskins. J. (eds.) Imagining the Future City: London 2062, Ubiquity Press, London, p. 31-40. Batty M. 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Gli effetti di tale carico sono difficilmente governabili e richiedono la predisposizione di misure e politiche urbane che siano integrate nel processo di governo del sistema urbano interessato. Il paradigma smart city può rappresentare una occasione per riflettere sulle possibilità di tale integrazione che consentirebbe al sistema urbano di non compromettere il suo equilibrio. Parole chiave: urban tourism, land use, governance. Turismo urbano1: un’attività a doppio taglio La relazione tra città e turismo è complessa: le città sono il luogo fisico dove si concentrano diverse domande d’uso che richiedono (alle città) servizi ed infrastrutture adeguate alle loro esigenze e bisogni. In tale ottica, il rapporto turismo-città può essere inteso come relazione tra la domanda espressa da una particolare categoria di utenza (con stabilità temporanea) e l’offerta urbana orientata al suo soddisfacimento. Nelle città turistiche, in particolare, tale “richiesta” (domanda turistica) può essere un fattore di vulnerabilità in quanto esprime un “carico aggiuntivo” che può compromettere l’equilibrio ed il funzionamento del sistema urbano. Ciononostante, questo aspetto nel governo delle trasformazioni urbane viene raramente considerato, probabilmente sottovalutando come e quanto le città stiano mutando anche per effetto di questo particolare segmento di domanda urbana. La doppia natura del turismo consiste nell’esser al tempo stesso una opportunità di sviluppo e un generatore di impatti negativi (sovraffollamento, inquinamento acustico, inquinamento ambientale, consumi energetici, consumo di acqua, produzione di rifiuti, ecc.) se non opportunamente gestito e pianificato2. Se, infatti, da un lato, il turismo è un settore chiave dell’economia mondiale3 in continua crescita (fig. 1), dall’altro lato l’elevata concentrazione di flussi turistici può diventare un elemento di instabilità per i sistemi urbani interessati, incidendo negativamente sui livelli di vivibilità urbana (fig. 2). In tal caso, sono Si fa riferimento all’attività turistica come ad una delle attività urbane, considerando il turismo che si concentra prevalentemente nelle città e che comprende al suo interno differenti tipologie turistiche. Per un approfondimento sulle caratteristiche del turismo urbano si veda Ashworth e Page, 2010. 2 A partire dagli anni Sessanta il turismo diventa un fenomeno di massa che, in Italia, interessa prioritariamente il territorio costiero. La rivista Casabella nel 1964 dedica due numeri a questa tematica (Casabella nn. 283 e 284, 1964) evidenziando gli effetti di un fenomeno esploso in carenza di regole. 3 Nel rapporto del WTTC, nel 2015, il contributo totale del settore è stato di circa 7,170.3 miliardi di dollari, pari al 9,8% del PIL, con un aumento previsto pari al 3,5% nel 2016. Le proiezioni al 2016 prevedono un aumento del 4% su base annua, corrispondente circa all’11% del PIL mondiale. 1 1035 necessarie azioni correttive che possano ricondurre il sistema verso stati compatibili in grado di consentire alla città di assorbire la perturbazione e ristabilire uno stato di equilibrio. Se integrato in tale processo, il turismo non rappresenta solo un eccezionale volano economico, ma può essere una funzione driver verso il miglioramento dell’efficienza del sistema urbano. L’integrazione tra obiettivi di competitività (sostanzialmente concentrati in politiche di promozione e sviluppo dell’attività turistica) ed esigenze di salvaguardia e tutela rappresenta il punto di convergenza verso il quale orientare politiche e strumenti di governo delle città turistiche. Figura 1 | Arrivi turistici internazionali 1995-2015. Fonte: UNWTO World Tourism Barometer, marzo 2016. Scopo di questo contributo è proporre una riflessione sulle potenzialità di tale integrazione per la transizione verso città maggiormente resilienti e vivibili, capaci, cioè, di reagire alle sollecitazioni esterne preservando l’uso delle risorse esistenti. L’aspirazione della gran parte delle città attuali di essere “destinazioni turistiche” dipende necessariamente dalla capacità di proporsi non come contenitore di elementi di attrazione ma come articolato sistema di offerta integrato, organizzato e fruibile4. L’affermarsi di un modello “smart city”, per quanto ancora suscettibile di concreta applicabilità e condivisa definizione, può esser inteso come possibile assetto urbano che, attraverso l’utilizzo di strumenti innovativi (ITCs), può supportare l’azione di governo delle trasformazioni consentendo una revisione delle logiche, delle procedure e degli strumenti. 4 Si fa riferimento al concetto di destinazione turistica intesa come un articolato sistema di offerta dove l’insieme delle risorse, attori e attività congiuntamente concorrono ad incrementare l’attrattività (investimenti e flussi turistici) di un territorio o di una città. Gli studi di matrice più strettamente geografica definiscono la destinazione come luogo, non individuabile in termini dimensionali, nel quale vengono offerti prodotti turistici diversi sulla logica del modello marshalliano del distretto manifatturiero. A tale modello si può ricondurre la definizione di Sistema Turistico Locale riportata nella legge di riforma della legislazione nazionale del turismo (135/2001) inteso come «contesto turistico omogeneo contesti turistici omogenei o integrati, comprendenti ambiti territoriali appartenenti anche a regioni diverse, caratterizzati dall’offerta integrata di beni culturali, ambientali e di attrazioni turistiche, compresi i prodotti tipici dell’agricoltura e dell’artigianato locale, o dalla presenza diffusa di imprese turistiche singole o associate». L’individuazione di tali sistemi è il presupposto della integrazione tra politiche di sviluppo turistico e obiettivi di governo del territorio, come evidenziato nello stesso testo di legge. La capacità applicativa è demandata alle singole Regioni. 1036 Figura 2 | A sinistra: la pressione turistica nelle città metropolitane; a destra: la relazione tra turisti e residenti a Venezia. Carico turistico e sistema urbano All’interno del sistema urbano5, la domanda turistica si concentra in specifici luoghi, maggiormente attrattivi per la presenza di elementi del patrimonio artistico, storico o ambientale. Quando il carico turistico supera la soglia della compatibilità, il sistema urbano entra in crisi ed il livello di vivibilità urbana decresce rapidamente. In tal senso, l’equilibrio della città è connesso al concetto di carrying capacity6. Riferito all’attività turistica, la carrying capacity può essere definita come l’idoneità del sistema a svolgere funzioni turistiche senza compromettere l’esercizio delle attività essenziali per la popolazione residente (Thurot, 1980; Mathesion & Wall, 1982; Grasselli, 1989). In realtà, la capacità di carico è un concetto complesso e anche controverso che, in riferimento ai tre principali sottosistemi urbani, può essere: • fisico: si riferisce al numero massimo che un luogo può accogliere senza che ne sia compromesso il funzionamento; • funzionale: si riferisce alla percezione della qualità della esperienza turistica da parte dei visitatori; • sociale: si riferisce più direttamente alla relazione tra turisti e popolazione residente, sia in termini di comportamenti sia in termini di sradicamento delle identità di un luogo nella definizione del disegno di sviluppo turistico. L’equilibrio tra le tre componenti concorre alla definizione della capacità di carico turistico dell’intero sistema urbano ed è dipendente sia dalla composizione del sistema di offerta (risorse locali, composizione della popolazione, posizione geografica, struttura economica, ecc.), che dalle caratteristiche della domanda turistica (tipologie e tipi di turismo). I livelli di crisi si manifestano quando il sistema urbano non è in grado di sostenere la pressione turistica, reagendo con un incremento di produzione di entropia7. Esiste, quindi, una soglia (ideale, non numerica e non universalmente definibile) che individua il punto limite, oltre il quale il sistema cade nella zona di produzione entropica (Fistola, La Rocca 2013 a). L’equilibrio tra la domanda (crescente e sempre più settorializzata) e l’offerta urbana dovrebbe corrispondere ad un “valore” difficile da definire in maniera univoca e numericamente definita. Più che un valore numerico, quindi, è possibile pensare ad uno stato compatibile corrispondente ad una condizione di sostenibilità per il sistema interessato. Il raggiungimento di tale condizione può essere perseguito anche attraverso il supporto delle nuove tecnologie soprattutto in 5 6 7 L’approccio sistemico (von Bertlanffy, 1972) è alla base dello studio proposto. In relazione a tale approccio la città può essere interpretata come un sistema dinamico e complesso composto da elementi materiali (sistema fisico) ed immateriali (sistema funzionale) tra loro in relazione. Un terzo sottosistema è rappresentato dalla componete antropica (residenti, utilizzatori, attori, decisori) che rappresentano gli elementi del sottosistema sociale. La complessità dinamica del sistema ne determina l’evoluzione verso stadi che non sono facilmente definibili. L’azione di governo delle trasformazioni urbane consiste nel mantenere la traiettoria di evoluzione del sistema all’interno di un possibile campo di azione compatibile con le caratteristiche del sistema. L’approccio sistemico, anche inteso come quadro di riferimento concettuale (Palermo, 1992), appare ancora oggi fra i paradigmi per l’interpretazione della complessità urbana (con diverse accezioni, adattamenti ed evoluzioni) in grado di consentire efficaci analisi studi e proposizioni di procedure di governo della trasformazione urbana e territoriale (Pulselli & Tiezzi, 2008). La definizione del World Tourism Organization (UNWTO) fa riferimento a «the maximum number of people that may visit a tourist destination at the same time, without causing destruction of the physical, economic and socio-cultural environment and an unacceptable decrease in the quality of visitors’ satisfaction». In realtà il concetto di capacità di carico turistica ampiamente dibattuto in letteratura con posizioni anche critiche che ne sottolineano la complessità (Lindberg, 1997). In questo studio, l’entropia viene considerate come uno stato negativo che inibisce il processo di evoluzione della città verso la sostenibilità urbana (Fistola R. & La Rocca R. A. 2013a, 2014). 1037 riferimento alla gestione e al controllo del fenomeno turistico (misurazione dei flussi, accessibilità alle risorse, monitoraggio, definizione dei profili di utenza, ecc.). In tal senso, la “smartness” urbana può essere intesa come una condizione di equilibrio (seppur dinamico) possibile nella quale la città raggiunge livelli di qualità urbana diffusa per tutte le categorie di utenza: residenti, city users, turisti. La transizione verso tali stadi di equilibrio può essere veicolata anche dalla capacità di promuovere nuove forme di fruizione turistica della città orientate alla riduzione dei consumi energetici e delle risorse primarie (acqua e suolo), alla salvaguardia del patrimonio culturale, al rispetto dei valori identitari di un luogo. Il cambiamento interessa prevalentemente il sistema dell’offerta urbana di servizi connessi in particolare al settore dei trasporti, all’ospitalità e all’intrattenimento. La capacità di riformulare tale offerta in un’ottica di sostenibilità ed operando in maniera sinergica tra il settore pubblico e il settore privato rappresenta una delle possibilità di evoluzione verso una dimensione “smart” delle città a vocazione turistica. Il turismo sostenibile8, in tal senso, più che una tipologia turistica può essere inteso come un approccio per mitigare gli impatti derivanti da uno sviluppo non pianificato e per incrementare (attraverso indirizzi di sostenibilità) la competitività delle città-destinazione. Il ricorso a forme di turismo sostenibile rappresenta una costante delle più recenti strategie di sviluppo urbano e territoriale sebbene ancora carente di una visione strategica e di sistema9. Pur in mancanza di una concertazione tra differenti attori, recenti analisi di settore evidenziano una crescente sensibilità verso le tematiche ambientali da parte dell’utenza che preferisce strutture e prodotti certificati anche a fronte di una maggiore spesa (OCSE, 2011, ONT 2014). Questa tendenza consente di fare una considerazione riguardo le possibilità di un cambiamento culturale e negli stili di vita che dal turismo potrebbe generarsi. Il turismo, infatti essendo un fenomeno caratterizzato da una elevata trasversalità e da una altrettanto consistente pervasività10 può avere un ruolo chiave per diffondere modalità di comportamento alternative agli attuali insostenibili modelli di sviluppo. La città come destinazione turistica smart Il concetto di smart tourism si è sviluppato per analogia a quello di smart city ed è altrettanto indefinito e persino ambiguo. Nel 2009, durante il primo Meeting del Tourism Resilience Committee e dell’ UNWTO è stato definito come «clean, green, ethical and quality at all levels of the service chain». Tale definizione fa riferimento ad un turismo in grado di soddisfare esigenze a breve termine (crisi economica) ed impegni a lungo termine (sviluppo sostenibile, lotta alla povertà, cambiamento climatico). La ricerca verso forme di turismo sostenibile risale agli anni Novanta in occasione della Globe 90 Conference a Vancouver riconosciuta come la prima occasione ufficiale di applicazione dei principi della sostenibilità al settore del turismo. Nel Rapporto “An action strategy for sustainible tourism development” vengono indicati sette principi per la promozione del turismo sostenibile. Tali principi si riferiscono a: 1) limitare su scala globale e locale l’impatto prodotto dalle attività umane sugli ecosistemi, rispettando le loro capacità di carico; 2) conservare lo stock di risorse naturali presenti nell’area; 3) minimizzare lo sfruttamento delle risorse non rinnovabili; 4) promuovere uno sviluppo economico di lungo termine, che incrementi i benefici ricavabili da un dato stock di risorse; 5) realizzare un’equa distribuzione dei benefici e dei costi derivanti dalla gestione delle risorse naturali; 6) realizzare una effettiva partecipazione delle comunità locali e dei gruppi di interesse nelle decisioni che li riguardano in modo diretto; 7) promuovere quei valori che risultano di incoraggiamento per altri nel perseguimento dello sviluppo sostenibile. Per un approfondimento della evoluzione del concetto di turismo sostenibile nella letteratura si veda Pazienza P. e Vecchione V. (2006) 9 Le iniziative, infatti, riguardano prevalentemente interventi alla scala dell’edificio (in questo caso delle strutture ricettive) per l’utilizzo di materiali e/o impianti per la riduzione dei consumi energetici. Le procedure per il rilascio delle certificazioni di sostenibilità sono, invece, demandate quasi esclusivamente alla iniziativa dei singoli privati evidenziando una scarsa integrazione di obiettivi tra il settore privato e quello pubblico in materia di contenimento degli impatti del settore turistico sull’ambiente. La certificazione EMAS (Eco Management System) ad esempio introdotta a livello europeo alla fine degli anni Novanta (V programma d’azione a favore dell’ambiente), rappresenta uno strumento volontario per il riconoscimento di livelli qualitativi delle prestazioni delle strutture di medie dimensioni per la riduzione degli impatti ambientali. Dal 2003 la certificazione è stata estesa anche al settore turistico attraverso il riconoscimento ECOLABEL che distingue un’offerta ricettiva improntata a criteri di sostenibilità ambientale. I criteri ecologici su cui si basa l’attribuzione del marchio riguardano il contenimento degli impatti ambientali derivanti dall’offerta dei servizi e correlati all’acquisizione dei prodotti, all’erogazione del servizio e alla produzione dei rifiuti. Per quanto concerne l’Italia, nel settore ricettivo si registra il maggior numero di licenze ottenute (ISPRA 2015), tuttavia tale dato non è dimostrativo di una consolidata cultura verso le problematiche ambientali. 10 Il turismo è un fenomeno trasversale che interessa differenti settori (mobilità e trasporti, beni culturali, riqualificazione urbana, industria alberghiera, ecc.). Allo stesso tempo l’attività turistica è divenuta una pratica irrinunciabile per tutti i livelli sociali. Sensibilizzare tale componente può essere una strategia per promuovere comportamenti virtuosi maggiormente sostenibili. 8 1038 In una visione più tecnocentrica il concetto di smart tourism è connesso all’uso della tecnologia e alla sua applicazione come parte della “esperienza turistica” (Kim & Morrison, 2008) sia nella fase della pianificazione che in quella di fruizione. In tal senso, il turista non è più un semplice utilizzatore di servizi ma ha un ruolo più attivo nel processo di consumo divenendo allo stesso tempo produttore e consumatore. Il termine “prosumer” viene utilizzato per descrivere l’attuale domanda turistica caratterizzata dalla possibilità di interagire in qualsiasi momento ed in qualsiasi luogo per effetto delle nuove tecnologie (Web 2.0, social network, blog, chat, ecc.). Al tempo stesso, lo scambio di informazioni viene analizzato per “captare” le preferenze dei turisti e modellare la qualità dell’offerta in base alle diverse esigenze espresse; tuttavia la transizione verso un’offerta efficiente e smart ancora non può dirsi realizzata. Si tratterà, nel breve tempo, di essere in grado di saper utilizzare il grande flusso di informazioni non più solo per promuovere una specifica città come appetibile meta turistica bensì per integrare le informazioni nel processo di pianificazione dell’offerta turistica sia privata (tour operator e stakeholder) che pubblica (amministratori e decisori). La smart tourism destination (Buhalis & Amaranggana 2014), quindi, si prefigura come un sistema complesso nel quale le nuove tecnologie sono incorporate nel processo di sviluppo e di produzione turistica. «Smart Tourism Destinations (STD) can be perceived as places utilizing the available technological tools and techniques to enable demand and supply to co-create value, pleasure, and experiences for the tourist and wealth, profit, and benefits for the organizations and the destination» (Boes et al., 2015) Con riferimento a tali definizioni si può affermare che le priorità di una STD possano essere individuate in: • progettazione di piattaforme tecnologiche per la condivisione delle informazioni all’interno della destinazione; • ottimizzazione delle condizioni di fruizione dell’intero sistema di attrattori presenti nella destinazione per migliorare l’esperienza turistica; • distribuire i benefici sociali ed economici derivanti dal settore turistico nella destinazione. In tale visione, la pianificazione dello sviluppo turistico si basa anche sulla capacità di creare cooperazione tra differenti attori (pubblici e privati) alfine di distribuire i benefici sull’intero sistema di destinazione. Tuttavia alcune condizioni di contesto si rendono necessarie per la definizione di un modello di sviluppo turistico orientato alla smartness urbana come precedentemente definita. Tali condizioni si riferiscono a: • gestione e condivisione della conoscenza Una delle potenzialità della Smart City consiste nella possibilità di utilizzare la tecnologia per monitorare in tempo reale lo stato del sistema urbano. La sfida consiste nella capacità di capire, interpretare e gestire la grande quantità di dati prodotta dai “sensori tecnologici” e dai “sensori antropici” (Fistola, 2013). La SC funziona se i dati raccolti vengono poi elaborati per mettere in essere opportuni interventi, ma soprattutto se vengono resi disponibili, alla collettività che può operare delle scelte, prendere delle decisioni e definire il proprio comportamento nello spazio urbano. Il turismo può rappresentare un settore nel quale sperimentare meccanismi e procedure di condivisione delle informazioni attraverso il coinvolgimento dell’utenza per il miglioramento sia dell’offerta urbana di servizi pubblici (p. e. mobilità) sia del patrimonio di risorse attrattive presenti sul territorio (localizzazione, orari, prenotazioni, eventi, ecc.). • integrazione tra settore pubblico e privato (coinvolgimento degli stakeholder) La promozione della smartness urbana come condizione diffusa di vivibilità non può prescindere dalla esistenza di un progetto di coordinamento di attori e livelli coinvolti. Il turismo è per sua natura un settore che in maniera trasversale interessa differenti livelli e rappresenta forse più di altri, il campo ideale per l’integrazione, il coordinamento e la co-operazione tra settore pubblico e settore privato. Tale condizione consente di coniugare obiettivi di promozione con esigenze di salvaguardia del patrimonio di risorse presenti. • interesse della ricerca scientifica Il concetto della smart city soffre ancora di una certa discontinuità nelle definizioni e nell’applicazione in campo scientifico nonostante la sua larga diffusione. In tal senso il coinvolgimento della ricerca scientifica 1039 in tale campo appare fondamentale sia in riferimento alla necessità di mettere a punto basi metodologiche condivise, sia in riferimento al ruolo della ricerca nel sostenere la fase decisionale ai diversi livelli. Conclusioni (competitività vulnerabilità) L’instabilità dei sistemi urbani turistici deve far riflettere sulla necessità di una integrazione tra obiettivi di competitività, esigenze di salvaguardia e contenimento dei consumi al fine di consentire il passaggio a forme di sviluppo urbano maggiormente “smart”. In tale transizione il ruolo della pianificazione urbanistica è decisivo ma necessita di un revisione sostanziale dei processi e degli strumenti di intervento (Fistola & La Rocca, 2013 b). La capacità di integrare obiettivi di promozione con esigenze di tutela e riduzione dei consumi sembra essere la principale sfida per le città turistiche Il paper ha cercato di evidenziare come il turismo possa veicolare virtuosi meccanismi di sviluppo se opportunamente pianificato. Sinora la maggiore attenzione sembra essersi concentrata sulla sua promozione piuttosto che sulla necessità di predisporre azioni e politiche urbane per ridurre la vulnerabilità delle città turistiche agendo sugli elementi dell’offerta urbana (servizi, infrastrutture, mobilità) destinati all’utenza turistica. La smart city sembra rappresentare lo scenario urbano più prossimo e il turismo sembra possa essere un campo di sperimentazione per testarne le potenzialità se supportato dalla definizione di un disegno di sviluppo basato su una visione olistica capace di superare la logica settoriale che ancora sembra prevalere. Riferimenti bibliografici Ashworth G. and Page S.J. (2010), “Urban tourism research: Recent progress and current paradoxes”, Progress in Tourism Management. Boes K., Buhalis D., and Inversini A. (2015), “Conceptualising Smart Tourism Destination Dimensions” in Tussyadiah I. and Inversini A. 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Sitografia Word Travel & Tourism Council www.wttc.org Osservatorio Nazionale del Turismo www.ontit.it World Tourism Organization www.unwto.org 1041 Riconoscere e monitorare la potenziale fragilità dei sistemi commerciali urbani: una proposta per la Regione Lombardia Giorgio Limonta Politecnico di Milano Laboratorio Urb&Com - DAStU - Dipartimento di Architettura e Studi Urbani Email: giorgio.limonta@yahoo.it Tel: 02.2399.9443 Mario Paris Politecnico di Milano Politecnico International Fellowship - DAStU - Dipartimento di Architettura e Studi Urbani Email: mario.paris@polimi.it Tel: 02.2399.9443 Abstract In Italia l’insieme dei cambiamenti socio-economici e tecnologici recenti hanno contribuito ad una profonda trasformazione dei comportamenti d’acquisto e delle pratiche di consumo tradizionali. Questa si manifesta in modo evidente anche nello spazio, con una pluralità di dinamiche sovrapposte e, a volte, interrelate che marcano il territorio contemporaneo. Fra le altre negli ultimi anni è emersa la dismissione commerciale come fenomeno pervasivo che si presenta, in modo differenziato, sia all’interno dei tessuti densi delle città che negli ambiti extraurbani. In questo quadro, gli enti locali manifestano l’esigenza di un supporto tecnico per la prefigurazione di politiche e strumenti orientati alla costruzione di linee guida e indirizzi qualitativi per l’azione pubblica, sia alla scala regionale che comunale per il rilancio dell'attrattività urbana. L’obiettivo dell’intervento è la presentazione degli esiti di un lavoro di ricerca effettuato per il territorio della regione Lombardia, orientato al riconoscimento degli ambiti urbani potenzialmente soggetti a fragilità commerciale attraverso la definizione di indicatori territoriali atti a realizzare affondi analitici e monitorare le dinamiche in corso. Nelle conclusioni si rilancia il possibile ruolo degli indicatori e, in generale, della produzione di spatial knowledge come elemento di supporto e di rafforzamento per le azioni ed i progetti sviluppati dagli attori pubblici che, in questo caso, sono legati alla rivitalizzazione del commercio come elemento rafforzativo e qualificante della rigenerazione urbana Parole chiave: Governance, urban regeneration, spatial knowledge. 1 | Introduzione Due decenni fa, diversi autori appartenenti al campo degli studi urbani (come ad esempio Schor, 1999; Featherstone, 1999) riconoscevano ancora all’interno dei loro studi dedicati alla società occidentale, crescenti tendenze legate all’auto-affermazione attraverso l’acquisto di beni e servizi, all’omologazione dei desideri e delle aspirazioni della classe media e al ruolo del consumo come agente di sviluppo per le economie e le filiere produttive. Meno di venti anni più tardi, alcuni mutamenti nelle condizioni generali del mercato (concorrenza spaziale, crisi finanziaria), nei gusti dei consumatori (personalizzazione e frammentazione del mercato) e la competizione con nuovi format e modalità d’acquisto (e-commerce, ecc.), così come i fattori legati alle realtà dei singoli contesti (come la saturazione dei mercati dovuta alla moltiplicazione dei punti vendita e delle superfici commerciali, l’obsolescenza dei formati e la scarsa qualità dell’offerta presente all’interno di ogni singola realtà) hanno determinato una profonda 1042 trasformazione nei comportamenti e nelle pratiche di consumo tradizionali. Dal punto di vista spaziale, questi cambiamenti si manifestano con una pluralità di dinamiche sovrapposte e -a volte- interrelate che marcano il territorio contemporaneo e con l’emergere di fattori nuovi, che influenzano fortemente il quadro attuale e gli scenari futuri. Fra di essi si segnala, per novità, pervasività e dirompenza, il fenomeno della dismissione di spazi e funzioni commerciali. Si tratta di un processo che contrasta i principi sui quali si era basato lo sviluppo recente delle attività del settore, marcato tradizionalmente da una tendenza alla crescita continua, che impone una riflessione agli operatori e ai decisori pubblici che devono gestirne le esternalità territoriali. L’obiettivo di questo paper è mettere in luce la necessità di adattare alcuni degli strumenti concettuali ed operativi utilizzati all’interno delle discipline della pianificazione del territorio a questa mutata situazione, marcata dalla presenza di un sistema multicanale in cui convivono polarità commerciali extraurbane e reti commerciali di prossimità che mostrano livelli diversi di sviluppo, capacità attrattiva degli utenti e specifici sintomi di fragilità che possono portare a fenomeni di chiusura delle attività esistenti. Per raggiungere quest’obiettivo si utilizza come campo di studio la regione Lombardia, mostrando gli esiti di alcuni recenti lavori di ricerca1 nei quali sono stati evidenziati degli ambiti urbani potenzialmente soggetti a fragilità commerciale grazie al lavoro su dati derivati esclusivamente da fonti Open Data ufficiali messi a disposizione dall'Osservatorio regionale del commercio di Regione Lombardia dall'ISTAT. Tutto ciò è utile a dimostrare, in linea con le tematiche dell’atelier, il ruolo dei dati, anche settoriali, e del loro trattamento nell’elaborazione di indicatori e strumenti di analisi della realtà territoriale come base per la costruzione di politiche ed interventi nell’ambito della pianificazione. La prima parte del paper è quindi dedicata alla ricostruzione dei caratteri e delle dinamiche del mercato lombardo, la seconda al racconto degli esiti ottenuti dalla lettura del territorio attraverso due indicatori (afferenti l’andamento delle reti commerciali locali e la fragilità commerciale delle aree urbane) elaborati all’interno del Laboratorio Urb&Com del Politecnico di Milano. Nelle conclusioni si discutono i risultati di questa lettura, con particolare attenzione al ruolo degli indicatori elaborati e, più in generale, dello spatial knowledge come strumenti di monitoraggio della realtà esistente e di sostegno all’azione dei policy makers nella costruzione di azioni e programmi specifici. 2 | Il mercato lombardo: caratteri e dinamiche Dal punto di vista commerciale il territorio lombardo è fortemente presidiato ed è caratterizzato principalmente dalla presenza di un sistema multicanale, nel quale tipologie di insediamento e format diversi permettono agli utenti/consumatori di effettuare i propri acquisti, trovando in esse caratteristiche ed esperienze di consumo a volte simili e a volte profondamente differenziate. Fra questi si segnalano: • polarità2 pianificate (centri commerciali3, parchi commerciali4, FOC5, aggregati commerciali extraurbani,6 ecc.) ovvero strutture di medie e grandi dimensioni7 concepite, progettate e organizzate in In particolare l’incarico per l’attività di ricerca denominata “Analisi delle criticità e delle opportunità di sviluppo del fenomeno della dismissione commerciale ai fini dell’attrattività urbana” coordinata dal Prof. Luca Tamini, nell’ambito del progetto di ricerca “Attuazione strategie europee 2014/2020: individuazione priorità e linee di azione ed evento di confronto sulle tematiche del commercio tra le Regioni dei Quattro motori” affidato da Èupolis Lombardia, attraverso il Decreto n. 2771 del 1 ottobre 2014 e consegnato nella versione definitiva il 30 marzo 2015. 2 Per polarità commerciali si intendono quelle strutture che, per la loro dimensione o specificità, presentano una grande attrattività potenziale. Questa attrattività è ridimensionata dalla presenza sul territorio di altre strutture simili nella tipologia dei prodotti e nei servizi erogati. 3 Come definito dall’articolo 4, comma 1, lettera g del D.lgs 114/98 […] una media o una grande struttura di vendita nella quale più esercizi commerciali sono inseriti in una struttura a destinazione specifica e usufruiscono di infrastrutture comuni e spazi di servizio gestiti unitariamente. […] per superficie di vendita di un centro commerciale si intende quella risultante dalla somma delle superfici di vendita degli esercizi al dettaglio in esso presenti”. 4 Sistema costituito da una aggregazione, in aree commerciali contigue, di almeno due medie o grandi strutture di vendita localizzate anche sul medesimo asse viario e con un sistema di accessibilità comune. 5 Struttura con superficie di vendita variabile costituita da una media o da una grande struttura di vendita, localizzata in luogo diverso da quello di produzione, in cui più aziende produttrici, direttamente o indirettamente, effettuano la vendita di prodotti appartenenti al settore merceologico non alimentare prevalentemente prodotti invenduti, di fine serie, fallati, collezioni di anni precedenti e prodotti campionari. Presentano un’altissima attrattività (anche superiore ai 60 minuti) e necessitano di una localizzazione che garantisca loro un’altissima accessibilità al fine di massimizzare il bacino d’utenza potenziale. 6 I multiplex rappresentano l’integrazione di un cinema multisala (con un numero di sale elevato tendenzialmente superiore a otto) ed attività complementari aggregate sia commerciali che para-commerciali (piastre alimentari, pubblici esercizi, superfici specializzate, bowling, centri fitness, ecc.). Nel centro commerciale con multisala la funzione cinema risulta essere invece un’ancora della struttura commerciale. 7 Il D.Lgs 114/98 classifica gli esercizi commerciali in: 1 1043 forma unitaria, a volte formatesi per addizioni temporali successive lungo i principali assi e nodi viabilistici; insieme a queste dovrebbero essere considerate anche alcune strutture paracommerciali come gli Entertainment centre8, i multiplex cinematografici e i parchi a tema (Morandi & Paris, 2015a; Tamini, 2012; Morandi, 2009) e dove i principali elementi attrattivi sono costituiti da attività di intrattenimento e svago e da attività di somministrazione di alimenti e bevande, dove il commercio al dettaglio costituisce esclusivamente una componente complementare.; • polarità spontanee o ‘naturali’, caratterizzate dall’addensamento di attività commerciali (EdV, MSV e GSV) lungo vie o piazze urbane, di solito individuabili negli ambiti centrali di città medio-grandi eventualmente organizzate in Distretti Urbani del Commercio (DUC) o Distretti Diffusi di rilevanza interregionale (DID)9; • commercio diffuso o non addensato, rappresentato dall’insieme delle attività commerciali di media e grande dimensione non polarizzate o inserite in contesti commerciali urbani che non presentano evidenti fenomeni di addensamento; • un crescente ruolo di protagonismo della componente ‘immateriale’ del mercato rappresentato dal ecommerce, canale di acquisto a volte complementare a volte concorrenziale alle forme di acquisto tradizionali. Alcune recenti ricerche10 hanno evidenziato come i consumatori segnalino per ogni tipologia di shopping punti di forza e punti di debolezza dei formati, soprattutto per quanto riguarda: (i) le modalità d’accesso e il livello di servizio offerto ai clienti/visitatori, (ii) la convenienza dei prezzi, (iii) la qualità e l’ampiezza dell’offerta e delle funzioni complementari presenti (come ristorazione, intrattenimento, attività culturali ed eventi), (iv) la qualità dei contesti in cui sono localizzati, insieme a quella dei sistemi insediativi e dei progetti. Articolata su queste chiavi, l’offerta di modalità d’acquisto risulta particolarmente ampia e non permette di individuare una domanda univoca da parte dei consumatori che, al contrario, articolano le proprie abitudini di consumo in relazione alle esperienze che ne derivano più che rispondere a effettive necessità (Amin & Thrift, 2005). In questo contesto di mercato è dunque improprio parlare di dualismo tra polarità pianificate e spontanee o -ancor più in generale, fra commercio ‘tradizionale’ e ‘moderno’-, in quanto essi rappresentano modalità di offerta che si materializzano in luoghi così differenti da non rappresentare scelte alternative bensì complementari e, in alcuni casi, addirittura simbiotiche. La competizione sia verticale (fra formati) che orizzontale (fra operatori) per il presidio dei mercati e la crisi dei consumi degli ultimi anni hanno generato fenomeni di saturazione del mercato e un aumento della fragilità di alcuni elementi del sistema commerciale esistente, legati sia all’obsolescenza delle strutture commerciali meno recenti che alla perdita di attrattività di alcuni aggregati urbani consolidati. Infatti, al progressivo indebolimento dell’offerta presente ai piani terra degli ambiti della città densa si accompagnano i primi casi di dismissione commerciale anche per strutture di medie e grandi dimensioni, in particolare per le attività del commercio diffuso e non polarizzato. Negli Stati Uniti, dove la concorrenza tra gli insediamenti commerciali è molto più marcata rispetto allo scenario italiano ed europeo, numerose strutture di vendita sono soggette a fenomeni di crisi e abbandono (deadmall), dimostrando come questo problema sia endemico per questa tipologia di strutture (Cavoto & Limonta, 2015; Cavoto, 2014). Pur considerando attentamente le enormi differenze tra la realtà italiana e quella statunitense, è opportuno interrogarsi sulle possibili evoluzioni di questo fenomeno e dei sui suoi Esercizi di vicinato (EdV): esercizi commerciali con superficie di vendita (SdV) inferiore ai 250 mq nei comuni con popolazione superiore ai 10.000 abitanti e superficie di vendita inferiore ai 150 mq nei comuni con popolazione inferiore ai 10.000 abitanti. Medie Strutture di Vendita (MSV): esercizi commerciali con superficie di vendita inferiore ai 2.500 mq nei comuni con popolazione superiore ai 10.000 abitanti e superficie di vendita inferiore ai 1.500 mq nei comuni con popolazione inferiore ai 10.000 abitanti. Grandi Strutture di Vendita (GSV): esercizi commerciali con superficie di vendita superiore ai 2.500 mq nei comuni con popolazione superiore ai 10.000 abitanti e superficie di vendita superiore ai 1.500 mq nei comuni con popolazione inferiore ai 10.000 abitanti. 8 Struttura commerciale prevalentemente no food caratterizzata dalla presenza di attività per l’intrattenimento e svago, in particolare cinema multisala con un numero di sale generalmente superiore a otto, integrato a palestre fitness, sale gioco e numerosi punti vendita della ristorazione organizzate in ampie food court. 9 Regione Lombardia definisce come “Distretto del Commercio” ambiti territoriali nei quali «[…] i cittadini, le imprese e le formazioni sociali liberamente aggregati sono in grado di fare del commercio il fattore di innovazione, integrazione e valorizzazione di tutte le risorse di cui dispone il territorio, per accrescere l’attrattività, rigenerare il tessuto urbano e sostenere la competitività delle sue polarità commerciali.» (art. 5, comma 1, L.R. 6/2010 “Testo unico delle leggi regionali in materia di commercio e fiere”) 10 Si richiamano in particolare gli esiti delle ricerche presentate nel contesto del Convegno “Dove va lo shopping” che si svolge a Milano ogni anno dal 2014 ed è organizzato da TradeLab, con il patrocinio del Consiglio Nazionale dei Centri Commerciali. 1044 effetti in termini economici e sociali, oltre a innescare un inedito dibattito sulle possibilità e sulle modalità di riuso degli ambiti e dei contenitori commerciali dismessi (demalling). Nei paragrafi successivi si ricostruiscono le geografie delle polarità commerciali pianificate e spontanee (legate al commercio di prossimità) della regione Lombardia, con l'obiettivo di usare questo territorio come caso di studio, attraverso cui esemplificare le dinamiche evolutive in atto e proporre alcune riflessioni sulle modalità di individuazione e monitoraggio del fenomeno della dismissione e della "fragilità commerciale". 2.1 | Polarità commerciali pianificate: definizione degli ambiti di potenziale saturazione dell’offerta In questo paragrafo si è scelto di ricostruire la geografia delle polarità pianificate esistenti e autorizzate e successivamente analizzarne l'attrattività potenziale in termini di bacini gravitazionali per definire gli ambiti territoriali interessati da fenomeni di potenziale saturazione dell'offerta. La geografia delle polarità commerciali pianificate Nel lavoro di ricerca sono state utilizzate le informazioni relative alle “strutture di vendita organizzate in forma unitaria”11 secondo le categorie tipologiche previste da Regione Lombardia con la D.G.R. X/1193 del 20 dicembre 201312. Per questo si è scelto di costruire un geodatabase a partire dall’elenco delle GSV e MSV autorizzate al 30 giugno 201413 che comprende cinque tipologie di polarità (centri commerciali, centri commerciali aggregati, centri commerciali multifunzionali, Factory Outlet Centre e i parchi commerciali). Da questa prima lettura emerge che in Regione Lombardia esistono 220 polarità commerciali pianificate autorizzate ed effettivamente attive e 28 autorizzate non attive (di cui 2 dismesse). Figura 1 | Geografia delle polarità commerciali pianificate: inquadramento regionale e dettaglio per l’ambito metropolitano di Milano. Fonte: Elaborazione degli autori. 11 Ai sensi del paragrafo 2, comma 1, lettera f della D.G.R. X/1193 si considerano come strutture di vendita organizzate in forma unitaria «[…] una media o una grande struttura di vendita nella quale due o più esercizi commerciali siano inseriti in un insediamento edilizio o in un complesso urbanistico-edilizio organizzato in uno o più edifici, nella medesima area o in aree contigue, destinato in tutto o in parte alle attività commerciali, anche composto da più edifici aventi spazi di distribuzione funzionali all’accesso ai singoli esercizi e con spazi e servizi gestiti anche unitariamente». 12 Disposizioni attuative finalizzate alla valutazione delle istanze per l’autorizzazione all’apertura o alla modificazione delle grandi strutture di vendita conseguenti alla D.C.R. 12 novembre 2013 n. X/187 “Nuove linee per lo sviluppo delle imprese del settore commerciale”, Allegato 1, “Il rapporto di impatto – elementi costitutivi”, paragrafo 2 “Definizioni e altre disposizioni comuni” (Regione Lombardia, BURL n. 53 del 31 dicembre 2013, S.O.). 13 http://www.commercio.regione.lombardia.it/ 1045 La definizione della geografia delle polarità racconta solo in parte la complessità e il livello di competizione fra operatori per il presidio del territorio. Così si è scelto di raccontare questo aspetto attraverso la definizione geografica dei bacini di gravitazione potenziale14 delle strutture e la loro sovrapposizione. Definizione degli ambiti di potenziale saturazione dell’offerta Dopo aver definito la geografia delle polarità commerciali pianificate e, per ognuna di esse, la relativa isocrona di accessibilità veicolare si è proceduto alla costruzione di una overlay map, ovvero una mappa delle sovrapposizioni che considera tutte le possibili interazioni geometrie tra le isocrone analizzate. In questo caso, si contano fino a 80 sovrapposizioni dei bacini di gravitazione potenziale. Il risultato dell’elaborazione è stato suddiviso e classificato attraverso l’individuazione di 5 classi caratterizzate dallo stesso numero di elementi (metodo del quantile). Figura 2 | Sovrapposizione dei bacini gravitazionali delle polarità commerciali pianificate: scenario attuale e futuro (dettaglio per le classi di sovrapposizione ‘alta’ e ‘molto alta’). Fonte: Elaborazione degli autori. La classificazione permette di individuare con maggior chiarezza l'ambito territoriale a maggior competizione tra le polarità commerciali pianificate esistenti: la porzione di territorio compreso tra Milano, Monza, Como e Varese, innervato e strutturato sul sistema stradale composto dalle autostrade A4, A8, A9, A51, A52 e nel tratto nord-ovest dell'A50 (sistema delle tangenziali di Milano) e dalle direttrici nord-sud individuate dalle strade statali SS35 e SS36. Si osserva come l'ambito territoriale descritto dalle classi ‘Alta’ e ‘Molto alta’ interessato da un numero maggiore di sovrapposizioni dei bacini d’utenza potenziali e, di conseguenza, caratterizzato dalla presenza di una forte competizione fra operatori e strutture diversi- abbracci le principali realtà urbane lombarde, corrispondenti agli ambiti più densamente popolati e si strutturi lungo le direttrici stradali individuate nello scenario esistente, fino a comprendere anche il sistema territoriale a sud della città di Brescia. Considerando lo scenario futuro, ovvero includendo nell'analisi i bacini di gravitazione delle polarità commerciali autorizzate e attualmente non attive, si può notare come sugli stessi ambiti territoriali aumenti ulteriormente la competizione fino a contesti caratterizzati da 96 sovrapposizioni. 2.2 | Mappatura e analisi del commercio di prossimità per la definizione di un indicatore di potenziale fragilità commerciale Dopo aver presentato le modalità di indagine utilizzate per indagare le dinamiche di dismissione commerciale per i contenitori di media e grande dimensione, si propone una riflessione relativa ai sistemi insediati negli ambiti urbani consolidati, che si è scelto di declinare attraverso la costruzione di un 14 Per la definizione e la rappresentazione dei bacini di gravitazione viene utilizzata come riferimento la Tabella 1 dell'Allegato 1 della D.G.R. X/1193, che definisce gli intervalli di tempo (isocrone) differenziandole a seconda delle tipologie commerciali previste della medesima articolandole in ragione della SdV autorizzata (rilevanza intercomunale, provinciale, interprovinciale, regionale, ecc.) ed in funzione delle merceologie presenti. 1046 indicatore complesso, risultato dell'interazione delle informazioni ricavate dalle rilevazioni annuali dell'Osservatorio regionale del commercio relative alla struttura della rete del commercio al dettaglio con i dati provenienti dagli ultimi censimenti ISTAT 2001 e 2011 relativamente alle imprese dell'industria e dei servizi15. In questo modo i dati ISTAT risultano complementari a quelli dell'Osservatorio regionale permettendo così di estendere l'analisi a tutte le attività ‘a rilevanza commerciale’ ovvero non riconducibili al solo commercio al dettaglio16, ma che sinergicamente a quest’ultimo contribuiscono alla formazione di sistemi commerciali urbani, nello specifico: • Attività di somministrazione di alimenti e bevande. • Attività artigianali a rilevanza commerciale riconducibili a tre principali categorie: Artigianato manifatturiero con vendita diretta di beni al consumatore finale17, Artigianato di servizio alla persona18 e Artigianato di servizio ai beni di consumo19. • Attività di Noleggio (beni di consumo non alimentari come, per esempio, biciclette e materiale audiovisivo). Partendo dalle fonti informative descritte in precedenza, è possibile mappare l'insieme dei sistemi commerciali urbani mostrandone un’inedita geografia a scala regionale. La mappatura della geografia delle attività commerciali avviene convertendo la geometria delle sezioni di censimento in un numero di punti pari al numero delle unità locali a rilevanza commerciale presenti in ogni singola sezioni di censimento. L'applicazione della tecnica geostatistica della Kernel Density Estimation (KDE)20 alla mappatura puntuale delle attività commerciali, permette di rappresentare la geografia dei sistemi commerciali urbani come un elemento areale continuo articolato per livelli di addensamento/concentrazione definendo una banda di analisi ovvero l’ampiezza spaziale di riferimento per l’interpretazione delle correlazioni spaziali delle attività21. La verifica della validità della metodologia applicata per l'intero territorio regionale viene effettuata sovrapponendo i perimetri dei DUC riconosciuti da Regione Lombardia agli addensamenti emersi con l'interpretazione spaziale della mappatura delle attività a rilevanza commerciale. Il risultato mostra come, nel contesto lombardo, coesistano polarità spontanee fortemente attrattive come i sistemi commerciali urbani dei capoluoghi di provincia e dei centri urbani di media dimensione (come ad I dati ISTAT presentano un eccezionale dettaglio informativo permettendo di quantificare a livello comunale il numero di imprese e di unità locali presenti e, attraverso la classificazione ATECO, di analizzare ed estrapolare i dati per le diverse categorie economiche. Inoltre il dato ISTAT restituisce il numero di addetti relativo alle imprese e alle unità locali permettendo di effettuare interessanti riflessioni sulla componente occupazionale del settore commercio. Per l'ISTAT l'addetto corrisponde a una persona deputata allo svolgimento di una determinata mansione per una determinata impresa, indipendentemente dalla sua posizione nella professione (dipendente, indipendente, parasubordinata, ecc.). A differenza degli occupati l'addetto mantiene un rapporto continuativo con una determinata impresa. 16 L'insieme delle imprese del commercio al dettaglio comprende per la classificazione ATECO 2007 le categorie riconducibili al codice ‘47 - commercio al dettaglio, escluso quello di autoveicoli e di motocicli’ e le attività relative al codice ‘45.4 - commercio, manutenzione e riparazione di motocicli e relative parti ed accessori’ escludendo gli intermediari del commercio. La classificazione ATECO non permette di evidenziare e quantificare la superficie di vendita (SdV) autorizzata che consentirebbe di classificare le attività nelle tre tipologie dimensionali introdotte dal Decreto Legislativo 114/98. 17 Fanno parte di questa categoria tutte quelle attività artigianali produttrici di beni alimentari e non alimentari, che effettuano la vendita direttamente al consumatore finale nel medesimo luogo di produzione. Alla categoria beni alimentari appartengono le pizzerie d’asporto, le pasticcerie, le gelaterie, i panifici e tutte le attività dedite alla vendita di prodotti gastronomici. La categoria non alimentare comprende le attività riconducibili al mondo della moda e dell’abbigliamento. 18 Fanno parte di questa categoria la attività artigiane erogatici di servizi direttamente alla persona come: parrucchieri, estetisti, centri estetici, centri benessere, lavanderie non industriali. 19 Fanno parte di questa categoria la attività artigianali di servizio ai beni di consumo personali e per la casa, comprendendo una molteplicità di attività di riparazione di beni di uso comune ad esclusione degli autoveicoli. 20 La Kernel Density Estimation (KDE) analizza la densità di un fenomeno all'interno di un determinato intervallo spaziale rappresentando il valore di tale densità al centro dello spazio analizzato. L’algoritmo di calcolo considera (pesa) gli oggetti vicini più che gli oggetti lontani, tale caratteristica ben si adatta allo studio dei fenomeni spaziali, compresi quelli commerciali, che seguono il primo principio della geografia «everything is related to everything else, but near things are more related than distant things» (Tobler, 1970). L'applicazione di questa tecnica ai fenomeni sociali ed economici (compresi quelli commerciali) è stata ampiamente studiata in letteratura. 21 Nelle diverse sperimentazioni e applicazioni effettuate è emerso come questa scelta debba essere fatta a seconda del contesto e delle caratteristiche del fenomeno analizzato. L’applicazione diretta di questa metodologia di indagine in altri contesti territoriali, ha correlato il dimensionamento della banda di analisi alla modalità di attraversamento dello spazio urbano (Limonta G., 2012); per questa ragione il dimensionamento è stato riferito allo spazio percorribile da una persona nell’arco di 5 minuti alla velocità di passeggio di 1,25 m/s (valore intermedio dell’intervallo compreso tra 1 e 1,5 m/s comunemente utilizzato per simulare la velocità pedonale) pari a 370 metri. 15 1047 esempio Vimercate, Seregno, ecc.) e realtà commerciali urbane a scarsa o nulla attrattività localizzate prevalentemente in contesti di bassa densità abitativa, lontano dalle infrastrutture principali. Figura 3 | Livelli di addensamento delle attività a rilevanza commerciale e perimetro dei DUC. Fonte: Elaborazione degli autori. 3 | Proposta di due indicatori della fragilità commerciale delle aree urbane Dopo aver restituito la geografia aggiornata della realtà commerciale regionale, si propone una metodologia analitica per la definizione di due indicatori che servono a (i) descrivere le dinamiche evolutive dei sistemi commerciali locali, e a (ii) individuare le aree fragili del territorio regionale. 3.1 | La dinamica delle reti commerciali locali L’obiettivo dell’indicatore è quello di descrivere l'evoluzione (o l'involuzione) dei sistemi commerciali urbani associando il trend della consistenza della rete delle unità locali delle imprese a rilevanza commerciale nel periodo 2001-2011 con quello relativo alle autorizzazioni per il commercio al dettaglio nel periodo 2008-2014. Le variazioni percentuali riscontrate per entrambi i trend evolutivi vengono suddivise in 5 classi di valore che descrivono processi di concentrazione o incremento del tessuto imprenditoriale insediato. L'interazione di queste classi permette di definire 4 cluster, rappresentativi di altrettante dinamiche riscontrabili per i sistemi commerciali locali: • potenziamento. Definito quando a una crescita significativa del numero degli esercizi di vicinato è associata una crescita almeno moderata delle unità locali delle attività a rilevanza commerciale; • equilibrio (sostanziale). Definito quando si registra una crescita moderata del numero di esercizi di vicinato e delle unità locali delle attività a rilevanza commerciale; • scomparsa-desertificazione. Definita quando ad una decrescita significativa del numero degli esercizi di vicinato è associata una riduzione o una sostanziale stabilità del numero di unità locali delle attività a rilevanza commerciale; • sostituzione funzionale (extra-dettaglio o downgrading commerciale). Definita quando ad un equilibrio o a una decrescita anche significativa del numero di esercizi di vicinato è associato un incremento molto significativo del numero di unità locali delle attività a rilevanza commerciale. La sostituzione funzionale rappresenta di fatto un contesto conoscitivo ancora da esplorare e approfondire in quanto potrebbe riguardare sia sistemi commerciali in fase di riconfigurazione-evoluzione funzionale che sistemi in fase di involuzione-terziarizzazione. Sarebbe dunque necessario migliorare il monitoraggio informativo delle attività commerciali, ampliandone ad esempio il ventaglio tipologico considerato. 1048 Tabella I | Dinamiche dei sistemi commerciali urbani. Dinamica sistemi commerciali locali Trend evolutivo rete degli esercizi di vicinato Trend evolutivo rete delle attività a rilevanza commerciale - Potenziamento Sostanziale equilibrio - - Scomparsa-desertificazione Sostituzione funzionale !! ! " "" - forte crescita crescita decrescita forte decrescita Figura 4 | Dinamicità dei sistemi commerciali urbani. Fonte: Elaborazione degli autori. 3.2 | Definizione delle potenziali aree fragili Il secondo indicatore elaborato permette di definire le potenziali ‘Aree fragili’ usando come variabile intrinseca i dati delle dinamiche dei sistemi commerciali locali (cfr. § 3.1) e come variabile estrinseca il livello di competizione territoriale che emerge dal livello di saturazione dell’offerta determinato degli aggregati commerciali pianificati (cfr. § 2.1, sia nello scenario attuale che nello scenario futuro con l’attivazione delle GSV autorizzate non attive). È opportuno sottolineare quanto i due fenomeni, come descritto al precedente paragrafo 1.1, non presentino sempre una diretta correlazione, ma ovviamente un contesto ad alta competitività interferisce necessariamente con le dinamiche dei sistemi commerciali locali, accelerandone le mutazioni e le tendenze evolutive. Viene dunque identificato un indicatore composito di ‘potenziale fragilità degli ambiti commerciali locali’, articolato in base alle differenti combinazioni dei due indicatori analizzati che permette di costruire un’inedita rappresentazione tematica del territorio regionale. 1049 Tabella II | Fragilità dei sistemi commerciali locali. Livello di potenziale fragilità Molto alta Alta Medio alta Media Medio bassa Bassa Molto bassa Desertificazione 1 Classi di sovrapposizione dei bacini gravitazionali Molto alta 1 Desertificazione 1 Alta 2 Desertificazione 1 Media 3 Desertificazione 1 Bassa 4 Desertificazione 1 Molto bassa 5 Equilibrio 3 Molto alta 1 Dinamica reti commerciali locali Equilibrio 3 Alta 2 Sostituzione funzionale 4 Molto alta 1 Sostituzione funzionale 4 Alta 2 Equilibrio 3 Media 3 Potenziamento 5 Molto alta 1 Equilibrio 3 Bassa 4 Equilibrio 3 Molto bassa 5 Sostituzione funzionale 4 Media 3 Sostituzione funzionale 4 Bassa 4 Sostituzione funzionale 4 Molto bassa 5 Potenziamento 5 Alta 2 Potenziamento 5 Media 3 Potenziamento 5 Bassa 4 Potenziamento 5 Molto bassa 5 Figura 5 | Fragilità dei sistemi commerciali urbani, scenario attuale e futuro. Fonte: Elaborazione degli autori. 4 | Conclusioni: Indicatori e Spatial knoweldge come supporto dell’agenda pubblica L’applicazione dei due indicatori proposti nel caso di studio della Regione Lombardia è utile per trarre alcune conclusioni che si articolano attorno a due ruoli distinti. Il primo ruolo è legato agli aspetti più tecnici ed applicativi. In questo caso gli indicatori servono a costruire un’efficace immagine del sistema commerciale regionale utile a mettere in luce le dinamiche che investono sia le polarità commerciali pianificate che gli addensamenti commerciali urbani. Le prime stanno attraversando una fase di evoluzione selettiva, entro cui la costruzione di grandi clusters multifunzionali — o superluoghi (Morandi & Paris, 2015b) — si scontra con i processi di dismissione delle strutture meno attrattive, meno accessibili ed incapaci di recitare il ruolo di luoghi di centralità nei contesti post- 1050 metropolitani in cui sono inseriti. A loro volta i sistemi urbani mostrano processi di trasformazione articolati dove insieme alla generalizzata contrazione del numero e della varietà delle attività commerciali insediate, si evidenziano alcuni processi di trasformazione/sostituzione che mostrano la parziale tenuta dei sistemi localizzati nei centri principali e/o fortemente attrattivi perché considerati fornitori di servizi per interi brani di territorio. In entrambi i casi le performance migliori sono legate ai casi in cui il sistema si caratterizza per (i) la capacità di offrire un servizio agli abitanti -anche temporanei, come turisti e city userdelle realtà urbane, (ii) la profondità e l’ampiezza dell’offerta presente e (iii) il tipo di esperienze che integrano il processo di consumo di chi li sceglie. Nei casi di eccellenza, anche i sistemi urbani possono assumere il ruolo di polarità, tanto che anche le principali insegne del commercio, che spesso scelgono di localizzarsi nelle polarità commerciali pianificate, mostrano interesse per gli spazi ai piani terra delle vie principali della città consolidata. Nelle realtà commerciali a minore attrattività si può assistere alla progressiva scomparsa della funzione commerciale del centro urbano attraverso fasi intermedie di downgrading e/o terziarizzazione dell’offerta commerciale presente. In alcuni casi si verifica però un ‘adeguamento’ della funzione commerciale del centro con la comparsa di attività a maggior orientamento di servizio come le attività artigianali ‘commerciali’, dove la prossimità alle residenze diviene la caratteristica principale per il mantenimento dell’attività; una sorta di ‘adattamento evolutivo’ del ruolo commerciale del centro urbano. Il secondo ruolo degli indicatori nel campo della pianificazione e degli studi urbani, può essere quello di costruire analisi statiche su situazioni e momenti specifici e a monitorare tendenze in atto, aiutando operatori e decisori pubblici a prefigurare scenari evolutivi basati su un solido apparato conoscitivo. Al tempo stesso, va ricordato che «gli indicatori possono essere di effettiva utilità solo se i risultati che da essi ne derivano servono a coprire i fabbisogni informativi di cui sono portatrici le varie classi di stakeholder» (G. Maurini, 2008: 12). Così, i risultati delle letture proposte e, più in generale, tutto l’apparato informativo prodotto grazie alla advanced spatial analysis devono essere considerati dei mezzi, degli ulteriori strumenti da aggiungere alla ‘cassetta degli attrezzi’ in possesso dei decisori pubblici per supportare le politiche attive, i programmi e le azioni della loro agenda. In questo caso il patrimonio conoscitivo derivante dall’applicazione degli indicatori dovrebbe servire ad indirizzare politiche settoriali legate al commercio e azioni più generali orientate alla rigenerazione urbana che partano dalle potenzialità e dalle necessità di luoghi specifici, individuati in una prima fase grazie agli strumenti elaborati. Riferimenti bibliografici Amin A., Thrift (2005), Città: ripensare la dimensione urbana, Il mulino, Bologna. Cavoto G. (2014), Demalling, Una risposta alla dismissione commerciale. A response to the demise of retail building, Maggioli Editore, Rimini. Cavoto G., Limonta G. (2015), “Dismissione commerciale. Dinamiche, strategie e programmazione” in D’Alessandro L. (a cura di) City, Retail and Consumption, Università degli studi di Napoli “L’Orientale”, Napoli, pp. 319-328. Featherstone M. (2000), “Lifestyle and Consumer Culture”, in Lee M. (ed.), The Consumer Society Reader, Blackwell Malden-MA, pp. 92-105. Limonta G. 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La regolazione urbanistica degli aggregati commerciali, Maggioli Editore, Rimini. 1051 Nuove tecnologie e gestione dell’informazione per la costruzione di quadri conoscitivi integrati e innovativi per la pianificazione climatica locale Denis Maragno Università Iuav di Venezia Dipartimento di Design e Pianificazione in Ambienti Complessi Email: dmaragno@iuav.it Francesco Musco Università Iuav di Venezia Dipartimento di Design e Pianificazione in Ambienti Complessi Email: francesco.musco@iuav.it Federica Appiotti Università Iuav di Venezia Dipartimento di Design e Pianificazione in Ambienti Complessi Email: fappiotti@iuav.it Abstract Il paradigma dell’adattamento al cambiamento climatico (CC) (orientato a limitare gli impatti generati dal CC verso le città e cittadinanza) obbliga a considerare le variabili climatiche all’interno della pianificazione locale. Mentre il paradigma della mitigazione (che ha come obiettivo la diminuzione degli impatti delle attività umane verso il clima) è frutto di accordi internazionali, l’adattamento delle città costringe le amministrazioni locali alla creazione di strategie specifiche per ogni differente vulnerabilità territoriale. Il ruolo della pianificazione territoriale (e dell’urbanistica) diviene quindi fondamentale nelle sfide imposte dal cambiamento climatico a patto che le venga incrementata la capacità lettura del territorio a supporto di una migliore capacità analitica per permettere l’individuazione le migliori soluzioni possibili per ogni vulnerabilità urbana determinata. Lo studio è stato sviluppato in collaborazione con la Città Metropolitana di Venezia, in sinergia tra il Servizio Informatica e il Servizio Ambiente e l’Univesrità Iuav di Venezia, in occasione della partecipazione al Progetto Europeo Seap-Alps e repilcato poi per la città di Padova e New York City. Il lavoro descrive il processo di gestione dell’informazione sviluppato e le tecnologie utilizzate per favorire la creazione di quadri conoscitivi innovativi, a supporto di processi decisionali integrati, nella pianificazione locale climate proof. Parole chiave: information technology, spatial planning, local plans. 1 | Introduzione Le dinamiche climatiche stanno facendo emergere numerose vulnerabilità in ambiente urbano, frutto della dialettica tra il global warming e una pianificazione territoriale poco attenta alle relazioni ambientali nello sviluppo e nella gestione urbana. L’imprevedibilità degli eventi e la variabilità delle esternalità sembrano richiedere un approccio dinamico che la pianificazione tradizionale appare non in grado di gestire (Indovina, 2009). 1052 Sempre con maggior frequenza le città si trovano coinvolte in avvenimenti “estremi”, inusuali, come: ondate di calore, dissesti idrologici, tornado, allagamenti urbani, erosione costiera etc, i quali fanno emergere l’elevata vulnerabilità dei territori urbani e naturali. Il dibattito sul cambiamento climatico, supportato dalle evidenze empiriche portate dalla Stern Review (Carraro, 2009), seguito dalle relazioni periodiche del IPCC (2007, 2013), dal rapporto dell'Unione Europea sull'innalzamento della temperatura e dalla relazione dell'EEA (2012) “Urban adaptation to climate change in Europe”, ha acquisito sempre maggiore importanza nella pianificazione locale. Osservando il cambiamento climatico dal punto di vita fisico e spaziale, esso è causato dalle attività umane, a livello globale, ma si manifesta con una forte imprevedibilità a livello locale. Ne consegue che le politiche climatiche avranno due approcci su due diverse scale: la scala internazionale, arena delle politiche di mitigazione e una scala locale luogo in cui si giocheranno le sfide all’adattamento. A livello locale quindi la protezione del clima può essere generalmente definita come l’insieme delle politiche indirette di adattamento e mitigazione finalizzate alla riduzione dell’impatto dei cambiamenti climatici sui sistemi naturali e antropizzati e alla riduzione delle esternalità ambientali che possono favorire le mutazioni climatica nel medio e lungo periodo (Musco, 2009). L’adattamento è pertanto prima di tutto un concetto spaziale, territoriale, che non può non entrare prepotentemente come nuovo paradigma nella rielaborazione delle teorie e degli strumenti del piano e del progetto della pianificazione territoriale ed urbanistica. Considerata la difficile prevedibilità del cambiamento dei parametri climatici alle diverse scale e sulle diverse componenti naturali e antropiche, le strategie di adattamento devono essere modulate cercando non solo di garantire la funzionalità dei sistemi, ma anche di sfruttare le opportunità che dal cambiamento possono emergere. Considerare il CC nelle attività di Governo del Territorio locale impone l’integrazione e l’implementazione di quadri conoscitivi condivisi, al fine di promuovere e supportare processi decisionali integrati, capaci di fronteggiare le nuove emergenze. L’analisi della vulnerabilità urbana al CC necessità quindi di essere valutata mediante il supporto di nuovi livelli conoscitivi, capaci di integrarsi con gli esistenti, facilitando il lavoro non solo nel disegno delle soluzioni ma forse soprattutto nella sfida alla valorizzazione paesaggistica ed economica (Figura 1). Quesiti di studio LIVELLO1 1)! Quale Informazione integrare 2)! Quale informazione produrre 3)! Come produrre informazione LIVELLO2 1)! Come integrarla? 2)! Come organizzarla? 3)! Come aggiornarla? LIVELLO3 1)! Come Condividerla? 2)! Come produrre Conoscenza? New Technologies and Knowledge Management for the Planning to Climate Change (Pianificazione climatica continua) Figura 1 | Il design dell’informazione spaziale nella pianificazione climatica ambientale. Lo schema illustra l’approccio utilizzato, in rosso le questioni sviluppate all’interno del lavoro. Fonte: elaborazione Iuav, 2015. L’obiettivo del lavoro è di supportare e facilitare la Pianificazione Climatica Integrata nelle attività di governo del territorio a scala locale e metropolitana. Il lavoro si è quindi orientato nella definizione di metodologie innovative in grado di produrre informazione spaziale al momento non reperibili (come m2 di vegetazione, altezza delle alberature, incidenza solare, sky view factor, pendenza delle superfici e delle falde dei tetti con precisione 10 cm etc.) mediante remote sensing analysis e tecnologie ICT. Le nuove informazioni prodotte sono state gestite e organizzate mediante software open source di ultima generazione focalizzati al trattamento dei dati spaziali con lo scopo di massimizzare la condivisione delle informazioni e l’aumento della capacità analitica delle amministrazioni locali. Lo studio ha prodotto una metodologia esportabile in altre città, in grado di costruire nuova informazione territoriale e ambientale, capace di organizzarla per incoraggiare i processi decisionali integrati e favorire social innovation, sfruttando le tecnologie ICT. 1053 2 | Informazione e conoscenza, il ruolo delle ICT nelle attività nella pianificazione climatica spaziale Le opzioni di scelta in merito alle soluzioni di adattamento in campo urbano, come evidenziato dalla figura 2, non sono di difficile previsione. La difficoltà deriva dalla necessità, ai fini dell’efficienza dell’intervento, di individuare la miglior soluzione infrastrutturale possibile in relazione al luogo specifico d’azione. E’ la localizzazione della misura si adattamento a costringere una profonda conoscenza del territorio, richiedendo livelli informativi sino ad oggi non necessari, conseguentemente non sempre reperibili. Figura 2 | Abaco delle soluzioni elaborato dal gruppo di lavoro Iuav “Planning and Climate Change”. Elaborazione di: Maragno D., Magni F., Innocenti A., Negretto V., Verones S., Musco F., 2016. Negli ultimi anni, l’idea di utilizzare un “approccio ecosistemico” (Grumbine, 1994; Christensen et al. 1996, Millennium Ecosystem Assessment, 2005) all’interno delle politiche di adattamento al cambiamento del clima, ha acquisito sempre maggior importanza (Doswald, N. & Osti, M. 2011; Naumann et al., 2011). Il concetto di approccio ecosistemico rappresenta un modo di pensare e agire in maniera ecologica, su base scientifica, integrando le informazioni biologiche, sociali ed economiche per raggiungere un equilibrio socialmente e scientificamente accettabile tra le priorità della conservazione della natura, l’uso delle risorse e la suddivisione dei benefici (sostenibilità). In quest’ottica, la necessità di aumentare la capacità di lettura del territorio diviene fondamentale. Diviene fondamentale saper misurare il grado di vulnerabilità di ogni porzione di territorio per scegliere la misura di adattamento ottimale in merito. Esempi di queste misure sono l’utilizzo di infrastrutture blu e verdi, corridoi fluviali, bacini di laminazione per lo stoccaggio di acque meteoriche e fluviali, infrastrutture di contenimento per la gestione delle piene fluviali sempre più frequenti a causa del cambio di eventi meteorici estremi, tetti verdi, ricostruzione di corridoi ecologici etc. (figura 3). 1054 SISTEMI DI ADATTAMENTO MEDIANTE GREEN INFRASTRUCTURE dmaragno@iuav.it Figura 3 | Illustrazione di un esempio di adattamento urbano. Importante notare come l’approccio rivolto al grande intervento viene cambiato in favore ad un sistema di piccoli interventi urbani. Fonte: Water Department City of Philadelphia. Per procedere con l’identificazione e la scelta delle strategie di adattamento diviene importante quindi formulare un’analisi capace di identificare tutti gli elementi vulnerabili a una specifica pericolosità in modo di capire la sua soglia di resistenza agli shock esterni. La relazione tra città e atmosfera è profondamente complessa poiché i due sistemi (naturale e antropico) sono in continua interazione, influenzandosi a vicenda. La complessità dell’interazione tra ambiente urbano e atmosfera risiede suo nel duplice dialogo tra città e atmosfera. Come il clima urbano risente del clima atmosferico e dei suoi impatti su popolazione e infrastrutture, anche il clima atmosferico ne è influenzato da territori e dalle attività umane. (Oke T.R., 2006). Solitamente le città influenzano il clima, generando un microclima urbano, attraverso cinque aspetti (Shahmohamadi et al., 2012): • riducendo la quantità di erba, terreno permeabile e alberi, asfalto e cemento; • rilasciando calore artificiale dagli edifici, dagli impianti di condizionamento dell’aria, automobili e zone produttive; • diminuendo l’infiltrazione superficiale dell’acqua a favore di canali interrati e fognature (questo implica anche una scarsa resilienza alle piogge intense che recentemente investono le nostre città); • aumentando l’inquinamento atmosferico; • diminuendo la ventilazione urbana. L’individuazione e la scelta di una strategia rispetto ad una possibile vulnerabilità al CC e proporzionale alla qualità e completezza dalle informazioni in possesso. Le informazioni spaziali utili a definire e strutturare le strategie di adattamento non è completamente implementata nella stesura del quadro conoscitivo presente negli strumenti urbanistici territoriali. E’ necessario quindi mettere a sistema dei protocolli d’azione che prevedano l’uso delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione per generare nuovi livelli conoscitivi. Trattare il problema del cambiamento climatico nelle attività di governo del territorio obbliga pertanto le PA a rivedere profondamento le regole e i modi con la quale si produce, gestisce, organizza e diffonde l’informazione territoriale e ambientale. Su queste logiche si inseriscono nuovi approcci di governance definibili Open Governace, composta da strumenti e tecnologie che reggono una gestione “smart”, orientata verso una organizzazione aperta e trasparente. Il nuovo approccio suggerito per le P.A. si allontana dal concetto di possesso, avvicinandosi sempre più alla condivisione delle risorse e della conoscenza, abituandosi alla cooperazione; indirizzandosi quindi verso modelli di governace fondati su partecipazione e coinvolgimento dei cittadini (Forghieri C., Moschi Simoni A., 2013). 1055 3 | Metodologia: Remote Sensing e trattamento dell’informazione integrata a favore di una classificazione locale della vulnerabilità Nel marzo 2014, la Provincia di Venezia, mediante un volo dedicato al rilievo aerofotogrammetrico (copertura di 3000 Km2 e pari al territorio della Provincia di Venezia), ha generato, grazie alle moderne tecnologie, 4000 immagini ad altissima risoluzione. Mediante Software dedicati di elaborazione delle immagini (Hirschmuller, 2008), è stato possibile ottenere un modello digitale del territorio in 3D. Figura 4 | Immagine della fitta “nuvola di punti” creata mediante l’elaborazione Dense Image Matching. Ogni punto è quotato e georeferito e la loro densità spaziale permette la ricostruzione del territorio nelle tre dimensioni con una precisione attorno ai 15 cm. Elaborazione Iuav (Maragno D.), 2015. La tecnica utilizzata prende il nome di Dense Image Matching. L’elaborazione dei dati acquisiti permette di generare – a partire da una nuvola di punti georeferiti e quotati (figura 4) - immagini raster ad alta risoluzione, contenenti la quota dell’elemento territoriale; DSM (Digital Surface Model) e DTM (Digital Terrain Model) sull’intero territorio. Il DSM è una superfice che esprime l’altimetria di tutti gli elementi di un dato territorio, compresi tutti i manufatti, gli edifici e le opere presenti. Il DTM mostra invece la morfologia del terreno nudo depurato dalle opere, le infrastrutture e la vegetazione presente. I modelli ottenuti, intersecati ad ortofoto a 4 bande (rosso, verde, blue e infrarosso vicino) consentono di produrre informazioni, analisi e visualizzazioni riassunte di seguito: 1. Dati utilizzati • Ortofoto con infrarosso in falsi colori • Nuvola di Punti (from DIM) 2. Elaborazioni Raster Ricavate: • dsm normalizzato • ndvi • slope • solar • svf 3. Elaborazioni Vettoriali Ricavate • mappa del verde • mappa dell'imperbeabile • mappa delle altezze • mappa dell'irragiamento solare • mappa sky view factor 4. Integrazione Dati Esistenti • mappa del verde con altezza • mappa degli edifici con altezze • mappa dei tetti con irradiazione • mappa dei tetti con pendenze • mappa dello svf stradale • mappa dell'irradizione stradale 1056 Il processo di calcolo è stato costruito mediante linguaggio informatico SQL, in questo modo la metodologia costruita può essere replicabile per ogni territorio con fonti dati analoghi. ll modello sviluppato reperisce e integra informazione territoriale e classifica le aree urbane in Local Climate Zone (di Stewart e Oke) in modo automatico restituendo una mappa classificata (figura 5). La mappa si prefigge di supportare i processi decisionali in quanto: • indica le zone climatiche locali a bassa resilienza al cc (mediante colorazione semaforica) • permette di essere interrogata e restituisce informazione numerica. La decisione di classificare le aree urbane in zone climatiche locali (ZCL) seguendo lo studio di Stewart e Oke è dovuto a due motivi. Per prima cosa si assume che nelle zone omogenee i possibili impatti derivanti dal cambiamento climatico siano simili, quindi si facilita la creazione di un abaco solutivo per territori omogenei. Laddove la metodologia d’analisi sviluppata indica una specifica zona LCL, si può definire e localizzare precisamente le probabili ripercussioni del cambiamento climatico per quelle aree. La seconda questione, strettamente collegata alla prima, sfrutta la caratterizzazione della classificazione di Stewart e Oke, ossia la definizione della geometria urbana. In questo modo è facilitata la comprensione degli spazi d’azione per ogni classe analizzata. Fornendo un esempio, dove vi è LCL1 non vi sarà spazio d’intervento a terra, quindi gli esagoni che identificano quelle aree obbligano uno studio degli interventi sulle superfici verticali o sui tetti. Suggerendo anche lo strumento urbanistico appropriato per recepire al meglio l’azione di adattamento individuata. PRIMO OUTPUT DI ANALISI Figura 5 | L‘immagini contrappone i risultati ottenuti con la tecnica di telerilevamento e l’aggregazione dell’informazione eseguita. Le informazioni ottenute attraverso il trattamento dei dati DIM (Dense Image Matching) sono state successivamente elaborate e integrate all’interno di griglie esagonali ( di dimensioni diverse , che vanno da 6 a 130 metri di lato lungo). In questo modo, è possibile visualizzare e ottenere informazioni ambientale e territoriale per ogni singola cella in scale diverse. Nell'esempio, parte dell'analisi impermeabilità urbana. Elaborazioni Iuav, 2015 La classificazione, cosi come il reperimento delle misure e il calcolo degli indicatori, avviene in forma automatica con apposito codice SQL costruito per tale scopo. Sostanzialmente ogni griglia esagonale è un geo-database relazionale, contenente all’interno diversi campi con le informazioni sopra descritte. All’interno dei campi indicatori vi è un valore, il codice esaminando cella per cella il valore di ogni indicatore, classifica i diversi esagoni nelle diverse LCL sulla base dei range indicati nello studio di Stewart e Oke. Conclusioni L’esportabilità della metodologia con l’applicazione a diverse città (ad oggi Venezia Città Metropolitana, Padova e New York City), garantisce la possibilità di implementare e definire al meglio gli indicatori di classificazione. Questo è possibile poiché la procedura basata con codice SQL, inserita nel database PostgresSQL, permette l’analisi automatizzata delle informazioni inserite. Ciò significa che ogni città o territorio che dispone di un dsm e ortofoto con la banda dell’infrarosso vicino può essere classificata. La condizione di poter ragionare sugli indicatori e la loro classificazione su territori differenti permette: • la comparazione tra le ZCL nei diversi territori con le informazioni degli eventuali eventi estremi attribuibili al cambiamento climatico (es: allagamenti); 1057 • il confronto empirico dei diversi microclimi locali attribuibili alle differenti ZCL. Su New York ad esempio sfruttano i sensori presenti nelle green infrastructure è possibile monitorare la temperatura dell’aria o il carico d’acqua recepito. Questo permette di comprendere al meglio l’influenza di una forte impermeabilizzazione o di un’alta densità abitativa sul microclima locale; • Verificare, mediante monitoraggio, l’efficienza degli interventi di adattamento implementati. In questo modo la metodologia proposta non diviene solamente strumento di supporto decisionale ma al contempo strumento di verifica e monitoraggio. Con tali strumenti si potrà diffondere con maggiore velocità ed efficacia la sensibilità verso un approccio integrato coinvolgendo non solo saperi esperti nella definizione delle misure ma anche la cittadinanza per favorirne l’implementazione sul territorio. Indispensabile riorganizzare le strutture pubbliche a tali scopi e favorire di uso comune strumenti di ICT, mediante linee guida tecniche per agevolare la condivisione delle conoscenze, la costituzione di un vocabolario unico per lo studio e l’applicazione delle più innovative pratiche di gestione riassunte nel ciclo virtuoso: analisi delle necessità, programmazione degli interventi, misurazione degli effetti delle politiche attuate e calibrazione di nuovi interventi (Maragno, 2015). Riferimenti bibliografici Doswald M.Sc, Osti M. (2011). Ecosystem-based approaches to adaptation and mitigation – good practice examples and lessons learned in Europe, BFN-Skripten 306 European Commission (2013a). 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Lo scopo dell’Osservatorio è supportare le Amministrazioni Comunali (AC), sopratutto i centri minori caratterizzati da limitate risorse, nella definizione, valutazione e monitoraggio delle politiche e delle azioni di trasformazione del CS specialmente orientate all'efficienza energetica del patrimonio. Lo strumento è pensato per integrarsi con il processo di redazione dei Piani Particolareggiati del Centro Storico (PPCS) e si configura come una piattaforma Web-GIS multi utente che integra indicatori multidisciplinari (basati su: open SDI, dati dei PPCS e VGI) finalizzati alla definizione di strategie, al monitoraggio ed alla creazione della conoscenza condivisa. Uno degli elementi centrali della ricerca è l’individuazione di un Set di indicatori dinamico, multi disciplinare e multi scalare legato con le strategie di valorizzazione e sviluppo e gli apparati normativi specifici del contesto. Il contributo riporta i risultati ottenuti nella sperimentazione della metodologia presso il Comune di Assolo (OR), che si è incentrata principalmente sullo studio dei contenuti informativi di base per l'interazione con la comunità locale. La sperimentazione ha evidenziato alcune criticità che guideranno nel raffinamento della metodologia e nella definizione di indicatori più significativi, si potrà così passare allo sviluppo di un prototipo di Osservatorio capace di coinvolgere un numero di comunità più ampio. Parole chiave: historic centers, smart city, tools and techniques. 1 | Introduzione La tutela e valorizzazione del Paesaggio Storico Urbano (UNESCO 2012) gioca un ruolo chiave nella promozione e gestione del processo di transizione verso modelli di città e di insediamento più sostenibili e resilienti. La conservazione del patrimonio culturale storico non è più una attività a se stante, incentrata sul vincolo degli elementi ritenuti di maggior pregio, ma si integra in maniera strategica nelle politiche urbane con un ottica di tutela - valorizzazione che ha impatti positivi sul contesto economico, sociale ed ambientale della città (Girard 2013). Diventa perciò fondamentale la definizione di un processo conoscitivo dinamico e condiviso capace di individuare iterativamente e monitorare i valori e le peculiarità del contesto con un’ottica partecipativa. L'obiettivo della ricerca, è la definizione di un approccio metodologico per l'implementazione di un Osservatorio Territoriale (Farinós 2011, Prezioso 2008) che, a partire dalla rappresentazione dello stato attuale del contesto attraverso appropriati indicatori, possa costituire uno strumento di SMART planning di supporto all’attuazione di politiche di recupero e valorizzazione del Centro Storico (CS), specialmente orientate all’efficientamento energetico del patrimonio immobiliare e alla sostenibilità degli interventi consentiti. Una delle sfide maggiore di questi strumenti è la costruzione di indicatori di adeguato grado di definizione spaziale, aggiornabili e monitorabili con costi e tempi sostenibili che, pur semplificando il processo rappresentato, non perdano di significatività (Hiremath 2013). La ricerca è ancora in svolgimento, qui si discuterà sui risultati ottenuti dal primo confronto con una comunità locale che saranno di indirizzo per il proseguo del lavoro. A tal fine il contributo prima espone 1059 brevemente l’articolazione generale della ricerca e poi descrive la sperimentazione svolta presso il comune di Assolo (OR). 2 | Approccio Metodologico L’approccio metodologico è adattabile a diversi contesti, tuttavia gli algoritmi e le procedure sono studiate nel dettaglio per integrarsi con il processo di redazione dei Piani Particolareggiati del Centro Storico (PPCS) che attualmente nella Regione Autonoma della Sardegna (RAS) stanno vivendo una nuova stagione pianificatoria. La RAS ha sviluppato una ricca SDI di base1, precise linee guida per la Redazione dei PPCS ed una vasta manualistica di riferimento2 che stanno dando origine a studi straordinariamente dettagliati sul patrimonio edificato storico, caratterizzati da una certa omogeneità. Questi studi possono essere una base eccellente per individuare un set condiviso di indicatori capaci di misurare i valori del sistema. Le linee guida regionali per la redazione dei PPCS richiedono la caratterizzazione (coerenza paesaggistica, strutture, materiali, stato di conservazione, ...) del patrimonio edificato alla scala del singolo corpo di fabbrica e lo studio dei valori materiali ed immateriali del contesto individuandone gli elementi spaziali caratterizzanti (margini, beni puntuali, scene, piazze, vicoli, ...). Uno degli elementi centrali della ricerca è l’individuazione di un sistema di indicatori dinamico, multi disciplinare e multi scalare legato con le strategie di valorizzazione e sviluppo e gli apparati normativi specifici del contesto. L’Osservatorio si concretizza come un portale Web-GIS multi utente che contiene informazioni geografiche multi scalari (Mappe) ed altra documentazione (documenti di sintesi, report, grafici, ...) definibile come un “Osservatorio Territoriale”. Gli indicatori dello Scenario BASE misurano e rappresentano le qualità del CS contribuendo a generare un processo di condivisione e sintesi dell’informazione tra l’Amministrazione Pubblica (AP) ed i diversi attori coinvolti nel piano (proprietari degli edifici, imprese di settore, professionisti, ricercatori, ...). La ricerca si sta concentrando anche sulla progettazione di interfacce capaci di raccogliere e sistematizzare il feedback informativo volontario Informazione Geografica Volontaria (VGI) specifico dei diversi attori coinvolti nel processo di piano, in modo da generare dinamicamente nuova conoscenza utile all'aggiornamento dello Scenario BASE (Figura 1). Figura 1 | Diagramma logico dell'Osservatorio. Fonte: elaborazione dell'autore. www.sardegnageoportale.it, (Ortofoto, foto oblique, DB topografico scala 1:500, foto aeree storiche, tematismi ambientali, repertorio dei beni storico-culturali, DTM, DSM). 2 http://www.sardegnaterritorio.it/urbanistica/pianiparticolareggiati.html, (Manuali del Recupero dei Centri Storici della Sardegna, Laboratori del Centro Storico, Linee Guida). 1 1060 Il sistema di indicatori traccia lo “Scenario BASE”; esso è sintetizzato tramite specifici algoritmi di calcolo e metodologie qualitative utilizzando come base di dati le SDI ufficiali disponibili e le attività di analisi e rilievo legate alla redazione dei PPCS. La rappresentazione dello Scenario BASE è impostata su tre scale di aggregazione (Figura 2): • scala territoriale, ogni CS è rappresentato da valori aggregati, essi possono costituire un metodo condiviso per il confronto delle diverse realtà isolane orientato alla diffusione di best practices e alla definizione di politiche di sviluppo territoriale; • scala del CS, la rappresentazione ha l'obiettivo di supportare le amministrazioni locali nel monitoraggio del PPCS e dello studio di strategie progettuali, perciò è supportato da mappe che mostrano i valori degli indicatori per ogni edificio, da indici e grafici riassuntivi; • scala dell'edificio, costituisce la base dati utile per l’impostazione di interfacce di dialogo orientate ai proprietari degli edifici e supporta i processi di aggiornamento del Data base. Per facilitare il confronto tra diversi CS, nel passaggio alla scala territoriale gli indicatori sono sintetizzati in indici aggregati tramite metodologie che sono in via di definizione. La scelta dei valori, su cui basare la sintesi degli indicatori si riferisce alle recenti esperienze dei protocolli di certificazione ambientale degli edifici (GBC LEED, CASACLIMA, ITACA) ai quali si cercano di integrare, in chiave strategica, la scala Urbana e gli indirizzi della RAS riguardo la tutela e la valorizzazione del patrimonio storico culturale. I protocolli propongono approcci semplificati orientati alla comunicazione anche ad un pubblico non tecnico adatti alle finalità dell’Osservatorio, essi basano la misura della sostenibilità su sistemi gerarchici e multi disciplinari di indicatori ed indici, anche piuttosto articolati, ma che poi confluiscono in pochi sintetici parametri di giudizio. Si tratta di metodologie che, oltre ad avere una consolidata base scientifica, godono di una certa diffusione e riconoscibilità sia per gli operatori del settore che per il semplice cittadino. Si propone un approccio che definisce un sistema gerarchico di indicatori per valori e temi, dove ogni tema può avere uno o più indicatori o indici che definiscono lo Scenario BASE variamente legati ai dati di base (Tabella I). Figura 2 | Approccio per la definizione del Sistema di Indicatori. Fonte: elaborazione dell'autore. Gli indicatori dedicati alle prestazioni energetiche sono basati su un modello analitico alla scala del singolo corpo di fabbrica, sviluppato in ambiente GIS, coerente con la normativa vigente per la redazione degli Attestati di Prestazione Energetica (APE)3. Il modello permetterà l’implementazione di uno strumento per supportare le AP ed i progettisti nel progetto e nella valutazione di strategie di recupero ed efficientamento del patrimonio edilizio. Il modello esegue prima un'analisi geometrica di ogni edificio definendone: le superfici disperdenti, i volumi riscaldati, l'orientamento e l'ombreggiamento di ogni facciata (Figura 3). Incrociando i dati 3 La normativa tecnica UNI 11300 TS 2014 e il DL 192/2006 con i successivi aggiornamenti. 1061 geometrici con le informazioni sui materiali contenute nei PPCS, il modello calcola i parametri di efficienza dell'involucro per ogni edificio (Figura 3). Per proseguire nel calcolo dei parametri di efficienza servono però informazioni sugli impianti, sui vettori energetici utilizzati e sugli stili di consumo che non sono normalmente contenuti negli studi dei PPCS. Nel concept della metodologia esse dovrebbero essere di natura volontaria, ricavate tramite apposite interfacce di eco-feedback integrate nel portale (Jain, 2011) (Figura 3). Figura 3 | Diagramma del modello. Fonte: elaborazione dell'autore. 3 | Caso studio di Assolo Assolo è un piccolo comune fortemente rurale della provincia di Oristano (400 ab. circa) interessato da un processo di redazione di un nuovo Piano Particolareggiato per il Centro Storico del paese, che grazie alla sua limitata dimensione risulta adatto alla sperimentazione (Figura 4). Le finalità e le attività svolte nella sperimentazione sono inquadrabili i tre aspetti: • valutare fino a che punto la costruzione della conoscenza di sfondo del PPCS coerente con le linee guida regionali possa essere utilizzata come base dell'Osservatorio, tramite la sintesi di un gruppo preliminare di indicatori; • presentare la struttura dell'Osservatorio e valutare la significatività degli indicatori direttamente con i destinatari dello strumento, tramite un evento di presentazione della ricerca svolto nella comunità; • sperimentare un approccio partecipativo ed il contenuto delle interfacce di feedback, tramite un questionario sottoposto ai residenti ed ai fruitori del CS. 3.1 | Sistema degli indicatori Inizialmente si è raccolto un ampio gruppo di possibili indicatori basati sulle SDI disponibili e sulle possibili azioni di rilievo (topografico, ambientale, partecipativo). Il gruppo di indicatori è stato sperimentato nel caso studio al fine di valutare: la complessità delle analisi necessarie, la reperibilità e l'aggiornabilità dei dati di base, la significatività e la pertinenza degli indicatori rispetto ai destinatari dello strumento. Si riporta una tabella riassuntiva degli indicatori che sono stati selezionati per la presentazione della ricerca, essi saranno integrati con i risultati del questionario e presentati ad un altro incontro (Tabella I). Il sistema di indicatori è uno dei possibili e dimostra le potenzialità uno strumento come l’Osservatorio sviluppato sui dati territoriali disponibili. Il lavoro sarà l’occasione per coinvolgere altri esperti nella definizione del sistema di indicatori e delle regole di aggregazione e valutazione delle variabili. Qui non entreremo nel dettaglio degli algoritmi adottati e non riportiamo i valori quantitativi i ottenuti nella 1062 sperimentazione4, ma si vuole ragionare su una sintesi dei risultati in maniera da individuare alcuni indirizzi per le fasi successive della ricerca. In questo caso si è collaborato con i professionisti incaricati del piano per strutturare la base conoscitiva in un DB geografico che ha facilitato il calcolo degli indicatori legati al piano. Gli indicatori possono essere sintetizzati tramite semplici operazioni di geoprocessing che non generano particolari aggravi alle ordinarie attività di rilievo ed analisi legate alla redazione dei PPCS, mentre, per facilitare l'utilizzo del modello energetico, le operazioni sono state codificate in appositi toolbox GIS. La struttura spaziale della base conoscitiva sarà fondamentale per implementazione di uno strumento di aggiornamento legato alle pratiche edilizie. Sono in corso altre sperimentazioni per valutare la fattibilità d'uso del sistema di indicatori anche in casi dove la conoscenza di base non sia stata preliminarmente strutturata su DB geografici. 3.2 | Risultati della sperimentazione La ricerca è stata presentata presso il centro di educazione ambientale di Assolo, i presenti (circa 35 tra tecnici ed i cittadini) hanno indicato come maggiore criticità, la numerosità dei valori e temi analizzati che possono rendere dispersiva la consultazione dei contenuti dell'Osservatorio. I tecnici funzionari di alcune amministrazioni comunali limitrofe suggeriscono di focalizzarsi su indicatori strettamente correlati ai PPCS, limitando quelli di natura più ambientale (Tabella I). Nelle settimane successive sono stati sottoposti alla comunità locale due questionari: uno per il fruitore generico del centro, che riguarda la percezione della qualità ambientale ed architettonica dello spazio pubblico e le possibili strategie di valorizzazione del centro; l'altro per i residenti nel CS ai quali sono state chieste informazioni sul proprio edificio: sistema edificio - impianto, uso della unità immobiliare, confort interno percepito e propensione all'intervento. Questionario fruitore generico Il campione è composto in prevalenza da residenti nel centro storico (43 residenti su 64 questionari), molti (circa il 70%) dichiarano di non aver visitato molti centri storici e di avere limitati termini di paragone per valutare il proprio. Gli intervistati valutano il centro come mediocre ma con le potenzialità per essere attraente, individuano come principale fattore limitativo la qualità dello spazio pubblico mentre lo stato degli edifici sembra essere giudicato con un livello di criticità minore (Figura 5). In generale, gli intervistati mostrano una certa fiducia sulle possibilità di sviluppo legate alla valorizzazione del CS, ed individuano chiaramente le attività artigianali tradizionali come la maggiore vocazione locale, sottolineando la debolezza della vocazione turistico – ricettiva (Figura 5). Questionario per il residente nel CS: Uso del patrimonio Il patrimonio immobiliare è caratterizzato da una quantità considerevole di Unità Immobiliari (UI) inutilizzate o utilizzate molto saltuariamente prevalentemente per brevi vacanze estive (46%), si sono effettuate 43 interviste corrispondenti al 53% degli edifici utilizzati. Questionario per il residente nel CS: Stato di conservazione e confort interno La maggior parte degli intervistati (70%) ha valutato come “buono” lo stato di conservazione generale della propria UI (21% mediocre, 9% scarso). Durante la stagione invernale più del 50% dichiarano severe condizioni di confort interno (freddo, molto freddo). In estate, grazie alle caratteristiche di inerzia termica delle strutture massive in pietra, prevalgono le condizioni buone (fresco) (Figura 5). I giudizi positivi vanno però opportunamente valutati, in quanto, visto il limitato numero di residenti per UI, è frequente che essi tendano ad usare solo gli ambienti più confortevoli abbandonando gli altri per intere stagioni. Questionario per il residente nel CS: Sistema edificio - impianto Nella maggior parte delle UI il camino a legna è l'unico sistema di riscaldamento (72% delle UI); solo nel 26% dei casi esso è combinato con veri e propri impianti (caldaia con radiatori, pompe di calore) che tuttavia sono utilizzati per poche ore al giorno come sistemi integrativi per lo più localizzati nella zona notte. I sistemi di raffrescamento sono praticamente assenti, se presenti, gli intervistati dichiarano di non utilizzarli grazie alle buone condizioni di confort estivo. La quasi totalità degli intervistati utilizza il boiler elettrico per la produzione dell'ACS. 4 Per approfondimenti si rimanda al report presente nel sito sviluppato per la presentazione della ricerca http://osservatoriocs.geonue.it/. 1063 Questionario per il residente nel CS: Propensione all'intervento Circa il 50% del campione ha dichiarato di avere effettuato almeno un intervento edilizio negli ultimi 20 anni e circa il 40% ha intenzione di compierne altri nei prossimi anni. Gli interventi riguardano per lo più il rifacimento delle coperture (circa il 35%) ed una percentuale non irrilevante di edifici è stata anche sottoposta ad interventi di ristrutturazione interna (circa il 25%) che però non hanno mai riguardato gli impianti (Figura 5). Parallelamente, l’intervento maggiormente atteso è il rifacimento della copertura (circa 45%), a cui segue la ristrutturazione completa (circa il 15%) (Figura 5). Questionario per il residente nel CS: Consumi I consumi per riscaldamento sono legati principalmente alla legna mentre la produzione di ACS incide sui consumi elettrici; gli altri vettori sono residuali (incidono meno del 5%). Non è stato facile rilevare la spesa ed i consumi della legna, essi non sono standard: dipendono fortemente dal camino, dal tipo di legna, dalla temperatura interna e dal tipo di ambienti riscaldati. Gli intervistati hanno mostrato forti difficoltà a definire le quantità medie consumate facendo alternativamente riferimento a diverse unità di misura ed a spese forfettarie. Tramite un metodo empirico di conversione5 abbiamo definito una spesa media annua di circa 900 euro per il riscaldamento della stanza maggiormente utilizzata (la cucina). Molti possiedono terreni e, se possono, provvedono di persona all'approvvigionamento della legna perciò sono presenti spese molto basse (Figura 5). 4| Conclusioni: lezioni apprese Uno dei risultati più importati della sperimentazione è il ripensamento del ruolo delle VGI nella metodologia: la comunità destinataria della campagna di rilievo è prettamente composta da anziani caratterizzati da un basso livello di scolarizzazione che hanno forti difficoltà all'utilizzo delle tecnologie informatiche. Non è stato, perciò, possibile procedere con la compilazione autonoma del questionario: la campagna è stata svolta tramite interviste effettuate da un tecnico affiancato da un “esperto” dei luoghi, che ha facilitato la creazione del rapporto di fiducia con i destinatari dell’indagine. Gli intervistati hanno mostrato una relativa facilità a rispondere alle domande sulla percezione dei luoghi ed il confort interno, ma per quelle di natura più tecnica (involucro, impianti, consumi) hanno avuto necessità del supporto dell'intervistatore. Ciò ridimensiona la possibilità di utilizzare le interfacce rivolte ai residenti nel CS per il feedback sulle caratteristiche di edificio ed impianti utili al modello. Queste informazioni potranno più proficuamente essere richieste ai tecnici tramite apposite interfacce per la presentazione di pratiche edilizie. Le interfacce dedicate ai residenti potrebbero essere perciò orientate più all'educazione e l'informazione della cittadinanza ed allo studio delle sue preferenze ed attese. Il sistema di indicatori è stato valutato nel complesso significativo e pertinente, tuttavia, per quanto sia stata apprezzata la sua articolazione multi scalare e multi disciplinare, la numerosità dei valori è stata ritenuta di ostacolo alla comprensione. Si stanno sviluppando altri casi studio per testare questi ed altri indicatori, tuttavia sembrano delinearsi due indirizzi che vanno verso direzioni differenti: • allinearsi alle procedure che verranno proposte nel Protocollo ITACA per i quartieri (Gandolfi 2015), esso è un riferimento consolidato però potrebbe portare ad una complicazione delle procedure; • limitare il numero di indicatori e focalizzarsi sulla funzione di monitoraggio e supporto al PPCS, favorendo la comunicabilità dei risultati e replicabilità delle procedure. Una forte criticità riguarda gli indicatori di efficienza energetica calcolati tramite il modello. Essi sono stati ritenuti troppo tecnici dagli attori coinvolti, ma, aspetto più rilevante, essi sembrano poco pertinenti alle caratteristiche del contesto. In accordo con i riferimenti (APE, ITACA) lo scopo di questi indicatori è promuovere interventi di efficientamento per la diminuzione delle emissioni di CO2. Nel nostro caso studio, grazie all'uso diffuso di biomasse locali, le emissioni di CO2 sono molto limitate; mentre la priorità è evidentemente il miglioramento del confort interno. Inoltre i calcoli considerano "volume riscaldato" tutto il volume dedicato alla residenza, mentre abitualmente è riscaldata solo la cucina, perciò anche la stima del fabbisogno teorico (EPgl) risulta essere molto lontana dalle reali condizioni d'uso. La ricerca sta procedendo nella definizione di alcune strategie progettuali specifiche e nell'individuazione di indicatori più adatti al contesto. 5 1Metro Cubo di legna = 7 quintali; 1 Carrello di legna = 30 quintali; 18,50 euro al quintale. 1064 Tabella I | Sistema di Indicatori proposto nel caso studio. 1065 Figura 4 | Inquadramento geografico e dati demografici. Fonte: elaborazione dell'autore da Ortofoto RAS e dati ISTAT. 1066 Figura 5 | Sintesi dei risultati dei questionari. Fonte: elaborazione dell'autore. 1067 Riferimenti bibliografici Farinós, J. (2011), “Inteligencia territorial para la planificación y la gobernanza democráticas: los observatorios de los territorios”, in Proyección, revista periódica digital. Publicación del Instituto CIFOT, Universidad de Cuyo, Mendoza. Gandolfi C., Moltalbini R. (2015), “Il protocollo ITACA a scala urbana, disponibile su www.itaca.org/documenti/news/Protocollo%20AREE%20URBANE.pdf. Girard L.F. (2013), "The cultural base of cities for improving their resilience, creativity and sustainability", in Coletta T. (a cura di), The role of the integrated conservation of cultural heritage for a creative, resilient and sustainable city, ACTA of the ICOMOS-CIVVH Symposium, Naples 2012, Franco Angeli, Milano, pp. 17-24 Hiremath R. B. et al. (2013), “Indicator-based urban sustainability—A review”, in Energy for Sustainable Development, vol.17, pp. 555–563. Jain R.K., Taylor J.E., Peschiera G. (2011), “Assessing eco-feedback interface usage and design to drive energy efficiency in buildings” in Energy and Buildings, vol. 48, pp. 8-17, 2011. Prezioso, M. (2008); “The territorial dimension of a competitive governance in sustainability”, Boletín de la Asociación de Geógrafos Españoles 46, pp. 163-179. UNESCO (2012), Recommendation on the Historic Urban Landscape, adottata nel novembre 2011 e approvata nel maggio 2012. Sitografia Protocollo GBC LEED www.gbcitalia.org/ Protocollo ITACA www.itaca.org/valutazione_sostenibilita.asp Protocollo CASACLIMA www.agenziacasaclima.it/it/certificazione/3-0.html Infrastruttura di Dati Spaziali (SDI) della Regione Autonoma della Sardegna www.sardegnageoportale.it Materiale di indirizzo per la redazione dei PPCS, www.sardegnaterritorio.it/urbanistica/pianiparticolareggiati.html Caso studio di Assolo (OR) osservatoriocs.geonue.it/ Riconoscimenti Questo contributo è un prodotto della ricerca “Osservatorio per la riqualificazione sostenibile del patrimonio edificato” è sviluppata presso la rete di imprese GeoEnGis srl – Compucart srl – Consulmedia srl, mediante una borsa di ricerca finanziata con le risorse del P.O.R. SARDEGNA F.S.E. 2007-2013 Obiettivo competitività regionale e occupazione, Asse IV Capitale umano, Linee di Attività l.1.1. e l.3.1. 1068 Una sperimentazione di strumenti web-based per la partecipazione dei cittadini ai processi di rigenerazione urbana: l’infrastruttura ICT CAST e l’Urban Center Virtuale Piergiuseppe Pontrandolfi Università degli Studi della Basilicata Dipartimento delle Culture Europee e del Mediterraneo – DICEM Email: piergiuseppe.pontrandolfi@unibas.it Francesco Scorza Università degli Studi della Basilicata Scuola di Ingegneria, Laboratorio di Ingegneria dei Sistemi Urbani e Territoriali (LISUT) Email: francesco.scorza@unibas.it Abstract Nei processi di pianificazione fisica e programmazione economica sia alla scala urbana che alla scala territoriale il ruolo della partecipazione rappresenta un elemento centrale del processo di piano. La partecipazione è spesso associata a forme di organizzazione (che chiamiamo strutture della partecipazione) che ritrovano nell’Urban Center un modello che in letteratura appare eterogeneo per finalità, funzioni ed organizzazione. Il lavoro analizza i primi risultati del Progetto CAST (Cittadinanza Attiva per lo Sviluppo Sostenibile del Territorio) ed in particolare ai primi risultati ottenuti nelle applicazioni condotte nel Quartiere di Poggio tre Galli a Potenza dove la sperimentazione di un approccio partecipativo misto tradizionale/tecnologico ha permesso l’elaborazione di scenari di rigenerazione urbana caratterizzati da un approccio inclusivo “citizens centered”. Il lavoro presenta un contributo operativo in termini di Smart Planning ovvero di approcci evolutivi 2.0 orientati ad una gestione urbana inclusiva e partecipata attraverso strumenti ICT. Una caratteristica singolare della piattaforma ICT sviluppata nell’ambito del progetto CAST è rappresentata dall’integrazione di strumenti per la gestione e l’analisi degli streaming dei principali social network con una SDI. La dimensione dell’esperienza condotta, descritta sia in termini quantitativi che di disegno strategico di rigenerazione urbana a scala di parti di città, fa emergere da un lato una domanda di contributi bottom up che si attesta prevalentemente all’interno delle istituzioni e che invece non corrisponde a gruppi di interesse qualificati; dall’altro la necessità di sperimentare soluzioni efficaci al fine di bilanciare l’impegno a gestire e configurare sistemi informativi complessi rispetto alla qualità dei risultati che dipende da un insieme di fattori. Le prospettive di ricerca guardano alla definizione di procedure ‘web-assisted’ per la partecipazione alle scelte di governo della città e del territorio che, a partire dagli strumenti ICT testati nell’ambito del progetto CAST, possano consolidare pratiche bottom-up come DSS. Parole chiave: participation, urban renewal, urban policies. 1 | Introduzione Il processo verso l’identificazione di modelli di sviluppo e rigenerazione urbana inclusivi passa attraverso l’implementazione di processi partecipativi evoluti in cui le esigenze degli attori individuati possano 1069 trovare spazi e forme di approfondimento tecnico finalizzate alla costruzione di strategie sostenibili di sviluppo urbano (cfr. Luisi 2016). In questo senso il progetto CAST (Cittadinanza Attiva per lo Sviluppo Sostenibile del Territorio) rappresenta un utile caso di studio in cui un processo partecipativo assistito da strumenti ICT evoluti (crf. Lanza e Prosperi, 2009) ha generato un ampio interesse della comunità locale e – conseguentemente – dell’amministrazione pubblica rispetto all’opportunità di definire strategie di riqualificazione urbana in un contesto circoscritto e peculiare da candidare a finanziamento nell’ambito dell’agenda urbana 2014-2020. In termini procedurali è opportuno evidenziare come tale contributo strettamente “bottom-up” rappresenti un elemento di valore in un contesto in cui le amministrazioni pubbliche responsabili dei processi di governo delle trasformazioni urbane vivono un momento di crisi di mezzi e strumenti (Cutini, Rusci, 2016; Manganelli et al. 2013) per approfondire, sviluppare e stimolare un attivo coinvolgimento dei cittadini. Il lavoro presenta un contributo operativo in termini di Inclusive Smart Planning ovvero di approcci evolutivi 2.0 (come estensione dell’esperienza descritta da Murgante et al. 2011) orientati ad una gestione urbana inclusiva e partecipata attraverso strumenti ICT. Il progetto considera un approccio interdisciplinare nella progettazione ed implementazione di processi partecipativi che guarda a esempi rilevanti in letteratura (Ave 2005; Gibelli, 2009; Tedesco 2005). Esperti di diverse discipline (in particolare urbanistica, architettura e sociologia) interagiscono con le comunità locali, anche con l’ausilio di strumenti informatici e web-based, per sperimentare forme innovative di egovenance. In questo lavoro, dopo una presentazione del contesto di implementazione e dei principali riferimenti metodologici, si descrive in linea generale il quadro strategico derivante dal processo partecipativo. Le conclusioni rimandano a successivi sviluppi e approfondimenti delle metodologie e delle procedure adottate nell’ambito di un modello organizzativo di “virtual urban center”. 2 | Il contesto di implementazione del progetto CAST Gli ambiti territoriali di interesse del progetto CAST sono: l’area metropolitana di Potenza e la città di Matera che, immediatamente a valle della nomina a “Capitale europea della cultura per il 2019” svilupperà iniziative importanti anche sotto il profilo dell’innovazione e della rigenerazione urbana. All’interno della Regione Basilicata tali ambiti d’intervento risultano beneficiari delle azioni di programmazione dei Fondi Strutturali per lo sviluppo sostenibile delle città all’interno del PO FESR 20142020. La ricerca fornisce contributi alla formazione di scenari di intervento che includano gli esiti di azioni di innovazione sociale (enpowerment) sul territorio (Pontrandolfi, 2010). La proposta nasce dall’idea di promuovere un più ampio processo di partecipazione alla definizione delle scelte e degli interventi di programmazione economico-territoriale all’interno di una rinnovata strategia di sviluppo locale in Basilicata al fine di affrontare evidenti elementi di debolezza economica e sociale che, pur in presenza di rilevanti risorse naturali, culturali, economiche e sociali, non favoriscono pienamente il rilancio dei processi di sviluppo endogeno in ambito urbano e territoriale. I temi principali sono quelli del riequilibrio territoriale, della inclusione sociale, della organizzazione dei servizi di base secondo principi di equità, efficienza e corretto uso delle risorse per promuovere le linee di indirizzo principali per un progetto urbano sostenibile che possa fare riferimento, per quanto attiene alla attuazione degli interventi, alle risorse finanziarie che nei prossimi anni, soprattutto a valere sui fondi comunitari, potranno rendersi disponibili (Pontrandolfi, 2009). Mentre per la città di Matera l’obiettivo del progetto è quello di approfondire i termini di una visione complessiva di sviluppo della città nella prospettiva di capitale della cultura europea nel 2019, per il caso di studio della città di Potenza – che in questo lavoro viene descritto per gli elementi caratterizzanti – si pone la questione di attivare un processo complessivo di rigenerazione e qualificazione del tessuto urbano delle aree periferiche in un contesto singolare: potenziale dissesto dell’amministrazione comunale e programmazione di risorse straordinarie rilevanti provenienti dai Fondi Strutturali UE. 3 | Tecnologie per la partecipazione: una soluzione open source integrata La componente tecnologica del progetto si basa su una piattaforma ICT online che integra strumenti e framework open-source per la realizzazione di una infrastruttura tecnologica integrata che consenta un elevato livello di interazione tra gli utenti rispetto alle dimensioni della partecipazione precedentemente descritte. Il progetto della infrastruttura tecnologica proposta assume a riferimento alcune esperienze che in questo dominio sono state sviluppate di recente; tra queste appare rappresentativo il progetto “Cilentolabscape” 1070 (cfr. Attardi et al. 2014; Cerreta et al. 2016) che propone una piattaforma integrata che combina in forma avanzata funzionalità tradizionale di esposizione di dati a strumenti di interazione sociale avanzati. Il sistema integra funzioni di CMS (content management system), un Geoportale per la visualizzazione e la gestione delle informazioni territoriali, sistemi avanzati per la gestione di sondaggi e votazioni online, servizi OCG per la gestione e condivisione dei dati secondo gli standard dell’OPEN DATA, integrazione con social network e gestione di social allert spaziali per la partecipazione e il collaborative mapping (Scorza, Pontrandolfi, 2015). Il sistema si articola nelle seguenti componenti principali: Piattaforma tecnologica CMS & SDI, il geoportale, widget, app POI builder, app mobile di accesso al portale. La piattaforma tecnologica integrata: schematizzazione delle principali componenti Il design dell’infrastruttura prevede una Spatial Data Infrastructure (SDI), costituita da un central database (PostgreSQL/PostGis), un geospatial application server (GeoServer) e un content management system (Joomla). Il progetto richiede l’installazione e la configurazione di un central database realizzato mediante un RDBMS PostgreSQL con PostGIS Extension con le seguenti funzioni strutturali: accogliere, gestire ed archiviare i dati spaziali, raster e alfanumerici; accogliere, gestire ed archiviare i dati non spaziali provenienti dal content management system (Joomla). La gestione e l’esposizione attraverso il web dei contenuti del portale è affidata ad un sistema CMS (Content Management System) con funzioni e strumenti tradizionali: gestione contenuti statici, News e Newsletter, Gallery, Download. La SDI è dedicata alla erogazione di servizi di mapping, e dovrà essere implementata attraverso un cluster applicativo con bilanciatore di carico mediante un Load Balancer Server implementato con il Web Server Apache 2 con modjk. La Spatial Data Infrastructure costituisce la base per l’erogazione e la fruizione di tutti i servizi di mapping. Essa si compone di due logiche differenti a seconda che si trattino di Dati Vettoriali o di Dati Raster. Il Geoportale del progetto CAST La dimensione spaziale delle informazioni prodotte all’interno del processo di partecipazione viene organizzata all’interno del Geoportale. Le principali funzionalità necessarie a garantire un livello di operatività adeguato sono: visualizzazione di mappe di base (Google, Bing, Open Street Map), controlli base di navigazione della mappa (Pan, Zoom), funzione di gestione lista servers OGC per l’interoperabilità, visualizzazione lista layer e overlay-mapping dinamica, funzioni di filtraggio dati, gestione utenze, salvataggio progetti mappa per profilo utente, funzionalità di Geo-Coding per posizionamento in mappa (ricerca luoghi, componenti), gestione Viewport (posizionamenti in mappa in aree personalizzate). Social Mapping & Social Allert I social network sono attualmente la banca dati più grande del mondo. Se consideriamo Twitter, un social network che offre un servizio di ‘short message’ con opzione di geolocalizzazione, ogni giorno vengono generati qualcosa come 400ML di tweets resi disponibili dal sistema mediante API. Il messaggio tweetter è una innovativa forma di informazione geo spaziale (proveniente dai vari dispositivi mobile tramite l’utilizzo del gps o della rete gsm) e multimediale (immagini e testi generalmente organizzati in forma sintetica e particolamente significativa). La possibilità di integrare i social network all’interno di un web-gis favorisce l’interazione dell’utente con il sistema, aumentando il livello e la qualità del processo di partecipazione immaginato nell’ambito del progetto CAST. La funzionalità chiave è quella di segnalare istanze georiferite da parte degli utenti in riferimento a emergenze puntuali classificabili in funzione degli argomenti discussi all’interno della piattaforma. 4 | Approccio metodologico: l’LFA Sul piano metodologico l’esperienza è stata condotta secondo la procedura del Logical Framework Approach. I riferimenti sono rintracciabili nel lavoro di ricerca e applicazione del LISUT (tra cui Las Casas et al. 2016; Las Casas, 1984; Las Casas, 1995; Las Casas e Sansone, 2004) che individuano nel LFA un riferimento metodologico strutturato utile ad un approccio razionale al processo di piano. L’LFA si caratterizza per 1071 una fase di analisi in cui all’interno di azioni di coinvolgimento dei principali stakeholders assistite dei contributi tecnici di analisi e valutazione del contesto di implementazione, vengono definite criticità e conseguenti finalità operative per l’individuazione di strategie (alternative) di intervento. Segue una fase di sintesi in cui attraverso la Matrice del quadro Logico si definisce la forma operativa della struttura di programma collegando finalità, risultati, azioni e risorse secondo una logica rigorosa connessa ad un sistema di indicatori “aggettivamente verificabili”. Il Logical Framework (LF) serve per strutturare la logica delle attività di piano al fine di facilitarne la valutazione nelle diverse fasi del Project Cycle Management. Las Casas e Scorza (2009) propongono una versione della LFM che oltre ai principi di efficacia ed efficienza della spesa pubblica mira ad esplicitare la coerenza e pertinenza delle scelte di policy rispetto al contesto di implementazione nell'ottica di una ricerca di politica place o context based. Aune (2003) ci avverte del pericolo: “Form over substance”. Nel settore degli aiuti alle imprese, spesso la “forma” dell’LFA sostituisce la “sostanza”. Infatti, nelle applicazioni più estese dell’LFA la vittoria della forma sulla sostanza può essere rappresentata dalla “compilazione della matrice” oltre i livelli di utilità richiesti dal progetto. Coleman (1987) sostiene che l'approccio dell’LFA è un “aiuto al pensiero” piuttosto che un insieme di procedure. Nell’ambito del progetto CAST è stata principalmente sviluppata la fase di analisi dell’LFA. Partendo da elaborazioni tecniche e valutazioni urbanistiche del contest di implementazione, attraverso un calendario di incontri partecipativi, l’analisi dei risultati ottenuti attraverso questionari online e l’analisi dello streaming dei social network sono stati elaborate gli alberi dei problemi e degli obiettivi. Figura 1 | Albero dei problemi: il quadro d’insieme Fonte: elaborazione degli autori Dall’elaborazione complessiva sono state estratte le questioni settoriali per un confronto sistematico con gli stakeholders e l’amministrazione: 1072 Figura 2 | Albero dei problemi: settore viabilità e mobilità Fonte: elaborazione degli autori Tali elaborazioni, sviluppate secondo un approccio evolutivo di confronto e revisione con I principali stake-holders coinvolti nel progetto CAST sono stati discussi con l’Amministrazione Comunale che ha dichiarato l’interesse ad assumere tale quadro conoscitivo/valutativo come base per la programmazione delle risorse dell’Agenda Urbana nel quadro della programmazione 2014-2020. 5 | Il laboratorio di urbanistica partecipata a “Poggio Tre Galli” Nell’ambito del progetto CAST si sono sviluppate a Potenza attività ed esperienze che vanno nella direzione di favorire forme di cittadinanza attiva nei processi di governo della città e che le Associazioni promotrici del progetto intendono sviluppare e consolidare nei prossimi mesi. In particolare, si è sviluppata una esperienza di partecipazione con la istituzione di un Laboratorio di Urbanistica Partecipata sui temi della rigenerazione urbana nei quartieri della zona occidentale della città (Poggio Tre Galli e zona G), con il coinvolgimento di cittadini, rappresentanti dell’amministrazione comunale, associazioni culturali e di volontariato della città. L’area urbana interessata è quella occidentale della città comprendente il quartiere di Poggio Tre Galli, la zona G e l’area del cosiddetto “Centro Studi” dove sono ubicate molti istituti per la istruzione superiore e le scuole dell’obbligo a servizio del quartiere, oltre a diversi edifici destinati ad ospitare gli uffici regionali. Il quartiere di P3G è stato realizzato sulla base di un ‘piano di zona’ tra gli anni ’70 e ’80 e sono ancora in corso interventi di completamento; l’area del Centro Studi, oggetto di un originario piano particolareggiato approvato nella prima metà degli anni ’70, è stata oggetto di interventi edilizi puntuali e non coordinati e si presenta ancora con molte aree non edificate. In anni recenti le originarie previsioni urbanistiche sono state oggetto di variazioni che hanno comportato una significativa trasformazione della struttura urbana del quartiere. Nonostante gli stravolgimenti del progetto originario il quartiere presenta molti aspetti positivi in termini di qualità della vita, ma anche molti problemi che andrebbero affrontati e risolti. A fronte di potenziali aree e spazi che potrebbero essere ancora utilizzati per promuovere una complessiva riqualificazione urbanistica del quartiere esistono potenziali rischi, anche legati ad alcune previsioni del Regolamento Urbanistico che potrebbero rappresentare invece elementi di ulteriore congestione e degrado degli spazi del quartiere. Per i temi da affrontare e per il particolare ambito urbano interessato, un ruolo importante è stato svolto dagli studenti e dai docenti delle istituzioni scolastiche presenti nell’area. Le attività del Laboratorio sono state sviluppate secondo due modalità. Una più tradizionale che ha previsto il lavoro di un gruppo ristretto di soggetti (esperti, rappresentanti del quartiere, associazioni) ed una più innovativa che ha previsto una interlocuzione con una platea più ampia di soggetti attraverso l’utilizzo delle nuove tecnologie informatiche e l’uso dei social network. 1073 Nella fase iniziale del Laboratorio grande attenzione è stata rivolta alla conoscenza del territorio, come costruzione collettiva e condivisa in base all’interazione fra attori diversi. Dalla discussione di quanto è emerso nella prima fase di conoscenza si è sviluppato il processo di valutazione finalizzato a definire i problemi più importanti che interessano il quartiere. La condivisione dei problemi ha avviato la discussione e la definizione degli obiettivi su cui articolare credibili strategie di intervento, attente a considerare le integrazioni tra questioni settoriali. Le strategie e gli interventi sono stati indicati e descritti in una assemblea conclusiva per offrire un contributo di discussione ulteriore e sottoporre le proposte all’Amministrazione Comunale, indicando eventuali priorità. La strategia di rigenerazione urbana, sulla base del confronto delle valutazioni e delle proposte emerse nel corso del Laboratorio, privilegia interventi materiali ed immateriali che siano fattibili, sinergici e il più possibile sostenibili ambientalmente, economicamente, socialmente e proceduralmente e soprattutto coerenti con la indicazione degli obiettivi il cui conseguimento dovrebbe consentire di affrontare, almeno in parte, i problemi e le criticità indicati nella discussione e di rispondere, in modo efficace ed efficiente, alle istanze ed ai bisogni dei cittadini e dei fruitori del quartiere. La vision complessiva alla base della proposta e delle strategie di intervento elaborate nel Laboratorio fa riferimento ad un progetto di rigenerazione urbana che ha nella promozione di una mobilità sostenibile e nello sviluppo della pedonabilità e nella realizzazione di un sistema a rete di infrastrutture verdi, servizi e spazi aperti per la comunità dei cittadini i capisaldi fondanti per la promozione di una città sostenibile. La proposta è quella di sviluppare una struttura urbana (fondata su verde, pedonalità e servizi integrati) su cui adeguare ed adattare sia le infrastrutture per la mobilità veicolare e sia i completamenti del sistema insediativo1. La figura seguente riporta lo schema generale identificato attraverso il processo partecipativo con indicazione dei principali interventi puntuali e lineari proposti e la classificazione di dettaglio delle aree. Figura 3 | Schema di intervento. Fonte: elaborazione degli autori 1 Nella misura strettamente necessaria alla acquisizione delle aree di uso pubblico applicando un modello di perequazione urbanistica con trasferimento e concentrazione dei diritti edificatori spettanti ai privati attuali proprietari delle aree in nuovi interventi costruttivi che si integrino con la struttura urbana esistente e la previsione delle nuove aree da destinare ad uso pubblico. 1074 Gli interventi proposti fanno riferimento a strategie di miglioramento della mobilità veicolare ed alla mitigazione del traffico, alla promozione della mobilità lenta (in particolare pedonale e ciclabile, anche valorizzando e recuperando spazi e percorsi esistenti), all’incremento della dotazione di infrastrutture verdi, alla promozione della agricoltura urbana, alla connessione fisica e funzionale tra le differenti parti dell’ambito urbano (in particolare tra l’area del Centro Studi ed il quartiere di Poggio 3 Galli), all’incremento ed al miglior uso della dotazione complessiva di spazi ed attrezzature per lo svago ed il tempo libero (anche con il recupero di attrezzature esistenti), all’incremento della dotazione di attrezzature e spazi di uso pubblico, alla riqualificazione di aree per la sosta ed il parcheggio da connettere con la viabilità pedonale. La proposta darà seguito ad iniziative di informazione e comunicazione ulteriori, anche per approfondire e discutere nel merito le strategie e gli interventi, sia da parte dei cittadini del quartiere che da parte delle associazioni presenti ed interessate e della stessa Amministrazione Comunale. In particolare, successivamente all’incontro conclusivo, i promotori del progetto CAST intendono promuovere una attività ampia di comunicazione on-line che preveda anche modalità di valutazione del lavoro fatto e della proposta e, soprattutto, propongono l’istituzione di un tavolo tecnico a cui chiamare a partecipare l’Amministrazione Comunale, le Associazioni partecipanti al progetto CAST, la Rete degli Istituti del Centro Studi ed il Comitato di Quartiere per sviluppare e meglio valutare i contenuti della proposta anche al fine di definire strategie ed interventi da candidare nella prossima Agenda Urbana del Comune di Potenza. 6 | Conclusioni L’esperienza complessiva del progetto CAST, proposta in questa sede come valutazione preliminare dei risultati e della procedura implementata, si colloca nel solco delle pratiche inclusive di rigenerazione urbana. Il contesto di sperimentazione descritto ed i principali risultati ottenuti descrivono un quadro metodologico ed operativo (con riferimento agli strumenti ICT implementati e alle elaborazioni conoscitive e progettuali) efficace che ha registrato un crescente interesse da parte della comunità a contribuire ad un processo di progettazione condivisa che parte dal basso e che incrocia l’attenzione dell’amministrazione comunale. La proposta progettuale, sviluppata prevalentemente in termini strategici, rappresenta un contributo bottom-up per l’amministrazione a supporto dei processi di programmazione dell’agenda urbana 20142020 e in questo senso rappresenta un elemento che dimostra l’utilità che deriva dall’integrazione tra processi di programmazione e attori che operano a livelli differenti. Il contributo degli strumenti ICT ha rappresentato un valore aggiunto nelle fasi di coinvolgimento e ascolto dei cittadini e degli attori locali (Las Casas et al. 2016). Ne deriva una forma evoluta di partecipazione alla programmazione dello sviluppo urbano che, testata e validata attraverso successivi test e applicazioni, può rappresentare un importante ausilio ai processi di governo del territorio e di rigenerazione della città. Le forme di partecipazione elettronica possono infatti fornire un rilevante contributo soprattutto in realtà dove la partecipazione stenta a diventare prassi consolidata e dove è forte la inerzia dei decisori pubblici nel riconoscerne un’effettiva utilità. In questi termini rafforza la proposta del progetto CAST all’amministrazione comunale di Potenza il progetto per la costruzione di un “urban center virtuali”: struttura qualificata per favorire forme di partecipazione diffusa e finalizzate ad indagare e sperimentare un rinnovato approccio alla pianificazione della città e del territorio basato sui principi di equità, efficienza e conservazione delle risorse (Las Casas, 1995; Wilson, 2016). Attribuzioni Il lavoro di ricerca nasce nell’ambito dell’attività di coordinamento scientifico e valutazione dell’esperienza del progetto CAST (www.castlab.it). Il lavoro rappresenta da una riflessione congiunta degli autori. La sezione 2 è stata curata prevalentemente da Piergiuseppe Pontrandolfi mentre la sezione 3 da Francesco Scorza. Riferimenti bibliografici Attardi R., Cerreta M., Franciosa A., Gravagnuolo A. (2014), “Valuing cultural landscape services: A multidimensional and multi-group SDSS for scenario simulations”, in Lecture Notes in Computer Science, vol. 8581 LNCS, Issue PART 3, 2014, pp. 398-413. 1075 Aune, J. B. (2003), “Logical Framework Approach and PRA — mutually exclusive or complementary tools for project planning?”, in Development Methods and Approaches, Oxfam GB 2003, pp. 214-226. Ave G. (2005), “Play it again Turin. 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(2016),”New roles for urban models: planning for the long term.” in Regional Studies Regional Science, vol 3, issue 1, pp. 48-57. 1076 Mobilità pedonale e accessibilità al TPL: Applicazione di un modello di calcolo all’ambiente GIS Silvia Rossetti Università degli Studi di Brescia DICATAM – Dipartimento di Ingegneria Civile, Architettura, Territorio, Ambiente e di Matematica Email: silvia.rossetti@unibs.it Tel: 030 3711305 Michela Tiboni Università degli Studi di Brescia DICATAM – Dipartimento di Ingegneria Civile, Architettura, Territorio, Ambiente e di Matematica Email: michela.tiboni@unibs.it Tel: 030 3711270 David Vetturi Università degli Studi di Brescia DIMI – Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Industriale Email: david.vetturi@unibs.it Tel: 030 3715664 Abstract In analogia con la visione organica dell'urbanistica (cfr. Columbo, 1966), che vede nella mobilità pedonale la modalità di spostamento per eccellenza alla scala del quartiere, il contributo proposto si focalizza sul tema dell'accessibilità pedonale alle stazioni del trasporto collettivo, al fine di misurare puntualmente il livello di accessibilità pedonale di un determinato territorio e mappare i risultati ottenuti in ambiente GIS. Il presente contributo propone una metodologia di dettaglio, basata sulla discretizzazione del territorio oggetto di studio in cellette, per la definizione, da un lato, dell’intorno pedonale ottimamente servito, attraverso percorsi pedonali, da una stazione del trasporto collettivo e, dall’altro, per il calcolo del bacino d’utenza ivi ricadente. Tale metodologia può rappresentare uno strumento di supporto alle decisioni in un’ottica di messa a sistema della pianificazione urbanistica e della pianificazione della mobilità, e viene qui applicata al caso studio di alcune stazioni della metropolitana leggera automatica di Brescia. Parole chiave: mobility, planning, urban form. Introduzione Il presente contributo mira a proporre una metodologia per la valutazione dell’accessibilità pedonale in ambito urbano, applicandola al caso studio dell’analisi dell’accessibilità ad alcune stazioni della metropolitana leggera automatica di Brescia. Tale metodologia rappresenta un tentativo di messa a sistema della pianificazione urbanistica e della pianificazione della mobilità, seppur limitatamente al tema dell’accessibilità al trasporto collettivo, fornendo un supporto al processo decisionale e di pianificazione, con il duplice obiettivo di rendere la città più a misura di mobilità dolce e di interrogarsi su come migliorare l’attrattività del sistema di trasporto pubblico. 1077 Alla base di ogni valutazione circa la localizzazione delle fermate del trasporto collettivo e la pianificazione dello spazio urbano nel loro intorno è infatti necessario promuovere un approccio integrato tra la pianificazione urbanistica e la pianificazione della mobilità. Da un lato, da un punto di vista urbanistico, è in questione la struttura dell’insediamento che costituisce il bacino di utenza del servizio mentre dall’altro, per quanto riguarda la logica impiantistica, si pone il problema della capillarità: avere linee di trasporto molto articolate e capillari porta ad avere tempi di percorrenza lunghi e basse velocità commerciali, andando a disaffezionare chi ha bisogno di tempi di spostamento accettabili. La realizzazione di linee di forza del trasporto pubblico, secondo una visione prettamente impiantistica, porta a ridurre i tempi di percorrenza ma inevitabilmente porta l’utente a dover camminare di più per raggiungere la fermata. E a questo punto diviene essenziale andare ad analizzare i percorsi e i tempi di accesso alla fermata: come si articolano i percorsi pedonali per arrivare alla fermata? Qual è il bacino di utenza che viene a cadere in un raggio ottimamente servito dalla stessa? La metodologia proposta, che riprende in alcuni passaggi ed affina quanto proposto in un precedente lavoro (cfr. Rossetti, Tiboni, Vetturi e Calderòn, 2015), al quale inevitabilmente si rimanda anche per quanto concerne l’analisi dello stato dell’arte e della bibliografia a supporto di quanto qui proposto, si articola in tre fasi: 1) mappatura delle caratteristiche di permeabilità/impermeabilità pedonale dello spazio urbano nell’intorno delle stazioni/fermate considerate; 2) discretizzazione della mappa e applicazione di un algoritmo per il calcolo del tempo pedonale di accesso al trasporto collettivo; 3) mappatura dei tempi di accesso e messa in relazione delle isocrone con la popolazione residente nell’intorno ottimamente servito dal trasporto collettivo. La metodologia proposta è stata applicata e calibrata sul caso studio di tre stazioni della metropolitana leggera automatica di Brescia (Vittoria, Europa e Mompiano), che vengono di seguito presentati. Si evidenzia come i risultati consentono di avere un’immagine del contesto della fermata, della capillarità dei percorsi pedonali di accesso e dell’intorno ottimamente servito dalla stessa, e possono fornire un utile quadro di riferimento a supporto delle decisioni, ad esempio nell’ambito dei Piani Urbani della Mobilità Sostenibile (PUMS), strumenti che guidano le strategie individuate dalla Commissione Europea per il raggiungimento di risultati nel campo della mobilità sostenibile. Mappatura delle caratteristiche dello spazio urbano Il primo passo per l’analisi dei tempi di accesso alle stazioni/fermate del trasporto collettivo consiste nella realizzazione di una mappa che associ alle caratteristiche dello spazio urbano, e in particolare all’uso del suolo, un valore di accessibilità perdonale: come è possibile mappare caratteristiche di permeabilità/impermeabilità pedonale dello spazio urbano? Nell'ultimo decennio da approcci basati sui GIS per la valutazione e la gestione dell'accessibilità sono cresciuti considerevolmente (cfr. Hull, Silva & Bertolini, 2012), e il ruolo cruciale delle tecniche GIS per l'analisi dell'accessibilità si è ormai consolidato. Sicuramente è necessario raccogliere informazioni cartografiche riguardanti la mobilità pedonale per il territorio in esame, con particolare riferimento alla rete stradale, alla localizzazione dei percorsi pedonali e dei marciapiedi nonché alla presenza delle barriere fisiche presenti sul territorio che impediscono la permeabilità pedonale (come possono essere l’edificato, le linee ferroviarie, i corsi d’acqua superficiali...). In questo senso i Sistemi Informativi Territoriali e l’introduzione dei Database Topografici Locali in cartografia risultano estremamente utili in quanto ci permettono di avere a disposizione una base cartografica omogenea e di dettaglio, composta da una moltitudine di strati informativi autoconsistenti e georiferiti. Per quanto concerne la Regione Lombardia le specifiche tecniche approvate con D.G.R. n. 6650 del 20 febbraio 2008 e s.m.i., costituiscono lo standard di riferimento per la produzione del Database Topografico su scala comunale (DBT), sulla base delle specifiche nazionali definite nel 2006 da Intesa Gis tra Stato, Regioni ed Enti Locali sulle basi geografiche di riferimento di interesse generale. Nel caso di studio, a partire dal DBT del Comune di Brescia sono stati estratti tutti quegli stati informativi utili a definire se un’area possa essere attraversata da un pedone o meno. A questi strati informativi sono state poi aggiunte ulteriori informazioni proprie della strumentazione urbanistica comunale (nel nostro caso gli strati informativi del Piano di Governo del Territorio del Comune di Brescia – Piano dei Servizi), come la localizzazione delle aree a verde pubblico e dei servizi. La tabella seguente (tabella 1) riporta 1078 l’elenco degli strati informativi utilizzati per fornire la base cartografica di riferimento alla mappatura delle caratteristiche di permeabilità/impermeabilità pedonale. Si è quindi proceduto ad effettuare una discretizzazione del territorio in una griglia di celle quadrate di lato 3 metri: ad ogni cella è stata collegata l’informazione degli strati di uso del suolo in essa contenuti e sulla base di questi è stato associato ad ogni cella un valore di permeabilità (con relativa velocità di attraversamento) o impermeabilità (velocità di attraversamento nulla) al movimento pedonale. Come è ovvio immaginare si nota come le caratteristiche di permeabilità/impermeabilità proprie del movimento pedonale varino considerevolmente a seconda della morfologia del tessuto urbano (ad esempio nel tessuto a forme aperte della città moderna rispetto al tessuto compatto della città antica). La figura 1 riporta tre mappe tematiche realizzate nell’intorno delle stazioni della metropolitana leggera di Brescia analizzate in questo contributo: le mappe sono basate su una griglia di 296x385 celle di 3 metri di lato ciascuna e evidenziano la permeabilità al movimento pedonale di ciascuna cella, calcolato sulla base degli strati informativi che vi ricadono. Si evidenzia ad esempio come il tessuto nell’intorno della stazione metro Europa, area a nord della città di Brescia costruita in epoca moderna e caratterizzata dalla presenza del campus universitario, abbia aree caratterizzate da una notevole permeabilità rispetto all’intorno della stazione Vittoria, situata nel centro storico cittadino. A sua volta però la capillarità dei percorsi pedonali che si snodano nell’intorno di Vittoria è sicuramente maggiore. Tabella I | Strati informativi del DBT e del piano urbanistico comunale utilizzati per la definizione delle caratteristiche di permeabilità al movimento pedonale dello spazio urbano nel caso studio del Comune di Brescia. VIABILITA’ STRATI INFORMATIVI DEL DATABASE TOPOGRAFICO LOCALE EDIFICATO IDROGRAFIA STRATI INFORMATIVI DEL PIANO URBANISTICO COMUNALE PGT -PIANO DEI SERVIZI (SERVIZI ESISTENTI) A010102 Area di circolazione pedonale A010103 Area di circolazione ciclabile A010104 Area stradale A010105 Viabilità mista secondaria A010201 Sede di trasporto su ferro A020101 Unità Volumetrica A020205 Manufatto d’infrastruttura di trasporto A020210 Muro o divisione in Spessore L020209 Elemento divisorio A040101 Area bagnata di corso d’acqua A040102 Specchio d’acqua A040103 Invaso artificiale Verde pubblico Spazi aperti/piazze Spazi a parcheggio Servizi pubblici 1079 Figura 1 | Mappatura delle caratteristiche di permeabilità/impermeabilità del tessuto urbano al movimento pedonale nell’intorno delle tre stazioni della metropolitana analizzate (Europa, Marconi e Vittoria), realizzata sulla base di una discretizzazione dell’area oggetto di studio in celle della dimensione di 3mx3m. A questo punto è stato possibile esportare le tabelle degli attributi associate alle singole griglie che costituiscono le mappe e su queste applicare un modello matematico, descritto nel paragrafo seguente, utile a definire il tempo di accesso alla stazione metro di ciascuna cella che compone le griglie. Un algoritmo per la valutazione del tempo pedonale di accesso alle fermate Il modello per la valutazione del tempo di accesso allo spazio urbano si basa sul movimento di un soggetto su una griglia, in analogia a quanto avviene nel gioco degli scacchi. La griglia ha una dimensione adeguata all’area di analisi, a celle quadrate fra loro interconnesse. Nell’analisi proposta la dimensione delle celle è di 3 metri mentre le celle sono 296 x 385 su un’area di analisi di circa 900 x 1100 metri. L’interconnessione fra le celle avviene fra celle adiacenti e confinanti secondo lo schema riportato in figura 2: B A B A x A B A B Figura 2 | Schematizzazione delle possibili interconnessioni tra celle adiacenti. 1080 cioè dalla cella indicata con la X si può passare alle celle indicate con la lettera A con una “penalizzazione” temporale pari al tempo di percorrenza della cella, mentre si può accedere alle celle indicate con la lettera B con un tempo pari al tempo di percorrenza della cella maggiorato per un fattore pari a √2 Il tempo di attraversamento della cella è una proprietà della cella ed è fissata in funzione della permeabilità al movimento pedonale precedentemente definita. Dunque si ha che T_attr=V_cella·L dove T_attr è il tempo di attraversamento della cella, V_cella è la velocità di percorrenza della cella indicata precedentemente è L è la dimensione della cella (3 metri in questo caso). L’algoritmo determina il tempo necessario per raggiungere tutte le celle della matrice n x m a partire da una cella assegnata, determinando il percorso a tempo minimo. Le dimensioni della griglia possono essere definite a piacimento. L’algoritmo è di tipo ricorsivo ed appartiene alla famiglia di algoritmi detti di “backtracking” (Wirth, 1976) ampiamente utilizzati in informatica per la soluzione di problemi di scelta ottima. Il metodo si presenta come un sistema ad inondamento (FloodFill) che partendo dalla cella di destinazione, seguendo un percorso a ritroso, traccia il tempo totale come strategia per uscire dalla procedura ricorsiva. A titolo esemplificativo viene riportata la procedura ricorsiva relativa all’analisi della cella di coordinate (i,j) secondo lo schema delle percorrenze indicate nella figura precedente. procedure TryNext(i,j:integer;TotalTime:real); begin if Matrix[i,j].time> TotalTime then begin Matrix[i,j].tempo:= TotalTime; // if if if if // if if if if end; destinazioni di tipo “A” i>1 then TryNext(i-1,j,TotalTime+Matrix[i,j].CrossingTime); j<ny then TryNext(i,j+1,TotalTime+Matrix[i,j].CrossingTime); i<nx then TryNext(i+1,j,TotalTime+Matrix[i,j].CrossingTime); j>1 then TryNext(i,j-1,TotalTime+Matrix[i,j].CrossingTime); destinazioni di tipo “B” (i<nx) and (j>1) then TryNext(i+1,j-1,tempo+Matrice[i,j].CrossingTime*1.41); (i<nx) and (j<ny) then TryNext(i+1,j+1,tempo+Matrice[i,j].CrossingTime*1.41); (i>1) and (j>1) then TryNext(i-1,j-1,tempo+Matrice[i,j].CrossingTime*1.41); (i>1) and (j<ny) then TryNext(i-1,j+1,tempo+Matrice[i,j].CrossingTime*1.41); end; La natura ricorsiva della procedura permette di analizzare tutte le celle della griglia incrementando di volta in volta il tempo di accesso. La realizzazione di isocrone pedonali e la determinazione del bacino di utenti Importando nuovamente il risultato dell’algoritmo nel Sistema Informativo Territoriale con cui sono state gestite le mappe è stato possibile mappare i risultati ottenuti, evidenziando le isocrone pedonali per l’accesso alle singole stazioni da ciascun punto della mappa. Viene così a definirsi un intorno ottimamente servito dalla stazione della metropolitana, che in questo caso (e in accordo con quanto suggerito dai valori di letteratura -cfr. Festa, 2009- e da precedenti lavori di analisi dell’accessibilità realizzati anche relativamente al caso studio della metropolitana di Brescia – cfr. Bonotti et. al, 2015), è stato considerato corrispondente ad un tempo di accesso a piedi di 5 minuti. La figura seguente (figura 3) riporta le mappe con le isocrone risultanti per i casi analizzati. Per quanto riguarda nello specifico la stazione Europa, l’applicazione del modello è stata ripetuta due volte: la prima simulando i servizi (in questo caso universitari) chiusi e pertanto rendendo non permeabile lo strato informativo delle pertinenze dei servizi, la seconda simula invece la fascia oraria di apertura delle sedi universitarie e quindi rende possibile il passaggio nelle relative aree di pertinenza. I risultati, evidenziati in figura 3, evidenziano come lo spazio del servizio pubblico contribuisca in maniera determinante alla penetrabilità del tessuto e ad incrementare l’accessibilità alla stazione metro. 1081 Figura 3 | Isocrone pedonali di accesso alle stazioni metro, realizzate sulla base di una discretizzazione dell’area oggetto di studio in celle della dimensione di 3mx3m. Per la stazione la simulazione è con servizi universitari aperti e chiusi. Ora può essere interessante chiedersi come sia possibile valutare la popolazione ottimamente servita ricadente nell’intorno ottimale di accesso a piedi alla fermata, e trarne quindi utili considerazioni. La popolazione residente a Brescia è stata mappata attraverso un processo di georeferenziazione dell’archivio anagrafico comunale, cui è stata associata la localizzazione della via e del numero civico di ciascun residente sulla base informativa dello stradario comunale (cfr. la metodologia descritta in Paolillo, 2010: 285-290). Ad ogni cittadino residente (di cui sono note varie caratteristiche, tra cui l’età, il sesso, …) è stato quindi possibile associare un punto sulla mappa di Brescia corrispondente al civico di residenza. In seguito, a ciascuna cella delle griglie di discretizzazione utilizzate per la realizzazione delle isocrone pedonali di accesso alle stazioni analizzate è stato associato il numero di residenti ivi ricadenti. Questo ha permesso di calcolare il numero di residenti ottimamente serviti dalla singola stazione della metropolitana leggera analizzata (ricadenti cioè nell’intorno dei 5 minuti mappato attraverso l’algoritmo precedentemente descritto), come descritto e presentato nei grafici al prossimo paragrafo. La misura dell’accessibilità Una grandezza è definita dal Vocabolario Internazionale di Metrologia (CEI UNI 70099) come «proprietà di un fenomeno, corpo o sostanza che può essere espressa quantitativamente mediante un numero e un riferimento». Viene inoltre specificato come il riferimento citato nella definizione può essere una unità di misura, una procedura di misura, o un materiale di riferimento, o una loro combinazione. L’accessibilità pedonale in ambito urbano è dunque misurabile? 1082 Il lavoro presentato propone una procedura di misura come strumento per definire l’accessibilità, intesa come grandezza e non come riferimento ad una scala ordinale. La creazione delle isocrone permette di associare ad ogni cella della griglia un “tempo di accesso” al punto di analisi che può essere scelto a piacimento. In questo caso si sta analizzando la capacità di una fermata della metropolitana di Brescia di attrarre utenti (popolazione residente), definibile come accessibilità in uscita. Analogamente potrebbe essere analizzata la capacità della stessa stazione di fornire accessibilità a servizi (scuole, farmacie, studi medici, uffici pubblici), quindi accessibilità in uscita. È possibile associare ad ogni cella il numero di persone residenti in quel luogo e, analizzando tutte le celle della mappa, è possibile creare una distribuzione dei residenti per distanza dal punto attrattore (stazione della metropolitana). Nei grafici in figura 5 è indicata in linea tratteggiata la distribuzione attesa calcolando la distanza da ciascuna cella al target secondo la distanza euclidea. La linea continua indica la distribuzione della popolazione in base al tempo di accesso alla cella calcolato dal modello. Figura 5 | Distribuzione della popolazione residente e cumulata in funzione del tempo di accessibilità pedonale alla stazione metro di Vittoria, realizzate sulla base di una discretizzazione dell’area oggetto di studio in celle della dimensione di 3mx3m. Si osserva come nell’ambito del tessuto urbano del nucleo storico della città la distanza calcolata secondo lo schema della distanza euclidea risulta molto differente rispetto alla realtà imposta alla modalità pedonale dalla presenza di edifici ed isolati. È possibile calcolare la popolazione che può accedere pedonalmente alla fermata della metropolitana se si fissa una soglia opportuna. Fissata a 5 minuti, corrispondente ad un tratto di circa 330 metri (velocità considerata 4 km/h) il numero di persone che possono accedere alla stazione sono dunque 1423 persone, rispetto ad una stima mediante distanza euclidea pari a 4087 persone. Impostare una soglia on/off a 5 minuti risulta poco opportuno per lo studio di un fenomeno come quello dell’accessibilità pedonale e dunque si è preferito introdurre una funzione peso che ponderasse i residenti rispetto alla distanza considerandoli totalmente se la loro distanza dal punto target risultava inferiore al 5 minuti, non calcolarli per distanze superiori ai 10 minuti e pesarli linearmente fra i 5 e 10 minuti. Nel grafico di figura 6 si riporta la distribuzione della popolazione e la curva di ponderazione in funzione della distanza. Tratteggiata in blue viene indicata la quota di popolazione considerata per il calcolo dell’accessibilità fra i 5 e 10 minuti. L’area gialla indica il contributo di questa porzione di popolazione. Analoga ponderazione può essere effettuata per la distanza calcolata secondo la formulazione euclidea. 1083 Figura 6 | Distribuzione della popolazione residente in funzione del tempo di accessibilità pedonale alla stazione metro di Vittoria, e sua ponderazione. Utilizzando la procedura indicata si è calcolata l’accessibilità pedonale, intesa come numero di persone residenti che possono raggiungere con modalità pedonale la stazione della metropolitana per i tre casi analizzati precedentemente. Tabella II | Calcolo della popolazione residente ottimamente servita dalla stazione della metropolitana per i tre casi analizzati, utilizzando la ponderazione. Stazione Vittoria Totale popolazione nell’area analizzata 10’572 Modello proposto Entro 5 Ponderazione fra minuti 0 e 10 minuti 1’423 3’723 Distanza euclidea Entro 5 Ponderazione fra minuti 0 e 10 minuti 4’087 7’333 Stazione Marconi 11’306 1’518 3’372 3’246 6’305 Stazione Europa 3’125 706 1’315 1’622 2’389 La tabella II evidenzia quindi come il modello proposto in generale porti ad un risultato, in termini di popolazione servita, diverso e più verosimile rispetto all’utilizzo del tradizionale buffer basato sulla distanza euclidea. Nel tessuto della città storica (stazione Vittoria) la popolazione ottimamente servita (considerando il modello e la ponderazione fino ai 10 minuti) è sicuramente maggiore rispetto a quello della stazione Europa della città moderna. Riflessioni conclusive Riassumendo, la metodologia proposta si basa sulla discretizzazione dettagliata del territorio oggetto di analisi in una griglia uniforme di celle. A tale griglia viene applicato un algoritmo di calcolo, che, sulla base degli strati informativi di uso del suolo che intercettano ciascuna cella, assegna ad ognuna un tempo di percorrenza pedonale e valuta le connessioni esistenti tra la cella in esame e le celle ad essa adiacenti. Questo modello permette di andare a creare apposite mappe che evidenziano i tempi pedonali di accesso alla fermata da ciascuna cella, di definire un intorno ottimamente servito dalla fermata stessa e valutare quale sia il bacino di utenza che vi ricade. Il modello proposto può essere applicato con una duplice finalità. Da un lato, in un'ottica di incentivazione della mobilità sostenibile, il modello può essere utilizzato come strumento di supporto alle decisioni per andare a valutare la localizzazione ottimale di determinati servizi o funzioni urbane da insediare, tenendo conto dell'accessibilità pedonale alle stesse. Da un lato ne è possibile l'applicazione expost, che mira a valutare se la localizzazione dei servizi e delle funzioni urbane presenti su un determinato territorio è corretta dal punto di vista dell'accessibilità pedonale, o se invece vi sono alcune criticità legate in particolare ad alcune porzioni di territorio. In quest’ottica si sottolinea come il modello proposto possa 1084 divenire parte integrante del processo di pianificazione e rappresentare un’utile strumento per valutare su quali interventi i Piani Urbani della Mobilità Sostenibile possano andare a puntare: ad esempio la creazione di un varco pedonale in un determinato punto del territorio potrebbe portare un grande beneficio in termini di popolazione ottimamente servita da una fermata/stazione. Si sottolinea infine come, ad integrazione del lavoro di analisi svolto con la metodologia qui proposta, possa essere utile un’analisi qualitativa delle caratteristiche di fruibilità e sicurezza dei percorsi pedonali di accesso alle fermate. Ad esempio alcuni lavori (cfr. Tiboni e Rossetti, 2013; Badiani, 2006) propongono a questo proposito l’utilizzo di apposite schede di rilievo che analizzano non soltanto l’uso del suolo e la permeabilità pedonale, ma anche elementi qualitativi circa la caratterizzazione, la percezione e la sicurezza dello spazio pedonale e del suo intorno (es. illuminazione, presenza di elementi di protezione, margini, …). Riferimenti bibliografici Badiani B. (2006), Una metodologia di analisi degli spazi urbani, Aracne, Roma. Bonotti R., Rossetti S., Tiboni M., Tira M. (2015), “Analysing space-time accessibility toward the implementation of the light rail system: the case study of Brescia”, Planning Practice and Research, 30(4), pp. 424-442. Columbo V. (1966), La ricerca urbanistica, Giuffrè, Milano. Festa D.C. (2009), “Criteri per la localizzazione delle fermate del TPL nella tecnica dei trasporti”, in Maternini G., Foini S. (a cura di), Linee guida per la realizzazione delle fermate del trasporto pubblico locale, Egaf, Forlì. Hull A., Silva C., Bertolini L. (2012) (eds.), Accessibility Instruments for Planning Practice in Europe, COST Office, Brussels. Paolillo P.L. (2010), Sistemi informativi e costruzione del piano. Metodi e tecniche per il trattamento dei dati ambientali, Maggioli, Rimini. Rossetti S., Tiboni M., Vetturi D., Calderòn E.J. (2015), “Pedestrian mobility and accessibility planning: some remarks towards the implementation of travel time maps”, in CSE Journal, issue 1-2015. Tiboni M., Rossetti S. (2013), Implementing a Road Safety Review Approach for Existing Bus Stops, in Brebbia C.A. (editor), Urban Transport XIX, pp. 699 – 709, WIT Press, Southampton. Tira M., Lombardi S. (2009), “La scelta della localizzazione ottimale delle fermate del TPL nella tecnica urbanistica”, in Maternini G., Foini S. (a cura di), Linee guida per la realizzazione delle fermate del trasporto pubblico locale, Egaf, Forlì. Wirth N. (1976), Algoriths + Data Structures, Pentice Hall, New Jersey. 1085 Nuove frontiere dell’ICT: smart planning e uso dei Big Data Sara Maria Serafini Dottorando presso l’Università della Calabria Dipartimento di Ingegneria civile, settore disciplinare: Urbanistica ICAR/21 Email: saramariaserafini@gmail.com Abstract Una smart city, così come un intero territorio, non possono esistere se non supportati da un tipo di pianificazione anch’essa smart, capace cioè di integrare costantemente le componenti ICT con quelle della governance. Lo sviluppo e la diffusione delle nuove tecnologie applicate alla pianificazione territoriale devono condurre alla sperimentazione di nuove interface, metodi di rappresentazione e comunicazione in grado di arricchire i sistemi tradizionali per ampliare le possibilità di utilizzazione dei geo data. La dimensione dell’integrazione delle ICT nelle politiche urbane, nella quale le potenzialità comunicative si esprimono al meglio, sono quella della community e degli Open e Big Data disponibili. Le due cose sono legate, poiché si riferiscono sia all’insieme dei soggetti che, mossi da un interesse comune, interagiscono in rete effettuando scambi, sia la quantità di dati utili che la community genera consapevolmente e non, che creano valore aggiunto e, se opportunamente selezionati e analizzati, possono contribuire a suggerire strategie territoriali diversificate. Il presente lavoro mostra un tentativo di smart planning riferito ad alcuni elementi relativi al paesaggio agrario calabrese, attraverso l’analisi di alcuni aspetti supportati dall’utilizzo degli Open e Big Data provenienti dai social e dalle indagini condotte dall’Istat, e dall’utilizzo del GIS come software di supporto per la rappresentazione delle collezioni di dati. Parole chiave: strategic planning, surveys & analyses, tools and techniques. 1 | Introduzione al tema degli Open e Big Data Quando parliamo di Open Data, ci riferiamo ai dati “aperti”, cioè a quelle informazioni che vengono liberamente trasmesse, distribuite e scambiate nella rete attraverso modalità che prevedono la totale assenza di forme di controllo o restrizioni che ne possano limitare l’utilizzo e il riuso. Con il termine Big Data, invece, si indica una vasta collezione di dati così complessi da richiedere strumenti diversi da quelli tradizionali, per estrarre, gestire ed elaborare le informazioni contenute in essi entro un arco temporale ragionevole. I Big Data rappresentano anche l'interrelazione di dati provenienti da fonti potenzialmente disparate, quindi dati strutturati, come i database, e non strutturati come immagini, e-mail, dati GPS, informazioni tratte dai social network. 2 | L’importanza della mappatura dei dati all’interno delle strategie di pianificazione Ma perché una materia come la pianificazione urbanistica dovrebbe interessarsi di Open e Big Data? Innanzitutto, perché, nel breve periodo, la distanza tra mondo reale e digitale diventerà sempre più corta, e poi perché l’urbanistica deve interessarsi a come l’uomo vive realmente il territorio, per scegliere il modo migliore per operare su di esso. L’esigenza principale è comprendere appieno come utilizzare e come estrarre valore aggiunto da una produzione massiva di dati, totalmente disponibili, e soprattutto rappresentativi di alcuni fenomeni collettivi, come la mobilità, i trasporti, il turismo, ecc. 1086 Ad esempio, per quanto riguarda l’analisi del turismo, nessuno sa quanti turisti sono presenti in un dato momento e in un dato posto, poiché questi dati possono essere recuperati solo con grande dispendio in termini di tempo e di costi, e solo dopo un certo periodo. Gli Open e Big Data possono essere utili in una situazione come questa, fornendo la conoscenza di ciò che accade e l'analisi immediata. I Big Data promettono infinite opportunità, non solo per i privati, ma anche per il bene pubblico. Nelle città stanno avendo un enorme impatto ad ampio spettro contribuendo a immaginare una mobilità più efficiente (Batty, 2013), a ridurre l'inquinamento (Ratti et al., 2005), mostrano modelli comportamentali (Gonzalez et al., 2008), (Ratti et al., 2006), (Paldino et al., 2015), di energia (Ratti et al., 2005) per i rifiuti, configurandosi come uno strumento di supporto fondamentale per la pianificazione urbana. La sfida, naturalmente, è che gli Open e Big Data giochino un ruolo fondamentale nella reazione alla crisi globale, arricchendo le nostre esperienze su come funzionano le città, e offrendo molte nuove opportunità di interazione sociale e decisionale per quanto riguarda la nostra conoscenza sul modo migliore di interagire in città. L’utilizzo degli Open Data è collegato anche agli strumenti usati per la loro catalogazione, manipolazione e rappresentazione. Poiché la maggior parte di questi dati è dotata di un sistema di coordinate che rendono il dato stesso georeferito, è logico collegare quest’argomento con il GIS1, che permette proprio di lavorare sulle mappe e di mostrare, attraverso una serie infinita di layer, tutte le caratteristiche che si sono evidenziate di un dato territorio. Alla luce di quanto detto, sono molte le questioni che si possono affrontare nell’analisi territoriale, in generale, però, l’obiettivo principale è quello di suggerire azioni migliorative e, per farlo, la soluzione più efficace è senza dubbio raccogliere e analizzare dati reali, che non risentano di alcuna soggettività, in modo da avere un quadro di partenza quanto più rispondente al vero, e su cui elaborare soluzioni completamente attuabili. Un metodo innovativo, rispetto alla metodologia classica prevista dall’analisi SWOT2, è proprio quello di basarsi sulla reale interpretazione, sulle espressioni e sulle preferenze di chi abita il territorio stesso. In questo lavoro mostreremo diverse analisi utili a interpretare e successivamente modificare, in via migliorativa, il territorio calabrese. 3 | La complessità del paesaggio calabrese I paesaggi mediterranei, e tra questi quelli calabresi in particolare, sono il frutto di una costruzione indissolubilmente legata a un intenso processo di civilizzazione. Sono paesaggi dove l'attività umana ha rappresentato la componente prevalente nella loro creazione e per questo rappresentano oggi un patrimonio di grande valore storico e culturale, un insieme complesso, connotato da una grande diversità di situazioni territoriali, che costituisce una straordinaria ricchezza; un patrimonio in cui si percepisce allo stesso tempo una fragilità derivante soprattutto dal complesso delle intense pressioni che li stanno modificando e che inducono forme di degrado spesso legate alla banalizzazione e alla perdita di identità dei paesaggi. È chiaro che la gestione di una tale complessità non può esaurirsi nelle sole azioni di tutela rivolte alle singole componenti del paesaggio, ma richiede la capacità di riconoscere i caratteri distintivi dei diversi paesaggi, di comprenderne le relazioni, di interpretarne le possibili linee evolutive. A tanto si può aggiungere che, la domanda turistica, si rivolge sempre più a destinazioni della natura, attratta dalle sue innumerevoli bellezze, il che presuppone un impatto importante sulle popolazioni visitate, sulla loro economia, sull’ambiente e sul patrimonio culturale. Per quel che concerne il “sistema turismo” in Calabria, occorre, innanzitutto, considerare che per le caratteristiche naturali del suo territorio, si possono di distinguere due tipologie di turismo: quello costiero e quello di montagna. Dagli ultimi report (Istat 2010) si evince che il 50,9% dei “turisti italiani” è residente nella regione, e il turismo è di tipo quasi esclusivamente balneare. Altro dato riguarda l’eccessiva stagionalità del turismo Un Geographic Information System (acronimo: GIS) è un sistema progettato per ricevere, immagazzinare, elaborare, analizzare, gestire e rappresentare dati di tipo geografico. L’acronimo GIS è spesso usato per indicare la scienza o gli studi sulle informazioni geografiche (dette anche geospaziali). In termini semplici, col GIS si possono unire cartografie, eseguire analisi statistiche e gestire i dati attraverso tecnologie database. 2 L'analisi SWOT (conosciuta anche come matrice SWOT) è uno strumento di pianificazione strategica usato per valutare i punti di forza (Strengths), debolezza (Weaknesses), le opportunità (Opportunities) e le minacce (Threats) di un progetto o in un’impresa o in ogni altra situazione in cui un’organizzazione o un individuo debba svolgere una decisione per il raggiungimento di un obiettivo. L’analisi può riguardare l’ambiente interno (analizzando punti di forza e debolezza) o esterno di un’organizzazione (analizzando minacce e opportunità). 1 1087 balneare e la concentrazione in specifiche aree: più dell’80% dei turisti nazionali e internazionali, frequentano le nostre coste solo nel trimestre estivo e soltanto alcune località. Altro dato negativo è sicuramente la mancanza, nella regione, di un “sistema turismo” in grado di offrire pacchetti collegati alla valorizzazione del patrimonio ambientale e culturale locale che presenta, in altre regioni d’Italia, un trend di domanda crescente. Inoltre, il ritardo nella costituzione dei Sistemi Turistici Locali, i non adeguati investimenti in infrastrutture e servizi turistici complementari, la mancata realizzazione di “attrattori” ambientali e culturali e l’assenza di promozione di quei pochi esistenti (riserve naturali, parchi nazionali, artigianato locale e prodotti tipici), rischiano di confinare il turismo calabrese ai margini del mercato nei prossimi anni. Altro importante tassello per favorire la conoscenza del paesaggio e l’utilizzo delle sue risorse proviene dal sistema scolastico. Investire energie sull’educazione all’ambiente e quindi al paesaggio, è una possibile strada da percorrere per capirne la complessità. Questa visione richiede un cambiamento culturale forte e ha necessità di un una nuova impostazione dei sistemi educativi, delle politiche e delle pratiche agendo in particolare su: la promozione e lo sviluppo dell’educazione sul tema paesaggio, la revisione dei programmi scolastici dalla scuola dell’infanzia all’università, la formazione costante per i cittadini e per gli amministratori (Serafini, 2015). 3.1 | Analisi dei flussi turistici L’ingresso dei social network, la diffusione di internet, l’uso delle nuove tecnologie e delle strategie di comunicazione digitale, hanno generato profondi cambiamenti, nuove velocità e nuovi spazi. In sostanza, si sono venute a creare nuove modalità di interazione tra gli utenti, e un nuovo spazio di comunicazione, fatto non solo di contenuti esclusivi e realizzati ad hoc, ma basato soprattutto sulle condivisioni, le discussioni, i feedback costanti e le interazioni. È chiaro quanto il turismo, e così anche i social media, contribuiscano a promuovere un territorio piuttosto che un altro. Infatti, le persone acquistano consultando i social, scelgono abiti, scarpe e accessori per l’auto attraverso Facebook e Twitter, e ovviamente, pianificano le vacanze. Quindi, è logico affermare che attraverso le informazioni provenienti dai social, è possibile avere un’idea generale delle percezioni e delle preferenze della popolazione. Sono proprio gli Open Data provenienti dai più famosi social network a suggerire la possibilità di utilizzarli per creare mappature territoriali che descrivano i flussi turistici di una nazione, regione o di un determinato sito. La novità di questo studio, non sta tanto nella mappatura in GIS di Big Data, quanto nel particolare tipo di dati considerati. In particolare, la ricerca condotta ha previsto l’utilizzo dei dati provenienti da Flickr3, il primo tra i social dedicati alla condivisione di fotografie. L’idea è quella di riuscire a descrivere le potenzialità turistiche di un territorio, e conseguentemente i suoi punti di debolezza in termini di attrattività, studiando e rielaborando i dati provenienti dagli utenti che hanno visitato il territorio stesso, e rappresentandoli attraverso l’utilizzo del GIS; si vuole sfruttare l’indice di gradimento del turista, che, soddisfatto di un luogo che ha visitato, vuole conservarne il ricordo, e quindi scatta una fotografia e la condivide sul social. Attraverso i dati scaricati, è possibile risalire alla provenienza degli utenti, è possibile classificare le informazioni per anno, e associare a ogni fotografia le coordinate geografiche del posto in cui è stata scattata. In questo modo è semplice riconoscere i luoghi turistici di maggiore interesse, i mesi dell’anno in cui l’affluenza è maggiore, e cercare di potenziarli. Ma soprattutto, analizzare le carenze del territorio, che sono immediatamente visibili sulla mappatura del territorio, e studiare strategie atte a superare i gap riscontrati. Per effettuare questo studio è stato preparato un programma semplice, collegato con API (Applications Programming Interfaces) flickr.photos.search, grazie al quale si è avuta la possibilità di inserire il nome del luogo d’interesse e scaricare le informazioni relative alle immagini condivise per quel posto. Questo tipo di analisi dati, ha portato a una grande quantità di informazioni, di cui si è scelto di considerare solo le coordinate spaziali, vale a dire, la longitudine e la latitudine dei luoghi in cui la foto è stata scattata, di anno in anno, e, per ogni anno, nel periodo temporale che va dal 2010 al 2014; grazie a questo approccio, è stato possibile geo-localizzare i Big Data su una mappa GIS. 3 Flickr, sviluppato dalla Ludicorp, una compagnia canadese di Vancouver fondata nel 2002 da Stewart Butterfield e Caterina Fake, è un sito web multilingua, di proprietà del gruppo Yahoo!, che permette agli iscritti di condividere fotografie personali. 1088 In questo studio Big e Open Data provenienti dalle fotografie, vengono utilizzati per la prima volta per conoscere le percezioni e le preferenze dell’utenza. Questo tipo di visualizzazione può essere considerata una novità nel modo di attuare analisi di tipo territoriale e di marketing; infatti, precedenti studi sul turismo sono stati incentrati sulla raccolta dei dati provenienti da sondaggi e interviste svolte dal Ministero dell'Industria, dell’Energia e del Turismo, mentre in questa applicazione sono stati utilizzati dati basati su azioni e preferenze reali degli utenti, che sono inequivocabili, e non possono essere trasformati attraverso una visione soggettiva della loro elaborazione. In particolare, dall'analisi effettuata negli anni 2010/2014, si nota chiaramente che i luoghi più frequentati sono quelli costieri rispetto all’entroterra. Questo risultato non è collegato a un particolare periodo o mese dell’anno, anche se è chiaro che il periodo più interessante è l’estate. L’entroterra è quasi del tutto sconosciuto, nonostante la presenza di tre parchi nazionali (Aspromonte, Pollino, Sila), un Parco Regionale (Serre) e numerose riserve. Inoltre, per quanto riguarda la costa bisogna sottolineare come sia molto più frequentata e attraente la costa tirrenica rispetto a quella ionica. Figura 1 | Calabria - rappresentazione degli Open Data (preferenze turistiche) provenienti da Flickr, serie 2010/2014 e sovrapposizione delle annualità, Elaborazione GIS. Oltre alle considerazioni generali su quello che accade nell’intera regione, si può aggiungere qualcosa a livello locale. L'esperimento ha dimostrato che, su 409 città divisa in cinque province (Catanzaro, Cosenza, Crotone, Reggio Calabria e Vibo Valentia), i luoghi popolari e conosciuti sono meno di 70. Tali informazioni indicano un isolamento di alcune città, un flusso turistico limitato a determinati luoghi noti a livello nazionale e ben pubblicizzati, probabilmente inclusi nei cataloghi delle agenzie di viaggio. Ma la Calabria è fatta anche di città più piccole e tipiche, di luoghi caratteristici ricchi di tradizioni, che devono essere valorizzati e tramandati. L’idea era quella di confrontare i dati degli ultimi cinque anni per valutare la possibile evoluzione degli interessi e dell’attrattiva della regione Calabria; nel complesso i risultati hanno mostrato che la regione è un luogo interessante e con un buon potenziale turistico, infatti l'interesse dei turisti è generalmente costante, 1089 anche se la regione deve affrontare alcuni problemi, che abbiamo già accennato in precedenza, probabilmente correlate alla scarsa accessibilità dell’entroterra, all’inadeguatezza della rete infrastrutturale e del sistema dei media (Middea et al., 2015) 3.2 | Analisi della distribuzione delle scuole sul territorio Come già detto in apertura, è importante una formazione preventiva e continua sul tema del paesaggio. L’educazione, l’informazione e la comunicazione, sono principi cardine della Governance, e hanno come valore primario quello di contribuire all'arricchimento del bagaglio di esperienze e conoscenze degli utenti e complessivamente all'evoluzione culturale e alla sensibilizzazione e all'empatia della società verso l'ambiente attraverso una partecipazione attiva. L’analisi condotta mira a capire la distribuzione delle scuole primarie e secondarie di primo grado sul territorio Calabrese, poiché il dialogo aperto e la creazione di momenti di interazione, quali workshop, scuole estive o seminari, potrebbe essere una delle chiavi della valorizzazione. Il risultato è positivo, infatti dalle mappe si legge chiaramente una presenza massiccia sul territorio. Figura 2 | Calabria - rappresentazione degli Open Data (distribuzione per provincia delle scuole primarie in scala di blu, e delle scuole secondarie di primo grado in scala di viola) provenienti dall’ Istat incrociati al sito www.tuttocittà.it, Elaborazione GIS. 3.3 | Analisi della distribuzione delle aziende agricole e biologiche sul territorio Oltre a essere importante dal punto di vista culturale, l’agricoltura calabrese è fondamentale all’interno del quadro economico e sociale, nonostante la difficile morfologia del territorio. Il settore agricolo assorbe, infatti, il 21% della popolazione occupata, attestandosi al secondo posto per assortimento di forza lavoro; inoltre, all’interno del quadro nazionale, la Calabria attesta un elevato numero di aziende agricole, e la superficie agricola utilizzata arriva a coprire quasi la metà di quella totale; senza poi parlare del fatto che attualmente la Calabria è la quarta regione italiana per numero di produzioni tutelate; le sue 36 denominazioni tutelate ricadono principalmente nel comparto del vino, dei salumi e dell’ olio d’oliva. Ulteriori considerazioni meritano i risultati ottenuti dal processo di conversione dell’agricoltura: da quella tradizionale a quella biologica. Sono 45.167 le aziende che al 24 ottobre 2010 risultano adottare metodi di produzione biologica per coltivazioni o allevamenti. Esse rappresentano il 2,8% delle aziende agricole totali. Di queste, 43.367 aziende applicano il metodo di produzione biologico sulle coltivazioni (2,7% delle aziende in complesso con SAU) mentre 8.416 lo adottano per l’allevamento del bestiame (3,9% delle aziende in complesso con allevamenti). Sono invece 6.616 aziende quelle che utilizzano metodi di produzione biologica sia per le coltivazioni sia per gli allevamenti. 1090 Figura 3 | Calabria - rappresentazione degli Open Data (distribuzione per provincia delle aziende agricole e di quelle biologiche) provenienti dall’Istat, Elaborazione GIS. Oltre sei aziende biologiche su dieci risiedono al sud; in particolare, il 62,5% delle aziende biologiche è attivo nel Sud e nelle Isole. I dati mostrano che in Calabria si registra la maggiore percentuale di superficie coltivata con metodo biologico rispetto alla SAU complessiva (17,7%), e che la produzione e il numero di aziende iniziano a essere abbastanza consistenti. Alla fine degli anni ‘80, le aziende biologiche calabresi erano 20 per una superficie di 180 ha, pari all’1% delle aziende biologiche italiane, al 2010 682 per una superficie di 8 mila ettari di cui 6.400 ha in conversione (BioBank, 1998) fino ad arrivare a circa 5.023 per una superficie di 57 mila ettari. 3.4 | Analisi degli attrattori legati al tema dell’agricoltura L’importanza del tema dell’attrattività è diretta conseguenza della competizione globale, che si è venuta a creare negli anni recenti, tra realtà territoriali con analoga capacità di attrarre investitori e, come tale, rappresenta un tema prioritario che i governi nelle loro diverse articolazioni territoriali (nazionale, regionale e provinciale) dovranno sempre più affrontare in modo sistematico, secondo un’ottica strategica di lungo periodo. L’attrattività turistica può essere considerata come il risultato di un processo di organizzazione della realtà locale. L’offerta di un territorio si modifica allo scopo di conseguire l’obiettivo di attirare turismo. L’attrattività turistica, direttamente connessa alla percezione dei turisti, è un fattore determinante nel ciclo di vita di una località turistica, determinandone la sua traiettoria. Anche per queste ragioni, sarebbe auspicabile appoggiare lo sviluppo del settore agricolo, soprattutto quello delle colture tipiche (agrumi, vigneti, oliveti), promuovendo marchi di qualità, conservando la tipicità della regione e dei paesaggi, integrando questo settore con quello turistico attraverso la rivitalizzazione di casali, cascine e borghi antichi, oggi abbandonati, che hanno contribuito alla creazione della bellezza del paesaggio calabrese. Dallo studio condotto è chiaro quanto ancora l’attrattività turistica calabrese sia fragile, e questa è una grave mancanza, dal momento che, è proprio il turismo la risorsa che più si dovrebbe corteggiare, perché la regione è piena d’attrattori, che però non vengono “sfruttati come dovrebbero”; essa è un vero e proprio palinsesto di beni culturali, archeologia, luoghi naturali protetti e opere d’arte, che con il bagaglio delle tradizioni costituiscono una risorsa inestimabile del patrimonio della regione Calabria. Un patrimonio di cui però manca una conoscenza dettagliata e conseguente consapevolezza del valore reale. Un palinsesto, quindi, senza regista e produttore, che potrebbe invece essere messo sul mercato se solo esistesse una buona sceneggiatura. 1091 4 | Conclusioni In questo studio sono stati introdotti e illustrati due nuovi strumenti che stanno diventando fondamentali nel nuovo approccio allo studio della città e del territorio in generale: Open e Big Data. Figura 4 | Calabria - rappresentazione degli Open Data (distribuzione degli agriturismi, delle attività sociali, delle fattorie didattiche, dell’artigianato) provenienti dall’Istat, Elaborazione GIS. Grazie a questi dati, è possibile condurre analisi applicando la teoria complessa che risponde meglio alle descrizioni della città, rivelando modelli di previsione che possono apportare un miglioramento nella vita di ognuno. C’è ormai la certezza che le tracce digitali che lasciamo quotidianamente sui social media aumenteranno, fornendo una rappresentazione precisissima di ciò che facciamo. I social costituiscono una sorta di espressione della gente e partecipazione dal basso perché palesano interessi, percezioni e gusti della collettività. Possiamo dunque utilizzare questi dati per conoscere, capire e analizzare i nostri comportamenti collettivi e, in funzione di essi, immaginare una migliore pianificazione del territorio, tenendo conto di ciò che spontaneamente ognuno di noi condivide ed esprime sui social ogni giorno. Riferimenti bibliografici Batty, M. (2013), Big data, smart cities and city planning, Dialogues in Human Geography n.3, pp. 274-279. Ratti, C., Baker, N. and Steemers, K., (2005), Energy consumption and urban texture, Energy and buildings. Gonzalez, M.C., Hidalgo, C.A. and Barabasi, A.L., (2008), Understanding individual human mobility patterns, Nature. Ratti, C., Williams, S., Frenchman, D. and Pulselli, R.M., (2006), Mobile landscapes: using location data from cell phones for urban analysis, Environment and Planning B Planning and Design. Paldino, S., Bojic, I., Sobolevsky, S., Ratti, C. and Gonzalez, M.C., (2015), Urban magnetism through the lens of geo-tagged photography, arXiv Preprint: 1503.05502. Serafini, S.M. (2015), Open Data e paesaggio calabrese: nuove prospettive per la gestione sostenibile delle risorse, IX Giornata di Studi INU Istituto Nazionale di Urbanistica, 18 dicembre 2015, Napoli, Urbanistica Informazioni, pp. 86-91, INU Edizioni, ISSN: 0392-5005. Middea, A., Paldino, S., Serafini, S.M. (2015), Open Data e Gis come supporto tecnologico allo sviluppo del territorio, contributo in volume “GIS Day Calabria 2015, VI Edizione”, 18 novembre, Arcavacata di Rende (Cs), pp. 61-66, Map Design Project Editore, ISBN: 978–88–941338–0-6, Rende. Middea, A., Paldino, S., Serafini, S.M. (2015), Open Data from Social Media as tool for better understanding complex territory. Application through photos data in Calabria, The Fifth International Conference on Social Media Technologies, Communication, and Informatics – section: Social media use and experiences - SOTICS 2015, November 15 - 20, 2015, Barcelona, Spain. 1092 Ecosistema digitale per la valorizzazione e la crescita del territorio Alessandro Seravalli GeoSmart Lab Laboratorio sulle scienze e tecnologie geografiche e sulle smart cities Email: a.seravalli@sis-ter.it Abstract La tecnologia costituisce senza ombra di dubbio un elemento rivoluzionario anche nel settore della pianificazione, trasformazione e innovazione urbana. Emerge però una dicotomia fra la disponibilità e l’opportunità offerta dalle ICT e la disponibilità dei contenuti informativi aggiornati e strutturati. Soprattutto nell’ambito dei DSS a supporto delle decisioni orientati alla pianificazione. Diversi, e con esiti non proprio felici, sono stati i tentativi di razionalizzare i processi e gli interscambi di dati anche tra soggetti pubblici a scale territoriali diverse col risultato di compiere analisi su fenomeni urbani con dati obsoleti e quindi impropri o fuorvianti rispetto alle esigenze di governance e di pianificazione. Si assiste al contempo ad una crescita del fenomeno dei dati VGI (volunteered geographic information) e degli open data, insieme alla definizione di regole tra operatori privati per la federazione di banche dati relative alla conoscenza delle reti del sottosuolo. Partendo da questa esigenza si è avviato un progetto volto a definire regole e modalità di collegamento alle diverse basi dati attraverso l’adesione a un ecosistema digitale territoriale avviato dal Consorzio AMI e che, oltre a portare vantaggi immediati nella governance di alcuni fenomeni e tematiche, costituisce la possibilità real time di conoscenza dei fenomeni e dinamiche urbane. A tema è la città responsiva dove l’integrazione dei dati offre innumerevoli vantaggi, oltre a quelli innegabili dal punto di vista degli assets strategici fondamentali come la conoscenza digitale delle infrastrutture urbane. Il valore del patrimonio informativo pubblico è alla base di un’economia della conoscenza condivisa. Una infrastruttura informativa territoriale è una “conoscenza” che può essere ben intesa come commodity e quindi ha un valore in sé. Da queste considerazioni ha avviato il suo processo di realizzazione il data strategy di un Consorzio di 23 Comuni denominato Con.AMI la cui finalità è valorizzare assets immateriali come i dati e al contempo, integrare la conoscenza plurime esistente (proprietaria e open) in un approccio Smart per la crescita della competitività di un sistema territoriale basata sui Smart Data. Gli strumenti a supporto delle decisioni costituiscono facilitatori per una lettura e simulazione coordinata e integrata della pluralità informativa presente. Non sostituiscono il planner o l’amministratore ma lo supportano in una capacità di valutazione derivante dall’infrastruttura conoscitiva implementata. Parole chiave: smart city, information technology, community. 1 | Il valore del dato e il rinnovamento del ruolo pubblico Attraverso una mappatura sullo stato dell’arte delle Smart Cities (Zubizarreta, Seravalli, Arizzabalaga, 2015) emerge come il concetto di Smart Cities venga ridotto spesso a tecnologia e come la sua applicazione sia, il più delle volte, una azione di marketing territoriale. Si confonde così lo strumento con lo scopo. Nell’ambito delle azioni eGov le amministrazioni implementano servizi e strumenti orientati a dare contenuti e risposte spesso a domande che non ci sono, con investimenti anche importanti che non generano i risultati attesi. Oltre ai processi di digitalizzazione e informatizzazione generale emerge una più complessa e strategica esigenza di digitalizzazione di cultura e mentalità. Più che di eGOV occorrerebbe ragionare in termini di eCitizen (Noveck, 2015), ovvero partire dal fine a cui eGOV è destinato: il cittadino. Così anche nell’ambito della pianificazione territoriale. Occuparsi di pianificazione e crescita 1093 della competitività di un territorio oggi non può prescindere da progettare e pensare un territorio in maniera smart. «La città di Leonia rifà se stessa tutti i giorni», narrava Italo Calvino ne «Le città Invisibili». In un tempo così dinamico pensare alla programmazione di una città secondo criteri del dopoguerra è assai anacronistico ma, se ci pensiamo bene, la pianificazione urbanistica che definisce lo sviluppo della città, ha un impianto basato su una conoscenza derivante da quadri conoscitivi spesso obsoleti e non aggiornati in un contesto di dinamicità inimagginabile fino a qualche decennio fa. Una obsolescenza informativa derivante dalla disomogeneità e dall’eterogeneità delle informazioni, dalla difficoltà di disporne in modo completo e aggiornato, unitamente ad una impostazione monodisciplinare e non interconnessa frutto di uno sviluppo macchinistico degli ultimi secoli (Bonomi, Masiero, 2014), fondata su un approccio disciplinare in cui Scienza e Tecnica erano separate e dove l'arte e lo stereotipo dell'artista disordinato era agli antipodi rispetto allo scienziato che l'immagine collettiva rappresentava in camice bianco. Un’era delle discipline dove le parti del sapere potevano essere tenute assieme da un processo organizzativo, un progetto industriale. In urbanistica, standard e zooning erano le unità misurabili con le quali si disegnava il futuro dei territori. È in questo scenario, negli anni '60 in Italia, che trovano costituzione i principali enti di produzione cartografica nazionale a supporto degli strumenti urbanistici e non solo. Con l'avvento del digitale è avvenuto un cambiamento sostanziale. Il digitale ha imposto, utilizzando le parole del sociologo polacco Bauman, la società fluida (Bauman, 2000). La stessa rappresentazione del territorio è cambiata. Con Internet tutto è flusso di informazioni. Oggi la comunicazione tramite Internet ha di fatto annullato il concetto di spazio. La comunicazione e il digitale oggi è transnazionale, annulla le barriere e i confini. La rappresentazione del territorio, attraverso lo sviluppo di progetti a base volontaria, ha portato ad avere cartografie nate dal basso più aggiornate di quelle ufficiali costruite dagli organi predisposti. Oggi con lo smartphone tutti possono acquisire, raccogliere e trasmettere dati divenendo veri e propri sensori di monitoraggio (e non solo) posizionati sul territorio. Era il 2011 quando al MoMa Paola Antonelli presentava la mostra intitolata «Talk to Me, Uomo e Tecnologie»: le cose e il territorio parlano. Lo stesso Personal Computer oggi non è più una macchina nel senso tradizionale, va oltre alla finalità originale, non è uno strumento di scrittura (solo)... è un medium a tutti gli effetti. Così lo Smartphone che travalica la sua funzioe di telefono con tante applicazioni che lo rendono sempre più Smart. Oggi è condivisa la necessità di approcciare la realtà con una logica multidisciplinare, una logica che prediliga il sistema, l'approccio cosiddetto olistico. Ma siamo ancora in mare aperto. Come dice Farinelli, «le distinzioni tra spazio e territorio, tra soggetto e oggetto, tra essere umano e ambiente, non reggono più. C'è la coscienza della assoluta interrelazione, frutto della globalizzazione» (Farinelli, 2009). Il paradosso che emerge è che più siamo costretti a ragionare in modo globale più diventano strategiche le economie e gli sviluppi locali. Il potenziarsi della globalizzazione e il potenziarsi della localizzazione, come due facce della stessa medaglia, stanno ridisegnando il nuovo tessuto delle comunità (Moretti, 2014). Più che l’adozione di una tecnologia che renda la città o il territorio smart, occorre pensare a un sistema che favorisca la comunicazione della città e dei suoi servizi (Seravalli, 2016). La parola Sistema evidenzia già un insieme di cui la tecnologia è una componente al pari delle informazioni (contenuti) e delle persone. Una città o un territorio è un Sistema di per sé, fatto di infrastrutture, elementi morfologici naturali ma anche persone, un «ecosistema umano» (Moretti, 2014). Jane Jacobs, mezzo secolo fa, osservava che le comunità, al pari degli ecosistemi naturali, non sono entità statiche, ma realtà creative in continua evoluzione. Parlare di città intelligente vuol dire inequivocabilmente parlare di conoscenza e di comunicazione di questa. Implica affrontare il tema di una visione di città dove viene rimesso al centro il ruolo del cittadino, di colui che appartiene ad una comunità valorizzando una comunicazione integrata top down e botton up tra cittadini e amministratori. Questo porta inevitabilmente al recupero dell’idea di Bene Pubblico, sia quello fisico che quello digitale. Lo spazio comune, fatto di strade, marciapiedi, giardini pubblici, piazze, è lo spazio spesso inteso di risulta. A livello architettonico sappiamo invece che si progetta il pieno, eppure questo non acquista significato senza il vuoto limitrofo che ne conferisce forma. Questi spazi spesso dimenticati o sottovalutati divengono sempre più oggetto di ripensamento anche perché la loro capacità di essere vitali, evidenzia la qualità e la concezione stessa della comunità che trova conveniente abitare quei luoghi. Non per niente le forme di insicurezza, degrado urbano e sociale, trovano in questi spazi i luoghi prediletti per manifestarsi e ferire le nostre città. Gli enti pubblici preposti all’ordinaria manutenzione di questi vuoti non dispongono di risorse adeguate, ma soprattutto, emerge come sia finito il tempo in cui l’ente pubblico si sostituisca alla responsabilità dei cittadini che si riconoscono in una comunità, in una città o quartiere. Lo spazio pubblico è di tutti e ciò non vuol dire che è di nessuno o è di un anonimo Ente amministrativo. Mantenere vuol dire “tenere la mano”, salvaguardare, 1094 avere cura, abitare un luogo. Esperienze di manutenzione ordinaria fatta dai cittadini stessi è una possibilità più che concreta oltre che auspicabile già sperimentata in diversi paesi. A questo tipologia di spazio fisico corrisponde altrettanta forma di spazio digitale fatto dai contenuti collaborativi che generano dati, informazioni, conoscenza condivisa, domanda, servizi. Esiste tuttavia una disarticolazione tra i contenuti digitali, soprattutto nell’ambito della stessa governance pubblica. L’evoluzione esponenziale delle opportunità tecnologiche unitamente alla lentezza avutasi nel settore pubblico nel portare avanti progetti calati dall’alto hanno portato a delegittimare nei fatti la capacità e il ruolo di erogatore ufficiale di dati. La velocità con cui questi vengono prodotti dal basso hanno dequalificato il dato prodotto dall’alto. Questo soprattutto relativamente ai dati geografici. La capacità collaborativa di generare dati dal territorio è incredibilmente molto più alta della capacità del pubblico che anzi dovrebbe favorire sempre più il coinvolgimento attivo della cittadinanza, coadiuvando e definendo i criteri e gli obiettivi, un rinnovamento del ruolo del soggetto pubblico e l’avvio di una collaborazione operativa tra cittadino (individui, imprese, associazioni, ecc.) e amministrazione. E’ il tema della città responsiva dove l’integrazione dei dati offre innumerevoli vantaggi, oltre a quelli innegabili dal punto di vista degli assets strategici fondamentali come la conoscenza digitale delle infrastrutture urbane. Come osservava l’allora sindaco di New York, Bloomberg, riflettendo su come per la prima volta nella storia dell'umanità la maggioranza della popolazione mondiale vive nelle città, «l’ascesa della città coincide con una rivoluzione tecnologica che stimola i leader locali a trovare nuovi modi innovativi per migliorare i servizi pubblici. Al centro di questa rivoluzione sta la nostra crescente capacità di usare i dati e migliorare i servizi che il governo fornisce. I governi sono stati a lungo gestori di registri e sempre più usano i record - miliardi di dati puntuali - per migliorare ogni cosa dalle risposte di emergenza all'educazione o ai trasporti» (Goldsmith, Crawford, 2014). Emerge il tema della costruzione di una piattaforma per la conoscenza e la collaborazione partecipata, una vera e propria infrastruttura digitale. Già vent’anni fa negli Stati Uniti d’America, il Presidente Clinton introduceva nel 1994 nel sistema pubblico il concetto di Spatial data infrastructure (Sdi). Questo concetto è stato ripreso in Europa con la direttiva Inspire nel 2007 (Infrastructure for spatial information in the European community) e ad oggi sono almeno 150 le iniziative di SDI (tra queste GSDI, GEOSS, UK location strategy, ecc.) censite in letteratura (Iannucci, Saretta, Vico, Zotti, 2012). Era inoltre il 1998 quando Al Gore diceva: «Una nuova ondata di innovazione tecnologica ci permette di catturare, memorizzare, elaborare e visualizzare una quantità senza precedenti di informazioni sul nostro pianeta e su un’ampia gamma di fenomeni ambientali e culturali. Gran parte di queste informazioni sarà georeferenziata». Si sviluppa il sogno della Digital Earth (Al Gore, 1998), una nuova rivoluzione dai tempi di Gutenberg incentrata sull’informazione (Castells, 2002) che troverà riscontro con Google Earth e Google Maps (2005). Non solo la realtà viene percepita in modo virtuale, ma l’immagine della terra diventa il mezzo per accedere ad ogni informazioni, il pianeta stesso è il browser. È la forza della rappresentazione tramite immagini, quelle che Pasolini definiva come «le fonti educative più immediate, materiali, mute, inerti eppure presenti, eppure ti parlano». È il paradosso della geografia e della cartografia: non possiamo mai conoscere il mondo senza una mappa, ma non possiamo neanche rappresentarlo totalmente in una mappa. Il dato geografico è strategico e sempre in evoluzione, come il territorio che emula. L’uomo è un essere geografico diceva il geografo francese Dardel. È il tempo di condividere e far dialogare le diverse fonti e banche dati, favorirne un uso plurimo, una possibilità effettiva di federazione e di interoperabilità, sia essa di tipo Open Data o tramite accordi tra i soggetti che operano nell’ambito territoriale. Il valore del patrimonio informativo pubblico è alla base di una economia della conoscenza condivisa. Una infrastruttura informativa territoriale è una “conoscenza” che può essere ben intesa come commodity e quindi ha un valore in sé. Non esiste servizio che non si appoggi in una logica di rete. Così oggi, il cardine di tutti i servizi è, dal punto di vista anche formale, il patrimonio di infrastrutture a rete già esistente e ogni sviluppo futuro, sociale ed economico di un territorio, non può prescindere dalla capacità di governare queste reti, di mantenerle e rendere sempre più integrate, efficienti e intelligenti. L’attività di costruzione di infrastrutture digitali (insieme di dati digitali di tipo geografico, statistico, amministrativo, utili al governo e alla gestione dei territori) è riconosciuta una attività fondamentale da parte delle diverse nazioni e, più in generale, il concetto di informazione geografica può essere esaminato almeno sotto quattro diversi aspetti «as resource, a commodity, an asset and an infrastructure» (Masser, 1998; Seravalli, 2016). Una risorsa (resource) perché le informazioni possono essere considerate alla stregua degli altri fattori produttivi (terra, lavoro, capitale). Un bene (comodity) che può essere prodotto e scambiato secondo le regole del mercato, ma che se ne discosta radicalmente per il semplice fatto che l’informazione 1095 (bene immateriale per eccellenza) può essere potenzialmente riprodotta e venduta infinite volte. Una ricchezza, un valore positivo (assets) per l’intera collettività (Goldsmith, 2011). Da queste considerazioni è stato avviato il progetto data strategy di un Consorzio di 23 Comuni emiliano romagnolo denominato Con.AMI: procedere al tentativo di valorizzare assets immateriali come i dati e al contempo, integrare la conoscenza plurima esistente (proprietaria e open) in un approccio Smart per la crescita della competitività di un sistema territoriale basata sui Smart Data. 2 | L’ecosistema digitale: il data strategy Il progetto Data Strategy è una infrastruttura informativa e di servizi basata su una piattaforma di integrazione e collaborazione fra dati proprietari e dati open, volta a disporre di strumenti utili per comprendere e decidere gestendo in maniera dinamica lo sviluppo del territorio e quindi rendere competitivo il sistema territoriale. La conoscenza è un fattore competitivo e la capacità di sintesi e di lettura integrata multidisciplinare costituisce un fattore sempre più necessario per la governance e la pianificazione del territorio. Emerge chiaramente come il problema non sia specificatamente legato ad una applicativo, ad una tecnologia o ad un visualizzatore, ma all’acquisizione e costruzione di un sistema di fruizione condivisa tra i diversi gestori e generatori di informazioni del sottosuolo e soprasuolo fra loro strettamente correlate e complementari con i database topografici disponibili e con quanto in corso di sviluppo dalla Regione e dai Comuni: Smart Data come infrastruttura per la città (Seravalli, 2011). Figura 1 | Ambiti realizzati o in corso di realizzazione (arancio) e ambiti di sviluppo (giallo) Fonte: elaborazione dell’autore. A tema non c’è l’interscambio del dato ma la fruizione del dato in maniera diretta dal soggetto responsabile che ne ha cura. Questo vale per il gestore della rete in fibra ottica piuttosto che quello dell’illuminazione pubblica; del catasto o del verde pubblico o ancora del gas o della rete e toponomastica stradale. Una fruizione basata sull’accesso al dato e sulla possibilità di creare servizi di consultazione e navigazione del dato implementabili all’interno dei diversi sistemi di webmapping utilizzati dai singoli soggetti per la loro finalità. Questo si può realizzare attraverso la realizzazione di database specifici fra loro integrati consapevoli delle caratteristiche e proprietà specifiche di ciascuna entità. Una rete gas non è una rete idrica né tantomeno una rete in fibra ottica e pertanto non è pensabile l’adozione delle medesime regole o del medesimo database per la gestione e progettazione di reti così’ diverse. L’acquisizione limitativa di un tracciato di infrastruttura, se da un lato né da una visualizzazione approssimata in termini di consistenza e di valore, non soddisfa chiaramente gli obiettivi che un simile progetto intende perseguire. Lo stesso utilizzo talvolta comporta esportazioni e allineamenti secondo specifiche nazionali oltre che utilizzi diversi in funzione delle mansioni che ciascun soggetto deve attuare. La sola visualizzazione inoltre non soddisfa le necessità dei singoli uffici preposti che necessitano di tool specifici e dedicati secondo norme e formati di scambio 1096 strettamente correlati al tipo di rete, rendendo il progetto una riduzione di quanto portato avanti in altri territori con scarso successo. I processi di cambiamento e un progetto con queste finalità, in primo luogo necessitano il rafforzamento e la cooperazione tra di diversi soggetti interessati (in particolare le pubbliche amministrazioni e i gestori di servizi). Senza questa sinergia pubblico privato un progetto di questo tipo non potrà realizzarsi nella sua organicità e non potrà mantenersi. Si afferma pertanto un ruolo diverso anche del soggetto pubblico che si pone come garante e facilitatore della condivisione informativa che deve partire però da una digitalizzazione culturale prima ancora che di procedure. Il progetto ha inteso costruire un sistema di banche dati georeferenziate e non identificando in esse un vero e proprio asset con valore aggiunto per i diversi enti territoriali e per il mondo produttivo locale. Essendo l’ambito applicativo ampio, la volontà è stata quella di innescare un percorso le cui fasi iniziali hanno riguardato le diverse risorse disponibili relative alle cartografie di base e cartografie tematiche, le reti tecnologiche, le infrastrutture urbane (viabilità, verde pubblico, immobili pubblici) e le attività su di esse svolte (segnalazioni, manutenzione, pronto intervento, ecc.). Il lavoro si è articolato su tre binari: quello relativo alle informazioni, quello relativo alla definizione delle regole e agli accordi di interscambio e quello relativo agli strumenti a supporto delle decisioni. Le basi dati informative relative ad un territorio distribuito su due regioni (Emilia Romagna e Toscana) ha visto la messa a sistema di tutti i servizi di webmapping e di open data presenti relativamente alla cartografia di base, dei dati catastali attraverso opportune procedure di import, delle basi dati ISTAT e dei valori immobiliari ad altre acquisite periodicamente e direttamente. A queste si sono aggiunti gli strati informativi derivanti dai gestori di servizi o altri soggetti pubblici per la visualizzazione delle informazioni relative alla viabilità, alle reti del sottosuolo e soprassuolo unitamente ai vincoli presenti ottenuti attraverso specifici accordi di interscambio con i diversi operatori che hanno aderito al progetto. L’accesso al dato è regolato in base a ruoli e diritti e una parte di questi elementi potrà essere resa disponibile all’esterno per la costruzione di ulteriori applicazioni. A tutela anche della corretta gestione di dati condivisi, i diversi soggetti (pubblici e privati) sottoscrivono un accordo che tutela ed esplicita la responsabilità sul dato e l’origine del medesimo. Il valore derivante è proprio la conoscenza diffusa e quindi una capacità di leggere e comprendere il territorio oltre che di generare servizi. Tra questi ultimi è il caso della società di gestione del patrimonio pubblico che attiva sistemi di comunicazione dei lavori al cittadino basandosi sull’infrastruttura stessa. Oppure la possibilità tra gli enti di accedere facilmente e in maniera coordinata e completa al dato catastale. Il gestore di telecomunicazioni attraverso questa infrastruttura potrà conoscere vincoli e servitù della propria rete o lavori o altre reti presenti su strade in cui intende posare del cavo. Gli esempi di interscambio sono molteplici e portano a cambiamenti organizzativi che rimuovono strutture gerarchiche e burocratiche all’interno del ambito pubblico. La condivisione di dati nelle forme comprensibili e utilizzabili dalle persone rinnovano l'amministrazione stessa e il proprio ruolo nella città. Un livello conoscitivo strutturato può essere in parte anche aperto con evidenti opportunità di sviluppo di nuove applicazioni e generazione di servizi partecipativi e di eGov, senza contare poi delle facilitazioni derivanti dall’utilizzo di strumenti a supporto delle decisioni che costituiscono facilitatori per una lettura e simulazione coordinata e integrata della pluralità informativa presente. Rientra in questo caso l’utilizzo di strumenti di analisi geografica dinamica e strumenti di dashboard per la comparazione e l’elaborazione di output oltre che strumenti intelligenti di simulazione, in fase di implementazione, basati su strutture a grafo e nodi per comprendere impatti, ricadute e costi sulla base di vincoli e ipotesi di scelte strategiche: veri e propri strumenti di Urban Decision Making configurabili tenendo in considerazione aspetti sociali, ambientali, economici, urbani. Questi strumenti non sostituiscono il planner o l’amministratore ma lo supportano in una capacità di valutazione derivante dall’infrastruttura conoscitiva implementata. 1097 Figura 2 | Interfaccia di navigazione basata su CityOMNIS™ della pluralità informativa disponibile Fonte: elaborazione dell’autore. Figura 3 | Schema di inquadramento della fruizione tra i diversi operatori Fonte: elaborazione dell’autore. Figura 4 | Esempio di analisi avanzate per la comprensione di fenomeni e impatti Fonte: elaborazione dell’autore. 1098 Riferimenti bibliografici Bauman Z. (2000), Liquid Modernity, Polity Press, Cambridge. Bonomi A., Masiero R., (2014) Dalla smart city alla smart land, Marsilio Editore, Venezia. Castells M., (2002) “The information age: Economy, Society and Culture”, in La nascita della società in rete, Egea, Milano. Farinelli F, (2009), La crisi della ragione cartografica, Einaudi, Torino. Goldsmith S., Crawford S., (2014) The Responsive City, John Wiley and Sons, San Francisco. Goldsmith S., (2011) “Progressive Government is Obsolete”, in Wall Street Journal, no. 18. Moretti E., (2014) La nuova geografia del lavoro, Mondadori, Milano. Noveck B.S., (2015), Smart Citizens, Smart State, Harvard University Press, Cambridge. Seravalli A., (2011), GIS Teorie e Applicazioni, La Mandragora Editore, Imola. Seravalli A., (2016), “Smart Data Use to Improve the Urban Competitiveness”, in CEE eDEM and eGOV Days 2016 Multi Level (e)Governance: is ICT a means to enchance transaparency and democracy?, Austrian Computer Society, Wien, pp. 143-151. Zubizarreta I., Seravalli A., Arrizabalaga S. (2015), “Smart City Concept: What it is and What it should be”, in Journal of Urban Planning and Development, vol. 142, Issue 1. Sitografia Al Gore, (1998), discorso al California Science Center di Los Angels La terra digitale: capire il nostro pianeta nel XXI secolo: http://www.digitalearth-sde.org/userfiles/The_Digital_Earth_Understanding_our_planet_in_the_21st_Century.doc Traduzione a cura di Iannucci, Saretta, Vico, Zotti per AMFM Gis Italia di Toth, Portele, Illert, Lutz, Nunes de Lima (2012) Un modello concettuale per lo sviluppo di specifiche di interoperabilità nelle infrastrutture di dati territoriali https://www.researchgate.net/profile/Katalin_Toth10/publication/281584885_Un_modello_concettuale_per_lo_s viluppo_di_specifiche_di_interoperablita_nelle_infrastrutture_di_dati_territoriali/links/55eeac2508ae199d47bf109 d.pdf?origin=publication_list 1099 Smart Planning per la città contemporanea Susanna Sturla Università di Pavia DICAr - Dipartimento di Ingegneria Civile e Architettura Email: susanna.sturla@unipv.it Tel: 0382. 985743 Abstract L’avanzamento tecnologico ha contribuito notevolmente alla modificazione del modo di vivere la città. Lo smart planning, inteso come termine che descrive la pianificazione che coinvolge tutte le componenti della smart city, assume quindi una notevole importanza nella definizione di nuovi scenari urbani. Esso rappresenta una radicale riconsiderazione delle politiche e degli strumenti di governo del territorio, correlandosi alle attuali esigenze di cambiamento e alla necessità di adattamento alle modificazioni socioeconomiche che si ripercuotono sulla struttura urbana. In questo contesto trova argomentazione un nuovo approccio pianificatorio, che da un lato prende in considerazione la città e le sue componenti smart (sociali, ambientali, governative) e dall’altro intende la città come organismo in grado di modificarsi e adattarsi alle necessità. La discussione su cui si incentrerà il paper nasce da una riflessione di base: quali sono le componenti della smart city e come tali componenti si relazionano e condizionano la struttura urbana? Il paper, sulla base dei risultati ottenuti dall’ International Summer School “Flexible City for Smart Communities” tenutosi presso l’Università di Pavia dal 20 al 27 settembre 2015 riporta alcuni case study dello scenario internazionale mettendo in luce gli obiettivi ed i progetti più considerevoli delle componenti smart e le relazioni smart flexible city. Parole chiave: smart cities. 1 | Considerazioni sulle dimensioni della smart city Non esiste una definizione univoca di smart city. Nell’arco di un decennio l’appellativo smart city, ha identificato la città digitale, poi la città socialmente inclusiva, fino alla città che assicura una migliore qualità di vita. «Possiamo ricondurre lo sviluppo della visione delle smart city all’humus del Rinascimento. Le città ideali del Rinascimento italiano (Pienza, Sabbioneta, Ferrara, Urbino, ecc.) nacquero esattamente con lo stesso portato di motivazioni delle città ideali che le smart city intendono rappresentare, rivoluzionando totalmente l’architettura e l'urbanistica moderna». Il Politecnico di Vienna in collaborazione con l’Università di Lubiana ed il Politecnico di Delft ha coniato una delle definizioni di smart city che sembra aver condotto al primo cambiamento di prospettiva: una smart city è una città costruita sulla combinazione di sei settori chiave dello sviluppo urbano di cui, attraverso indicatori, è possibile valutare il grado di smartness. L’aspetto smart viene quindi progressivamente collegato non più solo alla presenza di infrastrutture digitali, ma anche e soprattutto al ruolo del capitale umano, sociale e relazionale come fattore importante di crescita urbana. Non solo dati e informazioni, ma anche mobilità, qualità dell’ambiente, governance del sistema urbano, contesto economico, partecipazione alla vita sociale, vivibilità. L’insieme di queste 6 dimensioni individua in pratica l’essenza di una Smart City, che oltre a essere una città digitale o tecnologicamente avanzata, «è l’insieme organico e multiforme del capitale fisico, economico, intellettuale e sociale» 1100 «Per piccoli passi si arriva dunque a quella che oggi è l’interpretazione dominante di smart city: un luogo che è il risultato integrato di aspetti ‘hardware’ e ‘software’, in grado di combinarsi tra loro assicurando a chi lo vive una migliore qualità di vita». Figura 1 | Smart city model Fonte: The European House – Ambrosetti, 2012. 2 | Considerazioni sulle dimensioni della flexible city L’avanzamento tecnologico dunque induce a modificazioni ed evoluzioni della struttura urbana che si ripercuotono di conseguenza sulla disciplina urbanistica, che, fino agli anni ‘80, è stata estremamente rigida ed iperdeterministica. Emerge, quindi, per far fronte ai cambiamenti, la necessità di pensare la città come organismo in grado di adattarsi al mutevole contesto esigenziale, e di dare forma alle nuove caratteristiche della società contemporanea attraverso nuovi processi e nuove regole, un tema che hanno affrontato in passato ricercatori autorevoli, primi fra tutti William J. Mitchell e Manuel Castells, maturando importanti riflessioni sugli effetti di un futuro dominato dalle ICT. Dai loro studi emerge che la “rivoluzione digitale” porterà trasformazioni evidenti sulla città e sui suoi users, trasformazioni che probabilmente avverranno lentamente, ma che comunque incideranno sulla sua conformazione fisica. Studi recentemente affrontati all’Università di Pavia presso l’Urban Project laboratory delineano una teoria innovativa con cui descrivere i mutevoli cambiamenti della città definendo col termine flessibilità un processo adattivo che coinvolge tutte le dimensioni della città. La città flessibile è definita appunto «come la capacità della città di adeguare le proprie funzioni, la propria struttura e le proprie regole di funzionamento in base alle sollecitazioni socio-economiche di diversa magnitudo e frequenza attraverso un approccio spazialmente e temporalmente flessibile. Vengono proposti sei principi che possano descrivere la teoria 1. Dimensione temporale: la flessibilità ha senso solo se inscritta in distinti ambiti temporali. Il significato della previsione si declina nella costruzione di diversi scenari; 2. Geografia variabile: l’urbs della città flessibile è mutevole nelle sue dimensioni e nella sua forma. Permane la dimensione strutturale. La forma è esito dell’adattamento alla geografia variabile, intesa come insieme dei cambiamenti della civitas e della polis. Inoltre è risultante dal progetto dei luoghi antropologici; 3. Reversibilità: come si prevede che la città possa espandersi, altrettanto si deve prevedere una fase di contrazione. In ottica di sostenibilità, la contrazione (o la dismissione) deve permettere la rinaturalizzazione degli ambiti e delle aree urbanizzate. Ciò significa considerare il ‘life cycle assesment’ dell’intera città e non solo dei singoli edifici; 4. Indifferenziazione funzionale: la città deve poter adeguare localmente le sue funzioni e aumentare o ridurre il carico urbanistico in base alle esigenze, senza che ciò infici il funzionamento del sistema infrastrutturale e della struttura generale della città. Il cambiamento funzionale deve sempre considerare le modificazioni potenziali ai significati antropologici; 5. Strutturazione su layer: la terza dimensione è fondamentale per ipotizzare livelli funzionali a cui attribuire differente durabilità e adattabilità. 6. Eterorganizzazione sociale: equilibrio tra il modello di pianificazione gerarchica ‘top-down’ e quello autorganizzativo ‘bottom-up’. 1101 3 | Relazione tra smart e flexible city Le premesse fatte nei paragrafi precedenti permettono di introdurre l’anima del paper ovvero l’argomento dell’International Summer School ‘Flexible City for Smart Communities’. Gli studenti del corso di laurea magistrale in Ingegneria Edile Architettura insieme agli studenti dell’Italian Chines Curriculum (Double Degree del Corso di laurea magistrale in Ingegneria Edile-Architettura e la ‘Master of Architecture’ della Tongji University di Shangai) hanno approfondito ed interpretato il rapporto tra smart city e flexible city, mettendole in relazione tra di loro. Figura 3 | Relazioni e legami Smart e Flexible City Fonte: elaborazione propria. Si è delineato che le componenti della Smart City influenzano e sono influenzate dalle componenti della Flexible City. Le relazioni ed i legami che si creano risultano di mutua dipendenza evidenziando a seconda del legame relazioni forti o deboli. Rendere una città smart vuol dire agire contemporaneamente sulle tre classiche componenti di base: forma fisica, struttura sociale e governance (urb, polis e civitas). Appare evidente che gli avanzamenti tecnologici creino cambiamenti nel modo di vivere la città influenzando di conseguenza i luoghi e la forma; basti pensare come, solo al secolo scorso, il sistema dei flussi legato alla mobilità fisica era su un unico livello, mentre ora leggiamo chiaramente una distribuzione su layer rappresentati dal livello interrato (metropolitana), dal livello zero e +1 (sede delle infrastrutture stradali e ferroviarie) e dal livello +2 (viabilità aerea e flussi immateriali di comunicazione). L’assioma di base è la dimensione temporale: una città deve essere in grado di cambiare ed adattarsi in tempo per soddisfare le varie esigenze che si presentano. Flessibilità e smartness sono collegati da una relazione biunivoca. L’obiettivo comune è la vivibilità. Innovazioni tecnologiche nella città e cambiamenti flessibili della città hanno lo scopo principale di rendere migliore e più facile la vita degli users. Queste considerazione hanno permesso di costruire il diagramma di flusso (fig. 4) che rappresenta l’interpretazione relazionale tra smart e flexible city. Figura 4 | interpretazione relazionale Smart e Flexible City Fonte: elaborazione propria. 1102 È emerso quindi, riassumendo, che la dimensione temporale regola le modificazioni flessibili della città che sono alla base per uno smart living il quale a sua volta è in relazione e dipendente dalle componenti smart environment, smart economy e smart mobility, attraverso uno smart governance il tutto per smart people. 4 | Metodologia e case study Nel panorama internazionale sono stati identificati alcuni casi studio, con l’obiettivo comune dello smart living, che rispondessero all’interpretazione smart - flexible city, prendendo come esempio città che si sono adattate e adeguate alle modificazioni e città progettate ex novo. Per ogni caso studio si riportano gli obiettivi ed i progetti più considerevoli delle componenti smart ed il diagramma delle relazioni smart flexible. 4.1 |Singapore Smart governance - obiettivi e progetti: Per raggiungere uno sviluppo urbano olistico e sostenibile Singapore ha avviato diverse strategie pianificatorie vantando la possibilità di diventare la città più tecnologica ed innovativa nel prossimo decennio. Il premier Lee Hsien Loong alla fine del 2014 ha lanciato il programma Smart Nation con l’obiettivo di incoraggiare la sperimentazione di nuove tecnologie e la collaborazione tra cittadini, imprese e stato. La strategia comprende sette settori economici chiave: istruzione, servizi finanziari, sanità e scienze biomediche, produzione e logistica, turismo, governo e media digitali. Un altro progetto organizzato da agenzie governative, in collaborazione con le scuole e partner di settore è hackathons, un evento in cui si offre l'opportunità ai partecipanti che hanno ideato nuove soluzioni tecnologiche di illustrare i risultati ottenuti ottenendo finanziamenti e sponsor. Smart economy - obiettivi e progetti: Il governo negli ultimi 10 anni ha finanziato oltre 22 miliardi di dollari in ricerca e sviluppo. Dal 2011, solo gli investimenti del settore pubblico hanno permesso l’avvio di circa 400 start-up. Inoltre il governo si è impegnato ad investire altri 14 miliardi di dollari per sostenere la ricerca rendendo il paese competitivo ed aumentando il valore aggiunto delle attività a Singapore. Smart people: obiettivi e progetti Il sistema sanitario di Singapore ha applicato e sta sperimentando la tele-riabilitazione sanitaria, un sistema che permette lo scambio di dati e l’interazione paziente medico senza il bisogno di essere fisicamente in ospedale. I dati vengono trasmessi in modalità wireless attraverso dei sensori che sono collegati ai pazienti che usufruiscono della terapia nel comfort della propria casa. Smart environment: obiettivi e progetti Punggol Northshore, si trova sul lungomare, ed è il primo quartiere ecologico in Punggol. Il progetto, sviluppato dall’ Housing & Development Board, attualmente ospita oltre 26.000 unità di edilizia residenziale pubblica. Una delle principali tecnologie intelligenti utilizzate in Punggol Northshore è modellistica ambientale, che studia il flusso del vento, la temperatura, irraggiamento solare e l’ombreggiamento al fine di agevolare le decisioni durante il processo di pianificazione e progettazione. Smart mobility: obiettivi e progetti L 'obiettivo di questo progetto di ricerca interdisciplinare del Singapore-MIT Alliance for Research and Technology Centre, iniziato nel luglio 2010, con il sostegno della National Research Foundation di Singapore è quello di sviluppare un nuovo modello per la pianificazione, la progettazione e il funzionamento dei futuri sistemi di mobilità urbana. Tali sistemi, miglioreranno la sostenibilità ed il benessere sociale su scala globale. Al centro delle attività di ricerca è il progetto SimMoblity con l’obiettivo di sviluppare e integrare modelli comportamentali state-of-the-art con strumenti di simulazione per prevedere l'impatto dei diversi livelli di mobilità, compresa la mobilità flessibile dei servizi su richiesta e la mobilità autonoma. La simulazione si collega a una rete di computer e a innovazioni tecnologiche di controllo della mobilità. I ricercatori vogliono usare i dati prodotti da questi strumenti, insieme ad altri di tipo analitico che uniscono i sistemi di gestione con le informazioni in tempo reale, al fine di evitare i problemi attuali come la congestione, forte domanda di accessibilità in certi luoghi, gli impatti ambientali e dei consumi energetici. 1103 Figura 5 | interpretazione relazionale Smart e Flexible City Singapore. Fonte: elaborazione propria. 4.2 |Amsterdam Smart people: obiettivi e progetti Nell'ambito del progetto europeo City-zen, un nuovo gioco è stato sviluppato da UK Partner con l'obiettivo di coinvolgere i giovani aumentando la loro consapevolezza sul risparmio energetico. Il risparmio energetico è un tema estremamente attuale ed imperativo. Questo gioco può essere un ottimo strumento per l'istruzione e si baserà su una serie di iterazioni che sfruttano i dati energetici in tempo reale in modo che il comportamento del mondo reale si rifletta in un ambiente virtuale. Smart governance: obiettivi e progetti Amsterdam ha un programma Open Data attivo. Le sfide principali comprendono la decodifica dei dati, l'organizzazione di una piattaforma per i dati e la creazione di applicazioni che sfruttino le informazioni pubblicamente disponibili che possono essere utilizzate e combinate per fornire la possibilità di prendere decisioni basate su fatti e cifre reali. The CityService Development Kit è un sistema che raccoglie dati, al fine di renderli disponibili in tempo reale. Smart economy: obiettivi e progetti Il Budget monitoring è un metodo che permette ai cittadini di vagliare, valutare e partecipare attivamente alle decisioni pubbliche in materia di spesa pubblica. Il Centro per Budget monitoring lega diverse figure, permettendo ai vari enti di poter dialogare e risolvere efficacemente le problematiche attraverso soluzioni condivise. Smart environment: obiettivi e progetti Il kit dello smart citizen è stato ideato da alcuni cittadini preoccupati dalle crescenti emissioni. La differenza tra questo Kit e altri strumenti di misura è il coinvolgimento attivo della ‘gente comune’ nel processo di misurazione. In questo progetto, Waag Society e Amsterdam Smart City in collaborazione con i partecipanti installeranno una rete di sensori fuori della loro casa, per esempio fuori del loro finestra o sul balcone, per tutta Amsterdam. Il kit misurerà l'umidità, l'inquinamento acustico, la temperatura, la CO, NO2 e l'intensità della luce e trasmetterà i risultati tramite la connessione a Internet del partecipante. Smart mobility: obiettivi e progetti Amsterdam sta rivoluzionando l’idea di mobilità sostenibile del trasporto pubblico, la trazione elettrica è al centro del Programma Trasporto pubblico a impatto zero. Auto elettriche saranno affiancate dai mezzi pubblici a batteria e potranno godere del più alto numero di stazioni di ricarica in Europa. 1104 Figura 5 | interpretazione relazionale Smart e Flexible City Amsterdam. Fonte: elaborazione propria. 4.3 |King abdullah economic city Fahd Al-Rasheed, amministratore delegato del Gruppo Emaar Economic City ha sviluppato uno dei più grandi progetti privati sulla terra: King Abdullah Economic City (KAEC) che si trova in Arabia Saudita. Al-Rasheed intende trasformare KAEC in una delle più grandi città smart city del pianeta. Il progetto della città nasce da zero con l’obiettivo di diventare il fulcro principale per il commercio tra Asia ed Europa; la sostenibilità sociale è una parte strategica del progetto, lo sviluppo delle imprese fornisce e migliora le opportunità di lavoro locali e attrae le imprese regionali, nazionali ed internazionali, la creazione di posti di lavoro è in prima linea per la crescita ed il progresso della città. Per quanto concerne la sostenibilità ambientale, il governo è alla ricerca di sviluppatori qualificati per la progettazione, la costruzione e il funzionamento di un nuovo impianto di dissalazione di acqua per far fronte alla crescente richiesta. È prevista inoltre un’infrastruttura avanzata per servizi integrati di telecomunicazione, così come i servizi di trasmissione dati e servizi Internet; è un progetto ambizioso con l’applicazione delle tecnologie più all’avanguardia per ogni componente della ‘smart city’, l’ambizione più grande è la creazione di legami sociali e di appartenenza in una città che nasce da zero. Figura 7| interpretazione relazionale Smart e Flexible City Kaec. Fonte: elaborazione propria. 5 |Conclusioni I risultati riflettono l’evoluzione della definizione smart city non più solo come città digitale basata sulle infrastrutture tecnologiche ma come città socialmente inclusiva in cui il tema centrale è la persona, il benessere sociale e la vivibilità. Riferimenti bibliografici Smart Cities in Italia: un’opportunità nello spirito del Rinascimento per una nuova qualità della vita, disponibile su The European House Ambrosetti, Summit & Workshop & Forum, Forum “Lo Scenario di oggi e di domani per le strategie competitive”, Forum Villa d’Este 2012 http://www.ambrosetti.eu/wp-content/uploads/SmartCities_ITA.pdf. 1105 Giffinger R. et al (2007), Smart Cities: Ranking of European Medium-Sized Cities, Vienna, Austria: Centre of Regional Science (SRF), Vienna University of Technology disponibile su smart-cities.eu, version 1 2007, press and resources, smart cities final report http://www.smart-cities.eu/press-ressources.html. Marchionna G. (2013) Il Nuovo Umanesimo delle Città: Un diverso approccio allo sviluppo fondato sulla conoscenza, la cultura e la creatività, Youcanprint Self Publishing, Tricase (LE). Fusero P. (2008) E-city reti digitali e città del futuro, Actar-D List, Barcellona. Mitchell W. 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Ciò impone che si producano nuove capacità di formulare strategie integrate in grado di cogliere il nesso tra reti, ambiente costruito, spazio pubblico e struttura socio-economica delle città, così come accrescere le capacità cognitive degli attori locali, producendo letture più dinamiche ed attualizzate del cambiamento sociale verso il quale orientare le future scelte di pianificazione della mobilità sostenibile. Rispetto a questa premessa, il paper illustra un segmento di una attività di ricerca che riguarda la città di Palermo, quale contesto interessato negli ultimi anni da un cospicuo insieme di interventi infrastrutturali (alcuni realizzati, altri in programma) destinati a ridisegnare il sistema della mobilità collettiva ed il rapporto tra questa ed ampie porzioni dell’area urbana, molte delle quali caratterizzate da degrado e marginalità socio-economica. La ricerca condotta propone una rappresentazione sociospaziale della città attraverso un set di indicatori basati su dati censuari e dati raccolti sul campo, che si propone: nel breve periodo, di fornire una geografia aggiornata delle relazioni tra processi di cambiamento socio-economico della città e reti per la mobilità; nel medio periodo di costruire una baseline per future valutazioni per innovare, in un’ottica mobility-led, il contributo della pianificazione ai processi di rigenerazione urbana. Parole chiave: mobility, local development, surveys & analyses. 1 | Introduzione Negli ultimi due decenni il tema della mobilità ha assunto un ruolo sempre più trasversale rispetto ai processi di sviluppo delle aree urbane ed alle politiche pubbliche ad esse dedicate. Mentre le città mutano il loro profilo economico e sociale, il cambiamento negli stili di vita degli abitanti e nelle modalità di uso dello spazio urbano impone una rivisitazione del concetto stesso di mobilità (Urry, 2007; Grieco and Urry, 2012). Le città sono attraversate da flussi di abitanti e city-users le cui ragioni di spostamento sono solo in parte riconducibili ai tragitti casa-lavoro che hanno avuto un ruolo così centrale nella modellistica del secolo scorso. I tempi e le direttrici degli spostamenti all’interno dello spazio urbano si legano a centralità che possono essere determinate da ulteriori fattori, si pensi ad esempio al turismo o al leisure, i quali richiedono nuove forme di accessibilità e di relazione con i luoghi. Tutto ciò fa si che alla progettazione e gestione delle reti per la mobilità collettiva possa essere attribuita una funzione più ampia rispetto a quella convenzionale, attribuendo ad esse un ruolo in grado di generare valori urbani e dunque la necessità di pensarle all’interno di un approccio integrato con le politiche di uso 1107 del suolo e rigenerazione urbana. Lungo questa direzione si sono formate in ambito internazionale linee di ricerca che, con diverse sfumature, si propongono di esplorare in chiave progettuale il nesso tra reti, ambiente costruito, spazio pubblico e struttura socio-economica delle città, quali ad esempio il New Urbanism (Frug, 1999), il quale propone modelli di progettazione urbana orientati alla creazione di comunità urbane più vivibili a partire dall’ampiezza e dalla qualità degli spazi aperti, intesi quali crocevia di reti di mobilità sostenibile; o ancora le diverse sperimentazioni che si rifanno al concetto di “compact city” (OECD, 2012), basato sui vantaggi di una più alta concentrazione di funzioni nelle aree urbane centrali, sia per ridurre il consumo di suolo, sia per catturare le esternalità economiche e sociali date dalla maggiore integrazione tra attività. Uno spazio di rilievo all’interno di questo filone spetta al concetto di Transit oriented development (TOD) (Cervero, 1998; Curtis et al., 2009) con il quale si intende una varietà di approcci e tecniche di pianificazione che, ancor più che i precedenti, enfatizzano i sistemi di mobilità come struttura vitale attorno ai quali orientare i modelli di sviluppo urbano. Nato inzialmente dall’idea di creare nuovi insediamenti altamente attrattivi ma comunque a misura d’uomo lungo le grandi dorsali di trasporto, le sperimentazioni progettuali nell’ottica TOD si sono progressivamente confrontate anche con la questione della città esistente, il cui tema (soprattutto in Europa) comporta che le strategie di pianificazione debbano confrontarsi con un numero molto più alto di vincoli e variabili, ma anche come gli obiettivi di place-making possano avvalersi di risorse urbane e pratiche sociali già presenti nell’ambiente urbano. Un ingrediente comune di questi concetti ed approcci alla pianificazione è il contrasto al modello di città diffusa e la proposizione di una visione alternativa dello sviluppo urbano caratterizzato dalla compattezza degli insediamenti, dalla concentrazione delle funzioni, dall’attenzione dedicata all’accessibilità quale motore di uno sviluppo urbano sostenibile (Bertolini, 2012; Pucci e Colleoni, 2016; Suzuki et al., 2013). Un tema ancora marginalmemte esplorato, invece, riguarda il legame tra reti per la mobilità, marginalità urbana e coesione sociale. Va detto, infatti, che buona parte degli approcci precedentemente evocati muovono da considerazioni legati alla sostenibilità ambientale degli insediamenti ed in particolare dalla necessità di contrastare gli effetti ambientali dell’urbanizzazione dispersa e gli impatti dei modelli di sviluppo car dependent sul clima e l’ecosistema (UN-Habitat, 2013). Com’è noto, invece, tra le ragioni che determinano condizioni di marginalità nelle aree urbane e nei quartieri vi è anche la marginalità spaziale, la quale presenta forti incidenze sull’attrattività degli insediamenti, sull’accesso ai servizi, sui processi di valorizzazione economica. Benchè sia di senso comune il fatto che esclusione sociale e segregazione spaziale siano due facce della stessa medaglia, esiste tuttora un gap cognitivo che ha reso il tema dell’integrazione sociale attraverso le reti per la mobilità una questione piuttosto marginale nella letteratura e nelle pratiche progettuali. Mentre diversi studi condotti sulla povertà urbana (Baker e Schuler, 2004; Baker, 2008; Mitlin e Satterthwaite, 2013) riconoscono la marginalità spaziale quale fattore determinante nei processi di marginalità sociale, il quadro delle esperienze deliberatamente rivolte ad affrontare la questione in termini progettuali rimane scarno. Una eccezione è rappresentata da alcune originali politiche infrastrutturali condotte nell’ultimo decennio in America Latina, la più ben nota delle quali è rappresentata dalla realizzazione di una rete di “metrocable” (funivie) destinate a ricomporre la marginalità fisica e sociale di alcune delle favelas presenti nell’area urbana di Medellin, in Colombia. Accanto all’effetto emulazione che tali interventi stanno producendo in altre metropoli del Sud America (Bogotà, Caracas, La Paz, Rio de Janeiro), è interessante rilevare che esse hanno costituito la base per una riflessione più ampia sul ruolo che la mobilità collettiva può avere sulla riduzione delle marginalità nei quartieri con profonde criticità economiche e sociali. Alcune ricerche empiriche (Dávila, 2013; Bocarejo et al., 2014), ad esempio, hanno dimostrato che tali interventi possono produrre una pluralità di effetti sul tessuto sociale dei quartieri toccati dalle nuove reti di trasporto, alcuni dei quali tangibili (maggiore mobilità della popolazione, riduzione dei tempi/costi di trasporto) ed altri “intangibili”, quali ad esempio il maggiore senso di appartenenza ad una più ampia comunità urbana. Benchè sia evidente anche nel caso (virtuoso) di Medellin come l’estensione di tali effetti ad altre e più radicate componenti della marginalità urbana richieda una strategia globale ed interventi integrati di rigenerazione urbana, la lezione più generale che ci viene offerta è che mobilità e sviluppo locale abbiano interdipendenze tali da non potere essere trascurate dalle politiche pubbliche. Ciò comporta, per le scienze territoriali, alcune precise responsabilità scientifiche ed operative, tra le quali: (a) imparare a riconoscere e rappresentare il cambiamento sociale delle città in relazione alle diverse forme della mobilità urbana e (b) interrogarsi in che maniera il ridisegno delle reti per la mobilità collettiva possa contribuire ad attivare processi di rigenerazione urbana anche nelle aree marginali. Il presente paper si propone di fornire un contributo metodologico in relazione soprattutto alla prima delle due questioni. 1108 2 | Perché Palermo Rispetto all’approccio delineato nel primo paragrafo, il paper illustra alcuni primi risultati di una ricerca sul cambiamento sociale nell’area urbana di Palermo in relazione al ridisegno delle reti per il trasporto pubblico che si sta mettendo in atto nell’ultimo decennio. La città di Palermo, infatti, è interessata da un ingente programma di potenziamento delle ferrovie urbane1, la cui realizzazione si propone di colmare decenni di ritardi sul tema della mobilità collettiva e di spostare in maniera significativa il modal split urbano dai mezzi di trasporto privato a quelli pubblici. Si tratta in particolare di tre principali interventi infrastrutturali: • la realizzazione di una rete tranviaria urbana, le cui prime quattro linee (per un totale di circa 18 km e 44 fermate) sono entrate in esercizio alla fine del 2015, collegando alcuni grandi quartieri periferici alle due principali stazioni ferroviarie della città; • la realizzazione del Passante ferroviario, consistente nel raddoppio della ferrovia che attraversa la città da nord-ovest a sud-est e del suo parziale interramento con la creazione di diverse stazioni sotterranee in aree centrali della città; • la chiusura dell’Anello ferroviario, consistente nel prolungamento della ferrovia urbana in esercizio dagli inizi degli anni novanta per un totale di 6,5 km e l’apertura di tre nuove stazioni sotterranee tra cui una (Politeama) nel cuore della città. La realizzazione di tali interventi, pur accompagnata da qualche conflitto come spesso accade nel caso di grandi progetti che incidono su ambiti densamente popolati di residenti, funzioni pubbliche ed attività commerciali, ha contribuito a porre il tema della mobilità pubblica al centro dell’agenda politica come mai era avvenuto in passato. Mentre la locale azienda di trasporti (Amat) ha potenziato il preesistente sistema di car sharing e lanciato il primo servizio di bike sharing sull’intero territorio comunale, la municipalità ha predisposto un progetto per estendere di circa 140 km la rete di piste ciclabili e presentato al governo nazionale un nuovo programma di investimenti sulla rete tranviaria, il quale dovrebbe condurre nell’arco di un quinquennio alla realizzazione di tre nuove linee tranviarie per un totale di circa 12 km. Questa attenzione progettuale verso la questione del trasporto pubblico e sostenibile, invero, lascia ancora piuttosto ai margini una questione altrettanto rilevante per i futuri processi di sviluppo della città, ovvero in che termini la “rivoluzione” infrastrutturale in corso potrà contribuire a rigenerare l’area urbana in termini ambientali e funzionali e soprattutto a ridurre le marginalità socio-economiche che tuttora caratterizzano alcune sue ampie porzioni. È stato osservato (Vinci e Di Dio, 2016), in proposito, che nel caso di Palermo le nuove reti per il trasporto pubblico interessano quartieri (sia centrali che periferici) caratterizzati da significativi fenomeni di degrado fisico e marginalità sociale. Ciò fa si che il ridisegno infrastrutturale costituisca una potenziale occasione per conseguire “effetti collaterali” rispetto a quelli più strettamente trasportici, a condizione che la lettura del rapporto tra reti e luoghi interessati dalle trasformazioni avvenga secondo parametri orientati a cogliere i tratti distintivi della marginalità urbana e la sua evoluzione nel corso del tempo. A partire da questa premessa, la ricerca propone una analisi socio-spaziale aggiornata della città di Palermo con un focus specifico su uno dei contesti periferici interessati dal sistema tranviario appena messo in funzione: il quartiere posto lungo la costa sud-orientale dell’area urbana (Settecannoli-Brancaccio), attraversato interamente dalla linea 1 del tram, e costituito da un insieme di ambiti residenziali sviluppatisi soprattutto tra gli anni sessanta e ottanta a servizio della limitrofa area industriale. Si tratta di un quartiere che, nella storia recente della città, incarna (insieme ad altri quali Borgonuovo, CEP, ZEN) l’archetipo del quartiere periferico e socialmente marginale. Varie iniziative di rigenerazione urbana condotte negli ultimi due decenni hanno contribuito solo in parte a determinarne un reale riscatto, mentre il suo collegamento alle aree centrali della città attraverso la rete tranviaria apre nuove aspettative che tuttavia andrebbero esplorate in maniera più sistematica. Rispetto a questo contesto di riferimento, la ricerca si propone due obiettivi di carattere generale: a) una ricostruzione del profilo sociale del quartiere, cercando di misurarne i divari che tuttora ne marcano le differenze dal resto della città; b) una baseline di riferimento per future valutazioni, in grado di aiutare osservatori e policy-maker a comprendere l’impatto che la nuova rete di trasporto potrà imprimere sui processi di rivitalizzazione urbana nel prossimo futuro. 1 La dizione esatta del programma è “Piano integrato del trasporto pubblico di massa”, approvato nel 2002 in seguito ad un accordo tra la municipalità, Rete Ferroviaria Italiana e Amat, l’azienda locale per il trasporto pubblico. 1109 Figura 1 | La rete tranviaria in esercizio e programmata della città di Palermo. Figura 2 | Area urbana oggetto di studio con i nodi (fermate) della Linea 1 del sistema tranviario (Roccella-Stazione Centrale). 3 | Metodologia e primi risultati dell’analisi La metodologia utilizzata per svolgere l’analisi è di tipo sia quantitativo che qualitativo. La componente quantitativa dell’analisi si basa sui recenti dati rilasciati dall’Istat su base censuaria in occasione del Censimento della Popolazione e delle Abitazioni del 2011. Al fine di ottenere una rappresentazione sufficientemente sintetica dei dati, evitando l’alta frammentazione che l’uso delle sezioni censuarie comporta, si è scelto di proiettare i dati alla scala dell’Area Censuaria così come utilizzata nel dataset Istat “8milaCensus”, il che comporta per Palermo un riferimento a 44 ambiti sub-comunali. Al contempo, si è 1110 optato per un set minimo di indicatori (si veda tabella sottostante) ritenuti più rappresentativi di altri per descrivere alcune dimensioni rilevanti della marginalità socio-economica e territoriale che caratterizza il contesto urbano posto sotto osservazione. Tabella I | Indicatori statistici utilizzati su base d’Area Censuaria (Fonte: Istat, 2011). Indicatore Descrizione P7 - Densità demografica Rapporto tra popolazione residente dell'area e superficie dell'area (kmq) P13 - Indice di vecchiaia Rapporto percentuale della popolazione di 65 anni e più su quella 0-14 anni S1 - Incidenza di residenti stranieri Incidenza di residenti stranieri per 1000 residenti italiani A4 - Potenzialità d'uso abitativo Rapporto percentuale tra le abitazioni non occupate nei centri abitati e il totale delle abitazioni nei centri abitati A8 - Incidenza edifici in buono stato di conservazione Rapporto percentuale tra gli edifici residenziali utilizzati in stato ottimo e buono e il totale degli edifici residenziali utilizzati A9 - Incidenza edifici in pessimo stato di conservazione Rapporto percentuale tra gli edifici residenziali utilizzati in stato pessimo e il totale degli edifici residenziali utilizzati A10 - Consistenza delle abitazioni storiche occupate Rapporto percentuale tra le abitazioni occupate costruite prima del 1919 e il totale delle abitazioni occupate I7 - Incidenza di giovani con istruzione universitaria L8 - Tasso di disoccupazione L19 - Incidenza professioni ad alta-media specializzazione M6 - Mobilità pubblica (uso mezzo collettivo) V6 - Incidenza delle famiglie con potenziale disagio economico V8 - Incidenza giovani che non studiano e non lavorano Rapporto percentuale tra la popolazione residente di 30-34 anni in possesso di titolo universitario e la popolazione residente di 30-34 anni Rapporto percentuale tra la popolazione residente di 15 anni e più in cerca di occupazione e la popolazione residente di 15 anni e più attiva Rapporto percentuale degli occupati nelle tipologie 1, 2, 3 di attività lavorativa svolta (Legislatori Imprenditori Alta Dirigenza; Professioni intellettuali scientifiche e di elevata specializzazione; Professioni tecniche) sul totale degli occupati Rapporto percentuale tra la popolazione residente che si sposta giornalmente per motivi di lavoro o di studio e utilizza mezzi di trasporto collettivi (treno, autobus, metropolitana) e la popolazione residente che si sposta giornalmente per motivi di lavoro o di studio Rapporto percentuale tra il numero di famiglie con figli con la persona di riferimento in età fino a 64 anni nelle quali nessun componente è occupato o ritirato dal lavoro e il totale delle famiglie Rapporto percentuale dei residenti di 15-29 anni in condizione non professionale diversa da studente sui residenti della stessa età 1111 Nella tabella sottostante sono riportati i valori relativi ai 13 indicatori presi in considerazione, con una articolazione comparativa che consente di evidenziare i divari che sussistono tra le due Aree Censuarie interessate dallo studio (qui per comodità denominate “Corso dei Mille-Stazione” e “Corso dei MilleBrancaccio”) ed il comune di Palermo nel suo complesso. Tabella II | Valore degli indicatori nelle Aree Censuarie oggetto dello studio in relazione all’intera area comunale (Fonte: Istat, 2011). Area Censuaria 6 (Corso dei Mille-Stazione) Area Censuaria 7 (Corso dei MilleBrancaccio) Comune di Palermo P7 – Densità demografica 12.435,4 14.690,8 4.094,6 P13 – Indice di vecchiaia 106,1 116,7 119,3 7,3 1,8 29,9 9,4 11,2 7,3 7,4 6,0 14,5 89,6 71,1 73,4 0,1 6,0 3,4 2,3 0,9 5,9 I7 - Incidenza di giovani con istruzione universitaria 12,6 7,8 20,6 L8 - Tasso di disoccupazione 30,9 37,5 25,0 21,4 15,5 35,1 23,0 30,0 19,9 11,2 15,1 11,2 Indicatore POPOLAZIONE S1 – Incidenza di residenti stranieri V6 - Incidenza delle famiglie con potenziale disagio economico AMBIENTE COSTRUITO A4 - Potenzialità d'uso abitativo A8 - Incidenza edifici in buono stato di conservazione A9 - Incidenza edifici in pessimo stato di conservazione A10 - Consistenza delle abitazioni storiche occupate LAVORO L19 - Incidenza professioni ad alta-media specializzazione V8 - Incidenza giovani che non studiano e non lavorano MOBILITÀ M6 - Mobilità pubblica (uso mezzo collettivo) Il quadro comparativo risultante consente di evidenziare considerevoli differenze su varie dimensioni dello sviluppo socio-economico ed ambientale, il che confermano quanto l’area oggetto di studio mantenga radicate criticità, pur all’interno di un contesto complessivamente problematico quale l’intera area urbana di Palermo. Inoltre, è interessante rilevare come l’area di studio presenti delle significative differenze “interne”, tanto da doverla considerare un insieme di contesti sub-urbani eterogenei che solo superficialmente può essere definito come unitario. I dati sulla densità demografica risultano essere più che tripli rispetto ai valori comunali (P7), con una struttura demografica caratterizzata da una popolazione relativamente più giovane rispetto alla media comunale (P13) ed in cui la componente straniera (S1) è penetrata molto marginalmente rispetto ad altre aree urbane (si veda soprattutto il centro storico). La gravità della condizione sociale si manifesta attraverso i dati relativi all’occupazione: pur a fronte di un valore medio comunale largamente superiore alla media nazionale (25% contro 11,4%), la disoccupazione totale (L8) e la sua componente giovanile (V8) presentano valori rispettivamente di un quarto ed un terzo superiori alla media della città. 1112 Figura 3 | Distribuzione del Tasso di disoccupazione (2011). Figura 4 | Incidenza dei giovani con istruzione universitaria (2011). 1113 Figura 5 | Incidenza delle famiglie con potenziale disagio economico (2011). Figura 6 | Potenzialità d’uso abitativo (2011). Le competenze giocano evidentemente un ruolo determinante in questo senso, essendo la quota della popolazione laureata (I7) e delle professioni caratterizzate da una specializzazione medio-alta (L19) in 1114 misura molto marginale rispetto alle medie rilevate su base comunale. La risultante è che le famiglie con potenziale disagio economico (V6) risultano mediamente di un terzo superiori alla media comunale. Dati più contrastanti riguardano l’ambiente costruito e la condizione abitativa. L’indicatore sulla potenzialità d’uso abitativo (A4) ci dice, ad esempio, che il quartiere appare già sufficientemente saturo di residenti rispetto al suo potenziale insediativo. Ciò in ragione al carattere prevalentemente popolare del quartiere, all’alta incidenza di ERP in ampie porzioni dello stesso ed alla marginale presenza di edilizia residenziale storica occupata a scopi abitativi (A10), indicatori che, nel loro insieme, restituiscono l’immagine di un’area scarsamente diversificata sul piano residenziale e “resistente” a potenziali cambiamenti del modello abitativo. Le differenze “interne” al quartiere si manifestano attraverso ciò che abbiamo definito la componente “qualitativa” dell’analisi. Il quartiere, in realtà, è costituito da un insieme di tessuti insediativi di diversa epoca storica, stato di conservazione e profilo funzionale. In termini generali possono identificarsi quattro principali ambiti: (1) l’ambito più prossimo al centro storico ed alla stazione centrale, caratterizzato da un tessuto già consolidatosi alla fine dell’ottocento; (2) l’ambito di Corso dei Mille-Piazza Scaffa, il cui impianto storico di borgata è stato progressivamente alterato da una commistione di funzioni che hanno alimentato il processo di degrado urbanistico; (3) l’ambito dello Sperone, prettamente residenziale e caratterizzato da una espansione intensiva consolidatesi tra gli anni settanta e ottanta; (4) la parte terminale del quartiere (Roccella), caratterizzato dalla prevalenza di edilizia popolare e dalla maggiore concentrazione di fenomeni di degrado ambientale e marginalità sociale. Tali morfologie si riflettono nelle due analisi “qualitative” che si propongono di evidenziare la distribuzione dei valori immobiliari e la distribuzione delle attività non residenziali. L’analisi sui valori immobiliari, condotta attraverso la rilevazione di circa duecento inserzioni, mostra la prevedibile sottovalutazione del mercato immobiliare nei confronti dell’area oggetto di studio. Negli ambiti 1 e 3 si manifesta una certa densità di alloggi offerti sul mercato, con valori immobiliari mediamente in linea con i valori medi rilevabili nell’intero ambito urbano. Figura 7 | Distribuzione dei valori immobiliari (2016). 1115 Negli ambiti 2 e 4, di contro, l’offerta appare estremamente rarefatta, con valori immobiliari largamente al di sotto della media urbana ed anche rispetto a quelli rilevabili in altri contesti periferici della città. L’analisi sulla distribuzione delle attività non residenziali mostra in tutta evidenza una desertificazione commerciale nei due ambiti in questione, dovuta in parte alla morfologia degli edifici residenziali (sovente con alloggi anche ai piani terra o rialzati), in parte ai fenomeni di rischio e marginalità socio-economica rilevabili attraverso vari altri indicatori. Figura 8 | Incidenza delle famiglie con potenziale disagio economico (2011). 4 | Conclusioni Nel complesso il quartiere – o l’insieme dei quartieri oggetto di analisi – si caratterizza per la compresenza di fenomeni che collocano l’area tra i contesti storicamente più problematici della città. All’interno di esso, inoltre, sussistono forme di criticità (ambientale e socio-economica) particolarmente estreme (Corso dei Mille, Roccella), le quali determinano domande particolarmente complesse alle politiche urbane ed i processi di innovazione territoriale ad esse correlabili. L’innesto della nuova infrastruttura per la mobilità, in questo senso, si configura come un intervento il cui potenziale è quasi del tutto inesplorato, anche se certamente in grado di alterare gli equilibri interni al quartiere, sia le relazioni che esso potrà stabilire con il resto della città. Il potenziale di tale intervento andrebbe valutato, in particolare, dalla prospettiva di alcune specifiche dimensioni progettuali, tra le quali: • l’innesco di eventuali processi di micro-rivitalizzazione socio-economica dovuti alla accresciuta accessibilità del quartiere; • la riduzione della marginalità fisica della popolazione rispetto al resto della città, vista anche quale occasione per ridurne anche la marginalità socio-economica; • la possibilità che la riqualificazione infrastrutturale attivi ulteriori processi di rigenerazione urbana, soprattutto a partire dai nodi della nuova rete di trasporto. Rispetto a questi potenziali campi di lavoro per le future politiche urbane, le analisi condotte si sono proposte di offrire una sezione più aggiornata e puntuale della condizione di partenza in cui gli eventuali processi di innovazione urbana potranno avviarsi. Ciò è stato effettuato sia in termini comparativi, per comprendere l’entità dei divari socio-economici che determinano l’attuale stato di marginalità del quartiere 1116 rispetto al resto dell’area urbana, sia rispetto alla propria struttura interna, la quale come si è cercato di dimostrare non può ritenersi omogenea. L’esercizio analitico proposto, di conseguenza, si configura come un contributo allo sviluppo delle conoscenze sul rapporto tra mobilità e processi di sviluppo locale alla scala urbana sotto due principali profili: riguardo al contesto locale, attraverso la predisposizione di una “mappa” sociale aggiornata della città di Palermo in relazione ai processi di riorganizzazione della mobilità collettiva in atto, con un focus specifico su uno dei quartieri in cui è legittimo attendersi una maggiore incidenza e trasversalità di tali processi; in termini più generali, quale contributo metodologico volto a sollecitare letture più complesse e multidimensionali di quelle che generalmente vengono proposte a supporto delle politiche per il trasporto pubblico. Riferimenti bibliografici Bertolini L. (2012), “Integrating mobility and urban development agendas: a Manifesto”, in disP, n. 188, pp. 16-26. Bocarejo J.P, Portilla I.J, Velásquez J.M., Cruz M.N., Peña A., Oviedo D.R. 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