Filosofia Politica
Collana diretta da Raimondo Cubeddu,
Giovanni Fiaschi e Giovanni Giorgini
Saggi
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La teoria politica
di Bruno Leoni
a cura di Antonio Masala
introduzione di Angelo Panebianco
Scritti di:
Mauro Barberis, Raimondo Cubeddu, Alberto Febbrajo,
Giorgio Fedel, Francesco Forte, Carlo Lottieri, Antonio Masala,
Stefania Mazzone, Pier Giuseppe Monateri, Angelo Panebianco,
Pasquale Scaramozzino, Valerio Zanone
Rubbettino
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Antonio Masala
Bruno Leoni e l’Austro-liberalismo
Uno degli elementi chiave per comprendere il pensiero di Bruno
Leoni è la ricostruzione del rapporto tra le sue idee e le teorie liberali
cosiddette austriache. Tali teorie possono essere distinte nelle due varianti misesiana e hayekiana, le cui differenze, nella metodologia e nei
risultati, possono essere delle utili cornici per inquadrare il pensiero di
Leoni. Utile può anche risultare il riferimento ad una delle più recenti e
radicali evoluzioni di questa scuola di pensiero, il Libertarianism, di cui
Leoni, nonostante alcune significative differenze, viene giustamente
indicato come un pioniere.
I risultati cui sono giunto mi hanno spinto a suddividere questo elaborato in due parti complementari.
Nella prima cercherò di indicare quali siano i problemi che Leoni
affronta nei suoi scritti “giovanili” (intendendo con questa espressione
gli scritti precedenti all’incontro con la Scuola Austriaca), per verificare l’ipotesi che le domande di tali scritti siano in realtà le stesse a cui darà una risposta con le sue più originali intuizioni degli anni Cinquanta e
Sessanta. Alla luce di ciò, la “scoperta” della Scuola Austriaca rappresenta per lui l’incontro con una tradizione di pensiero e un apparato di
strumenti metodologici che almeno in parte aveva già intuito e che gli
consentiranno di affrontare e risolvere problemi di cui aveva già valutato la portata nei suoi scritti giovanili.
Nella seconda parte tenterò di argomentare come Leoni possa considerarsi un “austriaco”, poiché si impadronisce di quegli strumenti
concettuali e li sviluppa con originalità per delineare una teoria dell’ordine sociale che, sebbene per alcuni aspetti incompiuta a causa della
prematura scomparsa, si inserisce a pieno titolo nella tradizione austriaca. Così egli anticipa importanti sviluppi del pensiero liberale contemporaneo, nel cui quadro occupa una posizione di rilievo.
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1. Diritto ed economia nelle prime opere di Bruno Leoni
I primi scritti1 di Leoni sono prevalentemente di storia della filosofia del diritto, e si riconosce subito una forte propensione alla critica del
diritto positivo, sulla scorta degli insegnamenti di Friedrich Carl von
Savigny, di Julius Herman von Kirchmann, di Eugen Ehrlich e di Widar Cesarini-Sforza e Giorgio del Vecchio. Questo non solo perché il
diritto positivo appare come la prima causa della a-scientificità della
giurisprudenza, e perché se ne intuiscono i limiti in termini di “certezza” del diritto nel lungo periodo, ma anche perché esso è indicato come
il tentativo di f o n d a re il diritto sull’arbitrio degli uomini. Al diritto positivo si contrappone dunque la ricerca di un diritto che, secondo le parole di Leoni, abbia la sua radice nei “rapporti che si sviluppano spontaneamente nel popolo”. Egli guarda ad una qualche forma di diritto
n a t u r a l e, il quale se non è ben definito (la stessa dottrina del diritto naturale è soggetta a forti critiche) è comunque un qualcosa che va nella
direzione del restringimento del diritto a pochi e generali principi. Il
diritto naturale viene dunque apprezzato “empiricamente”, e in contrapposizione all’idea che il diritto debba essere considerato il risultato
delle decisioni del potere politico.
A questi, che possono essere considerati studi preliminari con cui
egli prende dimestichezza con la letteratura in materia, ma che pure
non sono privi di una scelta e di un’interpretazione già spiccatamente
personali, fanno immediatamente seguito degli studi con i quali Leoni
dimostra interessi e intuizioni originali. I due saggi Norma previsione e
speranza nel mondo storico2 e Probabilità e diritto nel pensiero di Leib niz3, e le riflessioni sul pensiero politico antico svolte nei corsi universitari di Pavia4, si caratterizzano per un chiaro e originale indirizzo di ricerca: individuare la possibile relazione, in termini metodologici, tra
diritto ed economia.
La riflessione di Leoni sembra porsi in questi termini: se si vuole costruire una teoria dell’irrazionale nel diritto (dove irrazionale sta per
“spontaneo”, “non progettato” dalla mente umana) si deve cercare di
capire come l’uomo riesca a fare previsioni attendibili sul comportamento dei propri simili, requisito indispensabile per la convivenza civi1 LEONI (1940a), (1940b) e (1942).
2 LEONI (1943).
3 LEONI (1947).
4 LEONI (1949b).
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le. Egli volge la sua attenzione ad autori classici che prima di lui avevano tentato di studiare scientificamente la possibilità di individuare il diritto e le norme giuridiche a partire dall’agire degli uomini. A questo riguardo analizza tutta una serie di concetti, speranza (qui anche nel senso di aspettativa), previsione, probabilità, che paiono centrali se si vuole
tentare di comprendere il diritto a partire dagli individui, e da quello
che essi reputano essere lecito.
Leoni studia dunque dei pensatori, Cournot, Pascal, Daniele Bernoulli e Leibniz, i quali avevano tentato di calcolare le “speranze” degli
individui, e li definisce “economisti ante-litteram”, poiché si accorge
che essi, occupandosi del calcolo delle probabilità, cercano di superare
la natura matematica di quei concetti e si propongono di utilizzarli anche nel mondo giuridico, guardando al mercato, ossia al modo in cui
avviene la determinazione dei prezzi.
Quegli autori tentarono infatti di ridefinire il concetto di speranza
superandone la natura matematica, ed elaborando il concetto di “s p e ranza morale”. Il problema dell’applicazione del calcolo delle probabilità al mondo del diritto consiste nel fatto che se si tenta di ricavare la
norma a partire dal calcolo essa, proprio perché frutto di un calcolo che
dovrebbe essere universalmente valido, sembra non poter tener conto
delle diverse situazioni e aspettative degli individui (ad esempio del diverso valore che ognuno attribuisce a certi beni, in virtù magari delle
proprie condizioni patrimoniali).
Leoni concentra dunque la sua attenzione su come avviene la determinazione del valore economico di un bene: la legge della domanda
e dell’offerta. Il suo obbiettivo è collegare la speranza “giuridica” al
modo in cui si calcolano i prezzi, (ed egli ha chiaro sin da ora che il calcolo economico può avvenire solo in un regime di libera concorre n z a),
poiché il meccanismo di individuazione dei prezzi nel mercato gli appare già come un meccanismo generale a cui è anche soggetto il diritto
che si forma con l’incontro delle previsioni degli individui.
Egli allora tenta di individuare all’interno delle norme il concetto
di speranza, sulla base dell’idea che «il vivere non sarà per ognuno di
noi, che un pagare il prezzo delle proprie speranze»5. Tutto è incentrato
sulla previsione, la quale appunto consente di valutare il prezzo delle
proprie speranze. Lo strumento che comunemente viene utilizzato per
ritenere un comportamento più probabile di un altro sarà la prova dei
fatti, ossia l’esperienza. È un tentativo di conciliare la “certezza” del cal5 LEONI (1943), p. 147.
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colo delle probabilità con l’esperienza storica. Si tratta, come egli stesso riconoscerà alcuni anni più tardi, di un abbozzo di soluzione, ma l’idea di guardare alla scienza economica, che ha individuato nei prezzi di
mercato un’unità di misura certa e calcolabile, e che al contempo tiene
conto delle diverse aspettative soggettive (e anzi viene fuori da esse) è
un’intuizione che egli ha già in quegli anni.
Queste considerazioni mostrano come Leoni andasse alla ricerca di
una teoria che consentisse di interpretare l’azione umana, presupposto
indispensabile per valutare i fenomeni giuridici. I concetti chiave sono
previsione, speranza (aspettativa) e probabilità: con essi si tenta di dare
ragione dei comportamenti giuridici degli individui e quindi dell’ordine giuridico in generale. Anche se manca il concetto di p re t e s a, questi
scritti appaiono spesso, più che studi preliminari del problema, precise
intuizioni di quelle che saranno le teorie del Leoni maturo. Lo stesso
suo partire, nell’analisi dei fenomeni giuridici, dagli individui che si
scambiano speranze e dalla necessità che un tale scambio, per essere
equo e dare i suoi frutti, debba avvenire in un regime di libera concor re n z a può essere letto come una prefigurazione di quell’individualismo
integrale che ne caratterizzerà la produzione scientifica successiva.
L’importanza della relazione tra diritto, politica ed economia è ripresa anche nelle Lezioni di Filosofia del diritto del 1949, le quali si profilano come un’indagine su come il diritto si possa far risalire ad un sentimento di giustizia proprio di ogni individuo. Particolarmente interessante appare un riferimento ad Aristotele e al suo principio della giustizia commutativa, nella quale si guarda alla moneta come strumento per
trovare un criterio oggettivo per scambiare beni e bisogni, e dunque individuare l’indennizzo nel caso di un torto subito. Questo induce Leoni a dire che «sebbene la teoria aristotelica sia pervenuta a noi in forma
evidentemente incompleta, si può ravvisare nel suo complesso una vera
e propria riduzione del diritto obbligatorio all’economia»6.
Dunque anche nel pensiero greco Leoni trova la ricerca di un criterio oggettivo che dia allo studio del diritto una base scientifica e indiscutibile, individuando un parallelismo con la scienza economica e
le sue possibili implicazioni per lo studio del diritto.
È una fase ancora embrionale della sua riflessione, ma gli va riconosciuto il merito di aver individuato in autori classici quelle che saranno
alcune importanti tematiche non solo della sua riflessione successiva,
ma anche della teoria politica contemporanea. Presto egli chiarirà me6 LEONI (1949b), p. 112.
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glio il suo ambito di ricerca e i suoi obiettivi, grazie all’incontro con la
Scuola Austriaca. Infatti, quando nel 1950 Leoni recensirà Human Ac tion7 di Ludwig von Mises, e Individualism and Economic Order8 di Hayek, quelle teorie gli sapranno dischiudere più ampi orizzonti per
quanto concerne le scienze sociali. In un certo senso si potrebbe dire
che l’incontro con le teorie di Mises e Hayek concluderà quella ricerca
di un modello generale per interpretare l’agire dell’uomo cominciata
con i saggi ora citati.
Le riflessioni di Leoni, come si è detto, sono ancora in una fase iniziale, ma egli ha già elaborato anche una serie di osservazioni che avranno un impatto importante sulla storia del liberalismo. Mi riferisco principalmente alle Lezioni sul pensiero antico, che Hayek elogerà nella
commemorazione a Pavia, e di cui il primo libro del suo celebre Law,
Legislation and Liberty9 sembra rappresentare per molti versi una continuazione. Nel tracciare la distinzione tra la concezione giuridica dei
Greci e dei Romani infatti Leoni parla già di nomos, physis e thesis, e ha
anche già individuato la distinzione tra le diverse concezioni del diritto
nel mondo greco, insistendo molto sul come la legge frutto di una decisione dell’autorità politica fosse stata introdotta tardi, e come avesse
soltanto gradualmente e parzialmente sostituito il diritto consuetudinario. Inoltre, con il paragonare la concezione giuridica dei Greci con
quella dei Romani egli inizia quel lungo percorso che lo condurrà alle
idee sostenute nella sua opera più celebre, Freedom and the Law10, incentrate proprio sulla individuazione di ciò che vi è di potenzialmente
totalitario nel processo legislativo in contrapposizione al diritto che si
forma spontaneamente o per via giurisprudenziale.
Per alcuni aspetti Leoni sembra dunque aver già intuito, riflettendo sul pensiero antico e tenendo presenti le osservazioni della Scuola
del Savigny, l’importanza di intendere la formazione del diritto come
scoperta e non come decisione deliberata dagli uomini, una possibilità
che Hayek svilupperà appieno solo in una seconda fase della sua riflessione, e proprio a seguito dell’influenza dell’opera di Leoni11. Molte di
07 LEONI (1950f); MISES (1949).
08 LEONI (1950c); HAYEK (1945).
09 HAYEK (1973-79).
10 LEONI (1961e).
11 Alla luce di queste considerazioni può apparire ingeneroso che Hayek in Law,
Legislation and Liberty abbia riservato solo una breve nota a F reedom and the Law s e nza dedicare neanche un cenno a queste importanti Lezioni sul mondo classico, di cui la
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queste idee vengono, come si è detto, elaborate alla fine degli anni Quaranta, e collocano dunque Leoni nel ruolo di pioniere rispetto a quelle
riflessioni sul diritto che tanta parte avranno nella rinascita del pensiero liberale degli anni Sessanta e Settanta (si pensi anche alla distinzione
fatta da Oakeshott tra regimi teleocratici e nomocratici12).
Se dall’analisi sopra svolta emerge come la teoria dell’azione umana, unica per tutti gli aspetti della vita sociale, denominata da Mises
“prasseologia” appaia immediatamente il metodo per la soluzione dei
problemi sociali di cui Leoni andava alla ricerca, non meno naturale e
coerente appare l’incontro con le idee di Hayek. In particolare Leoni
sembra aver già intuito l’importanza del ruolo delle aspettative individuali, della loro compatibilità e della conseguente capacità umana di
operare previsioni rispetto alle azioni degli altri uomini. Recensendo
l’opera di Hayek egli vedrà dispiegate le potenzialità di un tale approccio in un quadro più ampio, con riferimenti al problema della conoscenza e della creazione di un ordine sociale spontaneo a partire da conoscenze individuali frammentarie e disperse nella società.
Dunque alla fine degli anni Quaranta si delinea in Leoni la consapevolezza di aver individuato distintamente un percorso di ricerca che
prima aveva solo intuito: studiare la “materia politica” e la “materia
giuridica” in riferimento alla metodologia della scienza economica13.
Quella della fine degli anni Quaranta è ancora una formulazione embrionale, poiché allora, come poi egli stesso riconoscerà14, non era ancora in grado di definire l’azione politica come qualcosa di differente
dall’azione economica, ma ad un tale orientamento Leoni rimarrà fedele per tutto il suo percorso scientifico.
sua opera rappresenta, almeno in parte, proprio quello sviluppo, certo brillante e originale, che egli aveva auspicato per l’opera del collega scomparso.
12 M. OAKESHOTT (1962) e (1975).
13 A questo proposito vi sono due saggi di quegli anni in cui questa consapevolezza è espressa in modo immediato e diretto, anche per il contesto in cui sono collocati: si
tratta di LEONI (1950e), l’articolo di presentazione della rivista «Il Politico», e di LEONI
( 1 9 4 9c), prolusione dell’anno accademico 1949-50. In questi due saggi appare chiaramente come scienza economica e scienza politica (ma le stesse valutazioni valgono anche per la scienza giuridica) abbiano un unico postulato metodologico: la razionalità
della condotta umana.
14 Cfr. LEONI (1962b).
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2. Poteri e pretese: un modello di ordine sociale
Vediamo dunque come si configura la riflessione del Leoni maturo,
tentando di mettere in luce in che termini si concretizzi l’influenza degli austriaci e in che senso egli abbia dato a quella tradizione di pensiero
un apporto importante e originale15.
Un primo passaggio interessante da analizzare è il modo in cui si
sviluppa la critica a degli autori che, come lo stesso Leoni, tentavano di
individuare analogie tra economia e politica: Duncan Black16, Antony
Downs17, James M. Buchanan e Gordon Tullock18. Tutte queste posizioni, pur nella loro consistente diversità, tentavano infatti di individuare somiglianze tra la scelta economica che avviene nel mercato e la
scelta politica che avviene tramite la votazione. Al di là delle considerazioni specifiche su queste diverse teorie sembra esservi un’unica fondamentale idea, anch’essa di origine austriaca e in particolare misesiana,
alla base delle critiche di Leoni: l’economia e la politica vanno considerate qualcosa di radicalmente diverso nel momento in cui si intende
quest’ultima come insieme di scelte collettive. Infatti nelle scelte economiche individuali si ha sempre qualcosa in cambio di ciò che si è dato, mentre nella votazione politica colui che è in minoranza non ottiene
nulla in cambio del suo voto.
A partire da queste critiche Leoni matura la consapevolezza che
non è possibile, come invece pensava nei primi scritti, “un perfetto
parallelismo tra scienza politica e scienza economica”, poiché la politica è il dominio delle scelte collettive, nelle quali la coercizione è ineliminabile. Tale visione lo porta a quella che Mario Stoppino ha chiamato la prima definizione19 dei concetti della politica, nella quale è centrale il problema della coercizione20.
15 La relazione tra Leoni e la tradizione liberale, in particolare austriaca e libertaria, conta ormai una discreta bibliografia, si vedano: SHEARMUR (1996); ARANSON ,
(1988); LIGGIO, PALMER (1988); CUBEDDU (1998) e (1999); BARBERIS (1998a); NICOSIA
(2000a); LOTTIERI (2002); MAZZONE (2001); MASALA (2003).
16 BLACK (1950) e (1958).
17 DOWNS (1957) e (1960).
18 BUCHANAN e TULLOCK (1962).
19 Cfr. STOPPINO (2000). La prima concezione della politica e le critiche alle teorie
“economistiche” della politica sono contenute in LEONI (1957a), (1957c), (1961b).
20 Tuttavia già in questa prima concezione sono presenti i germi che lo porteranno
a pensare ad una politica senza coercizione. Su questo aspetto rimando a MASALA
(2003), in particolare al cap. 5.
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Ma proprio dalla critica del tentativo, in particolare della Scuola
della Public Choice, di analizzare le decisioni collettive con gli stessi criteri con cui si analizzano le scelte economiche, prende piede la seconda
fase della riflessione di Leoni. Essa consiste in una ripresa della tradizione “austriaca”, inaugurata da Menger, che vede la nascita delle istituzioni, e in generale dei rapporti sociali complessi, non da un atto politico e da una scelta deliberata, ma da un processo di adattamento spontaneo e libero da parte dei singoli individui. Un tale approccio consente di porre in secondo piano le scelte collettive, che diventano secondarie e contingenti per la comprensione di quella che Leoni chiamava la
“politicità”, e di seguire una strada completamente diversa.
A giudizio di Leoni il merito della Scuola Austriaca è consistito nell’individuare l’autonomia della scienza economica e delimitarne i confini in relazione alle altre scienze. A quei risultati e a quelle “esperienze
metodologiche”, deve guardare la scienza politica poiché essa non può
p re s c i n d e re«dall’utilizzazione delle tecniche di ricostruzione e d’inter p retazione, nonché di previsione, della condotta umana, già elaborate
dalla scienza economica»21 la quale «è forse l’unica scienza dell’uomo
che ha elaborato uno schema interpretativo valido non soltanto per l’azione comunemente chiamata economica, ma per tutte le azioni umane
degne di questo nome: ossia le condotte aventi uno scopo»22.
Da questa riflessione sul metodo (chiaramente debitrice, oltre che
a Menger, alla teoria dell’azione umana di Mises) viene in luce la seconda fase della concezione di Leoni, che consiste appunto nell’indicare il
processo di formazione ed evoluzione spontanea come lo schema interpretativo valido per tutte le scienze sociali. Ma Leoni individua, e qui
sta la sua originalità all’interno della tradizione austriaca, la chiave di
volta di tale processo nel concetto di scambio, che può essere applicato
alla politica e al diritto in modo analogo a come viene applicato all’economia. Conseguentemente a ciò egli ricerca gli elementi propri dello
scambio per questi due aspetti, ossia l’equivalente per la politica e il diritto di ciò che per l’economia sono i beni, e li individua nel potere (o
meglio nel potere politico) e nella pretesa.
La “seconda” concezione della politica è dunque tutta incentrata
sulla complementarità delle azioni umane e sull’importanza del concetto di scambio come chiave di volta dei fenomeni sociali. Col tempo, scrive Leoni, «l’azione politica mi si è venuta configurando come uno
21 LEONI (1962b), p. 66 (corsivo nel testo).
22 Ibidem, p. 59.
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scambio di poteri» in una società in cui tutti, anche il più umile dei soggetti, sono dotati di un qualche potere nei confronti degli altri: conseguentemente la scienza politica sarà «l’interpretazione e la spiegazione
di questo scambio di poteri»23.
In Diritto e politica Leoni definisce, come nella prima concezione, lo
stato come la situazione in cui si trovano i poteri presenti nella società24,
ma a tali poteri vengono attribuiti in modo compiuto tre caratteristiche,
che nella prima definizione non sembravano proprie della politica: sono
diffusi, possono essere scambiati e sono complementari, ossia dal loro
scambio si ha un miglioramento per tutti coloro che partecipano al processo, come nel caso dell’economia in cui si ricava un’utilità marginale
maggiore dal bene che si acquisisce rispetto a quello che si cede. Tutti gli
individui hanno una certa quantità di potere politico, il quale consiste
nella capacità di far rispettare la propria persona e i propri beni. Questi
poteri vengono scambiati dagli individui, dando origine all’ordine sociale,
ossia ad una situazione in cui è possibile effettuare previsioni sui comportamenti altrui e sugli esiti dei propri comportamenti.
Contrariamente ad altre teorie della politica fondate sul concetto di
potere, e diversamente dalla sua prima concezione della politica, il potere dei governanti non appare come il potere politico, il quale sarà invece «la possibilità di ottenere rispetto tutela o garanzia dell’integrità e
dell’uso di beni che ogni individuo considera fondamentali e indispensabili alla propria esistenza: la vita, il possesso di taluni mezzi per conservare la vita, la possibilità di creare una famiglia e preservare la vita
dei suoi membri e così via»25.
La vita sociale è dunque ora vista come basata sullo scambio di poteri, ed è interessante notare che tali poteri, per essere complementari,
devono manifestarsi come capacità di tutelare la propria libertà. Ottenere rispetto da parte degli altri, che rinunciano a modificare la nostra situazione senza il nostro consenso, e in cambio di una nostra corrispondente rinuncia, ha infatti una stretta relazione con la libertà negativa, il
23 Ibidem, p. 67.
24 Ecco la definizione data da Leoni: «Lo stato è dunque una situazione di potere o,
se più piace, una costellazione, sovente assai complessa di poteri, i quali, cosa estremamente degna di nota, non si esercitano mai in una sola dire z i o n e, poiché coloro che obbediscono ottengono, o finiscono per ottenere a loro volta obbedienza, e coloro che comandano consentono, o finiscono per consentire, all’obbedienza, almeno in certi rispetti ed entro certi limiti, nei confronti di coloro che normalmente non comandano,
ma obbediscono», LEONI (1961c), p. 216.
25 Ibidem, pp. 218-219.
121
non impedimento da parte altrui su questioni che riguardano la nostra
vita privata.
Dalla complementarità di questi poteri e dallo scambio di essi, Leoni delinea con notevole originalità la nascita di organizzazioni sociali
complesse, quale è appunto lo stato, inserendo elementi nuovi e quasi
rielaborando empiricamente e concretamente la teoria delle istituzioni
di Menger, la teoria dell’azione umana di Mises e le osservazioni di Hayek sull’importanza della compatibilità delle aspettative e delle previsioni individuali per la formazione di un ordine sociale.
Tale impostazione è utilizzata, con risultati più lineari, nel caso del
diritto, in cui l’analogia con l’economia austriaca è ancor più evidente e
ben riuscita. Come noto, Leoni costruisce la sua teoria del diritto (in
contrapposizione a Kelsen che partiva dall’obbligo) sul concetto di pre t e s a, che nella sua ultima versione definiva così: «La pretesa è la richiesta di un comportamento altrui considerato da chi lo richiede come
probabile e corrispondente ad un proprio interesse (cioè utile), nonché
come determinabile con una qualche specie di intervento, qualora esso
comportamento non si verifichi spontaneamente, sulla base di un potere di cui chi pretende si considera dotato»26.
Non ripercorrerò qui il delinearsi di questa teoria, ma cercherò di
individuare al suo interno i riferimenti all’economia per mostrare come, ancora una volta, Leoni si impadronisca degli strumenti metodologici austriaci, per utilizzarli con originalità.
In base alla teoria del diritto come pretesa individuale avviene che
ogni individuo avanza delle pretese riguardo ad alcuni comportamenti
altrui, e tali pretese vengono rispettate (esaudite) anche perché, punto
cruciale, si offre in cambio la disponibilità (e dunque si contrae l’obbligo) a rispettare le pretese simili esercitate dagli altri. Anche qui dunque
si ha un meccanismo di scambio molto simile a quello a cui si assisteva
nel caso del potere, e infatti, Leoni precisa che in questo senso si ha il
potere di far rispettare le pretese legittime, e che ogni volta che si rispetta un determinato schema giuridico è perché si sta verificando un rapporto di potere.
Il processo è ancora una volta analogo a quello che si studia in economia, la quale è intesa in modo propriamente austriaco, nel senso che
è sempre la domanda a precedere logicamente l’offerta. Infatti in uno
scambio tutto nasce dal bisogno che gli individui vogliono soddisfare,
ossia dalla d o m a n d a, in risposta alla quale nasce l’o f f e r t a volta a soddi26 LEONI (1966e), p. 186.
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sfare i bisogni; ugualmente, nel campo del diritto, l’obbligo oggetto
della pretesa, diviene
un mezzo per soddisfare determinati bisogni sia di colui che esercita la
pretesa, che di colui che si adegua. L’adempimento dell’obbligo è – si può
dire – la moneta di scambio con cui, a sua volta, colui che si adegua ad una
certa pretesa fa valere la sua. Ora, se noi concepiamo l’obbligo spiegato in
funzione sia della pretesa diretta che di quella indiretta, ecco che, in fondo, è molto più degno di essere considerato concetto chiave del diritto
quello della pretesa che quello dell’obbligo corrispondente27.
In Il diritto come pretesa individuale, Leoni indica ancora come la
sua teoria giuridica affondi le radici nella metodologia della scienza
economica.
Gli economisti hanno fatto risalire i prezzi, come fenomeno sociale, alle
scelte individuali tra beni scarsi. Propongo che anche i filosofi del diritto
debbano far risalire le norme giuridiche, come fenomeni sociali, a qualche
atto o attitudine individuale. Questi atti si riflettono, in qualche modo,
nelle norme entro un sistema giuridico, proprio come le scelte individuali
tra beni scarsi si riflettono nei prezzi di mercato entro un sistema monetario […] Propongo anche che quegli atti e attitudini individuali siano chiamate domande o pretese28.
Questo paragone è anche ripreso negli Appunti del 1966, in cui
Leoni osserva che la norma giuridica non è altro che la formulazione linguistica di una pretesa giuridica, o meglio dell’incontro tra il comportamento di chi esercita la pretesa e di chi si adegua ad essa. È dunque l’incontro tra due pretese, perché chi si adegua ad una pretesa lo fa in realtà per pretendere a sua volta qualcosa. Dunque,
la norma giuridica corrisponde al prezzo di mercato. Il prezzo di mercato
esprime la condizione alla quale la stragrande maggioranza dell’offerta
(che è anch’essa una domanda) si incontra con la domanda. Nello stesso
27 LEONI (1959), p. 53. Cfr. anche LEONI (1962c), in particolare p. 236. È importante notare come in tale analisi il ribaltamento rispetto alla teoria normativista sia totale. Ponendo come “prius logico” del diritto la pretesa, il concetto di obbligo, fondamentale invece nella teoria kelseniana, viene a dipendere da esso: non è possibile concepire un obbligo se non esiste prima una pretesa, così come nei fenomeni economici
non può esservi offerta senza che prima vi sia la domanda.
28 LEONI (1964c), p. 122.
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modo la norma giuridica esprime la condizione alla quale le pretese si incontrano nella stragrande maggioranza dei casi e con la maggiore probabilità […]. E solo quando una pretesa ha una grandissima probabilità di
essere avanzata e di essere soddisfatta essa diventa una pretesa giuridica e
si traduce in un incontro tra pretese, che può essere formulato in una norma giuridica; analogamente, solo quando il prezzo richiesto ha una fortissima probabilità di essere domandato e di essere accettato si traduce in un
vero e proprio prezzo di mercato29.
Ecco allora che l ’ o rdinamento giuridico sarà «una risultante effettiva dei comportamenti e delle pretese di tutti»30. Infatti, nel mondo
umano l’influenza del singolo individuo sul fenomeno che viene studiato può talvolta apparire impercettibile, ma è in realtà sempre determinante. Questo vale per l’economia, ove ogni agente con i suoi acquisti influisce in modo singolarmente impercettibile sul prezzo, vale per
la lingua, ove il modo di parlare di ognuno può influire in modo singolarmente impercettibile sul linguaggio, e vale per il diritto, ove sono le
pretese individuali, singolarmente impercettibili, che determinano ciò
che è giuridico e ciò che non lo è. In tutti questi casi, anche se le influenze di ogni singolo appaiono impercettibili, «il dato umano non è altro
che la risultante di un numero più o meno elevato di tali influenze singolarmente impercettibili»31. Ogni individuo «con il suo comportamento influisce sia pure impercettibilmente sulle norme giuridiche
stesse. Ognuno di noi si trova davanti le norme oggettive, come risultante di tutte le pretese soggettive, ma ognuno di noi influisce su tali
norme proprio perché esse sono la risultante anche delle sue pretese.
[…] Tutti concorrono a creare quell’ordinamento giuridico che è la risultante dell’intrecciarsi dei vari ordinamenti soggettivi che ognuno ha
nella sua mente»32.
Il paragone con la teoria dell’evoluzione delle istituzioni come presentata da Menger è evidente: anche il diritto, come le più importanti
istituzioni umane (ad esempio il linguaggio, che è il caso più chiaro for29 LEONI (1966e), pp. 203-204. Si è visto come sin dalla fine degli anni Quaranta,
pur non avendo ancora elaborato il concetto di pretesa, Leoni avesse individuato una
precisa corrispondenza tra prezzo di mercato e norma giuridica, entrambi determinabili in relazione alla previsione della probabilità (data dall’esperienza storica), dei comportamenti altrui.
30 Ibidem, p. 206.
31 I b i d e m, pp. 217-218. Anche se non citato il riferimento è naturalmente ad HAYEK (1952).
32 LEONI (1959), pp. 87-88.
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nitoci da Menger) è qualcosa che sorge dalle interazioni individuali, e
non con l’atto di un’autorità o di una volontà deliberata. Esistono certo
degli individui in posizione di vantaggio rispetto ad altri, come ad
esempio i legislatori e i giudici, ma nessuno potrà avere il monopolio
nella creazione del diritto. Lo stesso legislatore infatti, da un lato cercherà di trasformare le proprie pretese in norme, ma dall’altro, se vuole
che le leggi da lui scritte non facciano “la fine delle gride manzoniane”,
dovrà necessariamente tendere «a formulare pretese che sono già oggettivamente giuridiche nella società»33.
Anche la formazione del diritto è dunque, come già la formazione
dello stato, ricondotta all’azione e alle scelte dei singoli individui. Elaborando la teoria del diritto come pretesa, Leoni rivede, alla luce del
concetto di scambio, l’intera impalcatura della sua concezione della
politica e della società. Ad essere determinante, nel diritto come nella
politica, non è l’elemento competitivo o coercitivo, ma quello cooperativo: gli uomini si scambiano beni (economia), pretese (diritto), poteri
(politica). Da questi scambi scaturiscono degli assetti, delle situazioni
che sono poi delle costellazioni composte dagli infiniti contributi individuali.
Guardando insieme la teoria del diritto come pretesa e della politica
come scambio di poteri emerge come ciò che ci offre Leoni sia una spiegazione su come possa sorgere un ordine sociale, costruita a partire dagli individui e dai loro scambi, volti a soddisfare bisogni e a rendere prevedibili i comportamenti e le azioni umane. Si tratta di una risposta alla
domanda classica della filosofia politica su come sia possibile l’ordine
sociale, domanda che precede logicamente lo stesso concetto di stato,
che infatti nella concezione leoniana è una delle risultanti, seppure la
più importante, del modo di svolgersi degli scambi individuali. Allo
stesso modo, in ambito giuridico, si può dire che dal punto di vista della
filosofia del diritto gli elementi primi sono le pretese degli individui, che
precedono logicamente le norme giuridiche stesse, le quali sono regole
in senso statistico. In tale quadro, come si vedrà, la produzione del diritto che avviene tramite la legislazione, risulta soltanto uno dei possibili
tentativi (e per di più uno dei meno riusciti) di descrivere (e prescrivere)
pretese che sono giuridiche statisticamente, ossia sono tali solo quando
trovano un riscontro nell’agire effettivo degli individui.
Ciò che fa Leoni è applicare al diritto e alla politica, con originalità e
coerenza, il concetto di processo sociale spontaneo, in modo pratico e sino
33 Ibidem, p. 89.
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alle sue estreme conseguenze. Egli, seguendo l’individualismo metodologico, riduce il diritto e la politica ai loro elementi ultimi: la pretesa di un
comportamento ritenuto doveroso e il potere che ognuno ha di tutelare
i beni che ritiene fondamentali, incardina tali pretese e tali poteri sul
concetto di scambio e così delinea un modello di società in cui le decisioni
di gruppo, e quindi la coercizione, non rivestono più un ruolo primario.
3. Ordine spontaneo e scelte collettive: il “Modello Leoni”
Rimane ora da trattare lo scritto più importante di Leoni, Freedom
and the Law, che è forse anche l’opera in cui viene meglio in luce come
il suo liberalismo sia radicale e profondamente austriaco34. Ho deciso
di trattarla per ultima perché, a mio giudizio, essa può essere in parte
vista come una sorta di “ramificazione empirica” di quella che è la visione leoniana del diritto e della politica. Se infatti dalla concezione
dello scambio di poteri e del diritto come pretesa individuale emerge
una spiegazione sul fondamento dell’ordine sociale, grazie ad una teoria dell’azione umana esplicativa di come, a partire dal concetto di
scambio, possano nascere e svilupparsi le istituzioni sociali (stato e diritto), nel libro del 196135 si danno precise indicazioni pratiche su come, coerentemente con quelle idee, si dovrebbe produrre il diritto e
considerare la rappresentanza politica.
Qui Leoni riprende il paragone con l’economia, facendo in questo
caso riferimento alla critica della pianificazione come sviluppata da Mises e Hayek. Le riflessioni austriache sull’impossibilità di un’economia
centralizzata, che non può tener conto dei prezzi, ossia delle informazioni provenienti da coloro che devono usufruire dei beni, appare a
Leoni come un caso particolare di una teoria generale: non si può arrivare a un vero ordine, giuridico e sociale, che soddisfi tutti gli appartenenti alla comunità, senza partire dagli individui, dalle loro esigenze e
dai loro bisogni, come avviene, nel caso dell’economia, nel sistema di libero mercato.
Questa teoria generale viene dunque applicata da Leoni al caso del
diritto ed egli osserva come la legislazione faccia perdere agli individui
quella omogeneità di sentimenti e convincimenti giuridici che in altre
34 Su F reedom and the Law si vedano almeno ARANSON ( 1 9 8 8 ); CUBEDDU (1995);
AA. VV. (1995).
35 Ma si vedano anche i saggi LEONI (1962a) e (1963a).
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epoche era esistita, e che aveva consentito di rendere prevedibili le azio ni umane, ossia proprio quell’elemento necessario alla teoria della pretesa individuale. Così come la pianificazione rende impossibile il calcolo economico, e dunque l’attribuzione di un valore ai beni, ugualmente
la legislazione è incompatibile con la teoria del diritto come pretesa,
poiché impedisce agli individui di distinguere tra ciò che è legittimo e
ciò che non lo è. La legislazione trova la sua giustificazione in quella che
Leoni considera la grande “mitologia politica” del nostro secolo: la rap p re s e n t a n z a, la quale, non potendo prescindere dalla libera interpretazione che i rappresentanti devono fare della volontà dei rappresentati,
si trasforma inevitabilmente in un’illusione.
Leoni sostiene dunque che il diritto può formarsi con un processo
diverso da quello legislativo e più simile al modo in cui avviene lo sviluppo scientifico e al modo in cui si formano, ad esempio, il linguaggio, le
mode e l’arte, ossia un processo che egli ha descritto nella sua teoria dello stato e del diritto. Alla legislazione, ossia alla creazione e all’imposizione del diritto in modo coercitivo da parte di maggioranze variabili e contingenti, si contrappone un processo che privilegi, come nelle scoperte
scientifiche, la libertà individuale e «la convergenza di azioni e decisioni
spontanee da parte di un grande numero di individui» 36 per adottare
quelle che si ritengono le soluzioni migliori. Era questa una concezione
che caratterizzò la storia romana e quella inglese: il diritto era qualcosa
che non andava creato (decretato), ma qualcosa di preesistente che andava scoperto tramite l’opera dei giureconsulti o dei giudici. Il processo
davanti ad un giudice, a differenza del procedimento legislativo, è molto
più assimilabile al procedimento dell’economia di mercato. Esso, infatti,
si fonda su una sorta di collaborazione tra tutte le parti in causa per cercare di scoprire quale sia la volontà delle persone in una serie di casi simili e
così risolvere il caso concreto sollevato dalle parti.
Al contrario la produzione legislativa non ha niente di simile alla
cooperazione che caratterizza l’economia di mercato e il processo di
scoperta del diritto tramite l’opera dei giureconsulti. Essa appare sempre più come un Diktat di maggioranze vincenti su minoranze perdenti, e Leoni richiama, anche in questa sede, la contrapposizione tra le decisioni individuali nel mercato, nelle quali è sempre possibile, almeno
in parte, avere qualcosa in cambio di ciò che si da, e le decisioni di gruppo in politica, nelle quali vi sono sempre dei vincitori e dei perdenti in
ogni caso vincolati in toto dalla decisione altrui.
36 LEONI (1961e), trad. it., p. 10.
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L’accettazione cieca del punto di vista giuridico contemporaneo condurrà
alla distruzione graduale della libertà individuale di scelta nella politica
come nel mercato e nella vita privata, perché il punto di vista giuridico
contemporaneo comporta una sempre maggiore sostituzione delle decisioni collettive alle scelte individuali e l’eliminazione progressiva degli aggiustamenti spontanei, non solo fra domanda e offerta, ma anche fra ogni
tipo di comportamento, attraverso procedure rigide e coercitive come
quella della regola di maggioranza37.
Nella legislazione è dunque contenuto un elemento coercitivo non
presente nel mercato. In particolare, le decisioni di gruppo nella società contemporanea portano troppo spesso, imponendo la decisione alle
minoranze perdenti anche quando questo non appare come assolutamente necessario, alla violazione di quella che Leoni considera la regola aurea del diritto, contenuta nel pensiero di Confucio prima ancora
che nel Vangelo: non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te.
È questo un principio prettamente negativo ed adatto più di ogni altro
a connotare la libertà. Il compito del diritto dovrebbe consistere proprio nel proteggere da ciò che non si vuole sia fatto, e in ogni società esiste pressoché omogeneità di giudizio su alcune cose che non si dovrebbero fare, ossia che nessuno vorrebbe fossero fatte a lui.
Leoni indica dunque la strada per ridurre il più possibile la sfera
delle decisioni collettive e della legislazione ed arrivare così ad un sistema che, guardando al prezioso insegnamento del diritto romano e della
Common Law, sia veramente in grado di tutelare la libertà individuale.
[Sono] convinto che più riusciamo a ridurre la vasta area attualmente occupata dalle decisioni collettive nella politica e nel diritto, con tutti i parafernali delle elezioni, della legislazione e così via, più riusciremo a stabilire
uno stato di cose simile a quello che prevale nell’ambito del linguaggio,
della Common Law, del libero mercato, della moda, del costume, etc., ove
tutte le scelte individuali si adattano reciprocamente e nessuna è mai messa in minoranza. Nel nostro tempo, l’estensione dell’area in cui sono ritenute necessarie, o anche convenienti, le decisioni collettive è stata grossolanamente sovrastimata, e l’area in cui gli adattamenti individuali spontanei sono stati ritenuti necessari o convenienti è stata circoscritta ben più
severamente di quanto non sia consigliabile se vogliamo conservare il significato tradizionale dei grandi ideali dell’Occidente38.
37 Ibidem, trad. it., p. 144.
38 Ibidem, trad. it., p. 145.
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Per attuare questo cambiamento, si devono sottrarre alla sfera delle
decisioni collettive tutte quelle decisioni che non sono tra loro incompatibili e che quindi devono rimanere tra le scelte individuali. Questo comporta non dimenticare mai che ogni volta che si sostituisce, senza una
vera necessità, la regola di maggioranza alla scelta individuale, la democrazia si pone in contrasto con la libertà individuale. Ciò che Leoni prospetta è allora una sorta di grande rivoluzione con la quale molte delle
norme che ora sono leggi scritte passino nell’area delle leggi non scritte.
«Il processo di formazione del diritto dovrebbe essere riformato in modo da diventare un processo principalmente, se non esclusivamente,
spontaneo, come il commerciare il parlare o il trattenere relazioni complementari da parte di individui con altri individui»39. Lo strumento di
questa “rivoluzione” consiste nel separare nettamente il potere giudiziario dagli altri poteri, restituendogli il compito di “scoprire” il diritto
che si forma spontaneamente, e le soluzioni giurisprudenziali sono più
idonee a svelare il diritto perché quel «processo può essere descritto come una specie di collaborazione ampia, continua e per lo più spontanea
fra giudici e giudicati allo scopo di scoprire qual è la volontà della gente
[…] una collaborazione che può essere paragonata per molti aspetti, a
quella che esiste fra tutti i partecipanti ad un mercato libero»40.
Contrariamente alla legislazione, queste decisioni vengono prese solo su richiesta degli interessati, sono valide principalmente nei confronti
delle parti in causa e solo occasionalmente nei confronti di terzi ed infine
fanno costantemente riferimento a decisioni simili precedenti ed anch’esse rivolte a scoprire la volontà comune delle parti. Leoni osserva allora come scoprire la volontà comune sia anzitutto scoprire che cosa la
gente non vorrebbe che le venisse fatto, scoperta assai più semplice del
determinare cosa la gente vorrebbe fare. In ogni società infatti le convinzioni riguardo le cose da non fare sono molto più omogenee di quelle sulle cose da fare, e su tali questioni si può dire che non esistano minoranze.
In alternativa alle decisioni collettive Leoni propone dunque la rivalutazione della volontà comune, ossia di quella «volontà che emerge
dalla collaborazione di tutte le persone interessate, senza ricorso alle deci sioni di gruppo e ai gruppi di decisione» 41, dunque senza che nessuno sia
costretto coercitivamente ad accettare una certa decisione. È lo stesso
processo che si verifica nell’economia, nelle scoperte scientifiche, nella
39 Ibidem, trad. it., p. 147.
40 Ibidem, trad. it., p. 25.
41 Ibidem, trad. it., p. 151.
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moda, nell’arte e nel linguaggio. In questi ambiti nessuno viene costretto a comprare una determinata merce, ad adottare una determinata innovazione tecnologica o ad usare una certa parola. Tuttavia da questi
processi emergono spontaneamente le merci che più soddisfano i bisogni, le invenzioni più efficaci e le parole che più delle altre corrispondono a certi scopi (che risultano più intellegibili ecc.), e vengono adottate
spontaneamente dalla collettività, che le trova migliori e più soddisfacenti delle altre.
Il problema delle decisioni collettive è dunque l’epicentro di tutto il
ragionamento di Leoni. La domanda sul come si possa manifestare la volontà comune nelle decisioni collettive è una costante nella sua riflessione: mentre in un primo momento egli ritiene che i due termini siano inconciliabili e che l’elemento coercitivo sia ineliminabile nella politica,
successivamente egli tenta sempre più, attribuendo maggiore importanza al concetto di scambio, e quindi alle azioni complementari, di trovare
una possibile corrispondenza tra decisioni collettive e volontà comune,
giungendo a porre la pretesa individuale a fondamento della teoria del
diritto e definendo la politica come scambio di poteri. Leoni tenta dunque di superare l’elemento coercitivo presente nella politica e nel diritto
sostituendo alle decisioni di gruppo delle decisioni frutto di una volontà
comune intesa come libera adesione da parte degli individui.
In La libertà e la legge si ha un importante passaggio a questa seconda concezione, che assume soprattutto la forma della critica della legislazione, poiché essa «non costituisce un’appropriata alternativa all’arbitrio, ma spesso concentra gli ordini vessatori dei tiranni o di maggioranze arroganti contro tutti i processi spontanei di formazione di una volontà comune»42. Bisogna dunque ridurre potentemente le norme emanate
dal potere legislativo e concepite come esito di decisioni collettive anziché di scelta individuale e rivalutare il diritto che nasce spontaneamente
nel popolo e viene scoperto per via giurisprudenziale con un processo
che ricorda da vicino quello del mercato come esso è stato descritto dagli
austriaci, in cui sono i consumatori a dettare la produzione di ciò di cui
hanno bisogno; quel diritto che Leoni descrive con la sua teoria della
pretesa individuale, la quale come si è visto è una brillante e originale applicazione al campo del diritto degli strumenti metodologici austriaci.
Il tratto saliente de La libertà e la legge è dunque rivalutare la possibilità che la formazione spontanea del diritto (che, lo ricordiamo anco-
42 Ibidem, trad. it., p. 171.
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ra, è uno dei casi di nascita ed evoluzione spontanea e culturale delle
istituzioni) possa funzionare ed essere efficiente anche senza l’intervento del legislatore, e indicare nel diritto romano e nella Common Law
degli esempi storici di una tale efficienza. Leoni individua tale possibilità, e ne fa il cardine per la tutela della libertà individuale nel campo
del diritto, prima di Hayek, il quale sposerà compiutamente tale prospettiva solo nel 1973, e forse senza riconoscere debitamente l’importanza della riflessione di Leoni in questa sua svolta.
Ma vi è anche qualcosa di più in Leoni, ossia una radicalità che non
si trova nell’austriaco. Infatti, prima ancora che una critica della legislazione, La libertà e la legge è una critica distruttiva della rappresentanza
e dell’opportunità di cercare le soluzioni ai problemi “politici”, ossia
comuni a tutti, tramite scelte collettive. L’inclinazione di Leoni è sottrarre la formazione del diritto ai politici e alla logica della maggioranza
per ricollocarlo in un processo di evoluzione spontanea staccato dalla
politica, ma egli va più in là di Hayek poiché sembra non solo riconoscere che un ordine sociale possa nascere prima e indipendentemente
dal potere politico (inteso come potere che fa capo all’apparato statale), ma sembra anche supporre che possa esistere e evolversi senza scelte collettive, ossia senza coercizione e con un processo di adattamento
spontaneo degli individui rispetto a quelle che appaiono le migliori soluzioni. Il suo rifiutarsi, a differenza di Hayek, di cercare la tutela della
libertà individuale in nuove soluzioni costituzionali, lo porta dunque, e
prima della fioritura del pensiero L i b e r t a r i a n,a pensare alla possibilità
di una politica che sia altro rispetto alle scelte collettive e alla necessità
di individuare un principio ordinatore della società diverso dagli individui, e dunque a prospettare un diritto e una politica che siano meramente descrittive della capacità umana di autoregolarsi.
Vi è dunque in Leoni una venatura anarchica, che non appare sopita neanche nel momento in cui egli sembra guardare alla tradizione del
Rule of Law come un freno al proliferare delle scelte collettive, le quali
sembrano idealmente scomparire dal suo orizzonte teorico. Ed è questo, a ben guardare, che gli impedisce di cercare una mediazione con la
tradizione democratica e che lo distanzia dalla tradizione “storica” della Scuola Austriaca, per farci vedere in lui uno dei primi momenti di
passaggio a quel filone anarco-capitalista (da cui lo allontana la mancata adesione al Natural Right, di cui pure egli proponeva un non ben precisato “recupero empirico”) che secondo alcuni rappresenta il coronamento della tradizione austriaca e secondo altri ne è una particolare diramazione.
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