N. 7-8 LUGLIO-AGOSTO 2011 • Anno XXVII
RIVISTA MENSILE
de Le Nuove Leggi Civili Commentate
ISSN 1593-7305
LA NUOVA
GIURISPRUDENZA
CIVILE
COMMENTATA
Estratto:
GAETANO ANZANI
I percorsi del danno non patrimoniale
Rassegne di giurisprudenza
I PERCORSI DEL DANNO NON PATRIMONIALE [,]
di Gaetano Anzani
Sommario: 1. Introduzione. – 2. Il «danno alla salute». – 3. Il «danno esistenziale» della Scuola
triestina e della Scuola torinese. – 4. Il «nuovo
danno non patrimoniale» della Scuola pisana. –
5. Le innovazioni legislative e le «svolte» giurisprudenziali. – 6. «Danno da perdita della vita»
e «danno tanatologico». – 7. Il danno non patrimoniale da inadempimento.
1. Introduzione. La patrimonialità o non
patrimonialità del danno ha condizionato nell’ordinamento i tipi di tutela («risarcitoria» oppure «riparatoria») e le sue funzioni («sanzionatoria», «solidaristica», «satisfattiva», «deterrente» oppure «composita»), tanto che la distinzione tra le due specie di danno è stata
spesso mutevole in dottrina ed in giurisprudenza: la vicenda del «danno alla salute» è emblematica, giacché per lungo tempo, stante la
sua compensabilità secondo oggettivi parametri medico-legali, ne è stata affermata la natura
patrimoniale solo al fine di assicurare al danneggiato una tutela risarcitoria.
Oltretutto, un pregiudizio apparentemente
non patrimoniale potrebbe in realtà avere natura patrimoniale: ad esempio, la lesione della
reputazione professionale, a differenza di quella della reputazione personale, ha riflessi a volte apprezzabili come danno patrimoniale
(Cass., 10.5.2001, n. 6507, in Dir. e giust.,
2001, n. 22, 15; Trib. Lecce, 25.8.2003, ord.,
in Danno e resp., 2004, 746, con nota di Liace); ed il problema si pone anche nelle ipotesi
di illecito sfruttamento dell’altrui immagine,
celebre o meno (Cass., 11.5.2010, n. 11353, in
Foro it., 2011, I, 534, con nota di Pardolesi;
Cass., 16.5.2008, n. 12433, in Danno e resp.,
2008, 1233, con nota di Boschi; Cass.,
[,] Contributo pubblicato in base a referee.
NGCC 2011 - Parte seconda
1.12.2004, n. 22513, ivi, 2005, 969, con nota di
Oliari; Cass., 25.3.2003, n. 4366, ivi, 2003,
978, con nota di Ubertazzi).
La storia del danno non patrimoniale è quella del rapporto tra due disposizioni entrambe
fondamentali, ma ben diversamente forgiate,
ossia l’art. 2043 cod. civ., clausola generale della responsabilità extracontrattuale, e l’art. 2059
cod. civ., fattispecie «incompleta» di responsabilità la cui portata operativa, ai fini della riparabilità del «danno non patrimoniale», dipende dall’integrazione con altre fonti legali. All’epoca dell’entrata in vigore del Codice, l’art.
2059 cod. civ. poteva essere letto solo in combinazione con gli artt. 185 cod. pen. e 89 cod.
proc. civ., nei quali alla medesima locuzione si
attribuiva nel 1942 il significato corrente di
«danno morale soggettivo», sicché alla disposizione civilistica veniva assegnata una funzione
marcatamente sanzionatoria. Ma l’esigenza di
ovviare all’originaria impostazione della responsabilità civile, pensata eminentemente per
la salvaguardia di valori economici, ha animato
gli sforzi dottrinali e giurisprudenziali tesi a
sviluppare le virtualità protettive del sistema
aquiliano, così da offrire adeguata tutela anche
quando siano coinvolti i diritti inviolabili della
persona.
2. Il «danno alla salute». Gli artt. 2043
e 2059 cod. civ. sono in rapporto di eterogeneità se un danno patrimoniale è scorto come elemento costitutivo implicito nella fattispecie
dell’art. 2043 cod. civ.
L’assetto appena ipotizzato si delineò in seguito alle sentenze della Corte costituzionale
del 26.7.1979, nn. 87-88 (in Foro it., 1979, I,
2542, con nota di Giardina-Santilli), nelle
quali, per un verso, il «danno biologico» veniva ricompreso nella più ampia categoria del
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Rassegne di giurisprudenza
«danno non patrimoniale» di cui all’art. 2059
cod. civ., ma, per altro verso, si continuava a
subordinarne la riparabilità alla condizione che
l’illecito aquiliano integrasse anche un reato.
In Corte cost., 14.7.1986, n. 184 (in Foro
it., 1986, I, 2053 e 2976, con note di Ponzanelli e Monateri), invece, la rilevanza ex lege
Aquilia del danno biologico fu emancipata dal
reato, ma al prezzo di un’aporia sistematica,
perché, da una parte, si affermava l’apprezzabilità ai sensi dell’art. 2059 cod. civ. del solo
danno morale, dall’altra parte, ciò che per la
giurisprudenza ordinaria e per lo stesso Sommo Collegio era già nella sostanza il danno alla
salute veniva ritenuto risarcibile ai sensi dell’art. 2043 cod. civ. come danno patrimoniale.
E questa impostazione si consolidò nonostante
che in alcune successive pronunce sembrasse
riproporsi una lettura più ampia del «danno
non patrimoniale» ex art. 2059 cod. civ., come
in Corte cost., 27.10.1994, n. 372 (in Giust.
civ., 1994, 3035, con nota di Busnelli) e in
Corte cost., 22.7.1996, n. 293, ord. (in Resp.
civ. e prev., 1996, 909 e 1132, con nota di Navarretta).
In effetti, il danno alla salute, «se non è certamente rapportabile (...) a valori di scambio,
tuttavia, diversamente da qualsivoglia danno
non patrimoniale, ha superato il principale
ostacolo (...) alla misurazione dei valori d’uso,
vale a dire la difficoltà di ricondurre la loro singolarità ad una scala di valori omogenei. La
medicina legale ha consentito, per l’appunto,
di ponderare l’incidenza sulla vittima di ogni
peculiare lesione dell’integrità psicofisica attraverso un’unità di misura (la percentuale di invalidità), convenzionalmente ma scientificamente fondata, che rende oggettivamente e direttamente misurabile un pregiudizio afferente
alla dimensione delle perdite di utilità» (Navarretta, Il danno alla persona e la Corte costituzionale, infra, 1134, Nota bibl.). La percentuale di invalidità, che può essere temporanea
o permanente, indica di per sé solo l’entità del
pregiudizio da lesione dell’integrità psico-fisica, non il suo equivalente pecuniario, ma l’associazione ad ogni punto di invalidità di un valore monetario fissato tra un minimo ed un
massimo, «forbice» all’interno della quale il
giudice è chiamato a «personalizzare» il risarcimento, ha condotto la giurisprudenza a forma396
re «tabelle» che convertono il danno alla salute
in un danno patrimoniale. Orbene, il metodo
c.d. «del punto variabile o tabellare» è stato
poi adottato anche dal legislatore nelle materie
dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e dell’assicurazione obbligatoria per la circolazione di veicoli a motore e di natanti: la redazione di tabelle uniche a livello nazionale,
dapprima legislativamente prevista solo per le
menomazioni da infortunio sul lavoro dal d. legis. 23.2.2000, n. 38 (Disposizioni in materia di
assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le
malattie professionali) e per le c.d. «micropermanenti» – ossia i pregiudizi alla salute che
comportino fino al 9% di invalidità – dalla l.
5.3.2001, n. 57 (Disposizioni in materia di apertura e regolazione dei mercati) è stata ora prevista in via generale dal d. legis. 7.9.2005, n. 209
(Codice delle assicurazioni private). Peraltro,
nelle tabelle la stima monetaria del pregiudizio
corrispondente ad ogni punto di invalidità aumenta in misura più che proporzionale rispetto
all’handicap, perché una maggiore invalidità diminuisce progressivamente le possibilità di
sopperire al deficit (così da riacquistare un pur
limitato equilibrio psico-fisico) tramite o le
proprie residue funzionalità o appositi ausilii
artificiali.
Inizialmente si attribuiva al danno biologico
una portata ridotta alla menomazione dell’integrità psico-fisica in senso stretto, con esclusione dei riflessi che la lesione della «salute» irradia sulla relazionalità e sull’estrinsecazione della personalità del danneggiato. Pertanto, con il
fine di elevare il complessivo risarcimento, venivano spesso affiancate ulteriori figure, come
il «danno alla vita di relazione», il «danno estetico», il «danno alla vita sessuale» e il «danno
alla capacità lavorativa generica», che talvolta
servivano piuttosto a giustificare la compensazione di un lucro cessante da compromissione
di attività reddituali. Ma le predette voci di
pregiudizio, a meno che non esprimano perdite effettivamente patrimoniali, sono confluite
in una più ampia e giuridica nozione di danno
biologico – avallata da Corte cost., n. 184/
1986 – che anche per questo viene altresì denominato «danno alla salute»: più di recente, in
generale, Cass., 15.12.2000, n. 15859, in Riv.
circ. e trasp., 2001, 631; sull’assorbimento del
danno alla vita di relazione, Cass., 20.4.2007,
NGCC 2011 - Parte seconda
Percorsi del danno non patrimoniale
n. 9514, in questa Rivista, 2007, I, 1350, con
nota di Sganga; sulla distinta risarcibilità del
danno estetico – altrimenti da ricondurre nel
danno alla salute come in Cass., 8.5.1998, n.
4677, in Danno e resp., 1998, 947 – solo sotto
l’aspetto strettamente patrimoniale, purché incida su un’attività lavorativa svolta o da svolgere, Cass., 23.5.2006, n. 12423, ivi, 2007, 292,
con nota di Sganga; sull’inconsistenza di un
autonomo danno alla capacità lavorativa generica, Cass., 2.2.2007, n. 2311, in Foro it., 2007,
I, 747.
Di natura propriamente patrimoniale, e dunque separatamente liquidabile, rimane invece il
«danno alla capacità lavorativa specifica», cioè
allo svolgimento di un’attività reddituale determinata: di recente, Cass., 18.9.2007, n. 19357 e
Cass., 8.11.2007, n. 23293, in Resp. civ. e prev.,
2008, 290, con nota di Chindemi.
Al fenomeno del c.d. «assorbimento» di varie voci nell’ampia figura del danno alla salute,
però, si è a volte contrapposto il progressivo
«allargamento» del danno biologico oltre la
sua matrice medico-legale: è il caso del danno
da lesione del «diritto ai rapporti sessuali tra
coniugi», che sarebbe consistito nel pregiudizio patito da un coniuge a causa della lesione
non già della propria integrità psico-fisica, come sarebbe il «danno alla vita sessuale», bensì
di quella dell’altro coniuge (Cass., 11.11.1986,
n. 6607, in Foro it., 1987, I, 833, con nota di
Princigalli).
Da ultimo, negli artt. 138 e 139 del Codice
delle Assicurazioni Private il danno denominato «biologico» – come già nell’art. 13 del d. legis. n. 38/2000 – è nondimeno definito «la lesione dell’integrità psicofisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale che
esplica un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato, indipendentemente da
eventuali ripercussioni sulla capacità di produrre reddito», cioè corrisponde al «danno alla
salute».
Corte cost., n. 184/1986 esaltava la funzione compensativa o quantomeno satisfattiva
della responsabilità civile, sebbene questo risultato corresse il rischio di sfumare a causa
della contestuale distinzione tra «danno-evento» e «danno-conseguenza», giacché la categoria del danno-evento poteva essere addotta a
NGCC 2011 - Parte seconda
sostegno di un’asserita prevalenza della funzione sanzionatoria della tutela aquiliana, apparentemente in grado di operare sul presupposto della mera violazione di qualche precetto
normativo e in assenza di un effettivo dannoconseguenza. L’«errore» venne poi riconosciuto in Corte cost., n. 372/1994, nella quale si
precisava che ogni danno risarcibile è conseguenza in senso giuridico della lesione di un interesse protetto. Ma dall’equivoco insito nella
concezione «eventistica» del danno non sono
rimasti esenti la l. n. 57/2001 e ora il Codice
delle Assicurazioni Private.
Comunque, rimaneva l’eventualità di un pregiudizio non risarcibile alla stregua dell’art.
2043 cod. civ. e neppure riparabile alla stregua
dell’art. 2059 cod. civ.
Inoltre, la giurisprudenza circoscriveva la riparabilità anche del danno morale da reato: anzitutto, si richiedeva che il danno morale fosse
ulteriore rispetto ad un danno alla salute (o almeno ad un danno patrimoniale), tanto che
per opinabile prassi il primo è sovente liquidato in una misura ragguagliata alla somma riconosciuta per il danno alla salute (Cass.,
24.5.1997, n. 4631, in Giur. it., 1998, 1363, con
nota di Bona); ancora, se ne escludeva la configurabilità in capo alle c.d. «vittime secondarie» per l’asserita assenza, oltre che dell’elemento soggettivo, anche del nesso di causalità
giuridica quando la c.d. «vittima primaria» fosse sopravvissuta all’illecito (sull’irrisarcibilità
dei c.d. «danni di riflesso» o «di rimbalzo»,
Corte cost., n. 372/1994), sebbene in caso di
suo decesso il nesso causale venisse contraddittoriamente ravvisato (Cass., 11.2.1998, n.
1421, in Danno e resp., 1998, 895, con nota di
Pellecchia); infine, il danneggiato non era
ammesso ad approfittare delle presunzioni offerte dalla legge civile per la dimostrazione dell’elemento soggettivo di un illecito aquiliano
astrattamente integrante anche un reato (Cass.
17.11.1999, n. 12741, in Danno e resp., 2000,
844, con nota di Bona).
3. Il «danno esistenziale» della Scuola triestina e della Scuola torinese. Il
rapporto strutturale tra gli artt. 2043 e 2059
cod. civ. è di omogeneità se si ravvisa nel «danno non patrimoniale» un elemento che «specializza» la fattispecie del secondo rispetto a
397
Rassegne di giurisprudenza
quella del primo: al di fuori dell’area coperta
dall’art. 2059 cod. civ., la clausola generale dell’art. 2043 cod. civ. sarebbe idonea a governare
tanto il danno patrimoniale quanto il danno
non patrimoniale.
Parte della dottrina ha proposto questa ricostruzione per considerare «risarcibile» ai sensi
dell’art. 2043 cod. civ. un danno alla persona
diverso dal danno alla salute e dal danno morale.
La Scuola triestina, che per prima ha elaborato la categoria del «danno esistenziale», affermava che essa avrebbe avuto rango costituzionale in sé a prescindere dal grado di rilevanza dell’interesse leso, purché genericamente
meritevole di tutela, e che avrebbe dovuto
comprendere tutte le menomazione delle «attività realizzatrici della persona» (cioè un «non
poter più fare» ciò che si faceva anteriormente
all’illecito o un «dover fare altrimenti»), dunque anche il danno biologico. Si distingueva
infatti tra «danno esistenziale-biologico» e
«danno esistenziale-non biologico», ritenuti
ontologicamente simili, che sarebbero stati entrambi liquidabili solo in via equitativa, seppure con l’ausilio, rispettivamente, della medicina
legale e delle scienze sociali come la sociologia
o la psicologia.
La purezza del danno esistenziale, legato alla
dimensione del «fare», veniva decisamente difesa dalla commistione con il patema d’animo e
con il danno psichico non patologico, che sarebbero rimasti riparabili solo nei limiti dell’art. 2059 cod. civ. tradizionalmente interpretato.
Dal danno esistenziale, tuttavia, sarebbero
rimasti esclusi i pregiudizi consistenti in quel
«male di vivere» che non si manifesta nel non
poter più fare (il «perturbamento dell’agenda»), quanto piuttosto nel «non voler più fare»
ciò che si faceva prima dell’illecito, nonché il
danno morale che, pur derivante dalla lesione
di interessi di rango costituzionale, non rientrasse nell’ambito dell’art. 2059 cod. civ. La
commisurazione del danno al grado di sconvolgimento delle attività dalle quali il danneggiato traeva abitualmente gratificazione, peraltro, comportava una disparità di trattamento
fondata sul «censo» dei danneggiati, giacché è
intuitivo che il tempo da dedicare alle attività
realizzatrici della persona, nonché gli strumen398
ti adoperabili e la qualità delle predette attività, sono direttamente proporzionali alle disponibilità economiche di ciascuno.
La Scuola torinese ha invece elaborato una
teoria c.d. «spuria» del danno esistenziale, perché ha ricondotto nell’ambito dell’art. 2043
cod. civ. ogni pregiudizio non patrimoniale (il
danno biologico, il danno esistenziale ed anche
i patemi d’animo) che però conseguisse alla lesione di interessi di rilevanza costituzionale. Il
danno esistenziale non veniva proposto come
macrocategoria inglobante il danno biologico,
giacché solo quest’ultimo è suscettibile di accertamento medico-legale, ma sarebbe stato
capace di comprendere i patemi d’animo.
Quest’ultima impostazione evitava la «costituzionalizzazione» del danno-conseguenza,
perché a rivestire rilevanza costituzionale
avrebbe dovuto essere l’interesse leso e non il
danno. Ma sarebbe stato riparabile il pregiudizio non patrimoniale derivante dalla lesione di
un qualsivoglia interesse di rango costituzionale, sebbene non attinente alla persona (ad
esempio, nel caso della proprietà, Trib. Milano, 27.11.2000, in Resp. civ. e prev., 2001, 669,
con nota di Ziviz). Inoltre, con riguardo al
danno morale gli artt. 2043 e 2059 cod. civ. venivano parzialmente sovrapposti: il secondo sarebbe stato invocabile solo in considerazione
di una condotta dannosa riprovevole, così da
mantenere una funzione sanzionatoria, ma era
innegabile il rischio di duplicazioni risarcitorie
in caso di reato.
La giurisprudenza favorevole al danno esistenziale ha prevalentemente accolto la categoria nella versione torinese, scivolando a volte verso concezioni «eventistiche» (Cass., 2.2.2001, n. 1516;
Trib. Palermo, 8.6.2001; Trib. Agrigento,
sez. pen., 4.6.2001; Trib. Torino, 15.2.2001, n.
1293; Cass. pen., 13.11.2000, n. 11625; Trib.
Milano, 15.6.2000 e Trib. Firenze, sez. stralcio, 24.2.2000, n. 451, tutte in Giur. it., 2002,
951, con nota di Bona; Cass., 7.6.2000, n. 7713,
in Danno e resp., 2000, 835, con nota di Monateri).
Peraltro, sebbene un pregiudizio alle «attività realizzatrici della persona» sembri proprio
delle sole persone fisiche, in alcune pronunce il
danno esistenziale è stato affermato anche in
capo ad enti collettivi, ed in particolare alla
P.A.: in Corte Conti, sez. riun., 23.4.2003, n.
NGCC 2011 - Parte seconda
Percorsi del danno non patrimoniale
10 (in Resp. civ. e prev., 2003, 1131, con nota di
Poto), tuttavia, viene etichettato come esistenziale un «danno all’immagine», che altri Giudici hanno con maggiore perspicuità riparato ai
sensi dell’art. 2059 cod. civ. (Corte Conti,
18.6.2004, n. 222/A, in Resp. civ. e prev., 2004,
1380, con nota di Poto; App. Roma, 1.7.2002,
in Danno e resp., 2003, 763, con nota di Plebani), pur dovendosi notare la peculiarità del diritto all’immagine della P.A. rispetto a quello
dei soggetti privati, perché – lungi dal trovare
fondamento nell’art. 2 Cost. – è conformato
dall’art. 97 Cost. ed è passibile di un regime
differenziato e presidiato da minori tutele
(Corte Cost., 15.12.2010, n. 355, in Resp. civ.
e prev., 2011, 280, con nota di Ziviz).
Gli «esistenziali» non hanno individuato seri
criteri che consentissero, per un verso, di selezionare gli interessi meritevoli di protezione
aquiliana e, per altro verso, di realizzare un bilanciamento tra le contrapposte posizioni del
danneggiante e del danneggiato. Ciò ha spesso
comportato da parte della giurisprudenza, specialmente di quella onoraria, l’accoglimento di
pretese «bagatellari», che secondo la Scuola torinese sarebbero strumentali all’efficienza del
sistema aquiliano per la capacità di indurre i
consociati ad uno spontaneo adeguamento alle
regole, ma che rischiavano di destabilizzare la
responsabilità civile piegandola ad una funzione «consolatoria» (Giud. pace Casoria,
13.7.2005, n. 2781, in Danno e resp., 2006, 54,
con nota di Ponzanelli; Giud. pace Napoli,
10.6.2004, in Resp. civ. e prev., 2004, 1144, con
nota di Sanna; Giud. pace Napoli,
26.2.2004, in Danno e resp., 2005, 433, con nota di Di Bona De Sarzana): la Scuola triestina, invero, ha proposto di risolvere il problema
dei pregiudizi minimali sul piano della rilevanza del danno, ma un tale giudizio è logicamente successivo a quello della rilevanza della lesione.
4. Il «nuovo danno non patrimoniale»
della Scuola pisana. La Scuola pisana, nell’ampliare le voci di danno alla persona senza
rinunciare ad un’accorta seppur dinamica opera di «tipizzazione», ha suggerito la rivalutazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059
cod. civ.
È stato evidenziato che l’obiettività del danNGCC 2011 - Parte seconda
no patrimoniale tempera l’elasticità del concetto di «fatto illecito» accolto dall’art. 2043 cod.
civ. affiancando l’«ingiustizia» nel bilanciamento di interessi, sicché ogni eventuale incertezza viene confortata dal riscontro di un danno la cui serietà è imparzialmente giudicata dal
mercato. Al contrario, l’incapacità di misurare
il danno non patrimoniale con una qualsivoglia
scala di valori – anche al di fuori di logiche di
mercato – comporta la mancanza nel pregiudizio di un filtro obiettivo e quindi lo spostamento dell’asse della fattispecie sull’iniuria, da accertare pertanto con un criterio più rigoroso.
Per un verso, la tutela riparatoria non avrebbe
dovuto essere accordata a qualunque interesse
di rango costituzionale, ma solo ai diritti fondamentali ed inviolabili della persona, curando
eventualmente il bilanciamento tra interessi
confliggenti di pari rango. Per altro verso, si sarebbero dovuti adoperare anche i principi di
solidarietà e di tolleranza, coordinati in guisa
tanto da ravvisare in positivo l’integrazione di
un illecito aquiliano solo in presenza di apprezzabili lesioni dell’interesse protetto, quanto soprattutto da escludere in negativo la rilevanza
di quelle offese che in concreto non intacchino
il nucleo effettivamente inviolabile dell’interesse: invero, gli interessi sono suscettibili di differenti gradi di lesione e non è detto che un illecito determini automaticamente la compromissione del loro nucleo, altrimenti non si spiegherebbero le ipotesi nelle quali è ammessa, a certe
condizioni ed entro certi limiti, la disponibilità
di taluni diritti sicuramente inviolabili (tanto
più che talvolta è la stessa legge ad ammetterla,
come negli artt. 5 cod. civ. o 50 cod. pen.).
A quest’ampia nozione di «danno non patrimoniale» era inoltre riconducibile, senza forzature antropomorfizzanti, il detrimento di immagine degli enti collettivi.
Il danno alla salute, invece, stante la sua oggettiva stimabilità medico-legale, avrebbe potuto continuare ad essere «risarcito» ai sensi
dell’art. 2043 cod. civ.
Questa impostazione è stata accolta per la
prima volta dalla giurisprudenza in Trib. Bergamo, 24.2.2003, in questa Rivista, 2003, I,
710, con nota di Pasquinelli.
5. Le innovazioni legislative e le
«svolte» giurisprudenziali. L’ordinamento
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Rassegne di giurisprudenza
è stato nel tempo arricchito di ipotesi nelle
quali la legge ordinaria consente la riparabilità
di un «danno non patrimoniale», il che ne ha
reso anacronistica l’identificazione con il danno morale e la sua associazione ad una funzione almeno prevalentemente sanzionatoria oppure deterrente: si pensi al «danno da errore
giudiziario», al «danno da ingiusta detenzione», al «danno da irragionevole durata del processo», al «danno da illecito trattamento dei
dati personali», al «danno da discriminazioni»,
al «danno da violazione di un diritto di utilizzazione economica (diritto d’autore)» o al
«danno da vacanza rovinata».
Da parte sua, la giurisprudenza ha rinunciato a sottomettere la riparabilità finanche del
danno morale da reato a talune condizioni: il
danno morale è stato emancipato dal danno alla salute (sebbene con la riproposizione del fatiscente binomio danno-evento/danno-conseguenza e l’attribuzione anche al danno morale
della qualifica di danno-evento, Cass., sez. un.,
21.2.2002, n. 2515, in Danno e resp., 2002, 499,
con note di Ponzanelli e Tassone) e poi pure configurato in capo alle vittime secondarie
(Cass., sez. un., 1.7.2002, n. 9556, in questa Rivista, 2003, I, 689, con nota di Favilli), ed in
sede civile è stato infine ammesso l’utilizzo delle presunzioni legali per la dimostrazione dell’elemento soggettivo dell’illecito penale (Corte Cost., 16.7.2003, n. 233, in Foro it., 2003, I,
2201, con nota di Navarretta; Cass.,
12.5.2003, nn. 7281-7282-7283, ibidem, I, 2272,
con note di La Battaglia e Navarretta).
Ma sono soprattutto le sentenze della Corte
di cassazione del 31.5.2003, nn. 8828-8827 (in
Danno e resp., 2003, 816, con note di Busnelli, Ponzanelli e Procida Mirabelli di Lauro), e la sentenza (interpretativa di rigetto) della Corte costituzionale n. 233/2003, poi suggellate ed integrate dalle sentenze della Cassazione
a sezioni unite dell’11.11.2008, nn. 26972-3-4-5
(in Resp. civ. e prev., 2009, 38, con note di Monateri, Navarretta, Poletti e Ziviz), ad
aver consumato un epocale revirement.
La nozione di «danno non patrimoniale» ha
ora una portata comprensiva di ogni pregiudizio inerente alla persona, cioè del danno alla
salute, del danno morale da reato o da illecito
semplicemente civile (la cui riparabilità in assenza di reato è stata ribadita in Corte Cost.,
400
13.1.2005, n. 58, ord., in Resp. civ. e prev.,
2005, 651, con nota di Poletti) e di ogni altro
danno non patrimoniale. Inoltre, nella ricorrenza degli altri requisiti dell’illecito civile desumibili dall’art. 2043 cod. civ. o da qualche
disposizione speciale, è stato affermato sia che
l’art. 2059 cod. civ. richiede un’interpretazione
costituzionalmente orientata in quanto i valori
costituzionali necessitano almeno della tutela
minima consistente nella riparazione dei danni
derivanti dalla loro lesione, sia che la Costituzione, fonte del diritto superiore a quelle primarie, è perfettamente idonea a soddisfare
(non la «riserva di legge», bensì, come ora si
legge nelle pronunce del 2008) il mero «rinvio
alla legge» (tale lo qualificava già Navarretta,
Danni non patrimoniali: il dogma infranto,
2273, infra, Nota bibl.), o a fonti normative comunitarie, a cui viene subordinata la riparabilità del danno non patrimoniale. Tuttavia, non
basta che l’interesse leso abbia rango genericamente costituzionale, giacché dalla terminologia adoperata dalla Supr. Corte nel 2003 risulta
che la lesione deve riguardare interessi – o, con
linguaggio pubblicistico, «diritti» – inviolabili
(come d’altronde si precisa in Cass., 25.7.2005,
n. 15022, in Resp. civ. e prev., 2006, 86, con nota di Cendon). E l’inviolabilità è un quid pluris
rispetto alla fondamentalità, tanto che gli interessi protetti dalla C.E.D.U. (a cui peraltro viene negato il rango di fonte costituzionale), ancorché proclamati fondamentali, non postulano la riparazione dei danni non patrimoniali se
– come per la proprietà – risultino privi del crisma dell’inviolabilità; il che è stato chiarito dalle sez. un. nel 2008. L’impianto di queste ultime deve poi ritenersi confermato in Cass., sez.
un., 16.2.2009, n. 3677 (in Resp. civ. e prev.,
2009, 754, con nota di Ziviz), dove la riparabilità del danno non patrimoniale, oltre che poter essere «prevista in modo espresso», è stata
adagiata, «pur non essendo prevista da norma di
legge ad hoc», sulla lesione di «un diritto della
persona direttamente tutelato dalla legge»: una
tale condizione, per non essere ripetitiva della
prima e quindi contraddittoria, va infatti letta
(non come un richiamo alla legge ordinaria,
bensì) come un’allusione a quella compromissione di diritti inviolabili, rilevanti ai sensi della
legge costituzionale, considerata nei precedenti
– esplicitamente menzionati – del 2008.
NGCC 2011 - Parte seconda
Percorsi del danno non patrimoniale
I diritti sono fondamentali ove ineriscano a
beni primari. Ma la fondamentalità è assorbita
dall’inviolabilità, che riguarda quei soli diritti
necessariamente inerenti alla persona i quali riflettano altresì libertà tanto negative (da ingerenze pubbliche o private) quanto positive (dirette all’azione ed alla partecipazione), purché,
oltre a costituire un presidio di garanzie per il
singolo e per le formazioni sociali dove si svolge la sua personalità, appaiano strumentali ad
una forma di Stato pluralistica e democratica.
È controverso se il catalogo degli interessi
inviolabili sia aperto, in virtù di un’interpretazione estensiva dell’art. 2 Cost., ovvero chiuso,
in virtù di un’interpretazione restrittiva che
renderebbe la disposizione meramente riassuntiva di quelle successive. Dal canto suo, la Corte costituzionale ha assunto una posizione mediana, affermando che dall’art. 2 Cost. è possibile desumere nuovi diritti inviolabili solo qualora siano strettamente conseguenti a quelli
sanciti altrove e abbiano una forza assiologica
tale da giustificare la compressione, che il loro
rinvenimento nel tessuto costituzionale comporta, di diritti concorrenti già riconosciuti.
Il rango rivestito dall’interesse leso, tuttavia,
non è di per sé in grado di escludere l’an dell’obbligazione riparatoria quando si tratti di
pretese bagatellari. Bisognerebbe allora affidarsi alla valutazione della «serietà» dell’offesa
non per accertare in positivo la gravità della lesione (talvolta implicita nell’integrazione di un
reato, come in Cass., 25.5.2004, n. 10035, in
Danno e resp., 2004, 1065, con nota di Ramaccioni; Trib. Milano, 24.10.2003, Trib. Milano, 29.11.2003 e Trib. Milano, 9.3.2004,
n. 3264, ivi, 2005, 73, con nota di Bonetta),
ma per escludere in negativo «pretese capricciose legate ad offese minime che urtano solo
l’ipersensibilità individuale, non colpiscono il
nucleo inviolabile dell’interesse e sono inidonee a superare il limite della tollerabilità civile»
(Navarretta, in I danni non patrimoniali, lineamenti sistematici, infra, Nota bibl., 29), senza trascurare persistenti sfumature sanzionatorie nell’attuale funzione dell’art. 2059 cod. civ.
(sebbene i principi fondamentali dell’ordinamento interno, che precludono di lucrare somme eccedenti il danno effettivamente subito,
rendano comunque inammissibili i c.d. punitive damages dei sistemi anglosassoni, come staNGCC 2011 - Parte seconda
tuito in Cass., 19.1.2007, n. 1183, in Corr.
giur., 2007, 497, con nota di Fava). Per parte
loro, le sez. un. del 2008 hanno affermato –
colmando una lacuna del sistema approntato
nel 2003, ma non senza qualche incongruenza
– l’indefettibilità tanto della «gravità» dell’offesa quanto della «serietà» del conseguente
pregiudizio (su cui insiste anche Cass., sez.
un., 19.8.2009, n. 18356, in Resp. civ. e prev.,
2009, 2459, con nota di Ziviz), le quali devono
entrambe superare il livello della tolleranza esigibile nelle relazioni sociali, con una valutazione che tenga conto di tutte le circostanze; ed il
riletto art. 2059 cod. civ., «in quanto pone le regole generali della tutela risarcitoria non patrimoniale, costituisce principio informatore della
materia (...) che il giudice di pace, nelle questioni da decidere secondo equità, deve osservare» ai
sensi dell’art. 113, comma 2o, cod. proc. civ.
(come inciso da Corte Cost., 6.7.2004, n.
206, in Giur. it., 2005, 539, con nota di Finocchiaro, che ha comportato il superamento del
contrario orientamento espresso in Cass., sez.
un., 15.10.1999, n. 716, in Giust. civ., 1999, I,
3243, con nota di Martino).
Di «danno esistenziale», insomma, può continuare a parlarsi solo a fini meramente descrittivi e senza alcuna attinenza con le sue originarie matrici dottrinali.
La giurisprudenza, purché siano lesi interessi
inviolabili, ha poi riconosciuto la riparabilità
dei danni non patrimoniali anche sulla base di
un’imputazione oggettiva: già Cass., 1.6.2004,
n. 10482, in Foro it., 2005, I, 1487, con nota di
Bitetto.
La riparazione dipende invece ancora dalla
ricorrenza almeno in astratto di un reato quando la lesione non riguardi interessi inviolabili,
ed in tal caso l’art. 2059 cod. civ. mantiene una
connotazione sanzionatoria. Sotto il profilo dei
rapporti tra illeciti penali ed illeciti civili, poi,
le fattispecie civilistiche sufficienti per il risarcimento dei danni patrimoniali a titolo di responsabilità oggettiva sono autonome rispetto
alle fattispecie incriminatrici penali, perché ai
sensi delle prime la colpevolezza non rientra
tra gli elementi costitutivi della responsabilità
civile e ciò impedisce la contestuale integrazione di un reato. Il danneggiato che voglia ottenere la riparazione dei danni non patrimoniali,
pertanto, dovrà domandare l’accertamento di
401
Rassegne di giurisprudenza
una fattispecie di reato suscettibile sia di sovrapporsi alla fattispecie civilistica con imputazione oggettiva sia di aggiungersi ad essa come
titolo capace di fondare una responsabilità
estesa a quei danni, salva ai soli fini civili la dimostrabilità dell’elemento soggettivo del reato
con presunzioni e prove legali: Cass.,
27.10.2004, n. 20814, in questa Rivista, 2005,
I, 943, con nota di Pasquinelli.
L’an della riparazione, ad ogni modo, non
può essere identificato nella mera lesione dell’interesse protetto, perché il pregiudizio non è
in re ipsa: tra le altre, Cass., sez. un., 24.3.2006,
n. 6572, in Corr. giur., 2006, 787, con nota di
Monateri; accertata la lesione del «diritto all’autodeterminazione» rispetto a trattamenti
sanitari, non è stato riconosciuto alcun risarcimento a causa dell’assenza di pregiudizio in
Trib. Milano, 29.3.2005, in Resp. civ. e prev.,
2005, 751, con nota di Gennari.
Circa il quantum della riparazione, è indispensabile determinare gli indici da seguire
nella liquidazione del pregiudizio, personalizzare il risarcimento e non incorrere in duplicazioni risarcitorie. E va inteso cum grano salis
l’invito della Cassazione, non condivisibile nella sua generalizzazione, a non ritagliare specifiche voci all’interno dell’onnicomprensiva, ma
non in tutto omogenea, categoria del danno
non patrimoniale, tanto più a fronte della rimodulazione estensiva dei classici pregiudizi
non patrimoniali ad opera delle sez. un. del
2008: ora, infatti, il danno morale anche non
transeunte provocato dalla patologia andrebbe
incluso nel danno alla salute; la sofferenza cagionata dal reato rifluirebbe nel danno morale
anche quando si protragga nel tempo e accompagni l’esistenza della vittima; e la sofferenza
morale determinata da un «non poter più fare»
(ad esempio in caso di lesione del rapporto parentale, rilevi questo ai sensi dell’art. 29 piuttosto che – come suggerito da Castronovo, infra, Nota bibl., 7 ss. – dell’art. 2 Cost.) sarebbe
una componente del danno non patrimoniale/
esistenziale. Rispetto al danno alla salute, quindi, non va dispersa l’esperienza sui criteri oggettivi dei quali è possibile avvalersi; e comunque il Codice delle Assicurazioni Private, in
materia di circolazione di veicoli a motore e di
natanti, aveva già adottato il criterio tabellare
per il pregiudizio di qualsivoglia entità, sebbe402
ne l’impiego delle tabelle debba adesso tener
conto, soprattutto al fine di ammettere il superamento dei massimali risarcitori, della ricomprensione in un’unica voce pure di ciò che prima veniva liquidato ad altro titolo. Rispetto
agli altri pregiudizi non patrimoniali, invece,
sarà di notevole ausilio la comparazione tra
precedenti giudiziari relativi a casi analoghi per
tipologia sia dell’interesse leso sia delle circostanze del fatto lesivo e della situazione del
danneggiato.
La valutazione della serietà dell’offesa, d’altronde, può orientare anche nell’eventuale e
successiva fase della liquidazione pecuniaria.
Tuttavia, se la responsabilità è a titolo oggettivo, la «serietà» potrà essere riscontrata (non
nella condotta lesiva, ma) unicamente nella lesione, e sul quantum non dovrà influire alcun
intento sanzionatorio.
Per gli enti collettivi, infine, si dovrebbe elaborare un peculiare concetto di «dignità»; e i
diritti della personalità ad essi riferiti dovrebbero risultare compatibili con l’assenza di fisicità, come sono il diritto all’esistenza, al nome,
all’immagine, all’identità o alla reputazione: in
Cass., 2.7.2004, n. 12110 (in Danno e resp.,
2005, 977, con nota di Venturelli), ad esempio, si afferma che ai sensi della c.d. «legge
Pinto», sebbene l’id quod plerumque accidit
faccia presumere uno stato di ansia, stress ed
incertezza nella persona fisica per l’anomala
durata del processo, la medesima regola inferenziale non vale quando il danno venga lamentato da un ente collettivo, incapace di patire spiacevoli sensazioni; in Cass., 30.8.2005, n.
17500 (in Resp. civ. e prev., 2006, 281, con nota
di Pasquinelli), ancora in materia di riparazione ex lege Pinto, al dichiarato scopo di garantire l’osservanza del principio – elaborato
dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo – di
parificazione tra persone fisiche ed enti collettivi, si adopera invece l’escamotage di imputare
all’ente il danno consistente nell’incertezza e
nel disagio che l’eccessiva durata del processo
determina nelle persone fisiche che ne sono
membri o che sono preposte alla sua gestione;
in Cass., 4.6.2007, n. 12929 (in Danno e resp.,
2007, 1236, con nota di Foffa), è stata riconosciuta agli enti la risarcibilità non solo del pregiudizio alla reputazione, ma altresì della diminuzione di considerazione che le persone fisiNGCC 2011 - Parte seconda
Percorsi del danno non patrimoniale
che agenti come organi dell’ente abbiano dell’ente stesso, giacché tale minore considerazione si ripercuote sulla qualità e sull’efficacia dell’azione intrapresa dagli organi; in Cass.,
30.3.2005, n. 6732 (in Corr. giur., 2005, 1707,
con nota di De Marzo), la reputazione dell’imprenditore tout court, anche non persona
fisica, viene fondata sulla sua dignità sociale e
professionale; in Trib. Genova, 2.9.2004, n.
3555 (in questa Rivista, 2005, I, 807, con nota
di Verduci), si parla di danno alla reputazione
e al decoro di un Ordine Professionale, qualificato però come danno morale.
6. «Danno da perdita della vita» e
«danno tanatologico». Una corrente minoritaria della giurisprudenza di merito configura
in capo alla vittima di un illecito mortale il
«danno da perdita della vita», che cadrebbe in
successione (Trib. Venezia, 15.6.2009, in
Danno e resp., 2010, 1013, con nota di Medici;
Trib. Terni, 20.4.2005, in Giur. it., 2005,
2281, con nota di Porreca).
Ma in sede di legittimità viene riconosciuta la
trasmissibilità jure hereditario solo dei c.d. «danni tanatologici», cioè del danno alla salute da invalidità temporanea, del danno morale e, adesso,
anche di ogni altro danno non patrimoniale subiti anteriormente al decesso (Cass., 14.12.2010, n.
25264, ord., Cass., sez. lav., 7.6.2010, n. 13672 e
Trib. Piacenza, 29.6.2010, n. 458, in Danno e
resp., 2011, 254, con nota di Medici; Cass.,
14.7.2003, n. 11003, Cass., 16.5.2003, n. 7632 e
Cass., 4.4.2003, n. 5332, in Resp. civ. e prev.,
2003, 1049, con nota di Facci). Ed anche la Corte costituzionale – nella sentenza n. 372/1994 –
ha negato l’ammissibilità di un «danno da perdita della vita» o «da morte», quale estrema compromissione della «salute», che consegua alla lesione di un preteso «diritto alla vita», quale somma espressione del «diritto alla salute», e possa
giustificare un diritto al risarcimento trasmissibile agli eredi: vita e salute sono stati infatti qualificati come beni distinti e suscettibili di differenti regimi, in quanto la tutela della vita spetterebbe solo al diritto penale, mentre la tutela della salute spetterebbe anche al diritto civile. A tacer
d’altro, è stato osservato che la morte fa perdere
la soggettività giuridica, indefettibile per l’acquisizione di qualsivoglia diritto.
Peraltro, il danno alla salute di carattere «taNGCC 2011 - Parte seconda
natologico» è riconosciuto solo se tra la lesione
dell’integrità psico-fisica e la morte intercorra
un «apprezzabile lasso di tempo», pur mancando uniformità di vedute sulla sua durata,
perché il fattore temporale è costitutivo di questo tipo di pregiudizio, che va comunque liquidato in relazione al reale periodo di sopravvivenza dopo l’illecito e non a presunte aspettative di vita.
La giurisprudenza ha però dimostrato sensibilità verso l’esigenza di personalizzare la somma spettante a titolo di riparazione del danno
tanatologico (o «terminale»). Nella liquidazione di ogni voce di danno alla persona manifestatosi prima del decesso, ed in particolare del
danno morale (il quale – come lasciano intendere le sez. un. del 2008 – potrebbe anche essere l’unico), è infatti opportuno considerare
che il pregiudizio affrontato nella lucida coscienza di una morte imminente, sebbene di
durata limitata, è di intensità massima («danno
catastrofico») e non paragonabile a quello patito da chi sopporta le sofferenze nella prospettiva di un decorso verso la guarigione o almeno
verso la stabilizzazione delle menomazioni: sull’indispensabile permanenza di uno stato di vigile coscienza, tra le altre, Cass., 28.11.2008, n.
28423, in Arch. giur. circ., 2009, 441.
Invero, si dovrebbe delineare anche un danno non patrimoniale scevro da connotazioni
psichiche (ed il tema trascende il più ristretto
campo del danno terminale), ma la giurisprudenza appare ancora restia a compiere questo
passo. Evidenti ragioni di giustizia sostanziale
hanno indotto a liquidare un danno morale in
favore di vittime in coma, ma con motivazioni
incongruenti: ad esempio, in Cass., 6.10.1994,
n. 8177 (in Foro it., 1995, I, 1852, con nota di
Caso), dopo aver tralatiziamente ribadito che
il danno morale rappresenta un «non duraturo
turbamento dello stato d’animo», i giudici aggiungono contraddittoriamente che «può consistere nella riduzione e nello squilibrio delle capacità intellettive del leso»; in Cass., 4.4.2001,
n. 4970 (in Resp. civ. e prev., 2002, 154, con nota di Favilli), si argomenta che la pretesa al
danno morale, qualora non risulti con assoluta
certezza la totale incapacità della vittima di
percepire il dolore, dev’essere nel dubbio ritenuta fondata, ponendo così soltanto un’inversione dell’onere della prova a carico del dan403
Rassegne di giurisprudenza
neggiante; in Cass., 1o.12.2003, n. 18305 (in
Danno e resp., 2004, 143, con nota di Bona), si
afferma apoditticamente che anche la vittima
in stato d’incoscienza subisce sofferenze fisiche
e morali; in Cass., 19.10.2007, n. 21976 (in
Danno e resp., 2008, 313, con nota di Foffa) ci
si accontenta di richiamare a sostegno della
configurabilità del danno morale in capo a persone in stato comatoso il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità. Occorrerebbe invece ammettere claris verbis la plausibilità di un danno non patrimoniale interamente estraneo alla sfera emozionale e sensoriale
che faccia leva sul concetto di «dignità» della
persona: in dottrina, Busnelli, Prospettive europee di razionalizzazione, 5; Messinetti, 605,
infra, Nota bibl.; in giurisprudenza, Cass.,
15.3.2007, n. 5987, in questa Rivista, 2007, I,
1202, con nota di Sella. Per non cadere nella
teorizzazione di un danno-evento, tuttavia, bisognerebbe accertare un concreto minus di dignità, oggettivamente apprezzabile sebbene insuscettibile di consapevolezza da parte del
danneggiato, come lo stato umiliante in cui ora
versi la sua esistenza ed il modo in cui la sua
personalità, o anche soltanto il suo «essere uomo», si proiettino nel contesto sociale (Navarretta, Diritti inviolabili, 329 ss., infra, Nota bibl.).
La più recente giurisprudenza, comunque,
ammette che le vittime secondarie di un illecito, oltre ad acquisire jure successionis eventuali
diritti risarcitori già spettanti alla vittima primaria, acquisiscano jure proprio un diritto al risarcimento per i danni derivanti dalla lesione
di interessi dei quali siano personalmente titolari: per un verso, è stata riconosciuta legittimazione ad agire ai soggetti legati alla vittima
primaria non solo da vincoli di sangue o di coniugio, ma anche semplicemente di affetto (come il convivente more uxorio), e, per altro verso, è stato sottolineato che è sempre da accertare con rigore, anche per i rapporti di parentela o di coniugio, il carattere effettivo e perdurante del legame (Cass., sez. un., n. 9556/2002;
Trib. Mantova, 8.11.2005, in Resp. civ. e
prev., 2006, 2130, con nota di Anzani).
Le variegate sfaccettature del maggioritario
orientamento sul danno tanatologico sono state di recente confermate e precisate dalla Supr.
Corte, secondo cui «[d]el tutto improduttive
404
paiono le disquisizioni sul se la morte faccia parte della vita o se, contrassegnando la sua fine, essa alla vita sia estranea. Così come è nulla più
che retorico il pur frequente rilievo secondo il
quale, essendo il risarcimento del danno da lesioni gravissime assai oneroso per l’autore dell’illecito ed escludendosi, per converso, la risarcibilità del danno da soppressione della vita a favore dello stesso soggetto di cui sia provocata la
morte, allora dovrebbe paradossalmente concludersi che sia economicamente più “conveniente”
uccidere che ferire. Ed è del pari improprio l’assumere che, poiché la tutela minima di ogni diritto è quella risarcitoria (...), il negare la risarcibilità del danno da lesione del diritto alla vita
(...) significherebbe incorrere in intima contraddizione proprio in ordine alla tutela del primo
tra tutti i diritti dell’uomo. La questione è (...)
che il risarcimento costituisce solo una forma di
tutela conseguente alla lesione di un diritto (o di
una posizione giuridica soggettiva qualificata,
pur se non assurgente al rango di diritto soggettivo); e consiste nel diritto di credito, diverso dal
diritto inciso, ad essere tenuto per quanto è possibile indenne dalle conseguenze negative che
dalla lesione del diritto derivano (...). Ora, non
solo non è giuridicamente concepibile che sia acquisito dal soggetto che muore (...) un diritto che
deriva dal fatto stesso della sua morte (...), ma è
logicamente inconfigurabile la stessa funzione
del risarcimento che, in campo civile, non è nel
nostro ordinamento sanzionatoria (funzione garantita invece dal diritto penale), ma riparatoria
o consolatoria. E in caso di morte, esclusa ovviamente la funzione riparatoria, neppure la tutela
con funzione consolatoria può (...) essere attuata
a favore del defunto. Va data, invece, ai suoi
congiunti (...). Pretendere che sia data “anche” al
defunto corrisponde, a ben vedere, solo al contingente obiettivo di far conseguire più denaro ai
congiunti, non essendo sostenuto da alcuno che
sarebbe in linea col comune sentire o col principio di solidarietà che il risarcimento da perdita
della vita fosse erogato agli eredi “anziché” ai
congiunti (se, in ipotesi, diversi) o, in mancanza
di successibili, addirittura allo Stato: il risarcimento assumerebbe allora una funzione meramente punitiva (...). E si risolverebbe in breve,
come l’esperienza insegna, in una diminuzione
di quanto riconosciuto iure proprio ai congiunti,
che percepiscono somme comunque connesse ad
NGCC 2011 - Parte seconda
Percorsi del danno non patrimoniale
un’onnicomprensiva valutazione equitativa (...),
sicché risulterebbe frustrato anche lo scopo di innalzare i limiti del risarcimento» (così Cass.,
24.3.2011, n. 6754, in www.personaedanno.it).
7. Il danno non patrimoniale da inadempimento. Le disposizioni impegnate a sostegno ora delle tesi favorevoli ora di quelle
contrarie alla riparabilità del danno non patrimoniale da inadempimento sono più d’una, ma
gli argomenti letterali non appaiono decisivi,
perché il dibattito è inscindibile da quello, di
maggior respiro, sulla funzione della responsabilità civile tout court e della riparazione in particolare.
Bastino però due osservazioni.
In primo luogo, la rilevanza ex lege del danno da vacanza rovinata dimostra che la riparabilità del danno non patrimoniale è compatibile con la responsabilità da inadempimento, in
conformità anche ai P.I.C.C., ai P.E.C.L. e al
Code Européen.
In secondo luogo, l’emancipazione dell’art.
2059 cod. civ. dalle fattispecie di reato, e dunque da una funzione marcatamente sanzionatoria, ha reso cadùca ogni remora ad ammettere
la riparabilità del danno non patrimoniale anche quando derivi da un inadempimento.
In giurisprudenza, d’altro canto, la categoria
del danno non patrimoniale da inadempimento è ormai pacificamente ammessa, giacché ha
ottenuto finanche il crisma delle sez. un. della
Cassazione nella pronuncia n. 26972/2008 e
trova riconoscimento – oltre che per una vacanza rovinata (Cass., 27.10.2003, n. 16090, in
Resp. civ. e prev., 2004, 133, con nota di Gorgoni; Corte giust. CE, 12.3.2002, n. C-168/
00, in Danno e resp., 2002, 1097, con note di
Carrassi e Maiolo) e nelle ipotesi più disparate (Trib. Ivrea, 22.6.2004, in questa Rivista,
2005, I, 881, con nota di Bonaccorsi, sul ritardo dell’impresa appaltatrice nella ristrutturazione dell’abitazione dell’appaltante) – soprattutto per dare veste ai pregiudizi alla persona così nel rapporto di lavoro (già Cass., sez.
un., n. 6572/2006; Cass., sez. lav., 23.5.2003,
n. 8230, in Danno e resp., 2004, 53, con nota di
Albi), dove i danni non si esauriscono in quelli
da mobbing (Cass., sez. lav., 3.7.2001, n. 9009,
in Rass. dir. civ., 2002, 826, con nota di Gazzoni), come nel rapporto sanitario (già Cass.,
NGCC 2011 - Parte seconda
24.1.2007, n. 1511, in Resp. civ. e prev., 2007,
2318, con nota di Spangaro; Cass., 29.7.2004,
n. 14488, in questa Rivista, 2005, I, 418, con
nota di Palmerini; Cass., 21.6.2004, n. 11488,
ibidem, I, 552, con nota di Pasquinelli).
«Dal principio del necessario riconoscimento,
per i diritti inviolabili della persona, della minima tutela costituita dal risarcimento, consegue
che la lesione dei diritti inviolabili... che abbia
determinato un danno non patrimoniale comporta l’obbligo di risarcire tale danno, quale che
sia la fonte della responsabilità», che potrà anche consistere nell’inadempimento ad un’obbligazione contrattuale (Cass., sez. un., n.
26972/2008). Ma in precedenza una parte della dottrina, seguita dalla giurisprudenza (Cass.,
sez. un., 24.3.2006, n. 6572, in Corr. giur.,
2006, 787, con nota di Monateri), prescindeva dalla lesione di un interesse inviolabile, in
quanto l’interesse creditorio è qualificato ex
ante dall’autonomia privata. Orbene, questa
proposta dottrinale può essere coltivata malgrado le recenti pronunce di legittimità (Navarretta, Il valore della persona nei diritti inviolabili, e Poletti, La dualità del sistema risarcitorio, rispettivamente, 70, 84 ss., infra, Nota bibl.), e a suggerirlo è la loro stessa tecnica
argomentativa, che, nel prospettare un’interpretazione adeguatrice degli artt. 1218 e 1223
cod. civ., porta ad una diretta applicazione dei
principi costituzionali: «poiché per invocare i
principi, che si ascrivono alla dimensione dell’analogia, si deve configurare una lacuna – sia
pure di tipo ideologico o evolutivo – ne discende che il ricorso alla Costituzione presuppone
l’assenza nel caso concreto di regole idonee a
offrire sufficiente tutela ai diritti inviolabili», e
dunque le sez. un. del 2008 – al di là delle intenzioni – hanno solo confezionato «una disciplina di chiusura del sistema, che non vuole e
non può escludere altre fonti di risarcibilità del
danno non patrimoniale, costituite sia da previsioni di legge sia a fortiori dallo stesso contratto» (Navarretta, Il danno non patrimoniale contrattuale, 729, infra, Nota bibl.).
Secondo le sez. un., inoltre, «[l]’individuazione, in relazione alla specifica ipotesi contrattuale, degli interessi compresi nell’area del contratto che, oltre a quelli a contenuto patrimoniale, presentino carattere non patrimoniale, va
condotta accertando la causa concreta del nego405
Rassegne di giurisprudenza
zio, da intendere come sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare, al
di là del modello, anche tipico, adoperato» (così
uniformandosi alla nozione di causa concreta
accolta in Cass., 8.5.2006, n. 10490, in Corr.
giur., 2006, 1718, con nota di Rolfi): vengono
in considerazione anzitutto i contratti c.d. di
protezione, come quelli che si concludono nel
settore sanitario o che intercorrono tra allievi e
istituti scolastici, ma l’esigenza di accertare se
un singolo contratto tenda a realizzare anche
interessi inviolabili manca quando sia la legge
ad inserirli nel tessuto di un rapporto obbligatorio tipico, come nel caso del contratto di lavoro (giusta l’art. 2087 cod. civ.) o del contratto di trasporto di persone (giusta l’art. 1681
cod. civ.).
Ma la lesione di un interesse di rango costituzionale inviolabile, in alternativa ad una specifica previsione di legge, è sicuramente indispensabile per la riparazione del danno non
patrimoniale se la responsabilità discenda dall’inadempimento di un’obbligazione non negoziale, quando peraltro la buona fede, in assenza
di un negozio da arricchire per via interpretativa e di cui apprezzare l’esecuzione, è almeno
sotto questi aspetti priva di operatività (Navarretta, Il danno non patrimoniale contrattuale, 731 ss., infra, Nota bibl.).
Sempre secondo le sez. un., il risarcimento
dei danni non patrimoniali da inadempimento
dovrà essere regolato dalla disciplina dettata
per la responsabilità contrattuale, da leggere –
come quella della responsabilità extracontrattuale – in senso costituzionalmente orientato.
«L’art. 1218 c.c., nella parte in cui dispone che
il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del
danno, non può quindi essere riferito al solo
danno patrimoniale, ma deve ritenersi comprensivo del danno non patrimoniale, qualora
l’inadempimento abbia determinato lesione di
diritti inviolabili della persona. Ed eguale più
ampio contenuto va individuato nell’art. 1223
c.c. (...) riconducendo tra le perdite e le mancate utilità anche i pregiudizi non patrimoniali
determinati dalla lesione dei menzionati diritti.
D’altra parte, la tutela risarcitoria dei diritti inviolabili, lesi dall’inadempimento di obbligazioni, sarà soggetta al limite di cui all’art. 1225
c.c. (...). Il rango costituzionale dei diritti su406
scettivi di lesione rende nulli i patti di esonero
o limitazione della responsabilità, ai sensi dell’art. 1229, comma 2, c.c. (...). Varranno le specifiche regole del settore circa l’onere della prova (...), e la prescrizione».
Nota bibliografica
1. Introduzione. Il danno patrimoniale è
stimabile attraverso parametri certi, che consentono di determinare un equivalente monetario dell’«utilità» persa o alterata in conseguenza della lesione illecita, cioè – in termini di
tutela – un «risarcimento». Ed il risarcimento
ha una funzione «compensativa» in quanto si
pone sullo stesso piano valoriale del «bene»
perso o alterato.
Il danno non patrimoniale, invece, è insuscettibile di conversione in un’entità monetaria equivalente all’utilità persa o alterata in conseguenza
dell’illecito, sicché una somma di denaro potrebbe essere riconosciuta al danneggiato solo a titolo di «riparazione», che al fondo rimane sempre
equitativa, ex art. 1226 cod. civ. E la tutela riparatoria non può che assolvere ad una funzione
diversa da quella compensativa, perché il denaro
è incommensurabile al bene pregiudicato. Una
funzione «sanzionatoria» punirebbe il responsabile dell’illecito gravandolo di un’obbligazione
pecuniaria nei confronti del danneggiato. Una
funzione «solidaristica» manifesterebbe appunto solidarietà al danneggiato, al quale altrimenti
l’ordinamento negherebbe ogni tutela. Una funzione «satisfattiva» garantirebbe al danneggiato
un bene alternativo a quello pregiudicato, in base alla considerazione che sarebbe contrario a
qualunque senso di giustizia lasciare il danneggiante scevro da ogni responsabilità. Una funzione «deterrente» indurrebbe i consociati ad astenersi da condotte lesive con la rappresentazione
dei «costi» economici (di responsabilità civile) ai
quali andrebbero altrimenti incontro. Una funzione «composita», infine, risulterebbe da plurime sfumature funzionali variamente combinate.
Si osservi che ai sensi dell’art. 38 cod. pen.
del 1889 e dell’art. 7 cod. proc. pen. del 1913:
1) «danno» era sinonimo di danno patrimoniale derivante dalla lesione dell’interesse, non necessariamente patrimoniale, protetto dalla norma penale; 2) soltanto con riferimento ad un
«danno» poteva configurarsi l’obbligo di corriNGCC 2011 - Parte seconda
Percorsi del danno non patrimoniale
spondere un «risarcimento»; 3) per un pregiudizio non patrimoniale, che nel linguaggio corrente poteva e può essere definito «danno morale soggettivo», era configurabile esclusivamente l’obbligo di corrispondere una «somma
a titolo di riparazione»; 4) la riparazione del
danno morale era ammessa solo in presenza di
delitti che offendessero interessi di natura non
patrimoniale; 5) la tutela riparatoria per il danno morale era apprestata senza rinviare alle
norme civilistiche.
Ciò premesso, il contemporaneo art. 1151
cod. civ. del 1865, nonostante l’ampiezza della
sua formulazione, veniva restrittivamente preposto a fornire solo una tutela risarcitoria per i
danni patrimoniali.
Nel 1930, però, l’entrata in vigore dell’attuale Codice Penale Rocco e la sostituzione del
Codice di Procedura Penale del 1913 con un
nuovo Codice fecero cessare, da una parte, la
corrispondenza tra lesione di un interesse non
patrimoniale e danno morale, nonché, dall’altra parte, la limpida distinzione di campi tra
tutela risarcitoria e tutela riparatoria. L’art. 185
cod. pen., infatti, adotta la locuzione «danno
non patrimoniale» nel significato già attribuito
all’espressione «danno morale», che peraltro è
stato reso «risarcibile» in presenza di qualunque reato, senza più alcuna distinzione fondata
sulla natura dell’interesse penalmente offeso.
All’art. 185 cod. pen. può quindi imputarsi
l’insorgenza di molti equivoci terminologici, e
a proposito del comma 2o è possibile osservare
che: 1) il «danno» non si identifica più con il
pregiudizio esclusivamente patrimoniale conseguente alla lesione di un interesse degno di
protezione, ma inizia a designare una categoria
eterogenea, al cui interno occorre distinguere
tra «danno patrimoniale» e «danno non patrimoniale»; 2) la locuzione «danno patrimoniale
o non patrimoniale», comunque, non si riferisce alla lesione dell’interesse protetto, bensì al
pregiudizio che ne consegue; 3) la tutela adeguata al danno morale, anziché essere qualificata «riparatoria», è stata ricondotta all’interno
di un’onnicomprensiva tutela definita «risarcitoria»; 4) la tutela riparatoria in caso di danno
non patrimoniale da reato non viene direttamente apprestata, bensì solo autorizzata in base alle norme civili.
L’art. 1151 cod. civ. del 1865 divenne così
NGCC 2011 - Parte seconda
l’unica disposizione in grado di dispensare sia la
tutela propriamente risarcitoria rispetto al danno
patrimoniale sia quella riparatoria rispetto al
danno non patrimoniale; ma, quanto al danno
non patrimoniale, la sua portata applicativa era
limitata dall’art. 185, comma 2o, cod. pen., il
quale nell’interpretazione corrente imponeva di
riparare soltanto il danno morale da reato.
L’attuale Codice Civile comprende ora due
fondamentali disposizioni di difficile coordinamento, l’art. 2043 e l’art. 2059, sulle quali gli
antecedenti legislativi gettano una luce chiarificatrice.
La distinzione tra risarcimento e riparazione
è riconosciuta da De Cupis, Il danno. Teoria
generale della responsabilità civile, II, Giuffrè,
1979, 245 ss., il quale però la respinge per ragioni di opportunità. Sulle nozioni di tutela e
di funzione della responsabilità, pur mancando
uniformità di vedute, Di Majo, Tutela risarcitoria: alla ricerca di una tipologia, in Riv. dir.
civ., 2005, I, 243; Clerico, Incidente, livello di
precauzione e risarcimento del danno, in Riv.
crit. dir. priv., 2003, 271; Di Bona De Sarzana, Funzioni e modelli giurisprudenziali del
danno non patrimoniale, in Danno e resp.,
2004, 585.
Per una prospettiva storico-sistematica, Castronovo, Il danno alla persona tra essere e
avere, in Danno e resp., 2004, 237; Cursi, Il
danno non patrimoniale e i limiti storico-sistematici dell’art. 2059 c.c., in Riv. dir. civ., 2004,
I, 865. Una panoramica storica è offerta da Bonetta, Fanelli, Plebani e Ponzanelli, in Il
«nuovo» danno non patrimoniale, a cura di
Ponzanelli, Cedam, 2004.
Sull’anfibologia del termine «danno» nell’art. 2043 cod. civ., che nel sintagma «danno
ingiusto» esprime la lesione di un «interesse»,
mentre nella seconda parte della disposizione
esprime il pregiudizio conseguente alla lesione,
Tucci, Il danno ingiusto, Cedam, 1970, 15 ss.,
spec. 48 ss.
2. Il «danno alla salute». Sulla «patrimonializzabilità» del danno alla salute, Navarretta, Il danno alla persona e la Corte costituzionale (Come rivalutare l’art. 2059 c.c. senza indebolire il danno alla salute), in Resp. civ. e
prev., 1996, 1134; contra, Castronovo, «Danno biologico» senza miti, in Riv. crit. dir. priv.,
407
Rassegne di giurisprudenza
1988, 3; Id., Dal danno alla salute al danno alla
persona, ivi, 1996, spec. 245 ss.
Sui criteri di liquidazione, Monateri-Bona-Oliva, Il nuovo danno alla persona. Strumenti attuali per un giusto risarcimento, Giuffrè, 1999, 25 ss.
Sulla varietà delle voci di danno, Bona, Il
danno non patrimoniale dei congiunti: edonistico, esistenziale, da lesione del rapporto parentale, alla serenità famigliare, alla vita di relazione,
biologico, psichico o morale «costituzionalizzato»?, in Giur. it., 2002, 953.
Sull’evoluzione del danno alla salute,
Busnelli, Il danno biologico, dal «diritto vivente» al «diritto vigente», Giappichelli, 2001.
Sui «danni di rimbalzo» la giurisprudenza
era influenzata dalla dottrina dominante: per
tutti, Bonilini, Il danno non patrimoniale,
Giuffrè, 1983, 449 ss.
3. Il «danno esistenziale» della Scuola triestina e della Scuola torinese. Per
la Scuola triestina, Cendon, Non di sola salute
vive l’uomo, in Riv. crit. dir. priv., 1998, 567;
Aa.Vv., Il risarcimento del danno esistenziale,
aspetti civili, penali, medico legali, processuali,
nel Trattato breve dei nuovi danni, a cura di
Cendon, Cedam, 2001; Cendon-Ziviz, Il risarcimento del danno esistenziale, Giuffrè,
2003, 31 ss. Sui danni bagatellari, Ziviz, Lo
spettro dei danni bagatellari, in Resp. civ. e
prev., 2007, 517.
Per la Scuola torinese, Bona-Monateri, Il
nuovo danno non patrimoniale, Ipsoa, 2004,
153 ss. e, sui danni bagatellari, 241 ss.
In opposizione al danno esistenziale, Ponzanelli, Sei ragioni per escludere il risarcimento del danno esistenziale, in Danno e resp.,
2000, 693; Aa.Vv., in Critica del danno esistenziale, a cura di Ponzanelli, Cedam,
2003; Navarretta, Ripensare il sistema dei
danni non patrimoniali, in Resp. civ. e prev.,
2004, 3.
4. Il «nuovo danno non patrimoniale»
della Scuola pisana. Per tutti, Navarretta,
Diritti inviolabili e risarcimento del danno,
Giappichelli, 1996; Id., Bilanciamento di interessi costituzionali e regole civilistiche, in Riv.
crit. dir. priv., 1998, 649; Id., Il danno alla persona tra solidarietà e tolleranza, in Resp. civ.
prev., 2001, 775.
408
5. Le innovazioni legislative e le
«svolte» giurisprudenziali. In generale,
anche per maggiori riferimenti, Aa.Vv., Il danno non patrimoniale. Principi, regole e tabelle
per la liquidazione, a cura di Navarretta,
Giuffrè, 2010. Sull’assetto conseguente alle
pronunce del 2008, v. anche le considerazioni
di Castronovo, Danno esistenziale: il lungo
addio, in Danno e resp., 2009, 5; Serio, Osservazioni sparse sulle pronunce delle Sezioni unite
del novembre 2008 in materia di risarcimento
del danno non patrimoniale, in Dir. fam. e pers.,
2010, II, 231.
Sulla «fondamentalità» e «inviolabilità» del
diritto, Baldassarre, voce «Diritti inviolabili», in Enc. giur. Treccani, XI, Ed. Enc. it., 1989;
Peces-Barba Martinez, voce «Diritti e doveri
fondamentali», trad. it. di Rozo Acuňa, nel Digesto IV ed., Disc. pubbl., V, Utet, 1990, 139.
Sull’art. 2 Cost. nella giurisprudenza costituzionale, Cricenti, Persona e risarcimento, Cedam, 2005, 88.
Sui filtri della serietà dell’offesa e della tolleranza, Navarretta, in I danni non patrimoniali, lineamenti sistematici e guida alla liquidazione, a cura di Navarretta, Giuffrè, 2004.
Per la rivalutazione a talune condizioni di
una funzione anche sanzionatoria e deterrente
della riparazione del danno morale in ipotesi di
responsabilità soggettiva, C. Scognamiglio, Il
danno morale soggettivo, in questa Rivista,
2010, II, 237. Per una lettura dell’art. 2043
cod. civ. come clausola generale riferibile ai
danni di qualunque natura e dell’art. 2059 cod.
civ. come regola riferita al solo danno morale, a
cui riservare ancora una funzione afflittiva nei
casi discrezionalmente prescelti in via esclusiva
dal legislatore, R. Scognamiglio, Il danno
morale mezzo secolo dopo, in Riv. dir. civ.,
2010, I, 609.
Sul modo di intendere la funzione sanzionatoria in contemperamento con quella satisfattiva, Busnelli, Deterrenza, responsabilità civile,
fatto illecito, danni punitivi, in Eur. e dir. priv.,
2009, 909.
Sui modelli liquidatori astrattamente applicabili e riscontrabili nella prassi, Liberati, La
liquidazione del danno esistenziale, Cedam,
2004, 241 ss.
Sulla responsabilità oggettiva per danni non
patrimoniali, Afferni, La riparazione del danNGCC 2011 - Parte seconda
Percorsi del danno non patrimoniale
no non patrimoniale nella responsabilità oggettiva, in Resp. civ. e prev., 2004, 862.
In merito ai danni non patrimoniali degli enti
collettivi, Ar. Fusaro, I diritti della personalità
degli enti collettivi, Cedam, 2002; Zoppini, I diritti della personalità delle persone giuridiche (e
dei gruppi organizzati), in Riv. dir. civ., 2002, I,
851; Vittoria, Il danno non patrimoniale agli
enti collettivi, in Riv. dir. civ., 2007, I, 539.
6. «Danno da perdita della vita» e
«danno tanatologico». Favilli, Il danno
non patrimoniale da uccisione e da lesioni del
congiunto, in Aa.Vv., Il danno non patrimoniale. Principi, regole e tabelle per la liquidazione, a
cura di Navarretta, Giuffrè, 2010.
Sulla menomata dignità di persone prive di
capacità sensoriali, Busnelli, Prospettive europee di razionalizzazione del risarcimento del
danno non economico, in Danno e resp., 2001,
5; Messinetti, Sapere complesso e tecniche giuridiche rimediali, in Eur. e dir. priv., 2005, 605.
Sul concreto atteggiarsi di tale pregiudizio,
Navarretta, Diritti inviolabili e risarcimento
del danno, Giappichelli, 1996, 329 ss.
Per un effettivo e perdurante legame tra vit-
NGCC 2011 - Parte seconda
tima primaria e vittima secondaria, già De Cupis, Il danno. Teoria generale della responsabilità civile, II, Giuffrè, 1979, II, 118 ss.
7. Il danno non patrimoniale da inadempimento. In generale, Zeno-Zencovich,
Danni non patrimoniali e inadempimento, in
Risarcimento del danno contrattuale ed extracontrattuale, a cura di Visintini, Giuffrè,
1984, 109; Costanza, Danno non patrimoniale
e responsabilità contrattuale, in Riv. crit. dir.
priv., 1987, 127; Rabitti, Il danno non patrimoniale da inadempimento contrattuale, in Resp. civ. e prev., 2004, 340; Tescione, Il danno
non patrimoniale da contratto, ESI, 2008.
Sulla superfluità della natura inviolabile dell’interesse leso, insistono Navarretta, Il valore della persona nei diritti inviolabili e la complessità dei danni non patrimoniali, in Resp. civ.
e prev., 2009, 70; Id., Il danno non patrimoniale
contrattuale: profili sistematici di una nuova disciplina, in Contratti, 2010, 728; Poletti, La
dualità del sistema risarcitorio e l’unicità della
categoria dei danni non patrimoniali, in Resp.
civ. e prev., 2009, 84 ss.
409