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Il termine “clinica” deriva dal greco χλινω, che significa piegarsi, chinarsi, e testimonia il fatto che la clinica nasce nel momento in cui il medico rivolge l’attenzione verso la situazione specifica di un essere umano che mostra segni di malattia. L’introduzione di questo termine è avvenuta ad opera di Lightner Witmer, che lo ha mutuato dalle scienze mediche. La rappresentazione della clinica come “chinarsi sul letto del malato” va intesa però in senso metaforico; lo psicologo clinico, infatti, si troverà abbastanza raramente “al letto del malato” in senso concreto. La psicologia clinica rivolge la sua attenzione a fenomeni caratterizzati dall’esistenza di una sofferenza psicologica che può arrivare o meno a configurarsi come un vero e proprio disturbo psichico. Dunque quando si parla di clinica si fa riferimento alla creazione di una cornice, quella del colloquio clinico, nella quale disporsi a conoscere come la persona che abbiamo di fronte vive ciò che sta vivendo, incoraggiandola a osservare dentro di sé ciò che le sta accadendo. La metafora del letto del malato trasmette l’idea che l’attività psicologico-clinica è caratterizzata da un’attenzione specifica all’individualità e alla sofferenza di ogni persona. L’approccio dello psicologo clinico può essere definito “idiografico”; esso considera, volta per volta, il singolo caso clinico cercando di approfondirne la conoscenza al massimo grado, nell’intento di ricavare, dall’approfondimento sul singolo caso, regole e concetti generali che possano servire a trattare altri casi simili. Allo stesso tempo però tale approfondimento del caso singolo deve avvenire sulla base di conoscenze generali che siano valide per ampie popolazioni cliniche. La patologia, soprattutto in ambito psicologico, rappresenta spesso l’esasperazione di fenomeni che è possibile cogliere su scala ridotta anche nell’esperienza di vita normale (non patologica). Così anche lo studio delle vicende normali della vita e dello sviluppo può dare indicazioni utili sulle modalità con le quali gli esseri umani affrontano gli eventi difficili della vita. Anche la ricerca empirica fornisce un’importante contributo al patrimonio di conoscenze della psicologia clinica, come nel caso delle ricerche sulla frequenza con cui particolari eventi di vita correlano con lo sviluppo di alcuni disturbi psichici, o sull’associazione tra disturbi di personalità e patologie di Asse I, tra vicende traumatiche infantili e determinati disturbi di personalità, o ancora sui fattori terapeutici in psicoterapia o sull’efficacia delle diverse forme di psicoterapia. Dunque in psicologia il termine “clinica” rimanda alla presa in carico di difficoltà, crisi, conflitti che causano sofferenza se non veri e propri disturbi di rilevanza psicopatologica. Essa, pertanto, si occupa della sofferenza psicologica in senso lato e di quella parte della sofferenza psicologica che assume la forma dei disturbi mentali codificati dall’attuale nosografia del DSMIV-TR o nell’ICD-10. In quest’ultimo caso, il “chinarsi” del terapeuta si traduce nella www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ formulazione di una diagnosi. La diagnosi in psicologia clinica non coincide con la diagnosi in senso medico; essa deve sicuramente comprendere la diagnosi psichiatrica, ma non può limitarsi ad essa, bensì deve prendere in considerazione una serie di altri elementi che non riguardano più il disturbo ma le caratteristiche della persona nella quale il disturbo si presenta. Per tale ragione la diagnosi in psicologia clinica si configura come un processo di valutazione globale del disturbo, della persona e del rapporto tra persona e disturbo; tale processo è denominato assessment. • La diagnosi in psicologia clinica Uno dei principali compiti dello psicologo clinico è quello di fare diagnosi. Essa consiste nell’applicare al singolo soggetto che si ha di fronte un insieme più o meno ampio di conoscenze ricavate dall’esperienza clinica propria o dei colleghi e dalla sistematizzazione dei dati ricavati dalla ricerca. La diagnosi implica necessariamente il riferimento ad un sistema di classificazione condiviso. A partire dalla sua terza edizione, il DSM è stato lo strumento diagnostico che ha reso possibile usufruire di criteri diagnostici semplificati ma condivisi. Oltre al DSM esistono altri sistemi diagnostici, tra cui l’ICD-10, frutto dell’attività di coordinamento dell’Organizzazione Mondiale della Sanità; mentre il DSM è espressione della cultura psichiatrica americana, l’ICD è il prodotto di un’impostazione che tiene conto di culture molto diverse tra loro. La definizione diagnostica formulata dal clinico deve rappresentare il mezzo attraverso il quale delle informazioni possono essere comunicate in maniera sintetica; tuttavia mentre la diagnosi informa su alcuni aspetti generali e “oggettivi”, l’incontro clinico permette di riempire lo schema generale fornito dalla diagnosi con i contenuti specifici di quella persona, e quindi con dati altamente soggettivi. Soltanto integrando dati oggettivi e soggettivi è possibile farsi un’idea del paziente e delle sue specifiche difficoltà, e quindi formulare un progetto terapeutico corretto e praticabile. Una delle importanti differenze tra diagnosi in psicologia clinica e diagnosi in ambito medico consiste nel fatto che, proprio per questa elevata componente di soggettività insita nel processo diagnostico, la diagnosi in psicologia clinica coinvolge intensamente il clinico stesso. Inoltre la diagnosi in ambito medico è poco influenzata dai cambiamenti del contesto osservativo, a differenza della diagnosi in psicologia clinica che ne è fortemente condizionata; infatti i fenomeni di cui si occupa la psicologia clinica possono essere osservati soltanto all’interno di una relazione, quella tra il clinico e il paziente, in cui i due poli utilizzano se stessi e l’altro come vie di comunicazione e di conoscenza di quanto accade nella mente del paziente stesso. Lo psicologo clinico è parte integrante di tale relazione, non è soltanto un osservatore neutro, non può rimanere indifferente alla sofferenza altrui mantenendo un atteggiamento freddo e distaccato; egli è parte della relazione clinica in quanto usa se stesso e la sua persona come strumento di conoscenza dell’altro. Per questo motivo l’atteggiamento dello psicologo clinico influenza fortemente le informazioni che egli riuscirà a raccogliere; l’atteggiamento di fondo del clinico, infatti, può essere paragonato ad una rete da pesca: a seconda della struttura della rete, a maglie larghe o strette, sarà possibile pescare pesci (fenomeni clinici) molto diversi tra loro (es.: un atteggiamento molto attivo, con domande chiuse, tale che il colloquio somigli ad un interrogatorio, impedirà di cogliere fenomeni clinici di grande rilevanza in un paziente paranoico, il quale, sentendosi frugato o inquisito, tenderà a sottrarsi alle domande e a dare risposte generiche o superficiali). www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ Entrare in contatto con problematiche di carattere psicologico-clinico ha effetti rilevanti sul clinico stesso; nel momento in cui uno psicologo decide di dedicarsi alla clinica deve mettere da parte l’atteggiamento ingenuo con cui solitamente le persone si approcciano alle vicende abnormi o francamente patologiche. La capacità di comprendere ciò che accade nella mente dell’altro presuppone una certa familiarità con ciò che accade nella propria mente a livello di pensieri, affetti e fantasie. La follia dell’altro ci costringe a prendere atto del fatto che essa è una delle possibilità umane, e quindi anche una nostra possibilità. Ogni volta che assistiamo al sovvertimento della mente altrui, allo sconvolgimento emotivo che caratterizza le gravi forme di patologia mentale in una persona che è simile a noi in quanto alle caratteristiche di età, professionalità, e così via, avvertiamo dentro di noi la precarietà di ciò che chiamiamo salute mentale: l’equilibrio che giorno dopo giorno viviamo come solido si rivela precario. Ogni oggetto che fa parte della nostra vita potrebbe improvvisamente diventare estraneo e inquietante e diventare la fonte dalla quale scaturisce un’esperienza folle. La sensazione di solidità e continuità che è alla base della nostra vita può andare incontro ad una crisi anche grave, come accade negli episodi di tipo schizofrenico in cui le persone delirano sulla loro stessa identità, cioè su quanto di più certo ognuno di noi può contare. Acquisire la capacità di essere un buon clinico significa riuscire a mantenere o ritrovare una stabilità nella propria identità anche di fronte agli sconvolgimenti a cui le manifestazioni della follia espongono. È necessario sapersi identificare con chi soffre ma anche saperne prendere le distanze. Uno psicopatologo italiano, Danilo Cargnello, ha messo in luce l’esigenza del clinico di muoversi tra due posizioni: l’avere-qualcosa-di-fronte e l’essere-con-qualcuno; durante un colloquio, in alcuni momenti il clinico stabilisce una relazione con il paziente come persona, indipendentemente dalle caratteristiche del suo disturbo, mentre in altri momenti si concentra sui sintomi, sui fenomeni patologici che il paziente presenta, e tenta di ricondurre tali fenomeni ad un disturbo descritto dalla nosografia. Quello che è importante, secondo Cargnello, è che il clinico non separi questi due aspetti e li consideri invece come due momenti complementari dello stesso processo. • Che cos’è la psicologia clinica? La psicologia clinica è una disciplina che si occupa dell’analisi dei problemi della vita interiore. Essa è una disciplina applicativa che prende in considerazione singoli casi, che fa riferimento ad un metodo specifico (il metodo clinico) e che contempla un insieme eterogeneo di tecniche. Le competenze della psicologia clinica riguardano quattro ambiti: 1) diagnosi psicologico-clinica e assessment; 2) interventi terapeutici di natura psicologica; 3) metodologia della ricerca in psicologia clinica, ricerca sui fattori terapeutici e sulla valutazione dell’efficacia; 4) prevenzione, consulenza e formazione. Analizzando gli indici dei manuali di psicologia clinica è possibile identificare diverse prospettive che coesistono all’interno di questa disciplina: 1) Una prima area è rappresentata dalla definizione della psicologia clinica come disciplina e del suo ambito applicativo, con particolare attenzione ai rapporti che essa intrattiene con la psicoanalisi e con la psichiatria; in quest’ambito rientra anche la discussione relativa alle caratteristiche del metodo clinico; 2) Una seconda area è costituita dalla diagnosi psicologicoclinica, e comprende la diagnosi secondo il modello medico, la valutazione clinica o assessment, il colloquio clinico, la psicodiagnostica strumentale e la psicometria; 3) Una terza area è rappresentata dalla neuropsicologia e dall’esame neuropsicologico; 4) Una quarta area è costituita dallo studio dei disturbi mentali, e comprende quindi: classificazione e diagnosi, www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ descrizione e trattamento dei vari disturbi mentali classificati nel DSM; accanto ai disturbi mentali, generalmente in questi manuali vengono presi in considerazione altri ambiti problematici: i disturbi psicologici nell’arco di vita, la psicopatologia del bambino, dell’adolescente e dell’anziano, la psicopatologia familiare, le teorie della personalità, e così via; 5) Una quinta area comprende la psicoterapia, sia in generale che nelle sue varie declinazioni; 6) Una sesta area è rappresentata da una miscellanea che comprende temi specifici come psicosomatica, psicologia della salute, interventi sull’ambiente e sulla comunità, psicologia della riabilitazione, ecc.. I manuali generalmente prendono in considerazione il versante applicativo della disciplina, ma la psicologia clinica, oltre che una professione, è anche una disciplina scientifica, sebbene il versante della ricerca sia meno presente nei manuali tradizionali. Nell’analisi e nella discussione del singolo caso, comunque, la dimensione della ricerca clinica e quella della professione clinica devono trovare un’integrazione, a vantaggio del trattamento del paziente. A chi lo psicologo clinico applica “competenze, metodi di ricerca, strumenti di indagine, tecniche di intervento”? Generalmente l’intervento in psicologia clinica si rivolge al singolo individuo, il cosiddetto “caso clinico”; questo individuo sta vivendo una crisi fisiologica legata alla normale evoluzione vitale, oppure presenta una sofferenza mentale che ha assunto una propria struttura tanto da configurarsi come un vero e proprio disturbo nei termini di un sistema diagnostico. Altre volte, invece, l’intervento in psicologia clinica si rivolge a: a) coppie che vivono una condizione di sofferenza della relazione, uno stato conflittuale o una vera e propria deriva della relazione in senso patologico; si va da crisi di coppia più o meno fisiologiche a manifestazioni di sofferenza della coppia legate all’emersione di una patologia; b) famiglie all’interno delle quali si è verificata una crisi, o vi è una sofferenza che può avere molteplici cause, tra cui la presenza di una grave patologia (mentale o fisica) in uno dei suoi membri; c) gruppi di pazienti, gruppi di familiari di pazienti, gruppi di operatori di diverso tipo, come ad esempio personale che lavora in reparti in cui il carico di lavoro psicologico è impegnativo e che ha bisogno di rielaborare le forti emozioni vissute per contenere gli effetti di burn-out, o personale che lavora a stretto contatto con patologie psichiatriche gravi o croniche, personale che lavora in residenze per anziani, e così via. Dove? Uno psicologo clinico può prestare la propria opera in diversi contesti: (a) Egli può lavorare in privato, nel suo studio o ambulatorio, a contatto con pazienti che hanno deciso di rivolgersi direttamente a lui; in questo senso la pratica privata pre-seleziona i pazienti, sulla base della motivazione alla cura o dell’esplicita richiesta di aiuto. Per tale motivo, in questo contesto lo psicologo clinico incontrerà situazioni cliniche di minore gravità le quali, dopo una fase di assessment iniziale, possono essere avviate verso una psicoterapia formalizzata. (b) Lo psicologo clinico può lavorare come dipendente del Servizio Sanitario Nazionale, nell’ambito dei servizi pubblici, svolgendo un’ampia gamma di funzioni cliniche: valutazioni diagnostiche, certificazione, prevenzione, cura. Questo tipo di collocazione generalmente implica un lavoro integrato con altri servizi, operatori o istituzioni (es.: medici, assistenti sociali, comunità, scuole, ecc.). Lavorare in un setting pubblico permette al clinico di venire in contatto con le patologie psichiatriche più gravi, e quindi con le terribili conseguenze che queste patologie hanno sull’affettività, sul funzionamento sociale e sul destino del paziente e della sua famiglia. (c) Lo psicologo clinico può lavorare in case famiglia, centri diurni, comunità o comunque in strutture deputate alla presa in carico e al trattamento di patologie gravi e a lungo termine. Il lavoro in tali strutture intermedie metterà lo psicologo clinico a confronto con dei gravi www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ problemi psicopatologici, spesso cronici, nonché con le importanti e complesse dinamiche di gruppo che si creano in questi contesti. (d) Lo psicologo clinico può occuparsi di condotte devianti che si configurano come reato e quindi lavorare come perito (es.: come Consulente Tecnico di Ufficio di un magistrato o come perito di parte); oppure può prestare servizio all’interno di un carcere. (e) Lo psicologo clinico può lavorare in ambito scolastico, preventivo, o in ambito universitario, come ricercatore o docente o come clinico che effettua un servizio di consulenza psicologica per studenti. In questi contesti lo psicologo clinico svolge funzioni di prevenzione e diagnosi precoce, intervenendo nel rapporto tra bambini, genitori e insegnanti e contribuendo ad identificare e risolvere le dinamiche che potrebbero causare ulteriori problemi. Il “dove” dell’intervento in psicologia clinica non riguarda soltanto la sede nella quale lo psicologo esercita la sua professione, ma anche le caratteristiche dello spazio nel quale egli opera, ovvero le caratteristiche materiali del setting. Bisogna prestare particolare attenzione alla strutturazione e al mantenimento di una serie di coordinate spaziali, temporali e organizzative; tali coordinate devono mantenersi il più possibile costanti in modo da rappresentare uno sfondo stabile rispetto al quale cogliere le modalità di presentazione del paziente, il modo di mettersi in relazione, di formulare una richiesta di aiuto, e così via. Per tale ragione vanno rifiutate consultazioni informali. Le caratteristiche materiali del setting nel caso dello psicologo clinico si riferiscono a pochi elementi: una stanza “normale” (non uno sgabuzzino privo di finestre o occupato da strumentari medici, e così via), con una finestra, una scrivania, tre poltrone, una porta ben funzionante, un telefono disattivabile. Questi elementi da un lato creano la sede idonea ad un lavoro che ha per oggetto l’intimità delle persone, dall’altro definiscono uno spazio psicologico in cui vengono valorizzati l’ascolto e il contenimento della relazione. A che cosa (qual è l’oggetto della psicologia clinica)? L’oggetto della psicologia clinica consiste nella sofferenza psicologica e nella patologia mentale, nelle sue varie forme (disadattamento, disturbi della condotta, esperienze psicopatologiche e disturbi mentali), e negli stati di sofferenza para-fisiologica, in manifestazioni critiche che emergono in particolari circostanze di vita e che non si configurano come veri e propri disturbi mentali. I problemi dei pazienti che lo psicologo clinico deve affrontare più spesso sono: a) problemi di carattere emozionale (paure e fobie, ansia generalizzata, ossessioni e compulsioni, depressione, rabbia, colpa, ecc.); b) problemi di dipendenza (alcolismo, tossicodipendenza, disturbi alimentari, gioco d’azzardo, dipendenza da nicotina, ecc.); c) problemi di carattere psico-sessuale (disfunzioni sessuali, problemi legati all’orientamento sessuale, problemi conseguenti ad abuso sessuale, ecc.); d) problemi di carattere sociale e interpersonale (solitudine, timidezza, isolamento sociale, comportamenti aggressivi e antisociali, conflittualità coniugale, ecc.); e) problemi di carattere psicosomatico e medico (disturbi psicosomatici classici, disturbi cardiovascolari, malattie mediche croniche, ecc.). Perché (a quale fine)? La motivazione all’intervento da parte del paziente nasce sempre dalla percezione soggettiva di una sofferenza che può essere più o meno strutturata e andare dal disagio di un adolescente che non riesce a risolvere alcune difficoltà legate alla fase di transizione che sta vivendo, alle situazioni in cui la sofferenza assume la forma di una crisi acuta, alle situazioni in cui la sofferenza si configura come un vero e proprio disturbo psichiatrico. La richiesta di intervento può provenire dal diretto interessato (utente) o da una persona (committente) vicina al soggetto sofferente (genitore, parente, amico, collega, vicino di casa, medico di base, ecc.) che si fa portatrice di una richiesta di aiuto della quale, a volte, il www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ soggetto non è neanche consapevole. Questa eventualità è più frequente nell’ambito delle patologie gravi di tipo psicotico nelle quali il soggetto vive chiuso dentro un modo psicopatologico e ha chiuso i rapporti con la comunità dei sani; in questi casi è preferibile rivolgersi ad una struttura pubblica, dove il gruppo di lavoro può mettere in atto varie modalità di avvicinamento al paziente. Per quanto riguarda le motivazioni del terapeuta, l’obiettivo a cui egli mira è quello di alleviare la sofferenza umana e di migliorare la qualità della vita. Nello specifico, l’intervento clinico verso situazioni di crisi para-fisiologica avrà come scopo la comprensione dei motivi alla base della crisi e l’esplorazione della possibilità di ri-negoziare un nuovo equilibrio. L’intervento clinico indirizzato a situazioni di patologia psichiatrica avrà invece lo scopo di ridurre la sofferenza soggettiva e di esplorare possibilità adattive migliori di quelle realizzate dal sintomo patologico. Come? Il clinico lavora generalmente a stretto contatto con il singolo paziente, applica ad esso le competenze, conoscenze ed esperienze che ha acquisito nel suo iter formativo. Tali conoscenze derivano non soltanto dal patrimonio teorico-clinico che la psicologia clinica come disciplina ha sviluppato nel corso del tempo, ma anche dall’integrazione di queste conoscenze con l’esperienza maturata sul campo. Via via che il clinico si trova a fare diretta esperienza delle situazioni che ha incontrato sui libri, andrà ristrutturando le sue conoscenze e la sua pratica, recuperando i contenuti teorici da un punto di vista diverso da quello con il quale si approcciava ad essi da studente. Ogni caso clinico rappresenta un’occasione privilegiata per rivedere il proprio patrimonio di conoscenze nonché per ulteriori approfondimenti conoscitivi. Nella professione dello psicologo clinico le teorie e i modelli di riferimento svolgono un ruolo molto importante. Al termine della sua formazione universitaria, e quindi in una fase ancora iniziale per la sua formazione professionale, il clinico deve compiere una scelta che condizionerà la sua intera carriera: deve scegliere una particolare teoria di riferimento e quindi una particolare scuola di specializzazione post-laurea. Tale scelta viene spesso fatta senza poter ancora disporre di una conoscenza sufficientemente vasta del campo, soprattutto del versante empirico-operativo. La scelta dell’indirizzo teorico condizionerà pesantemente il modo di fare clinica dello psicologo; è auspicabile che gli non ceda alla tentazione di “murarsi” dentro il proprio indirizzo teorico-conoscitivo, sottraendosi così alla riflessione critica e al confronto con altre prospettive. • Il tirocinio clinico: rischi e possibilità evolutive Nella formazione dello psicologo clinico il tirocinio svolge un ruolo cruciale, in quanto rappresenta il primo momento nel quale tentare l’integrazione tra teoria e pratica. Dopo aver studiato a lungo le forme in cui la psicopatologia si esprime, trovarsi a contatto o immersi nelle attività cliniche cattura l’attenzione e le emozioni del tirocinante e lo introduce ad un’esperienza formativa totalmente nuova. L’incontro con la psicopatologia fa sì che lo psicologo clinico entri in contatto con modalità diverse di vivere il mondo, il Sé e le proprie esperienze, modalità a cui non è abituato. È necessario che il clinico arrivi a questo incontro con una solida preparazione teorica, ma sono necessarie anche altre qualità basate sull’esperienza; inoltre egli deve mantenere un atteggiamento che Antonello Correale ha paragonato all’essere convalescenti: non deve essere chiuso nella propria sanità, ma neanche così malato da cadere nella malattia del paziente. Un buon clinico non può mantenersi freddo, distaccato, indifferente, ma non può neanche fondersi con la persona e con l’esperienza del www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ paziente; egli deve trovare il modo di regolare la propria distanza dal paziente. Tale regolazione è influenzata però da una serie di variabili, alcune delle quali sono strettamente personali. Ammesso che il clinico abbia avuto una buona formazione teorica, tale formazione deve andare incontro ad un processo di lenta e progressiva deformazione, processo che si verifica quanto egli entra a contatto con i pazienti reali. Questa deformazione è strettamente legata alle caratteristiche di personalità del clinico, per tale ragione non bisogna considerare il tirocinio soltanto come un’esperienza di formazione professionale, ma anche un’occasione di formazione personale. Il clima culturale dominante nella clinica psichiatrica, caratterizzato dall’egemonia del DSM, non facilita il primo contatto con la clinica: le descrizioni dall’esterno, utili in ambito di oggettivazione e di ricerca, sono solo parzialmente utili nell’esperienza diretta con il paziente: ad esempio, il clinico può sapere tutto dei criteri DSM per la diagnosi di una certa patologia, ma non essere in grado di mettersi in relazione con il paziente. La conoscenza dei criteri diagnostici è necessaria ma non sufficiente; è altrettanto fondamentale acquisire delle conoscenze che mettano il clinico in grado di rappresentarsi il mondo dell’altro, le caratteristiche dell’atmosfera psicologica e relazionale nella quale l’altro vive. Il processo di formazione-deformazione, come già detto, inizia con il tirocinio. Il suo punto di arrivo è costituito dallo stile personale che ogni clinico sviluppa nel suo lavoro, nel corso di molti anni, e rappresenta il prodotto di un progressivo e duraturo processo di assimilazioneaccomodamento tra le caratteristiche di personalità del clinico e gli strumenti di carattere teorico. L’esperienza di contatto con la clinica che avviene attraverso il tirocinio permette allo psicologo di capire se si sente di dedicare alla clinica la sua vita professionale o se invece preferisce operare in settori in cui le variabili in gioco sono note e controllabili. Nella clinica le variabili controllabili sono difficili da trovare, e l’enorme quantità di variabili (personali, relazionali, storiche, culturali, sociali) che entrano in gioco travolge gli schemi ordinati nei quali, da studenti, si organizza il sapere. Il tirocinio rappresenta l’occasione privilegiata per cominciare a fare esperienza di due aspetti cruciali della clinica: a) il coinvolgimento personale nel contatto con la patologia mentale; b) il coinvolgimento in un gruppo di lavoro multi professionale che si occupa di patologia mentale. Il contatto con la clinica è anche contatto con se stessi; emerge la paura che la follia dell’altro sia anche propria, ovvero che la follia sia “contagiosa”: lo stato mentale dell’altro si trasmette anche a noi, nella misura in cui ci impegniamo nella relazione con lui. Nella follia vediamo in azione negli altri forze di cui non conoscevamo neanche l’esistenza; una volta che tali forze si sono manifestate negli altri, possiamo pensarle come qualcosa che non è estraneo nemmeno a noi. Queste forze hanno a che vedere con l’indebolimento del confine che separa la realtà dal mondo della fantasia, fatto di sogni, deliri, idee ossessive, e così via. Non è raro che i tirocinanti siano messi in crisi o spaventati dall’esperienza che fanno del tirocinio. Quest’ultimo, infatti, costituisce un’esperienza che non si può fare senza l’adeguata “attrezzatura” né tantomeno da soli; a tal proposito, i tutor hanno il ruolo di integrare i vari aspetti dell’esperienza formando un insieme coerente e strutturato, in modo da favorire la formazione. Senza questa cornice formativa il tirocinio può diventare una vera e propria esperienza traumatica. Il tirocinante non deve farsi carico del paziente, ma viene comunque a contatto con la sofferenza mentale, con situazioni di gruppo, con i pazienti, con i loro familiari, e con le angosce e le difficoltà dei curanti. Egli inoltre è ad alto livello di esposizione; giovane, aperto, www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ curioso, sensibile, spesso viene “catturato” dalla clinica e fatto oggetto di interesse da parte dei pazienti, soprattutto se coetanei. Il tutoraggio o la supervisione sono quindi fondamentali in quanto fanno sì che la deformazione si realizzi senza traumi e senza rischi. 2) Psicologia clinica e dintorni • Psicologia clinica e discipline di confine L’area di applicazione della psicologia clinica ha una caratteristica particolare, ovvero non è patrimonio esclusivo della psicologia clinica. Infatti della stessa area si occupano discipline diverse, la cui specificità si basa sul metodo utilizzato, sulle competenze adottate e sugli obiettivi. Tra coloro che esercitano la professione di psicologo clinico si possono trovare persone che lavorano in ambiti molto diversi tra loro; dunque ogni psicologo clinico completa la propria formazione ritagliandosi un’area specifica di competenza e di intervento. • Psicologia clinica e psicologia generale Il rapporto tra psicologia clinica e psicologia generale è piuttosto controverso. Teoricamente la psicologia clinica, come pratica di intervento in ambito clinico, dovrebbe fondarsi su solide conoscenze, modelli e teorie formulate dalla psicologia generale: in altre parole, la psicologia clinica dovrebbe rappresentare il versante applicativo della psicologia generale. In realtà però gran parte delle conoscenze cliniche di cui disponiamo è stata sviluppata all’interno della pratica clinica, senza basarsi sugli studi di psicologia generale. La pratica clinica porta alla formulazione di una teoria o alla sua messa in discussione di fronte a nuovi fatti clinici, e allo stesso tempo le modificazioni della teoria influenzano l’approccio clinico-osservativo. Dunque teoria e clinica si potenziano reciprocamente. Una tradizione di ricerca più recente è rappresentata dal cognitivismo. Oggi quasi tutto il campo della psicologia generale e clinica è permeato da concetti che appartengono alla tradizione del cognitivismo, e inoltre da alcuni anni la psicoterapia cognitivo-comportamentale è diventata la forma di psicoterapia maggiormente diffusa nel mondo. Nell’ambito del cognitivismo, il rapporto tra psicologia clinica e psicologia generale è un rapporto a due vie: da un lato i disturbi psicopatologici vengono studiati andando alla ricerca di una compromissione di una qualche funzione cognitiva, il cui funzionamento normale è stato studiato dalla psicologia generale; dall’altro lato, i modelli elaborati riguardo alla compromissione di una determinata funzione cognitiva in campo psicopatologico permettono di modificare o integrare i modelli elaborati dalla psicologia generale riguardo al funzionamento normale di quella funzione. Quindi tra psicologia clinica e psicologia generale c’è un rapporto di mutuo scambio. Anche se il rapporto tra psicologia clinica e psicologia generale è controverso, è invece abbastanza evidente che queste due discipline hanno un diverso oggetto di studio: la psicologia generale consiste nello studio sistematico dei principi generali e delle leggi che regolano la vita mentale in genere, studio che viene condotto indipendentemente dall’analisi delle caratteristiche specifiche del singolo individuo; la psicologia clinica, al contrario, non si occupa degli aspetti generali del funzionamento psichico, ma di singoli soggetti che presentano specifiche situazioni di crisi, sofferenza o disturbo. • Psicologia clinica e psicologia differenziale L’area di applicazione della psicologia differenziale è costituita dalla studio delle differenze individuali. La psicologia differenziale, infatti, indaga le differenze tra gli individui (relative a www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ diversi aspetti, come l’intelligenza, la personalità, e così via) attraverso strumenti quantitativi, come i test psicometrici. Dunque essa può essere considerata una delle componenti storiche della grande famiglia della psicologia clinica, cioè un sottoinsieme della psicologia clinica specializzato in uno specifico settore di ricerca e di applicazione clinica, in stretto rapporto con un altro sottoinsieme della psicologia clinica, ovvero la psicometria. Recentemente è emerso un nuovo modello basato sul concetto di “clinimetria”: mentre la psicometria è un’area della psicologia interessata allo sviluppo di metodi il più possibile accurati per la misurazione delle variabili psicologiche, la clinimetria si sviluppa nell’area della clinica allo scopo di guidare e spronare lo psicologo ad esprimere i propri giudizi nella valutazione dei fenomeni clinici a livello diagnostico, prognostico e terapeutico, secondo una coerenza clinica oltre che statistica. • Psicologia clinica e psicologia medica Con il termine “psicologia medica” si fa riferimento a quella parte della psicologia clinica che ha sviluppato particolari competenze applicate alla medicina. La psicologia medica: (a) Ha l’obiettivo di integrare la preparazione del medico e del personale sanitario con competenze di carattere psicologico relative alla psicologia della malattia e del rapporto medico-paziente; infatti la psicologia del malato e le modalità di reazione alla malattia non possono essere escluse da una presa in carico complessiva della persona malata. L’intervento del medico può essere fortemente condizionato dalle variabili psicologiche e psicopatologiche. (b) Pone al centro del suo interesse il rapporto medico-paziente, sia a livello individuale che a livello del gruppo familiare o del gruppo curante. In tal senso si occupa di diverse questioni, ad esempio: i processi psicologici che si mettono in moto all’interno della famiglia di un malato; il modo in cui la famiglia affronta la morte imminente di una persona cara; i processi psicologici che si attivano nell’èquipe curante di fronte alla malattia o alla morte; i processi psicologici che si attivano nei gruppi di lavoro che si occupano di situazioni cliniche particolari, ad esempio pazienti cancerosi terminali o pazienti in rianimazione, e così via. Sin dagli anni ’70 è stato sottolineato come questi processi psicologici possiedano una funzione difensiva nei confronti della morte, e come spesso essi si traducano in condotte di distanziamento e di frammentazione dell’intervento, così da ridurre al minimo l’impatto dell’angoscia sul singolo operatore. (c) Favorisce la diffusione delle conoscenze e delle competenze psicologiche nel personale sanitario, attraverso una funzione di educazione, guida e addestramento all’ascolto delle implicazioni psicologiche della malattia. • Psicologia clinica e psicologia dinamica Il termine “dinamica” è stato introdotto in ambito psicologico-psichiatrico alla fine del 1800. Esso aveva diversi significati: la visione dinamica si contrapponeva alla visione statica del disturbo mentale e si fondava sull’ipotesi dell’esistenza di un’energia psichica; allo stesso tempo “dinamico” era un sinonimo di “funzionale”, ed era quindi contrapposto a “organico”. È però con la psicoanalisi che il termine “dinamico” si inserisce a pieno titolo nel vocabolario delle discipline psicologico-psichiatriche. Questo termine, nella sua accezione riferita all’esistenza di un’energia psichica, rimanda direttamente al concetto di pulsione: ogni pulsione si compone con diverse forze, subisce delle modificazioni a causa di alcuni impedimenti e assume così il suo significato conflittuale. Sulla base di questa formulazione freudiana, la psicoanalisi si qualifica come concezione dinamica dei processi psichici. Dunque, dopo Freud, la storia del termine “dinamico” tende a coincidere con la storia della psicoanalisi. Quest’ultima infatti ha egemonizzato la psicologia dinamica, ma non è possibile affermare che la psicoanalisi coincide www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ con la psicologia dinamica: il campo psicodinamico è molto più ampio di quello psicoanalitico. La psicologia dinamica, secondo Dazzi e De Coro, consiste in “un insieme ampio e variegato di assunti teorici e di modelli di intervento clinico, che risultano solo in minima parte sovrapponibili o convergenti tra loro”. La psicologia dinamica si configura quindi come una particolare psicologia clinica che, a partire dalla “dinamica” dei fenomeni psichici, interviene su di essi in un processo terapeutico mediato dalla relazione. Dal punto di vista della definizione degli insegnamenti nei Corsi di Laurea in Psicologia, la psicologia dinamica comprende le competenze scientifico-disciplinari che considerano da un punto di vista psicodinamico e psicogenetico le rappresentazioni del Sé, i processi intrapsichici e le relazioni interpersonali; essa comprende anche le competenze relative alle applicazioni di queste conoscenze all’analisi e al trattamento del disagio psichico e delle psicopatologie. Così intesa, la psicologia dinamica si configura come un ambito, particolarmente esteso e rilevante, della grande area della psicologia clinica. La psicologia dinamica ha sempre influenzato la psicopatologia, cioè la disciplina che si propone di comprendere il senso delle esperienze, dei comportamenti e delle espressioni umane abnormi. La psicopatologia dinamica è caratterizzata da modelli “dialettici” secondo i quali sintomi, sindromi e decorsi psicopatologici hanno origine dall’interazione tra due componenti: vulnerabilità e persona. I sintomi non si presentano sin dall’inizio come tali, ma sono il prodotto di un percorso psicopatologico che conduce ai quadri conclamati della clinica. Alcuni modelli dialettici in psicopatologia hanno un’ispirazione fenomenologica, e non derivano dalla tradizione psicoanalitica. Essi sono alla base della psicopatologia del patologico (Minkowski) [vedi fine paragrafo successivo]. • Psicologia clinica e psichiatria Il rapporto tra psicologia clinica e psichiatria è particolarmente ambiguo perché i confini tra queste due discipline sono diventati sempre meno netti. Una distinzione semplice si basa su un criterio pratico: mentre la psicologia clinica è una specialità psicologica alla quale si accede con la laurea in Psicologia, la psichiatria è una specialità medica alla quale si accede dopo la laurea in Medicina. Al di là di questa differenza concreta, i due campi restano in parte confusi tra loro. Questo accade anche perché l’operare di ogni psichiatra non dovrebbe prescindere da conoscenze di tipo psicologico, e allo stesso tempo l’operare dello psicologo clinico non può prescindere da conoscenze di clinica psichiatrica. Ad ogni modo è necessario sfatare due convinzioni: (a) Non è possibile fare una distinzione sulla base della differente gravità delle forme psicopatologiche che sarebbero di competenza dell’una o dell’altra specialità. Tempo fa si riteneva che lo psicologo clinico fosse un “piccolo psichiatra” che si occupava dei problemi minori, dei disturbi dell’area nevrotico-psicosomatica, e che lo psichiatra si occupasse dei problemi più gravi, appartenenti all’area delle psicosi. In realtà oggi il ruolo dello psicologo clinico è oggi inserito a pieno titolo nell’area dei disturbi mentali, sia quelli “minori” che quelli “maggiori”. (b) Non è possibile fare una distinzione in base all’idea che la psicologia clinica e la psichiatria siano entità separate ma contrapposte, laddove la psicologia clinica viene identificata con l’area clinica dei problemi che hanno una presunta eziologia psicologica, mentre la psichiatria viene identificata con l’area dei problemi che hanno una presunta eziologia organica. Sulla base di tale erronea distinzione si è tentato di introdurre la dicotomia che contrappone la cura con le parole alla cura con i farmaci, non tenendo conto invece di www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ come ogni parola sia in un certo senso un “farmaco” e di come ogni farmaco abbia bisogno di essere sostenuto da una relazione fatta di parole. La labilità dei confini tra psicologia clinica e psichiatria deriva dal fatto che queste due discipline condividono in parte lo stesso oggetto di studio: una parte della psicologia clinica si occupa dello stesso oggetto di studio della psichiatria (la clinica dei disturbi mentali, cioè diagnosi, prognosi e trattamento). Tuttavia, se da un lato la psicologia clinica e la psichiatria condividono lo stesso oggetto di studio, dall’altro si differenziano per l’ampiezza delle aree applicative e per il metodo utilizzato. Ampiezza del campo di applicazione. Mentre la psichiatria si occupa soltanto dei disturbi mentali codificati dai moderni sistemi diagnostico-nosografici, la psicologia clinica ha un campo di applicazione più ampio, in quanto si occupa di tutta una serie di evenienze che non appartengono al novero dei disturbi mentali. Si tratta di manifestazioni problematiche individuali o gruppali che possono avere sviluppi clinici e che sono legate a specifiche tappe del ciclo di vita; tali fenomeni critici spesso si risolvono da soli, ma a volte possono innescare un malessere tale da motivare una richiesta di aiuto o da diventare il punto di partenza per uno scompenso psicopatologico. Rientrano nell’ambito delle competenze psicologico-cliniche anche i fenomeni di carattere genericamente depressivo che non sono sufficientemente gravi da soddisfare i criteri diagnostici del DSM, così come tutte quelle situazioni di carattere problematico, di generico disagio o di conflitto che necessitano di essere approfondite e risolte. Sono oggetto della psicologia clinica anche le conseguenze psicologiche di vicende a carattere traumatico. L’intervento dello psicologo clinico può esplicarsi in campo informativo, educazionale o preventivo, oppure nell’area delle patologie neurologiche, della loro valutazione e riabilitazione. Modello medico e metodo clinico. Qualsiasi prescrizione medica si rende possibile soltanto all’interno di una relazione; ogni medico deve essere consapevole delle implicazioni psicologiche del suo operare e degli effetti psicologici dei suoi interventi. Nonostante questo, però, la psichiatria (in quanto scienza medica) adotta il modello medico tradizionale, il quale postula l’esistenza di disturbi clinici codificati di cui descrive i sintomi, indaga le cause (eziologia), studia il decorso e la prognosi, progetta la cura. Analogamente, lo psicologo clinico non può prescindere dal sapere psichiatrico, deve conoscere la classificazione dei disturbi mentali, deve saper fare una diagnosi psichiatrica, deve conoscere le modalità di intervento tipiche della psichiatria e avere delle conoscenze basilari di psicofarmacologia. Tuttavia l’approccio psicologico clinico ai disturbi mentali si basa sul metodo clinico; questo metodo, oltre a prendere in considerazione la malattia e i suoi sintomi, dà importanza al ruolo svolto dalla persona e si basa sul rapporto interpersonale. La dimensione storico-narrativa occupa un posto rilevante nel metodo clinico: ciò significa che, in psicologia clinica, non è importante soltanto delineare il quadro attuale delle condizioni del paziente, ma anche una storia più o meno articolata del percorso interiore e di vita che ha condotto il paziente ad assumere quella particolare posizione. La storia di cui si occupa la psicologia clinica non è l’anamnesi medica, cioè la storia dei sintomi, della malattia, degli episodi pregressi, ma la storia di vita della persona. In tale storia sono presenti tutti gli eventi, tutti gli snodi problematici, le esperienze del paziente, ed è in tale storia che va rintracciata l’origine del disturbo. L’adozione del metodo clinico comporta anche una differente prospettiva sulla diagnosi. In psicologia clinica non vengono presi in considerazione soltanto i sintomi, ma anche la storia www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ della persona e il rapporto tra la persona e la sua malattia. Per questo in psicologia clinica al termine diagnosi, di stampo strettamente medico, si preferisce il termine assessment. La diagnosi psicologico-clinica richiede generalmente più tempo rispetto alla diagnosi nosografica psichiatrica, per questo lo psicologo deve essere consapevole dell’opportunità di predisporre un setting formalizzato nel quale avviare un vero e proprio processo diagnostico. Al termine di questo percorso il clinico formulerà una valutazione riassuntiva e illustrerà al paziente le possibili indicazioni terapeutiche. Attraverso il processo di assessment si tenta non soltanto di delineare la natura del problema, ma anche di identificare punti deboli e punti forti del problema, di individuare i fattori che hanno fatto sì che qualcosa non andasse per il verso giusto; si tratta quindi di una valutazione che tiene conto anche delle eventuali risorse del soggetto e non considera il disturbo soltanto sotto il profilo del deficit. La psicologia clinica è una psicologia del patologico, nel senso che, anziché considerare la patologia mentale come l’espressione di un disturbo biologico, introduce una dimensione psicologica anche nel mondo della patologia. Quindi la psicologia clinica non si occupa soltanto della patologia dello psicologico, cioè non si limita a descrivere le deviazioni dalla norma del funzionamento psicologico normale, ma è anche una psicologia del patologico, la cui funzione è quella di elaborare dei modelli del funzionamento mentale nella patologia che servano da guida per il trattamento. Il versante clinico della psicologia comprende la psicologia clinica e la clinica psicologica: mentre la psicologia clinica è l’analisi dei problemi della vita interiore effettuata attraverso il metodo clinico, la clinica psicologica è una terapia condotta con mezzi psichici (cioè una psicoterapia). • Psicologia clinica e psicopatologia Nella misura in cui la psicologia clinica si occupa di patologia mentale, essa fa della psicopatologia. Il termine psicopatologia può essere utilizzato secondo diverse accezioni; le più comuni sono quattro: (1) Accezione generica: in questa accezione, il termine psicopatologia indica genericamente l’intero campo della patologia mentale, ovvero tutte le forme cliniche in cui si esprime la patologia mentale. In questo senso i manuali di psicologia clinica hanno per oggetto la psicopatologia. All’interno di questa accezione, il termine è utilizzato in due diverse declinazioni: sia come sinonimo di sintomatologia di un disturbo mentale, sia come sinonimo di un disturbo mentale in se stesso nell’ambito di una classificazione dei disturbi psichiatrici. (2) Accezione estetica: in questa accezione, il termine psicopatologia viene utilizzato in ambito psichiatrico per sostituire la locuzione “psichiatria clinica” con una parola che evochi una discendenza dai tratti più nobili, rispetto all’immagine un po’ deteriorata della psichiatria. Dunque il termine viene utilizzato soltanto per nobilitare l’immagine della psichiatria e tale uso può essere ritenuto eticamente scorretto. (3) Accezione epistemologica: in questa accezione, il termine psicopatologia fa riferimento ad un’impostazione metodologica che sviluppa una riflessione sulla natura delle operazioni conoscitive e terapeutiche attraverso le quali si studiano i disturbi mentali; dunque, in questo senso, la psicopatologia svolge una funzione di riflessione e di svelamento dei presupposti metodologici insiti in ogni operazione psichiatrica. (4) Accezione specialistica: in quest’ultima accezione, il termine psicopatologia indica uno specifico metodo di conoscenza dei fenomeni patologici della psiche; in questo senso la psicopatologia costituisce una psicologia del patologico e non assume una visione della patologia mentale come derivazione dalla psicologia normale. Non esiste dunque la www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ psicopatologia nel senso di una psicopatologia, ma esistono molte psicopatologie, a seconda del metodo di conoscenza adottato. Dunque in quest’accezione la psicopatologia è la scienza che si occupa di descrivere e classificare le esperienze, i comportamenti e le espressioni umane abnormi, e appartiene a pieno titolo all’area della psicologia clinica. È fondamentale distinguere tra psicopatologia generale e psicopatologia clinica. (a) Psicopatologia generale: Quando al termine psicopatologia si aggiunge la specificazione “generale”, si fa riferimento alla tradizione di ricerca che risale all’opera di Karl Jaspers, il quale pubblicò nel 1913 un testo intitolato “Psicopatologia generale”. In quanto medico psichiatra, Jaspers aveva quale quadro di riferimento la sua formazione medica. Secondo quanto scritto da Samuel Henry Dikson in “Elementi di Medicina”, la scienza medica si divide in due grandi ambiti: patologia e terapia. La patologia, a sua volta, si distingue in generale e speciale: la patologia speciale prende in considerazione ogni malattia nella sua specificità, mentre la patologia generale si occupa dello studio della malattia in generale, cioè dei meccanismi generali con i quali si producono alterazioni o danni all’organismo umano. Nell’ambito delle discipline psicologiche, la distinzione tra psicopatologia generale e clinica assume lo stesso significato; si potrebbe quindi dire che la patologia generale sta alla patologia speciale come la psicopatologia generale sta alla psicopatologia clinica. Dunque la psicopatologia generale si occupa dei fenomeni morbosi generali, delle alterazioni fondamentali del funzionamento mentale e non dei quadri clinici speciali descritti dai sistemi nosografici. La psicopatologia precede quindi la descrizione e la classificazione dei disturbi (nosografia). Essa non si occupa delle entità di malattia o dei disturbi che i clinici classificano, bensì dei fenomeni elementari e generali che si possono ritrovare in molti disturbi diversi (es.: la psicopatologia generale non si occupa di schizofrenia, ma di delirio). L’oggetto di studio della psicopatologia generale non è quindi il singolo paziente né i suoi sintomi specifici; piuttosto la psicopatologia si muove su un piano sovra-individuale ed è interessata alla ricerca dei principi generali dell’accadere psichico cosciente patologico. Come la patologia generale, essa si configura come la scienza del come e del perché dei fenomeni morbosi. I temi classici a cui la psicopatologia generale ha dato un grande contributo sono rappresentati da: delirio e allucinazione, coscienza dell’Io, psicopatologia dell’affettività, esperienza depressiva, esperienza del tempo, dello spazio, della corporeità. (b) Psicopatologia clinica: La psicopatologia clinica mira all’identificazione di sintomi significativi indispensabili alle distinzioni nosografiche (sintomi patognomonici). Mentre la psichiatria clinica rivolge la sua attenzione verso i sintomi oggettivabili, osservabili nei comportamenti, la psicopatologia clinica cerca di basare la diagnosi sul rilievo di particolari configurazioni dell’esperienza soggettiva del paziente (i suoi vissuti). Come afferma Kurt Schneider in “Psicopatologia clinica”, la psicopatologia clinica mira a diventare “la dottrina psicopatologica dei sintomi e della diagnosi”, in quanto essa ha a che fare con “lo psichico abnorme alla ricerca di unità cliniche”. La psicopatologia clinica di ispirazione fenomenologica pone al centro dei suoi interessi le qualità formali dell’esperienza vissuta. • Psicologia clinica e psicoanalisi La psicoanalisi costituisce storicamente una delle radici dalle quali è nata la psicologia clinica. La nascita della psicologia clinica, infatti, deriva dall’incontro di tre importanti tradizioni di ricerca: la radice psicometrica, la radice comportamentista e la radice psicoanalitica. La www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ psicologia clinica ha fatto propri gli insegnamenti della psicoanalisi, a partire dall’attenzione verso il mondo interiore dell’individuo che oggi la contraddistingue. La psicoanalisi però può anche essere considerata come una specifica psicologia clinica. Infatti il termine “psicoanalisi” ha un quadruplice significato: a) la psicoanalisi è un procedimento per l’indagine dei processi psichici inconsci ai quali non è possibile accedere in altri modi; b) la psicoanalisi è un metodo terapeutico per il trattamento dei disturbi mentali; c) la psicoanalisi è una disciplina scientifica costituita da una serie di conoscenze psicologiche; d) la psicoanalisi è un movimento scientifico al quale appartengono le persone che esercitano la professione di psicoanalista. La conoscenza dei contributi della psicoanalisi, fondati sull’attenzione al singolo individuo, al mondo interno, alla relazione, alle nozioni di inconscio, conflitto, meccanismi di difesa, transfert, controtransfert, e così via, rimane patrimonio irrinunciabile per ogni psicologo clinico. • Psicologia clinica e psicoterapia Il rapporto tra psicologia clinica e psicoterapia è caratterizzato da un equivoco; spesso infatti si pensa che la pratica psicoterapeutica rappresenti la principale, se non l’unica possibilità applicativa della psicologia clinica. In realtà le applicazioni della psicologia clinica sono molto più ampie e numerose. Il termine psicoterapia si riferisce ad un intervento terapeutico che ha come oggetto il funzionamento psichico di una persona, e che si avvale della psiche del terapeuta: una terapia della psiche con la psiche. Tale terapia si basa sulle parole e si basa su alcuni presupposti: a) una teoria del funzionamento mentale umano; b) una teoria o un modello relativo a come il funzionamento mentale umano normale possa perturbarsi fino a produrre i quadri clinici descritti dalla psichiatria; c) una tecnica di trattamento derivata dalle precedenti premesse teoriche; d) una teoria che spieghi come la terapia adottata agisce in senso terapeutico. Non vi sono però soltanto le terapie formalizzate: la funzione terapeutica può distribuirsi lungo un continuum che va da un estremo al quale si collocano, appunto, le psicoterapie formalizzate, ad un altro estremo in cui il gradiente psicoterapeutico dell’intervento è ridotto; nella zona centrale del continuum si distribuisce la valenza psicoterapeutica che è parte integrante di ogni intervento psicologico. Per spiegare questa distribuzione della valenza psicoterapeutica, Cawley ha distinto 3 diversi livelli di psicoterapia: 1) Livello 1: Il livello 1 è quello dell’attitudine psicoterapica in professionisti che si occupano di individui sofferenti; è il caso delle professioni d’aiuto (medico, psicologo, assistente sociale, ecc.); le persone che soffrono manifestano la loro sofferenza in maniera diretta, senza distorsioni comunicative; 2) Livello 2: Il secondo livello è quello dell’attitudine psicoterapica che caratterizza la pratica quotidiana degli operatori specializzati nell’aiuto a persone sofferenti di disturbi psichici; tali persone manifestano la loro sofferenza attraverso una modalità di comunicazione distorta o disturbata; 3) Livello 3: a questo livello l’attitudine mentale psicoterapica si esprime allo stato puro nella forma di una psicoterapia formalizzata e istituzionalizzata che adotta un modello teorico e tecnico codificato. Sulla base di questa distinzione, si può affermare che: a) ogni psicologo clinico pratica la psicoterapia, nel senso che ogni suo atto possiede una valenza terapeutica che si colloca tra il livello 1 e il livello 2; b) solo alcuni psicologi clinici praticano la psicoterapia nel senso di una psicoterapia formalizzata, muovendosi al livello 3 di Cawley. Psicologia clinica e psicoterapia, dunque, non coincidono tra loro, e l’area della psicologia clinica è molto più vasta di quella www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ della psicoterapia. Tuttavia, se si parla di una generica valenza psicoterapeutica, psicologia clinica e psicoterapia tendono a sovrapporsi, in quanto ogni psicologo clinico deve essere consapevole delle implicazioni psicoterapeutiche di ogni suo atto. L’accesso ad una psicoterapia formalizzata può costituire per il paziente il punto di arrivo di un percorso lungo e complesso, che lo ha condotto a rendersi conto dell’esistenza di una sofferenza e di un problema di ordine psicologico. In alcuni casi, alla fine di lungo lavoro psicologico clinico pre-psicoterapeutico, il paziente può cominciare una psicoterapia formalizzata. Tale lavoro, pur precedendo la terapia, si configura come un vero e proprio lavoro psicologico ricco di valenze psicoterapeutiche. A volte con i pazienti gravi si svolgono degli interventi psicoterapeutici a breve termine che non hanno come obiettivo il cambiamento dell’assetto di personalità del soggetto, bensì la modulazione o il controllo di una variabile rilevante, allo scopo di rendere possibile il trattamento stesso. 3) I livelli della diagnosi: diagnosi nosografica, psicopatologica e psicodinamica • Introduzione La comparsa dei manuali diagnostici standardizzati ha sempre suscitato tra gli psicoanalisti e i fenomenologi disinteresse, se non vera e propria ostilità. Questi atteggiamenti non sono rivolti soltanto ai manuali diagnostici, ma anche all’idea stessa di diagnosi in psichiatria, e sono legati a due assunti: (a) La diagnosi è un’operazione di riduzione: la diagnosi consiste in un’operazione di riduzione della complessità delle esperienze coscienti e delle dinamiche inconsce che caratterizzano la vita di un individuo. Il processo della diagnosi riduce la totalità del mondo individuale e personale del paziente focalizzando l’attenzione del clinico esclusivamente sui sintomi. Tuttavia la malattia è più della somma dei suoi sintomi, e il mondo della persona che soffre non si riduce ai sintomi che essa manifesta. (b) La diagnosi ostacola il processo conoscitivo: i clinici, dopo aver formulato la diagnosi, si sentono appagati, non mostrano più alcun desiderio di conoscenza o approfondimento, dando per scontato che aver dato un nome ad un insieme di fenomeni significhi conoscerli. Spesso i sistemi diagnostici nosografici si rivelano inadeguati a descrivere le forme di passaggio e la dinamicità intrinseca ai diversi quadri clinici. Per tale motivo la diagnosi categoriale comporta comunque un certo grado di riduzionismo. La parola diagnosi può indicare sia il processo dell’indagine e della scoperta (diagnosis-asprocedure) che il prodotto di questo processo, il risultato di una riflessione (diagnosis-asdenotation). La preoccupazione che la diagnosi nosografica rappresenti un ostacolo alla conoscenza non riguarda tanto il processo diagnostico di per sé, quanto piuttosto l’uso che viene fatto del prodotto di questo processo. Mentre le diagnosi psichiatriche identificano il disturbo che affligge una persona, le “diagnosi” psicoanalitiche cercano di dire qualcosa anche sull’essenza del disturbo stesso. Dunque le caratteristiche dei sistemi diagnostici sono le seguenti: a) ogni categoria diagnostica ha un carattere necessariamente nominalistico, nel senso che non rappresenta un’entità naturale ma un costrutto teoretico; b) la diagnosi ha un valore euristico, cioè serve a guidare ulteriori indagini, pertanto le categorie diagnostiche devono cambiare nel tempo per servire al meglio a questo scopo; c) ogni sistema diagnostico ha carattere prospettico, cioè seleziona alcuni aspetti della realtà e ne ignora altri; d) le categorie diagnostiche sono fortemente intrise da giudizi di valore, in quanto riflettono ciò che sulla base del nostro sistema di valori consideriamo normale e patologico. www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ La diagnosi non va considerata come un male in se stesso, bensì questa va inserita all’interno di un processo diagnostico, il quale può essere rappresentato come una tripla clessidra. (1) La prima fase consiste in una dettagliata descrizione dei fenomeni clinici, in particolare le esperienze e i comportamenti del paziente in esame. Questa descrizione dovrebbe condurre all’individuazione di una serie di fenomeni psichici abnormi che hanno valore di sintomi, e tramite questi ad una sintesi ipotetica e provvisoria che può essere definita “diagnosi descrittiva o nosografica”; questa corrisponde al primo punto di strozzatura della clessidra. (2) La diagnosi descrittiva è seguita da un’ulteriore indagine finalizzata a recuperare il senso che i fenomeni clinici hanno per quella persona, nel suo mondo e nel contesto delle sue relazioni. Dunque in questa fase avviene un’accurata indagine delle caratteristiche dell’essere-nel-mondo del paziente (il suo modo di vivere il tempo, lo spazio, le altre persone, il proprio corpo, ecc.). Questa fase può essere definita ermeneutica in quanto va alla ricerca dell’organizzatore di senso complessiva delle esperienze e delle azioni della persona sofferente. Attraverso la ricerca del senso (cioè degli organizzatori psicopatologici) i singoli fenomeni e sintomi perdono il carattere caotico e disparato e assumono un carattere coerente, in quanto facenti parte di un insieme dotato di una struttura. Questo processo può essere definito “diagnosi psicopatologicofenomenologica” e rappresenta il secondo punto di strozzatura della clessidra. (3) La fase successiva consiste nella ricerca dei percorsi psicopatologici che hanno condotto la persona alla sua condizione di sofferenza. Viene ricostruita la storia personale del paziente attraverso una narrazione che mette in un rapporto di significatività temporale i fenomeni psichici considerati. Questi vengono ricondotti ad uno o più punti di svolta storico-biografici, come ad esempio un trauma o un conflitto. In ciò consiste la “diagnosi psicodinamica”, che rappresenta la terza strozzatura della clessidra. Alcune precisazioni terminologiche: semeiotica, psicopatologia, nosografia e nosologia Con il termine “psicopatologia” si fa riferimento alla patologia psichica nel suo complesso, dunque esso coincide con l’oggetto della clinica. Tuttavia questo termine può anche essere usato per indicare una descrizione precisa e dettagliata dei fenomeni psichici abnormi, e in questa accezione la psicopatologia finisce per coincidere con la semeiotica psichiatrica. [Vedi cap. 2, paragrafo “Psicologia clinica e psicopatologia”]. La semeiotica prende in considerazione i fenomeni psichici abnormi in quanto sintomi e cioè nel loro significato clinico, diagnostico ed eziologico, sullo sfondo di un modello interpretativo del sintomo e del disturbo psichico che mira a individuare dati oggettivi e a ricondurli ad una specifica entità nosografica e ad una specifica eziologia. Mentre la semeiotica si focalizza sulla malattia, la psicopatologia si interessa al modo in cui i fenomeni psichici abnormi si collocano nel mondo di una persona. Negli USA il termine psicopatologia viene infatti usato per indicare “lo studio scientifico del comportamento anormale”. Nell’Europa continentale, invece, esso indica la disciplina che isola i fenomeni mentali per poi raggruppare i fenomeni correlati su una base puramente esperienziale; i fenomeni psichici abnormi ai quali la psicopatologia di ascendenza jaspersiana attribuisce particolare importanza sono le esperienze dei pazienti, ciò che è immediatamente rinvenibile nel loro campo di coscienza, ovvero ciò che viene direttamente raccontato da loro. Il metodo della psicopatologia si fonda principalmente sulla comprensione intesa come riattualizzazione delle esperienze del paziente attraverso l’empatia, ed è volto a cogliere e individuare i fenomeni mentali soggettivi per organizzarli in categorie • www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ semantiche. Delle esperienze riportate dai pazienti si considerano soprattutto gli aspetti formali piuttosto che gli aspetti relativi al contenuto; si ritiene infatti che i contenuti di un’esperienza psichica possano variare in base alla storia personale, al contesto storico e culturale, mentre gli aspetti formali rappresenterebbero elementi invarianti. Con il termine “nosografia” si indica la descrizione delle singole malattie con finalità esclusivamente diagnostiche, cioè pratiche e non teoretiche. La nosografia traccia i confini delle sindromi in maniera provvisoria e convenzionale, al solo scopo di fornire i criteri per la diagnosi empirica. La “nosologia”, invece, mira ad individuare delle entità naturali; essa rende esplicito il sistema di concetti e teorie che supportano la propria strategia di classificazione. • Una diagnosi illuminata dalla psicopatologia Per capire quale contributo la psicopatologia può offrire alla diagnosi, è necessario fare una preliminare distinzione tra psicopatologia clinica e psicopatologia fenomenologica. (1) La psicopatologia clinica mira all’identificazione di sintomi significativi al fine di una diagnosi nosografica. Essa non si impegna nella ricerca del senso complessivo che sta alla base dell’insieme di esperienze psichiche abnormi del paziente, e così facendo corre due rischi: a) Il primo rischio è quello di precipitare in uno stato crepuscolare in cui tutta l’attenzione è rivolta soltanto verso i sintomi che si suppone abbiano un valore diagnostico e discriminatorio, mentre vengono trascurati tutti i fenomeni psichici che connotano una certa condizione di sofferenza mentale o un certo modo di esistenza umana patologica; b) Il secondo rischio è quello che la psicopatologia rimanga ancorata alla griglia nosografica dominante, ostacolando così il progresso della conoscenza psicopatologica e antropologica. (2) Per quanto riguarda la psicopatologia fenomenologica, il suo maggiore contributo consiste in ciò che essa può dire riguardo al senso delle esperienze umane abnormi, indipendentemente dalla loro attribuzione nosografica. Su un primo livello, i concetti psicopatologici descrivono le esperienze, nel senso che riconducono esperienze dello stesso tipo, sulla base del loro aspetto formale, sotto delle etichette universali. Su questo piano, i concetti psicopatologici hanno valore paradigmatico, ovvero aiutano a definire il fenomeno in se stesso e a fare distinzioni tra fenomeni diversi. Su un piano ulteriore, i concetti psicopatologici hanno un valore sintagmatico, in quanto consentono di stabilire come un certo fenomeno è coinvolto in una struttura o in un processo. Ad un secondo livello, i concetti psicopatologici organizzano diversi tipi di esperienze in complessi o costrutti teoretici secondo le loro strutture di senso; questi organizzatori di senso, detti “organizzatori psicopatologici”, sono degli schemi sintetici di comprensione, che conferiscono una significatività unitaria a gruppi di fenomeni patologici che co-occorrono nella stessa persona. Mentre gli organizzatori nosografici orientano la diagnosi e la prognosi, gli organizzatori psicopatologici mirano alla comprensione delle esperienze patologiche. Il metodo adottato per la ricerca degli organizzatori psicopatologici è quello fenomenologico, in quanto l’obiettivo è quello di rintracciare il significato alla base della varietà dei fenomeni. A tutt’oggi non è ancora stato compiuto un lavoro di sistematizzazione dei vari organizzatori psicopatologici. [Leggi esempio nel libro, pag. 99-101]. Gli organizzatori psicopatologici rappresentano dei tipi ideali, cioè dei dispositivi euristici che hanno lo scopo di guidare il processo di conoscenza e comprensione di singole e individuali esistenze psicopatologiche. Tuttavia, oltre a guidare la comprensione, gli organizzatori psicopatologici ne sono anche il www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ risultato, in quanto la costruzione di un organizzatore psicopatologico inizia dal dettagliato dispiegamento dell’esperienza del paziente. La ricerca psicopatologica assume il suo valore e la sua importanza mantenendosi indipendente da ogni preoccupazione nosografica. La psicopatologia come scienza si propone non soltanto in quanto approccio legittimo allo studio dei disturbi mentali, ma anche come elemento indispensabile per fare ordine nella conoscenza dei fenomeni. • La dimensione psicodinamica della diagnosi La diagnosi psicodinamica considera i fenomeni psicopatologici, anche i più gravi, come punto di arrivo di un percorso; più che a categorie diagnostiche discrete, la diagnosi psicodinamica è interessata all’analisi delle componenti in gioco in ogni condizione psicopatologica. Dunque la dimensione psicodinamica conferisce alla diagnosi la flessibilità necessaria per poter prospettare un progetto terapeutico mutativo. La diagnosi psicodinamica ha messo in luce alcuni importanti “nodi epistemologici”: (1) L’attenzione deve essere rivolta alla continuità piuttosto che alla discontinuità delle esperienze, quindi a come un sintomo può cambiare nel tempo, a come non vi siano netti confini tra normalità e patologia né tra una sindrome e l’altra. (2) La diagnosi va considerata come una valutazione provvisoria, soggetta a oscillazioni, instabilità e profondi mutamenti; nel corso della maggior parte dei trattamenti psicoterapeutici si assiste al modificarsi dello schema di riferimento diagnostico inizialmente assunto dall’osservatore, nel senso che questo si completa, si integra, si complica o cambia completamente. (3) La diagnosi psichiatrica non costituisce il punto di arrivo, ma il punto di partenza del lavoro terapeutico. (4) Acquista notevole importanza la dimensione storica della diagnosi: qualunque diagnosi non può prescindere dalla storia della persona e tenere conto soltanto di una dimensione impersonale (biologica, pulsionale, ambientale). In ogni quadro clinico si riattualizza una storia, un passato che rivive nella sofferenza attuale del paziente e nelle relazioni che egli stabilisce con gli altri. Ogni colloquio con il paziente e con i suoi familiari rappresenta un’occasione per tracciare e ripercorrere una possibile via di accesso al disturbo, una sua chiave di lettura. Gli attuali sistemi diagnostici non includono la storia degli individui tra gli elementi importanti ai fini della diagnosi, considerando il passato soltanto nei termini di sintomi preesistenti di malattia o di eventi di vita stressanti. Nel rispetto dell’obiettività ateorica, in questi sistemi non viene attribuita alcuna importanza alla storia individuale, e così le diagnosi rimangono prive di profondità, slegate dalla storia e dal passato delle persone. Ogni paziente viene così considerato come il “portatore” e non come l’“autore” del proprio disturbo, e quindi viene privato del senso personale e del significato comunicativo del proprio disturbo; in altre parole non si tiene conto del fatto che il disturbo rappresenta una forma distorta di comunicazione di una sofferenza non esprimibile altrimenti. Considerare il paziente come l’“autore” del proprio disturbo non significa attribuirgliene la colpa, bensì tenere conto del contributo che egli ha dato, in modo conscio e inconscio, alla formazione del disturbo stesso. (5) Il sintomo va concepito come una forma di comunicazione dotata di un suo senso personale. I sintomi non vanno visti come la diretta espressione di una disfunzione cerebrale sottostante, ma come l’espressione della vita mentale della persona e della sua sofferenza. Dunque al sintomo va attributo il significato di una comunicazione, interna e allo stesso tempo interpersonale, sulla propria vita mentale; tale comunicazione è distorta in quanto parziale, deformata. Nell’avvicinarsi al sintomo, il clinico deve entrare in una relazione empatica con il paziente, deve immedesimarsi con lui per aiutarlo a capire laddove egli non è in grado di farlo www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ a causa della distorsione della comunicazione sostenuta dai suoi stessi processi psichici. Il sintomo appare come un fenomeno complesso e variegato, come una formazione di compromesso costruita a strati attraverso la quale nascondere e al tempo stesso svelare, un modo per dire e non dire. (6) La diagnosi possiede un valore relazionale; l’insieme dei fenomeni collegati alla diagnosi non appartiene soltanto al disturbo che il paziente presenta, ma va inserito (ed acquista un senso) all’interno di una relazione nella quale i sintomi assumono un preciso significato comunicativo. I fenomeni sui quali fondare la diagnosi non possono essere ricavati soltanto dall’osservazione del paziente dall’esterno, ma anche da quanto accade nel campo intersoggettivo e nella relazione specifica che si stabilisce tra psicologo e paziente. • La diagnosi psicodinamica: promesse e minacce Mentre alcuni psicoanalisti collocano la diagnosi alla fine di un percorso infinito, altri hanno sviluppato un differente approccio verso la diagnosi, a partire dal riconoscimento del suo valore descrittivo. Essa rappresenta un livello al quale il processo diagnostico non si può fermare, ma che ne è parte necessaria e integrante. Come ha scritto Danilo Cargnello [vedi pag. 2], il clinico oscilla sempre tra due posizioni: l’essere-con-qualcuno e l’avere-qualcosa-di-fronte, e cioè tra il valorizzare il sentire e conoscere l’altro nella relazione e il considerare ciò che si osserva in termini distaccati e oggettivi. Il momento dell’oggettivazione è una parte irrinunciabile di ogni operazione conoscitiva, ma non è sufficiente. Nel 2005 Gabbard ha pubblicato un volume, “Psichiatria psicodinamica”, che ha avuto un enorme successo in quanto veniva incontro alla domanda dei clinici che, arrivati ad “averequalcosa-di-fronte”, percepivano il limite di questo approccio, soprattutto per quando riguarda la formulazione di un progetto psicoterapeutico. Analogamente Nancy Mc Williams, proseguendo il lavoro pionieristico di Kernberg sui disturbi di personalità, ha sviluppato un accurato sistema diagnostico di carattere psicodinamico nel quale la diagnosi viene intesa come un processo che non ha i tempi infiniti di un intero trattamento e che sin dall’inizio svolge un ruolo importante nella formazione dell’alleanza terapeutica. Un punto di svolta è rappresentato dalla pubblicazione dello Psychodynamic Diagnostic Manual (PDM) nel 2006, un manuale frutto del lavoro di una task force composta dalle più prestigiose associazioni psicoanalitiche statunitensi. Esso è stato pubblicato in Italia due anni dopo (Manuale Diagnostico Psicodinamico). Il PDM nasce da una critica radicale ad un’eccessiva restrizione dell’attenzione, da parte del DSM, ai sintomi osservabili, indipendentemente dal contesto più generale di vita della persona (il suo contesto personale, storico-evolutivo, relazionale, ambientale). Infatti, nonostante il paziente cerchi un trattamento spinto dalla propria sofferenza soggettiva, questo aspetto non viene considerato nei tradizionali manuali diagnostici. Un approccio alla valutazione diagnostica e al trattamento dovrebbe invece partire proprio dalle parole dei pazienti. Per questo il PDM è strutturato in 3 assi: il primo asse è dedicato alla diagnosi dei pattern e dei disturbi di personalità (Asse P), il secondo asse è dedicato alla valutazione globale del funzionamento mentale (Asse M), il terzo asse è dedicato alla valutazione dei sintomi soggettivi (Asse S). I primi due assi adottano lo schema di riferimento classico elaborato in ambito psicodinamico da Kernberg: lungo un continuum si distingue un livello di organizzazione di personalità normale, nevrotico e borderline; rispetto alla teoria di Kernberg viene scartata l’organizzazione di personalità psicotica. Il terzo asse, dedicato ai pattern sintomatici, mette al centro dell’attenzione l’esperienza soggettiva, www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ basandosi sulla premessa che i sintomi non sono disturbi a sé stanti, ma espressioni esplicite dei modi in cui i pazienti affrontano le esperienze. Nonostante ciò, l’analisi dell’esperienza proposta da questo asse appare deludente: troppo legata alla descrizione del sintomo in terza persona, non riesce a cogliere gli aspetti essenziali del vissuto soggettivo. 4) Strumenti per la diagnosi e la terapia: il linguaggio e la parola • Il linguaggio: un problema per gli psicologi e gli psichiatri Il linguaggio ricopre un ruolo molto importante nella clinica, in quanto rappresenta il principale strumento utilizzato dagli psicologi e dagli psichiatri nella loro professione. Per tale ragione è molto importante che il clinico abbia una sufficiente capacità di usare le parole; la formazione del clinico dovrebbe prevedere lo studio della linguistica e della comunicazione in generale. “In un lavoro largamente fatto di parole, il lavoratore deve sapere come usarle e deve saper riconoscere come gli altri le usano” (Semi). Psicologi e psichiatri dovrebbero conoscere il ruolo che il linguaggio svolge nella clinica, essere più consapevoli dei vari modi di comunicare con le parole e saper utilizzare tecniche linguistiche specifiche qualora se ne presenti l’esigenza. • Conoscere la lingua e la linguistica Qualunque sia l’attività da compiere, il clinico deve avere una buona conoscenza della lingua parlata dal paziente. Questo perché il lavoro dello specialista, dall’inquadramento diagnostico alla terapia, è strettamente legato alla possibilità di condividere l’esperienza dell’altro soprattutto attraverso il linguaggio. La conoscenza di una lingua non si limita ad un sapere astratto relativo ai significati delle parole e delle regole che permettono di costruire frasi di senso compiuto. In realtà si può sostenere di avere imparato una lingua straniera soltanto dopo aver compiuto una sufficiente esperienza di vita nel contesto sociale, culturale e ambientale in cui è presente un determinato codice linguistico. Le parole, le frasi, i discorsi veicolano significati ed emozioni diversi a seconda della lingua e del luogo in cui vengono pronunciati. Il clinico vuole conoscere i vissuti sperimentati da una persona quando, nel comunicare le proprie esperienze, usa delle parole piuttosto che altre. La lingua racchiude la storia e la cultura di una comunità, dunque apprendere una lingua straniera significa conoscere una cultura diversa, fondata su una concezione del mondo e della vita più o meno differente dalla nostra. Ma le parole sono anche in grado di strutturare l’esperienza, mettendo a disposizione una serie di categorie concettuali sulla base delle quali si costituirà il Sé dell’individuo. Secondo la famosa tesi del determinismo linguistico di Sapir e Whorf, le categorie linguistiche determinano le modalità con cui un uomo percepisce e concettualizza il mondo. La versione più debole di questa teoria, quella del relativismo linguistico, sostiene che le differenze tra le lingue provochino differenze nel pensiero di chi le parla. Nell’ambito della cultura europea, Lacan, rielaborando lo strutturalismo linguistico di Saussure (considerato il fondatore della linguistica moderna), sostiene che il linguaggio struttura la nostra esistenza, cosicché la rete di significati in cui siamo immersi dipende dalla varietà linguistica che contraddistingue una determinata lingua. L’uomo pensa grazie al fatto che esistono delle categorie linguistiche che gli danno la possibilità di concepire l’esistenza delle sue idee; dunque il pensiero è fortemente influenzato dalla lingua in cui è espresso. Le tesi centrali dello strutturalismo sono le seguenti: a) il pensiero è strutturato dalla lingua di appartenenza; b) lingue diverse determinano concezioni del mondo differenti; c) ogni codice www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ linguistico possiede delle peculiarità culturalmente determinate; d) l’essere umano è un prodotto della cultura di cui fa parte; e) le capacità linguistiche dell’uomo derivano dall’ambiente in cui vive. Alcuni autori però criticano queste tesi; ad esempio, Steven Pinker, riprendendo le teorie del suo maestro Chomsky, sostiene la posizione dell’approccio cognitivista, secondo cui il linguaggio è un istinto specifico della specie umana che deve essere tenuto separato da altre capacità cognitive, autonome rispetto ad esso. Il linguaggio dunque è un mezzo per esprimere dei pensieri che esistono a prescindere dalle capacità linguistiche di un individuo o di una determinata comunità. Questo dibattito ripropone la storica contrapposizione tra innatisti e ambientalisti; probabilmente ognuno di questi due approcci dice qualcosa di vero. I fattori genetici hanno un peso notevole nella determinazione delle capacità linguistiche dell’essere umano; inoltre è molto probabile che vi siano forme di pensiero pre-verbale ed extra-verbale che non sono legate al codice linguistico usato in una determinata popolazione. Ma il linguaggio, oltre ad essere il mezzo, è anche l’elemento costitutivo dei pensieri del singolo e della sua cultura di appartenenza. Dunque il rapporto tra lingua e realtà è di reciproco scambio. Abbiamo già detto quanto è importante che il clinico conosca la lingua del paziente. Se clinico e paziente parlano due lingue diverse, il clinico dovrà essere cauto, fare più domande, usare frasi semplici, aiutarsi attraverso altri canali comunicativi. Inoltre dovrà cercare di conoscere meglio la cultura del paziente, anche recuperando notizie sulla comunità in cui è vissuto, sugli usi, i costumi, la religione praticata, e così via. Le tematiche relative alla lingua non sono importanti soltanto in relazione ai pazienti stranieri, ma valgono in parte anche per la questione delle numerose sub-culture presenti in Italia, dove spesso si parla prevalentemente in dialetto. La comprensione di un dialetto (così come di una lingua straniera) non si esaurisce nella conoscenza del significato dei termini utilizzati, ma riguarda anche la trasmissione di un insieme di valori e credenze legate al mondo condiviso di una determinata comunità. In casi del genere il lavoro clinico sarà un po’ più complesso, in quanto si rende necessario un lavoro di sintonizzazione emotiva, resa però difficoltoso dalla diversità linguistica e culturale. • Il significato delle parole Ognuno di noi sa, in maniera intuitiva, che dietro l’uso di determinate parole vi è sempre un’intenzione comunicativa, che può essere interpretata più o meno correttamente dall’interlocutore. Esiste infatti una differenza tra il significato letterale di una certa frase e il concetto che l’individuo cerca di trasmettere in una conversazione. Per questo generalmente nessuno risponde a quanto si dice letteralmente, ma a quello che si ritiene l’interlocutore voglia comunicare. Dunque lo scambio linguistico si presenta come un processo continuo di assegnazione, rifiuto e negoziazione delle intenzioni comunicative altrui. La possibilità di fraintendersi, comune anche tra persone che si conoscono da tempo, esiste perché la comunicazione linguistica non si basa sulla decodificazione di un “codice-linguaggio” che veicola sempre gli stessi significati, ma sulla negoziazione in itinere del senso da dare a determinate parole, in base alle intenzioni comunicative inferite in uno scambio linguistico collocato nel contesto del rapporto tra i due parlanti. Le persone sono in grado di interpretare più o meno correttamente il significato di una frase perché questa è generalmente inserita in un determinato contesto linguistico: il contenuto del discorso che stiamo portando avanti ci permette di riferire una frase ad uno specifico ambito semantico. Inoltre nella comunicazione entrano in gioco anche elementi di natura extra-linguistica (es.: mimica, postura, azioni, ecc.) www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ e para-linguistica (prosodia, gesticolazione, ecc.) che favoriscono la comprensione. Del contesto linguistico fa parte anche l’ambiente nel quale si svolge la comunicazione. Generalmente noi parliamo con persone conosciute, con cui abbiamo qualche tipo di rapporto. Di queste persone conserviamo delle rappresentazioni le quali ci permettono di prevedere le loro mosse. Per far sì che arrivi un certo messaggio ad una persona, in base alle rappresentazioni che ho di lei e del rapporto che ci lega, userò alcune espressioni verbali piuttosto che altre. Esiste uno scarto tra le intenzioni del parlante e quello che egli riesce a dire; si parla a tal proposito di opacità intenzionale. Il clinico può comunicare le proprie intenzioni in maniera più o meno diretta, a seconda del paziente che ha di fronte. Con un individuo con una personalità tendenzialmente paranoide, è preferibile utilizzare un linguaggio chiaro, diretto, che non possa essere interpretato in senso persecutorio: è quindi necessario ridurre al minimo l’opacità intenzionale; con un altro paziente, invece, l’utilizzo di frasi dirette potrebbe causare un irrigidimento delle difese, ed è quindi necessario aumentare l’opacità intenzionale, usando uno stile comunicativo meno esplicito. Lo stesso vale per le parole del paziente: il clinico deve sapere quando cercare di ridurre l’opacità intenzionale del suo interlocutore e quando lasciare all’altro la possibilità di comunicare in modo più indiretto. Ovviamente più si conosce un paziente, più si è capaci di cogliere le sue intenzioni comunicative; quando si incontra un paziente per la prima volta è necessario ridurre al minimo le possibilità di non intendersi. A tal fine è possibile mettere in atto alcuni interventi, come ad esempio la parafrasi, che rimandano al paziente l’essenza di ciò che ha detto chiarificando e riassumendo le sue frasi; il paziente ha poi la possibilità di confermare o rifiutare la nostra interpretazione. In questo modo rendiamo esplicita l’intenzione comunicativa dell’altro, evitando malintesi che possano influenzare le ipotesi diagnostiche. Bisogna sapersi adattare a diverse modalità comunicative, tenendo anche in considerazione la situazione clinica del paziente e gli obiettivi che si vogliono raggiungere. • L’influenza delle parole Lo studio del linguaggio è diviso in tre discipline: a) la sintassi si occupa delle regole che stabiliscono come le espressioni linguistiche (parole o frasi) possono essere combinate da un punto di vista strettamente grammaticale; b) la semantica studia il significato delle parole e delle frasi; c) la pragmatica è lo studio del linguaggio in rapporto all’uso che ne fa il parlante in situazioni concrete. Quindi mentre la sintassi e la semantica studiano un linguaggio asettico, che non tiene conto delle circostanze di vita reale in cui avvengono gli scambi linguistici, la pragmatica si occupa di un linguaggio dinamico e indissolubilmente legato al contesto comunicativo della conversazione. La pragmatica è interessata a due ambiti di ricerca: (1) Fare parole con le cose: questo ambito riguarda lo studio dell’influenza del contesto sulla parola. Per interpretare correttamente il significato delle espressioni linguistiche, bisogna considerare una serie di informazioni presenti nel contesto in cui avviene la conversazione: quindi le stesse parole significano cose diverse in situazioni differenti. (2) Fare cose con le parole: questo ambito riguarda lo studio dell’influenza della parola sul contesto. I parlanti, infatti, usano il linguaggio al fine di modificare il contesto in cui avviene la conversazione. In questo senso, pronunciare un discorso è un modo per influenzare le credenze e le azioni dell’interlocutore o per regolare la relazione che abbiamo con lui. All’interno di questo secondo ambito, è possibile mettere in evidenza due aspetti: (a) parlare significa agire: il proferimento linguistico può coincidere con la messa in atto di un comportamento; si parla a tal proposito di atti linguistici. www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ Mediante le parole è possibile fare molte cose: domandare, avvertire, affermare, ordinare, minacciare, e così via; l’azione compiuta parlando si definisce atto illocutorio. (b) parlare significa cambiare: gli atti linguistici hanno delle conseguenze psicologiche, comportamentali, relazionali, e così via. A seconda delle cose dette e di come si dicono, l’interlocutore crederà certe cose, proverà determinate emozioni, agirà in un certo modo. Dunque ogni persona, parlando, influenza inevitabilmente chi ascolta. Quindi “fare parole con le cose” significa che le frasi pronunciate possono essere considerate degli atti che esercitano un’influenza sullo stato d’animo, le opinioni, i comportamenti, le decisioni altrui. Oltre a provocare dei cambiamenti nell’altro, pronunciare delle parole provoca delle modificazioni anche in chi parla; è come se la persona, ascoltandosi, venisse a conoscenza di cose nuove, che la spingono a cambiare idea su certi fatti o a mettere in atto determinati comportamenti. Ciò avviene perché, attraverso il linguaggio, l’essere parlante ricostruisce la propria esistenza, reinventa la propria storia, regola le proprie emozioni, in altre parole dà una forma alle proprie esperienze cosicché queste risultino il più possibile integrate con il proprio Sé. Questo lavoro di sistematizzazione dei propri vissuti attraverso l’atto linguistico può rivelarsi terapeutico, in quanto potrebbe portare al cambiamento di alcune modalità disfunzionali di essere con gli altri e con se stessi. Attraverso il linguaggio è possibile influenzare gli altri: è sulla base di questo presupposto che è possibile concepire la psicoterapia. Se non credessimo all’enorme potenziale della parola, l’esistenza della figura dello psicologo non avrebbe senso. Per tale ragione bisogna fare molta attenzione al modo in cui si parla, nonché al contenuto della comunicazione; a seconda di come si usano le parole, si possono avere effetti diversi, più o meno voluti e più o meno riusciti. Lo psicologo deve comunicare attraverso un linguaggio che sia capace di lasciare il segno, così da promuovere il cambiamento di una realtà che sembrava immutabile; egli deve strutturare un discorso efficace, un discorso che, emozionando, attragga l’attenzione dell’altro rendendolo ricettivo al cambiamento (movere, delectare, docere). Si tratta della retorica, l’arte di saper parlare in modo da persuadere chi ascolta; la capacità retorica è una componente essenziale del lavoro dello psicologo. Gli approcci terapeutici in cui il terapeuta svolge un ruolo attivo (es.: terapia strategica, ipnotica, costruttivista, ecc.) si sono interessati maggiormente allo studio delle strutture linguistiche attraverso le quali è più facile perturbare il paziente, indurlo a comportarsi in maniera diversa, e così via. • Il linguaggio della relazione Generalmente gli esseri umani stabiliscono le relazioni attraverso la parola; sebbene sia possibile comunicare in diversi modi, il linguaggio rimane sempre la modalità elettiva di essere con l’altro. In terapia generalmente il clinico non abbraccia o bacia il paziente per dimostrargli che capisce cosa sta vivendo, bensì, per quanto possibile, cerca di rimanere nel campo della parola. Alcuni interventi danno la possibilità di costruire un rapporto di fiducia con il paziente, facendolo sentire compreso, accettato, riconosciuto. Dunque lo sviluppo di una relazione empatica richiede anche l’uso accorto di un linguaggio partecipe. Tale linguaggio, per essere efficace, deve possedere alcune caratteristiche. Innanzitutto bisogna evitare il linguaggio specialistico: l’uso di termini tecnici non fa altro che porre delle barriere che aumentano la distanza tra clinico e paziente. Non è il paziente a dover imparare il linguaggio del clinico, ma è il clinico che deve avvicinarsi al modo di comunicare del paziente. Questa è quella che Semi ha definito “regola del linguaggio”: “in linea di massima, il linguaggio che si adopera durante un colloquio è quello del paziente”. A tal fine, può essere www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ utile usare le parole che il paziente ha impiegato nel corso della conversazione clinica, soprattutto quelle che hanno una forte valenza emotiva. L’impiego del lessico del paziente può avere delle conseguenze favorevoli nella formazione della relazione terapeutica, per ben 4 ragioni: 1) il paziente si sente ascoltato (“se il terapeuta usa le mie parole vuol dire che mi sta ascoltando, che prova interesse per quello che dico”); 2) il paziente si sente compreso (“lo psicologo ha utilizzato proprio quelle parole che suscitano in me delle emozioni intense; questo vuol dire che riesce a cogliere le cose che per me hanno valore, quindi è in grado di comprendere il mio stato d’animo”); 3) il paziente si sente accettato (“il terapeuta riconosce il mio modo di vedere le cose, aderisce alla mia concezione del mondo”); 4) il paziente si sente contenuto (“quello che dico, le mie esperienze angoscianti, trovano un posto nel mio terapeuta; parlare con lui mi permette di contenere la mia sofferenza, impedendole di sopraffarmi”). Queste esperienze non vengono vissute in modo consapevole dal paziente, non sono il frutto di una riflessione, ma nascono da un movimento emozionale che accomuna i due interlocutori, “facendo vibrare i loro animi all’unisono” (Jaspers). È comunque importante che il linguaggio del paziente venga adottato in maniera spontanea; quando ciò non avviene, il paziente si rende conto dell’artificiosità del discorso. L’uso delle parole del paziente in modo autentico avviene quando ci si identifica veramente con lui, ci si mette nei suoi panni, si prova ciò che lui sta provando, si vede il mondo con i suoi occhi. Il rapporto tra linguaggio ed empatia è di reciproco scambio. Un altro accorgimento consiste nel fatto che non bisogna esagerare nella ripetizione delle parole del paziente; sarà sufficiente cogliere pochi termini, magari una metafora utilizzata dal paziente, aspettare il momento giusto e riproporre, anche per una sola volta, l’espressione che ci ha colpiti. Ad ogni modo è necessario cogliere i feedback dei pazienti: alcuni potrebbero apprezzare lo stile comunicativo adottato dal clinico mentre altri potrebbero non tollerarlo. Dunque è molto importante quello che Faimberg ha chiamato “ascolto dell’ascolto”, cioè bisogna prestare molta attenzione a come il paziente ha ascoltato le nostre parole, sapendosi adattare alle sue reazioni. I fondatori della PNL hanno messo in evidenza che la relazione è favorita dal rispecchiamento dei predicati. Il paziente può usare 3 diversi tipi di predicati: 1) Visivi (es.: “adesso mi è tutto chiaro”, “vedo che ora mi ha capito”, “ho guardato dentro di me”, ecc.); 2) Uditivi (es.: “mi suona male”, “è musica per le mie orecchie”, “ascolto la mia anima”, ecc.); 3) Cenestesici, cioè relativi alle sensazioni (es.: “mi sono tolto un peso dallo stomaco”, “ho toccato con mano cosa significa”, “ho afferrato il concetto”, ecc.). A seconda del predicato utilizzato dal paziente, il clinico potrebbe formulare delle frasi espresse negli stessi termini. Il clinico deve adeguarsi al vocabolario del paziente: non è utile utilizzare un linguaggio elaborato con una persona con un basso livello di istruzione o con scarse proprietà di linguaggio, e allo stesso modo non avrebbe senso non utilizzare un linguaggio ricercato con una persona colta. Spesso si utilizza un linguaggio nettamente diverso da quello del proprio interlocutore per prenderne le distanze; a tal proposito, il clinico deve essere consapevole delle strategie comunicative che adotta, in modo da regolarne l’uso. Bisogna prestare molta attenzione allo stile utilizzato dal paziente, alla forma del suo linguaggio: come parla, se usa periodi lunghi o brevi, se descrive le cose in maniera molto dettagliata, se ha un linguaggio telegrafico, se cambia improvvisamente argomento, se fa uso di figure retoriche e di esempi, e così via. Gli interventi che lo psicologo può utilizzare per rispecchiare il linguaggio del paziente sono diversi; si va da semplici repliche inserite tra le frasi del paziente, alla formulazione di www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ domande che ripropongono un suo termine o un suo modo di dire, alle risposte che riflettono in maniera quasi identica le espressioni che ci hanno colpito. Un intervento molto efficace consiste nella riformulazione, attraverso la quale lo psicologo ripete ciò che ha detto il paziente utilizzando le sue parole, ma aggiungendo qualcosa: in questo caso si dà al paziente l’impressione di comprendere cosa egli stia provando, di accettare la sua concezione del mondo, ma allo stesso tempo gli vengono offerti degli elementi che fanno sì che egli possa vedere le cose in maniera leggermente diversa. Un altro intervento importante è la restituzione, che generalmente viene collocata alla fine del colloquio o di una serie di colloqui. L’utilizzo delle parole, dello stile, delle metafore del paziente non deve essere considerato come una strategia la cui applicazione garantisce lo sviluppo di un rapporto di fiducia. Bisogna infatti possedere la capacità di stare con l’altro e di formare un’alleanza basata sulla sensazione reciproca di essere con una persona affidabile. Se ci si identifica con il paziente, si tende naturalmente a prendere qualcosa di lui, le sue smorfie, le sue parole, e così via. Per il clinico non è importante solo “saper parlare”, ma anche saper tacere. Il silenzio è una condizione essenziale nella relazione, e in alcune circostanze è l’unico modo per comunicare al paziente il proprio rispetto. Tacere significa accogliere l’altro, ascoltarlo, dargli uno spazio in cui possa esprimersi o un momento in cui si possa soffrire insieme. Se il clinico è ansioso di riempire il tempo con delle parole, in quanto percepisce un vuoto, un’assenza, allora probabilmente ciò significa che non è riuscito a sintonizzarsi con lo stato d’animo del paziente. Il silenzio è il linguaggio delle sensazioni, della vicinanza emotiva, della comunicazione simbiotica. • Il linguaggio che rivela Il linguaggio utilizzato dal paziente ci può rivelare chi abbiamo di fronte. A tal fine è utile considerare separatamente il contenuto e la forma del discorso articolato dal paziente, in quanto questi due aspetti della comunicazione verbale possono veicolare informazioni diverse. Contenuto. Iniziamo con l’analizzare ciò che l’altro vuole dirci, tenendo conto del fatto che il significato delle parole è strettamente legato al contesto in cui avviene la conversazione. Spesso accade che il paziente arrivi dallo psicologo con una propria autodiagnosi; alcuni pazienti potrebbero esordire con le parole “sono venuto qui perché ho avuto degli attacchi di panico” o “soffro di depressione”, dunque parlando dei propri sintomi in termini psichiatrici, utilizzando delle etichette che possono celare situazioni molto diverse fra loro; altri pazienti invece potrebbero riferire i propri disturbi in termini psicologici: “non riesco più a fare l’amore con mio marito”, o “non sono più in grado di instaurare delle relazioni mature”, e così via. Al di là di come viene presentato il malessere, lo scopo è quello di esplorare le situazioni in cui il paziente prova disagio e comprendere cosa significa per lui vivere determinate esperienze. Ogni individuo, infatti, vive le proprie emozioni, anche quelle disturbanti, in maniera del tutto peculiare. Emergono dunque due aspetti: a) Potrebbe esserci una discrepanza tra ciò che il paziente dice di vivere (la sua autodiagnosi) e la sua esperienza soggettiva; ad esempio, il paziente che ritiene di aver avuto un attacco di panico in realtà ha soltanto vissuto un momentaneo stato di depersonalizzazione; b) Anche se l’autodiagnosi del paziente è corretta, è comunque necessario che egli descriva la sua esperienza soggettiva al fine di comprendere cosa ha provato. Anche quando il paziente presenta il proprio problema in termini psicologici è necessario indagare il significato che assumono certe frasi quando sono pronunciate dal paziente; ad esempio, quando il paziente dice “non sono più in grado di instaurare delle www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ relazioni mature”, bisogna capire cosa per lui sia una relazione matura. Per capire il senso peculiare che un determinato paziente dà alle sue parole è necessario assumere un atteggiamento fenomenologico: ciò significa che il clinico deve liberare momentaneamente la sua mente da tutti i preconcetti che conferirebbero un senso precostituito a ciò che sta dicendo il paziente. Dunque bisogna conoscere la realtà dell’altro senza farsi influenzare da ciò che già si sa o si immagina rispetto ad un determinato ambito dell’esperienza. Si parla a tal proposito di epoché fenomenologica, che nella clinica si declina in una temporanea sospensione del giudizio, che permette di mettere in evidenza i pregiudizi sulla base dei quali si filtrano le parole altrui e di conseguenza fa sì che la conoscenza dell’altro sia condizionata in minor misura dal proprio modo di vedere le cose. Fare epoché significa riflettere su delle questioni a cui normalmente non si presta attenzione perché rientrano nella sfera delle conoscenze che diamo per scontate. Si tratta di un atteggiamento deliberatamente assunto in alcuni momenti del lavoro clinico, in particolare quando si intende conoscere a fondo l’esperienza soggettiva dell’altro. A tal fine è necessario ricorrere ad uno strumento molto importante nella pratica clinica: le domande. Le domande vanno formulate accuratamente in quanto il modo in cui esse vengono elaborate definisce il campo delle possibili risposte; ciò significa che ogni domanda contiene in sé un insieme di possibili risposte tra cui il paziente deve scegliere. Il rischio è quello di suggerire implicitamente una risposta che, anziché svelare chi abbiamo di fronte, rivela la nostra incapacità di dare spazio al punto di vista dell’altro. Per questo motivo è meglio iniziare con domande molto aperte, facendo attenzione a indicare il meno possibile la via da percorrere e a non suggerire idee preconcette che influenzino il discorso del paziente. In alcune occasioni, però, sarà necessario essere più direttivi, porre domande che delimitano i contenuti da indagare. Attraverso un uso accorto dell’epoché fenomenologica e delle domande si può dare all’altro la possibilità di parlare con il suo linguaggio, e allo stesso tempo si diviene consapevoli dei pregiudizi che si hanno sull’argomento trattato. Forma. Assume particolare importanza il modo in cui il linguaggio del paziente si organizza o disorganizza; la struttura del discorso rispecchia sia l’identità del parlante che le aree conflittuali della sua esistenza. Attraverso il tipo di linguaggio utilizzato, l’altro ci comunica molto più di quanto pensa, soprattutto nei momenti in cui il discorso si destruttura: in queste circostanze l’individuo rivela i suoi conflitti, le emozioni intense fanno venir meno le regole della linguistica dando vita ad un linguaggio in cui gli errori parlano per il paziente. Anche i più piccoli errori quotidiani sono di estremo valore per la conoscenza delle dinamiche inconsce; i lapsus e tutte le altre formazioni di compromesso sono la testimonianza dell’esistenza di forze inconsce che usano il linguaggio allo scopo di far emergere pensieri o emozioni che sono poco tollerati dal soggetto (o, meglio, dal suo Io). È possibile ricavare utili informazioni sul paziente a partire da due componenti formali del discorso: (a) I sintomi del discorso: si tratta di parole, frasi, periodi che in qualche modo risultano deformati, disorganizzati o che non si addicono all’abituale modo di usare le parole da parte del soggetto. Attraverso i sintomi del discorso si possono formulare ipotesi sui possibili elementi inconsci che hanno destrutturato il linguaggio del paziente; in tal caso entrano in gioco i conflitti, le problematiche più o meno circoscritte attivate da ciò che si stava dicendo. (b) Lo stile comunicativo: si tratta del tipico modo che il paziente utilizza per comunicare; attraverso lo stile comunicativo del soggetto viene fuori la sua personalità, il suo modo di essere, di costruire la realtà in cui vive, la sua organizzazione psichica. Il modo abituale di parlare del paziente ci permette anche di ricavare delle informazioni riguardo al suo stile difensivo o sui disturbi che presenta. Alcuni esempi: il www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ linguaggio di un ossessivo comprenderà un’enorme quantità di dettagli, elementi aggiuntivi che potrebbero anche essere omessi; una persona affetta da depressione maggiore avrà un linguaggio caratterizzato da frasi brevi, spezzettate, che potrebbero interrompersi prima di arrivare a fornire le informazioni richieste; e così via. Oltre allo stile comunicativo, ci sono parole, frasi, predicati che non fanno necessariamente parte del modo abituale di parlare del paziente, ma che possono aiutare a comprenderlo. Esistono molti vocaboli per indicare lo stesso concetto, ma il termine usato, la forma assunta dalla frase può dare sfumature di senso differenti a ciò che si dice (es.: “non ho reagito in modo adeguato” oppure “sono stato un vigliacco”, ecc.). Il clinico deve saper cogliere queste sfumature, facendo attenzione a come il paziente parla delle proprie esperienze. • Il linguaggio perturbante Nonostante le differenze, ogni rapporto terapeutico è caratterizzato dallo sviluppo di una relazione che provoca qualche tipo di cambiamento, soprattutto attraverso il dialogo tra i due membri della coppia. Come già detto, parlare equivale ad agire e ogni atto linguistico è in grado di influenzare lo stato d’animo, le opinioni, i comportamenti e le decisioni altrui. Alcune parole, pronunciate in determinati momenti, riescono più di altre a destabilizzare l’organizzazione psichica di chi le ascolta, procurando dei micro-cambiamenti che inducono, giorno dopo giorno, a cercare un senso diverso alla propria vita. Si tratta di parole-chiave che mettono in moto un processo che permette al paziente di sperimentare nuovi modi di concepire la realtà. Solitamente i pazienti sono restii ad ascoltare chi vuole farli cambiare; innalzano delle barriere per “difendersi” da ciò che il clinico potrebbe dir loro. Essi sono terrorizzati dalla possibilità di cambiare, sperano di essere curati senza essere coinvolti nel processo terapeutico, come se lo psicologo potesse risolvere i loro problemi magicamente. Tuttavia nessun professionista della salute mentale ha simili poteri e quindi non si può iniziare una psicoterapia se il paziente non ha la minima intenzione di mettersi in discussione. Il clinico deve poi cercare di capire di quali strumenti linguistici dispone per stimolare il cambiamento. Attraverso la perturbazione si intende far sorgere dei dubbi, stimolare la riflessione, offrire spiegazioni diverse, suscitare la curiosità, facilitare la riformulazione di un problema, incoraggiare a guardare le cose da altri punti di vista, e così via. Si cerca, attraverso dei micro-interventi distribuiti nel corso del colloquio, di attivare quella parte del paziente che ha voglia di cambiare, sostenendone lo sviluppo, senza aver fretta di risolvere la questione in poche sedute. Micro-interventi compiuti già in fase di assessment o dalle prime sedute di psicoterapia possono essere considerati perturbanti. Nel corso di una psicoterapia, quando si è raggiunta una più approfondita conoscenza del paziente, è possibile compiere dei macro-interventi, cioè indurre delle perturbazioni che riguardano diversi aspetti della vita del paziente o che prendono in considerazione le ragioni “profonde” del suo modo di essere. Perturbazioni di questo tipo risentono molto della variabile tempo: bisogna scegliere il momento giusto per attuare l’intervento. Tutto dipende dal tipo di rapporto che si è riusciti ad instaurare, dalla disponibilità della persona a mettersi in discussione, dalla rigidità del suo assetto di personalità, dalla sua capacità di tollerare gli interventi del clinico, e così via. Il problema relativo ai tempi giusti è stato parecchio discusso in psicoanalisi per quanto riguarda l’interpretazione, un processo graduale e complesso attraverso cui si cerca di mettere in evidenza il senso latente di alcuni fenomeni; questo www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ intervento può essere considerato la forma principale di perturbazione attuabile in analisi. Il rischio di un’interpretazione inappropriata o comunicata troppo presto si riduce se si permette al paziente di partecipare attivamente alla costruzione del senso da dare alle sue esperienze: in tal modo l’intervento dello specialista non sarà vissuto come estraneo, in quanto il paziente sentirà che nel discorso del terapeuta c’è qualcosa che lui stesso ha contribuito a costruire. Alcune forme comunicative sono più efficaci di altre nel determinare un cambiamento psichico. Tra queste occupa un posto di primaria importanza la metafora, una figura retorica che permette di comunicare qualcosa in modo indiretto e che per questo è in grado di superare le resistenze del paziente, arrivando al cuore del problema senza allarmare le sue difese. Il potere suggestivo della metafora non dipende dal contenuto trasmesso, ma dal modo in cui veicola un determinato significato. Le metafore “offrono nuove possibilità di scelta, in particolare nuovi modi di guardare le cose, e possono stimolare tutta una serie di esperienze, credenze e idee che sono state sinora inattive nella mente di chi ascolta”; si parla a tal proposito di una vera e propria “ristrutturazione metaforica”. Altre forme linguistiche che possono avere un effetto suggestivo sono gli aforismi, i proverbi, le massime, i detti: si tratta di formulazioni capaci con poche parole di rappresentare in modo chiaro situazioni umane anche molto complesse e che risultano convincenti per chi le ascolta. Vi sono poi doppi sensi, giochi di parole, sottintesi, allusioni, insinuazioni, che trasmettono all’interlocutore significati poco chiari in quanto sono caratterizzati da una maggiore opacità intenzionale rispetto ad altre forme linguistiche; queste configurazioni comunicative possono essere utili quando si vuole comunicare un contenuto in maniera implicita perché si ritiene che il paziente non sia in grado di tollerare interventi più diretti. Altri interventi perturbativi sono il motto di spirito o la concretizzazione intenzionale: quando i pazienti parlano della propria situazione utilizzando formule retoriche, ampollose, apparentemente valide, che rivelano la rigidità del loro modo di essere, si demolisce lo stile retorico del paziente prendendo alla lettera alcune sue affermazioni. Le parole dello specialista assumono particolare importanza per il paziente, per questo è necessario fare molta attenzione ai contenuti veicolati dalle espressioni linguistiche utilizzate, così da evitare il rischio di lasciare intendere al paziente qualcosa che non si aveva l’intenzione di comunicare. L’uso di una parola “sbagliata”, nella maggior parte dei casi, non pregiudica nulla, ma potrebbe comunque influenzare in maniera negativa il lavoro. Dunque lo specialista dovrebbe limitare al minimo il rischio rappresentato da certe “implicature conversazionali” involontarie. Si può fare un uso consapevole di tali implicature per esercitare un influsso positivo sul lavoro psicoterapico, ad esempio parlando di sfide anziché di problemi, di risorse anziché di handicap, e così via. Vanno evitate le parole che contraddistinguono le formulazioni aversive, cioè tutte quelle proposizioni che rievocano stati di malessere. Quanto più una formulazione è negativa e suscita angoscia, tanto meno l’altro sarà disposto ad aderirvi; quindi si dovrebbe utilizzare un linguaggio che mostri i vantaggi di praticare la condotta auspicata (es.: anziché “il fumo procura cancro ai polmoni”: “in pochi giorni respirerà meglio”). Altre formulazioni utilizzate in psicoterapia sono le cosiddette forme linguistiche immaginose, cioè tutti gli interventi in grado di stimolare la produzione di immagini mentali; infatti, la psiche umana riesce a lavorare meglio con le immagini che con i concetti astratti. Tutte le tecniche linguistiche illustrate sono utili soltanto se il clinico le reinventa ogni volta nel rapporto che stabilisce con ogni paziente, integrandole con l’attività terapeutica e adattandole alle esigenze di una particolare relazione. www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ 5) Psicologia ed ermeneutica: il rapporto tra l’espressione e la comprensione umane • Il colloquio clinico tra oggettivismo e soggettivismo L’atteggiamento del clinico nei confronti della ricerca condotta nel colloquio può essere influenzato da un dilemma: egli deve scegliere tra oggettivismo e soggettivismo. Secondo la prospettiva oggettivista, che è prevalente nella nostra cultura e che coincide con ciò che comunemente viene considerato “scientifico”, esiste una verità assoluta che può essere conosciuta se si utilizzano i giusti mezzi. In tale prospettiva il mondo è fatto di oggetti, e la conoscenza non è altro che la conoscenza delle proprietà di questi oggetti; l’errore è dovuto alla componente soggettiva, cioè alle percezioni, alle emozioni, e ai pregiudizi che impediscono di essere oggettivi. Le parole e gli oggetti hanno significati pubblici, autonomi rispetto agli individui e ai possibili usi individuali. Dunque l’interesse dell’oggettivista consiste nello stabilire che qualcosa è vero, in quanto egli mira a discriminare il vero dal falso. La prospettiva soggettivista tiene in massima considerazione le sensazioni soggettive, la coscienza estetica e morale, in quanto ciò che guida l’esistenza umana è l’intuizione, non il ragionamento razionale. Attenersi a ciò che è “oggettivo” significa ridurre la vita all’impersonale. La vera esperienza, secondo la prospettiva soggettivista, è sempre personale, e per parlarne è necessario utilizzare il linguaggio dell’immaginazione: i significati delle parole sono sempre privati. Questi due atteggiamenti riflettono due tipiche preoccupazioni: l’oggettivismo si preoccupa di comprendere il mondo esterno, per paura di non riuscire a dominarlo e nella speranza di poter agire in modo vantaggioso; il soggettivismo, invece, si preoccupa di comprendere il mondo interno, per paura della separazione dall’ambiente e nella speranza di riuscire ad attribuire significato alle azioni. • Il colloquio clinico tra prima e terza persona Secondo Aristotele, i fatti della storia possono essere raccontati in due modi: possono essere raccontati o rappresentati direttamente dagli attori-protagonisti (racconto in prima persona), oppure possono essere raccontati da un narratore esterno (racconto in terza persona); tale distinzione è di fondamentale importanza per la teoria della conoscenza. La conoscenza in prima persona è la conoscenza dell’altro nella sua soggettività, una conoscenza fondata sull’immedesimazione, sull’empatia. Secondo questo approccio la relazione si configura come uno sforzo di comprensione basato sulla rinuncia a se stessi e sull’assunzione del modo di pensare dell’altro. Il metodo della conoscenza in prima persona prevede che attraverso l’osservazione e l’ascolto si raccolgano i dati forniti dal paziente e che poi si utilizzino questi dati per ricostruire nel proprio “spazio interno” il vissuto stesso del paziente, nel tentativo di vivere quel che il paziente sta vivendo. Questa ricostruzione però potrebbe essere influenzata dai pregiudizi e dai vissuti del clinico, inoltre non può essere verificata. La conoscenza in terza persona è la conoscenza realizzata attraverso paradigmi precostituiti. Tutte le discipline che vogliono essere “scientifiche” utilizzano un paradigma, una teoria, un insieme di nozioni che permettono di spiegare i fenomeni; un paradigma, infatti, fornisce delle leggi generali attraverso cui spiegare dei casi particolari. Lo psicologo che cerca di conoscere il proprio paziente secondo una prospettiva in terza persona ricondurrà pensieri, emozioni e comportamenti ad una teoria che possa spiegarli e che permetta di identificarne le cause. Ed è www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ proprio questo il limite della conoscenza in terza persona: essa è essenzialmente una conoscenza delle cause. Scegliere tra conoscenza in prima o in terza persona equivale, rispettivamente, ad assumere un atteggiamento soggettivista o oggettivista. Tuttavia allo psicologo clinico risulta evidente che oggettivismo e soggettivismo non considerano il modo in cui comprendiamo il mondo, in quanto entrambi gli approcci sono interessati a definire il vero e il falso; lo psicologo clinico, invece, vuole definire il modo in cui uno specifico paziente concepisce qualcosa come vero. Comprendere un’altra persona nel contesto di un colloquio significa capire cosa ha reso possibile ciò che la persona ha detto, in altre parole la “condizione di possibilità” dell’esperienza del nostro interlocutore. Tale condizione di possibilità riflette il suo mondo, la sua cultura, la sua tradizione di riferimento, il suo rispetto per alcune autorità, il suo linguaggio, e così via. Questa terza soluzione tra oggettivismo e soggettivismo che la psicologia clinica fa propria non vuole rinunciare ai concetti di verità e falsità, né all’oggettività della scienza: l’oggettività continuerà ad avere valore, ma soltanto nel contesto del sistema concettuale di una cultura. Lo psicologo clinico non vuole imporre un senso a delle esperienze, in quanto egli sa che il senso non può essere ricavato da una teoria; il senso delle esperienze del paziente si trova invece nel lavoro di ricerca che si fa insieme. In questo consiste il lavoro di interpretazione svolto dallo psicologo: una ricerca condivisa in cui gli orizzonti di due persone si incontrano. • Che cosa interpreta lo psicologo clinico? Nella storia del pensiero occidentale la riflessione critica sull’interpretazione è stata definita ermeneutica. Questo termine (dal greco hermenéia) riflette diversi significati relativi all’esprimersi, all’interpretare, al parlare, allo scrivere e al tradurre. L’ermeneutica può essere definita come una teoria generale della comprensione e dell’interpretazione umane, ma, più in generale e con maggiore valenza per la psicologia clinica, può anche essere intesa come la disciplina filosofica che si occupa di riflettere sui processi e le modalità di attribuzione di senso al mondo umano. Psicologia ed ermeneutica sono accomunate dal fatto che entrambe si confrontano con il problema dell’attribuzione di senso; interpretare, infatti, significa attribuire un senso ai segni espressi e la riflessione dello psicologo mira ad attribuire senso alle espressioni umane. Il lavoro di interpretazione dello psicologo clinico può consistere nel riconoscimento di un solo ed unico significato autentico delle espressioni del paziente: in questo caso è implicito il riconoscimento della presenza di un senso e di significati oggettivi che coincidono con l’intenzione che una persona, consapevolmente o inconsapevolmente, ha attribuito ad un’espressione. Secondo questa concezione dell’interpretazione, la psicologia clinica deve raccogliere sensi e intenzioni del paziente allo scopo di dare una risposta precisa alla domanda “cosa ha voluto dire?”. Per far questo la psicologia deve spiegare, cioè deve considerare ciò che osserva come un effetto e andare alla ricerca delle cause. In alternativa, lo psicologo clinico può avviare il suo lavoro di interpretazione senza ritenere di poter arrivare ad una conclusione, in quanto la definizione del significato di un’espressione non è nota neanche a chi quell’espressione l’ha prodotta. Poiché in questo caso non ci sarebbe un unico significato da individuare, la domanda a cui lo psicologo cerca di rispondere è “cosa possiamo dire riguardo a ciò che ha detto?”. Per rispondere a questa domanda lo psicologo non www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ può più limitarsi a spiegare, cioè non può più cercare di individuare un rapporto univoco tra causa ed effetto. • Come interpreta lo psicologo? Lo psicologo clinico deve porsi alcune domande per conoscere meglio se stesso e il proprio modo di operare, come ad esempio “durante un colloquio interpreto qualunque espressione del paziente o trascuro qualcosa?” o “Quando interpreto, riproduco o produco il significato delle espressioni?”. L’ermeneutica può fornire un utile contributo per riflettere su simili questioni. Sin dalle origini, l’ermeneutica ha insegnato che l’interpretazione è necessaria anche quando il testo da leggere è apparentemente chiaro e semplice: infatti esiste sempre una distanza tra il testo e il lettore, uno spazio creato dal mutare delle condizioni storiche, sociali, culturali, linguistiche, e così via. Il lavoro interpretativo mira all’attraversamento di questo spazio e alla ricomposizione del senso generale del testo attraverso la ricostruzione del contesto in cui l’autore l’ha scritto. La comprensione di un’espressione dipende quindi dalla capacità di conoscere le condizioni nelle quali agisce la persona che la produce, in particolare il clima spirituale e i riferimenti culturali; l’obiettivo consiste nella riproduzione del contenuto oggettivo che quella persona ha voluto significare. Poiché una certa espressione rappresenta soltanto una minima parte dell’universo contenuto nella mente di una persona, dopo aver compreso il senso complessivo si può passare ad analizzare le singole parti, la cui comprensione rimanderà nuovamente al senso generale in un processo infinito che viene definito “circolo ermeneutico”. Il circolo ermeneutico è quel paradosso per cui le parti di un testo o di un’espressione possono essere comprese soltanto sulla base dell’intero testo, ma allo stesso tempo tutto il testo può essere compreso soltanto come insieme delle parti. • Lo psicologo è libero nelle interpretazioni? Le persone non sono libere nelle interpretazioni, bensì la capacità di esperienza e di interpretazione dipende dall’appartenenza ad una comunità, ad un linguaggio e ad una cultura i quali riempiono lo spazio, la distanza tra il soggetto che interpreta e l’oggetto interpretato. Questo spazio non è vuoto, dunque non può essere facilmente attraversato fino a raggiungere l’interpretazione corretta, bensì bisogna pensare ad analizzare e correggere le precomprensioni. Nell’avvicinarsi ad un’espressione, l’uomo è sempre ed inevitabilmente orientato: a) dalla sua struttura psicologica, la connessione strutturale, che comprende sentimento, intelletto, volontà, e che, presenti in ogni vissuto, guidano l’uomo al soddisfacimento dei propri obiettivi; b) dalla connessione acquisita, cioè l’insieme dei fattori storici e culturali che agiscono in ogni persona e di cui non si è consapevoli. La precomprensione nell’uomo è determinata dalla sua cultura, dai suoi interessi, dalle sue aspettative, ed il senso dato ad un’espressione ne risulterà sempre e inevitabilmente condizionato. Dunque, nel suo lavoro interpretativo, lo psicologo non può pretendere di liberarsi dalle sue precomprensioni, ma può mettere alla prova il suo “preorientamento” nel tentativo di giungere all’interpretazione più valida tra quelle possibili. • Il pregiudizio nel lavoro psicologico L’assunzione di un atteggiamento ermeneutico implica il riconoscimento di come non possa esistere un osservatore puro, totalmente distaccato dal mondo, che conosce le cose in loro stesse, senza pregiudizi, libero da quanto culturalmente esistente e da quanto linguisticamente www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ stabilito. L’idea che la comprensione possa migliorare se ci si libera dei pregiudizi è sbagliata e deriva da un difetto della riflessione sul significato del comprendere. La nozione di circolo ermeneutico, com’è stata descritta da Gadamer, si fonda proprio sul pre-giudizio e sulla sua necessità: i pregiudizi sono assolutamente necessari e soltanto in virtù di essi il processo interpretativo può avere inizio. Avvicinarsi ad una qualunque espressione umana significa provare ad applicare, sulla base di un pregiudizio, un’idea sul significato di ciò che si vuole interpretare, per poi verificare se ciò che si pensa (prima di conoscerlo) dell’oggetto da interpretare può essere provato come giusto e quindi conservato. I pregiudizi quindi non sono elementi negativi, ma necessità culturali e psicologiche, storicamente determinate. All’uomo non è concessa una privilegiata posizione a-storica da cui guardare e comprendere oggettivamente le cose; egli, al contrario, è sempre “situato”, cioè si trova in una certa situazione storica e questa sostanza storica dell’uomo include il pregiudizio quale suo elemento costitutivo, costruito dalla tradizione, dalla cultura, dalla famiglia, ecc.. L’essere dell’uomo ha natura storica e sociale; dunque l’interpretazione sarà sempre pregiudicata, ma allo stesso tempo è l’insieme dei pregiudizi formati dalle tradizioni e dalle autorità a rendere possibile la relazione di interpretazione e la comprensione. Soggetto che interpreta e oggetto da interpretare sono e possono essere in relazione reciproca perché si iscrivono nello stesso orizzonte, un orizzonte storico. Dunque interprete e interpretato sono familiari, nel senso che, pur essendo distanti, sono collegati dalla storia, dallo sviluppo della cultura, dalle tradizioni, e così via. Questo legame è stato definito da Gadamer “storia degli effetti” e indica l’insieme delle interpretazioni che si sono succedute nel tempo, ognuna delle quali ha influenzato la successiva. Il soggetto che interpreta è consapevole di essere influenzato dalle interpretazioni che lo hanno preceduto e dai paradigmi interpretativi già costituiti. Lo psicologo deve essere cosciente del fatto che viene inevitabilmente investito dagli effetti storici: il corretto esercizio dell’ermeneutica parte dall’accettazione della determinazione storica, delle influenze, dei pregiudizi, degli effetti, e realizza la cosiddetta “fusione di orizzonti”. • La verità tra lo psicologo e il paziente: il primato della domanda Il dialogo rappresenta l’essenza della struttura relazionale dell’essere umano, e dunque l’interpretazione è un’attività costitutiva dell’agire umano. L’uomo è sempre impegnato in un dialogo, e anche il pensiero individuale può essere considerato come una forma di colloquio. L’ermeneutica non mira a svelare verità nascoste, bensì a costruire un senso nuovo attraverso il dialogo; comprendere una persona non significa scoprire ciò che non è esplicito nelle sue parole o nei suoi comportamenti, ma trasformare noi e l’altra persona in un dialogo. Il “circolo ermeneutico” insegna alla pratica psicologica che il tutto (la relazione tra soggetti) può essere compreso grazie alle parti (i soggetti nella relazione) ma le parti possono essere comprese solo grazie all’intero. I nodi concettuali che possono legare la psicologia all’ermeneutica sono 2: (a) il primo è il riconoscimento che la condizione di possibilità della comprensione reciproca è l’inclusione nella stessa storia, una storia condivisa (“storia degli effetti”), perché il riconoscere l’altro dipende dalla capacità e possibilità di includere entrambi nello stesso orizzonte, nello stesso effetto storico; (b) il secondo è l’assimilazione dell’esperienza di verità all’esperienza estetica: nell’esperienza estetica si presenta subito la problematica dell’interpretazione; cogliere il senso di un’espressione umana è come essere affascinati dalla bellezza di un’opera d’arte. www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ L’esperienza estetica è un’esperienza di conoscenza che mantiene nel tempo la forma del dialogo: dinanzi all’opera d’arte non possiamo cessare di porre domande e di mantenerci in ascolto di ciò che l’opera vuole comunicare. La comprensione dell’esistenza umana è paragonabile allo stare in presenza di un’opera d’arte, con tutta la sua “irragionevolezza”. Lo psicologo clinico non può esimersi dal compiere su se stesso alcuni importanti “esperimenti”, tra cui quello di riflettere criticamente su ciò che intende per verità, in quanto un’elaborazione dei propri strumenti può avviare un cambiamento dell’atteggiamento possibile nel colloquio con il paziente. Un possibile esperimento consiste nella valutazione critica del concetto di domanda. Il tipo, la struttura, la forma delle domande rappresentano le condizioni di possibilità delle risposte del paziente. All’interno del colloquio clinico la domanda acquista pieno valore e acquisisce una sorta di primato rispetto alla risposta, tanto che si potrebbe affermare che la forma logica del colloquio è la domanda. Durante un colloquio si cercano le motivazioni implicite a quanto il paziente afferma, quei presupposti che non vengono enunciati e che ci permettono di comprendere veramente ciò che il paziente ci dice di sé; dunque bisogna cercare le domande rispetto alle quali le affermazioni del paziente sono risposte; ogni affermazione, infatti, trova il suo principio in un problema ed è originata da domande che non vengono esplicitate. • Il colloquio come racconto Lo psicologo deve decidere in che modo considerare ciò che il paziente dice e come lo dice; infatti la componente retorica del dialogo terapeutico è essenziale al dialogo stesso e può avere una forte valenza terapeutica. Assume particolare rilevanza a tal proposito la riflessione sulla narrazione. Il racconto è un’azione necessaria per rendere il tempo un “tempo umano”. Soltanto nell’organizzazione di una narrazione il tempo si umanizza, diventando tempo vissuto, e i contenuti del racconto possono essere armonizzati in una coerente dialettica di passato, presente e futuro. Gli eventi diventano significativi soltanto se organizzati rispetto ad una dimensione temporale, e l’organizzazione temporale di eventi è un racconto. La costruzione di un racconto è un’operazione in cui ogni singolo evento può acquistare un giusto significato solo se coerente con il contesto generale dell’intera storia in cui è inserito e, allo stesso tempo, l’intera storia acquista un senso dalla sommatoria dei singoli eventi (circolo ermeneutico). • Utilità dell’ermeneutica per la psicologia clinica L’ermeneutica rappresenta per lo psicologo un’opportunità di riflessione critica. Nel rapporto con il paziente, l’approccio ermeneutico insegna a rinunciare alla rigidità, ad abbandonare le proprie posizioni per dare spazio all’altro e alla costruzione condivisa dei significati dei vissuti. Il modello ermeneutico costituisce l’approccio più efficace per pensare la diversità. Lo sforzo che bisogna compiere per comprendere la diversità di un’altra persona non indica necessariamente che ci sia nell’altro qualcosa di nascosto da svelare, un senso segreto; l’approccio ermeneutico suggerisce piuttosto che il senso va costruito, prodotto nella relazione. Il primo passo per avvicinarsi alla patologia, come fa l’ermeneutica con un’opera d’arte, consiste nel riconoscerne l’autonomia, la forza, la capacità di creare un mondo nuovo, per poi tentare di ridurla ad un numero finito di cause e condizioni. Vi sono però anche delle possibili obiezioni all’approccio ermeneutico ed alla sua validità. Per la psicologia queste obiezioni possono essere raggruppate in due categorie: (1) la prima categoria può essere descritta dalla formulazione di Habermas, secondo il quale per realizzare www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ la comprensione si dovrebbe sempre mantenere un atteggiamento sospettoso e sforzarsi di assumere un punto di vista esterno alla cultura ed alla tradizione dominanti per poter gestire consapevolmente i pregiudizi; solo in questo modo si potrà provare a vedere le cose come sono, in quanto esse perderanno i mascheramenti prodotti dalle ideologie. (2) Il secondo tipo di obiezione è quello secondo cui l’ermeneutica costituisce una sorta di rinnovato immaterialismo, nel senso che non attribuisce valore di realtà alle cose, ai fatti e agli eventi, in quanto l’unica realtà è quella delle interpretazioni. Al di là delle diverse prospettive, l’ermeneutica si propone come una metodologia critica per la psicologia, un approccio che riconosce l’inesauribilità dell’oggetto da interpretare e non cerca di ridurlo completamente a sé, ed è consapevole del fatto che una persona non può essere spiegata totalmente nel mondo in cui si trova perché non appartiene solo al passato, ma anche al futuro. L’ermeneutica coglie le occasioni che si presentano nel colloquio per variare le interpretazioni e si muove tra diversi paradigmi interpretativi senza assolutizzare nessuno. 6) Il concetto di dispositivo di vulnerabilità Con il termine dispositivo si fa qui riferimento a quei fenomeni che fanno parte dell’esistenza umana e che ne rappresentano il fondamento. La parola vuole indicare che questi fenomeni non sono disposti dall’uomo, bensì dispongono dell’uomo stesso. Essi costituiscono istituzioni interne alla vita di ogni essere umano e agiscono in maniera implicita. I dispositivi fanno parte della cultura a cui si appartiene, e quindi sono gli “a priori” tipici dell’esistenza umana in una data cultura. Il fatto che essi non siano disposti dall’uomo non significa che limitano la sua libertà, ma che ne tracciano i confini, la delimitano, rappresentando dei vincoli; pongono dei problemi che devono essere affrontati e non possono essere evitati. In questo contesto si aggiunge alla nozione di dispositivo quella di vulnerabilità; con questo concetto si fa riferimento a quelle caratteristiche che fanno di un uomo allo stesso tempo un essere fragile e disposto alla malattia e una persona in rapporto dialettico con se stessa e con il mondo. Con vulnerabilità, dunque, non si intende predisposizione, ma ci si riferisce all’essere sospesi tra salute e malattia. La nozione di dispositivo di vulnerabilità può declinarsi nel termine “dispositivo patogeno”, con il quale si enfatizza il versante psicopatologico. Nell’anamnesi i dispositivi di vulnerabilità indicano dove andare a cercare i punti di svolta, gli snodi cruciali per lo svilupparsi dei quadri morbosi. Dunque essi si propongono come uno strumento per tracciare la mappa di un percorso psicopatologico. Tra i vari dispositivi di vulnerabilità, ci occuperemo di: conflitto, trauma, umore, coscienza. 7) Conflitto • Introduzione Il conflitto è un fenomeno universale nell’esistenza umana. Come fenomeno clinico, esso è stato considerato dalla psicoanalisi come snodo patogenetico fondamentale nel percorso psicopatologico. Il conflitto rappresenta la contrapposizione tra istanze o esigenze contrastanti; per la clinica di matrice dinamica, è questa contrapposizione a dare origine ai sintomi. In questo senso, dunque, il conflitto è il principio dinamico per eccellenza. Il principio dinamico si declina in maniera duplice: (1) Esiste una dialettica tra istanze psichiche contrapposte la cui indagine permette di comprendere l’origine e il senso dei sintomi psicopatologici in quanto formazioni di compromesso; la patologia mentale è il risultato di un gioco di forze, della rottura di un equilibrio, e rappresenta il tentativo di ristabilire una conciliazione tramite il www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ compromesso rappresentato dal sintomo. Si parla a tal proposito di principio dinamico in senso stretto. (2) In senso più ampio, la clinica si occupa di un altro tipo di dialettica, quella tra la persona e i suoi conflitti, o, in una prospettiva più ampia, tra la persona e la sua vulnerabilità. Ogni individuo, infatti, ha la possibilità di prendere posizione nei confronti dei propri conflitti. I quadri morbosi, i percorsi psicopatologici e gli esiti della patologia dipendono dal rapporto dialettico tra la persona e la sua vulnerabilità. Si parla a tal proposito di principio dinamico in senso lato o principio dialettico. Secondo questo principio nessun malato è interamente tale, bensì vi è sempre uno scarto tra il malato e la malattia, ed è proprio in questo scarto che la persona può prendere posizione nei confronti della propria vulnerabilità. Secondo il pensiero filosofico la condizione umana è intrinsecamente conflittuale. Viene formulata una metafisica del conflitto, o un’ontologia della disunione, a partire dal riconoscimento della doppia appartenenza dell’uomo, sospeso tra natura e cultura, tra pulsioni vitali e civiltà, tra bisogno di socialità e di separatezza, tra aspirazione all’appartenenza e all’individualità, tra rappresentazioni della propria identità diverse e contrastanti. L’esistenza umana è però caratterizzata da un’ulteriore doppiezza, che consiste nella non-coincidenza dell’uomo con se stesso. Questa non-coincidenza del Sé con se stesso, o “eccentricità”, è alla base della capacità prettamente umana di auto-coscienza e di auto-riflessione, di essere spettatore di se stesso, di potersi osservare dall’esterno. Si può parlare a tal proposito di un’ontologia dell’eccentricità, che offre all’uomo la possibilità e il compito di prendere posizione nei confronti di se stesso, di giudicarsi, valutarsi, e così via. • L’eredità psicoanalitica La nozione di conflitto psichico rappresenta un prezioso contributo della teoria psicoanalitica per la comprensione della patologia nevrotica. La psicoanalisi considera il conflitto come costitutivo dell’essere umano. Un polo del conflitto è rappresentato sempre dalle pulsioni sessuali; l’altro polo, invece, cambia nel corso dell’opera freudiana. (1) In una prima fase, alla sessualità Freud contrappone le aspirazioni dell’Io. Negli “Studi sull’isteria” egli affermava che, man mano che ci si avvicina nel processo di cura a ricordi patogeni di natura sessuale, si incontra una resistenza sempre maggiore; questa resistenza è l’espressione di una difesa che l’Io oppone a ricordi inaccettabili, cioè contrari e incompatibili con le proprie aspirazioni etiche ed estetiche. Ne “L’interpretazione dei sogni” Freud espone la cosiddetta “prima topica” o “modello topografico”, cioè la suddivisione dell’apparato psichico in 3 sottosistemi: conscio, pre-conscio, inconscio. Il conflitto tra le pulsioni sessuali inconsce e la coscienza rappresenta la radice dei diversi quadri psicopatologici. (2) In una seconda fase, alle pulsioni sessuali si contrappongono le cosiddette “pulsioni dell’Io” o “di autoconservazione”; esse sono le pulsioni necessarie alla conservazione della vita dell’individuo, costituiscono i bisogni primari non sessuali di un individuo. Le pulsioni di autoconservazione, a differenza di quelle sessuali, possono essere soddisfatte soltanto da un oggetto reale; esse sono regolate dal “principio di realtà”, mentre le pulsioni obbediscono al “principio di piacere”. (3) In una terza fase il conflitto è tra pulsioni di vita e pulsioni di morte; le pulsioni di vita (eros) comprendono, oltre alle pulsioni sessuali, anche le pulsioni di autoconservazione, il narcisismo, la socialità. La pulsione di morte (thanatos) è la tendenza al ritorno alla pace dell’inorganico e si manifesta nell’aggressività e nel sadismo. La pulsione di morte, oltre a costituire un polo del conflitto, viene concettualizzata anche come la tendenza stessa al conflitto, come il principio della lotta e della disunione; la pulsione di vita, invece, viene concepita come la tendenza ad unire. www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ • Il conflitto e l’ansia Secondo Freud, l’uomo è un essere costantemente in conflitto con se stesso, o meglio: egli ospita delle istanze psichiche (pulsioni vs. difese, pulsioni in contrasto tra loro, tendenza ad unire vs. a separare) che rappresentano delle linee di forza in perenne conflitto tra loro. Tale conflitto genera ansia, un’emozione sgradevole che consiste in uno stato di tensione e di allarme. L’ansia fa attivare dei meccanismi di difesa, la cui azione porta ad un compromesso tra le parti in conflitto: queste formazioni di compromesso rappresentano in alcuni casi delle soluzioni adattive, in altri casi sono costituite da sintomi e quadri psicopatologici. Secondo la psicoanalisi, l’ansia ha la funzione di segnalare un pericolo proveniente dall’inconscio. Nell’ottica psicodinamica l’ansia è la manifestazione sintomatica di un conflitto dovuto all’incompatibilità tra un desiderio e un’ingiunzione morale, tra desiderio e realtà, tra realtà interna e realtà esterna, e così via. (1) Freud aveva inizialmente concepito l’ansia come un senso di inquietudine diffuso e indifferenziato che nasce da un desiderio rimosso, o come il senso di tensione che deriva da un accumulo di pulsioni biologiche inibite (es.: nevrosi). (2) Successivamente egli considerò l’ansia come il risultato delle minacce di punizione provenienti dal Super-Io (es.: melancolia). (3) L’ansia è stata anche concettualizzata come un segnale adattivo che mette in moto le difese dell’Io, il cui scopo è quello di allontanare dalla coscienza pulsioni, sentimenti e pensieri inaccettabili. In quest’accezione l’ansia è sia al centro dello sviluppo normale che delle deviazioni patologiche. (4) In un momento successivo l’ansia finisce con l’indicare ogni emozione negativa: vengono così meno le differenze tra emozioni diverse (rabbia, vergogna, ansia in senso stretto, ecc.) che scaturiscono dal conflitto. (5) Nella letteratura psicoanalitica successiva all’opera di Anna Freud, l’accento si è spostato dal ruolo patogeno del conflitto alla definizione delle nevrosi e dei disturbi di personalità in quanto caratterizzati da particolari e specifici meccanismi di difesa. In quest’ottica i diversi quadri psicopatologici possono essere differenziati sulla base dei meccanismi di difesa messi in moto dall’ansia. Questo modo di considerare la clinica e la genesi dei quadri morbosi, in cui assumono un ruolo prioritario i meccanismi di difesa mentre non viene data importanza alla natura del conflitto e alle emozioni, va a scapito di una descrizione precisa di questi ultimi e finisce con l’impoverire la caratterizzazione clinica, rendendo il percorso che conduce dal conflitto al sintomo tendenzialmente de-soggettivizzato e impersonale. La tendenza a caratterizzare i quadri morbosi sulla base dei meccanismi di difesa implicati va integrata quindi con un’accurata analisi dei conflitti e delle emozioni in gioco. Un contributo in tal senso viene fornito dalla Diagnosi Psicodinamica Operazionalizzata (OPD) che classifica, sulla base dell’esperienza soggettiva delle interazioni conflittuali, sette tipi di conflitto persistenti nel tempo, cioè le tensioni irrisolte che determinano il vissuto e il comportamento della persona per lunghi periodi di tempo. I tipi di conflitto presi in considerazione sono 7: 1) Dipendenza vs. autonomia: è il conflitto tra il bisogno dell’altro e il bisogno di essere indipendente, e l’emozione connessa a tale conflitto è l’angoscia, dovuta all’avvicinamento o all’allontanamento; 2) Sottomissione vs. controllo: le principali emozioni connesse a questo conflitto sono irritazione, rabbia e paura in caso di conflitti interpersonali (sottomissione vs. ribellione) e colpa e vergogna in caso di conflitti interni (spontaneità vs. adesione alle regole); 3) Accudimento vs. autarchia: è il conflitto tra l’utilizzare gli altri per ottenere qualcosa e l’essere totalmente autosufficienti; le principali emozioni connesse a questo conflitto sono il lutto prolungato e la depressione; 4) Valorizzazione del sé vs. valorizzazione dell’altro: si tratta www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ dei conflitti narcisistici che ruotano attorno al tema dell’autostima; le emozioni connesse sono la vergogna, indice della crisi dell’autostima, e la rabbia narcisistica; 5) Tendenze egoistiche vs. tendenze pro-sociali: è il conflitto tra l’individuare la colpa in se stessi oppure negli altri; 6) Conflitti edipico-sessuali, in cui i bisogni di natura sessuale si scontrano con istanze opposte di diversa specie; 7) Conflitti relativi all’identità che derivano da rappresentazioni contraddittorie del Sé: la persona assume ruoli sociali diversi e molteplici per superare l’insicurezza fondamentale tipica di questo conflitto. • Il conflitto e l’antropologia psicoanalitica Per comprendere pienamente la nozione di “conflitto” in quanto dispositivo patogenetico, è necessario inquadrarla come dispositivo antropologico. Sin dall’inizio della psicoanalisi, il tema per eccellenza del conflitto è la contrapposizione tra sessualità e morale: da un lato c’è il ricordo di un’esperienza sessuale infantile, dall’altro le norme morali del soggetto. Ciò che il soggetto rifiuta è un aspetto della sua sessualità rappresentato da un ricordo o da una fantasia traumatica infantile. Il tema della contrapposizione tra sessualità e morale raggiunge il suo pieno sviluppo nella concettualizzazione del complesso edipico; esso è considerato da Freud un universale antropologico, cioè sarebbe presente in ogni epoca e cultura, e consiste nell’insieme di desideri amorosi e ostili rivolto ai genitori e nel relativo conflitto tra desiderio sessuale e divieto. Il conflitto edipico è la dimostrazione della congiunzione originaria tra desiderio sessuale e divieto. Le pulsioni non sono in sintonia con le esigenze della vita individuale e della specie e devono quindi essere dirette e modulate da un’istanza esterna per non divergere dal piano della sopravvivenza e dell’adattamento. Ogni azione è, per la psicoanalisi, il risultato di un conflitto tra pulsioni diverse e tra le pulsioni e l’Io cosciente. L’Io, se non vuole essere il mero esecutore delle pulsioni al servizio dell’Es, deve regolare le pulsioni. La libertà umana è una forma di opposizione al dominio delle pulsioni; tale liberazione avviene prevalentemente attraverso la presa di coscienza da parte dell’Io delle proprie pulsioni. Ad un primo ordine di costrizione, quello esercitato dalle pulsioni inconsce sull’Io, si aggiunge un secondo ordine di fenomeni a generare tensione, non-libertà e patologia: la costrizione esercitata sulle pulsioni dalla morale e dalla civiltà. Vi è dunque un conflitto anche tra le pulsioni, in quanto forze originarie provenienti dalla sfera biologica e quindi dall’interno, e le istanze “esterne” che regolano i rapporti tra l’Io e il mondo. Se le pulsioni vengono represse, esse riaffiorano sotto forma di sintomi e nevrosi. La conquista da parte dell’Io non deve implicare la frustrazione delle pulsioni, la loro radicale repressione, bensì la loro moderazione al fine di instaurare un equilibrio tra l’Io e le pulsioni. A partire da questa concezione si sviluppano due tesi, a cui corrispondo due etiche e due modelli terapeutici: 1) la prima afferma che la persona trova la propria salute soltanto se si adegua ai modelli proposti dalla società a cui appartiene e quindi il superamento della patologia avviene attraverso l’adattamento a tali modelli, cioè attraverso il compromesso tra pulsioni individuali e norme sociali; 2) La seconda tesi afferma che la salute deriva dalla libertà dai modelli imposti dalla società; in tal caso il processo terapeutico si configura come mascheramento dei condizionamenti della società. • Il conflitto come dispositivo antropologico Nel corso dell’Ottocento, terminata l’epoca del primato della ragione, l’elemento corporeo pulsionale acquista un ruolo di primo piano. Il pensiero di Freud è erede della tradizione www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ promossa da Feuerbach, Kierkegaard, Schopenhauer, Nietzsche. Come questi autori, anche Freud mette in evidenza, oltre alla natura essenzialmente conflittuale dell’esistenza umana, il primato delle pulsioni inconsce come determinanti il comportamento umano, e dunque il primato della corporeità sulla ragione e sullo spirito. A partire dagli anni ’20 del Novecento, si assiste alla nascita dell’antropologia moderna, detta non speculativa in quanto orientata da analisi empiriche, principalmente dalla biologia, dalla medicina, dalla psicologia e dalla sociologia. Gli autori più importanti dell’antropologia moderna, cioè Scheler, Plessner e Gehlen, continuano a focalizzarsi sulla doppia appartenenza dell’uomo alla dimensione naturale e a quella culturale, che mette l’uomo in conflitto con se stesso. Questi autori si sono interrogati principalmente su ciò che caratterizza l’uomo e lo distingue dagli altri animali. Scheler caratterizza l’essere dell’uomo come la possibilità di dire no, di sublimare le proprie pulsioni. In questo atto di sublimazione e negazione, secondo Scheler, entra in gioco un elemento vitale che l’uomo non condivide con gli altri animali: questo elemento è lo Spirito, ciò che caratterizza l’uomo in quanto persona. Analogamente, Gehlen afferma che l’uomo è quell’essere in grado di “prendere posizione” rispetto alle proprie pulsioni. Eccesso pulsionale e difetto istintuale. Nel suo scritto “La posizione dell’uomo nel cosmo”, Scheler descrive cinque gradi dell’esistenza umana: (1) Il primo grado è costituito dall’impulso affettivo estatico: si tratta di un moto di tipo vegetativo e auto-conservativo che accomuna ogni essere vivente, animale o vegetale. Si tratta di un tendere-a una fonte di piacere e di un ritrarsi-da una fonte di dolore. (2) Il secondo grado è costituito dall’istinto; esso appare indirizzato verso elementi dell’ambiente specie-specifici. Mentre per un animale l’istinto è molto importante e si trova alla base di comportamenti conformi alla vita, ciò non vale per l’uomo, il quale non può affidarsi totalmente ai propri istinti. (3) Il terzo grado della vita umana è costituito dalla “memoria associativa”, grazie alla quale nuovi orientamenti del comportamento risultanti dall’apprendimento vengono fissati e si trasformano in abitudini. La memoria associativa è per l’uomo alla base della tradizione e della cultura ed essa rappresenta un potente strumento di emancipazione dall’istinto stesso. Tra istinti e pulsioni vi sono delle differenze sostanziali: mentre gli istinti sono regolati in se stessi e dall’interno, le pulsioni devono essere regolate dall’esterno. L’uomo si distingue dagli altri animali in quanto caratterizzato da un eccesso pulsionale costituzionale e da una carenza istintuale. (4) Il quarto grado della vita umana è detto “intelligenza pratica”; si tratta di un sapere riflessivo (cioè non istintuale) volto al raggiungimento di uno scopo. La sua caratteristica principale è la capacità di attuare comportamenti inediti. Esso dà la possibilità di scegliere i mezzi per appagare gli impulsi. (5) Il quinto e ultimo grado, propriamente umano, è definito da Scheler “spirito” o “persona spirituale”; grazie ad esso l’uomo può emanciparsi dal ruolo di servitore della vita. Capacità di inibire e sublimare le pulsioni. Lo spirito è, per Scheler, principio di negazione della vita pulsionale. L’uomo è “colui che sa dir di no” alla realtà, annullando così la totale sottomissione alle esigenze vitali che caratterizza l’esistenza animale, neutralizzando ogni conflitto con il mondo, l’attrito dal quale emerge il senso di realtà. Per far ciò bisogna eliminare quell’impulso vitale a causa del quale il mondo appare come reale, cioè come utile ai fini della sopravvivenza; in tal modo si elimina “l’angoscia di quanto è terreno”. Nonostante questo potere, lo spirito non possiede una forza autonoma, ma deve acquisirla tramite un processo di trasformazione, ovvero di sublimazione, della potenza dei gradi www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ inferiori. Tramite le proprie azioni, prendendo energia dalla sublimazione delle proprie pulsioni, l’uomo può disciplinare se stesso. Eccentricità e posizionalità. Disciplinare se stessi è una reale necessità dell’esistenza umana. L’uomo ha come caratteristica peculiare l’essere eccentrico. Essere eccentrici significa vivere costantemente ad una certa distanza da se stessi e dal proprio ambiente; ciò significa che l’uomo può cogliere “da spettatore” sia la propria sfera interiore che quella esteriore, come separate dalla propria coscienza. Ogni uomo non coincide con se stesso, e proprio in virtù dello scarto presente tra sé e se stesso può stabilire un rapporto con se stesso. La non-coincidenza con se stesso fa sì che l’uomo sia capace di riflessione; questa capacità riflessiva è la base della possibilità di farsi un’idea di sé, di costruirsi una propria rappresentazione di se stesso, di definire la propria posizione. L’uomo ha la necessità di condurre la propria vita, determinare la propria posizione nel cosmo e nella rete delle relazioni sociali, creare una rappresentazione della propria identità: questa è la legge dell’artificialità naturale. La necessità di costruire il proprio mondo e la propria immagine è per l’uomo un bisogno imprescindibile. • Conflitto e identità personale La nozione di conflitto indica il contrasto tra istanze pulsionali-biologiche e morali-spirituali, ed è principalmente in questa accezione che si configura nell’antropologia filosofica di Scheler e viene utilizzata nella letteratura psicoanalitica. Tuttavia il conflitto non riguarda soltanto l’opposizione tra pulsioni e morale, ma fa anche riferimento all’eccentricità e alla doppiezza della condizione umana. Il termine “homo duplex” venne coniato dal filosofo francese Maine de Biran; secondo questo autore l’uomo ha una doppia appartenenza: la prima relativa al suo essere parte della natura, la seconda relativa al suo essere parte dell’umanità. L’essere doppi non consiste soltanto nell’essere sospesi in bilico tra natura e cultura; l’uomo è doppio in virtù della propria eccentricità, grazie alla quale può prendere in esame la propria esistenza, trascendere il proprio modo di essere e interrogarsi sulla propria identità. Non soltanto l’uomo pone domande sul proprio essere parte della natura e della cultura; egli mette anche in dubbio la propria stessa identità. Ognuno di noi ospita in sé una parte di alterità, sotto forma di una pulsione repressa, di una “possibilità di essere” non realizzata, di un progetto accantonato ma mai rinnegato, di un ruolo sociale in contraddizione con ciò che si crede essere la propria aspirazione più autentica. L’identità umana è quindi il risultato della continua dialettica con l’alterità che alberga in noi, una dialettica tra opposti che rende evidente la nostra fondamentale e costitutiva doppiezza. La doppiezza che caratterizza la condizione umana fa sì che l’uomo sia perennemente in conflitto con se stesso; il conflitto può dare origine ad una dialettica vitale e non soltanto ad un sintomo o ad un disturbo psicopatologico. Questa dialettica coinvolge ciò che si è e ciò che si vorrebbe essere, l’identità egoica (quello che pensiamo di essere) e l’identità di ruolo (il ruolo sociale che assumiamo quotidianamente), o i diversi ruoli sociali che si assumono nelle varie circostanze della vita. Non soltanto dal conflitto in sé, ma anche dalla crisi di questa dialettica identitaria può avere origine la patologia. • Il volontario e l’involontario Nel saggio intitolato “Il volontario e l’involontario”, Ricoeur formula una teoria che dimostra l’essenza conflittuale dell’esistenza umana. (a) Tale essenza risulta radicata nel principio del disordine e della indeterminazione dell’esistenza corporea, nell’incoerenza dei valori sociali, e nel contrasto tra queste due sfere dell’involontario. (b) In tale saggio si cerca inoltre di www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ dimostrare il rapporto dialettico tra questi strati conflittuali primordiali dell’esistenza e la sfera del volontario, un rapporto che non è di opposizione ma di interpenetrazione e di reciprocità. (a) Nello strato più primordiale dell’esistenza umana, che Ricoeur definisce strato dell’involontario corporeo, caratterizzato da valori “organici” o “vitali” (fame, sete, paura, ecc.), si manifestano necessità eterogenee, frutto di valori contrastanti. Ciò che si manifesta è l’ambiguità della vita organica, la complessità delle tendenze organiche. Il corpo è dunque la fonte dell’indeterminazione dell’esistenza umana e l’esistenza corporea è definita da Ricoeur “principio di disordine e indeterminazione”. I valori del livello organico, oltre ad essere in conflitto tra loro, sono in conflitto con i valori sociali. Questi ultimi, a loro volta, non rappresentano un insieme coerente, ma sono in opposizione tra loro. Tutti questi valori, organici e sociali, non sono soltanto in conflitto tra loro, ma entrano in una relazione dialettica con l’Io. Dunque la condizione umana è caratterizzata dalla necessità e dalla possibilità di prendere una posizione di fronte alla sfera dei valori organici e sociali. (b) Libet ha mostrato che c’è un volontario a livello dell’involontario. Tra l’involontario e la volontà non c’è un rapporto antitetico, essi non appartengono a due sfere distinte che non comunicano tra loro. Al contrario, il rapporto tra volontario e involontario è di tipo chiasmatico. La sfera del volontario può recepire o meno i valori organici e sociali; questa recettività diventa passività nella resa e nell’alienazione. Il rapporto tra l’involontario e la volontà è di reciprocità. La relazione circolare tra motivazione e volontà è descritta da Ricoeur attraverso due frasi: il mio corpo è corpo-per-la-mia-volontà, e la mia volontà è progetto basato-(in parte)-sul-miocorpo. Le motivazioni rendono la volontà reale, la volontà conferisce alle motivazioni significato. La dialettica tra volontario e involontario può essere sintetizzata nella formula secondo cui la libertà umana è motivata, incarnata e contingente. • La nozione di conflitto e il modello dialettico della patologia mentale La nozione di conflitto e la visione dell’uomo che vi sta alla base, cioè la fondamentale doppiezza della condizione umana e la possibilità dell’uomo di prendere posizione nei confronti di se stesso, rappresentano il fondamento del modello dialettico e di una visione fenomenologico-dinamica della malattia mentale. Infatti pensare ad una persona che possa prendere posizione rispetto alla propria vulnerabilità significa introdurre una visione autenticamente dinamica della malattia mentale, vedere la malattia mentale come la risultante di un gioco di forze e conseguenza della rottura di un equilibrio in cui anche le vicende di vita e l’ambiente assumono un ruolo molto importante. La fondamentale doppiezza della condizione umana è l’origine dei comportamenti umani, dello sviluppo della personalità e della genesi dei sintomi e dei quadri morbosi. Questa idea è stata introdotta nella psicopatologia all’inizio dell’Ottocento da Philippe Pinel. I principi fondamentali su cui si basa la sua teoria della malattia mentale sono: 1) inquadramento nosodromico delle varie forme morbose; 2) parzialità della follia: nessun folle è completamente tale, ma resta sempre una parte della persona non invasa dalla follia capace di osservare l’altra parte di sé, quella che affronta la patologia; 3) i quadri morbosi derivano dall’interazione della persona con la sua vulnerabilità. La dialettica tra persona e vulnerabilità permette di spiegare perché ogni paziente abbia la propria sintomatologia che si discosta dalla sintomatologia elencata e descritta nei criteri diagnostici. In altre parole vi sono delle differenze tra casi reali e il caso descritto nei manuali diagnostici; le categorie diagnostiche trascurano le peculiarità dei singoli casi e le differenze tra individui reali, peculiarità che riguardano i sintomi, le sindromi, i decorsi e gli esiti. Per quanto www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ riguarda inoltre il processo terapeutico, differenziando il modo in cui la persona prende posizione nei confronti della propria vulnerabilità diviene possibile comprendere anche gli sforzi di guarigione e prevenzione attuati dalla persona e apprendere quali processi possono essere rilevanti per il trattamento. 8) Trauma • Introduzione Il trauma svolge un ruolo determinante nell’origine e nello sviluppo dei fenomeni psicopatologici; per questo, per comprendere tali fenomeni, è necessario ricostruire l’evento traumatico. Mentre il dispositivo di vulnerabilità del conflitto risulta correlato alle patologie nevrotiche, il trauma, sebbene sia nato come strumento concettuale per comprendere la patologia isterica, ha esteso tali potenzialità fino al limite tra nevrosi e psicosi, e in particolare nell’area del disturbo borderline di personalità e dei disturbi dissociativi. Il concetto di trauma fu introdotto da Charcot nelle sue lezioni sull’isteria (1885). Egli aveva a che fare con dei pazienti che avevano subito uno shock fisico (es.: infortunio sul lavoro, incidente stradale, ecc.) e che presentavano dei sintomi neurologici (di solito una paralisi). Attraverso degli accurati esami neurologici, Charcot mise in evidenza che il trauma fisico era leggero o era stato assorbito, mentre i sintomi rimanevano. Inoltre i sintomi, la loro localizzazione e la loro correlazione non potevano corrispondere ad una lesione organica del sistema nervoso; la loro distribuzione era legata ad una sorta di “anatomia immaginaria”. A partire da queste osservazioni Charcot elaborò la teoria secondo cui l’isteria è dovuta ad un trauma psichico e i sintomi dell’isteria rappresentano una sindrome psicopatologica. Si passò così da un determinismo esteriore ad un determinismo interiore. Per la sua centralità, sia antropologica che psicopatologica, il concetto di trauma può assumere diversi significati. • Trauma - effrazione La parola trauma rimanda al campo della medicina, e in particolare alla chirurgia e all’ortopedia; essa fa riferimento ad un urto esercitato su un organo o su un apparato corporeo. In ambito psicologico questo termine è al centro di numerose metafore che fanno pensare ad un’effrazione meccanica esercitata dall’esterno verso l’interno; la conseguenza di questa effrazione, di quest’urto, è la penetrazione di un frammento del mondo esterno all’interno dell’organismo urtato e il suo incistamento nell’intimo dell’organismo stesso. La nozione psicologica di trauma, quindi, si focalizza sull’effetto che un attacco proveniente dall’esterno ha sull’interno, e sul sequestro del “corpo estraneo” nel profondo del mondo interno; questo corpo estraneo causa irritazione e inutili tentativi di assimilazione o espulsione. Questa visione consta di due parti. (1) In primo luogo c’è l’idea che il trauma sia un attacco che l’esterno compie ai danni dell’interno. Quest’idea si basa sulla teoria secondo la quale per l’organismo tutto ciò che lo tocca dall’esterno sia un problema e, di conseguenza, un organismo separato dall’esterno è in uno stato di perfetta stabilità e assoluta tranquillità; più l’organismo psichico riesce a mantenersi autarchico e autosufficiente, meglio è. (2) In secondo luogo, c’è l’idea che il trauma si incisti nell’organismo come un corpo estraneo, come una scheggia. Effettivamente la parola “trauma” in greco significa “ferita”: l’idea originariamente legata alla nozione di trauma psichico è che siamo portatori di una ferita risalente ad epoche remote; questa ferita è profonda e non è visibile in quanto tale in quanto nascosta da una cicatrice. Questa traccia inconscia costituisce un “luogo di minore resistenza” su cui andranno www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ ad insistere le ferite successive. Il prototipo della ferita profonda legata al trauma è l’abuso sessuale. Questa accezione del trauma si basa sul principio che il frammento del mondo esterno che è penetrato in profondità nel mondo interno condiziona il comportamento della persona. È l’effetto permanente del trauma a dominare la condotta della persona, la quale è inconsapevole di ciò che l’ha assoggettata. • Trauma - mortificazione (del desiderio) Un’altra interpretazione del trauma risale agli anni 1915-17, quando Freud, in “Introduzione alla psicoanalisi”, scriveva: “Se (questi traumi) fanno parte della realtà, tanto meglio; se la realtà non li ha forniti, allora vengono elaborati in base ad accenni e completati con la fantasia”. Nell’accezione del trama come mortificazione del desiderio, il trauma si realizza quando un elemento del mondo interno (es.: bisogno, desiderio, pulsione) si scontra con la realtà; l’elemento che si realizza nel mondo esterno, anziché sommergere la persona, fa emergere qualcosa dal suo mondo interno, qualcosa che si scontra con la realtà. Questo “qualcosa” che emerge dal mondo interno può essere un bisogno o un desiderio, non necessariamente di natura sessuale. Il trauma è quindi la frustrazione di un bisogno, la mortificazione di un desiderio. In questo caso il prototipo del trauma è l’abbandono (es.: separazione precoce, ospedalizzazione infantile, incomprensione del mondo adulto), in quanto il bisogno fondamentale di un essere umano è quello di avere vicino a sé una persona da cui ci si sente protetti. Sono quindi possibili diversi percorsi patogenetici a partire dal traumamortificazione, alla cui origine si trova il vissuto del mancato riconoscimento di un proprio bisogno, l’esperienza dell’assenza di empatia da parte dell’altro riguardo ad un proprio stato mentale, o la mancata conferma della stessa propria esistenza o diritto ad esistere. A causa di questi eventi possono svilupparsi degli stati dissociativi. Tra le figure paradigmatiche del trauma Laing inserisce la disconferma: con questo termine si fa riferimento al comportamento con il quale l’adulto comunica al bambino che le sue emozioni e il senso che questo attribuisce ad un evento sono insensati o irrilevanti. Il bambino diverrà così diffidente verso la realtà della propria esperienza e sarà vulnerabile ad esperienze dissociative. Dunque la nozione di trauma come mortificazione del desiderio mette in rilievo la patogeneticità del rapporto interpersonale. Ad essere traumatico è il modo in cui un elemento del mondo interno non trova accoglienza, corrispondenza, comprensione nel mondo esterno. Al centro del trauma si colloca l’altro, il rapporto con l’altro (non soltanto la sessualità) e il modo in cui viene vissuto il comportamento altrui. • Trauma – emersione (di senso) Negli “Studi sull’isteria” (1895), Freud racconta il caso di Emma, una paziente che subisce un abuso sessuale durante l’infanzia, mentre si trova in un negozio, da parte del proprietario. Questo evento, e in particolare il suo contenuto erotico, rimane latente per Emma finché non avviene un secondo evento che rievoca il contenuto sessuale dell’episodio infantile; tale secondo evento consiste nelle risate dei commessi di un negozio riguardo al suo abito e nel commento di uno di loro. Il secondo evento, di per sé insignificante, assume un carattere traumatogeno in quanto riattualizza, rende presente il contenuto sessuale dell’esperienza infantile. Dopo il secondo evento, Emma sviluppa una fobia. Per tale ragione si può definire il www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ primo evento “traumatico” e il secondo “traumatogeno”, nel senso che il secondo genera il senso traumatico del primo. Quando un bambino subisce un abuso sessuale o assiste ad una scena che per un adulto ha una precisa connotazione sessuale, ciò che rimane nella sua memoria somiglia ad un insieme di esperienze corporee, un complesso di emozioni tra loro contrastanti (es.: attrazione e paura, eccitazione e repulsione) prive di una connotazione semantica precisa, esperienze senza un nome. Questo nome verrà loro attribuito soltanto successivamente, quando un secondo evento, in sé anodino, riattualizza l’evento primario; dunque l’evento viene ridefinito retrospettivamente in una chiave di senso traumatica. L'evoluzione della sessualità favorisce il fenomeno dell’après-coup (dopo il fatto), avendo il soggetto accesso, dopo la pubertà, alla capacità di cogliere la connotazione sessuale d’una esperienza vissuta, che fa risuonare aprèscoup in lui il significato d’una scena vissuta in passato e che era rimasta per lui senza un significato particolare. Del primo evento resta una traccia mnesica episodica, cioè a-semantica, non narrativamente organizzata, non integrata in una storia coerente, finché il secondo evento non lo rende presente. Il secondo evento non deve essere anch’esso traumatico, cioè doloroso o violento, anzi, spesso esso ha anche dei connotati positivi; esso ha carattere traumatogeno soltanto in quanto si situa su un terreno reso vulnerabile dal primo, e va a insistere su una ferita pre-esistente. • Trauma – ripetizione Il trauma tende alla ripetitività, cioè ogni persona tende a riprodurre all’infinito il proprio trauma. Dopo il primo trauma, la persona perpetra una risposta ripetitiva, e lo fa in modo inconsapevole (cioè non essendo consapevole del nesso tra ciò che sta facendo e ciò che le è accaduto in passato) e involontariamente. La ripetizione dell’evento traumatico è solo apparentemente frutto dell’attività della persona, ma in realtà la persona ripete il trauma perché non è capace di fare altrimenti, cioè non è in grado di mettere in scena gli stessi attori ma cambiando il copione. La ripetizione, piuttosto che favorire una trasformazione, si caratterizza come una coazione a ripetere. La ripetizione non è “utile” in quanto si tratta di una riedizione che si attua senza il ricordo del trauma originario, e soprattutto senza il ricordo del suo senso. È una ripetizione senza reminiscenza, quindi automatica, meccanica. L’assenza di ricordo e di riesame critico rende impossibile qualunque elaborazione del trauma e dunque il suo superamento. Sono possibili due letture del trauma-ripetizione: (1) La prima chiama in causa il cosiddetto “istinto di morte” o “di quiete”, cioè la tendenza a ridurre gli stimoli: secondo questa lettura, la ripetizione può essere intesa come il tentativo di ridurre lo stimolo rappresentato dal trauma, fino ad azzerarlo: l’essere nuovamente passati attraverso il trauma, e l’essere rimasti indenni, rappresenterebbe per i pazienti la testimonianza della propria resilienza; (2) Una seconda lettura fa riferimento al concetto di “modelli operativi interni”: un’esperienza traumatica può formare un modello operativo interno “insicuro”, caratterizzato da aspettative di rifiuto o trascuratezza; queste aspettative, come nel meccanismo delle profezie che si auto-avverano, contribuiscono al realizzarsi di situazioni reali di rifiuto o trascuratezza, contribuendo alla ripetizione di uno schema di relazione di natura traumatica. www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ • Trauma – alterità Generalmente una persona attribuisce un senso ad un evento, ad un oggetto, al comportamento altrui sulla base delle proprie esperienze passate. I fatti della nostra vita acquistano un significato sulla base di quanto ci è già accaduto, in quanto normalmente riconosciamo in ogni nuovo evento una familiarità con qualcosa di già noto, ed è sulla base di questa familiarità tra i due che lo comprendiamo. L’avvenimento traumatico non rispetta questa regola del già noto, bensì, al contrario, ha il carattere della novità assoluta, della “prima volta” (Strauss), della radicale alterità. Ciò che è nuovo nell’esperienza traumatica non è l’evento stesso, ma il senso che l’esperienza assume. Il trauma costituisce l’incontro con qualcosa di totalmente diverso rispetto a quanto si è già sperimentato e quindi rispetto a quanto ci si aspetta; qualcosa che non è assimilabile a quanto già noto e per questo non è integrabile nella propria soggettività. Come dice Lacan nel “Seminario sull’etica”, il trauma è la “cosa” (Chose), cioè un oggetto senza nome, un fatto non dicibile, che non può essere colto dalle nostre categorie linguistiche, e che dunque non è classificabile nel registro delle cose che hanno senso. A tal proposito, Lacan ha proposto il neologismo “ex-timità” (ex-timité) per indicare la caratteristica opposta all’intimità (alla familiarità) che connota l’evento traumatico. Il trauma è ciò che non si può integrare nella propria “storia di vita”, cioè ciò che non trova un posto nella propria identità narrativa. • Trauma – chiave/serratura Assume notevole importanza il rapporto tra evento e vulnerabilità, cioè tra la struttura psicologica della persona e la qualità dell’evento. Un evento, infatti, per essere traumatico, deve colpire la persona nel suo punto debole. In questo caso non si parla più di eventi o accadimenti esterni, bensì di esperienze personali. Con “esperienza” si intende il modo personale di vivere un determinato evento. Un evento si trasforma in un’esperienza traumatica in virtù della sua capacità di agire come una chiave nella sua serratura. Parlando delle “reazioni patologiche”, Jaspers sottolinea l’importanza che determinati eventi hanno per la persona, il loro valore in rapporto al perturbamento emotivo che provocano. Nelle reazioni patologiche sussiste da un lato un legame tra l’esperienza vissuta e la personalità, e dall’altro un legame ancora più stretto tra l’esperienza traumatica e i contenuti psicopatologici (es.: emozioni, pensieri); questi legami rendono lo stato reattivo comprensibile. Ernst Kretschmer ha messo in evidenza l’importanza di una certa struttura di personalità nello scatenarsi di uno stato psicopatologico dinnanzi ad un certo tipo di evento che ha la caratteristica di mettere in crisi in modo specifico quel tipo di personalità. Egli ha descritto le persone “sensitive”: esse sono fragili, ma anche ambiziose e ostinate; sono ipersensibili e si sottopongono continuamente al vaglio della propria coscienza. Ciò dà vita a dei sentimenti di insufficienza. Questi soggetti soffrono di bassa autostima ma si sentono anche sottovalutati dagli altri. Il trauma che agisce da evento-chiave è un’esperienza umiliante, soprattutto a seguito di fallimenti morali o sessuali. La vita affettiva del sensitivo dopo il trauma appare dominata da un senso di umiliante vergogna che conduce alla “proiezione affettiva”: il sensitivo, il quale vede il mondo esterno soltanto attraverso il suo stato affettivo, riconduce a se stesso tutto ciò che vede e sente, e finisce per convincersi che la sua vergogna è pubblicamente nota. www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! 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Di particolare importanza sono gli studi relativi a due patologie: il disturbo post-traumatico da stress e il disturbo da depersonalizzazione. (1) Davidson e Foa mettono in evidenza numerosi fattori estranei all’evento traumatico che influenzano lo sviluppo di un disturbo post-traumatico da stress: a) vulnerabilità genetica alle patologie psichiche; b) esperienze negative o traumatiche infantili; c) tratti di personalità; d) altri eventi stressanti recenti; e) caratteristiche del sistema di supporto; f) recente abuso di alcol; g) locus of control esterno vs. interno. (2) Simeon e Abugel sostengono che il trauma svolge un ruolo importante nello sviluppo delle sindromi da depersonalizzazione. In particolare, gli abusi emotivo, fisico e sessuale caratterizzano in particolare l’anamnesi delle persone affette da disturbo da personalizzazione e le distinguono in maniera statisticamente significativa dai soggetti sani. Questi due esempi permettono di evidenziare che il rapporto tra life events e disturbo psichico non è inquadrabile in termini puramente quantitativi (tanti eventi, tanta probabilità di ammalarsi); questo rapporto dipende invece da fattori di ordine qualitativo: l’anamnesi biologica, la struttura di personalità, la storia di vita, patologie concomitanti, le caratteristiche intrinseche del tipo di trauma. • Trauma – situazione Nell’accezione “trauma – life event”, viene trascurato il ruolo attivo della persona nella cocostituzione dell’evento stesso; questo aspetto si trova al centro della concezione “trauma – situazione”. Ogni persona può incontrare in linea di principio ogni tipo di evento, ma effettivamente va incontro soltanto alle situazioni che la caratterizzano. Il modo di essere di una persona, la sua configurazione antropologica, il suo modo di intendere la vita e di impostare le relazioni con gli altri, la gerarchia dei suoi valori la conducono a trovarsi all’interno dei rapporti tipici per quella persona. La nozione di trauma – situazione, dunque, problematizza il ruolo della persona nella costituzione dell’evento traumatico, un ruolo che è attivo in quanto la persona concorre attivamente a creare la situazione, ma che è anche passivo in quanto non c’è alcuna intenzione o volontà da parte dell’individuo di creare la situazione stessa; si tratta, invece, di un non poter essere altrimenti, di un non poter fare in altro modo. La nozione di trauma – situazione mette in evidenza una nuova concettualizzazione di ciò che nell’evento è traumatico: l’evento, che la persona stessa ha contribuito a creare, è traumatico in quanto in esso e tramite esso la persona acquista consapevolezza e viene a contatto con la propria incapacità ad essere e agire in modo diverso. Ciò che è traumatico è lo scoprire che nelle diverse situazioni che caratterizzano la propria esistenza è inscritto un destino, lo scoprire www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ che esse rispecchiano una sorta di “programma etico” che contribuisce al realizzarsi delle situazioni patogene e che si attiva indipendentemente dalla propria volontà. • Trauma – rivelazione L’evento rappresenta dunque anche un momento di verità: il trauma è la rivelazione del proprio sé oggettivato, reso visibile in una situazione esterna. Lo specchio della situazione esterna rende visibile, consente di accedere ad un’esperienza di sé più autentica, allo svelamento di aspetti di sé fin qui non accessibili alla coscienza. Il trauma – specchio rappresenta la situazione limite in cui alla disperazione e al dolore dovuto allo scontro con la propria labilità e debolezza si accompagna la serena rivelazione e la contemplazione della propria condizione vulnerabile. La persona è posta di fronte alla propria vulnerabilità, in condizione di riflettere su di essa. Il trauma – rivelazione mostra un profilo apparentemente opposto, ma in realtà complementare, rispetto a quello del trauma – alterità: mentre nel trauma – alterità l’evento è caratterizzato dall’ex-timità, nel trauma – rivelazione esso è riconosciuto e accolto nel suo carattere di carnale intimità. • Trauma, senso e temporalità Il trauma può essere spiegato seguendo una logica naturalistica, dunque attraverso delle connessioni diacroniche del tipo causa-effetto, oppure può essere inserito all’interno di una dimensione sincronica di ispirazione fenomenologico-ermeneutica ed essere spiegato attraverso delle connessioni di senso, delle relazioni reciproche tra i vari fenomeni che si distribuiscono nel passato, nel presente e nell’anticipazione del futuro. (1) Secondo la prima lettura, un trauma passato serve a spiegare uno stato psicopatologico attuale, laddove “spiegare” significa attribuire a qualcosa una causa. La spiegazione consiste nella ricerca a ritroso dell’origine di un certo fenomeno: trovare la spiegazione di un fenomeno attuale in un fatto che è avvenuto nel passato. Il trauma remoto è la causa della patologia presente. Dunque i principi basilari su cui si fonda questa lettura sono: a) si cerca di spiegare il presente tramite il passato; b) il passato è la causa efficiente di ciò che accade nel presente; c) la linea del tempo scorre unidirezionalmente dal passato al presente. (2) Se anziché all’ordine esplicativo delle cause si considera l’ordine comprensivo del senso, la situazione cambia completamente. Un evento esercita un certo effetto su di me perché in esso colgo un certo significato. Secondo questa seconda lettura, il presente retroagisce sul passato: finché la persona non incontra il secondo evento traumatogeno, il primo evento non acquista il suo significato traumatico. Senza l’evento presente, che attribuisce ad esso uno specifico significato, l’evento passato è un altro evento. Dunque il senso traumatico di un evento emerge più in una dimensione sincronica che diacronica. È la relazione tra il primo evento e il secondo a generare il senso traumatico della vicenda. Nel processo della narrazione, il senso dell’evento viene iscritto nella direzione che va dal presente (il presente della relazione terapeutica) al passato; nella narrazione, il passato è letto alla luce del presente. Questa ri-attribuzione di senso al passato è possibile perché il passato non esiste più, esso esiste solo in quanto memoria. Il senso dei fenomeni si genera tramite una sintesi tra passato, presente e futuro; infatti non soltanto il passato influenza la comprensione del futuro, ma anche il futuro, ciò che ci si aspetta, retroagisce sul senso dell’esperienza passata. Questo è anche il modo in cui si genera il senso nella cura: nella www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ sincronia tra le esperienze passate, quelle presenti e le aspettative verso il futuro così come si attualizzano nella relazione terapeutica. 9) L’umore e i suoi disturbi • Archeologia della nozione di “umore” Nella psicopatologia contemporanea, un’alterazione dell’umore è considerata primaria in numerose condizioni morbose, tra cui il disturbo maniaco-depressivo o i disturbi d’ansia. Questa concezione ha origini antiche ma in età moderna può essere fatta risalire all’opera ottocentesca dello psichiatra Jean Paul Falret, tra i primi a sostenere che il disturbo che genera la depressione è la tristezza e che tutti i sintomi della depressione devono essere considerati come epifenomeni. Nonostante la centralità della nozione di umore in psicopatologia, la sua definizione rimane problematica e l’uso che ne viene fatto negli studi clinici non si discosta molto da quanto affermavano più di duemila anni fa i medici greci del periodo classico: secondo la teoria umorale un eccesso di bile nera, che normalmente è fredda e secca, causa una malattia fredda e secca come la melancolia. A tal proposito si può constatare come, ancora oggi, la stessa parola “umore” venga utilizzata sia per riferirsi ad un fenomeno psichico (uno stato d’animo) che ad un’entità materiale (un fluido corporeo). Ciò conduce a pensare che un disturbo dell’umore sia determinato in primo luogo da un’alterazione del milieu biologico, la quale provoca, secondariamente, delle alterazioni psichiche. Queste alterazioni psichiche, a loro volta, condizionano il comportamento e la percezione. L’umore è una tonalità pervasiva e sostenuta che è esperita internamente e che può influenzare marcatamente tutti gli aspetti del comportamento e della percezione del mondo di una persona. • Emozioni, umori, affetti La concettualizzazione dell’umore, nonché di concetti affini quali quelli di “emozioni” e “affetti”, appare spesso inadeguata; è quindi necessario dare una coerente definizione di queste nozioni. Le emozioni sono forze dinamiche che ci guidano nelle nostre interazioni con l’ambiente. La parola “emozione” deriva dal latino ex-movere (muovere da) e indica la motivazione al movimento. Dunque le emozioni sono stati funzionali che motivano e possono produrre movimento. In quanto tendenze a muoversi in un certo modo, le emozioni si organizzano attorno a coppie di opposti con valenze dinamiche e posturali (es.: avvicinamento vs. allontanamento, coinvolgimento vs. evitamento, ecc.). Affetti e umori sono tipi diversi di emozione: l’affetto è un’emozione connessa a fenomeni che ne costituiscono la motivazione, mentre l’umore è un’emozione che non possiede per la persona questo legame esplicito con un fenomeno che la motiva. Dunque gli umori sono vissuti come immotivati, non sono focalizzati su un singolo oggetto, quindi sono non intenzionali, più inarticolati e si prolungano nel tempo; gli affetti, invece, hanno per la persona che li prova una spiegazione, sono vissuti come motivati da qualcosa, sono focalizzati su un oggetto e quindi sono intenzionali, articolati e hanno durata più breve. Dunque si può dire, ad esempio, che l’ansia è un umore, mentre la paura è un affetto. • Per una coreografia delle emozioni: ansia, paura e angoscia L’ansia è l’emozione che contraddistingue la risposta ai rischi e alle sfide a cui gli esseri umani sono esposti. Nella letteratura psicologica e filosofica possono essere rinvenute tre prospettive www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ sull’ansia: 1) Nell’ottica psicodinamica, l’ansia è un segnale di un pericolo proveniente dall’interno, in particolare dall’inconscio; 2) Nell’ottica biologico-evolutiva, l’ansia è la reazione fisiologico-comportamentale messa in atto dall’organismo a scopo adattativo-evolutivo di fronte alle minacce dell’ambiente; 3) Nell’ottica delle filosofie dell’esistenza, l’ansia è la rivelazione emotiva della condizione umana, è lo stato in cui l’essere è consapevole del suo possibile non-essere, della sua finitudine. Abbiamo già detto che la paura è la risposta ad un fenomeno che viene riconosciuto come sua motivazione; si tratta quindi di un’esperienza intenzionale, nel senso che la persona che ha paura è attenta ad un fenomeno di cui ha paura. L’ansia invece è un’esperienza non intenzionale, cioè priva di una motivazione esplicita. Le differenze tra ansia e paura possono essere comprese maggiormente ricorrendo ad uno schema descrittivo che si propone di delineare una coreografia delle emozioni; tale schema può essere esteso anche all’angoscia. Direzione del movimento Tempo del movimento Movimento del mondo Paura Nella paura mi sento portato all’indietro lontano da ciò che mi minaccia; in questo ritirarmi, allo stesso tempo mi ritraggo in me stesso divenendo sempre più piccolo. Il mio Sé ha un fondo che si ritira con me. La paura nel suo arretrare si muove con uno scatto improvviso. Ansia Quando sono in ansia mi sento sospeso sopra un abisso interiore. Il Sé è vissuto come privo di fondo, e per questo il movimento avvertito è un precario esseresospeso sopra l’abisso del mio Sé. Angoscia Nell’angoscia mi sento immobilizzato e costretto a subire passivamente un’azione esterna che mi chiude in me stesso, strozzandomi. L’ansia nel suo essere sospesa è un tremore, oscilla e sussulta. Nella paura il mondo mi viene incontro minaccioso. L’oggetto che mi minaccia, mentre io mi ritraggo in me stesso, sembra invadere tutto il mio campo percettivo, dominandolo. Nell’ansia il mondo si ritrae da me, diviene rarefatto. Si tratta di un vuoto senza direzione, omogeneo e distante. La terra su cui poggio i piedi diviene sottile e si apre in una voragine. Nell’angoscia il tempo mi stringe un cerchio attorno e mi isola dal futuro, confinandomi in un presente eterno che ricalca il passato. Attorno a me, il mondo assume la forma di un angolo in cui sono stretto, serrato. Il mondo si stringe attorno a me opprimendomi e impedendomi ogni movimento, tranne che un indietreggiamento. • La dialettica tra umori e affetti La persona non è soltanto passiva e recettiva nei confronti delle proprie emozioni, ma può assumere un atteggiamento attivo nei loro confronti. Infatti l’uomo, a differenza degli altri animali, si interroga sull’origine delle proprie emozioni e se è in preda ad un umore (emozione www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ immotivata e non focalizzata) cerca di trasformarlo in un affetto (emozione motivata e focalizzata). È questo uno degli aspetti più caratteristici dell’esistenza umana: i nostri umori ci sorprendono, ci stupiscono e sollecitano la nostra riflessione. Esiste una dialettica tra umori e affetti: un umore può trasformarsi in un affetto quando la persona, interrogandosi sulla sua origine, trova una motivazione. Questa dialettica, però, può imboccare delle “false strade”: è quanto accade paradigmaticamente nelle fobie, nella melancolia e nel disturbo borderline di personalità. (a) Fobie [Umore → Affetto]  Non sempre la trasformazione di un umore in affetto permette alla persona di accedere ad una maggiore conoscenza di sé. Nello sviluppo di una fobia, infatti, questa trasformazione imbocca una falsa strada lungo la quale la persona perde contatto con la propria storia di vita e con una coerente narrativa. Secondo la definizione classica, una fobia è un affetto patologico: un’ansia immotivata (umore) si trasforma in nella paura (affetto) per un oggetto o una situazione specifici. Questa circoscrizione dell’ansia su un oggetto specifico ha valore difensivo, in quanto ha lo scopo di rendere “manipolabile” un’emozione che, in quanto inarticolata, sarebbe impossibile da controllare e da arginare. (b) Melancolia [Affetto → Umore]  Gli affetti possono trasformarsi in umori, perdendo così il proprio legame con le circostanze che li hanno generati. Ciò accade nella melancolia, che si realizza come una reazione di lutto che si prolunga nel tempo. Nel lutto il legame tra l’evento traumatico della perdita e lo stato emotivo è mantenuto: la persona è triste, ha perso interesse nel suo lavoro, le sue pulsioni vitali sono ridotte, ma essa è sempre consapevole che queste reazioni sono una conseguenza della perdita subita. Nella melancolia, invece, il legame tra lo stato emotivo e il suo oggetto intenzionale è solo apparentemente mantenuto; come scriveva Freud, il melancolico sa chi ha perso, ma non sa cosa ha perso con lui. Il melancolico è tormentato da un umore, un’emozione priva di un chiaro e distinto oggetto intenzionale; egli non è in grado di collocare la perdita del suo oggetto in una narrativa coerente perché non gli è chiara la natura stessa di ciò che ha perduto. Nella melancolia i fenomeni tipici del lutto si intensificano. Il distacco dalle abituali cure quotidiane, che nel lutto ha la funzione di lasciar spazio al processo di separazione dall’oggetto perduto, nella melancolia si slega da questo processo, perde un’esplicita connessione con l’accaduto e investe ogni aspetto del mondo, prima di tutto la stessa persona del melancolico che rimane priva di ogni spinta pulsionale alla vita. (c) Disturbo borderline di personalità [Umore ↔ Affetto]  L’ultimo caso paradigmatico di dialettica tra umori e affetti è rappresentato dalla cronica oscillazione tra disforia (umore) e rabbia (affetto) nella patologia borderline. La disforia è l’umore di fondo nei pazienti borderline; esso si esprime nel tipico modo di questi pazienti di percepire se stessi e gli altri: sia il proprio Sé, sia l’altro sono indefiniti agli occhi del borderline. Il paziente borderline non sa cosa pensare dell’altro, e all’incertezza riguardo l’identità dell’altro, riguardo al senso delle sue azioni e alle sue intenzioni, corrisponde un sentimento di indefinitezza del proprio Sé. La disforia è quindi l’umore che corrisponde all’indefinitezza. Questa emozione non riesce a creare delle salienze, cioè a selezionare dettagli significativi nel comportamento dell’altro che gli permettano di definirlo, di capire se è affidabile o meno, se mi riconosce o meno in quanto persona degna di attenzione, cura, simpatia e amore. L’umore disforico nel paziente borderline è però sempre in bilico, pronto a ribaltarsi nell’affetto rabbia. L’altro è vissuto come irritante (“disforizzante”) in quanto indefinibile, e questa irritazione è sempre pronta a trasformarsi in un sentimento di rabbia verso l’altro. È sufficiente che l’altro compia un qualsiasi gesto che faccia pensare al paziente borderline ad un abbandono (es.: che non risponda ad una chiamata o ad un messaggio, che sia poco attento durante una conversazione) affinché la disforia si www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ tramuti in rabbia. L’altro diviene la motivazione, l’oggetto intenzionale dell’emozione che caratterizza il borderline: egli diviene cattivo e persecutorio. Nel momento in cui la disforia si trasforma in rabbia l’altro diviene improvvisamente definito, e il Sé, di conseguenza, diviene più coerente. Si tratta però di una definizione e di una coesione che durano poco: in poco tempo la rabbia torna ad essere disforia. • Il temperamento nell’ottica psicobiologia e in quella psicodinamica A volte un umore può prolungarsi nel tempo senza spiegazione e diventare una disposizione permanente (un tratto temperamentale) del tono emotivo fondamentale di una persona. (a) In un’ottica psicobiologica, il temperamento viene definito come una disposizione prossima alle basi pulsionali, affettive ed emotive dell’individuo. Questo concetto si riferisce tradizionalmente agli aspetti costituzionali di una persona, cioè a quell’emozione di base che condiziona la reattività di un individuo. Con la nozione di “carattere”, invece, ci si riferisce all’insieme di strategie difensive a cui si fa ricorso per adattare la propria disposizione temperamentale alle vicissitudini ambientali. La psicopatologia contemporanea individua quattro tipi fondamentali di temperamento: ciclotimico, ipertimico, distimico, disforico; talvolta a questi quattro tipi se ne aggiunge un quinto, detto ansioso. Da un lato il temperamento può essere considerato come un dispositivo antropologico che serve a descrivere la base biologica della personalità. Tuttavia i termini utilizzati per indicare i temperamenti fondamentali sono di chiara matrice psicopatologica, cioè indicano delle deviazioni abnormi, e non semplici declinazioni dell’emotività di base delle persone. Per tale ragione spesso il temperamento nell’ottica psicobiologica viene equiparato ad una manifestazione sottosoglia (anche se adattiva) di un disturbo affettivo; allo stesso tempo viene concettualizzato come un fattore di vulnerabilità che predisporrebbe allo sviluppo di episodi di malattia conclamata. (b) In un’ottica psicologicodinamica, il temperamento può essere definito “un’abitudine interpretativo-emotiva che si prolunga nel tempo”, cioè la tendenza a vivere le cose in un certo modo, risultato delle esperienze passate; si tratta di un pattern durevole di emozioni che si costruisce a partire dal sedimentarsi dell’umore. La trasformazione dell’umore nel rispettivo tratto temperamentale avviene implicitamente e senza il coinvolgimento volontario della persona; sulla base del temperamento si stabiliscono poi delle vie preferenziali tra un certo tipo di situazioni e certe azioni. • A che cosa servono le emozioni? Emozioni e circumscription Secondo il neurobiologo Damasio la funzione biologica delle emozioni è duplice: (a) In primo luogo esse ci permettono di selezionare il comportamento più idoneo per una certa situazione. Ad esempio, di fronte ad una situazione di pericolo un animale può fuggire, lottare, fare il morto, ecc.; anche gli esseri umani mettono in atto automaticamente queste reazioni “primitive”, anche se mitigate “dalla ragione e dalla saggezza”. (2) La seconda funzione biologica delle emozioni è quella di regolare lo stato interno dell’organismo (distribuzione del flusso sanguigno, pressione arteriosa, frequenza cardiaca, ritmo respiratorio, stato di tensione muscolare, ecc.) per prepararlo ad uno specifico comportamento. Le emozioni quindi fanno parte dei meccanismi di regolazione omeostatica funzionali a mantenere l’integrità dell’organismo di fronte a stimoli e situazioni esterne. Dunque le emozioni sono strettamente connesse alla selezione, per lo più implicita ed automatica, di un comportamento. Per ragioni relative alla sopravvivenza, in alcune circostanze si ha la necessità di saltare in modo immediato a delle conclusioni a partire da un numero limitato di informazioni; in uno stato di www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ dubbio, grazie al prevalere di una specifica emozione si opta per un’azione piuttosto che per un’altra. Il dispositivo della riflessione è quindi bilanciato dal dispositivo dell’agire sulla base di cortocircuiti emotivi. Le emozioni svolgono un ruolo fondamentale nel trasformare l’ambiente, da un luogo in cui ogni stimolo è recepito come equivalente, in un mondo, cioè in una sequenza di situazioni in cui percepiamo alcuni dettagli come rilevanti per i nostri scopi, e in quanto tali attraenti o repellenti, piacevoli o spiacevoli, buoni o cattivi, determinando di conseguenza il nostro agire, cioè i nostri movimenti (avvicinamento vs. allontanamento, ecc.). Solo se l’ambiente viene circoscritto dalle emozioni l’azione diviene possibile. • Emozioni ed enactment In assenza di emozioni, il mondo appare irreale e distante, privo di interesse e di senso. In una condizione di apatia, le cose che mi circondano mi appaiono come una mera collezione di oggetti inutilizzabili, privi di rapporto con la vita, privi di una funzione. Di questi oggetti, in assenza di emozioni che mi legano ad essi, ho una pura conoscenza teorica, non una conoscenza pragmatica (enacted, legata alle mie possibilità e necessità di azione) data dalla necessità di utilizzarli ai fini pratici della soddisfazione di un bisogno della realizzazione di un progetto. Il mio corpo, in assenza di emozione, non inerisce a questi oggetti, non struttura e organizza le mie possibilità di usare questi oggetti. Se un’emozione è la motivazione a compiere un certo movimento, e non ci sono emozioni, non c’è alcuna motivazione al movimento, dunque all’azione. L’assenza di motivazione all’azione fa sì che le cose si trasformino da utensili in meri oggetti (ob-jectum). Affinché una cosa sia per me un utensile è necessario che io senta la pulsione a muovermi per utilizzarlo in vista di un certo scopo, o ad allontanarmi da esso per la pericolosità: le emozioni selezionano alcune, e non altre, possibilità di movimento; l’assenza di emozioni non ne seleziona alcuna, lasciandomi in balia di un ambiente incomprensibile e di una conoscenza puramente teorica del mondo. In presenza di emozioni l’ambiente si dispone attorno a me come un campo caratterizzato da salienze: alcuni dettagli attirano la mia attenzione, altri passano inosservati. Dunque le emozioni determinano la mia recettività, cioè la mia sensibilità a cogliere certi aspetti del mondo in quanto più dotati di senso e altri come meno significativi. Essere recettivi significa rispondere involontariamente a qualcosa che mi ha impressionato; dunque la recettività si colloca a metà strada tra il volontario e l’involontario, tra percezione e movimento. Alcuni autori ipotizzano che il significato che attribuiamo alle cose dipende dalle nostre possibilità di movimento. Il rapporto di implicazione tra percezione e movimento è bidirezionale: il senso percepito implica il movimento, ma, allo stesso tempo, la possibilità di movimento implica il senso. In altre parole, noi percepiamo di una cosa ciò che essa ci permette di fare in rapporto al nostro corpo. Le emozioni ci situano nel mondo, lasciandoci aperte certe e non altre possibilità di azione. Esse ostacolano la comprensione “oggettiva” e l’azione “razionale”, in quanto la prima è in realtà una conoscenza puramente teorica e quindi non applicabile, e la seconda è in realtà una non-azione, in quanto implica il rimanere nel dubbio, nell’irrisolutezza, nella riflessione. Abbiamo detto che in assenza di emozioni si ha la perdita del contatto vitale con la realtà; senza emozioni non riusciamo ad afferrare il senso delle cose, ad usarle per le nostre necessità vitali. Questa perdita di contatto con il mondo caratterizza l’esistenza schizofrenica e l’esistenza delle persone ossessive. In questi casi, la patologia delle emozioni è uno squilibrio tra emozioni e riflessività, a svantaggio delle prime; prevale dunque la riflessione e una www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ conoscenza puramente speculativa. Ma la patologia delle emozioni può evidenziarsi anche come predominio delle emozioni sulle facoltà riflessive: è ciò che accade quando viene meno la capacità di articolare le emozioni con le situazioni e con la storia di vita, cioè quando si cessa di utilizzare le emozioni come strumento per comprendere se stessi e la propria posizione rispetto ad una data situazione. La patologia delle emozioni rappresenta una sproporzione tra l’entità dell’emozione stessa e la capacità della persona di riflettere sul rapporto di tale emozione con la salienza con cui è correlata, ma anche l’incapacità di riflettere sul rapporto tra l’emozione e la propria identità. Quando un’emozione è troppo forte offusca la mia capacità di riflessione, cioè la mia capacità di usare l’emozione stessa per capire come mi colloco rispetto a quella cosa. La mia capacità riflessiva è insufficiente per rintracciare l’oggetto intenzionale della mia emozione: in questi casi, la patologia delle emozioni è in senso stretto un disturbo dell’umore, cioè un disturbo caratterizzato dalla presenza di emozioni prive di un oggetto intenzionale esplicito. • Emozioni e attunement Gli esseri umani devono essere in grado di ricavare informazioni rilevanti riguardo alla propria collocazione nello spazio delle relazioni sociali, e le emozioni svolgono un ruolo molto importante a tal proposito. Il fenomeno che rende possibile la socialità è definito affect attunement (sintonizzazione affettiva). L’attunement è un ponte tacito, pre-verbale e preriflessivo che lega la vita emotiva delle persone. La comprensione delle azioni altrui si basa sulla riproduzione, involontaria e implicita, di ciò che l’altro prova nel compiere quella certa azione. Il prerequisito della comprensione delle azioni altrui sarebbe appunto la simulazione dall’interno delle azioni stesse; questa simulazione è basata sull’intercorporeità, cioè sul trasferimento immediato dello schema corporeo. L’intercorporeità rappresenta l’immediato legame percettivo attraverso il quale noi riconosciamo gli altri esseri in quanto simili a noi. Alla base di questo fenomeno c’è l’identificazione patica con il corpo dell’altro. Il vincolo percettivo tra me e l’altro è basato sulla possibilità di identificarsi con il corpo altrui attraverso un legame percettivo immediato. La base biologica di questi fenomeni va ricercata nell’azione di una popolazione di neuroni, chiamati “neuroni specchio”, che si attivano sia quando viene attuata una particolare azione, sia quando si osserva un altro individuo compierla. I disturbi dell’attunement caratterizzano, ancora una volta, la condizione schizofrenica. I disturbi nell’area dei rapporti tra emozioni e intersoggettività sono due: a) da un lato, le persone schizofreniche denunciano il proprio sentirsi distaccati dagli altri e dal mondo esterno; b) dall’altro lato, queste persone si sentono invase dagli altri, e ciò potrebbe essere dovuto ad un eccesso di emozioni legato alla presenza delle altre persone. Riguardo la primo punto, emerge il sentimento di estraneità di fronte al mondo sociale e la mancanza di una base implicita e spontanea per i propri comportamenti sociali; così le persone schizofreniche tentano di supplire a questa mancanza di base di sintonizzazione tramite la scoperta, o la costruzione, di un algoritmo esplicito, elaborato a partire da osservazioni sul mondo, da applicare in via riflessiva per condursi nelle interazioni sociali. Si assiste dunque ad un disperato tentativo di risintonizzazione con gli altri. Riguardo al secondo punto, la persona schizofrenica si sente sommersa da un’alluvione di emozioni suscitate dalla presenza di altre persone. Gli altri sono vissuti come opprimenti, asfissianti; nei casi più gravi, le persone schizofreniche si sentono invase dagli altri, controllate. La presenza altrui provoca sensazioni di irrigidimento, di www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ congelamento, nonché una serie di abnormi sensazioni somatiche (cenestopatie, sensazioni di sofferenza riferita erroneamente dal soggetto a una funzione somatica o ad un organo); a non essere riconosciuta è la natura emozionale di tali sensazioni corporee. Esse vengono piuttosto interpretate come disturbi che rimandano ad una malattia somatica, oppure vengono attribuite alle intenzioni malevole e persecutorie degli altri ed elaborate quindi in chiave paranoide. • Persona, emozioni e coscienza di sé Assume particolare importanza, in psicologia, il rapporto tra le emozioni e la conoscenza di sé. Mentre negli altri animali le emozioni sono risposte finalizzate all’adattamento, negli esseri umani esse sono anche legate al problema dell’identità personale. Per un essere umano l’esistenza non implica soltanto la lotta per la sopravvivenza e la riproduzione, ma anche la necessità di definirsi e capire che tipo di persona si è. Il sentimento di appartenenza delle proprie esperienze ed azoni ad un nucleo organizzatore (il sé), il sentimento di continuità nel tempo e di delimitazione del sé dal mondo esterno, la definizione del proprio sé in termini di aspirazioni e progetti sono bisogni fondamentali per un essere umano. Le emozioni hanno un ruolo di primaria importanza in questa ricerca della propria identità. Le emozioni che proviamo, infatti, ci danno il senso di quanto la nostra identità coincida con l’azione che stiamo compiendo o con la situazione a cui stiamo partecipando. La funzione delle emozioni è quindi quella di “fornire un servizio di informazioni all’individuo come essere senziente”. L’emozione mi informa che quella è una mia azione nel senso etico del termine: non soltanto essa è compiuta da me, ma fa parte della mia identità. Le mie emozioni sono dunque indici dell’appartenenza etica di un’azione al mio sé. L’emozione mi informa in modo pre-verbale e pre-concettuale: io sento un movimento che mi avvicina a me stesso, che ristabilisce o rafforza la mia intimità con me stesso. In altri casi, le mie emozioni non danno vita a sentimenti di intimità, ma di estraneità da me stesso, di inquietudine; fanno sorgere in me domande, dubbi, incertezze rispetto al modo in cui agisco nel mondo. Le mie emozioni possono quindi portarmi a interrogarmi riguardo alla mia identità, a mettere in discussione l’immagine che mi ero creato di me. Dunque la riflessione sulle emozioni che provo quando compio un’azione rappresenta la via regia per la conoscenza di me stesso. A volte mi riconosco nelle mie azioni, e in questo caso le mie emozioni mi fanno sentire un tutt’uno con me stesso; a volte però le emozioni che provo nel compiere un’azione hanno un effetto perturbante: in questo caso le mie emozioni mi fanno capire che sono una persona diversa da quella che ha compiuto quell’azione. La riflessione sulle emozioni permette di ristabilire la giusta distanza tra sé e le proprie emozioni, la distanza che permette di articolare il senso di un’emozione, e il senso personale dell’azione a cui l’emozione si accompagna. L’articolazione tematica delle emozioni in una struttura narrativa è il modo più efficace per compiere questa riflessione. 10) Disturbi della coscienza • La coscienza come dispositivo antropologico Vigilanza. Nel linguaggio comune, un uomo si definisce cosciente se è consapevole dei propri pensieri, sentimenti, percezioni, volizioni. Questa accezione del termine “coscienza” coincide con la nozione neuropsicologica di vigilanza, che indica l’essere svegli. Strettamente connessa alla vigilanza è la lucidità, cioè la capacità di disporre delle proprie facoltà percettive, cognitive, mnesiche, ecc. Nello stato vigile e lucido, una persona si volge in modo attivo e coerente verso www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ un’altra persona o un oggetto ed è pronta all’azione. La vigilanza viene meno fisiologicamente nel sonno, si modifica nella trance e può alterarsi qualitativamente e quantitativamente in vari stati psicopatologici e psico-organici. Coscienza morale. In italiano la parola coscienza si riferisce sia alla coscienza cosiddetta teoretica che a quella morale: il primo significato mette in luce il conoscersi, il secondo il giudicarsi. Ad ognuno di questi due significati corrisponde un campo di indagine filosofica e psicopatologica: da un lato il campo di coscienza in cui si danno e si organizzano le esperienze, dall’altro la sfera dei valori su cui si basano le azioni in cui si articola l’esistenza. Nel primo campo, lo studio della coscienza consiste nell’analisi della corrente di esperienze vissute alla ricerca del modo in cui la coscienza stessa si appropria delle esperienze, mentre nel secondo l’indagine riguarda la struttura dei valori della persona. La proprietà fondamentale della coscienza: l’intenzionalità. Nella filosofia della mente e in fenomenologia, il termine coscienza si riferisce alla coscienza fenomenica o alla coscienza di sé (o autocoscienza). La proprietà fondamentale della coscienza, in questo ambito, è costituita dal suo essere sempre diretta verso qualcosa: questa caratteristica fondamentale della vita psichica è detta intenzionalità. L’intenzionalità è la direzionalità della mente sui propri oggetti. Dunque la coscienza è sempre coscienza di qualcosa, essa è sempre orientata, rivolta ad un oggetto. Il concetto di intenzionalità non si riferisce all’avere delle intenzioni, dei propositi da realizzare. Essa, piuttosto, deve essere compresa a partire dal verbo latino “intendere”, che significa “tendere verso”. Esistono due forme fondamentali di intenzionalità: a) in senso stretto, l’intenzionalità è definita come la caratteristica della coscienza di essere sempre diretta oltre se stessa verso un oggetto; b) in senso più ampio, l’intenzionalità è definita come apertura verso l’altro. Esistono atti della coscienza che, pur non avendo un oggetto intenzionale esplicito, sono comunque dotati di intenzionalità come apertura; è il caso degli umori che, pur essendo privi di un oggetto intenzionale, svelano un certo modo di essere del mondo che rende possibile un certo modo di dirigersi verso le cose. Coscienza fenomenica. La coscienza fenomenica consiste nell’essere puramente consapevoli del mondo (inclusi noi stessi). Tale tipo di coscienza possiede tre proprietà: (1) Trasparenza: i contenuti dell’esperienza sono dati alla nostra coscienza fenomenica in maniera diretta e immediata, non tramite la mediazione di stati mentali: noi non vediamo attraverso i nostri stati mentali, e non vediamo i nostri stati mentali. Ad esempio: una persona che vede un albero si sente immediatamente in contatto con esso e non ha l’impressione di percepirlo attraverso la mediazione di una rappresentazione mentale dell’albero stesso e grazie ad un processo mentale e neurologico che rende possibile la percezione stessa. (2) Prospettiva: la coscienza fenomenica è dotata di un carattere prospettico, nel senso che ad ogni esperienza è indissolubilmente connesso il punto di vista della persona che sta facendo quell’esperienza. Dunque l’esperienza è sempre esperienza di qualcuno. (3) Presenza: quando vedo un albero, lo percepisco come presente esattamente adesso, non come un ricordo o un’anticipazione del futuro. Coscienza di sé. La coscienza di sé o autocoscienza consiste nell’essere consapevoli di sé nel momento in cui si è consapevoli del mondo. Ogni qualvolta si è coscienti di un oggetto (coscienza fenomenica) si è indissolubilmente coscienti di se stessi in quanto coscienti di quell’oggetto. L’integrazione tra percezione e coscienza è la base per essere un sé. La dissociazione tra percezione e coscienza è considerata l’essenza dell’esperienza schizofrenica. www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ Per comprendere meglio questo aspetto, è necessario distinguere tra due livelli della coscienza di sé: la coscienza di sé minima e la coscienza di sé narrativa. Coscienza di sé minima (pre-riflessiva, ipseità). L’attributo “minima” si riferisce alla priorità rispetto a qualsiasi altro livello di coscienza di sé. Si tratta di una coscienza di sé: a) immediata, cioè non raggiunta per inferenza o a partire da criteri; b) non osservativa, in quanto non ha origine da una percezione oggettivante di sé, cioè non è mediata da alcun atto percettivo; c) pre-riflessiva, in quanto anteriore e indipendente da un qualsiasi atto di coscienza riflessiva, cioè da una riflessione del sé su se stesso; d) non-concettuale e nonlinguistica, nel senso che non è una rappresentazione di sé mediata linguisticamente né narrativamente; e) non-tematizzata, cioè implicita e silente. La coscienza di sé minima è all’origine del modo di darsi delle esperienze e azioni come esperienze e azioni “in prima persona”, cioè vissute come proprie. Secondo lo psicologo dello sviluppo Rochat, i neonati, anche prima di sviluppare un’immagine o un concetto di sé, sentono di essere il punto di origine delle proprie percezioni, azioni, pensieri, sentimenti, ecc. Stern, a partire dalle sue ricerche sulla coscienza di sé del neonato, ha descritto tre esperienze fondamentali proprie del neonato alla base del suo senso di essere un sé: a) self-agency, cioè il senso di essere l’origine delle proprie azioni e non di quelle altrui; b) self-coherence, cioè il senso di essere un’unità fisica non frammentata, con confini precisi; c) self-history, cioè il senso di continuità della propria esistenza. Le caratteristiche fondamentali della coscienza di sé minima sono il sentimento di meità (ownership) e di attività (agency): il sentimento di meità è il senso implicito di essere il titolare di quell’esperienza o azione, cioè il senso che quell’esperienza o azione è mia, mentre il sentimento di attività è il senso implicito di essere l’iniziatore di quella data azione o atto psichico. Coscienza di sé narrativa. La coscienza di sé riflessiva, che si manifesta nella coscienza di sé narrativa, presuppone un tipo di autocoscienza pre-riflessiva come sua condizione di possibilità. L’autocoscienza riflessiva è esplicita, relazionale, mediata, concettuale e oggettualizzante. A differenza della coscienza di sé pre-riflessiva, è un modo di comprendere se stessi mediato dalla riflessione. Essa si configura quindi come una conoscenza di sé, in quanto si tratta di un modo di raccontare (a se stessi) la propria storia, di strutturare narrativamente la propria esistenza. • Coscienza e inconscio Alcuni fenomeni su cui poggia la struttura della coscienza sono impliciti o inconsci. Il confine tra inconscio e coscienza e le definizioni stesse del concetto di coscienza e inconscio hanno subito in questi anni un’ampia revisione ad opera della filosofia della mente, della fenomenologia, delle neuroscienze e della psicoanalisi. Secondo il modello topografico elaborato da Freud, l’inconscio è costituito dall’insieme dei contenuti psichici rimossi. Questi contenuti rimangono attivi ed emergono attraverso i sintomi, nei sogni, nelle paraprassie, nelle libere associazioni, nei motti di spirito, e così via. Dopo l’introduzione del modello strutturale, vengono collocati nell’inconscio anche i meccanismi di difesa e il Super-Io, costituito dalla coscienza morale. Recentemente lo psicoanalista e neurobiologo Mancia ha proposto la distinzione tra due tipi di inconscio: (1) Il primo, detto inconscio dinamico, coincide con i contenuti inconsci prodotti dalla rimozione. Tale ambito dell’inconscio sarebbe connesso alla memoria esplicita o www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ dichiarativa, avrebbe carattere autobiografico e simbolico e sarebbe verbalizzabile. Esso dovrebbe formarsi a partire dal secondo anno di vita in quanto richiede l’integrità di aree cerebrali che maturano soltanto in questa fase (es.: il lobo temporale mediale, l’ippocampo). La memoria esplicita o dichiarativa comprende la memoria semantica (engrammi di fatti) e la memoria episodica (engrammi di eventi). (2) Il secondo, detto inconscio non-dinamico, non è prodotto dalla rimozione; esso sarebbe connesso alla memoria implicita o non-dichiarativa, che si sviluppa prima del secondo di vita; la memoria implicita rappresenta il repertorio delle esperienze pre-verbali precoci che hanno contribuito “all’organizzazione di rappresentazioni affettive delle figure più significative dello sviluppo del bambino e di fantasie e difese rispetto a delusioni, frustrazioni e traumi che il bambino ha incontrato nel suo impatto con la realtà”. La memoria implicita o non-dichiarativa consta fondamentalmente della cosiddetta memoria procedurale, la quale consiste in una serie di schemi senso-motori impliciti, cioè di risposte motorie (procedure) a stimoli sensoriali che si basano sull’uso implicito delle esperienze predominanti nel passato. Tra le manifestazioni principali della memoria procedurale vi sono quindi gli “usi” particolari del corpo come la postura, il modo di muoversi, l’espressività facciale, e così via. Esempi di memoria procedurale possono essere considerati i modelli operativi interni, gli stili di attaccamento, le rappresentazioni di interazioni generalizzate, ecc. • I disturbi della coscienza come dispositivi di vulnerabilità Abbiamo distinto tre tipi di inconscio: (a) Il primo, quello dinamico, è il repertorio delle significazioni rimosse delle azioni; questo ambito è quello specifico della patologia nevrotica (conflitto). (b) Il secondo, quello non-dinamico, è il fondamento di procedure e schemi sensoviscero-motori, cioè emotivi, che si attivano automaticamente. Le patologie relative a quest’ambito consistono dei disturbi dell’umore (umore). (c) Il terzo, la coscienza di sé minima o pre-riflessiva, è fondamento della prospettiva di prima persona, e condizione di possibilità della coscienza di sé riflessiva e narrativa. Le patologie relative a questo ambito sono costituite dai disturbi dell’area schizofrenica e maniaco-depressiva e dalle personalità liquide. Alterazioni della vigilanza. Le principali alterazioni quantitative della vigilanza sono: a) l’obnubilamento: lieve diminuzione della vigilanza e della lucidità; b) la sonnolenza: riduzione delle azioni spontanee e della risposta gli stimoli e tendenza ad addormentarsi; c) il sopore: assenza di vigilanza da cui la persona può essere risvegliata a fatica; d) il coma: assenza di vigilanza da cui non è possibile risvegliare la persona. Si tratta di condizioni causate da malattie cerebrali come le intossicazioni o i traumi cerebrali, stati epilettici e post-epilettici, disturbi circolatori o di ossigenazione dell’encefalo, patologia infiammatoria o neoplastica dell’encefalo. Le principali alterazioni qualitative della vigilanza sono: (a) Lo stato crepuscolare: esso è caratterizzato da un restringimento dello stato di coscienza che si focalizza su determinati oggetti esterni e soprattutto su determinati vissuti, seguito da una totale amnesia sull’accaduto; possono presentarsi anche delle illusioni percettive. L’umore è generalmente ansioso. Se si escludono le cause organiche, la principale condizione psicopatologica in cui si riscontra lo stato crepuscolare sono i gravi stati di panico in personalità immature o istrioniche. (b) Lo stato oniroide: esso è uno stato simile al sogno, ma “ad occhi aperti”; è caratterizzato da uno stato stuporoso dal quale emergono esperienze allucinatorie e fantastiche che la persona vive con intensa partecipazione emotiva. Escludendo, anche in questo caso, l’eziologia organica, si ritiene si tratti di stati psicotici reattivi e per lo più transitori. (c) L’amenza è un www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ raro stato di profondo disorientamento spazio-temporale e di incoerenza motoria, accompagnato da allucinazioni e da uno stato d’animo perplesso. Si trova in quadri ad eziologia organica o di gravissime patologie psichiche, soprattutto in fase di esordio. Schizofrenia. La concettualizzazione della schizofrenia come un disturbo della coscienza è avvenuta ad opera della psicopatologia fenomenologica. Lo stesso concetto di “schizofrenia” si basa su un’ipotetica dissociazione del sé. Minkowski, Blankenburg, Kimura ed altri autori hanno contribuito alla comprensione del disturbo basale della schizofrenia come un disturbo della coscienza di sé pre-riflessiva. Il disturbo più tipico è costituito dalla perdita della meità delle esperienze. Nella schizofrenia la coscienza di sé pre-riflessiva è turbata, mentre la coscienza riflessiva è accentuata; il disturbo della coscienza di sé pre-riflessiva consiste nel fatto che un fenomeno che prima si svolgeva in modo implicito ora non lo è più, ed emerge come oggetto esplicito di coscienza. Le proprietà fondamentali della coscienza fenomenica sono alterate: (a) Trasparenza: Normalmente, nel percepire la realtà, noi ci sentiamo direttamente in contatto con essa, e non siamo coscienti dei processi mentali che rendono possibile la nostra rappresentazione della realtà stessa. Non avviene lo stesso per una persona schizofrenica, che può diventare cosciente della propria immagine della realtà, e vivere se stessa come l’autore di una serie di atti mentali normalmente impliciti che costituiscono la realtà. Da un lato la persona schizofrenica perde il carattere di trasparenza della conoscenza fenomenica, dall’altro si esaspera il carattere di riflessività rispetto agli atti mentali. La conseguenza è che la realtà appare come irreale e il sé viene concepito come il meccanismo che produce la realtà stessa. (b) Prospettiva: Nell’esperienza delle persone schizofreniche, viene meno anche l’essere prospettico dell’esperienza, cioè il sentimento che l’esperienza è sempre esperienza di qualcuno. Di conseguenza viene meno anche il senso di meità dell’esperienza stessa. (c) Presenza: normalmente, io e il mondo siamo presenti fisicamente nello stesso momento l’uno di fronte all’altro; le persone schizofreniche, invece, possono vivere se stesse come spiriti disincarnati. Melancolia. La condizione maniaco-depressiva rimanda ad un disturbo della coscienza di sé narrativa; essa è caratterizzata dall’arrestarsi della dialettica, interna all’essere-se-stessi, tra sé e altro-da-sé. Ognuno di noi definisce se stesso non soltanto in base a ciò che è già stato, ma anche in base a ciò che non è e potrebbe o vorrebbe essere. Dunque l’identità umana è caratterizzata dalla dialettica tra un nucleo invariante nel tempo del proprio sé (essere-lostesso) e la proiezione del proprio sé nell’evoluzione esistenziale (essere-se-stesso), che prevede l’integrazione nel sé dell’altro-da-sé, cioè di nuove possibilità rispetto al già stato. Il melancolico non vive l’altro da sé come una possibilità verso cui protendersi, ma come un “nulla” da cui mettersi al riparo, come un buco nero che potrebbe annientare un’identità incerta. Il melancolico non tollera l’evento-alterità, cioè l’avvenimento che non rispetta la regola del già noto, in quanto non coglie in esso un’occasione per conoscere un altro aspetto di sé, bensì una minaccia alla sua identità. Così l’esistenza melancolica rimane confinata nell’essere-lo-stesso; si assiste ad un irrigidimento della dialettica identitaria che si radicalizza al polo della staticità. Personalità “liquide” e disturbi alimentari. Recentemente è emerso un nuovo tipo di disturbo della coscienza di sé: quello che si caratterizza per un comportamento alimentare abnorme e per una profonda alterazione del senso di essere un sé e del vissuto corporeo. www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! Scopri tutti vantaggi di Liberamente su http://liberamente.opsonline.it/ Nell’epoca post-moderna è venuto progressivamente meno in ciascuno di noi un principio interno di coerenza, un sentimento interno di appartenenza. In questo contesto, caratterizzato dalla crisi della coscienza “egocentrata”, viene meno l’Io inteso come polo di identità che si pone al di sopra delle singole esperienze e le organizza spontaneamente in un insieme coerente dotato di un senso. Il sociologo Zigmunt Bauman, per definire la condizione postmoderna, ha introdotto la metafora dell’“identità liquida”. Per le persone liquide, i vissuti non si organizzano spontaneamente attorno ad un centro di gravità narrativa, non ineriscono all’Io. L’essere-situati nel corpo e nel mondo non sono garanzie di identità e di stabilità, ma compiti da rinnovare ad ogni istante. Le personalità liquide vivono alla giornata, rifuggendo da qualsiasi definizione “solida” del proprio sé. Tale metamorfosi sociale della coscienza di sé si fa portatrice di una mutazione psicopatologica che vede in primo piano, come patologia della post-modernità, i disturbi del comportamento alimentare. La definizione di questi disturbi sulla base di rilievi puramente comportamentali (la condotta alimentare) è fuorviante; è invece più utile focalizzare il disturbo della coscienza corporea. Queste persone hanno un legame molto debole con il proprio corpo: non riescono a definirne le dimensioni se non attraverso misurazioni oggettive, come il peso o la taglia; si sentono staccate dal proprio corpo e percepiscono il proprio corpo come formato da parti sconnesse tra loro. Non riescono a leggere le proprie emozioni come indici affidabili per definire se stesse. Dunque il corpo non può costituire per loro la base sicura per definire la propria identità. Allo stesso tempo, si assiste in queste persone ad un’iper-identificazione con il proprio corpo in quanto “simulacro della propria identità”; si tratta però di una coscienza indiretta, che si realizza attraverso l’intermediazione dell’altro. È l’essere oggetto dello sguardo altrui che fa sentire queste persone qualcuno o qualcosa, che le sottrae alla depersonalizzazione. Per queste persone il problema dell’identità si riduce all’essere corpo visibile. Il corpo non è sentito in prima persona: queste persone dicono di non appartenersi, di non vivere il proprio corpo come “proprio”; descrivono una dissociazione tra corpo e mente. L’identità prende corpo tramite il relazionarsi con l’altro: solo l’essere visto dagli altri conferisce sostanza al sé. Si potrebbe parlare a tal proposito di una concezione estetica (fondata sul vedere), che rende comprensibile l’enfasi sulla forma corporea che caratterizza queste persone: modellando il proprio corpo, pensano di poter modellare il proprio sé, tentano cioè di definire la propria identità definendo il proprio corpo. • La coscienza come realtà condenda La coscienza non è un datum, un dono della natura. Essa è una realtà condenda, in continua costruzione. Come scriveva De Martino, “la costituzione fondamentale dell’esserci non è l’essere-nel-mondo, ma il doverci essere-nel-mondo. Questo “doverci essere” non è un dato biologico su cui si può far conto, ma un ethos, un dato culturale che dobbiamo rinnovare continuamente, per non correre il rischio di perdere la coscienza. Il nucleo primordiale della coscienza di sé che si costituisce nelle primissime fasi della vita richiede la presenza di cure, di relazioni precoci, di legami affettivi adeguati. Questa è probabilmente l’unica fase della nostra vita in cui il senso di essere un sé non dipende da se stessi. Il fallimento nello sviluppo di questa forma matriciale di coscienza è il nucleo di vulnerabilità a partire dal quale hanno origine le patologie più gravi. La costituzione dei livelli più complessi di coscienza di sé richiede un lavoro continuo di conciliazione dei conflitti, di www.opsonline.it – la principale web community italiana per studenti e professionisti della Psicologia Appunti d’esame, Tesi di laurea, Temi per l’Esame di Stato, Articoli, Forum di discussione, Agenda Eventi, Annunci di lavoro, E-book e tante altr risorse. info@opsonline.it Opsonline.it è gestito da Obiettivo Psicologia srl, via Castel Colonna 34, 00179, Roma Vuoi scaricare appunti, articoli, temi per l’Esame di Stato senza più vincolo dei crediti? Attiva subito Liberamente l’esclusivo abbonamento per Psicologi e studenti di Psicologia! 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