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N. 7-8 LUGLIO-AGOSTO 2011 • Anno XXVII RIVISTA MENSILE de Le Nuove Leggi Civili Commentate ISSN 1593-7305 LA NUOVA GIURISPRUDENZA CIVILE COMMENTATA Estratto: GAETANO ANZANI I percorsi del danno non patrimoniale Rassegne di giurisprudenza I PERCORSI DEL DANNO NON PATRIMONIALE [,] di Gaetano Anzani Sommario: 1. Introduzione. – 2. Il «danno alla salute». – 3. Il «danno esistenziale» della Scuola triestina e della Scuola torinese. – 4. Il «nuovo danno non patrimoniale» della Scuola pisana. – 5. Le innovazioni legislative e le «svolte» giurisprudenziali. – 6. «Danno da perdita della vita» e «danno tanatologico». – 7. Il danno non patrimoniale da inadempimento. 1. Introduzione. La patrimonialità o non patrimonialità del danno ha condizionato nell’ordinamento i tipi di tutela («risarcitoria» oppure «riparatoria») e le sue funzioni («sanzionatoria», «solidaristica», «satisfattiva», «deterrente» oppure «composita»), tanto che la distinzione tra le due specie di danno è stata spesso mutevole in dottrina ed in giurisprudenza: la vicenda del «danno alla salute» è emblematica, giacché per lungo tempo, stante la sua compensabilità secondo oggettivi parametri medico-legali, ne è stata affermata la natura patrimoniale solo al fine di assicurare al danneggiato una tutela risarcitoria. Oltretutto, un pregiudizio apparentemente non patrimoniale potrebbe in realtà avere natura patrimoniale: ad esempio, la lesione della reputazione professionale, a differenza di quella della reputazione personale, ha riflessi a volte apprezzabili come danno patrimoniale (Cass., 10.5.2001, n. 6507, in Dir. e giust., 2001, n. 22, 15; Trib. Lecce, 25.8.2003, ord., in Danno e resp., 2004, 746, con nota di Liace); ed il problema si pone anche nelle ipotesi di illecito sfruttamento dell’altrui immagine, celebre o meno (Cass., 11.5.2010, n. 11353, in Foro it., 2011, I, 534, con nota di Pardolesi; Cass., 16.5.2008, n. 12433, in Danno e resp., 2008, 1233, con nota di Boschi; Cass., [,] Contributo pubblicato in base a referee. NGCC 2011 - Parte seconda 1.12.2004, n. 22513, ivi, 2005, 969, con nota di Oliari; Cass., 25.3.2003, n. 4366, ivi, 2003, 978, con nota di Ubertazzi). La storia del danno non patrimoniale è quella del rapporto tra due disposizioni entrambe fondamentali, ma ben diversamente forgiate, ossia l’art. 2043 cod. civ., clausola generale della responsabilità extracontrattuale, e l’art. 2059 cod. civ., fattispecie «incompleta» di responsabilità la cui portata operativa, ai fini della riparabilità del «danno non patrimoniale», dipende dall’integrazione con altre fonti legali. All’epoca dell’entrata in vigore del Codice, l’art. 2059 cod. civ. poteva essere letto solo in combinazione con gli artt. 185 cod. pen. e 89 cod. proc. civ., nei quali alla medesima locuzione si attribuiva nel 1942 il significato corrente di «danno morale soggettivo», sicché alla disposizione civilistica veniva assegnata una funzione marcatamente sanzionatoria. Ma l’esigenza di ovviare all’originaria impostazione della responsabilità civile, pensata eminentemente per la salvaguardia di valori economici, ha animato gli sforzi dottrinali e giurisprudenziali tesi a sviluppare le virtualità protettive del sistema aquiliano, così da offrire adeguata tutela anche quando siano coinvolti i diritti inviolabili della persona. 2. Il «danno alla salute». Gli artt. 2043 e 2059 cod. civ. sono in rapporto di eterogeneità se un danno patrimoniale è scorto come elemento costitutivo implicito nella fattispecie dell’art. 2043 cod. civ. L’assetto appena ipotizzato si delineò in seguito alle sentenze della Corte costituzionale del 26.7.1979, nn. 87-88 (in Foro it., 1979, I, 2542, con nota di Giardina-Santilli), nelle quali, per un verso, il «danno biologico» veniva ricompreso nella più ampia categoria del 395 Rassegne di giurisprudenza «danno non patrimoniale» di cui all’art. 2059 cod. civ., ma, per altro verso, si continuava a subordinarne la riparabilità alla condizione che l’illecito aquiliano integrasse anche un reato. In Corte cost., 14.7.1986, n. 184 (in Foro it., 1986, I, 2053 e 2976, con note di Ponzanelli e Monateri), invece, la rilevanza ex lege Aquilia del danno biologico fu emancipata dal reato, ma al prezzo di un’aporia sistematica, perché, da una parte, si affermava l’apprezzabilità ai sensi dell’art. 2059 cod. civ. del solo danno morale, dall’altra parte, ciò che per la giurisprudenza ordinaria e per lo stesso Sommo Collegio era già nella sostanza il danno alla salute veniva ritenuto risarcibile ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. come danno patrimoniale. E questa impostazione si consolidò nonostante che in alcune successive pronunce sembrasse riproporsi una lettura più ampia del «danno non patrimoniale» ex art. 2059 cod. civ., come in Corte cost., 27.10.1994, n. 372 (in Giust. civ., 1994, 3035, con nota di Busnelli) e in Corte cost., 22.7.1996, n. 293, ord. (in Resp. civ. e prev., 1996, 909 e 1132, con nota di Navarretta). In effetti, il danno alla salute, «se non è certamente rapportabile (...) a valori di scambio, tuttavia, diversamente da qualsivoglia danno non patrimoniale, ha superato il principale ostacolo (...) alla misurazione dei valori d’uso, vale a dire la difficoltà di ricondurre la loro singolarità ad una scala di valori omogenei. La medicina legale ha consentito, per l’appunto, di ponderare l’incidenza sulla vittima di ogni peculiare lesione dell’integrità psicofisica attraverso un’unità di misura (la percentuale di invalidità), convenzionalmente ma scientificamente fondata, che rende oggettivamente e direttamente misurabile un pregiudizio afferente alla dimensione delle perdite di utilità» (Navarretta, Il danno alla persona e la Corte costituzionale, infra, 1134, Nota bibl.). La percentuale di invalidità, che può essere temporanea o permanente, indica di per sé solo l’entità del pregiudizio da lesione dell’integrità psico-fisica, non il suo equivalente pecuniario, ma l’associazione ad ogni punto di invalidità di un valore monetario fissato tra un minimo ed un massimo, «forbice» all’interno della quale il giudice è chiamato a «personalizzare» il risarcimento, ha condotto la giurisprudenza a forma396 re «tabelle» che convertono il danno alla salute in un danno patrimoniale. Orbene, il metodo c.d. «del punto variabile o tabellare» è stato poi adottato anche dal legislatore nelle materie dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e dell’assicurazione obbligatoria per la circolazione di veicoli a motore e di natanti: la redazione di tabelle uniche a livello nazionale, dapprima legislativamente prevista solo per le menomazioni da infortunio sul lavoro dal d. legis. 23.2.2000, n. 38 (Disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali) e per le c.d. «micropermanenti» – ossia i pregiudizi alla salute che comportino fino al 9% di invalidità – dalla l. 5.3.2001, n. 57 (Disposizioni in materia di apertura e regolazione dei mercati) è stata ora prevista in via generale dal d. legis. 7.9.2005, n. 209 (Codice delle assicurazioni private). Peraltro, nelle tabelle la stima monetaria del pregiudizio corrispondente ad ogni punto di invalidità aumenta in misura più che proporzionale rispetto all’handicap, perché una maggiore invalidità diminuisce progressivamente le possibilità di sopperire al deficit (così da riacquistare un pur limitato equilibrio psico-fisico) tramite o le proprie residue funzionalità o appositi ausilii artificiali. Inizialmente si attribuiva al danno biologico una portata ridotta alla menomazione dell’integrità psico-fisica in senso stretto, con esclusione dei riflessi che la lesione della «salute» irradia sulla relazionalità e sull’estrinsecazione della personalità del danneggiato. Pertanto, con il fine di elevare il complessivo risarcimento, venivano spesso affiancate ulteriori figure, come il «danno alla vita di relazione», il «danno estetico», il «danno alla vita sessuale» e il «danno alla capacità lavorativa generica», che talvolta servivano piuttosto a giustificare la compensazione di un lucro cessante da compromissione di attività reddituali. Ma le predette voci di pregiudizio, a meno che non esprimano perdite effettivamente patrimoniali, sono confluite in una più ampia e giuridica nozione di danno biologico – avallata da Corte cost., n. 184/ 1986 – che anche per questo viene altresì denominato «danno alla salute»: più di recente, in generale, Cass., 15.12.2000, n. 15859, in Riv. circ. e trasp., 2001, 631; sull’assorbimento del danno alla vita di relazione, Cass., 20.4.2007, NGCC 2011 - Parte seconda Percorsi del danno non patrimoniale n. 9514, in questa Rivista, 2007, I, 1350, con nota di Sganga; sulla distinta risarcibilità del danno estetico – altrimenti da ricondurre nel danno alla salute come in Cass., 8.5.1998, n. 4677, in Danno e resp., 1998, 947 – solo sotto l’aspetto strettamente patrimoniale, purché incida su un’attività lavorativa svolta o da svolgere, Cass., 23.5.2006, n. 12423, ivi, 2007, 292, con nota di Sganga; sull’inconsistenza di un autonomo danno alla capacità lavorativa generica, Cass., 2.2.2007, n. 2311, in Foro it., 2007, I, 747. Di natura propriamente patrimoniale, e dunque separatamente liquidabile, rimane invece il «danno alla capacità lavorativa specifica», cioè allo svolgimento di un’attività reddituale determinata: di recente, Cass., 18.9.2007, n. 19357 e Cass., 8.11.2007, n. 23293, in Resp. civ. e prev., 2008, 290, con nota di Chindemi. Al fenomeno del c.d. «assorbimento» di varie voci nell’ampia figura del danno alla salute, però, si è a volte contrapposto il progressivo «allargamento» del danno biologico oltre la sua matrice medico-legale: è il caso del danno da lesione del «diritto ai rapporti sessuali tra coniugi», che sarebbe consistito nel pregiudizio patito da un coniuge a causa della lesione non già della propria integrità psico-fisica, come sarebbe il «danno alla vita sessuale», bensì di quella dell’altro coniuge (Cass., 11.11.1986, n. 6607, in Foro it., 1987, I, 833, con nota di Princigalli). Da ultimo, negli artt. 138 e 139 del Codice delle Assicurazioni Private il danno denominato «biologico» – come già nell’art. 13 del d. legis. n. 38/2000 – è nondimeno definito «la lesione dell’integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da eventuali ripercussioni sulla capacità di produrre reddito», cioè corrisponde al «danno alla salute». Corte cost., n. 184/1986 esaltava la funzione compensativa o quantomeno satisfattiva della responsabilità civile, sebbene questo risultato corresse il rischio di sfumare a causa della contestuale distinzione tra «danno-evento» e «danno-conseguenza», giacché la categoria del danno-evento poteva essere addotta a NGCC 2011 - Parte seconda sostegno di un’asserita prevalenza della funzione sanzionatoria della tutela aquiliana, apparentemente in grado di operare sul presupposto della mera violazione di qualche precetto normativo e in assenza di un effettivo dannoconseguenza. L’«errore» venne poi riconosciuto in Corte cost., n. 372/1994, nella quale si precisava che ogni danno risarcibile è conseguenza in senso giuridico della lesione di un interesse protetto. Ma dall’equivoco insito nella concezione «eventistica» del danno non sono rimasti esenti la l. n. 57/2001 e ora il Codice delle Assicurazioni Private. Comunque, rimaneva l’eventualità di un pregiudizio non risarcibile alla stregua dell’art. 2043 cod. civ. e neppure riparabile alla stregua dell’art. 2059 cod. civ. Inoltre, la giurisprudenza circoscriveva la riparabilità anche del danno morale da reato: anzitutto, si richiedeva che il danno morale fosse ulteriore rispetto ad un danno alla salute (o almeno ad un danno patrimoniale), tanto che per opinabile prassi il primo è sovente liquidato in una misura ragguagliata alla somma riconosciuta per il danno alla salute (Cass., 24.5.1997, n. 4631, in Giur. it., 1998, 1363, con nota di Bona); ancora, se ne escludeva la configurabilità in capo alle c.d. «vittime secondarie» per l’asserita assenza, oltre che dell’elemento soggettivo, anche del nesso di causalità giuridica quando la c.d. «vittima primaria» fosse sopravvissuta all’illecito (sull’irrisarcibilità dei c.d. «danni di riflesso» o «di rimbalzo», Corte cost., n. 372/1994), sebbene in caso di suo decesso il nesso causale venisse contraddittoriamente ravvisato (Cass., 11.2.1998, n. 1421, in Danno e resp., 1998, 895, con nota di Pellecchia); infine, il danneggiato non era ammesso ad approfittare delle presunzioni offerte dalla legge civile per la dimostrazione dell’elemento soggettivo di un illecito aquiliano astrattamente integrante anche un reato (Cass. 17.11.1999, n. 12741, in Danno e resp., 2000, 844, con nota di Bona). 3. Il «danno esistenziale» della Scuola triestina e della Scuola torinese. Il rapporto strutturale tra gli artt. 2043 e 2059 cod. civ. è di omogeneità se si ravvisa nel «danno non patrimoniale» un elemento che «specializza» la fattispecie del secondo rispetto a 397 Rassegne di giurisprudenza quella del primo: al di fuori dell’area coperta dall’art. 2059 cod. civ., la clausola generale dell’art. 2043 cod. civ. sarebbe idonea a governare tanto il danno patrimoniale quanto il danno non patrimoniale. Parte della dottrina ha proposto questa ricostruzione per considerare «risarcibile» ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. un danno alla persona diverso dal danno alla salute e dal danno morale. La Scuola triestina, che per prima ha elaborato la categoria del «danno esistenziale», affermava che essa avrebbe avuto rango costituzionale in sé a prescindere dal grado di rilevanza dell’interesse leso, purché genericamente meritevole di tutela, e che avrebbe dovuto comprendere tutte le menomazione delle «attività realizzatrici della persona» (cioè un «non poter più fare» ciò che si faceva anteriormente all’illecito o un «dover fare altrimenti»), dunque anche il danno biologico. Si distingueva infatti tra «danno esistenziale-biologico» e «danno esistenziale-non biologico», ritenuti ontologicamente simili, che sarebbero stati entrambi liquidabili solo in via equitativa, seppure con l’ausilio, rispettivamente, della medicina legale e delle scienze sociali come la sociologia o la psicologia. La purezza del danno esistenziale, legato alla dimensione del «fare», veniva decisamente difesa dalla commistione con il patema d’animo e con il danno psichico non patologico, che sarebbero rimasti riparabili solo nei limiti dell’art. 2059 cod. civ. tradizionalmente interpretato. Dal danno esistenziale, tuttavia, sarebbero rimasti esclusi i pregiudizi consistenti in quel «male di vivere» che non si manifesta nel non poter più fare (il «perturbamento dell’agenda»), quanto piuttosto nel «non voler più fare» ciò che si faceva prima dell’illecito, nonché il danno morale che, pur derivante dalla lesione di interessi di rango costituzionale, non rientrasse nell’ambito dell’art. 2059 cod. civ. La commisurazione del danno al grado di sconvolgimento delle attività dalle quali il danneggiato traeva abitualmente gratificazione, peraltro, comportava una disparità di trattamento fondata sul «censo» dei danneggiati, giacché è intuitivo che il tempo da dedicare alle attività realizzatrici della persona, nonché gli strumen398 ti adoperabili e la qualità delle predette attività, sono direttamente proporzionali alle disponibilità economiche di ciascuno. La Scuola torinese ha invece elaborato una teoria c.d. «spuria» del danno esistenziale, perché ha ricondotto nell’ambito dell’art. 2043 cod. civ. ogni pregiudizio non patrimoniale (il danno biologico, il danno esistenziale ed anche i patemi d’animo) che però conseguisse alla lesione di interessi di rilevanza costituzionale. Il danno esistenziale non veniva proposto come macrocategoria inglobante il danno biologico, giacché solo quest’ultimo è suscettibile di accertamento medico-legale, ma sarebbe stato capace di comprendere i patemi d’animo. Quest’ultima impostazione evitava la «costituzionalizzazione» del danno-conseguenza, perché a rivestire rilevanza costituzionale avrebbe dovuto essere l’interesse leso e non il danno. Ma sarebbe stato riparabile il pregiudizio non patrimoniale derivante dalla lesione di un qualsivoglia interesse di rango costituzionale, sebbene non attinente alla persona (ad esempio, nel caso della proprietà, Trib. Milano, 27.11.2000, in Resp. civ. e prev., 2001, 669, con nota di Ziviz). Inoltre, con riguardo al danno morale gli artt. 2043 e 2059 cod. civ. venivano parzialmente sovrapposti: il secondo sarebbe stato invocabile solo in considerazione di una condotta dannosa riprovevole, così da mantenere una funzione sanzionatoria, ma era innegabile il rischio di duplicazioni risarcitorie in caso di reato. La giurisprudenza favorevole al danno esistenziale ha prevalentemente accolto la categoria nella versione torinese, scivolando a volte verso concezioni «eventistiche» (Cass., 2.2.2001, n. 1516; Trib. Palermo, 8.6.2001; Trib. Agrigento, sez. pen., 4.6.2001; Trib. Torino, 15.2.2001, n. 1293; Cass. pen., 13.11.2000, n. 11625; Trib. Milano, 15.6.2000 e Trib. Firenze, sez. stralcio, 24.2.2000, n. 451, tutte in Giur. it., 2002, 951, con nota di Bona; Cass., 7.6.2000, n. 7713, in Danno e resp., 2000, 835, con nota di Monateri). Peraltro, sebbene un pregiudizio alle «attività realizzatrici della persona» sembri proprio delle sole persone fisiche, in alcune pronunce il danno esistenziale è stato affermato anche in capo ad enti collettivi, ed in particolare alla P.A.: in Corte Conti, sez. riun., 23.4.2003, n. NGCC 2011 - Parte seconda Percorsi del danno non patrimoniale 10 (in Resp. civ. e prev., 2003, 1131, con nota di Poto), tuttavia, viene etichettato come esistenziale un «danno all’immagine», che altri Giudici hanno con maggiore perspicuità riparato ai sensi dell’art. 2059 cod. civ. (Corte Conti, 18.6.2004, n. 222/A, in Resp. civ. e prev., 2004, 1380, con nota di Poto; App. Roma, 1.7.2002, in Danno e resp., 2003, 763, con nota di Plebani), pur dovendosi notare la peculiarità del diritto all’immagine della P.A. rispetto a quello dei soggetti privati, perché – lungi dal trovare fondamento nell’art. 2 Cost. – è conformato dall’art. 97 Cost. ed è passibile di un regime differenziato e presidiato da minori tutele (Corte Cost., 15.12.2010, n. 355, in Resp. civ. e prev., 2011, 280, con nota di Ziviz). Gli «esistenziali» non hanno individuato seri criteri che consentissero, per un verso, di selezionare gli interessi meritevoli di protezione aquiliana e, per altro verso, di realizzare un bilanciamento tra le contrapposte posizioni del danneggiante e del danneggiato. Ciò ha spesso comportato da parte della giurisprudenza, specialmente di quella onoraria, l’accoglimento di pretese «bagatellari», che secondo la Scuola torinese sarebbero strumentali all’efficienza del sistema aquiliano per la capacità di indurre i consociati ad uno spontaneo adeguamento alle regole, ma che rischiavano di destabilizzare la responsabilità civile piegandola ad una funzione «consolatoria» (Giud. pace Casoria, 13.7.2005, n. 2781, in Danno e resp., 2006, 54, con nota di Ponzanelli; Giud. pace Napoli, 10.6.2004, in Resp. civ. e prev., 2004, 1144, con nota di Sanna; Giud. pace Napoli, 26.2.2004, in Danno e resp., 2005, 433, con nota di Di Bona De Sarzana): la Scuola triestina, invero, ha proposto di risolvere il problema dei pregiudizi minimali sul piano della rilevanza del danno, ma un tale giudizio è logicamente successivo a quello della rilevanza della lesione. 4. Il «nuovo danno non patrimoniale» della Scuola pisana. La Scuola pisana, nell’ampliare le voci di danno alla persona senza rinunciare ad un’accorta seppur dinamica opera di «tipizzazione», ha suggerito la rivalutazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 cod. civ. È stato evidenziato che l’obiettività del danNGCC 2011 - Parte seconda no patrimoniale tempera l’elasticità del concetto di «fatto illecito» accolto dall’art. 2043 cod. civ. affiancando l’«ingiustizia» nel bilanciamento di interessi, sicché ogni eventuale incertezza viene confortata dal riscontro di un danno la cui serietà è imparzialmente giudicata dal mercato. Al contrario, l’incapacità di misurare il danno non patrimoniale con una qualsivoglia scala di valori – anche al di fuori di logiche di mercato – comporta la mancanza nel pregiudizio di un filtro obiettivo e quindi lo spostamento dell’asse della fattispecie sull’iniuria, da accertare pertanto con un criterio più rigoroso. Per un verso, la tutela riparatoria non avrebbe dovuto essere accordata a qualunque interesse di rango costituzionale, ma solo ai diritti fondamentali ed inviolabili della persona, curando eventualmente il bilanciamento tra interessi confliggenti di pari rango. Per altro verso, si sarebbero dovuti adoperare anche i principi di solidarietà e di tolleranza, coordinati in guisa tanto da ravvisare in positivo l’integrazione di un illecito aquiliano solo in presenza di apprezzabili lesioni dell’interesse protetto, quanto soprattutto da escludere in negativo la rilevanza di quelle offese che in concreto non intacchino il nucleo effettivamente inviolabile dell’interesse: invero, gli interessi sono suscettibili di differenti gradi di lesione e non è detto che un illecito determini automaticamente la compromissione del loro nucleo, altrimenti non si spiegherebbero le ipotesi nelle quali è ammessa, a certe condizioni ed entro certi limiti, la disponibilità di taluni diritti sicuramente inviolabili (tanto più che talvolta è la stessa legge ad ammetterla, come negli artt. 5 cod. civ. o 50 cod. pen.). A quest’ampia nozione di «danno non patrimoniale» era inoltre riconducibile, senza forzature antropomorfizzanti, il detrimento di immagine degli enti collettivi. Il danno alla salute, invece, stante la sua oggettiva stimabilità medico-legale, avrebbe potuto continuare ad essere «risarcito» ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. Questa impostazione è stata accolta per la prima volta dalla giurisprudenza in Trib. Bergamo, 24.2.2003, in questa Rivista, 2003, I, 710, con nota di Pasquinelli. 5. Le innovazioni legislative e le «svolte» giurisprudenziali. L’ordinamento 399 Rassegne di giurisprudenza è stato nel tempo arricchito di ipotesi nelle quali la legge ordinaria consente la riparabilità di un «danno non patrimoniale», il che ne ha reso anacronistica l’identificazione con il danno morale e la sua associazione ad una funzione almeno prevalentemente sanzionatoria oppure deterrente: si pensi al «danno da errore giudiziario», al «danno da ingiusta detenzione», al «danno da irragionevole durata del processo», al «danno da illecito trattamento dei dati personali», al «danno da discriminazioni», al «danno da violazione di un diritto di utilizzazione economica (diritto d’autore)» o al «danno da vacanza rovinata». Da parte sua, la giurisprudenza ha rinunciato a sottomettere la riparabilità finanche del danno morale da reato a talune condizioni: il danno morale è stato emancipato dal danno alla salute (sebbene con la riproposizione del fatiscente binomio danno-evento/danno-conseguenza e l’attribuzione anche al danno morale della qualifica di danno-evento, Cass., sez. un., 21.2.2002, n. 2515, in Danno e resp., 2002, 499, con note di Ponzanelli e Tassone) e poi pure configurato in capo alle vittime secondarie (Cass., sez. un., 1.7.2002, n. 9556, in questa Rivista, 2003, I, 689, con nota di Favilli), ed in sede civile è stato infine ammesso l’utilizzo delle presunzioni legali per la dimostrazione dell’elemento soggettivo dell’illecito penale (Corte Cost., 16.7.2003, n. 233, in Foro it., 2003, I, 2201, con nota di Navarretta; Cass., 12.5.2003, nn. 7281-7282-7283, ibidem, I, 2272, con note di La Battaglia e Navarretta). Ma sono soprattutto le sentenze della Corte di cassazione del 31.5.2003, nn. 8828-8827 (in Danno e resp., 2003, 816, con note di Busnelli, Ponzanelli e Procida Mirabelli di Lauro), e la sentenza (interpretativa di rigetto) della Corte costituzionale n. 233/2003, poi suggellate ed integrate dalle sentenze della Cassazione a sezioni unite dell’11.11.2008, nn. 26972-3-4-5 (in Resp. civ. e prev., 2009, 38, con note di Monateri, Navarretta, Poletti e Ziviz), ad aver consumato un epocale revirement. La nozione di «danno non patrimoniale» ha ora una portata comprensiva di ogni pregiudizio inerente alla persona, cioè del danno alla salute, del danno morale da reato o da illecito semplicemente civile (la cui riparabilità in assenza di reato è stata ribadita in Corte Cost., 400 13.1.2005, n. 58, ord., in Resp. civ. e prev., 2005, 651, con nota di Poletti) e di ogni altro danno non patrimoniale. Inoltre, nella ricorrenza degli altri requisiti dell’illecito civile desumibili dall’art. 2043 cod. civ. o da qualche disposizione speciale, è stato affermato sia che l’art. 2059 cod. civ. richiede un’interpretazione costituzionalmente orientata in quanto i valori costituzionali necessitano almeno della tutela minima consistente nella riparazione dei danni derivanti dalla loro lesione, sia che la Costituzione, fonte del diritto superiore a quelle primarie, è perfettamente idonea a soddisfare (non la «riserva di legge», bensì, come ora si legge nelle pronunce del 2008) il mero «rinvio alla legge» (tale lo qualificava già Navarretta, Danni non patrimoniali: il dogma infranto, 2273, infra, Nota bibl.), o a fonti normative comunitarie, a cui viene subordinata la riparabilità del danno non patrimoniale. Tuttavia, non basta che l’interesse leso abbia rango genericamente costituzionale, giacché dalla terminologia adoperata dalla Supr. Corte nel 2003 risulta che la lesione deve riguardare interessi – o, con linguaggio pubblicistico, «diritti» – inviolabili (come d’altronde si precisa in Cass., 25.7.2005, n. 15022, in Resp. civ. e prev., 2006, 86, con nota di Cendon). E l’inviolabilità è un quid pluris rispetto alla fondamentalità, tanto che gli interessi protetti dalla C.E.D.U. (a cui peraltro viene negato il rango di fonte costituzionale), ancorché proclamati fondamentali, non postulano la riparazione dei danni non patrimoniali se – come per la proprietà – risultino privi del crisma dell’inviolabilità; il che è stato chiarito dalle sez. un. nel 2008. L’impianto di queste ultime deve poi ritenersi confermato in Cass., sez. un., 16.2.2009, n. 3677 (in Resp. civ. e prev., 2009, 754, con nota di Ziviz), dove la riparabilità del danno non patrimoniale, oltre che poter essere «prevista in modo espresso», è stata adagiata, «pur non essendo prevista da norma di legge ad hoc», sulla lesione di «un diritto della persona direttamente tutelato dalla legge»: una tale condizione, per non essere ripetitiva della prima e quindi contraddittoria, va infatti letta (non come un richiamo alla legge ordinaria, bensì) come un’allusione a quella compromissione di diritti inviolabili, rilevanti ai sensi della legge costituzionale, considerata nei precedenti – esplicitamente menzionati – del 2008. NGCC 2011 - Parte seconda Percorsi del danno non patrimoniale I diritti sono fondamentali ove ineriscano a beni primari. Ma la fondamentalità è assorbita dall’inviolabilità, che riguarda quei soli diritti necessariamente inerenti alla persona i quali riflettano altresì libertà tanto negative (da ingerenze pubbliche o private) quanto positive (dirette all’azione ed alla partecipazione), purché, oltre a costituire un presidio di garanzie per il singolo e per le formazioni sociali dove si svolge la sua personalità, appaiano strumentali ad una forma di Stato pluralistica e democratica. È controverso se il catalogo degli interessi inviolabili sia aperto, in virtù di un’interpretazione estensiva dell’art. 2 Cost., ovvero chiuso, in virtù di un’interpretazione restrittiva che renderebbe la disposizione meramente riassuntiva di quelle successive. Dal canto suo, la Corte costituzionale ha assunto una posizione mediana, affermando che dall’art. 2 Cost. è possibile desumere nuovi diritti inviolabili solo qualora siano strettamente conseguenti a quelli sanciti altrove e abbiano una forza assiologica tale da giustificare la compressione, che il loro rinvenimento nel tessuto costituzionale comporta, di diritti concorrenti già riconosciuti. Il rango rivestito dall’interesse leso, tuttavia, non è di per sé in grado di escludere l’an dell’obbligazione riparatoria quando si tratti di pretese bagatellari. Bisognerebbe allora affidarsi alla valutazione della «serietà» dell’offesa non per accertare in positivo la gravità della lesione (talvolta implicita nell’integrazione di un reato, come in Cass., 25.5.2004, n. 10035, in Danno e resp., 2004, 1065, con nota di Ramaccioni; Trib. Milano, 24.10.2003, Trib. Milano, 29.11.2003 e Trib. Milano, 9.3.2004, n. 3264, ivi, 2005, 73, con nota di Bonetta), ma per escludere in negativo «pretese capricciose legate ad offese minime che urtano solo l’ipersensibilità individuale, non colpiscono il nucleo inviolabile dell’interesse e sono inidonee a superare il limite della tollerabilità civile» (Navarretta, in I danni non patrimoniali, lineamenti sistematici, infra, Nota bibl., 29), senza trascurare persistenti sfumature sanzionatorie nell’attuale funzione dell’art. 2059 cod. civ. (sebbene i principi fondamentali dell’ordinamento interno, che precludono di lucrare somme eccedenti il danno effettivamente subito, rendano comunque inammissibili i c.d. punitive damages dei sistemi anglosassoni, come staNGCC 2011 - Parte seconda tuito in Cass., 19.1.2007, n. 1183, in Corr. giur., 2007, 497, con nota di Fava). Per parte loro, le sez. un. del 2008 hanno affermato – colmando una lacuna del sistema approntato nel 2003, ma non senza qualche incongruenza – l’indefettibilità tanto della «gravità» dell’offesa quanto della «serietà» del conseguente pregiudizio (su cui insiste anche Cass., sez. un., 19.8.2009, n. 18356, in Resp. civ. e prev., 2009, 2459, con nota di Ziviz), le quali devono entrambe superare il livello della tolleranza esigibile nelle relazioni sociali, con una valutazione che tenga conto di tutte le circostanze; ed il riletto art. 2059 cod. civ., «in quanto pone le regole generali della tutela risarcitoria non patrimoniale, costituisce principio informatore della materia (...) che il giudice di pace, nelle questioni da decidere secondo equità, deve osservare» ai sensi dell’art. 113, comma 2o, cod. proc. civ. (come inciso da Corte Cost., 6.7.2004, n. 206, in Giur. it., 2005, 539, con nota di Finocchiaro, che ha comportato il superamento del contrario orientamento espresso in Cass., sez. un., 15.10.1999, n. 716, in Giust. civ., 1999, I, 3243, con nota di Martino). Di «danno esistenziale», insomma, può continuare a parlarsi solo a fini meramente descrittivi e senza alcuna attinenza con le sue originarie matrici dottrinali. La giurisprudenza, purché siano lesi interessi inviolabili, ha poi riconosciuto la riparabilità dei danni non patrimoniali anche sulla base di un’imputazione oggettiva: già Cass., 1.6.2004, n. 10482, in Foro it., 2005, I, 1487, con nota di Bitetto. La riparazione dipende invece ancora dalla ricorrenza almeno in astratto di un reato quando la lesione non riguardi interessi inviolabili, ed in tal caso l’art. 2059 cod. civ. mantiene una connotazione sanzionatoria. Sotto il profilo dei rapporti tra illeciti penali ed illeciti civili, poi, le fattispecie civilistiche sufficienti per il risarcimento dei danni patrimoniali a titolo di responsabilità oggettiva sono autonome rispetto alle fattispecie incriminatrici penali, perché ai sensi delle prime la colpevolezza non rientra tra gli elementi costitutivi della responsabilità civile e ciò impedisce la contestuale integrazione di un reato. Il danneggiato che voglia ottenere la riparazione dei danni non patrimoniali, pertanto, dovrà domandare l’accertamento di 401 Rassegne di giurisprudenza una fattispecie di reato suscettibile sia di sovrapporsi alla fattispecie civilistica con imputazione oggettiva sia di aggiungersi ad essa come titolo capace di fondare una responsabilità estesa a quei danni, salva ai soli fini civili la dimostrabilità dell’elemento soggettivo del reato con presunzioni e prove legali: Cass., 27.10.2004, n. 20814, in questa Rivista, 2005, I, 943, con nota di Pasquinelli. L’an della riparazione, ad ogni modo, non può essere identificato nella mera lesione dell’interesse protetto, perché il pregiudizio non è in re ipsa: tra le altre, Cass., sez. un., 24.3.2006, n. 6572, in Corr. giur., 2006, 787, con nota di Monateri; accertata la lesione del «diritto all’autodeterminazione» rispetto a trattamenti sanitari, non è stato riconosciuto alcun risarcimento a causa dell’assenza di pregiudizio in Trib. Milano, 29.3.2005, in Resp. civ. e prev., 2005, 751, con nota di Gennari. Circa il quantum della riparazione, è indispensabile determinare gli indici da seguire nella liquidazione del pregiudizio, personalizzare il risarcimento e non incorrere in duplicazioni risarcitorie. E va inteso cum grano salis l’invito della Cassazione, non condivisibile nella sua generalizzazione, a non ritagliare specifiche voci all’interno dell’onnicomprensiva, ma non in tutto omogenea, categoria del danno non patrimoniale, tanto più a fronte della rimodulazione estensiva dei classici pregiudizi non patrimoniali ad opera delle sez. un. del 2008: ora, infatti, il danno morale anche non transeunte provocato dalla patologia andrebbe incluso nel danno alla salute; la sofferenza cagionata dal reato rifluirebbe nel danno morale anche quando si protragga nel tempo e accompagni l’esistenza della vittima; e la sofferenza morale determinata da un «non poter più fare» (ad esempio in caso di lesione del rapporto parentale, rilevi questo ai sensi dell’art. 29 piuttosto che – come suggerito da Castronovo, infra, Nota bibl., 7 ss. – dell’art. 2 Cost.) sarebbe una componente del danno non patrimoniale/ esistenziale. Rispetto al danno alla salute, quindi, non va dispersa l’esperienza sui criteri oggettivi dei quali è possibile avvalersi; e comunque il Codice delle Assicurazioni Private, in materia di circolazione di veicoli a motore e di natanti, aveva già adottato il criterio tabellare per il pregiudizio di qualsivoglia entità, sebbe402 ne l’impiego delle tabelle debba adesso tener conto, soprattutto al fine di ammettere il superamento dei massimali risarcitori, della ricomprensione in un’unica voce pure di ciò che prima veniva liquidato ad altro titolo. Rispetto agli altri pregiudizi non patrimoniali, invece, sarà di notevole ausilio la comparazione tra precedenti giudiziari relativi a casi analoghi per tipologia sia dell’interesse leso sia delle circostanze del fatto lesivo e della situazione del danneggiato. La valutazione della serietà dell’offesa, d’altronde, può orientare anche nell’eventuale e successiva fase della liquidazione pecuniaria. Tuttavia, se la responsabilità è a titolo oggettivo, la «serietà» potrà essere riscontrata (non nella condotta lesiva, ma) unicamente nella lesione, e sul quantum non dovrà influire alcun intento sanzionatorio. Per gli enti collettivi, infine, si dovrebbe elaborare un peculiare concetto di «dignità»; e i diritti della personalità ad essi riferiti dovrebbero risultare compatibili con l’assenza di fisicità, come sono il diritto all’esistenza, al nome, all’immagine, all’identità o alla reputazione: in Cass., 2.7.2004, n. 12110 (in Danno e resp., 2005, 977, con nota di Venturelli), ad esempio, si afferma che ai sensi della c.d. «legge Pinto», sebbene l’id quod plerumque accidit faccia presumere uno stato di ansia, stress ed incertezza nella persona fisica per l’anomala durata del processo, la medesima regola inferenziale non vale quando il danno venga lamentato da un ente collettivo, incapace di patire spiacevoli sensazioni; in Cass., 30.8.2005, n. 17500 (in Resp. civ. e prev., 2006, 281, con nota di Pasquinelli), ancora in materia di riparazione ex lege Pinto, al dichiarato scopo di garantire l’osservanza del principio – elaborato dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – di parificazione tra persone fisiche ed enti collettivi, si adopera invece l’escamotage di imputare all’ente il danno consistente nell’incertezza e nel disagio che l’eccessiva durata del processo determina nelle persone fisiche che ne sono membri o che sono preposte alla sua gestione; in Cass., 4.6.2007, n. 12929 (in Danno e resp., 2007, 1236, con nota di Foffa), è stata riconosciuta agli enti la risarcibilità non solo del pregiudizio alla reputazione, ma altresì della diminuzione di considerazione che le persone fisiNGCC 2011 - Parte seconda Percorsi del danno non patrimoniale che agenti come organi dell’ente abbiano dell’ente stesso, giacché tale minore considerazione si ripercuote sulla qualità e sull’efficacia dell’azione intrapresa dagli organi; in Cass., 30.3.2005, n. 6732 (in Corr. giur., 2005, 1707, con nota di De Marzo), la reputazione dell’imprenditore tout court, anche non persona fisica, viene fondata sulla sua dignità sociale e professionale; in Trib. Genova, 2.9.2004, n. 3555 (in questa Rivista, 2005, I, 807, con nota di Verduci), si parla di danno alla reputazione e al decoro di un Ordine Professionale, qualificato però come danno morale. 6. «Danno da perdita della vita» e «danno tanatologico». Una corrente minoritaria della giurisprudenza di merito configura in capo alla vittima di un illecito mortale il «danno da perdita della vita», che cadrebbe in successione (Trib. Venezia, 15.6.2009, in Danno e resp., 2010, 1013, con nota di Medici; Trib. Terni, 20.4.2005, in Giur. it., 2005, 2281, con nota di Porreca). Ma in sede di legittimità viene riconosciuta la trasmissibilità jure hereditario solo dei c.d. «danni tanatologici», cioè del danno alla salute da invalidità temporanea, del danno morale e, adesso, anche di ogni altro danno non patrimoniale subiti anteriormente al decesso (Cass., 14.12.2010, n. 25264, ord., Cass., sez. lav., 7.6.2010, n. 13672 e Trib. Piacenza, 29.6.2010, n. 458, in Danno e resp., 2011, 254, con nota di Medici; Cass., 14.7.2003, n. 11003, Cass., 16.5.2003, n. 7632 e Cass., 4.4.2003, n. 5332, in Resp. civ. e prev., 2003, 1049, con nota di Facci). Ed anche la Corte costituzionale – nella sentenza n. 372/1994 – ha negato l’ammissibilità di un «danno da perdita della vita» o «da morte», quale estrema compromissione della «salute», che consegua alla lesione di un preteso «diritto alla vita», quale somma espressione del «diritto alla salute», e possa giustificare un diritto al risarcimento trasmissibile agli eredi: vita e salute sono stati infatti qualificati come beni distinti e suscettibili di differenti regimi, in quanto la tutela della vita spetterebbe solo al diritto penale, mentre la tutela della salute spetterebbe anche al diritto civile. A tacer d’altro, è stato osservato che la morte fa perdere la soggettività giuridica, indefettibile per l’acquisizione di qualsivoglia diritto. Peraltro, il danno alla salute di carattere «taNGCC 2011 - Parte seconda natologico» è riconosciuto solo se tra la lesione dell’integrità psico-fisica e la morte intercorra un «apprezzabile lasso di tempo», pur mancando uniformità di vedute sulla sua durata, perché il fattore temporale è costitutivo di questo tipo di pregiudizio, che va comunque liquidato in relazione al reale periodo di sopravvivenza dopo l’illecito e non a presunte aspettative di vita. La giurisprudenza ha però dimostrato sensibilità verso l’esigenza di personalizzare la somma spettante a titolo di riparazione del danno tanatologico (o «terminale»). Nella liquidazione di ogni voce di danno alla persona manifestatosi prima del decesso, ed in particolare del danno morale (il quale – come lasciano intendere le sez. un. del 2008 – potrebbe anche essere l’unico), è infatti opportuno considerare che il pregiudizio affrontato nella lucida coscienza di una morte imminente, sebbene di durata limitata, è di intensità massima («danno catastrofico») e non paragonabile a quello patito da chi sopporta le sofferenze nella prospettiva di un decorso verso la guarigione o almeno verso la stabilizzazione delle menomazioni: sull’indispensabile permanenza di uno stato di vigile coscienza, tra le altre, Cass., 28.11.2008, n. 28423, in Arch. giur. circ., 2009, 441. Invero, si dovrebbe delineare anche un danno non patrimoniale scevro da connotazioni psichiche (ed il tema trascende il più ristretto campo del danno terminale), ma la giurisprudenza appare ancora restia a compiere questo passo. Evidenti ragioni di giustizia sostanziale hanno indotto a liquidare un danno morale in favore di vittime in coma, ma con motivazioni incongruenti: ad esempio, in Cass., 6.10.1994, n. 8177 (in Foro it., 1995, I, 1852, con nota di Caso), dopo aver tralatiziamente ribadito che il danno morale rappresenta un «non duraturo turbamento dello stato d’animo», i giudici aggiungono contraddittoriamente che «può consistere nella riduzione e nello squilibrio delle capacità intellettive del leso»; in Cass., 4.4.2001, n. 4970 (in Resp. civ. e prev., 2002, 154, con nota di Favilli), si argomenta che la pretesa al danno morale, qualora non risulti con assoluta certezza la totale incapacità della vittima di percepire il dolore, dev’essere nel dubbio ritenuta fondata, ponendo così soltanto un’inversione dell’onere della prova a carico del dan403 Rassegne di giurisprudenza neggiante; in Cass., 1o.12.2003, n. 18305 (in Danno e resp., 2004, 143, con nota di Bona), si afferma apoditticamente che anche la vittima in stato d’incoscienza subisce sofferenze fisiche e morali; in Cass., 19.10.2007, n. 21976 (in Danno e resp., 2008, 313, con nota di Foffa) ci si accontenta di richiamare a sostegno della configurabilità del danno morale in capo a persone in stato comatoso il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità. Occorrerebbe invece ammettere claris verbis la plausibilità di un danno non patrimoniale interamente estraneo alla sfera emozionale e sensoriale che faccia leva sul concetto di «dignità» della persona: in dottrina, Busnelli, Prospettive europee di razionalizzazione, 5; Messinetti, 605, infra, Nota bibl.; in giurisprudenza, Cass., 15.3.2007, n. 5987, in questa Rivista, 2007, I, 1202, con nota di Sella. Per non cadere nella teorizzazione di un danno-evento, tuttavia, bisognerebbe accertare un concreto minus di dignità, oggettivamente apprezzabile sebbene insuscettibile di consapevolezza da parte del danneggiato, come lo stato umiliante in cui ora versi la sua esistenza ed il modo in cui la sua personalità, o anche soltanto il suo «essere uomo», si proiettino nel contesto sociale (Navarretta, Diritti inviolabili, 329 ss., infra, Nota bibl.). La più recente giurisprudenza, comunque, ammette che le vittime secondarie di un illecito, oltre ad acquisire jure successionis eventuali diritti risarcitori già spettanti alla vittima primaria, acquisiscano jure proprio un diritto al risarcimento per i danni derivanti dalla lesione di interessi dei quali siano personalmente titolari: per un verso, è stata riconosciuta legittimazione ad agire ai soggetti legati alla vittima primaria non solo da vincoli di sangue o di coniugio, ma anche semplicemente di affetto (come il convivente more uxorio), e, per altro verso, è stato sottolineato che è sempre da accertare con rigore, anche per i rapporti di parentela o di coniugio, il carattere effettivo e perdurante del legame (Cass., sez. un., n. 9556/2002; Trib. Mantova, 8.11.2005, in Resp. civ. e prev., 2006, 2130, con nota di Anzani). Le variegate sfaccettature del maggioritario orientamento sul danno tanatologico sono state di recente confermate e precisate dalla Supr. Corte, secondo cui «[d]el tutto improduttive 404 paiono le disquisizioni sul se la morte faccia parte della vita o se, contrassegnando la sua fine, essa alla vita sia estranea. Così come è nulla più che retorico il pur frequente rilievo secondo il quale, essendo il risarcimento del danno da lesioni gravissime assai oneroso per l’autore dell’illecito ed escludendosi, per converso, la risarcibilità del danno da soppressione della vita a favore dello stesso soggetto di cui sia provocata la morte, allora dovrebbe paradossalmente concludersi che sia economicamente più “conveniente” uccidere che ferire. Ed è del pari improprio l’assumere che, poiché la tutela minima di ogni diritto è quella risarcitoria (...), il negare la risarcibilità del danno da lesione del diritto alla vita (...) significherebbe incorrere in intima contraddizione proprio in ordine alla tutela del primo tra tutti i diritti dell’uomo. La questione è (...) che il risarcimento costituisce solo una forma di tutela conseguente alla lesione di un diritto (o di una posizione giuridica soggettiva qualificata, pur se non assurgente al rango di diritto soggettivo); e consiste nel diritto di credito, diverso dal diritto inciso, ad essere tenuto per quanto è possibile indenne dalle conseguenze negative che dalla lesione del diritto derivano (...). Ora, non solo non è giuridicamente concepibile che sia acquisito dal soggetto che muore (...) un diritto che deriva dal fatto stesso della sua morte (...), ma è logicamente inconfigurabile la stessa funzione del risarcimento che, in campo civile, non è nel nostro ordinamento sanzionatoria (funzione garantita invece dal diritto penale), ma riparatoria o consolatoria. E in caso di morte, esclusa ovviamente la funzione riparatoria, neppure la tutela con funzione consolatoria può (...) essere attuata a favore del defunto. Va data, invece, ai suoi congiunti (...). Pretendere che sia data “anche” al defunto corrisponde, a ben vedere, solo al contingente obiettivo di far conseguire più denaro ai congiunti, non essendo sostenuto da alcuno che sarebbe in linea col comune sentire o col principio di solidarietà che il risarcimento da perdita della vita fosse erogato agli eredi “anziché” ai congiunti (se, in ipotesi, diversi) o, in mancanza di successibili, addirittura allo Stato: il risarcimento assumerebbe allora una funzione meramente punitiva (...). E si risolverebbe in breve, come l’esperienza insegna, in una diminuzione di quanto riconosciuto iure proprio ai congiunti, che percepiscono somme comunque connesse ad NGCC 2011 - Parte seconda Percorsi del danno non patrimoniale un’onnicomprensiva valutazione equitativa (...), sicché risulterebbe frustrato anche lo scopo di innalzare i limiti del risarcimento» (così Cass., 24.3.2011, n. 6754, in www.personaedanno.it). 7. Il danno non patrimoniale da inadempimento. Le disposizioni impegnate a sostegno ora delle tesi favorevoli ora di quelle contrarie alla riparabilità del danno non patrimoniale da inadempimento sono più d’una, ma gli argomenti letterali non appaiono decisivi, perché il dibattito è inscindibile da quello, di maggior respiro, sulla funzione della responsabilità civile tout court e della riparazione in particolare. Bastino però due osservazioni. In primo luogo, la rilevanza ex lege del danno da vacanza rovinata dimostra che la riparabilità del danno non patrimoniale è compatibile con la responsabilità da inadempimento, in conformità anche ai P.I.C.C., ai P.E.C.L. e al Code Européen. In secondo luogo, l’emancipazione dell’art. 2059 cod. civ. dalle fattispecie di reato, e dunque da una funzione marcatamente sanzionatoria, ha reso cadùca ogni remora ad ammettere la riparabilità del danno non patrimoniale anche quando derivi da un inadempimento. In giurisprudenza, d’altro canto, la categoria del danno non patrimoniale da inadempimento è ormai pacificamente ammessa, giacché ha ottenuto finanche il crisma delle sez. un. della Cassazione nella pronuncia n. 26972/2008 e trova riconoscimento – oltre che per una vacanza rovinata (Cass., 27.10.2003, n. 16090, in Resp. civ. e prev., 2004, 133, con nota di Gorgoni; Corte giust. CE, 12.3.2002, n. C-168/ 00, in Danno e resp., 2002, 1097, con note di Carrassi e Maiolo) e nelle ipotesi più disparate (Trib. Ivrea, 22.6.2004, in questa Rivista, 2005, I, 881, con nota di Bonaccorsi, sul ritardo dell’impresa appaltatrice nella ristrutturazione dell’abitazione dell’appaltante) – soprattutto per dare veste ai pregiudizi alla persona così nel rapporto di lavoro (già Cass., sez. un., n. 6572/2006; Cass., sez. lav., 23.5.2003, n. 8230, in Danno e resp., 2004, 53, con nota di Albi), dove i danni non si esauriscono in quelli da mobbing (Cass., sez. lav., 3.7.2001, n. 9009, in Rass. dir. civ., 2002, 826, con nota di Gazzoni), come nel rapporto sanitario (già Cass., NGCC 2011 - Parte seconda 24.1.2007, n. 1511, in Resp. civ. e prev., 2007, 2318, con nota di Spangaro; Cass., 29.7.2004, n. 14488, in questa Rivista, 2005, I, 418, con nota di Palmerini; Cass., 21.6.2004, n. 11488, ibidem, I, 552, con nota di Pasquinelli). «Dal principio del necessario riconoscimento, per i diritti inviolabili della persona, della minima tutela costituita dal risarcimento, consegue che la lesione dei diritti inviolabili... che abbia determinato un danno non patrimoniale comporta l’obbligo di risarcire tale danno, quale che sia la fonte della responsabilità», che potrà anche consistere nell’inadempimento ad un’obbligazione contrattuale (Cass., sez. un., n. 26972/2008). Ma in precedenza una parte della dottrina, seguita dalla giurisprudenza (Cass., sez. un., 24.3.2006, n. 6572, in Corr. giur., 2006, 787, con nota di Monateri), prescindeva dalla lesione di un interesse inviolabile, in quanto l’interesse creditorio è qualificato ex ante dall’autonomia privata. Orbene, questa proposta dottrinale può essere coltivata malgrado le recenti pronunce di legittimità (Navarretta, Il valore della persona nei diritti inviolabili, e Poletti, La dualità del sistema risarcitorio, rispettivamente, 70, 84 ss., infra, Nota bibl.), e a suggerirlo è la loro stessa tecnica argomentativa, che, nel prospettare un’interpretazione adeguatrice degli artt. 1218 e 1223 cod. civ., porta ad una diretta applicazione dei principi costituzionali: «poiché per invocare i principi, che si ascrivono alla dimensione dell’analogia, si deve configurare una lacuna – sia pure di tipo ideologico o evolutivo – ne discende che il ricorso alla Costituzione presuppone l’assenza nel caso concreto di regole idonee a offrire sufficiente tutela ai diritti inviolabili», e dunque le sez. un. del 2008 – al di là delle intenzioni – hanno solo confezionato «una disciplina di chiusura del sistema, che non vuole e non può escludere altre fonti di risarcibilità del danno non patrimoniale, costituite sia da previsioni di legge sia a fortiori dallo stesso contratto» (Navarretta, Il danno non patrimoniale contrattuale, 729, infra, Nota bibl.). Secondo le sez. un., inoltre, «[l]’individuazione, in relazione alla specifica ipotesi contrattuale, degli interessi compresi nell’area del contratto che, oltre a quelli a contenuto patrimoniale, presentino carattere non patrimoniale, va condotta accertando la causa concreta del nego405 Rassegne di giurisprudenza zio, da intendere come sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare, al di là del modello, anche tipico, adoperato» (così uniformandosi alla nozione di causa concreta accolta in Cass., 8.5.2006, n. 10490, in Corr. giur., 2006, 1718, con nota di Rolfi): vengono in considerazione anzitutto i contratti c.d. di protezione, come quelli che si concludono nel settore sanitario o che intercorrono tra allievi e istituti scolastici, ma l’esigenza di accertare se un singolo contratto tenda a realizzare anche interessi inviolabili manca quando sia la legge ad inserirli nel tessuto di un rapporto obbligatorio tipico, come nel caso del contratto di lavoro (giusta l’art. 2087 cod. civ.) o del contratto di trasporto di persone (giusta l’art. 1681 cod. civ.). Ma la lesione di un interesse di rango costituzionale inviolabile, in alternativa ad una specifica previsione di legge, è sicuramente indispensabile per la riparazione del danno non patrimoniale se la responsabilità discenda dall’inadempimento di un’obbligazione non negoziale, quando peraltro la buona fede, in assenza di un negozio da arricchire per via interpretativa e di cui apprezzare l’esecuzione, è almeno sotto questi aspetti priva di operatività (Navarretta, Il danno non patrimoniale contrattuale, 731 ss., infra, Nota bibl.). Sempre secondo le sez. un., il risarcimento dei danni non patrimoniali da inadempimento dovrà essere regolato dalla disciplina dettata per la responsabilità contrattuale, da leggere – come quella della responsabilità extracontrattuale – in senso costituzionalmente orientato. «L’art. 1218 c.c., nella parte in cui dispone che il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, non può quindi essere riferito al solo danno patrimoniale, ma deve ritenersi comprensivo del danno non patrimoniale, qualora l’inadempimento abbia determinato lesione di diritti inviolabili della persona. Ed eguale più ampio contenuto va individuato nell’art. 1223 c.c. (...) riconducendo tra le perdite e le mancate utilità anche i pregiudizi non patrimoniali determinati dalla lesione dei menzionati diritti. D’altra parte, la tutela risarcitoria dei diritti inviolabili, lesi dall’inadempimento di obbligazioni, sarà soggetta al limite di cui all’art. 1225 c.c. (...). Il rango costituzionale dei diritti su406 scettivi di lesione rende nulli i patti di esonero o limitazione della responsabilità, ai sensi dell’art. 1229, comma 2, c.c. (...). Varranno le specifiche regole del settore circa l’onere della prova (...), e la prescrizione». Nota bibliografica 1. Introduzione. Il danno patrimoniale è stimabile attraverso parametri certi, che consentono di determinare un equivalente monetario dell’«utilità» persa o alterata in conseguenza della lesione illecita, cioè – in termini di tutela – un «risarcimento». Ed il risarcimento ha una funzione «compensativa» in quanto si pone sullo stesso piano valoriale del «bene» perso o alterato. Il danno non patrimoniale, invece, è insuscettibile di conversione in un’entità monetaria equivalente all’utilità persa o alterata in conseguenza dell’illecito, sicché una somma di denaro potrebbe essere riconosciuta al danneggiato solo a titolo di «riparazione», che al fondo rimane sempre equitativa, ex art. 1226 cod. civ. E la tutela riparatoria non può che assolvere ad una funzione diversa da quella compensativa, perché il denaro è incommensurabile al bene pregiudicato. Una funzione «sanzionatoria» punirebbe il responsabile dell’illecito gravandolo di un’obbligazione pecuniaria nei confronti del danneggiato. Una funzione «solidaristica» manifesterebbe appunto solidarietà al danneggiato, al quale altrimenti l’ordinamento negherebbe ogni tutela. Una funzione «satisfattiva» garantirebbe al danneggiato un bene alternativo a quello pregiudicato, in base alla considerazione che sarebbe contrario a qualunque senso di giustizia lasciare il danneggiante scevro da ogni responsabilità. Una funzione «deterrente» indurrebbe i consociati ad astenersi da condotte lesive con la rappresentazione dei «costi» economici (di responsabilità civile) ai quali andrebbero altrimenti incontro. Una funzione «composita», infine, risulterebbe da plurime sfumature funzionali variamente combinate. Si osservi che ai sensi dell’art. 38 cod. pen. del 1889 e dell’art. 7 cod. proc. pen. del 1913: 1) «danno» era sinonimo di danno patrimoniale derivante dalla lesione dell’interesse, non necessariamente patrimoniale, protetto dalla norma penale; 2) soltanto con riferimento ad un «danno» poteva configurarsi l’obbligo di corriNGCC 2011 - Parte seconda Percorsi del danno non patrimoniale spondere un «risarcimento»; 3) per un pregiudizio non patrimoniale, che nel linguaggio corrente poteva e può essere definito «danno morale soggettivo», era configurabile esclusivamente l’obbligo di corrispondere una «somma a titolo di riparazione»; 4) la riparazione del danno morale era ammessa solo in presenza di delitti che offendessero interessi di natura non patrimoniale; 5) la tutela riparatoria per il danno morale era apprestata senza rinviare alle norme civilistiche. Ciò premesso, il contemporaneo art. 1151 cod. civ. del 1865, nonostante l’ampiezza della sua formulazione, veniva restrittivamente preposto a fornire solo una tutela risarcitoria per i danni patrimoniali. Nel 1930, però, l’entrata in vigore dell’attuale Codice Penale Rocco e la sostituzione del Codice di Procedura Penale del 1913 con un nuovo Codice fecero cessare, da una parte, la corrispondenza tra lesione di un interesse non patrimoniale e danno morale, nonché, dall’altra parte, la limpida distinzione di campi tra tutela risarcitoria e tutela riparatoria. L’art. 185 cod. pen., infatti, adotta la locuzione «danno non patrimoniale» nel significato già attribuito all’espressione «danno morale», che peraltro è stato reso «risarcibile» in presenza di qualunque reato, senza più alcuna distinzione fondata sulla natura dell’interesse penalmente offeso. All’art. 185 cod. pen. può quindi imputarsi l’insorgenza di molti equivoci terminologici, e a proposito del comma 2o è possibile osservare che: 1) il «danno» non si identifica più con il pregiudizio esclusivamente patrimoniale conseguente alla lesione di un interesse degno di protezione, ma inizia a designare una categoria eterogenea, al cui interno occorre distinguere tra «danno patrimoniale» e «danno non patrimoniale»; 2) la locuzione «danno patrimoniale o non patrimoniale», comunque, non si riferisce alla lesione dell’interesse protetto, bensì al pregiudizio che ne consegue; 3) la tutela adeguata al danno morale, anziché essere qualificata «riparatoria», è stata ricondotta all’interno di un’onnicomprensiva tutela definita «risarcitoria»; 4) la tutela riparatoria in caso di danno non patrimoniale da reato non viene direttamente apprestata, bensì solo autorizzata in base alle norme civili. L’art. 1151 cod. civ. del 1865 divenne così NGCC 2011 - Parte seconda l’unica disposizione in grado di dispensare sia la tutela propriamente risarcitoria rispetto al danno patrimoniale sia quella riparatoria rispetto al danno non patrimoniale; ma, quanto al danno non patrimoniale, la sua portata applicativa era limitata dall’art. 185, comma 2o, cod. pen., il quale nell’interpretazione corrente imponeva di riparare soltanto il danno morale da reato. L’attuale Codice Civile comprende ora due fondamentali disposizioni di difficile coordinamento, l’art. 2043 e l’art. 2059, sulle quali gli antecedenti legislativi gettano una luce chiarificatrice. La distinzione tra risarcimento e riparazione è riconosciuta da De Cupis, Il danno. Teoria generale della responsabilità civile, II, Giuffrè, 1979, 245 ss., il quale però la respinge per ragioni di opportunità. Sulle nozioni di tutela e di funzione della responsabilità, pur mancando uniformità di vedute, Di Majo, Tutela risarcitoria: alla ricerca di una tipologia, in Riv. dir. civ., 2005, I, 243; Clerico, Incidente, livello di precauzione e risarcimento del danno, in Riv. crit. dir. priv., 2003, 271; Di Bona De Sarzana, Funzioni e modelli giurisprudenziali del danno non patrimoniale, in Danno e resp., 2004, 585. Per una prospettiva storico-sistematica, Castronovo, Il danno alla persona tra essere e avere, in Danno e resp., 2004, 237; Cursi, Il danno non patrimoniale e i limiti storico-sistematici dell’art. 2059 c.c., in Riv. dir. civ., 2004, I, 865. Una panoramica storica è offerta da Bonetta, Fanelli, Plebani e Ponzanelli, in Il «nuovo» danno non patrimoniale, a cura di Ponzanelli, Cedam, 2004. Sull’anfibologia del termine «danno» nell’art. 2043 cod. civ., che nel sintagma «danno ingiusto» esprime la lesione di un «interesse», mentre nella seconda parte della disposizione esprime il pregiudizio conseguente alla lesione, Tucci, Il danno ingiusto, Cedam, 1970, 15 ss., spec. 48 ss. 2. Il «danno alla salute». Sulla «patrimonializzabilità» del danno alla salute, Navarretta, Il danno alla persona e la Corte costituzionale (Come rivalutare l’art. 2059 c.c. senza indebolire il danno alla salute), in Resp. civ. e prev., 1996, 1134; contra, Castronovo, «Danno biologico» senza miti, in Riv. crit. dir. priv., 407 Rassegne di giurisprudenza 1988, 3; Id., Dal danno alla salute al danno alla persona, ivi, 1996, spec. 245 ss. Sui criteri di liquidazione, Monateri-Bona-Oliva, Il nuovo danno alla persona. Strumenti attuali per un giusto risarcimento, Giuffrè, 1999, 25 ss. Sulla varietà delle voci di danno, Bona, Il danno non patrimoniale dei congiunti: edonistico, esistenziale, da lesione del rapporto parentale, alla serenità famigliare, alla vita di relazione, biologico, psichico o morale «costituzionalizzato»?, in Giur. it., 2002, 953. Sull’evoluzione del danno alla salute, Busnelli, Il danno biologico, dal «diritto vivente» al «diritto vigente», Giappichelli, 2001. Sui «danni di rimbalzo» la giurisprudenza era influenzata dalla dottrina dominante: per tutti, Bonilini, Il danno non patrimoniale, Giuffrè, 1983, 449 ss. 3. Il «danno esistenziale» della Scuola triestina e della Scuola torinese. Per la Scuola triestina, Cendon, Non di sola salute vive l’uomo, in Riv. crit. dir. priv., 1998, 567; Aa.Vv., Il risarcimento del danno esistenziale, aspetti civili, penali, medico legali, processuali, nel Trattato breve dei nuovi danni, a cura di Cendon, Cedam, 2001; Cendon-Ziviz, Il risarcimento del danno esistenziale, Giuffrè, 2003, 31 ss. Sui danni bagatellari, Ziviz, Lo spettro dei danni bagatellari, in Resp. civ. e prev., 2007, 517. Per la Scuola torinese, Bona-Monateri, Il nuovo danno non patrimoniale, Ipsoa, 2004, 153 ss. e, sui danni bagatellari, 241 ss. In opposizione al danno esistenziale, Ponzanelli, Sei ragioni per escludere il risarcimento del danno esistenziale, in Danno e resp., 2000, 693; Aa.Vv., in Critica del danno esistenziale, a cura di Ponzanelli, Cedam, 2003; Navarretta, Ripensare il sistema dei danni non patrimoniali, in Resp. civ. e prev., 2004, 3. 4. Il «nuovo danno non patrimoniale» della Scuola pisana. Per tutti, Navarretta, Diritti inviolabili e risarcimento del danno, Giappichelli, 1996; Id., Bilanciamento di interessi costituzionali e regole civilistiche, in Riv. crit. dir. priv., 1998, 649; Id., Il danno alla persona tra solidarietà e tolleranza, in Resp. civ. prev., 2001, 775. 408 5. Le innovazioni legislative e le «svolte» giurisprudenziali. In generale, anche per maggiori riferimenti, Aa.Vv., Il danno non patrimoniale. Principi, regole e tabelle per la liquidazione, a cura di Navarretta, Giuffrè, 2010. Sull’assetto conseguente alle pronunce del 2008, v. anche le considerazioni di Castronovo, Danno esistenziale: il lungo addio, in Danno e resp., 2009, 5; Serio, Osservazioni sparse sulle pronunce delle Sezioni unite del novembre 2008 in materia di risarcimento del danno non patrimoniale, in Dir. fam. e pers., 2010, II, 231. Sulla «fondamentalità» e «inviolabilità» del diritto, Baldassarre, voce «Diritti inviolabili», in Enc. giur. Treccani, XI, Ed. Enc. it., 1989; Peces-Barba Martinez, voce «Diritti e doveri fondamentali», trad. it. di Rozo Acuňa, nel Digesto IV ed., Disc. pubbl., V, Utet, 1990, 139. Sull’art. 2 Cost. nella giurisprudenza costituzionale, Cricenti, Persona e risarcimento, Cedam, 2005, 88. Sui filtri della serietà dell’offesa e della tolleranza, Navarretta, in I danni non patrimoniali, lineamenti sistematici e guida alla liquidazione, a cura di Navarretta, Giuffrè, 2004. Per la rivalutazione a talune condizioni di una funzione anche sanzionatoria e deterrente della riparazione del danno morale in ipotesi di responsabilità soggettiva, C. Scognamiglio, Il danno morale soggettivo, in questa Rivista, 2010, II, 237. Per una lettura dell’art. 2043 cod. civ. come clausola generale riferibile ai danni di qualunque natura e dell’art. 2059 cod. civ. come regola riferita al solo danno morale, a cui riservare ancora una funzione afflittiva nei casi discrezionalmente prescelti in via esclusiva dal legislatore, R. Scognamiglio, Il danno morale mezzo secolo dopo, in Riv. dir. civ., 2010, I, 609. Sul modo di intendere la funzione sanzionatoria in contemperamento con quella satisfattiva, Busnelli, Deterrenza, responsabilità civile, fatto illecito, danni punitivi, in Eur. e dir. priv., 2009, 909. Sui modelli liquidatori astrattamente applicabili e riscontrabili nella prassi, Liberati, La liquidazione del danno esistenziale, Cedam, 2004, 241 ss. Sulla responsabilità oggettiva per danni non patrimoniali, Afferni, La riparazione del danNGCC 2011 - Parte seconda Percorsi del danno non patrimoniale no non patrimoniale nella responsabilità oggettiva, in Resp. civ. e prev., 2004, 862. In merito ai danni non patrimoniali degli enti collettivi, Ar. Fusaro, I diritti della personalità degli enti collettivi, Cedam, 2002; Zoppini, I diritti della personalità delle persone giuridiche (e dei gruppi organizzati), in Riv. dir. civ., 2002, I, 851; Vittoria, Il danno non patrimoniale agli enti collettivi, in Riv. dir. civ., 2007, I, 539. 6. «Danno da perdita della vita» e «danno tanatologico». Favilli, Il danno non patrimoniale da uccisione e da lesioni del congiunto, in Aa.Vv., Il danno non patrimoniale. Principi, regole e tabelle per la liquidazione, a cura di Navarretta, Giuffrè, 2010. Sulla menomata dignità di persone prive di capacità sensoriali, Busnelli, Prospettive europee di razionalizzazione del risarcimento del danno non economico, in Danno e resp., 2001, 5; Messinetti, Sapere complesso e tecniche giuridiche rimediali, in Eur. e dir. priv., 2005, 605. Sul concreto atteggiarsi di tale pregiudizio, Navarretta, Diritti inviolabili e risarcimento del danno, Giappichelli, 1996, 329 ss. Per un effettivo e perdurante legame tra vit- NGCC 2011 - Parte seconda tima primaria e vittima secondaria, già De Cupis, Il danno. Teoria generale della responsabilità civile, II, Giuffrè, 1979, II, 118 ss. 7. Il danno non patrimoniale da inadempimento. In generale, Zeno-Zencovich, Danni non patrimoniali e inadempimento, in Risarcimento del danno contrattuale ed extracontrattuale, a cura di Visintini, Giuffrè, 1984, 109; Costanza, Danno non patrimoniale e responsabilità contrattuale, in Riv. crit. dir. priv., 1987, 127; Rabitti, Il danno non patrimoniale da inadempimento contrattuale, in Resp. civ. e prev., 2004, 340; Tescione, Il danno non patrimoniale da contratto, ESI, 2008. Sulla superfluità della natura inviolabile dell’interesse leso, insistono Navarretta, Il valore della persona nei diritti inviolabili e la complessità dei danni non patrimoniali, in Resp. civ. e prev., 2009, 70; Id., Il danno non patrimoniale contrattuale: profili sistematici di una nuova disciplina, in Contratti, 2010, 728; Poletti, La dualità del sistema risarcitorio e l’unicità della categoria dei danni non patrimoniali, in Resp. civ. e prev., 2009, 84 ss. 409