Meridione Italiano

Dal racconto complessivo offerto in questo insolito reportage − Romanzo del Sud e non Poesia o Tragedia del Sud − viene fuori una potenzialità negativa, un senso vacante della cultura del Mezzogiorno (e, dunque, tanto dell’individuo, luogo di tutti i rapporti, quanto della comunità) colto da molti degli scrittori che, a partire dal secondo dopoguerra, hanno provato a interpretare i suoi mali. Proprio attraverso il vivo e brusco contatto con la presenza che si aliena a se stessa, Levi, Scotellaro, De Seta, Silone, Ortese, Volponi, Morselli e molti altri tentano di prendere coscienza dei limiti e delle contraddizioni della civiltà meridionale e del modo in cui si sta evolvendo. Già l’umanesimo di tipo etnografico, preconizzato da De Martino, valorizzava quella disposizione per il dettaglio, per la comprensione e per la verifica cara tanto allo scrittore quanto all’uomo di scienza: entrambe le figure, non rinunciando ad abitare la realtà, sembrerebbero necessarie per inquadrare le mille criticità − ciò che vedo, ciò che è soltanto immaginabile e ciò che non si riesce neanche a immaginare − di un problema, quello meridionale, che non ha ancora avuto soluzione e per cercare di intuirne gli sviluppi futuri, passando anche da alcune sue manifestazioni correnti. Prima che sia troppo tardi.

Nel tracciare le linee della concentrazione industriale nell'Europa
post-bellica, Postan.prende a parametro imprese come la Shell, la British Petroleum, la francese Compagnie Francaise des Pétroles, l'Eni.
Questa scelta non è.casuale, in quanto proprio l'indusria petrolifera
presenta gli aumenti più spettacolari di dimensioni d'impresa, di investimenti di capitali e di profitti fra quelli avvenuti negli anni Cinquanta.

Testo della prima conferenza su "Ernesto de Martino, antropologo della contemporaneità", organizzato dall'associazione OfficinaMentis all'interno del Seminario permanente sul pensiero critico. Questo primo incontro ha delineato la biografia di de Martino, ripercorrendone gli eventi principali, le figure che più l'hanno segnato, gli eventi storici di cui è stato partecipe. Lo sfondo è il contesto italiano (ed europeo) tra anni '20 e '60, di cui de Martino è stato testimone autorevole e critico. Le sue opere e i temi principali che lo impegnano - che sono discussi nel secondo incontro - risentono di tali coordinate storiche.

This paper shows that among the various strategies adopted by Roger the Great Count, during the conquest of Muslim Sicily, the reactivation of St. Lucy’s cult can also be named. This reactivation was done through building churches and basilicas in her name, because Sicilians saw in him the Sicilian martyr’s favourite and therefore the envoy of God for the liberation of the island. Between the eleventh and the thirteenth century, St. Lucy’s veneration spread widely, thanks to the Normans, also in the rest of southern Italy, making St. Lucy one of the most respected saints in the medieval sanctoral.

Contesa tra le più importanti potenze del Mediterraneo la Calabria altomedievale è un luogo di scontro e incontro tra popoli, religioni e culture. Oggi, grazie al nuovo impulso negli studi del settore, è possibile conoscere in modo più chiaro i quattro secoli in cui gli Arabi sono a contatto diretto con il territorio calabrese, influenzandone usi, costumi, lingua, economia e cultura. Una storia densa di scontri politici e militari, ma ricca di momenti di proficua convivenza. Nuove chiavi interpretative per approcciarsi ad un medioevo sconosciuto e sorprendente, che ci restituisce una immagine vivida di una terra che ha combattuto, accolto e prodotto cultura. E le cui tracce sono individuabili nel nostro presente.

Attraverso l'analisi comparata della produzione foto-cinematografica relativa alle vicende del tarantismo salentino, tra il 1954 e il 1961, incentrata sulla figura-chiave di Ernesto De Martino, rivela un caso esemplare "ridondanza mediatica", tipica della cultura neoralista, in cui il "messaggio insistito" è concepito per incidere sulla coscienza di massa.

Nella fitta trama intessutasi storicamente nel grande regno meridionale spunta la figura di un'ammirevole donna, i cui contorni appaiono sovente dissolti in una nube di mistero e aleatorietà; trattasi di Isabella d'Aragona Sforza, colei che si racconta abbia ricevuto sin dalla nascita doni tanto cari (lo scettro del governo e una decorosa bellezza), da non poter nominare il cielo avaro. Figlia di Alfonso II, re di Napoli e della milanese Ippolita Maria Sforza, ella vide la luce il 2 ottobre 1470 a Napoli, in Castel Capuano e soltanto un anno dopo fu promessa in moglie al cugino Gian Galeazzo Maria Sforza, con il quale de facto si unì il 21 dicembre 1488 nella reggia di Castelnuovo: ivi, per l'occasione, giunse un corteo di eminentissimi, tra cui lo stesso precettore di Isabella, nonché illustre poeta del tempo, Gabriele Altilio, che suggellò i festeggiamenti con esametri di rara bellezza. Aveva diciotto anni, quanti bastavano per preparare il suo ventre a diventare gravido, quanti occorrevano per sopportare il peso di un'avversa sorte. Dopo aver tardato ad avere figli dal suo beffeggiato marito, dopo aver tollerato il suo isolamento strategico a Pavia, i vari intrighi orditi dal Moro e la riaccesa acrimonia tra i due casati, ella, eroina afflitta, dovette prepararsi ad accettare peggiori sciagure come la morte del marito e la sottrazione del primogenito Francesco, destinato anch'egli a trovare più tardi la morte. La sua vita fu per sempre scossa, tanto che da quel momento iniziò a firmarsi "Isabella de Aragona Sforcia ducissa Mediolani unicha ne la disgrazia". Tuttavia non si abbandonò alla sterile afflizione e rimasta improtetta in terra ostile, nel febbraio 1500 decise di partire alla volta del suo Regno per rimanervi fino alla fine. A questo punto, nei disordini del Meridione, entra in gioco Isabella, ormai investita duchessa di Bari e abile destreggiatrice politica. Di fatto, stretta l'alleanza con gli Spagnoli, suoi consanguinei, potè offrire un risolutivo contributo alla sfida franco-spagnola che si combattè in quel di Barletta il 13 febbraio del 1503. Il suo invischiarsi in queste faccende fu ben presumibile, dato non solo il già citato vincolo parentale che la legava agli Spagnoli, ma anche il suo vantaggioso stato di oppugnandae foeminae, che, come dice il Giovio, portò i Francesi a ripiegare su Barletta per l'assedio, evitando la oramai fortificatissima Bari; a questi si aggiunge il suo innascondibile favore per il Gran Capitano Consalvo da Cordova e per il magnifico attore della sfida, Prospero Colonna, che con le loro frequenti visite e intrinsechezze destarono non pochi sospetti sulla cronaca locale. Comunque, posto il blocco francese a Barletta, la Duchessa si prodigò per fornire aiuto alla città, facendovi pervenire armi, abiti, calzature e anche una brigata dei suoi migliori cavalli scortati dal suo ufficiale Pietro Giacomo d'Amberta, che potè in tal modo assistere alla disfida mentre ella attendeva fremente notizie sulla battaglia e commissionava preghiere nella basilica della sua Bari. Probabilmente senza l'arrivo di quei destrieri le sorti della contesa avrebbero conosciuto pieghe diverse e di questo fu presto certo Prospero Colonna, il quale omaggiò ufficialmente Isabella per il suo nobile gesto colorando le corazze di ciascun cavaliere con sciarpe di seta azzurra. Pertanto, ragionando nei termini di un noto storico locale, se è vero che ogni storia ha la sua eroina, noi un'eroina vera della Disfida ce l'abbiamo ed è Isabella d'Aragona, non più, dunque, mera comparsa, ma attrice preminente nel confuso teatro di guerra. A rendere questa figura maggiormente rilevante e, in un certo senso, seducente hanno contribuito certe tesi singolari che la vedono connessa all'identità della misteriosa donna dipinta da Leonardo : la Gioconda. Sul riconoscimento della vera identità celata dietro il volto di quest'ultima si è espresso per la prima volta il Vasari, che nelle Vite scioglie ogni dubbio, dicendo che «prese Leonardo a fare per Francesco del Giocondo il ritratto di Monna Lisa sua moglie».

Il Sud Italia nei decenni è stato descritto da molti come una realtà monolitica, spesso inerte agli stimoli e capace di sopravvivere solo grazie a sussidi esterni. Tale immagine del meridione, se pur particolarmente stigmatizzata, interpreta il divario economico e sociale che dall’unione d’Italia divide con una linea invisibile il nord e il sud.
Tuttavia, alla luce dei cambiamenti che hanno coinvolto il paese negli ultimi vent’anni, si possono notare nuovi segnali di vitalità nel mezzogiorno che frammentano e differenziano l’immagine di un indicativa macro regione meridionale.
Con lo scopo di determinare l’origine di questi segnali di dinamismo si scopre inevitabilmente che gli spazi urbani sono il fulcro della nuova vitalità del meridione, luoghi che diversamente dal passato integrano e assimilano il territorio che li circonda e ne colgono l’importanza e opportunità che offre quest’ultimo. Condizione indispensabile per ambire all’integrazione in un sistema più ampio, che si avvicini (e si amalgami) a quello nazionale e non più ai suoi margini. Pertanto in questa tesi si analizzano i nuovi fautori di un possibile mutamento della questione meridionale, le città e lo spazio urbano collegato.
La ricerca, basata su elaborazioni di dati e rappresentazioni confrontatati con autorevoli pubblicazioni sul tema, si sofferma su due casi studi: l’agglomerato urbano Napoli- Caserta-Salerno e l’area metropolitana di Bari. Aree scelte per il protagonismo che esercitano nel meridione e interessate negli ultimi anni da importanti politiche per lo sviluppo.
Il primo capitolo descrive lo scenario in cui si colloca attualmente la questione meridionale, ricostruendo concisamente le dinamiche degli ultimi trent’anni, con un occhio al rinnovato dibattito accademico e al nuovo assetto politico/istituzionale. Successivamente nel secondo capitolo viene analizzata l’agglomerato urbano di Napoli Caserta e Salerno, attraverso elaborazioni grafiche e concettuali personali basate su dati e pubblicazioni, individuando l’esito inaspettato di alcune politiche messe in atto sempre negli ultimi decenni, la stessa operazione è avvenuta nel capitolo terzo per la restituzione dell’analisi dell’area metropolitana di Bari, dove notiamo un forte protagonismo delle politiche europee per lo sviluppo locale.
Nella conclusione si cerca di mantenere una visione globale della questione, per carpire le criticità e le possibilità delle nuove prospettive di sviluppo intraprese nella visione europea. Questa tesi ha inoltre il duplice scopo di mantenere aperta una finestra critica sulla questione meridionale documentando l’evoluzione recente nel campo dei processi spaziali e delle politiche.

Dopo la seconda guerra mondiale, a fronte dell'arretratezza sociale ed economica, sono stati condotti notevoli sforzi per favorire l'industrializzazione del Mezzogiorno. In questi stessi anni le grandi imprese producono film industriali per scopi educativi o pubblicitari. Molti di questi film, realizzati da Eni, Italsider, Montecatini ed Edison, ci parlano della nascita e delle aspettative di sviluppo delle industrie che aprono i battenti nel Mezzogiorno. Il saggio analizza parte di tali film  con l'obiettivo di dimostrare come essi riproducano fortemente l'idea, depositata nell'immaginario collettivo, delle grandi imprese nel Sud  come "cattedrali nel deserto", ovvero luoghi di un'industrializzazione senza sviluppo.

A centocinquant'anni dall'Unità il Mezzogiorno resta il più grande nodo irrisolto dello sviluppo del Paese. Un caso unico a livello europeo per la consistenza del divario e per la sua durata nel tempo, e quindi difficile da spiegare: una sorta di enigma per le scienze sociali. Negli anni si è accumulata una letteratura vastissima, ma manca una diagnosi davvero condivisa e quelle che sono più accreditate-come cercherò di mostrare-non sono oggi le più convincenti. Una diagnosi efficace è però necessaria perché non è immaginabile uno sviluppo solido per l'Italia nel futuro senza il Mezzogiorno.