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La cultura poetica di Benedetto Varchi Selene Maria Vatteroni (Hg.) Schriften des Italienzentrums der Freien Universität Berlin Band 3 Schriften des Italienzentrums der Freien Universität Berlin Die Schriften des Italienzentrums der Freien Universität Berlin werden vom Italienzentrum herausgegeben. Die einzelnen Bände sind auf unserer Webseite sowie dem Dokumentenserver der Freien Universität Berlin kostenfrei abrufbar: www.fu-berlin.de/italienzentrum https://refubium.fu-berlin.de/handle/fub188/25908 Die Veröffentlichung erfolgt nach Begutachtung durch den Direktor des Italienzentrums und die Mitglieder des Beirats der Schriften. Mit Zusendung des Typoskripts überträgt die Autorin / der Autor dem Italienzentrum ein nichtexklusives Nutzungsrecht zur dauerhaften Hinterlegung des Dokuments auf der Webseite des Italienzentrums. Die Wahrung von Sperrfristen sowie von Urheber- und Verwertungsrechten Dritter obliegt den Autor*innen. Die Veröffentlichung eines Beitrags als Preprint in den Schriften des Italienzentrums ist kein Ausschlussgrund für eine anschließende Publikation in einem anderen Format. Das Urheberrecht verbleibt grundsätzlich bei den Autor*innen. Zitationsangabe für diesen Band: Vatteroni, Selene Maria (Hg.): La cultura poetica di Benedetto Varchi. Freie Universität Berlin 2019. DOI ISBN 10.17169/refubium-25666 978-3-96110-248-8 Schriften des Italienzentrums – Beirat: Prof. Dr. Christian Armbrüster Prof. Dr. Giulio Busi Prof. Dr. Daniela Caspari Prof. Dr. Dr. Giacomo Corneo Prof. Dr. Johanna Fabricius Prof. Dr. Doris Kolesch Prof. Dr. Klaus Krüger Herausgeber: Prof. Dr. Bernhard Huss Editorische Betreuung: Sabine Greiner Lektorat: Sabine Greiner, Emanuela Mingo, Janna Roisch Freie Universität Berlin Italienzentrum Geschäftsführung Habelschwerdter Allee 45 D-14195 Berlin Tel: +49-(0)30-838 50455 mail: sabine.greiner@fu-berlin.de Schriften des Italienzentrums der Freien Universität Berlin, Band 3 Inhalt La cultura poetica di Benedetto Varchi Seite Introduzione di Selene Maria Vatteroni 3 Appunti e considerazioni sulle lezioni petrarchesche e dantesche di Benedetto Varchi presso l’Accademia degli Infiammati e l’Accademia Fiorentina Simon Gilson (Oxford) 6 “Dovendosi […] leggere non meno greco et latino che toscano”. Ipotesi e postille per le lezioni di Varchi all’Accademia degli Infiammati (1540-1541) Giovanni Ferroni (Padova) 16 Poetica e poesia in Benedetto Varchi. Note sulle lezioni aristoteliche degli anni Cinquanta Annalisa Andreoni (Pisa) 36 Michelangelo poeta e filosofo: un’‘invenzione’ varchiana? Frédérique Dubard de Gaillarbois (Paris) 47 Fra topica e prassi di committenza artistica: Benedetto Varchi e il modello antico del ‘consiglio al pittore’ Diletta Gamberini (München) 60 I componimenti toscani di Benedetto Varchi nelle Filze Rinuccini della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze: genesi, riuso, varietà Dario Brancato (Montréal) 71 Dal Beneficio di Cristo ai Sonetti. Parte prima: tracce di Spiritualismo nel canzoniere di Benedetto Varchi Selene Maria Vatteroni (Firenze) 90 2 I componimenti toscani di Benedetto Varchi nelle Filze Rinuccini della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze: genesi, riuso, varietà Dario Brancato (Montréal) 1. Il presente contributo si prefigge di passare in rassegna per la prima volta e nella sua globalità il materiale poetico in volgare di Benedetto Varchi conservato nelle Filze Rinuccini (= FR) della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, per le quali è in preparazione un inventario analitico dei materiali varchiani presenti nel fondo. In tal senso, si intende proseguire la via già intrapresa da due studiosi venuti a mancare di recente: Giuliano Tanturli, il quale già nel 2004 aveva messo in evidenza la centralità della collezione rinucciniana per venire a capo dello sviluppo ecdotico della produzione toscana del Varchi (TANTURLI 2004); e Silvano Ferrone, il cui lavoro preliminare sul Liber carminum, purtroppo rimasto in massima parte allo stadio di tesi dottorale, insiste sulla complicata trasmissione dei singoli testi, dai primi abbozzi alla redazione finale (FERRONE 1997; FERRONE 2003; VARCHI 1995; VARCHI 2003). Sulle tracce dei due filologi appena menzionati, quindi, si snoderà il contenuto di queste pagine, nel quale si darà conto innanzitutto della formazione e consistenza delle Filze Rinuccini, limitatamente alle carte varchiane; successivamente si traccerà, attraverso alcuni esempi, la traiettoria editoriale di alcuni componimenti, molti dei quali inseriti in un sistema di proposta e risposta con altri autori, soffermandosi sulla loro sistemazione in sillogi organiche destinate alla circolazione manoscritta e, in taluni casi, sul loro riuso in altre raccolte; infine verrà esaminata la rigogliosa varietà metrica dei versi conservati nelle filze, a ulteriore prova di come la cultura poetica del Varchi non fosse limitata a un’imitazione meccanica dei moduli petrarcheschi, ma si aprisse anche verso altre forme più tipicamente cinquecentesche, come il madrigale. I limiti tematici del contributo non consentono di ampliare il discorso a tutti gli scritti di Varchi che oggi si trovano nelle filze, ma gli esempi che saranno qui presentati serviranno da chiave per una migliore comprensione sia della vita di un singolo componimento, dalla sua creazione alla destinazione all’interno di una raccolta, sia della varietas di forme e interlocutori poetici, sia ancora del paradigma delle Filze Rinuccini come laboratorio di scrittura di Varchi. 2. In una “Notizia” del 1850, Luigi Passerini descriveva, non senza iperbole, l’avvenuta acquisizione da parte del governo granducale dell’imponente biblioteca della famiglia Rinuccini (PASSERINI 1850: 207). La preziosa collezione privata era nata da un nucleo di codici e documenti messi assieme da Vincenzio Borghini e passati alla morte di costui all’erudito giurista Baccio Valori (1535-1606). Filippo di Baccio accrebbe il patrimonio librario trasmettendolo alla figlia Virginia, sposa di Giovan Gualberto Guicciardini. La biblioteca fu poi divisa in due nel 1727, con l’estinzione della casa Guicciardini: una parte costituì la biblioteca Panciatichi, mentre l’altra andò alla figlia Maria Vittoria Guicciardini, moglie del marchese Carlo Rinuccini (MARACCHI BIAGIARELLI 1962: XV-XXI). L’ultimo discendente della famiglia Rinuccini, il marchese Pietro Francesco, morì nel 1848 senza eredi maschi. Il governo toscano, però, non riuscì ad acquisire l’intero patrimonio della collezione: Passerini, infatti, non mancava di notare che diversi pezzi erano rimasti nelle mani della famiglia Rinuccini, mentre alcuni codici già parte della collezione “erano stati venduti prima che al Governo fosse pervenuta notizia della intenzione degli eredi dei Rinuccini di alienare la libreria” (PASSERINI 1850: 209). Per di più, il patrimonio librario dei Rinuccini fu smembrato, come era solito accadere nel XIX secolo, e distribuito in diverse istituzioni fiorentine: i documenti d’archivio furono trasferiti all’Archivio di Stato, i codici più pregiati alla Biblioteca Laurenziana, mentre il resto andò ripartito fra le Biblioteca Magliabechiana e Palatina (FAVA 1939: 89-91). Un ultimo frazionamento della preziosa collezione avvenne con l’allocazione dei codici Rinuccini nel cosiddetto Fondo Nazionale (e non in un fondo distinto) dell’allora Magliabechiana; 1 al contrario, le 27 filze Il Fondo Nazionale era stato istituito dal bibliotecario Vincenzio Follini (1759-1836), arrivato alla Magliabechiana nel 1797 (FAVA 1939: 79-85). I codici di provenienza Rinuccini nel suddetto fondo sono: II.I.135, II.I.152, II.I.175-176, II.I.188, 1 Schriften des Italienzentrums der Freien Universität Berlin, Band 3 di documenti non organizzati furono sistemate in un fondo a parte (FERRONE 1997: 134-136). Le Filze Rinuccini non dispongono di un catalogo moderno, proprio per il caotico assetto del materiale, e sono pertanto un serbatoio ancora non adeguatamente esplorato per studiare da vicino il percorso culturale di tre grandi intellettuali e bibliofili del XVI secolo: Benedetto Varchi, Vincenzio Borghini e Baccio Valori, l’ultimo dei quali ancora in parte sconosciuto. 2 L’inventario sommario dattiloscritto presente nella Sala Manoscritti della Biblioteca Nazionale (Indice Rinuccini) è del tutto inadatto a dare precise informazioni agli studiosi sulla consistenza e sul contenuto delle singole filze e degli inserti che le compongono. Le fonti d’archivio tacciono sul perché alla morte del Varchi i suoi scritti, destinati nel lascito testamentario a Lorenzo Lenzi, passassero al Borghini e poi al Valori: si può presumere, seguendo l’ipotesi di Ferrone, che “Vincenzio Borghini sostituisse il Lenzi, in qualità di esecutore testamentario, e, in definitiva, come erede” (FERRONE 1997: 131-132). Una prima descrizione delle carte varchiane si trova negli ultimi fogli dell’ormai noto Inventario di libri del Varchi, alle cc. 331r-335r della Filza 11 (ANDREONI 2012: 78-79 e 151-152; BRANCATO 2017b: 47-48). Non è possibile neppure in questo caso datare con precisione l’allestimento del repertorio, ma indicare solo un arco cronologico che va dalla morte del Varchi (1565) al 1582, data di morte di uno dei copisti, Alessandro di Giampiero del Serra 3. Una prima organizzazione di manoscritti e carte in cui compare la disposizione già formata delle filze è il cosiddetto Indice de’ manoscritti del Borghini (Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Magl. X.59), redatto dal bibliotecario della libreria Panciatichiana, Antonmaria Biscioni (1674-1756). Un’ultima sistemazione è dovuta a Giuseppe Aiazzi (1800-1869), ultimo bibliotecario della Rinucciniana, il quale numerò le filze con cifre arabe in inchiostro rosso e le divise in inserti (FERRONE 1997: 134-135), alcuni dei quali, però, non sono giunti a noi, come il 9.21, 10.34, 11.42, ecc. Il principio alla base della distinzione fra manoscritti e filze nella collezione Rinuccini sembrerebbe essere, almeno per ciò che riguarda le opere varchiane, il criterio finito/non finito: fra i primi, infatti, furono incluse tutte le opere edite, come per esempio il volgarizzamento di Boezio, l’orazione in morte di Michelangelo, la commedia la Suocera, i Sonetti, ma anche il Liber carminum, i Sonetti contro gli Ugonotti, alcune lezioni e dialoghi; tale criterio tuttavia non è del tutto soddisfacente, in quanto fra le filze si trovano anche edizioncine compiute di cui si dirà più avanti, come gli autoepitafi, i sonetti per la guarigione di Cosimo, quelli in morte di Giovanni de’ Medici. Se in generale alcuni sondaggi, anche in profondità, del contenuto delle filze hanno rivelato interessanti sorprese (FERRONE 2003; VARCHI 2001; VARCHI 2003; ANDREONI 2012: 329-358; BRANCATO 2018b), si attende ancora uno studio dettagliato e puntuale di uno dei tanti progetti cui Varchi dovette attendere fino alla fine dei suoi giorni, quello cioè di un’edizione definitiva dei suoi componimenti poetici volgari. 4 II.I.198, II.I.219, II.II.154-155, II.II.192-231, II.II.276-278, II.III.200, II.V.130, II.V.139, II.VIII.120-129, II.VIII.130-146, II.X.6065, 66-141 (mss. Borghini). Il nucleo varchiano (sul quale cfr. SIEKIERA 2009: 340-341) si trova nei codd. II.VIII.134-146, II.VIII.134 (Boezio), II.VIII.135 (Orazione in morte di Michelangelo), II.VIII.136 (Lezioni), II.VIII.137 (Sonetti contro gli Ugonotti), II.VIII.138 (Liber carminum), II.VIII.139 (Dialogo di logica), II.VIII.140 (Cento sonetti in morte di Luca Martini), II.VIII.141 (Liber carminum), II.VIII.142 (Indice della libreria), II.VIII.143 (Canzoniere volgare), II.VIII.144-145 (La suocera, due copie), II.VIII.146 (Varie traduzzioni e componimenti). Un terzo nucleo di manoscritti è costituito da quelli appartenuti ad Antonio di Orazio da Sangallo (FAVA 1939: 92-93; sul Sangallo, si veda MARACCHI BIAGIARELLI 1957). 2 In particolate la Filza 27 (divisa in tre parti) contiene un ricco epistolario, ancora quasi del tutto inesplorato, del Valori (1535-1606). Su di lui, si vedano almeno WILLIAMS 1993: 209-223; LO RE 1998: 37-43. 3 Alessandro Giovangualberto Romolo di ser Giampiero di ser Giovanni del Serra (12 luglio 1542-sepolto il 21 aprile 1582) fu uno dei copisti e collaboratori più assidui del Varchi negli ultimi anni della sua vita. A lui infatti si rivolse Tommaso de’ Medici, tesoriere del duca Cosimo, il 19 dicembre 1565, allorché Varchi era in agonia, perché andasse a recuperare le carte della Storia fiorentina rimaste a Montevarchi (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato 221, c. 9r, lettera di Tommaso de’ Medici al Podestà di Montevarchi, datata 19 novembre [rectius: dicembre] 1565). Nell’Indice Rinuccini, la mano di del Serra compare a cc. 275r-280v, 289r-294v, 314r-318r, 332r-335r. 4 È dell’Aiazzi la notizia di “un ricordo di mano del Varchi”, nel quale “pare avesse idea di pubblicarli tutti insieme colla seguente indicazione e divisione: Ercolani, diretti al conte Cesare Ercolani; Antoniani, quelli scritti al cardinale Silvio Antoniano; Ugonotti, quelli contro gli eretici di tal nome; Martini, quelli in vita ed in morte di Luca Martini suo amico e protettore; Lenzi, quelli per monsignor Lorenzo Lenzi; Stufa, quelli per Giulio e Piero della Stufa; Battiferra o Lauri, quelli per Laura Battiferra, moglie di Bartolommeo Ammannati; Salviati, quelli per il cav. Lionardo Salviati, con i Corbinelli del Salviati stesso; dipoi seguono gli Amorosi, i Pastorali, gli Eroici, i Morali, ecc.” (AIAZZI 1841: XXXIII). 72 Schriften des Italienzentrums der Freien Universität Berlin, Band 3 3. Già Giuliano Tanturli aveva accennato alle numerose raccolte di sonetti delle Filze Rinuccini, ma con una prospettiva volta a studiare la genesi dell’edizione ‘gemellare’ di essi, le due parti, cioè, pubblicate nel 1555 e 1557 (t55 e t57; TANTURLI 2004: 45-46). 5 Egli aveva altresì segnalato un gruppo consistente di componimenti, in pulito, posteriore al 1557, “forse in vista d’una progettata ristampa”: si tratta dell’inserto 3 della Filza 3, cc. 71r-261v (che qui si denominerà A), nel quale si trova la raccolta più ampia di sonetti varchiani, copiati in pulito e disposti a due a due per ogni carta (TANTURLI 2004: 56). Benché in tale silloge si ravvisi l’ossatura di t55 e t57, mancano all’appello non pochi componimenti delle edizioni a stampa; 6 la maggior parte dei sonetti di A sono conservati in forma autografa nelle Filze 13 e 14. L’intuizione di Tanturli che A costituisca l’ultima redazione dei sonetti si può verificare riscontrando la lezione di questa con quelle di altri testimoni manoscritti e a stampa. Il primo dei due esempi che verrano dati qui di seguito consente di osservare l’intero percorso editoriale del sonetto Quanto mi spiace, Zoppio mio, che quella, indirizzato al bolognese Girolamo Zoppio senior (1516-1591) 7. Di esso non esiste una minuta autografa, ma è conservato in nove copie: A (c. 252r), R4.1 (c. 130r), R4.2 (c. 179v), R4.3 (c. 445r), R5.1 (c. 243v), R5.2 (c. 509v), R5.3 (c. 516r), R7 (c. 263v), R13 (c. 509v); analizzando la stratigrafia delle correzioni d’autore è possibile tracciarne le diverse fasi evolutive (a testo va la redazione finale di A; non si considereranno le copie di quest’ultima redazione: R4.2, R5.1, R5.2, R5.3, R7): 8 Quanto mi spiace, ZOPPIO mio, che quella bianca, soave e delicata mano del vago, alto, gentil e forte HERCOLANO, di cui non vede il sol cosa più bella, per valoroso ardir (come a sua stella piacque) languisca; e voi me, che lontano piango e sospiro e mi lamento in vano, non consolate ancor scrivendo d’ella, quasi a voi sol tra tutti ascoso sia che da quell’ostro e vivo avorio parte di mille ninfe la salute e mia. Quanto d’Apollo in lei, quanto di Marte l’honor s’offende, hor che fortuna ria romper lance le vieta e vergar carte? 5 10 VARCHI 1555a (prima parte) e VARCHI 1557 (seconda parte). La prima parte dei Sonetti uscì anche a Venezia, sempre nel 1555 (VARCHI 1555b), da Plinio Pietrasanta, nome dietro cui si celava Girolamo Ruscelli (BRAMANTI 2012; si veda anche ANDREONI 2012: 25-29). 6 Non figurano in A (ma in altre filze) i sonetti Donna, cui mai né forza né consiglio (VARCHI 1555a: c. P6r; FR 12, c. 180v), Lenzo, perch’io in loco alpestro ed hermo (VARCHI 1555a: c. K5r; FR 4, c. 167v), Lucio, che ’n questa ria fallace piaggia (VARCHI 1555a: c. I2r; FR 4, c. 145v) e Nape, questa vezzosa ornata gabbia (VARCHI 1555a: c. P1r; FR 12, c. 5r). Assenti del tutto nelle FR, invece, alcuni componimenti dedicati ad Annibal Caro (con relative risposte): Caro, che nella vostra dolce e acerba, e risposta Se l’honorata pianta, onde superba (VARCHI 1557: c. Aa2r); Voi, che per onde sì tranquille e liete, e risposta Quei rami, che cantando al ciel spandete (VARCHI 1557: c. Aa2v); Caro Annibal, né cervo mai né damma, e risposta Varchi, fra quanti Amor punge ed infiamma (VARCHI 1557: c. Aa3r); A saziar tutto a pieno il mio disio, e risposta Chi ne dipartirà, s’amor, ch’unio (VARCHI 1557: c. Aa3v); Vibra pur la tua sferza e mordi il ferro, e risposta Quel ch’io sapeva in voi regnare a pieno (VARCHI 1557: c. Aa4r). 7 Fu docente a Macerata (dove insegnò Logica) e poi a Bologna: si vedano RINALDI 2006; RINALDI 2008; PIETRUCCI 2015. 8 In questo e in tutti i testi che seguono si sono osservati i seguenti criteri editoriali: 1) distinzione fra u e v; 2) divisione delle parole secondo il criterio moderno; in particolare si univerbano le preposizioni articolate de i, co i, ecc., ma non quelle con raddoppiamento fonosintattico (a lo, a la); 3) scioglimento di tutte le abbreviazioni; 4) scioglimento del compendio & in ed solo se la parola successiva comincia per vocale, altrimenti si utilizza e; 5) modernizzazione delle maiuscole e della punteggiatura. In apparato, inoltre, si sono seguite queste convenzioni: il segno > indica la correzione; la sottolineatura indica una lezione depennata. Si adoperano infine le seguenti abbreviazioni: var. alt. = variante alternativa; int. sup. = interlinea superiore; int. inf. = interlinea inferiore; agg. int. = aggiunta in interlinea; agg. mg. = aggiunta sul margine. 5 73 Schriften des Italienzentrums der Freien Universität Berlin, Band 3 2. soave e] A, R4.3, R13; sì dolce e > soave e R4.1 | 3. forte] chiaro R4.1, R4.3, R13; chiaro > forte A | 9. tra] A, R4.1, R4.3; di > tra R13 | 10. che da quell’ostro e vivo avorio parte] R4.3; che dall’avorio e rose sue dipende R13; che ~ dipende > che ~ da quell’ostro e vivo avorio parte A, R4.1 | 12. di Marte] s’offende R4.3, R13; s’offende > di Marte A, R4.1 | 13. s’offende] di Marte R4.3, R13; di Marte > s’offende A, R4.1 La redazione più antica a oggi pervenuta, e che verrà chiamata α, si trova, copia in pulito autografa, in R13, mentre in due copie (R4.1 e A) si trovano, di mano del Varchi, la riscrittura del v. 10 e i ritocchi ai vv. 12-13 per far tornare le rime (la correzione di mano dell’autore al v. 2 di R4.1 “e sì dolce” > “soave e” si aggiunge a quella del copista sul margine sinistro, escludendo la possibilità di una redazione alternativa o anteriore ad α). Questa seconda redazione, che si definirà β, è copiata in pulito dallo stesso amanuense in R4.3; tuttavia, Messer Benedetto apporta in A la correzione al v. 3 “chiaro” > “forte”; e così il testo della terza e ultima redazione, γ, si trasmette agli altri cinque esemplari derivati da A. Il rapporto fra i vari testimoni, dunque, può rappresentarsi con il seguente schema: Il secondo esempio è il sonetto indirizzato ad Annibal Caro Caro, che con illustri e alteri danni: il componimento compare già nella sezione “Sonetti pastorali” di t55 (VARCHI 1555a: c. M2v) e apre la raccolta dei Componimenti pastorali editi postumi nel 1576 (s76) da Cesare Salvietti (VARCHI 1576: c. B1r). Quest’ultima edizione fu con ogni probabilità approntata sul ms. Ashburnham 1039 della Biblioteca Medicea Laurenziana (L), contenente correzioni d’autore e già analizzato da Giovanni Ferroni (FERRONI 2013: 57-58). Il testo di A è ritoccato da Varchi in due punti: al v. 1 (“e alteri” > “utili”) e al v. 10 (“seguirsi” > “ferirsi”). La prima correzione è accolta in L (c. 8r) e transita in s76, mentre l’altra si trova solamente in A. Il sonetto è il seguente (ancora una volta, si mette a testo lo stadio testuale più avanzato, A, c. 218r): CARO, che con illustri utili danni dispregiate egualmente argento ed oro, bramoso ricco d’un più bel tesoro, che non cura del mondo ire né ’nganni: questi miei rozzi pastorali affanni, d’oscuro e basso stil giovin lavoro, dono io a voi, che dar potete loro solo, e vorrete, onde non teman d’anni; e se fuor del cammin né dritto al segno che sol deve ferirsi andato io sono, fallir forse non fia di scusa indegno. Voi, c’havete al voler pari l’ingegno, con più dolce cantate e chiaro suono quel già d’Apollo ben mio diletto legno. 5 10 1. utili] alteri > utili A; utili L, s76 | 10. ferirsi] seguirsi > ferirsi A; seguirsi L, s76 74 Schriften des Italienzentrums der Freien Universität Berlin, Band 3 4. Da questi due esempi, e specialmente dal secondo, traspare chiaramente come il riuso di un componimento in contesti differenti (argomento che in queste pagine sarà affrontato più avanti) favorisce il proliferare di varianti: non si tratta di ciò che Gianfranco Contini definiva “diffrazione” (CONTINI 1977: 962), in quanto non ci si trova di fronte a banalizzazioni da parte del copista di una lectio difficilior, ma del frammentarsi della tradizione in seguito a una correzione d’autore. La stessa logica di genesi, evoluzione e riuso di un componimento si può apprezzare anche nei sonetti di scambio. La produzione poetica del Varchi, come è già stato ribadito in un recente studio di Vanni Bramanti, fu infatti caratterizzata da un’immensa mole di sonetti a proposta e risposta, un epistolario di versi accumulati nel tempo negli scambi con i suoi interlocutori e riciclati poi in tutte le sue raccolte poetiche (BRAMANTI 2016). Gli esempi che seguono danno ulteriore conferma di come Varchi intervenisse, anche radicalmente, nelle poesie a lui destinate. 9 La Filza 12, ad esempio, contiene numerosissimi fogli volanti, in alcuni casi accompagnati da vere e proprie lettere. Fra queste merita attenzione quella di uno dei futuri fondatori dell’Accademia della Crusca, Giovambattista Deti (1539-1607; SALVINI 1717: 277-280), il quale, in risposta ad un sonetto di Varchi (Sacro signor, di quel puro, innocente: FR 4, c. 346r; FR 15, c. 211v; VARCHI 1573: c. C1r), indirizzò al suo praeceptor il suo esordio da poeta (FR 12, cc. 20r-20v): Chi certo a chi di quore in ver si pente del suo fallir venia sempre concede, si degni donarvi quanto con fede humiliandosi ne supplica suo mente. Non può né potrà mai il penitente megliormente, credo, sperar merzede, dopo bramando esser del cielo herede, che per humil prieghera fedelmente. Quinci è che, da tale speranza mosso a vostra creanza di virtù piena, supplice dicontro inchinando il dosso, dimando prieghi per me, ch’al fin scosso d’ogni colpa, non incorra la pena ch’aspra merta l’impenitente ingrosso. 5 10 Ricevuti et lecti da me, Varchi prudentissimo, e vostri versi del qual presente tanto più sua humanità ringratio quanto di essi più indegno mi conosco, non fu punto alhora mio pensiero altra risposta darvi che a bocca poi gran merzé dirvi; ma tornato ad casa mi venne tentatione, in cambio di far colatione, provar quello che avanti mai provato havevo. Sono adunque li soprascritti mia versi e primi: circa de’ quali, sendo in tutto ignorante d’ogni regola et observantia che in ciò servare dovessi, mi studiai colla penna i vostri disegnare come il discepolo del suo maestro pictore la figura. Però vi piacerà, caro preceptor mio, havermi per scusato delli errori che in quelli commesso havessi admonendomi adpresso, ad ciò meglio possa la seconda volta disegnare, quando però mi risolva tale studio in mia vecchiezza prendere quale in gioventù ho per negligentia trapassato. Li bacio le mani. Giambatista Deti Canonico Varchi riscrisse il sonetto in questa foggia (ivi, c. 21r) 10 che così fu fissata nei Sonetti spirituali (VARCHI 1573: c. M1r): Colui ch’a chi di cuor nel ver si pente sempre del suo fallir venia concede, donar si degni a voi quanto con fede humilmente ne supplica tua mente. Non puote o potrà mai il penitente migliormente (credo io) sperar mercede, 5 Sulle ‘migliorie’ apporate da Varchi alle Rime e al Dialogo de infinità d’Amore di Tullia d’Aragona, si veda BAUSI 1993. Di mano di Varchi è solo l’ultimo verso e la rubrica, all’inizio, “Deti”, mentre si può individuare per i restanti 13 versi la scrittura di Piero della Stufa. Una copia del sonetto si trova in FR 4, c. 341r. 9 10 75 Schriften des Italienzentrums der Freien Universität Berlin, Band 3 dopo bramando esser del cielo herede, che per humil preghiera fedelmente. Quinci è ch’io, da tal speranza mosso, vostra creanza di virtù ripiena supplice prego humil quanto più posso, che per me preghi ch’alla fine scosso d’ogni ria colpa non incorra in pena, né sia da Dio fruire unqua rimosso. 10 In molti altri episodi meno palesi la mano di Varchi interveniva direttamente sui sonetti dei suoi interlocutori o per rivederne la punteggiatura, 11 o per riscriverne alcune parti. Rientra in quest’ultima categoria un componimento, anch’esso confluito nei Sonetti spirituali (VARCHI 1573: c. N4r), di Tommaso Berni, fratello del più famoso Francesco, nel quale ripercorre la conversione di quest’ultimo (FR 12, c. 30r; in apparato le lezioni ante correctionem): A volere schivar l’eterno scempio trovato havete voi, VARCHI, la via, abbandonando l’opinïon ria dietro del mio caro fratel l’essempio. Egli in sua gioventù, tratto dall’empio viver del mondo, per la torta via andò gran tempo; pur al fin s’invia a Dio servir nel suo sacrato tempio. Dalle profane alle sacre scritture volse la penna, e con ardente zelo visse, e lasciò queste carceri oscure. Così faccendo voi sarrete al cielo, dove vedrete lui tra l’alme pure pregar ch’el mio riscaldi e ’l vostro gielo. 5 10 2. Havete VARCHI trovato la via | 4. Et seguendo del mio Fratel l’exempio | 5. Egli] Lui | 7. Camminò tanto, che per Dio si ’nvia | 8. A servir poi al suo Sacrato Tempio | 11. Servendo a Dio, lasciò le carcer scure | 14. Pregate Dio che riscaldi il mio Gielo I singoli componimenti, dunque, benché scaturiti da un’occasione particolare o da uno scambio epistolare, potevano comunque circolare in una o più raccolte. Anche in questo caso si considereranno alcuni esempi: il sonetto di proposta a Giorgio Vasari Ben fu manca cornice e non mancino si trova autografo nella Filza 14, c. 186r e fu probabilmente scritto in due momenti in seguito alla scomparsa di Luca Martini; 12 la risposta del Vasari (Colpo non tagliò mai, dritto o mancino), assieme alla copia della proposta, è contenuta nella Filza 13 (c. 133r), ma il componimento fu poi inserito nella silloge delle poesie in morte dell’amico, prima in un gruppo più consistente di sonetti (FR 3, ins. 5, cc. 316-357, varie copie) e poi nella versione finale (FR 3, ins. 4, cc. 263bis-315, a c. 281v; copia nel ms. II.VIII.140, c. 62; cfr. VASARI 2012: 76-77). Il riuso del materiale poetico, infine, coinvolge anche i destinatari, come si può notare in alcuni versi indirizzati originariamente ad Antonio di Bona e poi, forse in seguito alla morte di costui (1558), a Silvio Antoniano,13 come per esempio Bona mio buon, cui non allice o ’nganna (FR 12, c. 215v, autografo; FR 5, c. 360r; FR 6, c. 168v; FR 7, c. 24r): “Bona” è corretto in “Silvio” in A (c. 226v) e reca la nuova lezione in altre tre copie (FR 4, c. 398r; FR 7, cc. 97r e 173r). 14 Seguendo una simile traiettoria, nel sonetto Caro e chiaro Lottin, chi crede vano (FR 5, cc. 11v, 112r, 130r, 141r; Fra questi, Varchi, io cognosco ben l’ingegno e l’arte (FR 12, c. 60r; VARCHI 1573: c. N2v; cfr. VASARI 2012: 78-79), nel quale sono riviste minuziosamente grafia (“cogniosco” > “cognosco”; “talor” > “talhor”, ecc.) e punteggiatura. 12 I vv. 9-14 sono infatti in una scrittura più piccola e condensata. 13 Antonio di Bona dovrebbe identificarsi con il ragusino Anton Bunić, colto latinista e docente di filosofia “in celeberrimis Italiae gymnasiis”, scomparso a soli 21 anni nel 1558 e di cui esiste una lapide funeraria nella Basilica di S. Antonio a Padova (GONZATI 1853: 191). Più celebre invece il cardinale Silvio Antoniano (1540-1603), per cui si rimanda a PRODI 1961 e PATRIZI 2010. 14 Analogamente, in Bona, io non so per qual cagion colei (autografo in FR 13, c. 479r), si ha la correzione Bona > Silvio in A (c. 246r) e la nuova lezione in FR 4, c. 399v; FR 7, cc. 98v e 174v. 11 76 Schriften des Italienzentrums der Freien Universität Berlin, Band 3 FR 7, cc. 186r, 206r, 225r, 230r, 235r), originariamente dedicato a Jacopo Aldobrandini col titolo Caro Aldobrandin mio, chi crede vano (redazione autografa in FR 14, c. 99r), Varchi corregge “Aldobrandin mio” in “e chiaro Lottin” (FR 4, c. 282v). 15 5. I numerosi quaderni che compongono le Filze Rinuccini non sono meri serbatoi di poesie, ma spesso riuniscono ‘edizioni’ già compiute: una di queste, gli autoepitafi a Silvano Razzi (FR 8, cc. 73-86) già pubblicati da Silvano Ferrone (FERRONE 2003), è addirittura provvista di una legatura in cartoncino grezzo; altre raccolte sono provviste di un frontespizio, come i componimenti per la guarigione di Cosimo I (FR 3, cc. 1-40). 16 Varchi produsse inoltre diverse poesie in morte di Giovanni e Garzia de’ Medici e di Eleonora di Toledo (scomparsi nel giro di pochi giorni nel 1562): tali versi furono trascritti inizialmente in FR 5, ins. 26 (cc. 147-211), copiati in FR 6, ins. 49 (cc. 353-480, in duplice copia), corredati da una lettera ad Antonio Montalvo, 17 e successivamente raccolti da Lodovico Domenichi e pubblicati, assieme ai versi di altri autori, per i tipi di Lorenzo Torrentino nel 1563 (Poesie toscane et latine; descrizione in FERRONE 1993: 171). Varchi continuò a limare queste ‘edizioni’ anche negli ultimi mesi della sua vita; anzi, in diverse circostanze e con grande imbarazzo per il filologo, fra i suoi scritti prevale il ‘non finito’: anche nel caso di copie destinate alla circolazione manoscritta, infatti, l’assetto dell’opera continuò a essere fluido, proprio a causa del costante lavorìo sul testo e del fatto che appunto il ‘contenitore-silloge poetica’ ben si prestava a continui aggiornamenti, riadattamenti e cambi di direzione. Può capitare quindi che una raccolta compiuta confluisca poi in un gruppo più ampio di poesie perdendo la propria specificità: si tratta della stessa dinamica, allargata a un corpus di testi, per cui un componimento d’occasione viene poi a costituire l’ordito di una raccolta poetica, come si è visto sopra per i sonetti di scambio. Una disamina più puntuale dei versi e dei nuclei narrativi all’interno delle rispettive unità codicologiche rivelerà senza dubbio insospettabili ascendenze testuali: per il momento, i nuptialia per Giulio de Nobili (1537-1612; DE BERNARDINIS 1990) e Francesca del Nero, qui pubblicati in appendice, sono il caso che meglio esemplifica il procedimento appena illustrato. Si tratta di sei componimenti, trascritti alle cc. 384r-389v nell’inserto 5 della Filza 3 (nella quale sono presenti soprattutto poesie di scambio in massima parte inedite). Allo stato attuale delle ricerche non è dato conoscere né la provenienza della del Nero (per quanto si possa sospettare che fosse imparentata col più famoso Francesco), né soprattutto la data delle nozze e, di conseguenza, della redazione delle poesie: si può solo avanzare l’ipotesi che esse non siano state scritte prima del 1557, partendo dal presupposto che i versi nell’inserto 5 di FR 3, proprio perché inediti, siano stati composti dopo la seconda parte dei Sonetti (1557). Delle sei poesie del gruppo, solo l’epitalamio Dal più sublime e più spazioso loco (FR 3, cc. 385r-387v) fu pubblicato in un’antologia di stanze curata da Agostino Ferentilli (FERENTILLI 1571: cc. H4v-G6r, a c. H6r); eppure tutti i componimenti hanno una coerenza testuale dimostrabile. I due madrigali che aprono la breve silloge (A voi, sposo novello e Mille dal terzo cielo honesti Amori) ed esprimono i voti d’amore agli sposi sono infatti tenuti insieme dall’incipit del primo e dall’explicit del secondo: “A voi, sposo novello, / a voi, novella sposa” e “A voi, buon GIULIO, a voi FRANCESCA bella!”; il terzo madrigale (L’alta dea, l’alto deo), invece, è un’invocazione a Venere ed Himeneo. L’epitalamio Dal più sublime e più spazioso loco mette in scena Giunone, la quale, scesa dal cielo in fattezze mortali, auspica un prospero futuro ai novelli sposi, allietato da “figli sì chiari, / che ’l bell’Arno al gran Tebro e ’l toscan sermo / con l’idioma greco andran di pari”. Tali stanze mantengono assieme l’intera raccolta: gli Amori che nel secondo madrigale scendono, “con mille faci ardenti / e mille in ogni man dardi pungenti”, ad augurare ogni bene agli sposi sono ricordati da Giunone: Non sono chiari i motivi di questa correzione: i versi fanno parte dei Sonetti contro gli Ugonotti (sui quali cfr. FERRONE 1993: 155, il quale li data al 1562) e probabilmente il cambio di destinatario potrebbe essere dovuto a motivi di opportunità politica, giacché Lottini, da poco riabilitato, era rientrato a Firenze proprio in quel tempo (TABACCHI 2006; e su Aldobrandini si veda FIRPO 1960). 16 A c. 1r si legge infatti “Sonetti di m. B.tto Varchi [agg. mg.: e d’alcuni altri nobili spirti] sopra l’infermità e guarigione dell’ill.mo ed ecc.mo s.re Cosimo Medici, duca di Fiorenza e di Siena”. I sonetti furono pubblicati da Domenico Moreni nel 1821 (VARCHI 1821), il quale però attinse al cod. Magl. VII.341 (Moreni scrive 143) dell’attuale Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze. 17 Su questo personaggio si veda DEL GRATTA 1996. 15 77 Schriften des Italienzentrums der Freien Universität Berlin, Band 3 “Né pure io sola da’ superni chori / per adornare il dì festo ed altero, / ma quanti ha ’l terzo ciel cortesi Amori, / son qui piovuti”. La dea poi pronuncia le parole da cui prenderà le mosse la “Canzone a ballo” Viva amore e odio mora, che segue l’epitalamio: “Viva Amor, viva Amor! Muoia odio e sdegno!”; e peraltro proprio in questi versi si fa esplicito riferimento alle stanze precedenti: “Voi havete udito tutti / quel che la gran Giuno ha detto”. Il dio Himeneo, infine, già invocato nel terzo madrigale, è evocato da Giunone una seconda volta e, quando i convitati alle nozze saranno andati via (la ballata si chiude con l’invito a lasciare soli gli sposi), si manifesterà da protagonista nelle ottave che chiuderanno la silloge, A voi, s’altra fu mai coppia felice (di questo componimento si ha anche una redazione autografa in FR 15, c. 47r): proprio egli confermerà ciò che aveva già anticipato Giunone, che in cielo, cioè, è stata decisa una prolifica discendenza per Giulio e Francesca. Da un punto di vista ecdotico, inoltre, è necessario notare come il testo pubblicato da Ferentilli non derivi direttamente da quello tràdito nelle filze: in quest’ultimo, infatti, si trova una correzione al v. 11, 4: “gora senz’acqua o mulin senza gora” > “sterile april senza Favonio e flora” non ripresa nella stampa: bisogna dedurre pertanto che l’epitalamio circolasse (da solo o assieme agli altri componimenti della silloge?) già prima dell’ultimo movimento testuale. 6. Un altro dato che balza agli occhi di chi consideri nel suo insieme le poesie toscane delle Filze Rinuccini è la ricca varietà di soluzioni metriche adottate da Varchi: se la forma da lui prediletta è senza dubbio il sonetto, altri tipi di metri e strofe sono disseminati nel corpus, in particolare in due interi inserti della Filza 15, l’80 e l’81. Nel primo dei due si trovano per lo più madrigali, oltre alle cosiddette Polizze della Befana, brevi componimenti cioè di due, tre o quattro versi (a rima AA, ABA, ABAB o ABBA), già pubblicati da Ferrone e Gazzarri (VARCHI 2001), e ad altri scritti che verranno analizzati più avanti. L’inserto 81 invece contiene le traduzioni dei Salmi, in cui Varchi, portando il suo sperimentalismo metrico alle estreme conseguenze nell’obiettivo di trovare un dettato capace di imitare i versi del testo latino di partenza, arriva ad anticipare esiti ottocenteschi nell’offrire strofe in cui si associano liberamente settenari ed endecasillabi non rimati (VARCHI in corso di stampa), per quanto non manchino fra i Salmi sistemi più tradizionali di ‘canzone-oda’ già visti nel Boezio (BRANCATO 2018c: 77-79 e 475-476). Esaminando più da vicino i diversi schemi metrici delle carte varchiane, è il madrigale, come si è detto sopra, la forma metrica più diffusa dopo il sonetto: se ne contano infatti 86, in massima parte nel già ricordato inserto 80 della Filza 15 (che non a caso fu intitolato da Aiazzi Madrigali, epigrammi, motti ed altre liriche edite ed inedite). In esso, degno di essere menzionato è un fascicoletto di 14 carte (in parte autografe o con correzioni d’autore) riempite di madrigali destinati per lo più a Isabella de’ Medici: una copia in pulito fu poi inclusa in un’edizioncina oggi alle cc. 92-107 del cod. II.VIII.146. 18 Un altro metro piuttosto diffuso nei materiali varchiani delle filze sono le stanze di ottave, usate per gli epitalami già esaminati Dal più sublime e più spazioso loco e A voi, s’altra fu mai coppia felice, e per un altro, Ben puonno hor Flora e la famosa Alfea. 19 Unico nel panorama dei componimenti a proposta e risposta è lo scambio di strambotti fra Varchi e una non meglio identificata Gostanza Aurelia (Donna, che di costanza all’età nostra e Varchi gentil, che con la Musa vostra, entrambi in FR 5, c. 589v; cfr. BRANCATO 2017a: 37); così come rari, al di fuori delle Polizze, sono i versi sentenziosi come le ottave gnomiche in FR 6 (cc. 31r33r, due ottave per carta). 20 Sporadici, ma non banali, saggi varchiani in altri metri si trovano nelle sestine Chi pensò mai che di sì dolce vita (composta in morte di Giovanni de’ Medici: FR 15, cc. 44r-44v e 51r-52r; FR 5, cc. 166v-167v; Poesie toscane et latine: cc. C8v-D1r), e Tanto deve ognhor più pianger la terra (autografa in Se ne veda la descrizione in BRANCATO 2017a: 35-39. Occorre precisare che tali carte costituivano originariamente un’unità codicologica a sé stante e che solo in un secondo momento furono legate al resto del manoscritto. 19 “Ben puonno hor Flora e la famosa Alfea, / che del buon Cosmo il gran figlio governa, / ergersi liete al ciel, poi che la dea / d’Amor con casto nodo e pace eterna / hoggi l’avvince; e voi, che Citerea / vincete, in lui, che ’n voi tutto s’interna, / internatevi, sì che mille Cini / e mille Almenie ammiri il mondo e ’nchini” (FR 13, c. 78v). 20 Eccone i titoli e gli incipit: La Speranza (“Anzi se non fuss’io, tutto sarebbe”), La Fede (“Benché negletto, anzi del tutto sia”), A la Fortuna (“Di te, che senza legge e senza freno”), Ad Amore (“Ogn’estrema miseria, ogni alto errore”), La Fortuna (“Quanto v’inganna, o miseri mortali”), Amore (“Stolti, io non negarò che quel furore”), A la Speranza (“Speme, che gli occhi nostri veli e fasci”), Alla Fede (“Quanto debbono, oimè, tutte le genti”), A la Fama (“A te, vana, fallace, ingorda brama”), La Fama (“Quel che non volle e non poteo natura”). 18 78 Schriften des Italienzentrums der Freien Universität Berlin, Band 3 FR 15, cc. 55r-56r); nelle stanze in sesta rima Mentre col ferro il casto petto fere (FR 8, c. 115v) e Mentre io mirava fiso l’aurora (autografa in FR 13, c. 334v); e nella traduzione dell’idillio pseudoteocriteo Morte d’Adone, autografo con correzioni (inc.: “Poscia che’n terra steso”; FR 15, cc. 57r-57v; POGGIALI 1812: 91-93; cfr. BRANCATO 2017a: 25 e 36), canzone di sette strofe con schema aBBcACA. Non mancano i capitoli in terza rima: l’elegia Hor che nei giorni e più freddi e più foschi, dedicata a Paolo Giordano Orsini (FR 14, minuta alle cc. 233r-235v e copia in pulito autografa alle cc. 236r-239r; edita in VARCHI 1837: 9-14) e la “Mascherata di Zinghane e Zinghani” Donne belle e cortesi, in cui natura (FR 6, c. 313r). Casi isolati, non più che un esperimento, sono un’altra “Mascherata d'amanti cortesi” Donne, caste più d’altre e più gentili di cinque distici a rima baciata (FR 6, cc. 314r); la stanza di sei versi a rima alternata Tre carmi tutto d’ogni gioia colmo (autografa in FR 14, c. 167); la già ricordata ballata Viva amore e odio mora, unico esempio conosciuto in cui Varchi utilizza non solo questo schema metrico, ma anche il verso ottonario; e la traduzione di due versi di Tibullo (I, 1.5-6: “Me mea paupertas vita traducat inerti, / Dum meus exiguo 21 luceat igne focus”): Me la mia povertà con vita priva d’ogni cura e pensier conduca al fine, pur c’habbia solo ond’io mi scaldi e viva. (FR 8, c. 117v) Fanno caso a parte i due componimenti in sciolti 22. Il primo, in endecasillabi con a chiosa un distico in rima baciata, traduce un’epigrafe in distici elegiaci che si trova a Pisa al di sopra della porta della chiesa di S. Maria dei conti Galletti (Lungarno Pacinotti), ma che originariamente era sita in prossimità della Porta Aurea, da cui si accedeva alla città risalendo l’Arno dal mare. L’epigrafe celebra la vittoria pisana contro gli Arabi nel 1113-1115 (BOTTAZZI 2012: 278-282; iscrizione pubblicata a p. 279): Civibus egregiis haec aurea porta vocatur in qua sic dictat nobilitatis honor; hanc urbem decus imperii generale putetis, quae fera pravorum colla ferire solet. Maioris Baleae rabies erat improba multum; illa quid haec possit posset victaque sensit Ebus. Annis mille decem centum cum quinque peractis ex quo concepit Virgo Maria Deum, Pisanus populus victor prostravit utramque, hisque facit strages ingeminata fidem. Diligite iustitiam qui iudicatis terram. 5 10 La traduzione di Varchi, commissionata dal duca Cosimo, fu riportata per intero da Raffaello Roncioni (15531618) nelle sue Istorie pisane pubblicate nel 1844 (RONCIONI 1844: 217); tuttavia la lezione autografa in FR 13, c. 428r differisce lievemente da quella a stampa: 23 In questa che Porta Aurea s’appella e s’apre a’ valorosi cittadini così l’honor di nobiltate detta; esser questa città pensate pure dell’imperio la gloria generale, che i colli empii de’ rei punendo taglia. Era Maiorca più rabbiosa e fera che fosse mai; e pur battuta e vinta con Ebusa sentìo di Pisa l’armi. Nel mille cinquecento [sic] dieci e cinque, poi che Colei che fu vergine e madre ne diede il Re dell’universo al mondo, il popolo pisan l’una e l’altra isola 5 10 Il testo critico ha adsiduo. Sulla pratica del verso sciolto e sulla riflessione su tale forma metrica si veda BRANCATO 2017a: 23-27. 23 In particolare il v. 1, che recita “In questa che s’appella Porta d’Oro”, cioè una lezione più antica e poi propagatasi nelle copie di FR 13: FR 6, c. 129r e FR 8, c. 193r. 21 22 79 Schriften des Italienzentrums der Freien Universität Berlin, Band 3 gittò per terra vincitore, e larga fede la rotta raddoppiata fanne. Sopra ogni cosa la ragione amate voi che ’l mondo e le genti giudicate. 15 Non è possibile datare con certezza il componimento, nella cui committenza non è comunque difficile immaginare un’opera di mediazione di Luca Martini, il quale, come è noto, ricopriva a Pisa gli incarichi di provveditore dei Fossi, delle Galere e delle Fortezze. Di questa traduzione è singolare l’uso dello sciolto per rendere i distici elegiaci, mentre il verse libre era riservato all’esametro; è invece normale trovare una rima per tradurre un’epigrafe, in questo caso il versetto biblico (Sapienza I.1) ripreso da Dante (Pd XVIII 91-93). Rarissimo in tutta la versificazione varchiana è invece un componimento di 40 versi settenari sciolti, 24 scandito in una Ballata e una Contraballata (FR 15, c. 48r-v = R) la cui redazione autografa in pulito si trova a c. 178r-v del codice II.I.397 (= N) della Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze e verrà qui trascritta: 25 Ballata Erto, hermo, ombroso e sacro monte, superbo e lieto, che con l’acuta fronte, cipressi, abeti e pini, dritta, ritonda e verde, non pur Fiesole bello e ’l Morello alto adegui, ma vinci Olimpo e Pindo; mentre la vaga Flora tra l’uno e l’altro sempre tutto gioioso e baldo fiso da lunge miri; e tu, Garza, e tu, Sèvere, a me più dolci e cari che ’l gran Cefiso e ’l Tebro ch’a lui vicin correte, tu dal meriggio e quelli, donde cruccioso e fero per nevosi alpi e selve soffia Aquilone e stride. 5 10 15 20 Contraballata E voi, più d’altri mai lucidi, freschi e snelli rivi, ruscelli e fonti, che mormorando intorno tra verdi prati e colli, per mezzo i fiori e l’herbe coi pinti aügelli dolce armonia rendete; né men voi, folti e vari boschi, di mille adorni ombre soavi e chete, antri riposti e fidi da cantar rime e versi, quai né Tessaglia ancora non hebbe, o Cipri o Gnido, intentamente udite quel’ch’io d’alta pietate, 24 25 25 30 35 A oggi si conosce solamente O santa schiera amica, pubblicato in TOMASI 2013: 194-195. Va a testo la lezione di N, in apparato i movimenti testuali della redazione di FR 15. 80 Schriften des Italienzentrums der Freien Universität Berlin, Band 3 di valoroso sdegno, d’amore acceso e d’ira tra voi sospiro e canto. 40 1. Altero e sacro monte; var. alt. Erto, hermo, ombroso e [chiaro > sacro] | 2. lieto] lieto > chiaro > lieto | 5. ritonda] fronzuta; var. alt. int. sup. fiorita; int. inf. solinga / ritonda | 8. Si trova dopo il v. 12 | 10. sempre] miri > sempre | 11. Agg. mg. destro | 12. la notte e ’l giorno [lezione illeggibile > ’ntento; var. alt. fiso]; var. alt. int. sup. fiso da lunge miri; int. inf. sì di lontan vagheggi | 17. tu] L’un; var. alt. Quei | quelli] l’altro; var. alt. Questi | 18. cruccioso] turbato; var. alt. cruccioso | 19. Per le contrade nostre | 21. più d’altri mai] sì chiari e freschi > tanti e contenti; var. alt. più d’altri mai | 22. lucidi] limpidi > lucidi R | Dopo il v. 28. E gentili aure a pruova | 32. antri] Luoghi | 33. rime e versi] versi e rime | 37. d’alta pietate] di sommo amore > d’alta pietade | 38-39. Acceso e d’alto sdegno [var. alt. da grave sdegno spinto] / Tra voi sospiro e canto; var. alt. int. inf. Di valoroso sdegno / D’amore acceso e d’ira Si tratta senza dubbio di uno dei primissimi esperimenti lirici di Varchi: non solamente per la forma metrica, ma soprattutto per il fatto che il materiale si ritrova, rielaborato e con un finale diverso, in uno dei sonetti pubblicati poi nell’edizione del 1555 (VARCHI 1555a: c. B1r e I7r). La voce che accorata si rivolge al monte Senario (e ai fiumi e alle valli che esso guarda) non è più quella del giovane amante “d’amore acceso e d’ira”, ma quella, mesta e nostalgica, di chi è tornato “dopo tanti anni” a ricordare l’amato Lorenzo Lenzi: Sacro, superbo, erto, hermo, ombroso monte che tra ’l Sieve e la Garza altero siedi, e d’ognintorno più d’ogn’altro vedi, di mille abeti e pin cinto la fronte; vivo, vago, gentil, lucido fonte, ch’orma non toccò mai di mortai piedi; rio, che ’l bel colle mormorando fiedi, colle chiare acque tue gradite e conte; valle, che ’n mezzo di fronzuti poggi, di verdissimi prati e d’onde piena un tempo fuste al mio gran Lauro albergo: vivano eterne queste rime, c’hoggi, dopo tanti anni a voi tornato, vergo in questo tronco, ch’a ben far mi mena. 5 10 Le migliaia di poesie toscane delle Filze Rinuccini costituiscono il paradigma della prassi versificatoria varchiana: d’occasione, dialogica, adatta al riuso e alla destinazione molteplice, aperta alla sperimentazione metrica. La frammentazione del testo nei rivoli delle diverse tradizioni manoscritte è dovuta alla costante ricerca di nuove narrazioni, nuove forme macrotestuali entro le quali i vari componimenti si dispongono come tessere di mosaico. Organizzare il materiale poetico delle Filze Rinuccini significa anche fare i conti con la sua magmaticità ed eterogeneità cronologica, di forme e di contenuti: per tale motivo si ritiene che un inventario digitale, corredato di riproduzioni, possa servire sia per navigare con minori remore nel mare magnum di tale collezione, sia per preparare il terreno a un’eventuale edizione dei versi toscani del Varchi, sia infine per comprenderne appieno il metodo di lavoro. Esso trova precise corrispondenze anche nella Storia fiorentina, altra opera di cui possiamo osservare lo sviluppo testuale e nella quale i singoli episodi vengono risistemati a seconda di criteri estetici o pratici (BRANCATO 2018a). Non a caso entrambe le opere sono caratterizzate dalla natura di ‘non finito’ che ne ha favorito la circolazione di spezzoni più o meno consistenti. Come per la Storia, dunque, le nuove strategie digitali possono porre rimedio a un problema ecdotico così complesso, e da qui, dunque, dovrà prendere le mosse l’editore delle rime del Varchi. 81 Schriften des Italienzentrums der Freien Universität Berlin, Band 3 Appendice Nuptialia per Giulio de Nobili e Francesca del Nero (Firenze, Biblioteca Nazionale Centrale, Filze Rinuccini 3, cc. 384r-389v = R) 26 I [Madrigale; schema metrico: abABcAC] “A voi, sposo novello, a voi, novella sposa, l’età vostra e beltà fugge qual rosa!” dice Himeneo e Citerea con ello. Rendete tosto a’ nostri giorni (ch’ancor fia questo secol bello) i chiari padri e gl’alti avoli vostri. 5 II [Madrigale; schema metrico: AbBACDCD] Mille dal terzo cielo honesti Amori con mille faci ardenti e mille in ogni man dardi pungenti scendér dolce ridendo in lieti chori là ’ve han le Grazie il lor nido natio; stava l’altr’hier Flora mirando, e ’n quella quindi e quindi sonar l’Arno s’udio: “A voi, buon GIULIO, a voi FRANCESCA bella!”. 5 III [Madrigale; schema metrico: aabbBBAACC] L’alta dea, l’alto deo, Venere ed Himeneo, l’alto dio, l’alta dea, Himene e Citerea: chiama, sposa gentil, chiama la dea Vener; Vener deh vien, vien Citerea! Chiama sposo gentil, chiama lo deo Himene; Himen deh vien, vieni Himeneo! Ecco, sposa, la dea; sposo, ecco il dio: Cantiam Venere, ìo; Himeneo, ìo! 5 10 IV [Schema metrico: 12 stanze di ottave] GIUNONE 1. Dal più sublime e più spazioso loco, ond’han lor moto i cieli e gl’elementi, ch’è tutto ardente e rutilante foco, perch’Olimpo il chiamar l’antiche genti, L’apparato del componimento IV reca le correzioni in R e le varianti dell’edizione FERENTILLI 1571 (f71); in quello del componimento VI, invece, si registrano le correzioni nella versione autografa di FR 15, c. 47r. 26 82 Schriften des Italienzentrums der Freien Universität Berlin, Band 3 ove sempre ridendo in festa e ’n gioco, godeno il sommo ben l’eterne menti, qual mi scorgete e come Amor m’informa, son qui discesa in mortal vista e forma. 2. Senza mai batter ali o muover piante a voi, sposo novello, a voi, novella sposa, venuta son, del gran Tonante mio marito e fratel, moglie e sorella, per arrecarvi come soprastante ai gioghi marital dolce novella, e dirne a questa amica, ornata schiera quel ch’è in ciel fermo e qui di voi si spera. 3. In più soavi e più felici modi, più leggiadre alme e più concordi insieme, con più bei lacci e con più forti nodi mai non strinse desio, né legò speme, come talhor con saldi, acuti chiodi martello asse con asse aggiugne e preme: tal con dorati strali ambo voi punse e l’un con l’altro Amor pudico aggiunse. 4. Onde quaggiù si spera e ’n cielo è fermo dover nascer di voi figli sì chiari, che ’l bell’Arno al gran Tebro e ’l toscan sermo con l’idïoma greco andran di pari: già par che ’l lume lor vivace e fermo l’incolta oscura etate orni e rischiari; già co’ be’ nomi de’ buon padri vostri in lor effigie e ’l gran valor si mostri. 5. Né pure io sola da’ superni chori per adornare il dì festo ed altero, ma quanti ha ’l terzo ciel cortesi Amori, son qui piovuti; e s’è ver quel ch’è vero, tosto verranno a gradir gli alti honori di voi, coppia gentil, NOBILI e NERO, tratti dal canto del novello Orfeo, VENERE bella e ’l formoso HIMENEO. 6. VENERE bella e ’l formoso HIMENEO per aggradire i vostri lieti honori, dal canto tratti del toscano Orfeo, coronati verran d’herbe e di fiori; ed io, cui sì gelosa un tempo feo Giove, scambiando ognhor novelli amori, vi prometto, e ’l farò tornata in cielo, che non cangiate amor, cangiando il pelo. 7. E di ver nulla può, mentre mortali sete, che dritto Amor beati farve, anzi può dritto Amor farvi immortali, ne’ figliuo’ vostri e vita eterna darve: dunque, buon GIULIO, hor che raddoppia l’ali il tempo ch’ognhor più veloce sparve, e voi, bella FRANCESCA, date altrui 5 5 5 5 5 5 5 83 Schriften des Italienzentrums der Freien Universität Berlin, Band 3 quel ch’altri dier cortesemente a vui. 8. Hor mi rivolgo lietamente a voi, schiera più ch’altra mai gradita e chiara, che l’antico valor de’ prischi heroi tutto a Flora rendete, ond’hoggi impara quante fur mai virtuti o prima o poi, la vile età che fia tosto sì cara: e v’affermo di nuovo ch’esser deve tutto quel ch’io v’ho detto in tempo breve. 5 9. Ma non già breve tempo dureranno l’alte felicità, che ’l sommo Giove e i merti vostri apparecchiate v’hanno, che ne mostrate ogn’hor prodezze nuove; anzi di tempo in tempo cresceranno 5 fra l’altre tante sopra humane pruove del magnanimo, invitto Duce vostro, che quanto havemo in ciel n’ha in terra mostro. 10. Tal ch’è ben dritto e veramente degno che negli occhi e nel viso alcun mostriate e colle voci ancor non dubbio segno di quella gioia ch’entro al cor portate: viva Amor, viva Amor! Muoia odio e sdegno! Amate Amor, se viver lieti amate: che chi non ama il santo Amor pudico vive inutile al mondo a sé nemico. 11. A voi, che come il cielo ornan le stelle, ornate il mondo, il qual senza voi fora, saggie donne, cortesi, honeste e belle, sterile april senza Favonio e flora, ricordo sol che le caste facelle del coniugal Amor più d’hora in hora serbiate accese, onde a me lassù gloria s’avanzi e sia di voi quaggiù memoria. 12. Se voi potete far che sempre cresca con vostra eterna fama il nome mio, però tornando a voi, bella FRANCESCA, cui sposo ha dato il ciel tanto GIULÌO, ricordivi che ’l fior dell’età fresca fa come stral che di buon arco uscio. Ma per dar luogo a quei che presti vedo, cantar qui taccio, e prendo omai congedo. 5 5 5 11, 4. gora senza acqua o mulin senza gora > sterile april senza Favonio e flora R; gora ~ gora f71 | 12, 4. tanto] santo f71 V. Canzone a ballo [Ballata di ottonari; schema metrico: xyyx (ripresa) abbx, 9 strofe] Viva Amore e odio mora, odio mora e viva Amore, chi non ha piagato il core 84 Schriften des Italienzentrums der Freien Universität Berlin, Band 3 vada altrove a far dimora. Voi havete udito tutti quel che la gran Giuno ha detto, chi non ha ferito il petto d’esto ballo escasi fora. Ma chi ha nel manco lato dardo che ’l trafigga o foco che l’incenda, in questo loco come pesce in mar dimora. Nessun parte: dunque ognuno ha ’l suo fianco o arso o roso; godi sposa, godi sposo, ch’ognun vosco s’innamora. E ben ha ciascun cagione d’honorar coppia sì degna: qual mortal fia che non vegna se gli dii vengono ancora? Questo è ’l giorno altero e lieto dedicato a riso e gioia: viva Amore e odio muoia se non è morto a questa hora. Facciam festa e giulleria, ognun balli e ognun canti, su amanze, su amanti, su ballate e cantate hora. Festa, gioia e allegrezza, allegrezza, gioia e festa, questo dì nell’alme desta, ch’amorosa spese accora. Ma tempo è dar loco omai a lo sposo e a la sposa, cor d’amante mai non posa, egli par mille anni ognhora. Partiam dunque, e lasciam loro, come son, lieti e felici: partiam, dolci e cari amici, lo star qui scortesia fora. 5 10 15 20 25 30 35 40 32. speme] spese R VI. [Schema metrico: 3 stanze di ottave] HIMENEO 1. A voi, s’altra fu mai coppia felice, GIULIO e FRANCESCA, lieto Himeneo vegno, senza ’l quale mogli no, ma solo amice fa le femmine a’ maschii amor non degno. A me solo è concesso, a me sol lice, di quanti sono dei nel sommo regno, con casti lacci eterni in poco d’hora non pur ’ corpi unir, ma l’alme ancora. 5 2. Solo io, io solo, e nessuno altro i patti puote fermar, che già per voi tra loro 85 Schriften des Italienzentrums der Freien Universität Berlin, Band 3 i cari vostri genitori han fatti che ’ntenti sempre a contentarvi foro, ed io per confermargli in detti e ’n fatti son qui disceso dal celeste coro; egli confermo hor tutti a voi dinanzi come anzi a Giove gli confermar dianzi. 3. E v’annunzio di più che tosto havrete dell’un sesso e dell’altro altera prole, onde pria figli e poi nascer vedrete nipoti chiari ovunque splenda il sole, perché lieti gioir sempre devete, FRANCESCA e GIULIO, di tai grazie sole; e ringraziar devoti ognhor con tutto lo cor Colui che fece e regge il tutto. 5 5 1, 2. GIULIO] Cari GIULIO | lieto] agg. int. | 2, 3. cari] chiari > cari | 4. ’ntenti] intenti | 3, 4. ovunque] ovunche | 6. Coppia real di nostre grazie sole > agg. interl. Francesca ~ sole | 8. lo cor] il > lo cor 86 Schriften des Italienzentrums der Freien Universität Berlin, Band 3 Bibliografia AIAZZI, Giuseppe: “Catalogo delle opere di Benedetto Varchi che si conservano mss. nella Rinucciniana”, in: Giuseppe AIAZZI/Lelio ARBIB, (Hgg.): Lezioni sul Dante e prose varie di Benedetto Varchi, la maggior parte inedite, tratte ora in luce dagli originali della Biblioteca Rinucciniana, Bd. 1, Firenze 1841, XXXII-XXXVII. ANDREONI, Annalisa: La via della dottrina. Le lezioni accademiche di Benedetto Varchi, Pisa 2012. BAUSI, Francesco: “‘Con agra zampogna’. Tullia d’Aragona a Firenze (1545-48)”, in: Schede umanistiche n.s. 2 (1993) 61-91. BOTTAZZI, Marialuisa: “Città e scrittura epigrafica”, in: Miriam DAVIDE, (Hg.): Identità cittadine e aggregazioni sociali in Italia, secoli XI-XV. Atti del Convegno di studio (Trieste, 28-30 giugno 2010), Trieste 2012, 275302. 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