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Periodico di informazione e formazione di sestante edizioni Periodico di informazione e formazione per insegnanti di italiano L2 | www.sestanteedizioni.it EDITORIALE / N.5 - DICEMBRE 2020 Roberto Balò Le competenze di un insegnante/facilitatore L2 D iversi anni fa, fresco di studi umanistici, ma non ancora laureato, mi incaricarono di insegnare italiano a un piccolo gruppo di studenti stranieri. Il giorno prima della lezione mi consegnarono il libro di testo che, una volta tornato a casa, iniziai a sfogliare. Feci delle scoperte sorprendenti come queste tre: gli articoli seguono delle leggi esatte, perfette, quasi matematiche; per usare l’articolo corretto bisogna sapere il genere dei sostantivi, in particolare quelli che terminano in -e, ma il genere o si conosce per esperienza o si cerca su un dizionario, altrimenti bisogna tirare a indovinare; il dimostrativo quello davanti ai sostantivi segue la regola degli articoli determinativi. Erano tutte regole e alcune perdonabili eccezioni alle quali non avevo mai fatto caso. A me non creava nessun problema linguistico: ma a uno studente di un altro paese? Mi misi allora a studiare la grammatica dal punto di vista di chi apprende una lingua stzraniera, e questo fu solo il primo passo di un lungo percorso di educazione all’insegnamento, quasi da autodidatta. Insegnare italiano come lingua seconda richiede una formazione specifica e la prima cosa da fare è eliminare dalla mente il radicato stereotipo che sia sufficiente parlare una lingua per insegnarla. Della nostra lingua madre si hanno delle competenze implicite profonde, il che non corrisponde necessariamente al sapere perché diciamo certe cose in un certo modo. Per insegnare è fondamentale avere una consapevolezza dei meccanismi che sottostanno al funzionamento della lingua. Tuttavia conosce- re le regole non basta. Bisogna sapere come insegnarle e come si apprendono: l’apprendimento ha infatti dei tempi e delle tappe di acquisizione ben precisi. Un altro stereotipo da abbattere prima possibile è quello sugli errori: gli errori sono parte integrante e fondamentale del processo di acquisizione e ne rappresentano il suo progredire, per cui durante l’apprendimento non devono essere soltanto tollerati, ma addirittura benvenuti. Quando si studia/insegna una lingua, l’insegnante diventa un facilitatore, cioè agevola l’apprendimento attraverso determinate strategie, tecniche e attivi- «Insegnare italiano come lingua seconda richiede una formazione specifica e la prima cosa da fare è eliminare dalla mente il radicato stereotipo che sia sufficiente parlare una lingua per insegnarla» tà. Con le basi teoriche acquisite si potrà iniziare ad applicare abilità e competenze metodologiche, come per esempio impostare un’unità didattica o un’unità di lavoro, semplificare un testo, preparare materiale adatto agli specifici bisogni d’apprendimento degli studenti. Si dovrà imparare a saper distinguere tra livello della scrittura e dell’oralità, poiché non sapere scrivere non vuol dire non sapere una lingua e che alfabetizzare significa insegnare la lettoscrittura, cosa ben diversa dal mero insegnamento della lingua. Conoscenze di antropologia, pedagogia, scienze del linguaggio, della comunicazione, della psicologia si integreranno con le neuroscienze in questo affresco di saperi. Senza dimenticarsi dell’acquisizione delle normali abilità che un insegnante dovrebbe avere: la capacità di spiegare bene e con autorevolezza, di essere motivante e coinvolgente in modo da facilitare l’apprendimento, di saper creare in classe un clima piacevole privo di ansia, di porre ai discenti problemi sfidanti, di presentare contenuti rilevanti e significativi, di lasciare il tempo per la riflessione, di rispettare i limiti cognitivi e accettare i diversi ritmi di apprendimento, di dare feedback chiari ed efficaci, di osservare criticamente i successi e gli insuccessi didattici ecc. Infine, è ormai di fondamentale importanza ai fini lavorativi formalizzare le proprie competenze didattiche attraverso le certificazioni ufficiali DITALS, DILS-PG, CEDILS o CEFILS. Il campo di ricerca in ambito glottodidattico è amplissimo, ma con il tempo, lo studio e l’esperienza in classe si possono acquisire tutte queste abilità. Sicuramente il primo passo per essere un buon docente è diventare esperto della propria materia: per questo motivo abbiamo dedicato il quinto numero di Elledue alla formazione di base dell’insegnante di italiano L2. Grazie alla scuola El Comedor di Pisa, nella persona di Nicola Leporini, che organizza regolarmente corsi di formazione per i propri volontari, sono state preparate delle brevi lezioni di base di glottodidattica in formato digitale (po- 1 #Nicola Leporini dcast): nel suo articolo lui stesso esporrà in modo più ampio questo progetto e ci fornirà un quadro esaustivo della genesi della maggior parte degli articoli che seguono. Alan Pona apre la nostra introduzione alla glottodidattica con un articolo sui modelli operativi, strumenti basilari per iniziare un percorso di insegnamento di una lingua. I miei tre podcast didattici, qui restituiti sotto forma di articoli, sono dedicati ad alcuni nodi cruciali della formazione: la conoscenza degli approcci e dei metodi glottodidattici; le tecniche glottodidattiche più comuni e il loro utilizzo all’interno delle diverse fasi dell’unità didattica; la differenza tra materiali autentici e artificiali e il loro uso a lezione. Il podcast di Alan Pona illustrerà una strategia molto importante quando facciamo didattica dell’italiano L2 e in italiano L2: la semplificazione, rielaborazione e riorganizzazione dei testi, cioè la redazione di testi ad alta accessibilità per apprendenti italiano L2. Particolarmente rilevante ai fini formativi è l’intervento teorico-pratico di Claudia Manetti sull’interlingua e l’errore, argomenti troppo spesso sorvolati e relegati agli specialisti. I due contributi di Alessandro Borri sono invece incentrati sull’apprendimento degli adulti, soprattutto migranti o immigrati, e sull’alfabetizzazione. Sempre nell’ambito di questo progetto, sulla scia dell’uscita dei rispettivi volumi, sono stati girati anche due video: nel mio sottolineo l’utilità di Italiano L2/LS fai da te per chi vuole iniziare a insegnare o per chi ha necessità di imparare a creare materiale didattico originale, realizzato attraverso l’uso dei diversi tipi testuali disponibili, ovvero il testo scritto, il video, il film, l’audio, la canzone, il videoclip e l’immagine. Alan Pona presenta Il nuovo fare grammatica, la grammatica pedagogica di italiano L2 di cui è autore: uno strumento facilitatore che accompagna l’apprendimento dell’italiano lingua seconda, fornendo al tempo stesso un solido sostegno all’osservazione della lingua. Chiude questo numero della rivista l’attualissimo contributo di Sannipoli sul fare didattica digitale integrata. Roberto Balò 2 L2elledue | N.5 - DICEMBRE 2020 El Comedor Giordano Livia, La nostra storia Nicola Leporini E l Comedor Giordano Liva, associazione di volontariato nata nel 2002 in memoria di Giordano Liva, studente della facoltà di Storia dell’Università di Pisa, venuto a mancare in giovane età, ha avuto sin dalla sua fondazione lo scopo di sostenere il diritto alla salute, all’alimentazione, all’educazione e all’inclusione sociale di bambini e adulti in varie zone del mondo. A livello internazionale abbiamo dato vita a Juliaca, città del Sud-est del Perù, alla Institución Educativa Particular “Giordano Liva”, un istituto scolastico che segue il metodo costruttivista e che promuove un’educazione personalizzata e di qualità, incentrata sulla persona. Grazie al programma di borse di studio che promuoviamo, anche i bambini che appartengono a famiglie meno abbienti possono accedere a tale struttura scolastica. In Nepal, invece, partecipiamo alla ricostruzione della Uttargaya Public English Secondary School, nel villaggio di Uttargaya, nel centro del paese, gravemente danneggiata dal terremoto del 2015. Abbiamo rivolto la nostra attenzione anche ai bisogni espressi dalla comunità locale della nostra città, Pisa. Per questo motivo nel 2006 abbiamo inaugurato una Scuola di Italiano per Migranti, attraverso la quale offriamo corsi di italiano gratuiti in orario serale, partendo dal presupposto che la lingua sia uno strumento imprescindibile tanto per la comunicazione che per la partecipazione. La Scuola è un luogo di accoglienza, aggregazione e scambio culturale aperto a tutti, senza distinzioni di status giuridico, e offre attività di incontro e socializzazione in contesti educativi familiari. Nel 2019 è stato attivato anche un corso di mattina riservato esclusivamente alle donne: in questo orario, infatti, quando i figli sono a scuola, è più facile per loro seguire un corso di italiano. Lo Zaino del Maestro Alcuni insegnanti volontari della Scuola non potevano però contare su un background di studi o di interessi personali che avesse a che fare con la didattica dell’italiano; per questo, pur armati di buona volon- #Nicola Leporini tà, si trovavano catapultati in classe senza però avere sempre il polso della situazione, rischiando altresì di fare affidamento su approcci e metodologie sì più familiari, forse perché loro stessi li avevano “subiti” da studenti, ma che oramai vengono considerati unanimamente desueti. Per questo motivo sentivamo l’esigenza di organizzare dei momenti formativi e, potendo contare sui fondi 8x1000 della Chiesa Valdese, li abbiamo ben presto attivati, decidendo però di aprirli a tutti: non solo ai volontari della nostra associazione, ma anche a operatori del terzo settore, aspiranti volontari, volontari di altre associazioni, studenti universitari e insegnanti. Se nel 2013 la formazione è stata organizzata sotto forma di seminari indipendenti, negli anni successivi è stata strutturata come un vero e proprio corso di formazione gratuito, al quale abbiamo dato il nome di Lo Zaino del Maestro, giunto ormai alla settima edizione. Nel corso degli anni lo Zaino del Maestro si è focalizzato su questioni centrali della didattica dell’italiano L2 (approcci, metodi e tecniche della Glottodidattica, spunti e idee per la programmazione, la correzione dell’errore, l’interlingua, l’apprendimento naturale, le sequenze di acquisizione, la specificità della didattica dell’italiano ad adulti), sempre facendo riferimento al nostro target principale di studenti, ovvero analfabeti e debolmente scolarizzati. Lo Zaino del Maestro ha toccato però anche altre questioni: la legislazione nazionale in materia di migrazione, le certificazioni linguistiche in Italia, la didattica ludica, la relazione in un contesto plurilingue e multiculturale, l’utilizzo di strumenti artistici nella didattica in classe, la comunicazione sociale e interculturale, fino a mettere in piedi dei “laboratori di spaesamento” in lingua araba, dove gli insegnanti si mettevano nei panni degli studenti. Questi incontri sono stati molto importanti sia per i volontari di vecchia data sia per i nuovi arrivati. Lo Zaino del Maestro è stato seguito anche da operatori del terzo settore che lavorano nel campo della migrazione, facendo crescere quella “rete” cittadina di cui la nostra associazione fa parte sin dalla sua fondazione. Gli incontri hanno consentito a molte persone, soprat- L2elledue | tutto studenti universitari, di seguire un percorso gratuito che, oltre a formarle, le ha fatte avvicinare alla nostra associazione, nella quale in alcuni casi sono poi entrate a far parte come nuovi insegnanti volontari. Oggi Nel 2020, a causa delle restrizioni richieste dal dilagare della pandemia e poi del lockdown, abbiamo dovuto constatare l’impossibilità di organizzare una nuova edizione dello Zaino del Maestro in presenza. Non ci siamo però dati per vinti e abbiamo deciso comunque di inventarci qualcosa di nuovo, un po’ per non trascurare troppo i nostri volontari e un po’ per metterci alla prova. La nostra prima idea è stata messa in pratica nei mesi di maggio e giugno, quando abbiamo attivato per la prima volta un’edizione dello Zaino del Maestro in remoto, utilizzando l’applicazione di teleconferenza gratuita Google Meet. Il Modulo 1 dello Zaino del Maestro 7 è stato dedicato interamente all’utilizzo del web e di risorse informatiche gratuite per la programmazione didattica, con particolare attenzione per la Didattica a Distanza (DAD). Nel laboratorio finale i corsisti, suddivisi in gruppi, hanno dovuto mettere in pratica quanto appreso e hanno presentato ai formatori una unità didattica progettata proprio per essere utilizzata a distanza. La seconda idea è stata quella di organizzare il secondo modulo dandogli una forma ancora diversa, quella del podcast. Abbiamo chiamato a raccolta i nostri formatori “di fiducia” e abbiamo chiesto loro di affrontare un argomento specifico e circoscritto in un intervento audio che non superasse i 15 minuti. Caricando poi i vari audio sulla piattaforma gratuita Anchor, il podcast Lo Zaino del Maestro 7 – Modulo 2 è stato immediatamente reso disponibile nel catalogo di diversi fornitori di servizi multimediali e streaming audio (tra cui Spotify e Google Podcast). W ASCOLTA IL PODCAST L’ultima idea ha un carattere diverso, e rientra all’interno di un progetto più ampio che coinvolge la nostra associazione ormai da quasi due decenni. Ogni anno, nel mese di giugno organizziamo Solida- N.5 - DICEMBRE 2020 rista, festa della solidarietà e dei diritti. Si tratta di un momento nel quale, attraverso dibattiti, mostre, spettacoli e concerti, presentiamo alla cittadinanza i nostri progetti e mettiamo in rete le associazioni di volontariato del territorio. L’emergenza sanitaria non ne ha ovviamente reso possibile la realizzazione. Tuttavia, la nostra festa non poteva mancare, non in un anno così difficile. Abbiamo deciso così di darle una forma diversa: quella di un evento online. Per farlo abbiamo chiamato a raccolta volontari e amici e abbiamo chiesto loro di registrare dei video in cui raccontavano la loro esperienza nella nostra associazione. Alcuni di loro ci hanno anche “regalato” alcune performance musicali o artistiche. Il 18 giugno è così andato in onda in anteprima SolidariSTA A CASA, dedicato, oltre che alla presentazione delle attività e alla promozione del volontariato, ad una raccolta fondi straordinaria in favore della Institución Educativa Particular “Giordano Liva”: la nostra Scuola di Juliaca, che rappresenta il cuore e le fondamenta della nostra associazione, per via della crisi economica causata dal Coronavirus, rischiava infatti di chiudere per sempre. M GUARDA IL VIDEO Per la fine dell’anno abbiamo pensato a qualcosa ancora più in grande, una sorta di strenna natalizia, alla quale abbiamo dato il nome LOS SOLIDARISTAS, una rassegna di eventi online, che coinvolgerà “mondi” diversi (cinema, teatro), per continuare a promuovere la cultura del volontariato e della solidarietà anche a distanza. All’interno di questo multi-evento abbiamo organizzato in collaborazione con Sestante Edizioni la presentazione di due libri sulla didattica dell’italiano L2 i cui autori, oltre a essere stimati formatori e facilitatori linguistici, sono diventati nel tempo anche amici del Comedor Giordano Liva e della nostra Scuola di Italiano per Migranti. M GUARDA LA PRESENTAZIONE DI ALAN PONA M GUARDA LA PRESENTAZIONE DI ROBERTO BALÒ 3 #Alan Pona L2elledue | Modelli operativi nella didattica dell’italiano come lingua seconda e straniera1 Alan Pona 1. Introduzione In queste poche pagine, si descrivono i modelli operativi oggi maggiormente impiegati dagli insegnanti/facilitatori linguistici per l’insegnamento dell’italiano come lingua seconda e straniera: l’unità di apprendimento (UdA), proposta da Balboni (2002) (ma anche unità di acquisizione: Balboni 2012); l’unità didattica centrata sul testo (UDt), proposta da Vedovelli (2002); l’unità di lavoro (UdL), proposta da Diadori (2009) e da Diadori, Palermo, Troncarelli (2009; 2015). Dopo l’illustrazione dei modelli tradizionalmente impiegati nella didattica dell’italiano come L2 e LS e presenti nelle certificazioni per l’insegnamento dell’italiano come lingua seconda e/o straniera (DITALS, DILS-PG, CEDILS, CEFILS), si illustrerà brevemente il modello di insegnamento basato sui compiti comunicativi o task. Si conclude, infine, l’illustrazione dei modelli operativi in uso nella pedagogia linguistica con il riferimento alla metodologia ALC (Apprendimento Linguistico Cooperativo), sperimentato nel territorio pratese all’interno della progettualità del Comune di Prato. 2. I modelli operativi per la didattica dell’italiano come lingua seconda Qui di seguito (Tabella 1), si dà uno schema riassuntivo sia dei modelli operativi maggiormente in uso nella didattica dell’italiano come L2/LS (con l’indicazione e la scansione delle fasi didattiche): la tabella permette un rapido raffronto. Da ora innanzi si userà un solo termine per i diversi modelli della Letteratura scientifica – unità di lavoro/apprendimento – poiché risultano affini e facilmente integrabili. Il primo modello, della scuola di Freddi, Balboni e Porcelli, si richiama apertamente alla psicologia della Gestalt e alle nozioni di bimodalità e direzionalità proposte da Marcel Danesi negli anni ‘80; i modelli di Diadori e Vedovelli rimandano, invece, al Quadro comune europeo di riferimento per le lingue e alla funzione chiave del testo nella comunicazione e nell’apprendimento delle lingue. N.5 - DICEMBRE 2020 Come risulta dal raffronto fra i modelli operativi proposti, essi si differenziano tra loro maggiormente per la filosofia di fondo e per i tempi di esecuzione3, meno per i contenuti e le modalità di lavoro proposte. Pur nelle differenze tra di essi, qui di seguito, per ogni fase si è riportato il nome che essa ha nei diversi modelli nel tentativo – speriamo non banalizzante ma di aiuto per i professionisti del settore – di mettere in dialogo le diverse proposte. La Motivazione/Contestualizzazione/Introduzione è quella fase dell’unità di lavoro/ apprendimento nella quale l’insegnante/facilitatore linguistico cerca di suscitare l’interesse dell’apprendente, “scaldandolo”, motivandolo, e allo stesso tempo lo introduce nell’universo del testo - sia esso audio, video, audio-video, scritto, Tabella 1. Unità di lavoro/apprendimento Unità Didattica come rete di Unità di Apprendimento (Balboni 2002) o di Unità di Acquisizione (Balboni 2012) Unità didattica centrata sul testo (Vedovelli 2002) Unità di lavoro (Diadori 2009) Motivazione Contestualizzazione Introduzione Globalità Globalità … Verifica della comprensione Analisi Analisi … Attività di comunicazione sul testo Sintesi Sintesi … Attività di comunicazione dal testo Riflessione Riflessione … Attività metalinguistica e metacomunicativa Svolgimento Attività esercitativa di rinforzo Controllo2 Output comunicativo e/o Verifica in uscita Conclusione 1 Nel ripresentare questo lavoro, che ho pubblicato nel 2015 sul sito del Polo regionale di documentazione interculturale della Regione Toscana, e che mi pare possa avere ancora una sua utilità, ho eseguito alcuni tagli, effettuato lievi modifiche e aggiornato la bibliografia di riferimento. 2 Balboni (2012) propone di far seguire alla fase di controllo il rinforzo, se si riscontrano problemi relativi all’unità didattica appena conclusa, o il recupero, in caso di carenze globali. 3 Per Balboni (2012), per esempio, l’Unità Didattica come rete di Unità di apprendimento/acquisizione può avere una durata dalle 6 alle 10 ore, e talvolta anche di più, mentre ogni singola Unità di acquisizione può durare da pochi minuti a un’ora e più. 4 #Alan Pona iconico, non verbale etc. -, che incontrerà durante l’unità di lavoro/apprendimento. Questa fase ha anche lo scopo non secondario di facilitare la ripresa e la rielaborazione delle preconoscenze, non solo linguistico-comunicative, e di attivare la expectancy grammar, la capacità di fare ipotesi, anticipando ciò che può comparire in un testo operando sulla base della porzione di testo che già si conosce. La fase di Globalità/Verifica della comprensione/Attività di incontro con i testi è la fase della scoperta del testo. Questa scoperta è progressiva: si va dall’osservazione del paratesto (immagini, titolo, aspetto del testo etc.), e dalla conseguente formulazione di ipotesi, all’analisi del cotesto per arrivare infine all’analisi del testo vero e proprio. La lettura del testo avviene dal generale al particolare attraverso fasi di skimming e scanning. Gli apprendenti si muovono attraverso le due fasi di skimming e scanning per ogni testo: si ha skimming per stabilire di cosa tratti il testo e si passa allo scanning soltanto in una fase secondaria per recuperare nel testo informazioni particolari e specifiche. Nella fase di Analisi/Attività di Comunicazione sul testo/ Differenziazione dei temi e delle strutture, l’apprendente fa una ricerca sul testo, precedentemente compreso, su come risolvere un proprio bisogno comunicativo (analisi funzionale), o un problema di tipo linguistico (analisi grammaticale) o lessicale (analisi lessicale). Questa fase è induttiva perché permette all’apprendente scoperte personali di regolarità generali a partire dal testo specifico. La fase di Sintesi/Attività di Comunicazione dal testo/ L2elledue | Ampliamento ed espansione permette all’apprendente di impiegare le informazioni comunicative e linguistiche, precedentemente incontrate ed analizzate nel testo, per rispondere a propri bisogni comunicativi. Citiamo da Vedovelli (2002): Con questa espressione [attività di comunicazione] intendiamo quel flusso di attività interattive e comunicative nelle quali gli apprendenti, singolarmente o in gruppo, sono lanciati per rimettere in gioco i modelli di uso comunicativo e per verificare le ipotesi di soluzione ai problemi linguistico-comunicativi contenuti nel testo. (Vedovelli 2002: 140) Nella fase di Riflessione/Attività metalinguistica e metacomunicativa/Integrazione e riflessione, gli apprendenti verificano quelle ipotesi formulate nelle precedenti fasi dell’unità e scoprono la regola(rità) generale nascosta negli usi testuali specifici. L’insegnante/facilitatore può anche offrire una spiegazione grammaticale delle strutture, ma solo dopo che il gruppo-classe abbia provato a riflettere autonomamente sulle medesime. La novità di questi modelli rispetto agli approcci di tipo deduttivo risiede soprattutto nel collocamento di questa fase all’interno dell’unità: se metodi di tipo tradizionale (il modello operativo era quello della lezione) partivano dalla spiegazione della regola da parte dell’insegnante per poi chiedere agli studenti di lavorare su esercizi di tipo decontestualizzato (come gli esercizi manipolativi) per fissare le strutture in un’ottica di tipo deduttivo, l’unità di lavoro/apprendimento si concentra sul testo e permette induttivamente all’apprendente di fare delle ipotesi e di verifi- carle personalmente. L’Attività esercitativa di rinforzo è la fase nella quale si va a consolidare e a fissare quanto appreso nelle fasi precedenti dell’unità. In questa fase si possono proporre attività di tipo più tradizionale; quello che conta è che la somministrazione degli esercizi vada a seguire una riflessione metalinguistica che l’apprendente ha fatto da solo o in collaborazione all’interno del gruppo-classe. L’Attività di controllo/verifica/Output comunicativo o Azione si riferisce, oltre alla possibilità di verificare formalmente quanto appreso in classe (il classico test di verifica), alla possibilità di misurare fuori dal contesto classe ciò che l’apprendente ha appreso all’interno del gruppo-classe. N.5 - DICEMBRE 2020 lo. Citiamo da Balboni (2008): Il termine suggerisce che entrambe le modalità del cervello, quella analitica dell’emisfero sinistro e quella globale dell’emisfero destro, sono coinvolte nella comunicazione linguistica. Ne consegue che quando si studia una lingua, e soprattutto quando la si usa per comprendere o per produrre testi, per dialogare ecc., si devono attivare entrambe le modalità, quella globale e quella analitica […]. (Balboni 2008: 15) Da un lato, esso [l’output] rappresenta l’uscita al di fuori del contesto comunicativo di tipo didattico, cioè la spinta a rimettere in azione fuori del contesto didattico gli usi esperiti dall’apprendente nella comunicazione didattica. In questo caso si tratta di un giocare che però stavolta è “senza rete”, senza la protezione del docente, senza il suo orientamento, senza il suo costante aiuto, implicito od esplicito. (Vedovelli 2002: 141) Il principio della direzionalità stabilisce che l’uso bimodale del cervello avviene secondo una direzione ben precisa: dall’emisfero destro (modalità contestuali, globali, emozionali) a quello sinistro (modalità più formali, analitiche, razionali). Bisogna prestare molta attenzione a questo principio: il percorso naturale (cioè quello previsto dal nostro patrimonio genetico) è quello direzionale, dalla percezione globale a quella analitica, anche se molta tradizione scolastica ci ha abituati al percorso opposto (prima il teorema e poi gli esempi, prima le regole e poi le attività, prima la storia della letteratura e poi i testi letterari). (ivi: 16) Questo tipo di modello operativo permetterebbe, secondo Balboni (2002), che riprende le proposte di Marcel Danesi, di sfruttare la bimodalità e la direzionalità del nostro cervel- Qui di seguito, si fornisce una tabella con la corrispondenza tra le fasi dell’unità di lavoro/ apprendimento e le tecniche glottodidattiche maggiormente impiegate. BIOGRAFIA PROFESSIONALE Alan Pona, dottore di ricerca in Linguistica, ha lavorato negli Stati Uniti come assistente di lingua italiana e da anni si occupa di facilitazione dell’italiano come lingua seconda e di facilitazione degli apprendimenti nella scuola plurilingue e con bisogni educativi speciali e specifici. Formatore di docenti ed operatori sui temi della didattica inclusiva e dell’apprendimento/insegnamento dell’italiano, con particolare riferimento alla grammatica valenziale nella scuola plurilingue, è direttore della collana scolastica di Sestante Edizioni, per la quale cura i materiali didattici rivolti a studenti parlanti italiano L2 e con bisogni educativi speciali e la rivista elledue. 5 #Alan Pona L2elledue | Tabella 2. Fasi e tecniche glottodidattiche FASI DIDATTICHE TECNICHE GLOTTODIDATTICHE4 Motivazione/ Contestualizzazione/ Introduzione Brainstorming Costellazione a ragno (spidergram) Elicitazione Esplorazione delle parole-chiave Impiego di realia, di immagini, di video etc. Globalità/ Verifica della comprensione Accoppiamento/Matching Ascolto-lettura silenziosa Ascolto-ripetizione Chi? Che cosa? Dove? Quando? Azione? Come? Perché? Cloze classico Domande a scelta multipla Domande aperte Domande Vero/Falso Drammatizzazione Griglia Riordino/incastro Transcodificazione Cloze mirato Esclusione Analisi/ Esplicitazione Attività di comunicazione Riordino/Incastro sul testo Inclusione Seriazione Composizione testuale Conversazione di gruppo Dialogo a catena Dialogo a coppie Dialogo aperto Sintesi/ Monologo Attività di comunicazione Passaggio da un genere testuale all’altro dal testo Pattern drill Riordino/Incastro Role taking, role making, role play Tecniche manipolative e di riempimento Telefonata Riflessione/ Attività metalinguistica e metacomunicativa Elicitazione della regola(rità) Riempimento di griglie vuote o parzialmente riempite Attività esercitativa di rinforzo Composizione testuale Conversazione di gruppo Dialogo a catena Dialogo a coppie Dialogo aperto Monologo Passaggio da un genere testuale all’altro Pattern drill Riordino/Incastro Role taking, role making, role play Tecniche manipolative e di riempimento Telefonata Attività di controllo/verifica/ Testing/Verifica in uscita Output comunicativo/Azione Azioni fuori dal contesto classe Per concludere questa rapida rassegna dei modelli operativi impiegati sul territorio nazionale nella pedagogia linguistica, se ne illustra brevemente un altro molto interessante per la didattica dell’italiano L2, diffuso in Italia soprattutto da linguiste come Stefania Ferrari ed Elena Nuzzo. Tale modello operativo si basa sui compiti comunicativi, i cosiddetti task5. Tale metodologia sovverte l’ordine delle fasi dei modelli operativi più tradizionali, cioè presentazione – pratica – produzione, ed introduce il seguente procedere didattico: produzione – analisi – pratica, che potremmo parafrasare in “gli apprendenti ci provano, dopo ci riflettono, dopo ci provano ancora”. Questa scansione nasce dalla convinzione che l’apprendente nota maggiormente una forma linguistica quando ne sente il bisogno funzionale nello svolgimento di un compito comunicativo. Il modello della didattica per task si organizza in tre fasi6: 1) Prima del task (brainstorming, elicitazione, esplorazione delle parole chiave etc.); 2) Ciclo del task: task (fare elenchi, ordinare e selezionare, confrontare, risolvere problemi, condividere esperienze; task creativi, project work etc.), preparazione e report; 3) Dopo il task: analisi e pratica. N.5 - DICEMBRE 2020 3. L’Apprendimento Linguistico Cooperativo nelle classi eterogenee a scuola La metodologia ALC (Apprendimento Linguistico Cooperativo) è stata sperimentata nelle scuole del comune di Prato all’interno del progetto “Implementazione del Portale Integrazione e sua Gestione Sperimentale a Livello Locale”, finanziato dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali tramite ANCI, nell’anno scolastico 2012-137. Nell’anno scolastico 2014-15, la metodologia è stata consolidata sul territorio grazie a “LINC (Linguaggi Inclusivi e Nuova Cittadinanza)”, progetto con fondi FEI che ha coinvolto il territorio pratese. I progetti di cui sopra nascono dalla volontà di implementare e potenziare prassi didattiche inclusive per alunni di madrelingua italiana e non, prevedendo attività a classe intera come sfida per lo sviluppo, per tutti e per ciascuno, di competenze, abilità e conoscenze al contempo socio-relazionali e disciplinari. Le attività in ALC sono graduate e accessibili anche per studenti con competenze interlinguistiche, stimolanti per i parlanti nativi ed infine ricche di elementi interculturali e plurilingui. L’Apprendimento Linguistico Cooperativo nasce dall’assunto che in un contesto scolastico plurilingue, un clima di classe positivo, ricco di scambi significativi di collaborazione, aiuto e condivisione tra i ragazzi, stimoli e faciliti gli apprendimen- 4 Si rimanda a Balò (2020) per un glossario dettagliato delle tecniche glottodidattiche e al contributo di Balò all’interno di questo numero della rivista. 5 “Un’attività di classe in cui lo studente deve comprendere, manipolare, produrre e interagire nella lingua target mentre l’attenzione è rivolta principalmente al significato, piuttosto che alla forma” (Nunan, 1989). 6 Si veda Ferrari-Nuzzo (2011) per una descrizione dettagliata della proposta di insegnamento dell’italiano attraverso i task. Si rimanda, inoltre, al sito internet dedicato per una più puntuale illustrazione della metodologia e per unità didattiche per il lavoro in classe attraverso i compiti comunicativi: www.insegnareconitask.it 7 Si rimanda a Gentile-Chiappelli (2016) per una descrizione dettagliata del progetto. 6 #Alan Pona L2elledue | ti, in generale, e quelli linguistico-comunicativi, in particolare. La ricerca-azione condotta da Maurizio Gentile, Tiziana Chiappelli e le psicologhe Jessica Nistri e Pamela Pelagalli (Gentile-Chiappelli 2016) ha evidenziato un cambiamento tra prima e dopo l’intervento educativo nella struttura e nella densità delle relazioni all’interno delle classi. Tale dato si evince dall’analisi dei sociogrammi, cioè degli strumenti di analisi della struttura delle relazioni all’interno delle classi plurilingui, somministrati agli alunni prima e dopo l’intervento per raccogliere le preferenze rispetto alle seguenti tre situazioni: 1. “A ricreazione sto insieme a…” 2. “In classe lavoro e collaboro insieme a…” 3. “Parliamo di quello che ci piace fare con…” L’analisi dei sociogrammi è stata visualizzata in grafici per renderla più facilmente leggibile. Qui di seguito ne riportiamo due (prima e dopo l’intervento) a titolo esemplificativo. L’acronimo ALC fonde insieme Apprendimento Cooperativo e Facilitazione Linguistica: con l’Apprendimento Cooperativo si cerca di intervenire sulla costruzione del gruppo, sull’interdipendenza positiva tra allievi e sulla promozione di un clima positivo di lavoro. Con le metodologie, le strategie e le tecniche della Facilitazione Linguistica si cerca di sviluppare negli alunni, con madrelingua italiana o alloglotti, le abilità linguistico-comunicative e per lo studio nonché strumenti alternativi per accedere ai saperi e alle competenze disciplinari coniugandoli con una visione interculturale e con la valorizzazione delle competenze/abilità/conoscenze (pluri)linguistiche. Nei due progetti introdotti sopra8 sono state coinvolte le scuole primarie e secondarie di 1° grado del territorio: ciascuna scuola ha identificato una o più classi con un numero elevato di alunni con madrelingua non italiana di livelli linguistico-comunicativi compresi tra l’A2 e il B1 del QCER. I team e i Consigli di classe degli istituti comprensivi hanno poi selezionato le/i docenti che avrebbero preso parte attiva- mente alle attività proposte. Le altre figure coinvolte all’interno dei due progetti sono stati i facilitatori linguistici, in possesso di certificazioni di competenza nell’insegnamento dell’italiano L2 (DITALS, DILS-PG, CEDILS, CEFILS), e/o i metodologi esperti di Apprendimento Cooperativo. Facilitatori linguistici e metodologi hanno condiviso un percorso di formazione condotto da Maurizio Gentile (Università LUMSA) e Tiziana Chiappelli (Università di Firenze), entrambi anche coordinatori didattici e parte della commissione scientifica della ricerca scientifica del progetto del 2012-2013; percorso formativo che ha portato ad uno scambio di competenze, alla condivisione di pratiche e all’individuazione di macro-progettazioni per una didattica inclusiva. Il modello operativo attinge ad un pacchetto di procedure didattiche/tecniche didattiche e glottodidattiche. Le procedure sono a-disciplinari. Le équipe composte da facilitatore e metodologo o dal solo facilitatore degli apprendimenti, figura dalle competenze/abilità/conoscenze “ibride”, possono riempire N.5 - DICEMBRE 2020 tali procedure didattiche di contenuti e materiali specifici ad ogni disciplina9. Il modello operativo - che va consolidandosi anche grazie alla costante progettazione del Comune di Prato e al lavoro di rete con gli Istituti comprensivi del territorio e con le cooperative sociali che collaborano nei servizi riguardanti l’italiano lingua seconda e la lotta alla dispersione scolastica - prevede che ciascun incontro/lezione (I/L) o Unità di lavoro/apprendimento (UdLA) (della durata di circa 2 ore) e ciascuna Unità Didattica (3/4 incontri/lezioni della durata di circa 6/8 ore) siano articolati in 3 macro-fasi: 1. fase relazionale introduttiva; 2. fase centrale di lavoro sulle competenze/abilità/ conoscenze riguardanti le microlingue e le discipline scolastiche; 3. fase conclusiva di auto-valutazione, di feedback e di valutazione. Questa organizzazione degli interventi didattici è in piena sintonia con quanto pro- Tabella 3. Grafi di lettura dei sociogrammi FIGURA 1 FIGURA 2 Grafo relativo alla situazione “In classe lavoro e collaboro insieme a …”. Rilevazione prima dell’intervento. Grafo a bassa densità relazionale (rosso = allieve/i italiano L2, blu = allieve/i italiano L1) Rilevazione dopo l’intervento. Grafo ad alta densità relazionale (rosso = allieve/i italiano L2, blu = allieve/i italiano L1) 8 Si rimanda a Troiano-Gentile-Pona (2019) e Pona-Viani (2020) per una illustrazione dettagliata degli sviluppi della sperimentazione sulla metodologia dell’Apprendimento Linguistico Cooperativo. 9 Si vedano Natali-Pona-Troiano (2015), per l’illustrazione di alcune unità di lavoro/apprendimento con il metodo ALC e Gentile-Pisanu-Tabarelli (2012: 161-180) per una rassegna delle tecniche didattiche impiegate all’interno del metodo. 7 #Alan Pona posto da Pierangela Diadori per l’Unità di lavoro (UdL) nella didattica dell’italiano (Diadori 2009; Diadori-Palermo-Troncarelli 2009), che presenta la seguente organizzazione: Introduzione–Svolgimento–Conclusione. Come micropercorso di apprendimento guidato, unitario, in sé concluso, valutabile e accreditabile, L’UdL è da intendersi come iperonimo, che può realizzarsi in un incontro/lezione (I/L), in una unità didattica (UD), organizzata in più I/L, o in un modulo (M), organizzato in più UD. (Diadori 2009: 105) In ALC, ogni UdLA e l’UD nel suo complesso seguono, dunque, la stessa organizzazione interna, con una fase introduttiva nella quale si lavori soprattutto sulle relazioni all’interno dei gruppi cooperativi, sulle pre-conoscenze e sulla contestualizzazione del lavoro disciplinare; una fase centrale di svolgimento del lavoro sulle discipline centrato sui testi in microlingua (scoperta/comprensione dei testi, ricerca sui testi, rielaborazione dei temi e delle strutture dei testi); ed infine una fase conclusiva di auto-valutazione, di feedback e di valutazione del lavoro dei gruppi e dei singoli apprendenti. Conclusioni Benché i modelli operativi tradizionali possano, a nostro avviso, avere una loro utilità all’interno del processo di apprendimento/insegnamento di una seconda lingua, qualora se ne superi certa rigidità e se ne consideri il potenziale relazionale all’interno del gruppo-classe, siamo tuttavia d’accordo con quanto affermato da Stefano Rastelli (Nuzzo-Ra- 8 L2elledue | stelli 2011: 39), il quale lamenta la mancanza in Italia di studi specifici con riscontri empirici neurolinguistici sulla “bontà” di certe scelte didattiche e l’uso di determinati modelli operativi. Occorre precisare, infatti, che i modelli operativi tradizionali che abbiamo presentato in questo breve articolo, benché ampiamente utilizzati in Italia e all’estero per l’insegnamento dell’italiano come L2/LS, non sono supportati da nessuno studio specifico che dimostri un significativo rapporto di causa-effetto tra variazioni del modello operativo e variazioni a livello fisiologico nel cervello degli apprendenti. L’impianto metodologico di ALC, descritto al paragrafo 3, cerca di superare, almeno in parte, questa problematicità perché il suo impiego nel territorio pratese è stato accompagnato da una ricerca che ha dimostrato come le procedure didattiche in apprendimento linguistico cooperativo andassero a promuovere la realizzazione di un clima di classe più sereno, disteso e motivante e come grazie ad esse le relazioni all’interno dei gruppi-classe diventassero più dense e significative (vd. Gentile-Chiappelli 2016). Se intendiamo la facilitazione linguistica come facilitazione dei rapporti umani (Masciello 2009) e accostiamo gli sviluppi di tipo linguistico-comunicativo a quelli di tipo socio-relazionale, il fine ultimo, ma anche il mezzo, della facilitazione linguistica è, dunque, la relazione. Il modello che proponiamo, rappresentato qui di seguito nella Figura 1, prevede un rapporto dinamico tra le relazioni – tra pari e con l’insegnante/facilitatore linguistico – e la competenza linguistico-comunicativa (vd. Chiappelli-Pona 2016). N.5 - DICEMBRE 2020 Figura 1. Modello del rapporto dinamico tra relazioni e competenza linguistico-comunicativa RELAZIONI Si comprendono allora i vantaggi che derivano dalla scelta di un approccio cooperativo alla facilitazione linguistica COMPETENZA LINGUISTICOCOMUNICATIVA basato sulla costruzione del gruppo e sulla promozione attraverso le relazioni di un clima positivo di lavoro. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI • Balboni P. E. (1999), Dizionario di glottodidattica, Perugia, Guerra-Soleil. • Balboni P. E. (2002; nuova edizione 2012), Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società complesse, Torino, UTET. • Balboni P. E. (2008), Imparare le lingue straniere, Venezia, Marsilio. • Balò R. (2020), Italiano L2/LS fai da te. 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SITOGRAFIA www.insegnareconitask.it #Roberto Balò L2elledue | Approcci e metodi glottodidattici Roberto Balò I n questa lezione parleremo di approcci e metodi didattici: cercheremo innanzitutto di capire la differenza tra approccio e metodo, faremo una rapida rassegna di quali sono gli approcci e i metodi in glottodidattica e di ognuno di essi vedremo quali sono gli aspetti più utili per le nostre lezioni di italiano L2. Chiariamo innanzitutto la differenza tra approccio e metodo: con il termine approccio si indica un insieme di tesi glottodidattiche ricavate dalle scienze linguistiche (linguistica generale, linguistica acquisizionale, sociolinguistica, neurolinguistica), dalle scienze dell’educazione, dalla psicologia, dall’antropologia ecc.: gli approcci rappresentano, quindi, delle teorie di fondo della glottodidattica volte ad individuare le mete e gli obiettivi dell’insegnamento linguistico. Dagli approcci derivano i diversi metodi, che rappresentano le applicazioni pratiche di scelte teoriche, ovvero come gli approcci vengono applicati nell’insegnamento linguistico. Anche se le varie definizioni non sono unanimemente condivise dagli studiosi, i principali approcci sono cinque: deduttivo, induttivo, strutturalistico, umanistico-affettivo e comunicativo. I metodi che ne derivano, come vedremo, sono un po’ di più. Approccio deduttivo Il primo approccio che storicamente incontriamo è quello deduttivo (o anche formalistico). Nasce nel 1700 quando il latino non è più lingua franca e diventa una lingua morta: la lingua assume la forma di una raccolta di regole ed eccezioni. La didattica della lingua latina, così formata, finisce per influenzare anche quella delle lingue straniere. Nell’approccio deduttivo la lingua è intesa come lingua scritta, per apprenderla è necessario conoscere la grammatica e le sue regole. Da questo approccio nasce il cosiddetto metodo grammaticale-traduttivo le cui caratteristiche sono: - il docente impartisce la lezione in L1 e non è tenuto a saper parlare nella L2; - la L2 viene usata poco, è principalmente scritta quindi non si sviluppano abilità produttive; - si affrontano precocemente testi classici della L2; - esercizi di memorizzazione e comprensione delle regole; - le più tipiche tecniche didattiche sono il dettato, la lettura e la traduzione (dalla L2 alla L1 e talvolta dalla L1 alla L2). Cosa c’è da salvare di questo approccio? La conoscenza dei meccanismi della lingua è molto importante: la grammatica aiuta a usare consapevolmente una lingua e, almeno per certi apprendenti, è molto importante conoscerla. Quindi questo aspetto dell’approccio deduttivo, sapientemente miscelato con altri approcci, è tuttora sfruttabile ed è infatti ancora presente in molti metodi. Le tecniche glottodidattiche ad esso collegate sono invece molto desuete. Approccio induttivo L’approccio induttivo o naturale nasce tra Ottocento e Novecento ad opera del linguista tedesco, poi naturalizzato americano, Maximilian Berlitz, il fondatore della scuola Berlitz School of Languages. Secondo questo approccio la lingua è un organismo vivo e per impararla dobbiamo basarci principalmente sulla comunicazione e sulla riproduzione del naturale processo di apprendimento della propria lingua madre. Da qui nascono i cosiddetti metodi diretti che sono il metodo naturale, metodo orale e il metodo Berlitz che prevedono: - l’esclusione dell’uso della L1, che quindi l’insegnante non deve conoscere; - le lezioni prendono spunti da testi dialogici di sapore informale; - il docente ricorre alla mimica e alle figure per supportare l’insegnamento; - l’approccio alla grammatica della L2 e alla cultura di riferimento è induttivo; la lingua straniera va appresa come la lingua materna, non ci sono spiegazioni esplicite nemmeno per l’aspetto grammaticale; - il docente deve essere madrelingua o avere una competenza della L2 paragonabile a quella di un madrelingua. N.5 - DICEMBRE 2020 È evidente che questo approccio e le sue relative metodologie sono in parte ancora molto attuali, ad esempio la comprensione delle regole in modo induttivo, l’informalità delle lezioni, l’uso della mimica e delle immagini. E soprattutto è ancora attuale l’idea che una lingua sia un oggetto unico, un organismo vivo e non solo un insieme di regole grammaticali. Approccio strutturalistico L’approccio strutturalistico nasce negli anni ‘50, ma i suoi prodromi sono da individuare già negli anni ‘40 proprio durante la seconda guerra mondiale, quando, dovendo insegnare le lingue in modo rapido ed efficiente, si doveva fornire agli studenti la capacità di sviluppare rapidamente abilità di dialogo in diverse lingue. Uno dei pionieri fu Leonard Bloomfield, il quale mise a punto il cosiddetto informant method che funziona così: un informant, cioè un nativo, un madrelingua insomma, fornisce agli studenti un repertorio di frasi e di lessico sotto la supervisione di un linguista che conduce le lezioni. Negli anni ‘50 e ‘60 si afferma l’approccio strutturalistico, che poggia le sue basi sulla teoria comportamentista di Skinner e che si concretizza nel cosiddetto metodo audio-orale: - il discente è una tabula rasa sulla quale bisogna innestare degli automatismi inconsci, degli “abiti mentali”, delle abitudini; BIOGRAFIA PROFESSIONALE Roberto Balò dirige dal 1997 l’Accademia del Giglio, scuola di lingua italiana e arte a Firenze. Insegna italiano come lingua seconda/straniera e tiene formazioni sull’uso delle nuove metodologie e tecnologie nella didattica dell’italiano L2/LS. Ha pubblicato articoli sulla didattica con il blog e il wiki. Dal 2006 è direttore editoriale di adgblog.it, testata giornalistica specializzata in didattica dell’italiano L2/LS. 9 #Roberto Balò - il discente è esposto a una serie ininterrotta di sequenze stimolo-risposta-rinforzo, la cui ripetizione continua determina un’acquisizione meccanica di automatismi; - le risposte vengono confermate o invalidate attraverso un “rinforzo” positivo o negativo; - gli strumenti utilizzati sono il registratore e il laboratorio linguistico. Anche questo approccio ha degli aspetti evidentemente obsoleti, come l’uso del laboratorio linguistico, tuttavia proporre durante una lezione, insieme ad altri tipi di attività, esercizi di tipo stimolo-risposta può avere su alcune tipologie di apprendenti dei risultati sorprendentemente positivi. Approccio comunicativo L’approccio comunicativo che inizia a svilupparsi dagli anni ‘60 e che tutt’oggi è in auge, è un approccio induttivo alla cui base sta il concetto di competenza comunicativa, definito da Dell Hymes nel 1972. Nell’approccio comunicativo la competenza linguistica, ovvero conoscere vocaboli e strutture, non è più sufficiente. Per essere competenti nella lingua straniera l’apprendente, che si ritrova al centro dell’attenzione, deve essere capace di utilizzare la lingua in determinati contesti e situazioni. I suoi obiettivi sono di sviluppare varie competenze: - la competenza linguistica, che si occupa di tutti gli aspetti strettamente legati alla lingua, come la fonetica, la morfosintassi, il lessico ecc; 10 L2elledue | - la competenza sociolinguistica, che si occupa dell’uso della lingua nel contesto sociale, come le convenzioni sociali, i generi testuali, le varietà di registro più adeguate alle diverse situazioni; - la competenza paralinguistica, cioè tutto ciò che sta intorno alla lingua, come il tono della voce, la pronuncia, gli intercalari (pause, risate, sospiri ecc.); - la competenza extralinguistica, ovvero i codici non verbali come la cinesica (i gesti, il linguaggio del corpo) e la prossemica (ovvero la posizione del corpo nello spazio). I manuali sono accompagnati da cd o file audio, si usano tecnologie didattiche come il video e negli ultimi anni anche le glottotecnologie (piattaforme internet, attività, giochi interattivi ecc.) La lingua orale è privilegiata rispetto a quella scritta. L’insegnante ha il ruolo di guida e di tutor e deve presentare anche la cultura, la civiltà e le regole sociali del paese del quale si studia la lingua. Questo metodo è ovviamente utilissimo per sviluppare le abilità comunicative ed è al momento probabilmente il più diffuso. Nell’approccio comunicativo la pragmatica, ovvero come e per quali scopi la lingua viene utilizzata, il modo in cui soddisfa esigenze e scopi comunicativi, è messa sullo stesso piano della correttezza formale. Questo approccio afferma anche che una lingua straniera può essere usata solo se è conosciuta la cultura del paese straniero: lingua e cultura sono quindi strettamente correlate tra loro. I metodi dell’approccio comunicativo sono quello situazionale e nozionale-funzionale. La lingua che si studia ha sempre scopi comunicativi detti “funzioni” (salutare, presentarsi, ordinare ecc). Si propongono quindi agli studenti delle situazioni reali, solitamente attraverso dialoghi, si sviluppano le abilità linguistiche attraverso unità didattiche, si sviluppa la comprensione globale e analitica di un testo, si utilizzano drammatizzazioni ed attività condotte con tecniche di tipo comunicativo come roleplay ecc. e si fanno riflessioni metalinguistiche. Negli anni ‘60 nascono i cosiddetti metodi umanistico-affettivi o meglio approcci psicoaffettivi-psicomotori che si contrappongono all’eccessivo meccanicismo dell’approccio strutturalistico. Le teorie di riferimento sono: Approcci umanistico-affettivi - la psicologia umanistica; - le teorie di psicodidattica; - gli studi sull’intelligenza emotiva; - gli studi sull’acquisizione linguistica in età precoce; - il ruolo del filtro affettivo; - la ricerca dell’ordine naturale di acquisizione della lingua; - l’interlingua. I metodi che nascono da questo approccio sono il Total Physical Response, il Silent Way, la Suggestopedia, il Community Counseling e il Natural Approach. Tutti questi metodi hanno le seguenti caratteristiche: - il discente si trova al centro del processo di apprendimento. L’insegnante agevola l’apprendimento ma N.5 - DICEMBRE 2020 riveste un ruolo secondario, a volte sta in disparte come nel metodo Silent Way dove non interviene per il 90% della lezione; - c’è un interesse per tutti gli aspetti della personalità umana, non solo quelli cognitivi, ma anche quelli affettivi e fisici; - l’assenza, o per lo meno la maggior limitazione possibile di processi generatori d’ansia per abbassare quello che Krashen chiama “filtro affettivo” e che è in grado di bloccare qualsiasi forma di apprendimento. Alcuni aspetti positivi di questi metodi sono evidenti e nelle nostre lezioni spesso li mettiamo in atto senza nemmeno rendercene conto: sicuramente il porre il discente al centro del percorso di apprendimento, con tutte le sue caratteristiche e peculiarità, è l’innovazione più importante di questo approccio. In conclusione, perché non esiste un unico approccio, e di conseguenza un metodo efficace e universale, al quale attenersi per insegnare una lingua? Perché l’apprendimento e l’insegnamento di una lingua dipendono da troppe variabili, tra cui quella fondamentale: la relazione che ha l’apprendente con la lingua studiata. Nessuno studente è uguale a un altro, potrebbe essere banale dirlo, ma in realtà quando si tratta di insegnamento si tende spesso a omogeneizzare gli apprendenti e a proporre loro lezioni preconfezionate. Ogni metodo ha i suoi pro e i suoi contro, per questo, per ottenere dei risultati, bisogna scegliere di ognuno gli aspetti migliori, combinarli e adattarli agli apprendenti. #Roberto Balò L2elledue | Tecniche glottodidattiche e fasi delle UD e UdA Roberto Balò Q uando organizziamo una lezione o una serie di lezioni, creiamo nella nostra mente, o anche materialmente su un foglio o su un file, una sequenza di azioni che vengono raccolte all’interno di strutture che chiamiamo Unità Didattiche. L’UD è un modello operativo suddiviso in sei fasi che caratterizzano lo svolgimento del processo di apprendimento: motivazione, globalità, analisi, sintesi, riflessione, controllo. Una UD è un percorso che può durare poche ore o molte lezioni a differenza ad esempio dell’UdA che è più breve e può durare dai trenta ai centoventi minuti. Cosa c’è dentro una UD? Abilità, atti comunicativi, lessico e grammatica, cultura e civiltà. Tutto volto a sviluppare la competenza linguistica, ovvero la capacità di produrre frasi grammaticalmente corrette e nuove, cioè mai sentite prima, e la competenza comunicativa cioè la capacità di usare tutti i codici, verbali e non, per raggiungere i propri fini nell’ambito di un evento comunicativo. Per raggiungere gli obiettivi didattici usiamo le tecniche glottodidattiche, ossia le procedure operative che vengono utilizzate all’interno delle varie fasi delle UD. Ogni tecnica glottodidattica attiva uno o più processi cognitivi: non dobbiamo considerare le tecniche come dei semplici esercizi, ma dobbiamo pensarle come attività in cui viene richiesta la capa- cità di usare la lingua L2 o LS in modo creativo per risolvere un compito. Vediamo adesso quali tecniche didattiche è consigliato usare all’interno delle fasi delle UD o delle UdA. scrivono altre parole collegate con delle linee a quella centrale. O ancora potremo usare l’elicitazione, dove l’insegnante/facilitatore, attraverso domande e conversazioni mirate con gli apprendenti, elicita, cioè “tira fuori”, “estrae” dagli apprendenti e rende esplicite le loro conoscenze pregresse (parole, informazioni o altro), le quali saranno importanti per l’attività didattica che sta per presentare. Infine l’esplorazione delle parole chiave, tecnica usata anche nella fase successiva, quella globale, in cui l’insegnante/facilitatore fornisce all’allievo concetti o parole “chiave” indispensabili alla comprensione del testo (ricordo che per testo si intende qualsiasi materiale, testo scritto, immagini, video ecc.) Motivazione Globalità Come sostiene Paolo Balboni, non esistono tecniche buone o cattive: bisogna valutarle in base alla loro efficacia rispetto ai nostri obiettivi didattici, in rapporto ai processi cognitivi che sollecitano e al modo di gestire una classe o anche un singolo studente. È fondamentale scegliere le attività più adatte a raggiungere gli obiettivi fissati per ogni fase della UD affinché l’apprendimento sia efficace ed effettivo. Le classiche tecniche che si usano nella prima fase, quella della motivazione, sono quelle utili a recuperare le conoscenze pregresse degli studenti, a condividere le conoscenze e a fare supposizioni e ipotesi sull’argomento che verrà affrontato. Potremo quindi sicuramente usare il brainstorming che consiste nell’esprimere in totale libertà le associazioni di pensiero che scaturiscono da un determinato tema, immagine, audio o altro. Potremo fare anche una costellazione o diagramma a ragno (spidergram): alla lavagna o su un foglio, viene scritta una parola che sarà il corpo centrale del diagramma, gli apprendenti, o l’insegnante/facilitatore, attraverso associazioni di idee, Nella seconda fase, quella della globalità, in cui gli apprendenti si avvicinano al testo e che è volta a comprendere l’argomento in generale, nella sua globalità appunto, usiamo tecniche come le domande vero/falso, sì/no o a scelta multipla, attività di riordino, ad esempio riordinare cronologicamente parole, frasi, paragrafi, immagini, battute di un dialogo ecc. Possiamo anche usare l’abbinamento che consiste nell’accoppiare tra loro elementi diversi, ad esempio un’immagine al suo nome, una parola alla sua definizione ecc. Nel caso di un testo scritto possiamo attuare la tecnica dello skimming, o lettura orientativa, che è una lettura veloce alla ricerca degli elementi princi- N.5 - DICEMBRE 2020 pali del testo che possano darci un’idea dell’argomento: spesso questi elementi sono evidenziati con grassetti o titoli di paragrafi o altri elementi grafici che li indichino. Un’altra tecnica della fase globale è il dettato-cloze in cui gli studenti ascoltano il testo e trascrivono solo le parole che sono state cancellate dal testo. L’ascolto di canzoni con il testo bucato può rientrare in questa tecnica. Analisi Nella fase di analisi, in cui gli apprendenti approfondiscono nei particolari la conoscenza del testo, esplorano il lessico, la morfosintassi, comprendono i modelli culturali ecc., le tecniche più indicate sono l’incastro in cui si devono inserire parole, frasi, battute di un dialogo all’interno di un testo; l’esclusione che consiste nel riconoscere l’elemento estraneo all’interno di un insieme che contenga elementi con caratteristiche comuni o il suo contrario, l’inclusione, in cui alcuni elementi del testo caratterizzati da tratti comuni vengono raggruppati: si possono ad esempio creare insiemi di verbi ad un determinato tempo, di aggettivi, di nomi al singolare ecc. Utile per l’apprendimento delle regolarità grammaticali è il completamento di griglie che consiste nel proporre una tabella, parzialmente completata, con variabili nelle colonne e nelle righe: l’apprendente deve ultimare il completamento. Una delle tecniche più comuni volte a verificare le competenze dell’apprendente è quella del cloze facilitato e mirato: nel cloze facilitato si danno delle parole in ordine sparso da inserire nel testo. Di solito le parole da inserire, che sono state cancellate dal testo, sono degli elementi caratterizzati da tratti 11 #Roberto Balò comuni come ad esempio i pronomi, gli articoli ecc.: in questo caso si parla di cloze mirato. Una tecnica al momento un po’ in disuso, ma che potrebbe essere utile con determinate tipologie di apprendenti, è il dettato, da utilizzare però sempre contestualmente a ciò che stiamo imparando: se ad esempio il nostro argomento è il supermercato, potremmo dettare, o far dettare dagli studenti (in questo caso si parla di dettato al contrario) la lista della spesa. Sintesi Nella fase di sintesi, il cui scopo è fissare le forme e le strutture morfosintattiche e il lessico, vengono tipicamente usate attività di simulazione che promuovono l’autonomia nella produzione orale come la drammatizzazione, il role-making, role-taking e roleplay che consistono nel recitare un testo a memoria, leggendolo o più o meno improvvisandolo. Il testo è soli- 12 L2elledue | tamente preparato dagli stessi apprendenti, facendo particolare attenzione agli aspetti fonetico-fonologici, gestuali, prossemici ecc. Per fissare certi atti comunicativi o strutture grammaticali, tecniche molto utili in questa fase sono i dialoghi a catena: l’apprendente pone una domanda, un compagno risponde e rilancia la domanda allo stesso compagno o a un altro. Utili sono anche i pattern drill, ovvero esercizi di risposta a stimoli linguistici volti ad automatizzare le abitudini linguistiche attraverso la ripetizione delle strutture. Sempre in questa fase, ma può essere usata anche nella precedente di analisi, è spesso usata la manipolazione o trasformazione, tecnica per la modificazione di strutture linguistiche che operano di solito solo sull’aspetto morfosintattico. In pratica sono quelle attività che hanno consegne del tipo: Volgi le frasi al plurale oppure Coniuga i verbi alla 3a persona dell’impe- rativo, e così via. Possiamo usare anche le domande aperte, sia orali che scritte e le composizioni scritte di testi affini a quelli studiati, che possono essere libere, se usate nei livelli più alti, o guidate mediante l’uso di indicazioni, domande, griglie o altro per i livelli più bassi. Per la fissazione del lessico si usano anche cruciverba e giochi enigmistici. Riflessione Nella fase di riflessione, in cui gli apprendenti approfondiscono l’argomento usando tutte le conoscenze e le abilità acquisite durante le fasi precedenti, si tende ad ampliare le conoscenze sociolinguistiche, interculturali e a contrastare gli stereotipi. In questa fase possiamo e dobbiamo anche uscire dalla struttura della UD: oltre alle tecniche incontrate nelle due fasi precedenti, possiamo usare la caccia al tesoro su internet (webquest) cioè la ricerca, solitamente N.5 - DICEMBRE 2020 guidata attraverso domande con le indicazioni di siti dove effettuare le ricerche, di informazioni, immagini, testi e quant’altro; possiamo fare giochi di società; attività di transcodificazione cioè la traduzione di un messaggio da un codice a un altro, ad esempio dall’ascolto o lettura di un testo si fanno dei disegni delle informazioni che se ne ricavano oppure mimare ciò che si ascolta o si legge, seguire il percorso su una cartina ecc. Controllo Nella fase di controllo si verifica il raggiungimento degli obiettivi didattici, le competenze linguistiche e comunicative. Le tecniche usate sono le stesse delle altre fasi, vero/falso, griglie, cloze, incastri, cruciverba, domande aperte e composizioni scritte e orali. Nella fase di verifica è raccomandabile non usare tecniche diverse da quelle usate nella UD. #Alessandro Borri L2elledue | L’insegnamento ad adulti migranti Alessandro Borri S alve a tutte e a tutti, sono Alessandro Borri, docente di Italiano presso il CPIA Montagna di Castel di Casio. Oggi affronteremo il tema dell’insegnamento dell’Italiano L2 ad adulti stranieri, ponendo attenzione al contesto e ai destinatari delle azioni di insegnamento e ad alcune specificità di apprendimento proprie dell’età adulta. Per facilitare questa trattazione farò riferimento ad una serie di domande stimolo. Quanti sono gli stranieri in Italia oggi? Alla data odierna in Italia sono residenti più 5 milioni di stranieri (pari all’8,8% della popolazione), di cui circa 3.874.000 non comunitari, provenienti da 194 paesi, con quasi analoga presenza di donne e di uomini. Sono più di 130 le lingue parlate dagli immigrati con notevoli differenze nel comportamento linguistico; secondo una recente indagine dell’ISTAT, l’Istituto nazionale di statistica, il 4,5% degli stranieri dichiara l’italiano propria lingua madre: si tratta in generale di persone nate in Italia o giunte prima dei 6 anni; tra i minorenni è di madrelingua italiana uno straniero su quattro. L’indagine fa emergere, inoltre, che l’italiano è parlato in famiglia dal 38,5% degli stranieri; sembra essere riaffermato il prevalere di un modello di interazione spesso asimmetrico nel quale i genitori, soprattutto i padri, si rivolgono ai figli in L1, mentre i secondi si rivolgono in italiano. Sempre secondo l’indagine, il 63,8% degli intervistati dichiara di non avere difficoltà nella comprensione, il 62,5% di riuscire a esprimersi, il 50,2% di non avere difficoltà a leggere in italiano, il 41,6% a scrivere. Tuttavia, metà degli stranieri entrati in Italia da adulti manifesta difficoltà a comprendere e parlare l’italiano (rispettivamente il 52,2% e il 55%), con notevoli variazioni in relazione alla provenienza. A fronte di questa complessa ed eterogenea situazione, solo il 17,2% dei maggiorenni ha frequentato o frequenta un corso di italiano; spesso la partecipazione ad attività formative è associato al grado di istruzione: tra i laureati, il 28,6% ha seguito un corso a fronte del 13,4% tra quanti non hanno nessun titolo di studio. I dati forniti sembrano quindi confermare che l’immigrato adulto apprende la lingua italiana perlopiù in ambiente naturale più che in attività formative, attraverso le interazioni con i parlanti nativi o con l’esposizione ai testi scritti, facendo ricorso alle diverse lingue (lingua italiana, lingua di origine, repertori linguistici di scambio…) in relazione a una molteplicità di fattori: i domini e le situazioni affrontate, le strategie individuali di inserimento, i contesti e gli interlocutori della comunicazione, evidenziando così situazioni di plurilinguismo. Il quadro sulla presenza dei cittadini stranieri diventa più completo se a questi vengono aggiunti i dati relativi a profughi, rifugiati e richiedenti asilo, il cui numero è cresciuto negli anni a causa del clima di incertezza sociopolitica che ha riguardato ampie zone dell’Africa sub sahariana e del Nord e del Vicino Oriente. Basti pensare che nel solo 2016, 123.000 sono state le richieste di asilo, il 47% in più rispetto al 2015, inoltrate perlopiù da cittadini della Nigeria, del Pakistan, del Gambia, del Senegal e dell’Eritrea. Sembra, quindi, comprovato anche per l’Italia il carattere di super-diversità, coniato per descrivere la complessità delle identità e delle interazioni nelle società contemporanee. La diversità etnica, sociale, economica, di status giuridico, ma anche di stili di vita, atteggiamenti e comportamenti sono, infatti, i tratti distintivi per definire le recenti realtà migratorie. N.5 - DICEMBRE 2020 di entrare nella nuova realtà di arrivo. L’imparare la nuova lingua è spesso supportato sia da motivazioni riconducibili al desiderio di una propria crescita personale e a interessi culturali sia da motivazioni derivate da esigenze di ordine lavorativo o di integrazione sociale. È necessario, quindi, oltrepassare l’immagine di una lingua della sopravvivenza per giungere allo sviluppo di competenze linguistiche e comunicative che permettano ad ognuno di esprimere i propri desideri, le proprie necessità, la possibilità di un totale inserimento nel mondo sociale e professionale. La lingua diventa quindi una chiave d’accesso indispensabile a rapporti qualificati e significativi all’interno della nuova società d’arrivo, il “passaporto” insostituibile per degli scambi interculturali autentici e significativi. In quale cornice si inserisce l’insegnamento Quali sono i bisogni di una L2 ad degli apprendenti apprendenti adulti? La cornice teorico-metodolostranieri in Italia? Fin dall’arrivo in Italia, lo straniero presenta una serie di bisogni: una casa, un lavoro, una stabilizzazione dei documenti di ingresso o permanenza. Al contempo manifesta dei bisogni culturali e formativi. Ha necessità di comunicare, di capire e di essere capito, di orientarsi in una realtà che ha delle caratteristiche specifiche, insomma gica generale, che è alla base dell’insegnamento dell’Italiano L2, è quella elaborata nel 2001, dopo anni di lavoro e di ricerca, dal Consiglio d’Europa nel Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue e nei successivi documenti che ne esplicitano temi di studio (descrittori di competenza, ambiti…) e tecniche di insegnamento, in relazione BIOGRAFIA PROFESSIONALE Alessandro Borri, insegna italiano, storia e geografia presso il CPIA (Centro Provinciale Istruzione per Adulti) Montagna di Castel di Casio (BO). Ha maturato esperienza come coordinatore di progetti nazionali ed europei per l’insegnamento ad adulti. È autore e coautore di materiali di lingua italiana per stranieri nei campi dell’insegnamento per lo studio, multimediale e a distanza. 13 #Alessandro Borri ai profili, ai domini, ai destinatari e agli usi della lingua. L’attenzione posta dai teorici del Consiglio d’Europa alla lingua in uso per realizzare atti essenzialmente sociali, porta di conseguenza alla centralità della competenza linguistico-comunicativa, intesa come integrazione di più competenze – quelle pragmatiche, sociolinguistiche e linguistiche – distanziandosi così dallo studio e dalle descrizioni delle singole strutture della lingua come prevedevano gli approcci tradizionali. È da questa nuova visione e dall’ambizione uniformatrice che anima l’intero progetto del Consiglio d’Europa, che gli estensori del Quadro hanno fornito una base comune per l’elaborazione dei programmi, curricoli, esami e materiali didattici per le lingue moderne europee, inoltre hanno definito livelli di competenza che permettono di misurare e valutare la progressione nello studio e nell’apprendimento linguistico. Esiste una specificità nell’insegnamento agli adulti? Il riferimento all’Educazione degli Adulti, intesa come disciplina che propone approcci metodologici in linea con le caratteristiche dell’essere adulto che apprende, è diventato essenziale anche nell’insegnamento linguistico. Alcune direttrici sono ormai ampiamente consolidate nella didattica dell’italiano L2, fra queste il radicamento dell’insegnamento all’esperienza del soggetto, l’attenzione al bagaglio di conoscenze e competenze pregresse acquisite anche di fuori delle attività formative. A livello teorico il lungo dibattito sul ruolo e l’identità dell’adulto 14 L2elledue | hanno portato a superare la visione dell’adultità come fase terminale di sviluppo. Le trasformazioni socioeconomiche e culturali hanno evidenziato la problematicità e complessità dell’essere adulto e messo in crisi la visione delle teorie “stadiali”, secondo le quali lo sviluppo umano è un susseguirsi di periodi contrassegnati da precise abilità affettive, relazionali, e sociali. L’età adulta non è, quindi, più percepita come fase caratterizzata da stabilità e continuità nelle condizioni di vita, nell’affettività e nella professionalità. Come ricorda Duccio Demetrio, il concetto di adulto è di fatto caratterizzato da instabilità temporale e geografica. Questa nuova visione permette all’individuo di rispondere alle costanti mutazioni della realtà in maniera più personale e di fissare «i parametri della propria età psicologica». È su tale orizzonte di senso che si colloca la teoria andragogica di Malcom Knowles, secondo cui l’apprendimento adulto, presenta tratti caratteristici ben diversi dal bambino e dall’adolescente. L’adulto che apprende è intenzionato a riprendere un percorso formativo solo se ne percepisce il senso e l’utilità (la motivazione), se partecipa alla definizione e negoziazione degli obiettivi (il concetto di sé), se individua legami con la vita reale (l’orientamento verso l’apprendimento) e l’esperienza di cui è portatore (l’influenza dell’esperienza precedente). Valorizzare e capitalizzare le esperienze di vita dell’apprendente garantisce, infatti, la disponibilità dell’adulto all’apprendimento, anche quello linguistico, che di solito è legato a motivazioni intrinseche, quali il raggiungimento di una maggiore autonomia, una realizzazione in ambito professionale o sociale, un miglioramento delle qualità di vita, una risposta ad un’incongruenza avvertita tra biografia del soggetto ed esperienza vissuta, come ben sottolineato da Peter Jarvis. Diversi fattori neurobiologici e cognitivi influiscono sull’apprendimento linguistico dell’adulto. Uno dei fattori che agisce più in profondità è senz’altro la plasticità cerebrale che è massima fino all’età di otto o nove anni e che permette ai bambini di raggiungere una padronanza della L2 a livello dei parlanti nativi. Recenti ricerche in ambito neurobiologico hanno in parte sfumato i contorni della discussione e dimostrato che anche l’adulto, se stimolato, può raggiungere ottimi risultati facendo «affidamento su un apprendimento esplicito, su strategie di tipo pragmatico e contestuale e su piani di risoluzione di problemi di N.5 - DICEMBRE 2020 ordine generale, non strettamente linguistici». Accanto a fattori neurobiologici sono da considerare elementi di ordine psicologico, legati alla personalità, alla predisposizione all’interazione e alle esperienze formative passate, di ordine psico-sociale, come la quantità e la qualità dell’input e la motivazione, di ordine linguistico, quali la distanza tipologica tra le lingue. Nell’insegnamento della L2 risultano, pertanto, efficaci quegli approcci che hanno trovato una sistematizzazione nell’apprendimento significativo. Oggetto di riflessione da parte di studiosi provenienti da ambiti disciplinari differenti, esso si qualifica per essere orientato verso la realtà extrascolastica, per il coinvolgimento del soggetto nella sua globalità e nella pluralità dei suoi ruoli e compiti sociali, per la continua ristrutturazione del sapere alla luce di nuove informazioni apprese. #Claudia Manetti L2elledue | Interlingua e apprendimento di Claudia Manetti S econdo la definizione di Larry Selinker del 1972 (trad. it. Arcaini e Py, 1984) l’interlingua è “un sistema linguistico a sé stante [...] che risulta dal tentativo di produzione da parte dell’apprendente di una norma della LO [lingua obiettivo, lingua target].” Come afferma Selinker, l’interlingua è un sistema linguistico che si sviluppa nel momento in cui una persona sta apprendendo un’altra lingua, che viene denominata lingua obiettivo o target. Ovvero, l’interlingua è la lingua di chi apprende. Il concetto di interlingua è un concetto chiave nell’ambito della linguistica acquisizionale ma anche della glottodidattica in quanto, se da una parte ci aiuta a osservare il processo di apprendimento della lingua seconda, dall’altra ci guida nella pratica didattica. I fattori che determinano l’interlingua sono molteplici, per esempio a) la L1 che può interferire sulla lingua seconda, questo fenomeno si chiama ‘transfer’; b) principi linguistici universali che emergono nell’interlingua indipendentemente dalla L1; c) strategie con le quali l’apprendente usa al meglio i mezzi linguistici a disposizione per comunicare. È importante porre l’accento sul carattere transitorio e sulla variabilità dell’interlingua, che si sviluppa nel tempo e cambia in base a vari fattori, sia interni che esterni all’apprendente. L’interlingua, nei vari livelli di competenza linguistica e comunicativa, da quello iniziale a quello avanzato, comprende quindi elementi che sono quelli della L2 (lingua target) ma anche elementi che divergono dalla lingua target e che comunemente chiamiamo ‘errori’. A differenza dell’acquisizione della prima lingua, in cui i bambini con facilità acquisiscono la morfosintassi, sappiamo che in una seconda lingua l’apprendimento della morfosintassi può creare difficoltà, per esempio nell’uso «L’interlingua è la lingua di chi apprende. È un concetto chiave nell’ambito della linguistica acquisizionale ma anche della glottodidattica» della morfologia nominale o verbale, nell’accordo morfosintattico, nell’uso di elementi funzionali come gli articoli, i pronomi o le preposizioni. Quelli che chiamiamo errori, in realtà, sono spie che mettono in evidenza il sistema linguistico in divenire e che costituiscono possibilità strutturali che la nostra grammatica mentale mette a disposizione, tanto che le strutture non-target in una data lingua possono essere possibilità attestate in altre lingue. L’insegnante facilitatore può quindi osservare, sia nella scrittura che nell’oralità, questi elementi non-target che forniscono informazioni preziose sull’apprendimento in corso, nonché spunti e idee per pianificare la pratica didattica attraverso attività mirate e un input adeguato, finalizzati a facilitare l’apprendimento. Questo mi dà l’opportunità di aprire una breve parentesi sulla differenza tra processi impliciti ed espliciti nell’apprendimento della lingua: è fondamentale essere consapevoli, in quanto facilitatori, che la conoscenza esplicita di una data regola non corrisponde necessariamente alla competenza, che è implicita e profonda. Per capire la differenza tra esplicito e implicito ci viene in aiuto la distinzione tra memoria dichiarativa (quello che sappiamo) e memoria procedurale (quello che sappiamo fare): una cosa è sapere/ conoscere la regola, un’altra cosa è acquisirla ovvero usarla e automatizzarla. L’acquisizione della lingua avviene attraverso l’ascolto e l’uso della lingua, ovvero in modo implicito. In classe, oltre a proporre input adeguato e attività rilevanti per praticare la lingua e per facilitarne l’apprendimento, possiamo aggiungere un livello esplicito di analisi attraverso la riflessione sulla lingua N.5 - DICEMBRE 2020 fornendo all’apprendente altri strumenti, attraverso i quali si vanno a evidenziare alcuni aspetti della lingua seconda o dell’interlingua. Ricordiamoci quindi che sapere le regole non corrisponde necessariamente ad averle acquisite. Per approfondire i vantaggi della riflessione metalinguistica in classe, vi consiglio di vedere il video di presentazione del libro Fare Grammatica di Alan Pona. M GUARDA IL VIDEO Tornando al nostro discorso sull’interlingua, l’insegnante può anche avanzare delle ipotesi sulle caratteristiche dell’interlingua: a tal proposito è fondamentale ricordare, come abbiamo detto prima, che sono molti i fattori che interagiscono nel determinare il processo di apprendimento, per esempio la L1, le caratteristiche della L2, e principi che dipendono dalla nostra facoltà del linguaggio, ecc. Per questo vi consiglio di adottare un atteggiamento esplorativo quando ascoltate e osservate gli apprendenti, senza per forza arrivare a conclusioni rigide sugli aspetti non-target dell’interlingua, visti i tanti fattori che concorrono all’apprendimento. Sappiamo che l’apprendimento consiste inevitabilmente di errori: l’analisi della lingua dell’apprendente serve quindi BIOGRAFIA PROFESSIONALE Claudia Manetti, dottore di ricerca in scienze cognitive con specializzazione in linguistica, si occupa di acquisizione dell’italiano come prima e seconda lingua. Insegna lingua spagnola in una scuola secondaria di primo grado a Firenze. Dal 2014 ha collaborato con l’Università degli Studi di Siena come assegnista di ricerca e docente a contratto di Fondamenti di linguistica. Collabora con enti e associazioni in qualità di formatrice di docenti e operatori nell’ambito dell’apprendimento e insegnamento dell’italiano (L1 e L2) e del plurilinguismo. Ha lavorato come insegnante/facilitatrice dell’italiano L2 nella scuola, primaria e secondaria, e con apprendenti adulti. 15 #Claudia Manetti a notare gli elementi target e non target, in un’ottica costruttiva. Che cosa vuol dire questo? Vuol dire che l’insegnante può stimolare la riflessione metalinguistica intorno all’errore, con l’obiettivo di far riflettere sia sulla forma della lingua ma anche sulle ripercussioni che possono esserci a livello comunicativo. Vorrei inoltre sottolineare che è importante trattare l’errore in modo diverso a seconda della situazione di apprendimento. È sì importante fornire feedback correttivi espliciti, «L’apprendimento consiste inevitabilmente di errori: l’analisi della lingua dell’apprendente serve quindi a notare gli elementi target e non target, in un’ottica costruttiva» ma solo se la cornice comunicativa e didattica è adeguata: per esempio, è sconsigliato interrompere l’apprendente in un momento in cui si sta esprimendo e sta quindi producendo lingua, perché correggere significherebbe spezzare e incrinare lo scambio comunicativo e l’interazione. In questo caso è importante concentrarsi sul messaggio e sul contenuto piuttosto che sulla forma. Invece, è consigliabile proporre la correzione o l’autocorrezione se la cornice condivisa prevede un’attività in cui ci si focalizza sulla forma della lingua, e in questo caso sia l’insegnante 16 L2elledue | che gli apprendenti hanno entrambi l’obiettivo di praticare e rinforzare le forme target. Vi illustro attraverso alcuni esempi come possiamo trattare l’errore nel contesto classe. Nel caso di un’attività di brainstorming, per esempio nella fase iniziale dell’unità didattica, il facilitatore guida e facilita la discussione attraverso la formulazione di domande chiave di elicitazione: l’obiettivo è quello di far emergere le competenze pregresse e quindi è importante ascoltare e osservare quello che gli apprendenti sanno fare con la lingua senza correggerli o interromperli, perché è proprio grazie all’osservazione che avviene durante il brainstorming che posso calibrare al meglio le fasi successive dell’unità didattica. Anche nel caso di un’attività orale in cui la classe discute intorno a un tema, per esempio, argomentando a favore o contro, l’insegnante osserva le competenze lasciando che gli apprendenti pratichino la produzione orale. Nei momenti in cui l’insegnante interagisce con gli apprendenti, come spiegato prima, è importante dare la priorità al contenuto piuttosto che alla forma: quando l’insegnante ascolta gli apprendenti può intanto registrare mentalmente gli aspetti target e non target dell’interlingua, su cui eventualmente potrà focalizzarsi in un secondo momento, in maniera esplicita. Inoltre, è importante che il facilitatore interloquisca con gli apprendenti in modo naturale, usando la lingua target: se l’apprendente produce, per esempio, un errore nell’accordo da soggetto e verbo (es. io fa), il facilitatore osserva questo aspetto e durante l’interazione cercherà di riproporre la forma target (es. io faccio), all’interno di uno scambio comunicativo autentico ed ecologico, fornendo così un feedback implicito della forma target. Per finire, in un contesto in cui la classe sta esercitandosi nell’uso di un determinato aspetto grammaticale, per esempio l’uso dei pronomi clitici o della morfologia verbale, allora l’obiettivo è concentrarsi sulla corretta forma delle frasi: dunque in questo caso l’errore viene fatto nota- N.5 - DICEMBRE 2020 re, utilizzando una modalità di correzione o autocorrezione. Per esempio, durante un roleplay guidato in cui gli apprendenti mettono in pratica una determinata struttura, è importante che si cerchi di praticare l’uso target di tale struttura. In questa situazione, rispettando lo svolgimento dell’attività, il facilitatore può intervenire facendo notare l’errore, per esempio, attraverso una correzione esplicita o una riformulazione della forma target. RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI • Arcaini E., Py B. (1984), Interlingua. Aspetti teorici e implicazioni didattiche, istituto della Enciclopedia Italiana, Roma. • Pona A. (2020), Il nuovo fare grammatica. Quaderno di italiano L2 dal livello A1 al C1, Bergamo, Sestante Edizioni. • Selinker L. (1972), “Interlanguage”, International Review of Applied Linguistics in Language Teaching, 10: 209-231, (trad. it. in Arcaini, Py, 1984). #Roberto Balò L2elledue | Materiale autentico o artificiale? Roberto Balò In questa breve lezione illustreremo cos’è il materiale autentico, come si differenzia da quello artificiale e come e perché usarlo in classe Cos’è il materiale autentico? È tutto ciò che troviamo intorno a noi, su internet, su un giornale, per strada; può essere un brano di un libro, una canzone, un film di Sorrentino. Gli oggetti che portiamo in classe per l’attività didattica, come un volantino pubblicitario o un biglietto del treno, sono chiamati realia. La caratteristica che lo distingue dal materiale artificiale è il fatto di essere creato per i madrelingua, quindi non nasce per un precipuo scopo didattico: lo scopo didattico viene dopo, nel momento in cui decidiamo di usare il materiale autentico per insegnare ai nostri studenti. Cos’è il materiale artificiale? Il materiale non-autentico, che io chiamo “artificiale”, o, come ambiguamente viene chiamato in glottodidattica, materiale didattico o didattizzato, è quello che si trova nei manuali di italiano per stranieri, soprattutto nei primi livelli: sono i testi e i dialoghi costruiti “a tavolino” per sottolineare alcuni aspetti della lingua (lessicali, grammaticali o morfosintattici). Solitamente materiale didattico più semplice o comunque semplificato: vi si usano solo certi termini lessicali e si usano tempi e modi grammaticali che gli studenti conoscono già o devono apprendere attraverso quel preciso testo. Come, quando e perché usare il materiale autentico o quello artificiale La questione non è essere pro o contro un tipo di materiale; io, ad esempio, non sono sfavorevole all’uso di materiale artificiale, ne faccio uso, specialmente con alcuni profili specifici di apprendenti, semplificando testi tratti dal web e manipolandoli per costruire esercizi e attività. Anche nel momento in cui lavoro su un video e ne estraggo una parte specifica per raggiungere i miei obiettivi sto didattizzando e quindi facilitando l’apprendimento. Tuttavia, sia dagli studi ufficiali, sia dalla mia esperienza, il materiale autentico è solitamente più apprezzato e gradito dagli studenti e analizzare un evento comunicativo “autentico” viene accolto con entusiasmo; mentre con i materiali artificiali si hanno a volte reazioni di noia, senso del ridicolo e addirittura rifiuto. Il dibattito su cosa sia effettivamente considerato materiale autentico è ancora in corso: pensate a questo, se io prendo un articolo di Michele Serra, so che questo articolo è stato scritto per un preciso pubblico, sono state usate certe parole e specifiche strutture morfosintattiche per interagire in un contesto socio-culturale “autentico” ovvero reale. Se io questo articolo lo uso in una classe di studenti L2 o addirittura LS, lo sto in un certo senso manipolando, perché lo sto sfruttando in un contesto socio-culturale “non autentico”, ovvero la situazione in cui mi trovo non sarebbe “reale”. Oppure se io invento un testo pensato per la mia classe di livello A2 in cui descrivo ciò che Mario ha fatto ieri, cercando di usare l’imperfetto e il passato prossimo, secondo alcuni studiosi sarebbe comunque materiale autentico poiché il mio testo è stato pensato per un preciso contesto socio-culturale e con obiettivi specifici. In pratica, alcuni glottodidatti sostengono che il materiale autentico non esiste oppure che tutto è materiale autentico. Quello che dobbiamo fare è usare un tipo di materiale o l’altro a seconda di chi ci troviamo davanti, delle necessità e dei bisogni didattici dei nostri studenti. Se possibile, tuttavia, io prediligo il materiale autentico o una sua didattizzazione: questo perché, oltre ad essere recepito positivamente, presenta la lingua straniera in un contesto preciso, e “tale contestualizzazione”, come dice Paola Begotti, “fa aumentare la comprensione del messaggio e quindi innalza la motivazione, illustra diversi modelli di lingua orale e scritta e diverse variazioni sociolinguistiche secondo il mezzo utilizzato, il registro, la classe N.5 - DICEMBRE 2020 sociale e la provenienza geografica degli interlocutori”. L’obiezione che sorge spontanea all’uso del materiale autentico è il fatto che possa essere troppo difficile per gli studenti e che ingeneri frustrazione. Qui entra in gioco l’insegnante che non è un mero somministratore di materiali, ma un vero e proprio facilitatore che sceglie il materiale adatto al proprio contesto scolastico, ai bisogni e alle necessità degli studenti, seguendo i loro gusti, le loro inclinazioni e soprattutto le diverse modalità di apprendimento. L’insegnante/facilitatore spiegherà gli obiettivi dell’uso di quel determinato materiale, lo contestualizzerà, predisporrà delle attività motivazionali e preparatorie prima di somministrarlo, creerà un’atmosfera piacevole e di fiducia all’interno del gruppo classe, e soprattutto spiegherà che non è necessario comprendere il testo al 100%: citando Christopher Humphries, “se lavoriamo su un testo scritto, l’obiettivo non è capire il testo ma sviluppare la capacità di capire il testo. Gli studenti non sono tenuti a capire, piuttosto vanno esposti all’input, con un atteggiamento sereno, come se stessero ascoltando una musica.” Sicuramente sottoporre un articolo dell’Huffington Post ad uno studente di livello A1 non sarà una buona idea, ma se dello stesso materiale ne prendiamo solo un frammento, ad esempio il titolo, e lo inseriamo in una Unità di Lavoro, non vi sarà alcuna controindicazione ad usarlo. Teniamo anche presente che in un gruppo-classe il livello di conoscenza della lingua non è 17 #Alan Pona quasi mai omogeneo, ovvero ci può essere chi ha un buon livello di comprensione, ma oralmente si trova in difficoltà, per cui, secondo me, non c’è una linea netta che separi l’uso del materiale autentico da quello artificiale. Valutiamo quindi bene il livello di qualsiasi materiale: se proponiamo un’attività troppo facile lo studente probabilmente si annoierà, sentirà di perder tempo e il suo livello di attenzione calerà; parimenti, L2elledue | anche con una troppo difficile avremo simili effetti, ovvero lo studente nel migliore dei casi si annoierà, nel peggiore si sentirà frustrato. Trovare o creare del materiale, autentico o artificiale, che sia perfetto per il livello a cui insegniamo è molto difficile. Di solito è consigliabile tarare il livello del materiale verso l’alto: in fondo ci siete voi ad aiutare e se vi accorgete che qualcosa è troppo difficile potete immediatamente intervenire agevo- lando l’apprendimento. Se ad esempio vi rendete conto che c’è una parola che gli studenti non conoscono e che è importante per la comprensione del testo, sarete voi a spiegarla. La volta successiva, in cui riproporrete a un altro gruppo lo stesso materiale, avrete cura di inserire la spiegazione di quella parola prima della lettura del testo oppure di aggiungerla a un piccolo glossario. In conclusione vorrei sottolineare il fatto che non dobbia- La semplificazione, rielaborazione e riorganizzazione dei testi Alan Pona Questo breve contributo illustrerà una strategia molto importante quando facciamo didattica dell’italiano L2 e in italiano L2: la semplificazione, rielaborazione e riorganizzazione dei testi, cioè la redazione di testi ad alta accessibilità per apprendenti italiano L2. Premesse Qui di seguito farò delle premesse terminologiche che ci permetteranno di comprendere al meglio le successive proposte didattiche. Lo studioso canadese Jim Cummins introduce nel 1979 la distinzione tra CALP (Cognitive Academic Language Proficiency) e BICS (Basic Interpersonal Communication Skills), sottolineando quanto siano diversi i tempi per il raggiungimento di queste competenze ed abilità: da 6 mesi fino a 2 anni circa per il possesso delle competenze e delle abilità comunicative di base, 5/7 anni per la padronanza della lingua legata ad operazioni cognitivamen- 18 te complesse. La CALP non è solo una lingua, ma è costituita da un insieme di varietà linguistiche, di tecniche, di strategie e, infine, di abilità specifiche, linguistiche e cognitive. Definiamo microlingua la varietà di lingua che gli specialisti di un settore scientifico o professionale usano per ottenere chiarezza e per essere identificati come membri del settore specifico. Le microlingue hanno caratteristiche linguistiche diverse rispetto alla comunicazione di base e le une rispetto alle altre. Quando facciamo didattica dell’italiano L2 e in italiano L2, possiamo scegliere di approcciare un testo autentico, una presentazione con lessico microlinguistico redatta per italofoni o un manuale, per esempio scolastico, scegliendo diverse strategie. La facilitazione linguistica e degli apprendimenti Usiamo il termine facilitazione linguistica e degli apprendimenti per riferirci a tutta una serie di strategie, tecniche e attività che favoriscono la comprensione dei testi: il testo è presentato nella sua veste originaria (il testo autentico, il manuale di studio, le slide e i quiz/test per l’esame per la patente di guida o per l’HACCP, per esempio) e l’insegnante/facilitatore lin- N.5 - DICEMBRE 2020 mo avere paura ad usare materiale autentico in classe, anche nei livelli iniziali: valutiamo bene il tipo di materiale e chi abbiamo di fronte, facilitiamo, agevoliamo l’apprendimento e sfruttiamo tutte le occasioni che i nostri studenti ci danno. Ricordiamoci che insegnare non è una sfida tra insegnante e studente, ma un’alleanza per raggiungere un obiettivo comune, in questo caso l’apprendimento di una lingua straniera. guistico stimola il gruppo-classe con immagini, evidenziazioni, gesti, col supporto di altri testi (video, audio-video, iconici etc.) e con attività di lavoro sul testo stesso perché questo venga compreso. La semplificazione, rielaborazione e riorganizzazione dei testi La semplificazione, rielaborazione e riorganizzazione dei testi è la riformulazione del testo in microlingua in un linguaggio più vicino alla comunicazione di base, con una rielaborazione del testo che ne aumenti la comprensibilità tramite ridondanza e secondo un’organizzazione logico-concettuale che ne faciliti l’elaborazione cognitiva e la comprensione. Non sottovaluto affatto l’efficacia delle strategie, tecniche e attività che caratterizzano la facilitazione linguistica e degli apprendimenti, questa parte centrale della mia lezione voglio dedicarla, però, alla semplificazione, rielaborazione e riorganizzazione dei testi nell’ottica dell’alta accessibilità per apprendenti italiano #Alan Pona L2 (cioè alta leggibilità e alta comprensibilità). Con alcuni profili specifici di apprendente (penso, per esempio, agli studenti a scuola o agli adulti migranti o immigrati), saper redigere testi ad alta accessi- L2elledue | bilità si rivelerà molto utile. Credetemi. Le strategie per la redazione di testi di facile lettura Qui di seguito, propongo una lista di strategie e tecniche sia per semplificare, rielaborare e riorganizzare testi autentici o tratti da manuali di studio o da slide per la preparazione di esami sia per la redazione ex novo di testi di facile lettura ri- N.5 - DICEMBRE 2020 volti a parlanti italiano L2 con competenze linguistico-comunicative di livello A1 e A2 del Quadro comune europeo di riferimento per le lingue. Usare lessico concreto, della comunicazione di base, più vicino alla vita di tutti i giorni degli apprendenti. Es. Porre → mettere; giungere → arrivare; volto → viso Se necessario aggiungere un glossario, scritto o con immagini con funzione integrativa al testo: porlo accanto al testo in corrispondenza del lessico complesso. Evitare figure retoriche: ossimoro, metonimia/sineddoche, personificazione, sinestesia etc. Ripetere le parole (soprattutto se parole-chiave) e non usare i sinonimi. Non usare diminutivi, vezzeggiativi, o nomi alterati in genere. Evitare espressioni idiomatiche e modi di dire. Evitare nominalizzazioni. Es. La costruzione delle piramidi da parte degli Egizi... → Gli Egizi costruiscono le piramidi... Impiegare le parti del discorso in modo prototipico. Oggetti, persone, animali → si esprimono come nomi Azioni, processi, eventi → si esprimono come verbi Qualità → si esprimono come aggettivi Es. L’altezza del Monte Bianco è di 4810 metri. → Il Monte Bianco è alto 4810 metri. Evitare termini polisemici. Es. Secondo te cosa vuol dire il termine…? → Per te che cosa vuol dire la parola... Il significato di secondo e termine è ambiguo. Usare frasi brevi: nucleari (verbo con i suoi argomenti) o semplici (nucleari con informazioni temporali e locative di sfondo). Usare il presente indicativo, con valore di passato, presente e futuro. Preferire il modo indicativo. Usare tempi verbali in base al momento di acquisizione linguistica. Preferire la forma attiva rispetto alla forma passiva. Usare l’ordine SVO (Soggetto-Verbo-Oggetto). Evitare rimandi anaforici e cataforici (es. pronomi atoni o clitici) e preferire espressioni nominali piene (lessicali e non pronominali). Ripetere i soggetti grammaticali. Ripetere sempre gli argomenti (complementi necessari) del verbo. Preferire la coordinazione alla subordinazione Es. Sebbene io abbia studiato, non ho superato l’esame → Io ho studiato, ma non ho superato l’esame. Evitare le strutture impersonali. Es. Nell’anno mille si credeva che il mondo sarebbe finito → Nell’anno mille le persone credono che il mondo sta per finire. Evitare densità di informazioni. Un testo di facile lettura non è un testo ridotto ma ridondante. Dividere in sequenze testuali con titolazioni ed esplicitare i legami in modo da favorire l’elaborazione cognitiva (es. prima-dopo, causa-effetto). Dividere il testo in paragrafi che corrispondano a nuclei tematici. Usare il rientro per la prima riga dei paragrafi. Usare lo stampato maiuscolo (poi, in un secondo momento, lo stampato minuscolo). Usare neretti (pochi) per evidenziare parole-chiave. Usare font più leggibili (es. Arial, Verdana, Calibri; 14-16). Preferire un’interlinea di almeno 1,5. Allineare a sinistra i paragrafi; non giustificare i paragrafi a destra. Evitare impaginazione a colonne. Creare pagine ariose e non caotiche con giusto equilibrio tra spazi bianchi e neri (scritti). 19 #Alessandro Borri L2elledue | La didattica dell’italiano L2 ad analfabeti Alessandro Borri Il tema dell’analfabetismo è un tema ancor oggi di interesse? Negli ultimi anni abbiamo assistito ad una ripresa di interesse nei confronti dei bisogni educativi speciali degli adulti per nulla o debolmente alfabetizzati. Indagini recenti hanno mostrato il persistere di sacche di insufficienti capacità alfabetiche delle popolazioni europee suscitando il timore di gravi conseguenze sul piano della competitività, della produttività e della coesione sociale nelle società coinvolte dal fenomeno. A ciò si aggiunge la decisione di molti stati europei di introdurre norme di certificazione sulla conoscenza delle lingue nazionali, che hanno fatto emergere la presenza di fasce deboli di popolazione immigrata con scarse competenze linguistiche. A prova dell’urgenza della questione sono numerosi i documenti di indirizzo promossi dal Consiglio d’Europa, dichiarazioni di principio a sostegno delle più ampie azioni di educazione di base, curricoli e sillabi dedicati all’insegnamento delle lingue comunitarie agli adulti analfabeti, ma anche progetti finanziati dagli organismi europei finalizzati, in buona parte, all’apprendimento delle lingue da parte, soprattutto, di adulti debolmente alfabetizzati. Più in generale, sono «donne, neo arrivati, detenuti, debolmente scolarizzati, analfabeti di ritorno e soprattutto analfabeti totali, per i quali l’anal- 20 fabetismo diventa in primo luogo ostacolo alla partecipazione sociale, fattore che crea marginalità» (Rocca 2013: 37) a costituire la parte prevalente di persone che faticano a rientrare nei percorsi formali. Diverse le ragioni che facilitano l’esclusione dei migranti scarsamente o per nulla scolarizzati dai programmi educativi: da un lato questi ultimi «Il concetto di alfabetismo contestuale rimanda all’idea che lo spazio, gli usi e le funzioni della letto-scrittura risentono dei contesti sociali, culturali e politici» si indirizzano generalmente a persone alfabetizzate nella loro lingua madre, dall’altro i potenziali apprendenti si trovano spesso in condizioni difficili dal punto di vista abitativo, lavorativo e sociale e non hanno accesso alle informazioni scritte su programmi dedicati a rispondere ai loro bisogni. Il presente contributo intende quindi mettere in evidenza alcuni spunti teorici e i riflessi che questi possono avere sulle pratiche didattiche e metodologiche dedicate ad un’utenza che, spesso, non trova risposte ai propri bisogni formativi e linguistici. Qual è la discussione intorno al tema dell’analfabetismo? È cambiato nel tempo? Nella sua definizione terminologica, l’analfabetismo rimanda all’incapacità da parte di un individuo a leggere, a scrivere e a far di conto. È analfabeta una persona che presenta un deficit di abilità di base nella codifica e decodifica del linguaggio scritto e nelle competenze logico-matematiche di base. La definizione è stata comunque oggetto di profonde discussioni nel tempo risentendo anche di epocali cambiamenti avvenuti nella società contemporanea. Il dibattito relativo non è dunque il frutto di una sterile discussione accademica, quanto piuttosto il tentativo di definire i contorni della questione, che ha implicazioni in ambito culturale, educativo e politico. Dal termine analfabetismo, utilizzato per indicare la condizione di chi «non sa leggere e scrivere, comprendendolo un semplice asserto relativo alla propria vita quotidiana», secondo la classica definizione dell’Unesco, si è giunti, dopo ampia discussione, al vocabolo inglese illiteracy – tradotto in italiano con il termine illetteratismo – per intendere la mancanza di quelle competenze e abilità in letto-scrittura necessarie per operare attivamente in un gruppo o in una comunità. Nella società della conoscen- N.5 - DICEMBRE 2020 za e del cambiamento, l’Unesco ha ridefinito i contorni dell’alfabetizzazione intesa come: «l’abilità di identificare, comprendere, interpretare, comunicare e calcolare, utilizzando materiali scritti e stampati, associati a diversi contesti. Essa implica un continuum di apprendimenti al fine di capacitare le persone a perseguire le proprie mete, sviluppare le conoscenze e le potenzialità di ciascuno e partecipare pienamente alla vita della comunità e della società nazionale». Sempre l’Unesco, durante il decennio dedicato al tema dell’alfabetizzazione, ha posto l’attenzione su due ordini di questioni. Il concetto di alfabetismo contestuale rimanda all’idea che lo spazio, gli usi e le funzioni della letto-scrittura risentono dei contesti sociali, culturali e politici in cui le competenze alfabetiche vengono apprese ed utilizzate. Ciò significa che queste mutano di realtà in realtà poiché differenti sono gli ambiti di riferimento. Inoltre, il rapporto fra analfabetismo e alfabetismo non viene più percepito come uno spartiacque fra assenza e presenza delle capacità di lettura e scrittura, quanto piuttosto un continuum in cui sono rilevabili diversi livelli ed usi di competenza. Tale paradigma è essenziale per chi opera con individui debolmente o per nulla scolarizzati perché presuppone, come elemento imprescindibile, quello di conoscere il background educativo e culturale degli apprendenti, abbandonando così categorizzazioni non sempre precise ed efficaci per l’azione didattica, e valorizzando al contempo le competenze e le abilità già possedute dagli adulti. #Alessandro Borri Chi sono gli apprendenti analfabeti? Allo stato attuale non si ha la percezione precisa del fenomeno che accompagna l’alfabetizzazione di migranti in italiano L2 anche perché le strutture statali, in primis i Centri Provinciali di Istruzione per Adulti, non esauriscono la gamma dell’offerta formativa di italiano come lingua seconda: corsi di alfabetizzazione sono organizzati da enti pubblici e privati, da organizzazioni di volontariato, politiche e sindacali, dai singoli comuni. Pur non avendo dati concreti e precisi, sappiamo che i partecipanti ai corsi di alfabetizzazione sono adulti/e migranti provenienti da tutto il mondo, in particolar modo dall’Asia e dall’Africa subsahariana. Per definire comunque profili di apprendenti chiari, cui offrire interventi mirati, si considerano di solito due variabili: la conoscenza della L2elledue | lingua scritta e il grado di conoscenza della lingua italiana. Per quanto riguarda la padronanza della scrittura, si individuano i seguenti profili, la cui terminologia si rifà ad un filone di studi nordamericano: • prealfabeti: individui la cui lingua madre non è lingua di scolarizzazione; • analfabeti totali o strumentali: apprendenti che non hanno avuto accesso ad un sistema di istruzione/ alfabetizzazione a causa di difficoltà familiari, povertà o di situazioni di instabilità sociopolitica dei paesi di origine che spesso rendono inaccessibili i servizi educativi primari; • debolmente alfabetizzati: apprendenti che hanno avuto un accesso limitato ad un sistema di istruzione/ alfabetizzazione, di solito quantificato in un periodo da 3 ai 5 anni, che risulta comunque insufficiente a rispondere a richieste lin- guistiche e comunicative sempre più complesse in cui trovano spazio parole, immagini e simboli (per esempio compilare un bollettino postale, leggere un avviso, interpretare un segnale o un’icona in uno spazio pubblico ecc.). Queste condizioni vanno poi relazionate al livello di conoscenza della lingua italiana che porta all’individuazione di particolari casistiche. Ognuno di questi profili richiede azioni specifiche: un conto è insegnare a leggere e a scrivere ad una persona che possiede una buona competenza orale, un altro a chi già possiede un alfabeto e può riutilizzare competenze maturate in L1, altro ancora è operare il passaggio dall’oralità alla scrittura. Gli strumenti per svolgere questa prima importantissima analisi sono questionari/schede e modelli di prove di ingresso strutturate che permettono di raccogliere informazioni re- N.5 - DICEMBRE 2020 lative al background educativo e culturale degli apprendenti (scolarizzazione, rilevazione di eventuali fenomeni di plurilinguismo, esposizione all’italiano ecc.) e a possibili aspettative formative. Accanto al colloquio, funzionali sono le prove di ingresso graduate che permettono di rilevare eventuali abilità tecniche e strumentali, quali la familiarità con l’alfabeto latino e la capacità di discriminazione fonologica, i gradi di alfabetizzazione funzionale, la competenza comunicativa in lingua italiana. Quali sono gli approcci più funzionali con apprendenti analfabeti o scarsamente scolarizzati? Gli approcci e le pratiche didattiche da utilizzare risentono anche delle visioni sottese all’alfabetizzazione. Sostan- 21 #Alessandro Borri zialmente due sono i modelli che hanno caratterizzato il dibattito: il modello autonomo e quello ideologico o delle prassi sociali. Il primo risulta focalizzato sull’alfabetizzazione in termini di possesso di abilità, capacità e competenze di base. L’apprendimento della letto-scrittura avviene indipendentemente dagli specifici contesti attraverso una tecnica neutra, variabile ed autonoma. In linea con un modello di stampo tecno-cognitivista, l’apprendimento avviene attraverso un percorso consequenziale e stabilito. Il secondo, invece, è basato su un approccio socioculturale. L’alfabetizzazione è vincolata al contesto sociale in cui si sviluppa: ciò significa che l’apprendimento della letto-scrittura stimola e modifica le capacità di pensare, di comunicare e anche di interagire all’interno di un contesto. Nella sua forma più militante, come quella del teorico brasiliano Paulo Freire, l’alfabetizzazione è legata ai processi di liberazione da ogni forma di oppressione attraverso la presa di coscienza di sé e della realtà. In generale, la neutralità del modello autonomo è da tempo messa in discussione. L’influenza dei principi della glottodidattica e l’esperienza maturata nella pratica dell’Educazione per adulti portano a considerare l’alfabetizzazione come un processo complesso che porta l’apprendente ad acquisire le pratiche discorsive della comunità in cui l’alfabetizzazione ha luogo. In una realtà come quella italiana, alfabetizzare significa pertanto far comprendere la centralità del codice scritto, portatore di significati, insegnare a leg- 22 L2elledue | gere e a scrivere in una lingua straniera, ma anche sviluppare quelle competenze comunicative utili e funzionali a vivere ed interagire all’interno di una comunità (vita quotidiana, professionale e sociale). In quest’ottica, diverse realtà europee prevedono corsi combinati di alfabetizzazione e di lingua che comprendono oltre la letto-scrittura, l’insegnamento del calcolo, dell’informatica, degli elementi di cultura e civica dei paesi ospitanti e l’avvio di strategie di apprendimento. Per far emergere gli usi della lettura e i generi testuali più ricorrenti, ma anche i biso- possono avere un impatto positivo sull’apprendimento della lettura. Le competenze orali si consolidano e possono agire ancor di più sulla motivazione se comunque rimandano allo spazio reale ed autentico degli scambi comunicativi. In Italia, nell’ultimo decennio, diversi sono i materiali didattici che danno centralità alla comunicazione orale, condizione necessaria per l’interazione sociale, ma anche per l’avvio di vere e proprie attività di alfabetizzazione. Ai vetusti abbecedari si affiancano così proposte didattiche che, attraverso una serie di input «Alla base di tutte le proposte didattiche è auspicabile un’attenzione alla condizione adulta» gni linguistici degli apprendenti, fondamentale risulta la già detta fase di accoglienza. Schede, colloqui e semplici registrazioni di attività in classe potranno far emergere i bisogni comunicativi degli apprendenti e costruire una trama che orienta l’azione didattica. Le competenze comunicativa e di interazione orale diventano ancor più prioritarie per individui debolmente o per nulla alfabetizzati che non padroneggiano il codice scritto. Ricerche sull’acquisizione della letto-scrittura in inglese L2 sostengono, in aggiunta, che il rafforzamento di un adeguato vocabolario, la conoscenza delle strutture linguistiche, della fonologia e della struttura del discorso, iconici, cercano di stimolare la discussione e di far emergere le conoscenze e il portato di esperienze degli apprendenti. Nella prassi didattica ciò si traduce nell’utilizzo di materiali autentici (avvisi, opuscoli, orari, segnali…) che sensibilizzano ai diversi codici semiotici, ma anche nel ricorso ad attività di project work, nei quali agli apprendenti è richiesta la messa in campo di soluzioni linguistiche ed extralinguistiche, e ad uscite e gite di classe (presso una biblioteca, un ufficio postale, un supermercato, o un museo), che forniscono un luogo per esercitarsi a parlare e leggere in attività reali. Fra le attività particolarmente efficaci in classe il metodo autobiografico, che pone al centro delle proposte didattiche il N.5 - DICEMBRE 2020 vissuto degli apprendenti. Le narrazioni riferite e condivise in aula diventano materiale di discussione e di negoziazione, ma anche l’input per l’avvio di attività di letto-scrittura. Tale metodologia può essere utilizzata solo se l’apprendente ha acquisito una sufficiente competenza orale, inoltre l’insegnante deve saper gestire il carico emozionale che certe narrazioni possono ingenerare all’interno del gruppo classe. Alla base di tutte le proposte didattiche è auspicabile un’attenzione alla condizione adulta: gli apprendenti in una fase tanto delicata come l’alfabetizzazione, devono avere la certezza della spendibilità delle attività in cui sono coinvolti, ma anche la consapevolezza di organizzare il proprio apprendimento attorno a problemi reali, facendo ricorso al bagaglio di esperienze maturate nei diversi contesti informali e non formali. È, quindi, sconsigliabile, perché disincentivante sulla motivazione, il ricorso a materiali e proposte didattiche ed editoriali per l’infanzia. Qual è l’approccio più indicato nell’insegnamento della letto-scrittura? Le attività comunicative diventano elemento inderogabile anche per sostenere l’apprendimento della strumentalità di base. Ciò comporta un cambiamento nella stessa strutturazione didattica: l’alfabetizzazione non è solo l’insegnamento dell’alfabeto, anche perché, come rilevato da indagini e studi, molto spesso i facilitatori e gli alfabetizzatori lamentano come l’insegnamento tradizionale, cioè strumentale, non sia ga- #Alessandro Borri ranzia di una lettura corretta. Per quanto riguarda le tecniche di insegnamento della letto-scrittura il riferimento va ai metodi analitici-sintetici e globali. I primi pongono il proprio focus d’attenzione sugli elementi più semplici sprovvisti di significato, cioè le lettere e le sillabe. È fondamentale in questi casi lo sviluppo della capacità di abbinamento fonema e grafema, di decodifica dei segni grafici e di ricombinazione per formare nuove parole. Il processo può porre attenzione al singolo fonema (fonematico) o alla sillaba (sillabico). Nel primo caso l’insegnamento verte sull’osservazione e apprendimento delle singole lettere e solo dopo averne appreso un certo numero si giungerà alle parole. Nel secondo, viceversa, si pone attenzione alla sillaba, considerata da molti come unità sonora maggiormente percettibile della singola lettera (grafema/fonema) e che permette, inoltre, di giungere più velocemente alla formazione di parole. Simultaneamente è prevista la presentazione e l’esercitazione dei principali caratteri di stampa: lo stampato maiuscolo, il corsivo minuscolo e maiuscolo. I metodi basati su fonemi e sillabe possono talvolta risultare complessi per adulti poco scolarizzati, sia per la memorizzazione di più caratteri di lettura e scrittura, sia per lo studio di lettere o sillabe che non offrono concretezza immediata all’apprendente. I metodi globali, al contrario, si focalizzano su frasi o parole e si collegano agli approcci orientati sul significato. Nelle indicazioni dei principali teorici si privilegia la memoriz- L2elledue | zazione di stringhe di parole scaturite dall’esperienza di chi apprende, dalle sue emozioni e dai suoi interessi. Solo dopo un lungo periodo di riconoscimento globale, l’apprendente arriva a leggere in maniera naturale attraverso un percorso spontaneo scoprendo i meccanismi di traduzione dei segni in significati. Tale approccio può risultare demotivante per adulti debolmente alfabetizzati a causa della complessità del processo cognitivo (memorizzazione, riproducibilità e comprensione delle stringhe di parole). Esso inoltre non facilita e sostiene la mappatura grafema/fonema impor- Come per la lettura anche nella scrittura fondamentale è il rapporto integrato fra lingua e comunicazione, così come rimane invariata l’attenzione ai bisogni linguistici di chi apprende. È senz’altro efficace legare la scrittura agli usi più immediati e spendibili per l’adulto. Si tratta, quindi, di esercitare, da un lato, una scrittura “funzionale”, che permetta all’apprendente di scrivere date, orari, piccoli appunti, compilare moduli e formulari ricorrenti nella vita quotidiana, firmare documenti, dall’altro, di sviluppare le competenze per giungere ad una scrittura più «Nella pratica degli adulti, in generale, si ritiene funzionale la combinazione degli approcci globali e analitico-sintetici» tante nelle lingue alfabetiche come l’italiano. Nella pratica degli adulti, in generale, si ritiene funzionale la combinazione degli approcci globali e analitico-sintetici. Di solito si parte dalla centralità di testi (singole parole o brevi frasi) legati all’esperienza e ai vissuti quotidiani degli apprendenti immigrati, che risultano di solito motivanti, per poi avviare simultaneamente la fase di analisi e di segmentazione in fonemi o sillabe, fino alla composizione di nuove parole. La scelta delle parole oggetto di studio deve altresì rispondere ai criteri di frequenza nel parlato, di ricorrenza nei documenti di uso quotidiano e di utilità nelle situazioni affrontate. personale e privata, un mezzo di espressione che consenta di comunicare e condividere pensieri, stati d’animo e istanze (si pensi all’utilizzo ormai ampiamente diffuso degli SMS o delle e-mail funzionali nella gestione delle relazioni sociali…). Per avviare attività di scrittura è necessario innanzitutto che l’apprendente padroneggi le abilità manuali e grafiche di base (tracciamento dei segni, conoscenza delle convenzioni di scrittura da sinistra a destra o dall’alto verso il basso, uguale dimensione delle lettere) che deve essere esercitata in fase di pre-alfabetizzazione. Acquisita la meccanica della scrittura, egli potrà passare alla scrittura di parole, frasi, N.5 - DICEMBRE 2020 semplici testi, arrivando nel tempo ad assimilare la differenza fra lingua scritta e orale. L’apprendente dovrà essere messo in contatto, fin da subito, con diverse tipologie testuali (liste di parole, moduli amministrativi, avvisi, indirizzi, segnaletica…) e con le regole che le disciplinano, in modo da comprendere le diverse funzioni dello scritto e degli usi nella realtà, fino ad afferrare alcune norme di redazione e di funzionamento corrette. Infine, una considerazione sull’insegnamento del calcolo di base che nella misura possibile dovrà essere compresa nello sviluppo delle competenze orali e di letto-scrittura. In molti casi alcuni temi spesso trattati nei corsi integrati di alfabetizzazione e di lingua, come la ricerca di un appartamento o l’acquisto di beni ed oggetti, fanno appello a certe competenze di base logico-matematiche che devono essere oggetto di studio. Anche gli strumenti della matematica forniscono infatti agli adulti le risorse per esprimere fatti, opinioni, e per analizzare. Concludo ricordando che la necessità di garantire il diritto all’apprendimento della lingua impone l’avvio di una politica linguistica che abbandoni l’episodicità degli interventi e che preveda la collaborazione fra i diversi soggetti che si occupano a vario titolo di alfabetizzazione. È auspicabile, quindi, la formazione specifica degli operatori con corsi orientati sull’apprendimento centrato sui bisogni educativi dei pubblici migranti, ma anche sulla convinzione di approcci, linguaggi e prassi adeguati al pubblico di riferimento. 23 #Alan Pona L2elledue | Il nuovo Fare grammatica di Sestante Edizioni Presentazione a cura di Alan Pona Una grammatica pedagogica Il nuovo Fare grammatica è, innanzitutto, una grammatica pedagogica di italiano L2, cioè uno strumento facilitatore che accompagni nell’apprendimento dell’italiano lingua seconda, fornendo un sostegno all’osservazione della lingua. Una grammatica pedagogica non è esaustiva, cioè non contiene una descrizione dettagliata di tutta una lingua, ma fa una scelta dei fatti linguistici da presentare. Una grammatica pedagogica è eclettica, segue diversi modelli teorici di riferimento: l’obiettivo non è la coerenza nella descrizione, ma l’efficacia nella facilitazione dell’apprendimento linguistico. Una grammatica pedagogica si sofferma sui pezzi di lingua che occorre mettere in rilievo perché l’apprendente li possa ben notare: penso, per esempio, ai pronomi clitici (mi, ti, la, lo, le, gli etc.), che non portano accento e hanno poca rilevanza nell’enunciato poiché l’informazione è recuperabile o dal contesto o dal materiale linguistico intorno ad essi; si sofferma sui pezzi di lingua che occorre stimolare perché l’apprendimento non si fermi - non si fossilizzi - ma possa procedere e possa essere facilitato e accelerato. In questa grammatica pedagogica la lingua è vista attraverso la lente delle forme e delle funzioni; queste ultime indispensabili per fare cose con la lingua, per agire con essa in uno spazio sia personale, sia interpersonale sia sociale. Le funzioni comunicative seguono i bisogni di comunicazione: quando si vuole raccontare, descrivere, chiedere il permesso o una informazione etc. Questi bisogni si esprimono attraverso pezzi di lingua, le forme. Questo libro aiuta ad esprimere i bisogni attraverso mezzi linguistici. 24 Struttura Il nuovo Fare grammatica presenta capitoli tematici ordinati in base a diversi criteri: funzionale, acquisizionale, tradizionale; cioè ho cercato di sposare la tradizione grammaticale con le scoperte glottodidattiche e acquisizionali senza una profonda rottura col passato. Nella presentazione dei Tempi e dei Modi verbali, per esempio, Il nuovo Fare grammatica segue le tappe acquisizionali per favorire un apprendimento in armonia con lo sviluppo naturale delle strutture. All’inizio del libro troviamo fatti di lingua abbastanza complessi a livello acquisizionale, come i nomi, gli aggettivi e gli articoli con i loro tratti, in accordo, di numero (singolare, plurale) e di genere (maschile, femminile), perché è fondamentale, soprattutto in una prima fase di apprendimento di una lingua, dedicarci al lessico e nominare gli oggetti del mondo intorno a noi, dare loro un nome diverso rispetto a quello della nostra lingua materna, descriverli; per immergerci, insomma, in un altro universo linguistico. Ad ogni capitolo tematico di presentazione di un fatto linguistico si accompagnano un gran numero di esercizi: di essi, in questa nuova edizione rinnovata, sono presenti le chiavi alla fine del libro. Completano l’opera sette appendici tematiche di supporto all’apprendimento: le tre coniugazioni, le preposizioni, le congiunzioni coordinanti e gli avverbi connettivi, le congiunzioni subordinanti, i suoni dell’italiano e cenni di ortografia, la punteggiatura e, infine, un glossario linguistico. Il libro è acquistabile in tre versioni: • la prima, completa, Il nuovo Fare grammatica. Quaderno d’italiano L2. Dal livello A1 al C1 • Fare grammatica 1. Quaderno d’italiano L2. Dal livello A1 all’A2 • Fare grammatica 2. Quaderno d’italiano L2. Dal livello B1 al C1 I due nuovi volumi, Fare grammatica 1 e Fare grammatica 2, dividono il percorso N.5 - DICEMBRE 2020 di riflessione metalinguistica del nuovo volume unico in due percorsi più brevi, che contribuiscono a costi ridotti al raggiungimento di obiettivi specifici, come per esempio i seguenti: • livello A2, necessario per gli studenti neo-arrivati della scuola e per la certificazione linguistica per il permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo (Fare grammatica 1); • livello B1, fondamentale per iniziare ad affrontare con una certa autonomia le discipline di studio a scuola e per la certificazione linguistica per la cittadinanza (Fare grammatica 2); • livelli B2 e C1, per lo sviluppo di competenze linguistico-comunicative più “alte” per affrontare le scuole secondarie di secondo grado e gli studi universitari (Fare grammatica 2). Perché “fare” nel titolo di questa grammatica? Di solito, in Italia, pensiamo alla grammatica come ad una lunga serie di attività di memorizzazione di regole noiose e, a volte, controintuitive se confrontate con la lingua che “sperimentiamo” nelle relazioni: “non si dice a me mi”, “il soggetto è colui che fa l’azione”, “non si dice se studiavi, passavi” etc. etc. Il verbo “fare” vuole indicare un meccanismo di apprendimento molto diverso dalla mera memorizzazione di regole normative. La nostra grammatica vuole essere un laboratorio di sviluppo di competenze metalinguistiche, cioè di riflessione sulla lingua attraverso la lingua stessa; un laboratorio di scoperte personali delle regolarità che emergono dai campioni offerti sia nelle parti teoriche del testo sia negli esercizi. Riassumendo, si arriva alla regola attraverso l’osservazione metalinguistica delle regolarità con l’obiettivo ultimo non di normare gli usi ma di permettere apprendimenti d’uso vero, reale della lingua. Con un pizzico anche di competenza sociolinguistica. Perché fare grammatica per l’insegnamento/apprendimento dell’italiano L2? #Alan Pona L2elledue | re dalla comunicazione. Questo libro è, quindi, solo un supporto nel cammino personale di acquisizioni anche e soprattutto relazionali. Studiare la grammatica di una lingua aiuta ad apprendere la lingua stessa: studiare i pezzi di lingua, analizzarli, permette di elaborare enunciati consapevolmente in modo corretto e accurato (attivazione del cosiddetto monitor) e osservare meglio la lingua nell’uso (il cosiddetto noticing) e, da questa produzione monitorata dell’output e da questa osservazione continua dell’input, crediamo possa emergere acquisizione. Però, dopo i tanti errori del passato, quando si riteneva che lo studio delle regole fosse sufficiente alla padronanza linguistica e allo sviluppo di competenza comunicativa, adesso possiamo con fiducia sostenere che si deve “fare grammatica” soprattutto attraverso gli scambi relazionali con i parlanti. La lingua, oltre ad essere un sistema di conoscenze raffinato, è anche il mezzo principale che l’uomo possiede per comunicare. L’acquisizione di questo strumento, strettamente legato al nostro cervello, non può prescinde- Quando si può fare uso di questa grammatica in classe o in autoapprendimento? Consiglio vivamente la consultazione del volume nelle seguenti fasi dell’Unità didattica: • nella fase di riflessione metalinguistica e metacomunicativa: la parte teorica dei capitoli tematici permette un utile confronto con le proprie scoperte personali delle regolarità della lingua e le rimodellerà fornendo ulteriori spunti di riflessione • nella fase esercitativa di rinforzo: la parte degli esercizi, che seguono la trattazione teorica in ogni capitolo tematico, permetterà di reimpiegare le strutture della lingua, di fissarle e automatizzarle nelle memorie dell’apprendente sestanteedizioni IL NUOVO FARE GRAMMATICA • A1-C1 • Alan Pona Francesco Questa • VOLUME UNICO QUADERNO DI ITALIANO L2 • DAL LIVELLO A1 AL C1 FARE GRAMMATICA 1 sestanteedizioni Alan Pona Francesco Questa N.5 - DICEMBRE 2020 • gli esercizi potranno essere un utile strumento in mano all’insegnante/facilitatore linguistico per ritornare sulle strutture dopo le attività di verifica e controllo degli apprendimenti linguistici. Quale italiano hai scelto per la tua grammatica? Ritengo che la varietà più adatta ai bisogni degli apprendenti e al fare con la lingua possa essere l’italiano comune, la varietà linguistica scritta e parlata dalle persone colte in circostanze non troppo informali. Un italiano non troppo sorvegliato, ma attento alla tradizione della lingua. Nei punti di crisi, in quelle fessure di variazione nelle quali il parlante sceglie in base al contesto situazionale, abbiamo fornito la forma “alta”, ma abbiamo indicato all’interno dei riquadri tematici altri possibili usi in base alla variazione diamesica (attraverso il canale: scritto, orale), diatopica (attraverso lo spazio geografico) e diafasica (attraverso i contesti d’uso). Ecco allo- sestanteedizioni A1-A2 Alan Pona Francesco Questa B1-C1 • • FARE GRAMMATICA 1 FARE GRAMMATICA 2 QUADERNO DI ITALIANO L2 • DAL LIVELLO A1 ALL’A2 QUADERNO DI ITALIANO L2 • DAL LIVELLO B1 AL C1 • VOLUME UNICO VOLUME UNICO CONTIENE LE CHIAVI I DEGLI ESERCIZ CONTIENE LE CHIAVI I DEGLI ESERCIZ CONTIENE LE CHIAVI I DEGLI ESERCIZ oni.it oni.it www.sestanteedizi www.sestanteedizi oni.it www.sestanteedizi IL NUOVO FARE GRAMMATICA Quaderno di italiano L2 dal livello A1 al C1 FARE GRAMMATICA 1 Quaderno di italiano L2 dal livello A1 all’A2 FARE GRAMMATICA 2 Quaderno di italiano L2 dal livello B1 al C1 A. PONA, F. QUESTA ISBN: 978-88-6642-355-3 Prezzo € 18,00 - p. 368 A. PONA, F. QUESTA ISBN: 978-88-6642-359-1 Prezzo € 9,50 - p. 160 A. PONA, F. QUESTA ISBN: 978-88-6642-361-4 Prezzo € 9,50 - p. 200 LIVELLO LINGUISTICO: DALL’A1 AL C1 LIVELLO LINGUISTICO: DALL’A1 ALL’A2 LIVELLO LINGUISTICO: DAL B1 AL C1 25 #Alan Pona ra il dimostrativo “codesto”: ti è utile per la comprensione se ti muovi in Toscana ed è bene padroneggiarlo per decifrare i documenti della burocrazia italiana. La tua grammatica è una delle pochissime grammatiche pedagogiche per l’apprendimento dell’italiano L2 che fa uso del modello della grammatica valenziale. Quali sono, a tuo avviso, i vantaggi di questo modello nell’insegnamento/apprendimento dell’italiano L2? Intanto, due parole su che cos’è la Grammatica valenziale: è un modello di descrizione della lingua, nato dall’intensa attività come linguista e glottodidatta del linguista francese Lucien Tesnière a metà del secolo passato, centrato sul verbo e sulla sua proprietà di attrarre elementi agganciandoli intorno a sé per formare frasi. Questo modello semantico-sintattico dà rilievo al significato dei verbi come punto di partenza per la costruzione sintattica della frase. I verbi hanno una valenza, cioè una capacità attrattiva di elementi, detti argomenti, necessariamente agganciati al verbo-predicatore per la formazione di frasi nucleari, cioè costituite dal verbo e da tutti i suoi “argomenti”, cioè elementi necessariamente richiesti dal suo significato. La Grammatica valenziale può essere un utile strumento per gli insegnanti e i facilitatori linguistici per l’insegnamento/ apprendimento dell’italiano come lingua non materna. Perché? Attraverso il suo impiego in classe il docente/facilitatore può contribuire: • allo sviluppo e al consolidamento delle capacità di noticing tramite segmentazione della frase attraverso gli schemi radiali e i colori 26 L2elledue | • allo sviluppo e alla completezza della frase, strutturata a partire dal verbo e dalla sua “forza” semantico-sintattica • allo sviluppo e al consolidamento dell’ordine non marcato della frase italiana SVO (e successiva “scoperta” degli ordini marcati: dislocazioni, frasi scisse, frasi a tema sospeso etc.) • allo sviluppo e al consolidamento di quadri argomentali target (e superamento delle ellissi di argomenti, tipiche delle interlingue degli apprendenti) • all’acquisizione dei pronomi clitici, nodo critico nell’insegnamento/apprendimento dell’italiano L2 • allo sviluppo delle reggenze dei verbi e all’uso delle preposizioni • all’ampliamento lessicale e all’arricchimento del vocabolario • allo sviluppo e al consolidamento dell’uso degli avverbi (espansioni, circostanti, argomenti) • al consolidamento dell’accordo tra soggetto e verbo • alla riflessione sul parametro del prodrop (soggetto nullo) e sviluppo e consolidamento di usi target di soggetti espressi o non espressi foneticamente • allo sviluppo graduale di testi scritti, a partire da frasi nucleari giustapposte gradualmente “cucite” insieme N.5 - DICEMBRE 2020 • alla valorizzazione della tendenza dei parlanti a fare confronti tra le lingue e alla creazione di un ambiente d’apprendimento plurale e ricco di lingue e scritture • la riflessione sul concetto di frase nucleare e la successiva dimestichezza da parte dei docenti e dei facilitatori con la nozione di nucleo delle frasi può, inoltre, contribuire allo sviluppo di competenze professionali di selezione, adattamento o creazione di testi adeguati ai livelli linguistico-comunicativi degli apprendenti, quindi alla creazione di testi ad alta accessibilità. M GUARDA LA PRESENTAZIONE DI ALAN PONA #Roberto Balò L2elledue | Dopo vari anni e grazie anche all’esperienza di formatore, ho deciso di raccogliere in un libro alcune di queste attività, le più significative, per spiegare come si creano esercizi, unità didattiche o di apprendimento. In questo libro, dopo una prima parte introduttiva dove si danno le premesse teorico-pratiche, si passa alle attività pratiche, quelle artigianali, come le chiama Paolo Torresan nella prefazione. Quindi vediamo quali sono i materiali da usare in classe e dove trovarli e dal capitolo successivo iniziamo a valutare e studiare come si usano i materiali didatticamente. Cominciamo con i testi scritti e vediamo quali sono le tecniche glottodidattiche più adatte per didattizzarli; passiamo ai video, vediamo come sceglierli e quali tipi di video sono migliori per la didattica; un altro capitolo è dedicato ai film, quali film e soprattutto a come mostrarli in classe; un altro capitolo è dedicato alla didattizzazione delle canzoni dove si danno consigli utili su come usarle, ad esempio se prima par- Italiano L2/LS fai da te di Sestante Edizioni Presentazione a cura di Roberto Balò S alve a tutte e tutti, sono Roberto Balò, dal 1997 insegnante di italiano L2, formatore e anche l’autore di questo libro, Italiano L2/LS fai da te, uscito da poche settimane per le edizioni Sestante di Bergamo. Come recita il sottotitolo, il volume è una vera e propria guida pratica per insegnanti/facilitatori linguistici. Questo libro nasce dalla mia esperienza di insegnante: quando ho iniziato ad insegnare nel 1997 non esistevano grandi supporti metodologici o didattici all’insegnamento dell’italiano come lingua straniera. Usavamo il classico approccio grammaticale-traduttivo, quello che avevamo usato a scuola per imparare la nostra L1. Quindi le lezioni si basava- N.5 - DICEMBRE 2020 no soprattutto su esercizi ripetitivi di grammatica, sul lessico e poi altre piccole cose, come ascolti fatti con il registratore e le vecchie audiocassette. Dopo un po’ di tempo mi sono reso conto che questo metodo non dava grandi risultati, soprattutto dal punto di vista comunicativo. Nel frattempo, per fortuna, sono cominciati ad uscire alcuni manuali basati sull’approccio comunicativo e mi sono formato, informato, ho cominciato a cercare materiale didattico diverso e dal 2006, insieme ai miei colleghi di Accademia del Giglio abbiamo aperto su internet un blog, adgblog.it, nel quale abbiamo cominciato a raccogliere gli esercizi e le attività creati da noi e che usavamo in classe con i nostri studenti. \\ I Camaleonti Dirige dal 1997 l’Accademia del Gi glio, scuola di lingua italiana e arte a Firenze, insegna italiano come lingua seconda/straniera e tiene formazioni sull’uso delle nuove metodologie e tecnologie nella didattica dell’ita liano L2/LS. Laureato in Lettere Moderne, ha conseguito la certificazione di inse gnante di italiano come lingua se conda DILS-PG di I e II livello dell’U niversità per Stranieri di Perugia. Ha pubblicato articoli sulla didatti ca con il blog e il wiki sui bollettini ITALS dell’Università di Venezia e collabora con la rivista . Dal 2006 è direttore editoriale di testata giornalistica spe cializzata in didattica dell’italiano L2/LS. Nasce una nuova collana di Sestante dedicata a insegnanti e facilitatori Roberto Balò Italiano L2/LS fai da te Guida pratica per insegnanti/facilitatori linguistici i camaleonti i camaleonti I camaleonti rappresentano un caso unico nel mondo animale. I loro occhi possono ruotare e mettere a fuoco anche indipendentemente l’uno dall’altro. La collana glottodidattica “I Camaleonti” di Sestante Edizioni ospita sguardi di professionisti riflessivi, di artigiani colti della didattica, che sanno posare il loro sguardo attento su aspetti sia teorici che pratici, fondendo insieme le informazioni ricavate da questa pratica bifocale. Teoria e pratica, studio ed esperienza nelle classi: il doppio fuoco che Sestante sceglie per questa collana. Il num esiste t lingua mente superindiscr suno s le esig mento l’inseg funzion contes Questa facilita chi dev per l’in zioni r del m unico, si han reperto dattich All’inte ferta d e graz gerime illustra tività e dimen verso t videoc Integra tecnich ste com da util liano L sestante edizioni ITALIANO L2/LS FAI DA TE Guida pratica per insegnanti / facilitatori linguistici R. BALÒ ISBN: 978-88-6642-352-2 Prezzo € 15,00 - p. 206 27 #Roberto Balò tire dal testo della canzone o prima dal suo ascolto; un altro capitolo è dedicato ai videoclip; un altro ancora agli audio, come creare audio artificiali e come usare audio autentici a fini didattici; l’ultimo capitolo infine è riservato all’uso e all’importanza delle immagini nella didattica. Alla fine del libro ho inserito anche tre appendici tematiche. La prima è una rassegna di tecniche glottodidattiche impiegate nelle attività illustrate all’interno dei capitoli, appendice utile anche per chi volesse approcciarsi alle certificazioni glottodidattiche italiane. La seconda è una lista ragionata di film da utilizzare nelle classi di italiano L2/ LS. Infine l’ultima è un elenco, chiaramente non esaustivo, di canzoni con indicazioni associate a possibili obiettivi didattici. Il libro si rivolge solo a insegnanti esperti o anche a chi è agli inizi? È sicuramente una guida ideale per chi inizia ad insegnare e per chi deve sostenere le certificazioni glottodidattiche, ma anche per gli insegnanti più esperti che finora si sono affidati ai manuali e ne hanno rilevano alcuni limiti e vogliono ampliare la loro offerta formativa verso i loro studenti. 28 L2elledue | Ci sono le chiavi o le soluzioni degli esercizi? No, perché non è un manuale da usare con gli studenti, ma una guida per l’insegnante che passo passo spiega e dà consigli utili su come creare attività, esercizi adatti alla tipologia di studenti che ci troviamo davanti. Tuttavia tutti gli esempi riportati sono linkati ad adgblog dove potrete trovare gli esercizi e le eventuali chiavi, copiarli e modificarli per le vostre esigenze e infine stamparli. Come si relaziona questo libro con i materiali già esistenti, i manuali di glottodidattica da una parte e i libri di esercizi e attività dall’altra? I manuali di glottodidattica sono utilissimi e imprescindibili per formarsi un impianto metodologico sul quale basare le proprie lezioni. I manuali operativi sono importanti perché fanno da filo conduttore alle nostre lezioni. A mio avviso questo libro si inserisce tra le due tipologie, proponendo ai docenti strumenti e materiali flessibili e adattabili, utili per la costruzione di unità didattiche pensate per la classe che abbiamo davanti. Inoltre offre anche degli utili consigli, che deriva- N.5 - DICEMBRE 2020 no dall’esperienza diretta in classe, da cui ho estrapolato gli elementi a mio avviso più significativi da condividere con gli altri insegnanti che derivano dai successi, ma anche dagli insuccessi che ho vissuto in classe. Che ruolo hanno i media in questo libro? Può essere utile anche per la didattica digitale? Certamente, perché nel libro vengono fornite molte indicazioni sui materiali digitali. I materiali sono varissimi, vanno da un testo descrittivo di Firenze a uno spezzone di un film di Fantozzi o a uno youtuber famoso. Quindi sicuramente i legami con la didattica a distanza, ma anche con la didattica integrata sono fortissimi. M GUARDA LA PRESENTAZIONE DI ROBERTO BALÒ #Valentina Sannipoli L2elledue | Fare didattica digitale integrata Valentina Sannipoli C ome spesso abbiamo sentito dire negli ultimi tempi, tra i tanti eventi negativi che ci hanno travolto, almeno un risvolto positivo c’è stato: la rapida alfabetizzazione informatica dei docenti. Tutto quello che non sono riusciti ad ottenere in cinque anni le miriadi di corsi di aggiornamento previsti e organizzati dal Piano Nazionale Scuola Digitale si è invece concretizzato in poco più di due mesi di didattica a distanza. Risulta ormai evidente che formare “a pioggia”, e prescindendo dai bisogni contingenti è del tutto inutile: disperde risorse e non scalfisce le cattive abitudini. Da marzo in poi, invece, facendo di necessità virtù, la maggior parte dei docenti si è spesa in vari modi per colmare quel gap informatico che si era venuto a creare negli ultimi anni, in una sorta di autoaggiornamento voluto e cercato e quindi finalmente efficace. Quando si dice, Ubi maior... La cosa più interessante è che anche gli studenti e le loro famiglie hanno dovuto spingere il piede sull’acceleratore delle competenze digitali per non rischiare di rimanere al di fuori del contesto “classe virtuale”. Perché, diciamolo francamente, a scuola fino allo scorso marzo si confondeva ancora l’utilizzo delle nuove tecnologie nella didattica con l’ora di informatica... Nel mese di giugno 2020, alla fine di un anno scolastico impegnativo e denso di novità, il Ministero ha ben pensato di pubblicare delle “Linee Guida per la Didattica Digitale Integrata” (DDI per gli amanti degli acronimi) per regolamentare le modalità che permettono lo svolgimento delle attività didattiche a distanza, ma soprattutto per stimolare l’intera comunità educante a non disperdere le competenze digitali acquisite proprio durante la DAD. Anche se queste linee guida sono state accolte, come spesso accade nel mondo della scuola, come la richiesta di un ulteriore adempimento formale (ogni istituto è infatti tenuto a redigere un Piano per la DDI), io credo che debbano essere invece vissute come un supporto per affrontare in modo più consapevole e proficuo l’anno scolastico corrente, ma anche quelli futuri. Il passaggio dalla didattica a distanza (didattica di emergenza che si rende operativa solo ed esclusivamente in caso di sospensione dell’attività in presenza) alla didattica digitale integrata (modalità didattica di insegnamento-apprendimento che integra la tradizionale esperienza di scuola in presenza con l’ausilio di piattaforme digitali e delle nuove tecnologie) è fondamentale: l’innovazione didattica digitale non può essere relegata ad una situazione emergenziale ma deve entrare a far parte della pratica quotidiana di ogni docente e studente. La redazione di un efficace Piano per la DDI dovrebbe essere vissuta dai singoli istituti non come un mero adempimento formale ma come una riflessione sul fare scuola nel XXI secolo. E qui la riflessione è d’obbligo: vogliamo essere semplici spettatori del cambiamento o decidere di entrare a farne parte in maniera attiva, consapevole e partecipata? In questa delicata fase di riprogettazione e di implementazione delle risorse digitali, diventa cruciale negli istituti il ruolo dell’animatore digitale e del suo Team. Dovrebbero essere loro, infatti, a predisporre la prima redazione del Piano per la DDI, redazione che N.5 - DICEMBRE 2020 verrà poi condivisa con tutto il corpo docente e potrà essere modificata tutte le volte che la riflessione su quanto sta succedendo lo renda necessario. Il Piano per la DDI non può essere considerato infatti un documento statico (una volta approvato non può più essere messo in discussione) ma dinamico e, in quanto tale, dovrà rispondere pienamente alle esigenze e alle contingenze della scuola di oggi, una scuola che deve guardare al cambiamento con occhi coraggiosi e mente aperta. Ma andiamo al punto e vediamo come è possibile integrare il nostro fare didattica in presenza con il fare didattica a distanza. UNO SGUARDO AL MONDO SOCIAL Il mondo Social non è proprio il mio forte, ma lo apprezzo perché ha permesso anche ai docenti di ritagliarsi uno spazio per la condivisione di riflessioni, idee e buone pratiche: il miglior modo per auto-aggiornarsi e auto-formarsi. Vi suggerisco perciò alcune di queste positive e stimolanti realtà presenti su FACEBOOK. I gruppi a cui conviene iscriversi: • G Suite for Education Italia: il gruppo dei docenti italiani che utilizzano con successo e soddisfazione la G Suite for Education. Qualsiasi dubbio riguardante la piattaforma qui trova certamente una risposta. https://www.facebook.com/groups/gsuiteita • Insegnanti 2.0: innovazione e pratica nella didattica integrata con le nuove tecnologie. • Prof in rete: spazio per la condivisione di progetti, strumenti, informazioni, idee, problemi (e soluzioni!) legati alla didattica e alla scuola. • Insegnanti di italiano L2/LS: la community degli Insegnanti di italiano L2/LS. • La Classe Capovolta: Il primo gruppo che parla di Flipped Learning, metodologia che consente a docenti e studenti di trascorrere delle ore felici e produttive. • Didattica inclusiva: il gruppo fondato da Dario Ianes, una garanzia di serietà e competenza. Le pagine personali da seguire: • Prof Digitale: al secolo Alessandro Bencivenni, docente di scuola secondaria, formatore, blogger, divulgatore. In questo periodo è il punto di riferimento dei docenti che vogliono provare ad integrare le nuove tecnologie alla didattica. • Antonio Fini: Dirigente scolastico dell’IC di Sarzana; i suoi Post sono illuminanti, soprattutto quando riguardano il rapporto tra la scuola e le nuove tecnologie. • Cinzia Mion: Dirigente scolastica ora in pensione, formatrice, psicologa. I suoi interventi sulla scuola sono la testimonianza del fatto che la modernità di pensiero non è legata all’età anagrafica. • Daniele Fedeli: Studioso di ADHD e altri disturbi dell’età evolutiva. I suoi post sono una formazione gratuita di altissimo livello: un vero dono per tutti i docenti che lo seguono. • Ludovico Arte: Dirigente Scolastico presso I.T.T “Marco Polo” di Firenze; ha saputo portare il buono ma anche il bello nella scuola, dimostrando così che quando si crede fermamente in un progetto si può trovare la strada per realizzarlo. Le sue riflessioni sono sempre interessanti e stimolanti. 29 #Valentina Sannipoli L2elledue | N.5 - DICEMBRE 2020 Funzioni di Google Workspace che maggiormente interessano i docenti Prima di tutto è necessario dotarsi di una piattaforma che permetta ai docenti di mantenere i contatti con i propri studenti ovunque ci si trovi, e ogni scuola, da marzo in poi, ha potuto scegliere tra quelle presenti nel mer- cato (WeSchool, Edmodo, Office 365 Education, Fidenia ecc.), quella che ritenesse maggiormente adatta alle proprie esigenze. Attualmente la piattaforma più diffusa e usata nelle scuole italiane (e non solo) risulta essere Wor- kspace (ex G-suite). Il successo di questa diffusione è sicuramente dovuto al fatto che tutto quello che occorre ad un docente per lavorare a distanza, nella piattaforma di Google è presente e non c’è bisogno di integrare altre funzioni, come invece accade con le altre piattaforme. Nell’articolo che segue spiegherò come realizzare un compito da far svolgere in classe o a casa integrando una Unità di Lavoro/Apprendimento creata con Google Documenti a Classroom (per Go- ogle Presentazioni vale lo stesso procedimento). L’esempio che propongo non è certamente esaustivo di tutte le potenzialità che la piattaforma offre, ma rappresenta un primo passo per cominciare a lavorare con Classroom proficuamente. Questo tipo di attività, naturalmente, mirerà ad ampliare non solo le competenze linguistiche e disciplinari dell’alunno, ma anche quelle digitali. ⬇ SCARICA LA LEZIONE “FARE DIDATTICA INTEGRATA CON CLASSROOM” BIOGRAFIA PROFESSIONALE Valentina Sannipoli nasce a Lussemburgo nel 1970 da genitori immigrati economici, per questo ha da sempre a cuore la questione dei migranti. Insegna Religione dal 1992, e durante la sua esperienza lavorativa in scuole dove la presenza di alunni non italofoni è rilevante (IC MARCO POLO e IC DON MILANI di Prato), ha ricoperto vari incarichi: figura strumentale, referente progetti europei Comenius-Erasmus, formatrice (applicazione delle nuove tecnologie alla Didattica). Attualmente è docente IRC presso l’Istituto Comprensivo Don Milani di Prato, nel quale riveste il ruolo di Figura Strumentale PTOF, amministratrice della piattaforma GOOGLE WORKSPACE, componente del Team Digitale, formatrice e responsabile dei progetti PON. Da anni insegna ai propri alunni a studiare in modo attivo attraverso la ricerca e la realizzazione di PPT o prodotti audio-video. Negli ultimi tre anni si è specializzata nell’utilizzo didattico di Minecraft. 30 Attività didattiche e approfondimenti #Valentina Sannipoli L2elledue | N.5 - DICEMBRE 2020 Apro il corso da me creato su Classroom ITALIANO L2 e dopo aver selezionato LAVORI DEL CORSO, dovrò cliccare su CREA e poi COMPITO. ATTENZIONE: le schermate con la barra gialla sono dell’account DOCENTE. Clicco sul corso TIPS 💡💡 ● ● ● Clicco prima su CREA e poi su COMPITO INSERISCI NELLA BARRA DEI PREFERITI LE FUNZIONI DI WORKSPACE CHE USI MAGGIORMENTE. SE TU DOVESSI CAMBIARE IL NOME AL CORSO RICORDATI DI CAMBIARE ANCHE IL NOME DELLA CORRISPONDENTE CARTELLA CHE SI TROVA NEL TUO DRIVE. PROVA A PERSONALIZZARE CON COLORI O SFONDI DIVERSI I TUOI ACCOUNT GOOGLE, VEDRAI CHE SARÀ PIÙ FACILE GESTIRLI (NELLA PAGINA INIZIALE DI GOOGLE, IN BASSO A DESTRA TROVI UNA MATITINA, CLICCA E DIVERTITI A PERSONALIZZARE IL TUO ACCOUNT!) Dopo aver inserito il TITOLO e le eventuali istruzioni, devo scegliere se aggiungere o creare il documento che voglio inviare agli alunni. In questo caso il documento è già pronto e quindi cliccherò su AGGIUNGI. Metto il titolo e le istruzioni Scelgo l’opzione che riguarda il mio documento Se il documento si trova nel mio computer scelgo l’opzione CARICA e poi clicco su BROWSE 32 Se il documento invece si trova nel mio DRIVE scelgo l’opzione GOOGLE DRIVE e poi IL MIO DRIVE; visto che l’ho aperto da poco lo posso trovare anche nei RECENTI; a questo punto non mi rimane che fare doppio click sul documento #Valentina Sannipoli L2elledue | N.5 - DICEMBRE 2020 Non rimane altro che assegnare il compito, ma prima devo fare una cosa importantissima: scegliere l’opzione CREA UNA COPIA PER OGNI STUDENTE; attenzione: questa scelta non può essere fatta dopo aver assegnato il compito!!! Se ci dimentichiamo dobbiamo eliminare il compito e ricominciare da capo. Clicco qui per assegnare il lavoro L’opzione “PER” assegna in automatico il compito a tutti gli studenti del corso. Per assegnarlo anche ad altri corsi o solo ad alcuni studenti devo cambiare i destinatari cliccando sul menù a tendina. Tutte le altre opzioni (PUNTI, SCADENZA, ARGOMENTO, GRIGLIA) non sono OBBLIGATORIE e quindi possono essere selezionate o tralasciate. Ma cosa succede dalla parte dello STUDENTE (schermate con barra rosa)? Per avere chiare le procedure che devono seguire gli studenti per utilizzare la piattaforma, ho creato un account “studente.prova” che utilizzo ogni volta che occorre. Ricordiamo ai nostri studenti di controllare quotidianamente questa sezione! In questa sezione gli studenti possono facilmente controllare i compiti assegnati, anche quelli che non hanno la data di scadenza Anche lo studente dovrà per prima cosa cliccare sul corso TIPS 💡💡 Anche da qui è possibile accedere ai compiti ● CHIEDI ALL’AMMINISTRATORE DELLA PIATTAFORMA WORKSPACE DELLA TUA SCUOLA DI FORNIRTI UN ACCOUNT “STUDENTE-PROVA” PER POTER CONOSCERE LE PROCEDURE CORRETTE CHE DEVONO METTERE IN ATTO GLI ALUNNI. 33 #Valentina Sannipoli L2elledue | N.5 - DICEMBRE 2020 Le prime volte dobbiamo aiutare gli studenti a capire la giusta sequenza della procedura, se non vogliamo rischiare un fallimento. Attenzione: NON da qui!!! Per prima cosa lo studente deve cliccare sulla sezione VISUALIZZA COMPITO Insegnamo ai nostri alunni ad usare il sommario Adesso si può cominciare a compilare la scheda... Poi nella sezione IL TUO LAVORO, deve cliccare sul documento che deve avere il NOME dello studente … e si possono inserire note e commenti Sempre seguendo la procedura passo passo, lo studente arriva finalmente a poter consegnare il suo compito. Cliccando su COMMENTA l’alunno può lasciare un messaggio al docente Attenzione, per commentare deve essere attiva la sezione MODIFICA Allo studente verrà poi chiesto di confermare la CONSEGNA Terminato il compito cliccare su CONSEGNA 34 #Valentina Sannipoli L2elledue | N.5 - DICEMBRE 2020 Il lavoro ormai è consegnato (ma lo studente può ritirarlo, se lo desidera, per apportare dei cambiamenti o correzioni). Vediamo adesso quindi cosa deve e può fare il docente per correggere e restituire compito. Nella sezione LAVORI IN CORSO, il docente deve scegliere il compito da correggere e poi cliccare su VISUALIZZA COMPITO Lo studente, per ritirare il compito e modificarlo dovrà cliccare su RITIRA. TIPS 💡💡 ● Nella sezione LAVORO DELLO STUDENTE posso aprire il compito di chi ha consegnato per correggerlo. ● NELLA SEZIONE “LAVORO DELLO STUDENTE” POSSIAMO APRIRE ANCHE I COMPITI NON CONSEGNATI, CORREGGERLI E RESTITUIRLI CON O SENZA PUNTEGGIO. LA RESTITUZIONE DI UN COMPITO PUÒ ESSERE EFFETTUATA ALUNNO PER ALUNNO O TUTTI INSIEME. Continuiamo nel lavoro di correzione utilizzando le varie possibilità che Google DOCUMENTI ci offre. Qui c’è l’elenco di tutti gli alunni del corso che io posso scorrere senza tornare alla pagina precedente Rispondo alle domande o ai commenti Posso anche aprire il documento in un’altra finestra TIPS 💡💡 E apporto le correzioni che sono sono colorate di verde ● ● GOOGLE DOCUMENTI POSSIEDE TANTISSIME OPZIONI CHE DEVONO ESSERE PROVATE PIÙ E PIÙ VOLTE PER ESSERE BEN ASSIMILATE: “SPIPPOLIAMO” SENZA TIMORE! PRIMA DI ASSEGNARE UN DOCUMENTO, ACCERTIAMOCI CHE FUNZIONI COMPILANDOLO NOI PER PRIMI DALL’ACCOUNT DELLO STUDENTE-PROVA. 35 #Valentina Sannipoli L2elledue | N.5 - DICEMBRE 2020 La correzione è ormai giunta al termine e quindi posso compilare le voci presenti nella barra a destra prima dell’invio definitivo. Clicco qui per restituire il lavoro TIPS 💡💡 ● Per avere una visione d’insieme dell’andamento della prova, posso consultare la sezione VOTI I QUADERNI HANNO RIGHE O QUADRETTI, NON POSSIAMO PENSARE CHE, NEL PASSAGGIO DALLA VERSIONE CARTACEA A QUELLA DIGITALE, GLI STUDENTI RIESCANO IMMEDIATAMENTE A GESTIRE UNA PAGINA VUOTA: USIAMO IL PIÙ POSSIBILE LE TABELLE PER CREARE UNA BUONA UdLA! CERTO SARÀ PIÙ LUNGA E FATICOSA LA PREPARAZIONE MA NE VARRÀ LA PENA. Un’ultima occhiata al lato STUDENTE e finalmente siamo arrivati alla fine! TIPS 💡💡 ● Lo studente dovrà aprire di nuovo il suo lavoro se decidesse di controllare le correzioni I commenti del docente e la valutazione, invece, sono subito disponibili alla visione. TUTTI I LAVORI REALIZZATI DAI NOSTRI ALUNNI, SECONDO LA POLITICA DI WORKSPACE, SONO DI PROPRIETÀ DEGLI ALUNNI STESSI. DOBBIAMO PERCIÒ SCARICARE UNA COPIA (WORD O PDF) DI TUTTO CIÒ CHE VOGLIAMO CONSERVARE NEL NOSTRO DRIVE, PERCHÉ SE GLI STUDENTI DECIDESSERO DI CANCELLARLI O SPOSTARLI, POTREMMO NON TROVARE PIÙ I COMPITI CONSEGNATI. Le correzioni del docente adesso sono rosse e lo studente può accettarle o rifiutarle 36