Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale
Dipartimento di Scienze Umane, Sociali e della Salute
Scuola di Dottorato di Area Umanistica
DOTTORATO DI RICERCA IN
TEORIA E STORIA DEI PROCESSI FORMATIVI
XXVIII CICLO
TESI DI DOTTORATO
Indirizzo: Psicologia della Creatività Artistica,
Comunicazione ed Orientamento
SSD: M-PSI/01
ARTE MEDIANICA:
UNA NUOVA IPOTESI DI RICERCA
Coordinatore:
Candidato:
Ch.mo Prof. Rosella Tomassoni
Dott. Giuseppe Galetta
Anno Accademico 2014/2015
1|P a g.
A Francesca, il grande amore della mia vita,
alle nostre figlie Federica, Fabiana ed Eliana,
e a due persone molto importanti, Elda e Lino.
Che il tempo renda ragione dei nostri sacrifici.
Per Aspera ad Astra…
2|P a g.
INDICE
PARTE I:
INQUADRAMENTO TEORICO
INTRODUZIONE ________________________________________ pag. 8
CAPITOLO PRIMO:
L’OGGETTO DELLA RICERCA ___________________________ pag. 12
1.1 Che cos’è l’arte medianica ______________________________ pag. 12
1.2 Le caratteristiche dell’arte medianica ______________________ pag. 22
1.3 Tecniche e stili di psicopittografia ________________________ pag. 28
CAPITOLO SECONDO:
IL QUADRO TEORICO ATTUALE _________________________ pag. 34
2.1 L’ipotesi parapsicologica o metapsichica ___________________ pag. 34
2.2 L’ipotesi psicoantropologica o etnopsichiatrica ______________ pag. 42
2.3 L’ipotesi psicoanalitica _________________________________ pag. 61
2.4 L’ipotesi psicopatologica o neuropsichiatrica _______________ pag. 69
2.5 L’ipotesi psicobiochimica ______________________________ pag. 81
PARTE II:
LA RICERCA
CAPITOLO TERZO:
OBIETTIVO E METODO DELLA RICERCA _________________ pag. 86
3.1 Obiettivo della ricerca: una nuova ipotesi interpretativa _______ pag. 86
3.2 Metodo di ricerca: un approccio qualitativo multidisciplinare __ pag. 93
3.3 Fonti di dati e materiali di studio _________________________ pag. 97
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CAPITOLO QUARTO:
I CASI DI STUDIO _____________________________________ pag. 103
4.1 I casi italiani _______________________________________ pag. 103
4.1.1 Gustavo Adolfo Rol _________________________________ pag. 103
4.1.2 Narciso Bressanello _________________________________ pag. 104
4.1.3 Giuseppe Lanzillo __________________________________ pag. 106
4.1.4 Iris Canti _________________________________________ pag. 109
4.1.5 Liena ____________________________________________ pag. 111
4.1.6 Milly Canavero Serra _______________________________ pag. 112
4.1.7 Giovanna Bergamini ________________________________ pag. 113
4.1.8 Luisa Giovannini ___________________________________ pag. 115
4.1.9 Evelyne Disseau ___________________________________ pag. 117
4.2 I casi francesi _______________________________________ pag. 119
4.2.1 Victorien Sardou ___________________________________ pag. 119
4.2.2 Léon Petitjean _____________________________________ pag. 120
4.2.3 Fleury-Joseph Crépin________________________________ pag. 120
4.2.4 Augustin Lesage ___________________________________ pag. 122
4.2.5 Marguérite Burnat-Provins ___________________________ pag. 124
4.2.6 Laure Pigeon ______________________________________ pag. 125
4.2.7 Victor Simon ______________________________________ pag. 127
4.2.8 Raphaël Lonné (Le Facteur) __________________________ pag. 128
4.3 I casi tedeschi ______________________________________ pag. 131
4.3.1 Heinrich Nüsslein __________________________________ pag. 131
4.3.2 Margarethe Held ___________________________________ pag. 133
4.3.3 Clara Schuff _______________________________________ pag. 135
4.3.4 Victor Emanuel Bickel (Faroxis)_______________________ pag. 136
4.3.5 Gertrud Emde _____________________________________ pag. 139
4.3.6 Salomé Pinx _______________________________________ pag. 140
4.3.7 Heita Coponi ______________________________________ pag. 143
4.4 I casi britannici _____________________________________ pag. 145
4.4.1 Elizabeth Hope (Madame d’Espérance) _________________ pag. 145
4|P a g.
4.4.2 Coral Polge _______________________________________ pag. 145
4.4.3 Matthew Manning __________________________________ pag. 147
4.5 Il caso svizzero _____________________________________ pag. 153
4.5.1 Emma Kunz _______________________________________ pag. 153
4.6 Il caso spagnolo _____________________________________ pag. 155
4.6.1 Marcelo Modrego __________________________________ pag. 155
4.7 Il caso polacco ______________________________________ pag. 156
4.7.1 Marjan Gruzewski __________________________________ pag. 156
4.8 Il caso cecoslovacco__________________________________ pag. 158
4.8.1 Fritzi Libora Reif ___________________________________ pag. 158
4.9 Il caso giapponese ___________________________________ pag. 159
4.9.1 Takeshi Mochizuki _________________________________ pag. 159
4.10 I casi indiani ______________________________________ pag. 161
4.10.1 Sri Chinmoy ______________________________________ pag. 161
4.10.2 Narayana K. N. Murthy (MaNaNi) ____________________ pag. 163
4.11 I casi brasiliani ____________________________________ pag. 165
4.11.1 Luiz Antonio Alencastro Gasparetto ___________________ pag. 165
4.11.2 José Jacques Andrade ______________________________ pag. 169
4.11.3 Florêncio Reverendo Anton Neto _____________________ pag. 176
CAPITOLO QUINTO:
LE OPERE D’ARTE ____________________________________ pag. 180
5.1 Tra originalità ed imitazione ___________________________ pag. 180
CAPITOLO SESTO:
RISULTATI E DISCUSSIONE ____________________________ pag. 204
6.1 L’ipotesi neuroscientifica: il coinvolgimento dei neuroni specchio_ pag. 204
6.2 L’esistenza della “memoria estetica” _____________________ pag. 213
6.3 La teoria degli stati modificati di coscienza ________________ pag. 221
6.4 L’attivazione degli automatismi creativi __________________ pag. 229
6.5 La criptomnesia _____________________________________ pag. 239
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CAPITOLO SETTIMO:
CONCLUSIONI ________________________________________ pag. 245
7.1 Verso una neurobiologia degli automatismi creativi _________ pag. 245
7.2 Riepilogo dei risultati raggiunti _________________________ pag. 263
RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI ________________________ pag. 267
RIFERIMENTI SITOGRAFICI __________________________ pag. 313
INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI _______________________ pag. 315
RINGRAZIAMENTI E RICONOSCIMENTI _______________ pag. 318
6|P a g.
PARTE I:
INQUADRAMENTO TEORICO
7|P a g.
INTRODUZIONE
Il recente interesse da parte delle scienze cognitive verso i fenomeni di
automatismo creativo di tipo grafico-pittorico, noti come “arte medianica”,
deriva dal fatto che queste particolari (ed apparentemente inspiegabili)
manifestazioni di creatività artistica si presentano spontaneamente in individui
del tutto inesperti d’arte (o comunque inconsapevoli di possedere capacità
artistiche sino al momento della loro improvvisa manifestazione). Poiché tali
soggetti, nel corso di questi fenomeni, manifestano una sensibile alterazione
dello stato ordinario di coscienza, caratterizzato da trance e stati allucinatori
di tipo dissociativo, è stata osservata una notevole analogia tra queste
esperienze di creatività non-ordinaria ed alcuni disturbi di natura
psicopatologica e neuropsichiatrica, che però solo in parte contribuirebbero a
spiegare tali automatismi, dato che il quadro sintomatologico riconducibile a
queste patologie mentali può in alcuni casi interessare anche le cosiddette
persone “geniali” (ossia dotate di elevate capacità mentali ed intellettive) e
quindi, escludendo il caso dei soggetti affetti dalla sindrome di Savant,
possono comparire anche in individui del tutto normali sotto il profilo
neuropsichiatrico (Juda, 1949; Keefe & Magaro, 1980; Richards, 1981;
Andreasen, 1988).
Poiché la psicogenesi di tali fenomeni di creatività non-ordinaria appare
ancora incerta e le spiegazioni fornite sino ad oggi (essenzialmente di tipo
parapsicologico o psicopatologico) non sono del tutto convincenti, la presente
ricerca si è posta l’obiettivo di giungere alla formulazione di una nuova ipotesi
interpretativa sulla base dei recenti studi condotti in ambito neuroscientifico,
anche mediante l’utilizzo di avanzate tecnologie medico-diagnostiche (come
8|P a g.
la risonanza magnetica funzionale o fMRI), nel tentativo di fornire una
spiegazione scientifica convincente ai fenomeni di automatismo creativo,
senza tuttavia trascurare gli aspetti psicodinamici che caratterizzano tali
fenomeni creativi. Infatti, si è osservato che alcuni individui, spesso
appartenenti a precisi contesti culturali e geografici, manifestano una
particolare predisposizione ai fenomeni di automatismo creativo (o
dissociazione creativa): tali soggetti si “attivano” infatti in presenza di
particolari condizioni (di solito riconducibili ad uno stato modificato di
coscienza), rivelando una specifica “ipersensibilità” estetica che sembrerebbe
avere basi di natura neurale, essendo in qualche modo connessa al
funzionamento dei neuroni specchio. Interpretando i risultati delle suddette
sperimentazioni, abbiamo tentato di individuare i correlati neurali relativi ai
fenomeni di automatismo creativo tipici della cosiddetta “arte medianica”,
cercando di comprendere se tali fenomeni possano avere delle basi
neurobiologiche e, quindi, in qualche modo universali.
Secondo l’ipotesi presentata in questo lavoro di ricerca (che aspira ad essere
il primo studio scientifico sull’argomento), i neuroni specchio avrebbero un
ruolo
determinante nell’insorgenza
degli
automatismi creativi,
che
costituiscono la manifestazione più evidente ed impressionante dei fenomeni
di arte medianica, nel corso dei quali individui del tutto inesperti d’arte, ossia
privi delle necessarie conoscenze tecnico-artistiche e stilistiche, sono in grado
di produrre opere d’arte in stato modificato di coscienza attraverso un processo
esecutivo apparentemente spontaneo e involontario. Alcuni esperimenti
condotti dal Dipartimento di Psicologia Sociale dell’Università di San Paolo
del Brasile hanno infatti rilevato una sensibile variazione dell’attività
cerebrale nel corso di tali fenomeni creativi, in particolare un’oscillazione
anomala delle onde cerebrali gamma, delta e theta (che sono onde lente e ad
alta energia, strettamente connesse ai processi di generazione creativa),
confermando un’alterazione dei processi neurobiochimici correlati allo stato
modificato di coscienza degli artisti medianici. Tali modificazioni sarebbero
dunque collegate ai meccanismi di visione mentale (mediata dai processi di
percezione estetico-visiva dell’individuo) che, secondo l’ipotesi presentata in
9|P a g.
questo lavoro di ricerca, coinvolgerebbero il sistema dei neuroni specchio:
infatti, le variazioni riscontrate nell’attività delle suddette onde cerebrali
sembrerebbe essere connessa proprio all’attivazione dei neuroni specchio nei
processi di visione “interna” delle immagini estetiche memorizzate dal
soggetto percipiente, le quali, una volta richiamate in particolari condizioni di
attivazione (come gli stati modificati di coscienza), consentirebbero al
soggetto stesso di mettere in moto i processi di automatismo creativo,
rilevabili nel corso delle manifestazioni di “arte medianica”.
Il fenomeno dell’automatismo creativo sarebbe dunque spiegabile da un punto
di vista neurobiologico, ammettendo il possesso di una specifica struttura (o
asset) neurale grazie alla quale alcuni individui sarebbero in grado di
sviluppare
una
particolare
“ipersensibilità”
al
dato
estetico:
tale
“ipersensibilità” (derivante, come si vedrà più avanti, da un possibile
scompenso nei meccanismi di neural binding), permetterebbe agli artisti
medianici non solo di riprodurre automaticamente le proprie immagini mentali
ma, se sottoposti a particolari forme di condizionamento all’interno di
specifici contesti altamente suggestionanti (come i Centros spiritici brasiliani,
di cui si parlerà in seguito), di simulare o imitare l’esatto modello stilisticoformale (art genome) di famosi artisti scomparsi, ossia la particolare cifra
estetica individuale che caratterizza ogni artista (e che lo rende riconoscibile
rispetto ad altri artisti), normalmente unica e irripetibile, proprio perchè basata
sulle esperienze estetiche pregresse, sul background formativo e culturale,
nonchè, sul know-how tecnico-stilistico, acquisiti da ciascuno di questi
individui nel corso della propria vita: tali soggetti riuscirebbero dunque ad
accedere ad una specifica “memoria estetica”, attraverso la quale sarebbero in
grado di registrare inconsapevolmente i dati estetici provenienti dalla realtà,
acquisendoli attraverso i processi visivi di percezione estetica. Grazie a questa
“memoria estetica”, gli artisti medianici sarebbero in grado di passare senza
difficoltà da uno stile all’altro (tale capacità è definita Stilwandel o Style
Switching), manifestando “identità” artistiche diverse senza necessariamente
essere affetti da disturbo dissociativo dell’identità (o disturbo di personalità
multipla, secondo la classificazione ICD-10), circostanze spesso correlate a
10 | P a g .
manifestazioni anomale di genialità creativa, come rilevato nel corso di
numerose ricerche (Braude, 1995).
Tale spiegazione escluderebbe pertanto sia la natura paranormale (o
parapsicologica) che quella psicopatologica o neuropsichiatrica dei fenomeni
di automatismo creativo, coinvolgendo invece i processi neurobiologici e il
sistema neurale dell’individuo, il quale sarebbe dunque neurofisiologicamente
predisposto ad attivarsi in particolari condizioni, costituite da stati modificati
di coscienza, quali ad esempio: trance indotta o autoindotta, ipnosi o
autoipnosi, meditazione profonda, esperienze mistico-religiose fortemente
immersive e suggestionanti, eventi traumatici psichicamente ed emotivamente
destabilizzanti per il soggetto, assunzione di sostanze psicotrope o
allucinogene, elevato livello di condizionamento sociale operato all’interno
della comunità di appartenenza dell’artista. Tutte queste circostanze verranno
adeguatamente approfondite nei prossimi capitoli del presente lavoro.
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CAPITOLO PRIMO:
L’OGGETTO DELLA RICERCA
1.1 Che cos’è l’arte medianica?
L’arte medianica è un fenomeno psichico di automatismo creativo che tende
a manifestarsi in alcuni soggetti che, secondo l’ipotesi presentata in questo
lavoro di ricerca, sarebbero specificamente “ipersensibili” al dato estetico.
Tali individui, normalmente privi di qualsiasi competenza, esperienza o
capacità artistica e/o tecnico-stilistica, una volta immersi uno stato modificato
di coscienza di tipo dissociativo, sono in grado di realizzare opere d’arte
(dipinti, sculture, testi letterari, spartiti musicali, coreografie di danza e altro
ancora) in modo apparentemente inspiegabile, attraverso un processo creativo
caratterizzato da automatismi motori di tipo meccanico, inconsapevolezza ed
estrema rapidità esecutiva. Infatti, tale fenomeno si manifesta generalmente
quando l’individuo si trova in uno stato alterato di coscienza (assorbimento
dissociativo o trance ipnotica), caratterizzato da modalità esecutive ritualizzate
e meccaniche che si esprimono al di fuori del controllo cosciente dell’individuo,
il quale, una volta rientrato allo stato di coscienza ordinario, non ricorda quanto
accaduto e non riconosce di essere egli stesso l’autore dell’opera.
Tuttavia il termine “arte medianica” è fuorviante, in quanto rimanda ad una
supposta origine paranormale di tali fenomeni creativi. Infatti il concetto di
“medianità” venne introdotto verso la metà dell’Ottocento, nel periodo di
massima diffusione del movimento spiritico in Europa, la cui dottrina fu
codificata dal pedagogista e filosofo francese Hippolyte Léon Denizard Rivail
(noto con lo pseudonimo di Allan Kardec): si pensava infatti che alcuni
individui (definiti “medium” o sensitivi), dotati di una particolare sensibilità
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o doti medianiche, potessero fungere da tramite o “canale” di comunicazione
tra il mondo dei viventi e quello dei defunti, ammettendo dunque l’esistenza
di una dimensione spirituale e di una sopravvivenza dell’individuo dopo la
morte. Il concetto di “medianità” è stato ripreso in tempi più recenti dai circoli
spiritici kardeciani (ossia ispirati all’insegnamento di Allan Kardec), che
stanno sorgendo sempre più numerosi in Brasile, il paese da dove proviene
attualmente la maggior parte dei pittori medianici viventi. La definizione di
“arte medianica” ha quindi resistito fino ad oggi nell’immaginario collettivo,
grazie alla presunta inesplicabilità dei fenomeni di automatismo creativo che
la caratterizzano (opportunamente spettacolarizzati dai media e dalla
propaganda degli stessi circoli spiritici), i quali si verificano senza che i
soggetti abbiano alcuna competenza artistica o tecnico-stilistica a livello
consapevole, ma soprattutto quando essi sono immersi in uno stato modificato
di coscienza, che implica appunto l’inconsapevolezza e l’involontarietà delle
manifestazioni creative, impressionando e suggestionando al tempo stesso il
pubblico che assiste alle esibizioni. Il fascino suscitato dall’ipotesi fortemente
suggestiva che possa esistere un “aldilà”, ovvero una dimensione spirituale
oltre la vita, e che gli “spiriti” dei trapassati possano in qualche modo
comunicare con alcuni individui, investiti del ruolo di “intermediari” (o
channelers) dalla propria comunità di riferimento, è rafforzato ed avvalorato
dal fatto che molto spesso gli artisti medianici sperimentano anche altri
fenomeni, il cui studio è stato sino ad oggi di esclusivo dominio della
parapsicologia, come le percezioni extrasensoriali (ESP), la psicocinesi, la
telepatia, la precognizione e così via. Ad ogni modo, per gli scopi del presente
lavoro, sarebbe più opportuno sostituire la definizione di “arte medianica”,
eccessivamente contaminata da elementi di natura parapsicologica, con quella
di “automatismo psichico”, scientificamente più corretta e pertinente al nostro
ambito di ricerca. In base alla particolare fenomenologia delle sue
manifestazioni e all’analisi dei dati osservazionali raccolti sui vari casi di
studio presi in esame, l’arte medianica si manifesta quindi come il prodotto di
un’attività creativa inconsapevole, involontaria ed automatica da parte di un
soggetto che non è in grado di guidare coscientemente i processi creativi, né
13 | P a g .
gli automatismi motori che gli consentono di realizzare opere d’arte senza
avere alcuna conoscenza tecnico-stilistica. L’arte medianica, spesso
erroneamente ritenuta una forma di espressione pittorica psicopatologica
(definita Outsider Art), si configura dunque, almeno apparentemente, come
un processo di espressione “anomala” di creatività, ovvero un fenomeno
psichico in grado di produrre manifestazioni di creatività non-ordinaria,
esprimendosi in maniera diversa rispetto agli standard socialmente e
culturalmente accettati di “creatività artistica” (Hughes & Drew, 1984): essa
si presenta, nella sua forma più semplice, come disegno o grafismo (in parte
simile alla cosiddetta “scrittura automatica”), fino ad arrivare a prodotti
sempre più complessi ed elaborati come dipinti, sculture, composizioni
musicali, danza ed opere letterarie, spesso dotate di elevato valore estetico ed
artistico. Lo stato di dissociazione psicomotoria e di automatismo psichico che
caratterizzano questo particolare fenomeno creativo, che si manifesta più
spesso attraverso la creazione di opere d’arte figurativa (dipinti o, più
raramente, sculture), oppure sotto forma di scrittura “automatica” di opere
letterarie o spartiti musicali (meno frequente), è ancora oggetto di pochi studi
scientifici, poiché sino ad oggi si è preferito classificare tale tipologia di
manifestazione creativa come fenomeno paranormale o evento metapsichico,
non essendovi elementi sufficienti a darne una spiegazione razionale e
scientifica: poiché questo fenomeno si verifica senza la partecipazione
consapevole e cosciente dell’autore (che spesso riferisce di essersi sentito
“posseduto” da un’entità disincarnata a lui estranea), l’artista medianico è
ritenuto essere una sorta di “medium”, ovvero un intermediario (o “canale”)
tra
il
mondo
materiale
ed
una
dimensione
spirituale
(o
realtà
sovradimensionale) con la quale egli sarebbe in grado di entrare in contatto.
Attraverso la guida di presunte entità di natura spiritica, il soggetto riuscirebbe
a creare opere di notevole pregio estetico, pur senza possedere alcuna
formazione e/o competenza di tipo artistico. Per tale motivo, l’arte medianica
viene comunemente considerata una forma di comunicazione con l’aldilà,
ossia una sorta di messaggio destinato ai viventi per scopi di natura benefica
(guarigione psichica, rinascita spirituale o altro ancora).
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Da un punto di vista parapsicologico (o metapsichico), tale forma di
comunicazione tra la dimensione materiale (o terrena) e quella spirituale è
stata definita channeling (o “canalizzazione”): l’artista infatti, secondo la
tipica immagine diffusa dai circoli spiritici e dai media, grazie alla
spettacolarizzazione delle performances pubbliche, sarebbe dunque un
channeler, ossia un “medium” (o canalizzatore) tra la realtà sensibile ed una
dimensione trascendente o “spirituale”: infatti, la “possessione” da parte di
un’entità spiritica o di una forza estranea alla volontà del soggetto, è stata sino
ad oggi la spiegazione popolare più utilizzata per descrivere questa tipologia
di fenomeno psichico (Hastings, 1991). In effetti, se consideriamo la creatività
artistica come un viaggio dell’artista nei meandri dell’inconscio, è plausibile
accettare l’idea dell’esistenza di un canale attraverso il quale sarebbe possibile
accedere alle profondità della psiche. Infatti, il concetto di channel è utilizzato
in ambito metapsichico e parapsicologico per descrivere l’ingresso della
persona in una dimensione parallela ed “altra” rispetto alla realtà sensibile e
materiale, grazie alla quale l’individuo sarebbe capace di acquisire abilità
artistiche e ricevere istruzioni sull’utilizzo delle tecniche di espressione
pittorica, o essere guidato (senza la sua partecipazione consapevole) nella
realizzazione di opere d’arte di indubbio valore estetico, tanto da essere
attribuite, in quanto a stile e fattura, a famosi artisti del passato (Servadio,
1970; Eisenbeiss & Hassler, 2006). Questa spiegazione è avvalorata dal fatto
che l’individuo, una volta rientrato nel suo stato ordinario di coscienza, non è
in grado di riconoscere l’opera come il prodotto della propria attività creativa,
non essendo consapevole di possedere (a livello conscio) le abilità artistiche
necessarie a crearla. Il concetto di “canale” o “canalizzazione” (channeling) ha
pertanto contribuito a spiegare, ad un livello superficiale e pseudoscientifico, il
fenomeno attraverso il quale persone senza alcuna conoscenza artistica o knowhow tecnico, siano in grado di realizzare, a un certo punto della loro vita ed in
particolari condizioni di alterazione della propria coscienza, opere d’arte che
non sarebbero mai state in grado di eseguire in condizioni normali.
Ma da quali processi psichici è attivata questa creatività artistica? Quali sono
le condizioni per cui quel “canale” viene aperto, ma, soprattutto, dove
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conduce? La difficoltà nel dare una spiegazione scientifica a tali fenomeni di
creatività non-ordinaria ha relegato sino ad oggi queste manifestazioni
“anomale” di creatività artistica nel limbo dei fenomeni parapsicologici e
matapsichici, ovvero degli eventi paranormali, inducendo a considerare gli
artisti come una sorta di “medium” ed il lavoro da essi prodotto come una sorta
di “messaggio” proveniente da una dimensione sovrasensibile, trascendente e
spirituale, di cui l’artista sarebbe il tramite o “canale”: questa particolare
forma di creatività artistica è stata appunto definita “arte medianica”, psichica
o spiritica. Sin dai tempi antichi, se il medium era ritenuto essere un mezzo o
tramite tra la realtà dei vivi e l’aldilà, l’ispirazione e la creatività artistica,
nascendo nel dominio del sovrasensibile e dell’immateriale, era ritenuta essere
espressione riflessa della dimensione divina: l’artista era visto dunque come
un intermediario tra il mondo degli uomini e quello degli dèi (o delle Muse,
come si credeva nell’antica Grecia). Difatti, in tempi remoti, non vi era una
chiara distinzione tra arte e religione: la tradizionale separazione tra categorie
razionali e categorie estetiche non esisteva, in quanto tali categorie erano
unificate nella sfera del mito (Campbell & Moyers, 1991).
D’altro canto, in tempi più recenti, il tentativo di dare una spiegazione più
scientifica del fenomeno (supportandola con dati e classificazioni di tipo
nosografico), ha prodotto un improprio accostamento dell’arte medianica
all’arte psicopatologica, ossia prodotta da pazienti psichiatrici o individui
affetti da specifiche patologie mentali (in particolare la schizofrenia o il
disturbo dissociativo dell’identità). Infatti, se è vero che alcune manifestazioni
del fenomeno dell’arte medianica sono in parte simili a quelle riscontrate nel
caso della creatività artistica di tipo psicopatologico, tale filone di ricerca, di
tipo essenzialmente comparativo, ha insistito sul lavoro di individuazione di
segni patologici di tipo clinico-psichiatrico nell’attività creativa dell’artista
medianico (corrispondenti a preesistenti schemi nosografici), trascurando gran
parte della ricchezza fenomenologica che contraddistingue tali manifestazioni
creative. I risultati di tale ricerca hanno pertanto restituito un quadro basato
sulla tipizzazione e classificazione schematica dei disegni del malato psichico,
pur nell’intento di operare una comparazione tra l’arte psicopatologica e
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quella medianica. Ma, almeno fino al 1950, tale lavoro ha condotto ad una
impropria assimilazione dell’arte medianica all’arte di tipo psicopatologico,
identificando molte volte l’artista medianico con un malato psichico o un
soggetto affetto da distubri psichiatrici. Soltanto dopo la prima metà del
ventesimo secolo il fenomeno della creatività pittorica non-ordinaria ha
assunto una prospettiva più ampia, grazie all’introduzione di schemi
interpretativi più attenti alla dimensione comunicativa del fenomeno, che
hanno avuto il merito di accostare l’attività grafico-pittorica del malato
psichico ad un processo di natura linguistica, capace quindi di assumere una
molteplicità di configurazioni (Bobon, 1955; Gruber, 1980): “L’analisi
diacronica della produzione grafica mostra che il risultato dipende da vari
fattori, di cui quello patologico è solamente uno” (Peduto, 1979, p. 194).
Alcuni studiosi si sono concentrati in particolar modo sull’analisi del
cambiamento di stile grafico o Stilwandel (Maccagnani, 1958; Andreoli &
Trabucchi, 1969). La modificazione nel tempo del tratto pittorico dello stesso
paziente nel corso del tempo, mette in luce l’importanza di una molteplicità di
fattori, quali l’ambiente di lavoro o l’acquisizione di nuove tecniche pittoriche,
l’utilizzo di specifici mezzi tecnici: ad esempio, analizzando l’evoluzione e la
modificazione nel tempo dello stile grafico-pittorico di uno stesso soggetto, si
rileva che alcune caratteristiche tipiche del cosiddetto “stile schizofrenico”
scompaiono e vengono sostituite da altre a cui non si riesce a dare una
classificazione univoca. Si esce in tal modo dalla logica preconcetta di
assegnare un’etichetta fissa ad un tipo di pittura che si ritiene rigorosamente
immodificabile proprio perché associata ad una determinata malattia mentale:
“il passaggio dall’esame sincronico a quello diacronico distrugge rapidamente
ogni schematismo di legame tra tipo di patologia e tipo di espressione grafica”
(Peduto, 1979, p. 195). Attraverso un’analisi semiotica di tipo linguistico è
stato possibile assegnare alla pittura alienata lo statuto di fenomeno
comunicativo a tutti gli effetti, ossia di un messaggio in grado di comunicare
qualcosa sulla psiche dell’autore, parlando del suo inconscio e dei suoi
conflitti interiori, delle sue pulsioni, dei suoi sogni, dei suoi desideri
insoddisfatti o dei traumi rimossi. Si cerca quindi di approfondire la genesi di
17 | P a g .
determinati segni grafici ed il loro collegamento con la psicobiografia del
soggetto analizzato, giungendo ad una semantica del fenomeno creativo in
grado di dare nuovo senso e restituire nuovi significati a manifestazioni
artistiche apparentemente anomale e fuori dall’ordinario, allontanandosi dalla
rigida classificazione di fenomeni psicopatologici strettamente legati ad uno
specifico contesto clinico-psichiatrico. In sostanza, ci si è resi conto che alcune
modalità di manifestazione della creatività artistica, così come determinate
caratteristiche espressive che un tempo sarebbero state attribuite unicamente
a casi psichiatrici, si presentavano anche in soggetti del tutto distanti da
diagnosi cliniche di tipo psicopatologico: non è quindi giustificato affrontare
l’analisi del fenomeno dell’arte medianica partendo da un punto di vista
strettamente psichiatrico e/o psicopatologico. Si tratta infatti di un fenomeno
(ma anche di un linguaggio o codice) differente, che richiede un tipo di analisi
a sé stante, rispetto alla quale insistere su una comparazione tra arte
psicopatologica ed arte medianica potrebbe non essere la metodologia più
corretta di analisi. Lo psicologo e studioso di fenomeni paranormali Elmar R.
Gruber, dopo aver presentato nel 1980 una classificazione comparativa tra i
due tipi di arte (che sarà illustrata più avanti), pur ammettendo che la presenza
di elementi comuni nelle modalità di manifestazione delle due tipologie d’arte
potrebbe indurre ad ammettere l’esistenza di processi psichici comuni,
chiarisce che “anche dopo aver descritto le strutture dell’Arte Medianica e
dell’Espressione Pittorica Psicopatologica, non si può avere un quadro
coerente intorno a questo confronto. Se questo studio, sia esso artistico o
fenomenico o ambedue, rivela che non possono essere trovati fattori comuni
a causa della grande varietà di patterns, questo può significare che tutto ciò
che può essere detto intorno al confronto può essere null’altro che un artefatto”
(Gruber, 1980). Lo studioso austriaco ammette dunque che l’arte
psicopatologica “presenta una multiformità di aspetti che difficilmente
possono essere ricondotti a semplicistici schemi classificatori; si ha anche
l’impressione che molto spesso coloro che hanno studiato questo tipo di
espressione sono stati condotti a troppo facili generalizzazioni, che, tra l’altro
avrebbero richiesto, per avere fondato valore scientifico, un adeguato
18 | P a g .
confronto, sempre problematico per altro, con espressioni figurative di
persone normali” (Peduto, 1979, pp. 199-200). In effetti, è necessario
ammettere che è estremamente difficile effettuare un confronto tra arte
psicopatologica ed arte medianica che abbia sufficiente significatività
statistica, data l’esiguità numerica dei casi di arte medianica nel mondo, per
cui nella maggior parte dei casi, si è preferito assimilare tali casi a quelli più
numerosi di creatività artistica di tipo psicopatologico, trattando gli artisti
medianici alla stregua di casi clinici. Ma c’è un dato di fatto: ossia che l’arte
medianica presenta dei caratteri di “coerenza” interna e di omogeneità che non
si riscontrano nell’arte psicopatologica, ossia un’omogeneità e un ritualismo
nelle manifestazioni del fenomeno che nulla hanno a che vedere con le
caotiche, disgreganti, etereogenee e dissolutive rappresentazioni pittoriche dei
malati mentali: esiste infatti un sottile filo che lega diacronicamente le
produzioni creative di uno stesso artista medianico nel tempo, una sorta di
coerente
linea
di
sviluppo
che
è
possibile
cogliere
studiando
approfonditamente le caratteristiche estetico-stilistiche delle opere prodotte,
che dicono molto sulla personalità del soggetto analizzato, nonché i tratti
psicobiografici e personologici dell’artista. Infatti, di solito, le produzioni di
arte medianiche superano il concetto della pura reiterazione ossessiva degli
elementi (presente anche negli artisti alienati) per attestarsi su una serialità
della produzione artistica: l’artista medianico tende a ripetere lo stesso tipo di
raffigurazione, apportando progressivamente delle variazioni che mostrano
una linea di evoluzione del processo creativo individuale nel tempo,
evidenziando la coerenza e l’omogeneità che lo distingue dall’arte
psicopatologica. Ma non solo: dalle opere risulta evidente la volontà di
trasmettere un messaggio, utilizzando il mezzo grafico-pittorico e le sue
possibilità linguistico-espressive
ed evocativo-simboliche
per essere
trasmesso al pubblico. Secondo tale prospettiva, l’arte medianica sarebbe
essenzialmente una specifica forma di comunicazione dell’artista. Il problema
è che spesso, tale messaggio risulta incomprensibile, oscuro e misterioso in
quanto: a) l’artista è inconsapevole delle modalità di manifestazione del
fenomeno, che si manifesta al di fuori del suo controllo cosciente: manca, cioè,
19 | P a g .
un’intenzionalità espressiva ed una creatività consapevole; b) non vi sono
informazioni sufficienti sul codice di comunicazione utilizzato dall’artista, che
aiutino a decodificare il messaggio espresso e veicolato dall’opera d’arte, per
cui l’interpretazione da parte degli studiosi (e dello stesso pubblico) rischia di
essere fortemente soggettiva e fuorviante: lo stesso artista, inconsapevole del
fenomeno di cui è stato protagonista, si pone di fronte alla sua opera come
spettatore e non come autore. È quindi utile, per uno studio scientifico ed
accurato del fenomeno, non solo indagare sul vissuto dell’artista (che può
essere investigato attraverso specifiche interviste in profondità o per mezzo
dell’ipnosi regressiva), ma prendere in considerazione parametri più oggettivi,
che possono essere evidenziati ed opportunamente misurati ed interpretati
attraverso l’utilizzo di test psicodiagnostici e proiettivi, indagini e
sperimentazioni neurodiagnostiche tramite l’impiego della risonanza
magnetica funzionale (o fMRI), ma anche attraverso l’analisi del contesto
socio-culturale ed antropologico di appartenenza del soggetto: la creatività
inconsapevole, l’assenza di intenzionalità espressiva, i lampi e le esplosioni
creative inattese e improvvise, la rappresentazione pittorica “ispirata”, la
dissociazione creativa, la trance estetica e gli stati alterati di coscienza, sono
tutti fenomeni che su cui è necessario indagare senza falsi preconcetti e al di
fuori di facili accostamenti ad una creatività artistica alienata, ossia
psicologicamente malata e anormale. Un’ulteriore difficoltà di comparazione
e, quindi, di comprensione delle differenze tra le due forme d’arte sta nel fatto
che parte della letteratura sull’arte medianica è stata sino ad oggi di estrazione
“spiritistica” ed ha accentuato maggiormente, spesso in maniera acritica, gli
aspetti “straordinari” del fenomeno, fornendo ben poco materiale
psicodiagnostico sugli artisti medianici, che sarebbero stati utili per un
adeguato e fruttuoso confronto scientifico. Lo stesso approccio utilizzato dai
media
televisivi
ha
accentuato
ulteriormente
le
dinamiche
di
spettacolarizzazione del fenomeno, più orientate ad una visione paranormale,
prodigiosa ed inspiegabile delle manifestazioni di arte medianica,
presentandole come fenomeni di tipo parapsicologico. L’arte medianica è
senza dubbio una manifestazione creativa “anomala” e misteriosa, in quanto
20 | P a g .
costituisce un processo creativo inspiegabile per lo stesso artista, soprattutto
se si considera che alcune opere sono dotate di notevole qualità estetica,
essendo caratterizzate da eccezionale virtuosismo, spesso del tutto
paragonabile alle opere d’arte “convenzionale” e ordinaria, ossia prodotta da
artisti professionisti (Martelli, 1977). Bisogna comunque tener presente che le
manifestazioni psicopittografiche possono verificarsi anche in soggetti che
sono già artisti, ossia possiedono un background formativo ed esperienziale di
tipo artistico. In questi casi, è osservabile un processo di sovrapposizione di
differenti “personalità creative” e stili artistici diversi, tant’è che lo stile
pittorico normalmente utilizzato dall’artista si modifica sensibilmente nel
corso delle manifestazioni psichiche di arte medianica (Stilwandel),
producendo opere del tutto diverse e non corrispondenti agli standard creativi
dell’artista, il quale, una volta rientrato nel suo stato di coscienza ordinario,
non riconosce tali opere come frutto del suo lavoro creativo.
Proprio tale sovrapposizione di diverse personalità artistiche (o differenti
identità coscienziali) nello stesso individuo ha permesso di evidenziare (e
giustificare) forti analogie tra la creatività “medianica” ed il disturbo
dissociativo dell’identità (o disturbo di personalità multipla), paragonando le
opere prodotte dagli artisti medianici a quelle prodotte dai pazienti psichiatrici
(Hughes, 1992; Paris, 1996; Braude 1988, 1995 e 2002). Infatti tali patologie
sono caratterizzate da disturbi dell’ideazione, ma soprattutto dalla
personificazione di contenuti psicologici o ipnagogici quali sogni, visioni ed
allucinazioni, che verrebbero ulteriormente influenzati, distorti ed amplificati
in particolari contesti socio-culturali e religiosi altamente suggestionanti,
basati su sistemi di credenze nel paranormale (come il contesto spiritista
brasiliano, da cui proviene la maggior parte dei pittori medianici viventi), che
danno legittimità e riconoscimento sociale agli artisti medianici protagonisti
di fenomeni di creatività non-ordinaria, quali appunto i fenomeni di
automatismo creativo, istituzionalizzando le trasformazioni della personalità
degli artisti (ossia il loro transitare da una personalità artistica all’altra)
all’interno di esibizioni spettacolari fortemente ritualizzate di fronte alla
comunità, determinandone dunque l’accettazione sociale all’interno del
21 | P a g .
sistema di credenze stesso. Ma, anche se è vero che alcuni casi di supposta
medianità (o “possessione spiritica”) altro non sono che manifestazioni di
disturbi psicopatologici e neuropsichiatrici (o proiezioni della “volontà” della
comunità), solo una piccola parte della produzione artistica medianica (ossia
prodotta attraverso meccanismi di automatismo creativo) può essere
equiparata a quella patologica, tipica dei malati mentali e dei pazienti
psichiatrici. Focalizzandoci in particolare su quei soggetti che, pur non
essendo artisti di professione o dilettanti, si trasformano all’improvviso in
artisti medianici dotati di straordinarie capacità artistiche, si è rilevato che essi
esibiscono in maniera improvvisa ed inaspettata una notevole iperattività
creativa in un breve intervallo di tempo, senza peraltro aver mai sperimentato
prima alcuna manifestazione del genere, ma soprattutto, che tali individui
hanno la convinzione di essere guidati (o “posseduti”) da una supposta entità
spiritica, ossia disincarnata ed estranea alla propria persona. Ma da cosa viene
innescata questa improvvisa irruzione di creatività nella vita quotidiana di
individui apparentemente normali (ma soprattutto privi di conoscenze
artistiche? Il background formativo-esperienziale ed estetico-percettivo del
soggetto, sottoposto a condizionamenti sociali, culturali, religiosi, ideologici
e psicologici in contesti fortemente suggestionanti, caratterizzati da sistemi di
credenze nel paranormale, socialmente istituzionalizzate e culturalmente
ritualizzate, è tale da spiegare da solo l’emergenza di tale fenomeno?
Forse l’arte medianica può essere ricondotta a centri separati di coscienza
dell’individuo, che guidano e coordinano gli automatismi tipici di questa
forma di esperienza creativa al di fuori dell’ordinario? O, piuttosto, essa
nasconde delle basi neurofisiologiche e psicobiologiche, interessando solo
alcuni individui dotati di una particolare “ipersensibilità” estetica?
1.2 Le caratteristiche dell’arte medianica
L’arte medianica possiede delle caratteristiche fenomenologiche costanti e
ricorrenti, che contraddistinguono la specifica tipologia delle manifestazioni
22 | P a g .
creative ad essa associate, spesso caratterizzate da un preciso “ritualismo”,
basato su sistemi di credenze propri di specifici contesti socio-culturali: tali
forme rituali di espressione creativa sono socialmente istituzionalizzate (ed
approvate) dalla comunità di appartenenza dell’artista (si pensi ai circoli
spiritici ottocenteschi o ai Centros di spiritualità brasiliani), ed inquadrate in
uno schema esibitivo e “cerimoniale” generalmente ricorrente.
Le caratteristiche tipiche dell’arte medianica, rilevate con maggior frequenza
nella maggior parte dei casi di studio presi in esame (a volte presenti anche
contemporaneamente nello stesso soggetto al momento della manifestazione
dei fenomeni creativi), sono le seguenti:
1.
La maggioranza dei soggetti studiati non possiede, a livello
consapevole, alcuna formazione, conoscenza, competenza o knowhow tecnico, artistico e stlitico che possa spiegare la loro abilità nella
creazione delle opere d’arte, le quali appaiono tecnicamente compiute
ed esteticamente definite: tali soggetti disegnano o dipingono senza
aver mai imparato a farlo.
2.
La creatività irrompe all’improvviso, sotto forma di un impulso
involontario ed incontrollabile (del quale gli autori non sono
consapevoli e, proprio per questo, ne sono a volte spaventati),
comparendo spesso in età avanzata ed irrompendo nella quotidianità
dell’individuo come un raptus violento e incontenibile: gli artisti
medianici (definiti anche “pittori prodigio”) iniziano a disegnare o
dipingere in maniera automatica e spontanea, attraverso gesti e
movimenti meccanici, involontari e veloci, come se fossero spinti da
un inspiegabile impulso interiore, oppure guidati da una presenza
spirituale, o addirittura “posseduti” da un’entità disincarnata o da
forza estranea alla propria volontà. A volte tali soggetti sono immersi
in un clima di concentrazione e preghiera o assorti in meditazione
profonda (come nel caso dei pittori indiani o brasiliani), dalla quale
scaturisce all’improvviso l’impulso creativo.
23 | P a g .
3.
L’impulso creativo, determinato da una misteriosa ed irresistibile
forza interiore, si manifesta con maggior frequenza a seguito di traumi
fisici, psichici o emotivi verificatisi nel corso della vita del soggetto
(violenze, sopraffazioni, incidenti di varia natura, solitudine, gravi
malattie o altro ancora), il cui ricordo doloroso, spesso rimosso dal
soggetto, riemerge di solito attraverso sedute di psicoterapia o ipnosi
regressiva. Spesso la sintomatologia legata al vissuto traumatico
dell’individuo, che si esprime attraverso una serie di disturbi e
malesseri di natura psicosomatica, scompare del tutto una volta
innescati i processi di automatismo creativo.
4.
Se il soggetto è già notoriamente un artista, il fenomeno dell’arte
medianica si manifesta per mezzo di uno stato alterato di coscienza
(trance, semi-trance, ipnosi, sonnambulismo), in modo automatico e
al di fuori del controllo cosciente dell’individuo, esprimendosi
attraverso uno stile o una tecnica artistica differenti ed estranei sia alle
proprie competenze, che alle normali modalità di esecuzione
dell’artista che, una volta rientrato nel suo stato ordinario di
coscienza, non li riconosce come propri: egli non crede affatto che
possa essere lui l’autore dell’opera.
5.
L’artista medianico non è consapevole del manifestarsi del fenomeno
creativo. Infatti il soggetto, una volta rientrato in sè dopo l’esperienza
di automatismo creativo, crede di trovarsi per la prima volta di fronte
all’opera che lui stesso ha realizzato: egli non è in grado di riconoscere
il suo stesso lavoro in quanto non lo ha mai progettato in anticipo.
Inoltre, nei casi in cui l’opera non sia stata terminata nel corso della
manifestazione del fenomeno, l’autore non è in grado di completarla
in stato di coscienza ordinario.
6.
In diversi casi i soggetti hanno riferito di avere delle allucinazioni di tipo
visivo o auditivo, o di percepire la visione del disegno completo sulla tela
prima che lo stesso sia stato realizzato, per cui non hanno dovuto far altro
che “ricalcarlo”. Tali sintomi di natura allucinatoria, che potrebbero
24 | P a g .
anche essere ipnoticamente indotti, come rilevato nel corso di alcune
ricerche (Underwood, 1960; Orne, 1962), sono in parte simili alla
sintomatologia riportata nei casi di opere prodotte da individui affetti da
disturbi psicopatologici o da sindrome dissociativa.
7.
Il soggetto è in grado di lavorare anche al buio, realizzando opere di
arte figurativa in condizioni di totale oscurità, ovvero dipinti
caratterizzati dalla rappresentazione di figure umane, oggetti e scenari
reali, dotati di effetti di luce, ombre e senso della prospettiva, che non
potrebbero
essere
normalmente
realizzate
in
condizioni
di
deprivazione sensoriale (sendep), in assenza di riferimenti visivi, o
ricorrendo alla semplice memoria visiva e/o di lavoro: il soggetto è in
condizione di “cecità ipnotica” e tali produzioni creative sono
ammissibili solo ricorrendo ad un altro genere di memoria, di tipo
fotografico (Bryant & McConkey, 1989a, 1989b e 1989c).
8.
Il processo produttivo è dominato dall’automatismo creativo: le opere
vengono realizzate per mezzo di una sequenza di gesti meccanici e
convulsi, caratterizzati da un’eccezionale velocità esecutiva. Al tempo
stesso, l’artista appare come dissociato dalla realtà: egli lavora in uno
stato modificato di coscienza, ovvero di straniamento e di derealizzazione
più o meno profondo (absorption, trance, ipnosi), oppure sembra vedere
se stesso che lavora come se guardasse un’altra persona.1
1
Questo sintomo assomiglia molto ai fenomeni definiti OBE (Out-of-Body Experience, o
esperienza di proiezione extracorporea), ed NDE (Near Death Experience, o esperienza di premorte), sperimentati da molti soggetti in stato di coma o arresto cardio-circolatorio a seguito di
malattie, eventi traumatici o incidenti: com’è noto, tali soggetti riferiscono di aver vissuto
l’esperienza di abbandono del proprio corpo, sperimentando la capacità di osservarlo
dall’esterno, affermando di aver attraversato un tunnel buio al di là del quale si intravedeva una
luce (Greyson & Stevenson, 1980; Blackmore, 1984; Greyson, 1985 e 2000). Una recente ricerca
ha dimostrato che tali fenomeni di percezione extracorporea sono causati da una iperattività delle
onde cerebrali di tipo gamma (connesse ai processi visivi) nei momenti immediatamente
successivi ad un arresto cardiaco e all’approssimarsi della morte clinica, durante i quali l’attività
cerebrale diventa più intensa, reagendo alla diminuzione di ossigeno e glucosio: tale aumento
dell’attività neurale, che costituirebbe una sorta di “generatore di emergenza”, sarebbe in grado
appunto di generare visioni anomale ed una percezione “aumentata” della realtà, simile a quelle
percepite dagli artisti medianici (Borjigin et al., 2013).
25 | P a g .
9.
Nei casi in cui l’esperienza medianica lascia una traccia mnestica
consapevole nell’artista, questi riferisce che l’opera d’arte da lui
realizzata (specie se rappresenta figure umane), corrisponde ad una
sorta di illuminazione interiore o ad una esperienza già vissuta dal
soggetto stesso (corrispondente al fenomeno paramnestico del déjà vu).
10. L’impulso creativo è irresistibile, una sorta di raptus o attacco
improvviso, imprevisto e involontario di natura compulsiva, del tutto
indipendente dalla volontà e dalla consapevolezza del soggetto.
11. Un individuo unicamente destrorso può rivelarsi all’improvviso
mancino, o essere in grado di dipingere con le dita dei piedi, o
addirittura lavorare su due opere contemporaneamente utilizzando in
maniera indipendente entrambe le mani, producendo stili o tecniche
artistiche differenti per ciascuna di esse, attribuite poi a diversi pittori
del passato, ormai scomparsi (Anton Neto, 2007b).
12. Nel corso della manifestazione dei fenomeni di automatismo creativo,
il soggetto è spesso sottoposto ad un intenso stress, sia fisico che
emotivo, che si manifesta attraverso una significativa modificazione
dei parametri vitali (rilevabile attraverso i normali apparecchi clinici di
misurazione diagnostica), come pressione del sangue, battito cardiaco,
modificazione del tracciato cerebrale, presentando anche sudorazione
intensa, spossatezza e, in alcuni casi, perdita di peso. Alla fine il
soggetto riferisce di sentirsi come “liberato” e di provare un senso di
calma e di pace interiore (simile a quella sperimentata dai soggetti che
hanno vissuto l’esperienza di pre-morte, ossia il fenomeno della
cosiddetta NDE, o Near-Death Experience), la cui origine (come è stato
recentemente dimostrato), sembra essere collegata ad un particolare
stato di attivazione cerebrale, nonchè di modificazione biochimica
della rete neurale, in grado di determinare un’oscillazione anomala
delle onde gamma, solitamente connesse ai processi di generazione
creativa e agli stati meditativi profondi, come lo yoga e la meditazione
trascendentale (Pahnke, 1969; Owens, Cook & Stevenson, 1990).
26 | P a g .
13. Quasi tutti gli artisti medianici riportano di essersi sentiti in qualche
modo “ispirati” o “posseduti” da un’entità spirituale e disincarnata,
ossia trascendente e immateriale (o di averne percepito la presenza,
pur senza vederla), che li ha guidati nella creazione dell’opera. Alcuni
di essi riferiscono di essere assistiti da uno “spirito-guida”, o di udire
delle voci misteriose che li invitano a dipingere (o gli ordinano di
farlo), fornendo spesso consigli, istruzioni, incitamenti. La
formazione artistica dei soggetti avviene dunque nel corso dei
fenomeni stessi: è una conoscenza senza apprendimento consapevole
(Buckalew, Finesmith & Sisemore, 1968; Romme & Escher, 1989).
14. Alcuni artisti medianici sono sensitivi, oppure hanno avuto esperienze
di tipo medianico o spiritico, sperimentando (precedentemente o a
seguito della prima manifestazione di automatismo creativo in stato
modificato di coscienza) fenomeni di natura parapsicologica, oppure
manifestando il possesso di facoltà paranormali (come precognizione,
retrocognizione, chiaroveggenza, telepatia, psicocinesi, percezioni
extrasensoriali o ESP, esperienze extracorporee, bilocazione); il che
appare ancor più evidente quando, ad esempio, il tema dell’opera si
riferisce ad una realtà che l’autore certamente ignora, o di cui non ha
mai avuto esperienza, o che si verificherà in futuro; oppure il dipinto
compare dal nulla sulla tela o i pennelli sembrano muoversi da soli nel
corso di sedute medianiche. Altri artisti sono convinti che, attraverso
l’arte medianica, essi manifestino una sorta potere (o “dono”) concesso
da un’entità superiore e soprannaturale (o spirito-guida), che li
accompagna e li guida nell’esecuzione delle opere; tale potere,
rivelandosi attraverso fenomeni di creazione artistica “ispirata” e
automatica, avrebbe una qualche influenza o rappresenterebbe una
forma di illuminazione e/o guarigione spirituale per gli altri. In tale
dinamica psichica vengono pertanto coinvolte sia le convinzioni
autosuggestionanti dell’artista, che le aspettative del pubblico. Molto
spesso, le stesse opere sono intrise di contenuti spirituali o riflettono
l’esperienza psicocognitiva del soggetto.
27 | P a g .
1.3 Tecniche e stili di psicopittografia
La psicopittografia, ossia il disegno e la pittura medianica (detta anche pittura
psichica), indica il processo di trasferimento inconsapevole da parte del
soggetto di immagini mentali attraverso le tecniche di riproduzione grafica e/o
pittorica. Tale processo si verifica generalmente in stato modificato di
coscienza e si manifesta attraverso automatismi creativi involontari, basati su
gesti meccanici e rapidissimi finalizzati alla rappresentazione artistica.
La psicopittografia è una delle forme (forse la più ricca e interessante) di arte
medianica, anche se questa può includere altre tipologie di manifestazioni
creative, come la scrittura automatica di opere letterarie, oppure l’esecuzione
di composizioni musicali originali, danza o canto, di cui l’individuo si rende
involontariamente ed inconsapevolmente autore e protagonista. Nel caso della
pittura automatica, l’automatismo creativo è caratterizzata da gesti e
movimenti involontari, convulsi e automatici (a volte scomposti, tanto da
destare grande impressione nel pubblico che assiste alle esibizioni), che nulla
hanno a che vedere con le tecniche di esecuzione pittorica e rappresentazione
artistica, normalmente apprese in ambito scolastico, le quali procedono
secondo schemi definiti, riconoscibili e, almeno in parte, prevedibili e
standard, propri di una formazione di tipo accademico. Nella maggior parte
degli artisti medianici sono stati osservati alcuni tipici segnali anticipatori
(detti prodromici o precursori) prima della manifestazione del fenomeno
maggiore, che culmina nella caduta dell’artista nello stato modificato di
coscienza (che conduce alla creazione automatica dell’opera), ovvero una fase
preparatoria caratterizzata dalla comparsa di una serie di sintomi di tipo
psicofisico come parestesia, formicolio o sensazione di bruciore alle braccia
ed alle mani, seguita da visioni e/o allucinazioni visivo-auditive (come luci,
aloni, ombre, suoni, melodie), tremore, sincope o perdita di coscienza
transitoria (PdCT), che danno luogo al manifestarsi degli automatismi creativi
involontari (Cardeña, Lynn, & Krippner, 2000; Lord et al., 2012).
Al momento del verificarsi del fenomeno, il soggetto sembra distaccarsi
progressivamente dalla realtà cadendo in uno stato di trance più o meno vigile
28 | P a g .
(Hageman et al., 2010). In alcuni casi gli artisti medianici sono in grado di
interagire con la realtà circostante, o anche rispondere alle domande dei
testimoni presenti pur rimanendo focalizzati sul processo di creazione
artistica, che procede automaticamente. Il tratto più caratteristico è costituito
dalla rapidità e fluidità nell’esecuzione dell’opera, che appare davvero
sorprendente se confrontata con i tempi normalmente utilizzati da un artista
professionista: è come se il soggetto sapesse esattamente cosa disegnare,
oppure avesse ripetuto tale esercizio il numero di volte necessario a riprodurre
meccanicamente l’opera, conoscendo già in anticipo la direzione delle
pennellate. Infatti, l’abilità di lavorare anche al buio o ad occhi chiusi
suggerisce che l’artista medianico sia dissociato dalla realtà e completamente
assorto nell’osservazione mentale di immagini, che vengono tradotte dal
soggetto in movimenti meccanici e convulsi, in grado di riprodurre lo schema
della visione mentale, guidando l’artista nell’esecuzione dell’opera anche in
assenza di luce, normalmente necessaria ed essenziale in condizioni di
creazione ordinaria (Bryant & McConkey, 1989a, 1989b e 1989c; Blanke et
al., 2002; Cardeña, Iribas, & Reijman, 2012).
Secondo l’ipotesi presentata in questo lavoro di ricerca, che ha evidenziato il
coinvolgimento dei neuroni specchio nei fenomeni di automatismo creativo
caratteristici dell’arte medianica, le dinamiche di interazione tra i processi di
visione mentale e quelli di corrispondente attivazione del sistema
psicomotorio dell’individuo (secondo lo schema funzionale tipico dei neuroni
specchio), renderebbero l’artista, immerso in uno stato modificato di
coscienza, in grado di riprodurre automaticamente le proprie immagini
mentali, come se stesse osservando e ricopiando un oggetto presente davanti
a propri occhi, e ciò può avvenire anche in assenza di luce e in condizioni
impossibili nella normale pratica artistica (Jeannerod, 1994). Infatti, un’altra
caratteristica rilevata nei fenomeni di automatismo creativo è la capacità
dell’artista medianico di dipingere direttamente con le mani o con i piedi,
intingendoli nel colore senza l’ausilio del pennello. In diversi casi, il soggetto
è in grado di realizzare l’opera utilizzando contemporaneamente entrambe le
mani (in maniera del tutto indipendente), lavorando in due punti diversi della
29 | P a g .
tela per poi ricongiungere il tutto in un’unica immagine finale, o addirittura
dipingendo allo stesso tempo due opere diverse, di cui una capovolta e/o
speculare rispetto all’altra (Anton Neto, 2007b).
Come si diceva, nella dinamica della produzione artistica di tipo medianico è
possibile rintracciare uno schema abbastanza preciso, quasi rituale, costituito
da diverse fasi più o meno ricorrenti e precise. Dopo le prime manifestazioni
di sintomi prodromici di natura anticipatoria, la prima fase del fenomeno di
automatismo creativo è caratterizzata da un’esplorazione automatica del
mezzo espressivo, ossia del supporto costituito dal foglio o dalla tela, che di
solito avviene ad occhi chiusi. Si è osservato che in alcuni soggetti si presenta
in maniera “morfogenetica”: gli artisti cominciano la loro opera riempiendo il
supporto con linee libere e caotiche (griffonage), in un processo di creazione
diacronica, ossia distribuito su un arco temporale che può durare anche alcuni
giorni (Peduto & Bersani, 1982). L’opera, che all’inizio assomiglia a un
disegno infantile (para-naïf), o comunque ad una serie di segni insignificanti
tracciati sul foglio o sulla tela (scarabografia), acquista progressivamente una
struttura ben definita e riconoscibile (definita estesiogramma), configurandosi
ed addensandosi in immagini dotate di senso, caratterizzate da composizioni
che possono essere inquadrate tra il decorativo e il figurativo. La
configurazione tipica inizialmente assunta da questi “scarabocchi” è quella del
cerchio o della spirale; il griffonage sembra essere più comune negli artisti che
utilizzano penna e matita, mentre in quelli che utilizzano direttamente il
pennello e i colori prevale la tecnica del pointillisme.
Quando il disegno inizia a strutturarsi per confluire in una rappresentazione
più ordinata e definita, si è notato che l’artista tende a concentrare il suo lavoro
in alcuni punti di confluenza e conglutinazione, ossia attorno a specifici punti
di addensamento e polarizzazione del segno, definiti “centri di evoluzione”,
“centri attrattori” o “centri di condensazione” (Peduto, 1979, p. 121, 126-127),
dove iniziano a svilupparsi figure che diventano progressivamente più definite
e riconoscibili. L’autore non è consapevole né del processo esecutivo, né del
risultato finale, che va autostrutturandosi in modo pressochè automatico,
partendo da una struttura composta da moduli semplici ed elementari, spesso
30 | P a g .
simmetrici, sino ad arrivare a configurazioni via via più complesse. Non
avendo un programma, gli artisti creano secondo un processo di “costruzione
morfogenetica, in cui la forma si autostruttura secondo una logica interna che
si manifesta nel tempo, durante lo sviluppo del disegno. Anziché seguire un
programma preordinato che corrisponde ad un’intuizione globale, essa si
autogenera nel farsi” (Peduto, 1979, pp. 123-124). Ogni artista sembra poi
attestarsi su un genere di creatività stereotipata, rendendo prevedibili le
proprie performance di arte medianica secondo modalità di esecuzione
abbastanza precise e ricorrenti (quasi rituali), ed attestando la propria
produzione artistica su una tipologia di forme e raffigurazioni piuttosto fisse e
ripetitive. In alcuni artisti prevalgono figure umane, in altri paesaggi, in altri
ancora motivi grafico-decorativi con la tendenza alla miniaturizzazione e
duplicazione (a volte ossessiva) degli elementi.
Se si eccettua il perfezionismo stilistico di alcuni pittori medianici, soprattutto
quelli brasiliani (che sono in grado di emulare lo stile dei famosi pittori del
passato), la prime manifestazioni di arte medianica che interessano il soggetto
rappresentano motivi che assomigliano molto alle produzioni naïf, ossia ad
una tipologia di espressione pittorica molto primitiva, spontanea, genuina, a
volte ingenua, che interessa persone non esperte d’arte (a volte pazienti
psichiatrici); in tal caso l’arte prodotta viene classificata come Outsider Art o
Art Brut), molto vicina alle modalità di rappresentazione figurativa dei
bambini, nei quali si riscontra una forma di creatività non filtrata dai processi
di acculturazione e dai condizionamenti sociali: spesso si tratta solo di un
momento di passaggio, nel quale l’artista medianico inizia a manifestare i
primi segnali di un impulso che successivamente si esprimerà in una maniera
più elaborata e compiuta. A livello stilistico-formale, la principale differenza
tra la pittura naïf e quella medianica è che, se nella prima predomina un rifiuto
più o meno consapevole delle regole artistiche, nella seconda l’anormalità non
riguarda le caratteristiche compositive dell’opera. Infatti, “mentre nelle
composizioni naïfs rapporti, prospettive, segno grafico, volumi, accordi di
colore risultano del tutto “sproporzionati”, quasi che si sia verificato un
ribaltamento di valori, nei dipinti e disegni “paranormali” al contrario le
31 | P a g .
cosiddette regole codificate, che costituiscono la base di ogni linguaggio,
vengono in genere rispettate, anche quando i diversi autori si abbandonano sul
piano della pura fantasia e del decorativismo o inseguono visioni esotiche o
del tutto irreali” (Giovetti, 1982, p. 11).
L’anormalità del processo psichico è quindi inerente non ai criteri di
raffigurazione dell’opera d’arte, ma allo schema cognitivo-comportamentale
che caratterizza i fenomeni di automatismo creativo. Tale schema appare
ricorrente nella maggior parte dei casi, essendo costituita dai specifici elementi
ripetitivi e caratteristici: nessuna conoscenza e/o frmazione artistica pregressa,
impulso creativo irresistibile, ritmo esecutivo rapido e convulso, stato
dissociativo (trance o ipnosi), nessuna modifica, correzione o ripensamento.
A tale schema ricorrente, va associata la ripetizione o duplicazione, a volte
ossessiva e maniacale, di specifici motivi grafico-pittorici: simbologie di tipo
mitico,
mistico,
archetipale,
esotico,
esoterico,
magico,
occulto,
“extraterrestre”, spesso indecifrabili (di solito riferibili ad antiche scritture,
come i geroglifici egizi); stilizzazione ornamentale; miniaturizzazione e
duplicazione degli elementi grafici; deformazione dello schema figurativo
(simile a quello rilevabile nei dipinti surrealisti); colori vividi, accesi e vivaci.
Tutti questi elementi danno all’artista medianico la sensazione (o convinzione)
di agire da tramite (o canale di comunicazione) sotto l’influsso di una volontà
estranea alla propria o di un’entità extracorporea: insomma tali individui
sentono di fungere da intermediari (“medium” o sensitivi) tra questa realtà e
una dimensione immateriale, spirituale e ultraterrena (spesso identificata con
l’aldilà), dalla quale proverrebbero messaggi di speranza e conforto per
l’umanità. Per quanto riguarda i contenuti delle opere che non riproducono lo
stile dei grandi artisti del passato (come quelle prodotte dai pittori-medium
brasiliani, che rappresentano un caso a parte), la sensazione di serenità che
emerge abbandonandosi all’impulso creativo medianico fa sì che le modalità
esecutive e di rappresentazione pittorica si stabilizzino progressivamente in
forme fisse, ripetute e stereotipate, quasi come una coazione a ripetere schemi
ricorrenti uguali a se stessi (caratteristica tipica del disturbo ossessivocompulsivo presente in soggetti maniacali), che forniscono all’individuo un
32 | P a g .
senso di tranquillità, protezione e sicurezza (una sorta di “territorio”
conosciuto e già esplorato) rispetto a manifestazioni creative involontarie e
inaspettate, apparentemente prive di una spiegazione logica e al di fuori del
controllo cosciente dell’individuo, le quali incutono timore proprio perché
provenienti da una zona oscura della coscienza. Infatti, la caratteristica della
fissità e uniformità nel tempo fa in modo che lo stile dell’artista sia in qualche
modo “già deciso” sin dai primi quadri (poiché risponde ad una specifica
visione mentale che, secondo l’ipotesi formulata in questo lavoro di ricerca,
verrebbe “proiettata” dai neuroni specchio sul sistema psicomotorio
dell’individuo, che restituirebbe i contenuti di tale visione riproducendola
attraverso meccanismi di automatismo motorio), presentando delle spiccate
somiglianze con le ripetizioni ossessive tipiche degli automatismi isterici o
delle suggestioni post-ipnotiche (che tendono progressivamente a stabilizzarsi
nelle ipnosi successive), ricorrendo in modo ciclico e ripetitivo: “la persona
sembra intrappolata in una sorta di circolarità, che ripercorre l’idea (input)
iniziale” (Peduto, 1979, p. 84).
Tutti i fattori sopra delineati sarebbero dunque in grado di innescare
manifestazioni creative “non-ordinarie” in soggetti neurofisiologicamente
predisposti (e culturalmente condizionati, come si vedrà in seguito),
determinando pertanto l’irruzione improvvisa e inaspettata di capacità creative
apparentemente anomale in persone del tutto comuni e dalla vita ordinaria: le
abilità creative latenti dell’individuo, spesso depotenziate, inibite e reppresse,
irrompono dunque all’improvviso e in maniera inaspettata, rompendo le
barriere razionali imposte dall’Io cosciente.
33 | P a g .
CAPITOLO SECONDO:
IL QUADRO TEORICO ATTUALE
2.1 L’ipotesi parapsicologica o metapsichica
Tale ipotesi sembra essere quella preferita dai circoli medianici e spiritici
(come i Centros brasiliani), così come dagli ambienti mistico-esoterici,
occultistici
o
teosofico-spirituali,
nonchè
dalle
correnti
filosofico-
trascendentali di stampo new age (caratterizzate da una visione olisticototalizzante dell’essere, che coinvolge mente, corpo e spirito nella ricerca del
benessere spirituale dell’uomo), le quali rappresentano una vera e propria
subcultura e/o sistema di credenze di notevole interesse antropologico.
Date le caratteristiche apparentemente paranormali delle manifestazioni di
automatismo creativo, questa ipotesi ha attirato molto (specie in tempi più
recenti) l’attenzione dei mezzi di comunicazione di massa (soprattutto
televisivi), i quali, facendo leva sulle dinamiche di spettacolarizzazione tipiche
del settore, hanno acriticamente evidenziato gli aspetti “non-ordinari” del
fenomeno stesso allo scopo di catturare ampi strati di audience ed attrarre
nuovi proseliti nei gruppi spiritici. Infatti, si è molto parlato delle
performances pubbliche degli artisti medianici brasiliani (divulgate attraverso
numerose trasmissioni televisive in tutto il mondo), i quali sono effettivamente
in grado di esprimersi attraverso lo stile di famosi pittori del passato, proprio
perchè (secondo un’ingenua e diffusa interpretazione popolare) sarebbero
“posseduti” dagli spiriti di questi artisti defunti, che opererebbero attraverso
le mani dell’artista, il quale diventa così un intermediario, un canale di
comunicazione (channeler) con l’entità disincarnata per mezzo della
cosiddetta “personificazione spiritica”. Per inciso, è interessante notare come
34 | P a g .
le “incarnazioni” più frequenti da parte degli spiriti di tali artisti nei mediumpittori brasiliani riguardino con maggior frequenza le figure di Pierre-Auguste
Renoir, Henri de Toulouse-Lautrec ed Amedeo Modigliani.
Gli elementi che impressionano maggiormente l’immaginario collettivo,
fissandosi nella memoria del pubblico che assiste alle esibizioni di pittura
medianica, sono quelli che soddisfano l’atavica esigenza di esplorazione
profonda della spiritualità dell’uomo, ossia gli elementi che attengono alla
sfera del meraviglioso e dell’occulto, nonchè alla dimensione archetipica
dell’essere umano: gli stati di trance più o meno profonda attraverso i quali
operano gli artisti medianici, il repentino cambio di personalità di tali artisti
nel corso della manifestazione degli automatismi creativi, la manifestazione
di un inspiegabile talento artistico in persone del tutto inesperte d’arte,
sembrano effettivamente esprimere, ad una prima impressione, il possesso di
facoltà paranormali da parte degli artisti medianici stessi. In tali individui
infatti, l’emergenza di inspiegabili facoltà creative sotto forma di un’apparente
“psicosi medianica”, si manifesta nella maggior parte dei casi attraverso stati
alterati di coscienza, rendendo l’artista medianico inconsapevole delle proprie
azioni, le quali si manifestano sotto forma di automatismi psichici involontari
che sembrano provenire da una volontà estranea al soggetto coinvolto, il quale
appare dissociato dalla realtà esterna, disconnesso dai propri processi psichici
e del tutto inconsapevole di quanto stia accadendo. Tali modalità di
manifestazione hanno pertanto sempre più avvalorato l’immagine di una
persona dotata di speciali facoltà paranormali, ossia della capacità di entrare
in contatto con una dimensione sovrasensibile ed immateriale, inaccessibile
agli altri individui. E tale figura corrisponde all’immagine popolare del
“medium”, che si è andata diffondendo a partire dall’Ottocento attraverso
l’attività dei circoli spiritici europei tra Londra e Parigi.
L’attenzione ai fenomeni medianici, in particolare alla figura del medium, è
stata oggetto di due specifiche tendenze di studio: quella psicologicopsichiatrica e quella parapsicologica. La prima tipologia di studio, basata su
un atteggiamento più razionale, scientifico ed antispiritistico, ha cercato di
intravedere nelle manifestazioni di arte medianica un riflesso della personalità
35 | P a g .
dell’individuo e delle sue dinamiche psichiche, coinvolgendo insigni studiosi
come Jung, Janet, Binet, Flournoy, Morselli e Lombroso; la seconda, invece,
si è dimostrata più attenta alla presunta natura paranormale di tali fenomeni,
concentrandosi di più sulle modalità di manifestazione fisica dei fenomeni
medianici stessi, piuttosto che sulla psicologia dell’individuo in sè: secondo
tale filone di studi, il medium sarebbe dunque una sorta di “sensitivo”.
Al di fuori di qualunque considerazione di tipo parapsicologico, è importante
comunque notare che il concetto di “sensitività” è in qualche modo affine a
quello di “ipersensibilità” estetica che, secondo l’ipotesi avanzata in questo
lavoro di ricerca, riguarderebbe però l’ambito neuroscientifico: l’artista
medianico è sicuramente un “sensitivo”, ma nel senso che sarebbe dotato di
una specifica sensibilità estetica a livello neurale, cosa che verrà approfondita
più avanti, quando verranno illustrati i risultati della presente ricerca e l’ipotesi
alla quale si è giunti. Una parte considerevole degli studi sui fenomeni di
natura medianica si situa però a cavallo tra le due tipologie di studio sopra
delineate, ossia nell’ambito della cosiddetta “psicologia di confine” o
Anomalistic Psychology. Secondo la tradizione, il pioniere di tali studi fu lo
psicologo tedesco Hans Bender (1907-1991), che nel 1950 fondò a Friburgo
l’IGPP (Istituto per i territori di confine della psicologia e dell’igiene mentale),
ricoprendo poi la cattedra di Parapsicologia presso l’università della stessa
città nel 1954, dove ebbe modo di approfondire scientificamente tali
fenomeni. Il merito di questi studi è certamente stato quello di considerare la
medianità come un fenomeno psicologico globale, aprendo le porte ad uno
studio più serio ed approfondito dei cosiddetti fenomeni paranormali (o
presunti tali), tra cui anche l’arte medianica. Infatti, gli studiosi della
cosiddetta “psicologia di confine” hanno rivolto la loro attenzione ai processi
psicologici ed alla personalità dei soggetti coinvolti nelle manifestazione dei
fenomeni paranormali, concentrandosi in particolare sugli stati modificati di
coscienza, come la trance, gli automatismi inconsci, le visioni allucinatorie
ipnagogiche e le personalità alternanti. Infatti, già nel 1908 lo psichiatra
italiano Giovanni Enrico Morselli faceva notare che, fino ad allora, lo studio
dei medium aveva ignorato del tutto la psicofisiologia e psicopatologia
36 | P a g .
dell’individuo, ossia il legame con le altre attività biopsichiche umane
(Morselli, 1908). In definitiva, era sorta la necessità di indagare la psicogenesi
dei fenomeni di attribuzione medianica, data la sussistenza di significative
analogie tra gli stati medianici ed alcune patologie di tipo psichiatrico, come
ad esempio l’estasi medianica, la trance, il sonnambulismo, l’epilessia e
l’isteria. Tali analogie avevano portato all’ipotesi che gli individui interessati
dai fenomeni medianici o paranormali avessero una “costituzione psichica
anomala” o quantomeno situata agli estremi della scala delle varianti degli
stati psichici. A tal proposito, Morselli faceva notare che in tali individui aveva
luogo una disgregazione dell’apparato psichico, che portava alla separazione
della coscienza superiore (o vigile) da quella inferiore (o subliminare), tale da
indurre quest’ultima a produrre un’attività automatica, senso-motoria ed
immaginativa più intensa, dando luogo alla manifestazione di fenomeni
apparentemente paranormali come quelli medianici. Tale considerazione,
basata sull’ipotesi dell’esistenza di una differente sensibilità biopsichica del
soggetto, presenta diverse analogie con l’ipotesi di tipo neurobiologico alla
quale si è pervenuti in questa ricerca.
Un’altra osservazione interessante sulla psicologia dei medium avanzata da
Morselli era che questi presentavano una narcisistica ostentazione delle
proprie capacità straordinarie, un bisogno quasi irresistibile di farsi ammirare
da tutti, una volontà di esibizione spettacolare che spesso sembravano
nascondere delle astute simulazioni o dissimulazioni (sia consapevoli che
inconscie), che rendevano le manifestazioni medianiche simili a casi di isteria
o schizofrenia, capaci di impressionare e di far presa sull’ingenuità del
pubblico, che non poteva far altro che ammirare una persona dalle doti
apparentemente straordinarie. Lo stato di “ispirazione” che caratterizza tali
manifestazioni (ed il fatto stesso l’artista medianico funga da intermediario
con un’entità spirituale), fa sì che l’artista medianico acquisti autorità e
prestigio sociale agli occhi del pubblico, avvalorando l’interpretazione
paranormale del fenomeno stesso, il quale si manifesta con la platealità e la
suggestività di sintomi evidenti (ed effettivamente impressionanti), quali:
accelerazione del respiro, offuscamento della coscienza, intensa sudorazione,
37 | P a g .
tremori, contrazioni, dissociazione, delirio, stato oniroide, rêverie, veglia
lucida, stato crepuscolare, trance profonda e così via. Tutti sintomi che, a causa
dell’eccezionalità delle loro manifestazioni, basate su un substrato di
disaggregabilità psichica individuale, scuotono o turbano profondamente il
pubblico proprio perchè insorgono spontaneamente e all’improvviso. Le
allucinazioni visive, in particolare, risultano essere un fenomeno molto intenso
e condizionante per lo stesso artista: esse non sono necessariamente un
sintomo di natura psicopatologica, ma possono essere originate da fenomeni
endottici, data la frequente e repentina transizione da condizioni di buio a
quelle di luce. Infatti, nel buio alcune zone del campo visivo possono risultare
fiocamente illuminate, per cui individui dotati di fervida immaginazione
possono credere di percepire degli oggetti indefiniti o delle forme indistinte,
credendole reali (allucinazioni ipnagogiche o ipnopompiche). Lo stesso stato
di ipnosi (o dissociazione creativa), cui ha accesso il soggetto nel corso dei
fenomeni di automatismo creativo spontaneo, definiti come “arte medianica”,
potrebbe condurre al verificarsi di episodi allucinatori o alla percezione di
sintomi di natura simil-ipnoidea (Underwood, 1960; Orne 1959, 1962, 1971 e
1972). Lo stato di “ispirazione” sperimentato dall’artista si configura quindi
come focalizzazione dell’attenzione verso un oggetto specifico sotto forma di
visione mentale o allucinazione, che non coincide con il contenuto della
percezione immediata (o percetto), ma si impossessa del soggetto stesso
spingendolo ad un’azione e/o attività ideomotoria indotta, che si traduce in
gesti motori automatici più o meno coordinati (come scrivere o dipingere),
inconsapevolmente finalizzati alla riproduzione artistica, senza che il soggetto
ne abbia consapevolezza o memoria. La produzione creativa del soggetto
diventa quindi “arte psichica” (o arte visionaria), ovvero una pratica artistica
costituita da “rappresentazioni che sono o uno strumento per il “viaggio” verso
il superamento del visibile, “oltre” l’apparenza del mondo tangibile, oppure la
visione deformata dello stesso artista, una sorta di trasformazione magica della
realtà” (Camilla, 2000). Un’altra condizione che favorisce lo stato dissociativo
è infatti l’attenzione focalizzata, ossia la tendenza del soggetto, in particolari
condizioni, a concentrarsi unicamente su un punto preciso del suo orizzonte
38 | P a g .
percettivo, con la conseguenza di distrarre la coscienza da tutto il resto
(favorendo uno stato dissociativo), rendendola in qualche modo insensibile e
favorendo così le azioni automatiche inconscie ed involontarie, che il soggetto
in seguito dimentica di aver compiuto, come ad esempio dipingere un quadro
o scrivere qualcosa su un foglio: “queste azioni possono assumere carattere
psichico e costituire intelligenze parassite coesistenti fianco a fianco con la
personalità normale che non ne ha sentore” (Binet, 2011). Si fa quindi largo
l’idea di un Io diviso, ossia la possibilità di esistenza di una molteplicità di
coscienze in uno stesso individuo: ciò che, nel caso specifico, è stato definito
“dissociazione creativa” (Grosso, 1997), uno stato di dissociazione che, pur
partendo apparentemente da disfunzioni della sfera psichica (o anche
neurobiochimica), non rappresenta necessariamente uno stato coscienziale di
tipo psicopatologico per il soggetto, proprio perchè lo induce ad un’attivazione
dei processi creativi, che possono manifestarsi in maniera anomala, dando
luogo a fenomeni di creatività non-ordinaria, come gli automatismi esecutivi
propri dell’arte medianica. In questo caso, la dissociazione di tipo creativo,
basata su uno stato di coscienza di tipo trance-ipnotico, non ha affatto una
funzione distruttiva sulla psiche ma, anzi, può rappresentare un dispositivo
fisiologico e strutturante della funzione mentale stessa. Infatti, mentre la
dissociazione puramente patologica è caratterizzata dalla sospensione dei
processi creativi, nonchè dalla scissione della psiche (su cui possono innestarsi
anche gli stati di personalità multiple e il disturbo schizoide di personalità), la
dissociazione creativa permette all’individuo di abitare esperienze mentali
nuove e sempre più complesse, sostenendo l’evoluzione dei processi creativi
e consentendo di vivere nuovi stati del Sè attraverso la creazione di
rappresentazioni nuove della propria interiorità psichica mai sperimentate
prima (Ehrenwald, 1978).
Infine, non deve essere trascurato il fatto che, di solito, il fenomeno dell’arte
medianica non si presenta isolato, ma è accompagnato da altre manifestazioni
di presunta medianità e da fenomeni solitamente definiti paranormali, come
scrittura automatica, chiaroveggenza, telepatia e percezioni extrasensoriali
(ESP); per cui è ipotizzabile uno stretto legame tra esperienze dissociative ed
39 | P a g .
esperienze soggettive di tipo paranormale (Richards, 1991). A tal proposito, è
interessante notare che molti pittori medianici provengono da circoli spiritici
(come i Centros brasiliani), fortemente permeati di medianità e cultura
occultistica di stampo kardeciano (come si vedrà più avanti), e spesso arrivano
alla pittura medianica dopo aver sperimentato la scrittura automatica, fenomeno
che continua ad essere presente anche dopo che il soggetto si è rivelato essere
un pittore medianico (ad esempio, scrivendo messaggi medianici sul retro delle
tele, dopo averle dipinte). Lo studio dei movimenti automatici e inconsci è un
altro tassello del complesso mosaico volto a ricostruire la natura della medianità
artistica: infatti tale studio aveva già evidenziato (sin dalla prima metà
dell’Ottocento) che il pensiero di un’azione da compiere (osservando appunto
l’azione svolgersi nella propria mente) potrebbe indurre i muscoli a muoversi
involontariamente e inconsciamente, senza che vi sia la consapevolezza di tali
movimenti (Blanke et al., 2002), cosa che oggi ha trovato conferma nella
descrizione dei meccanismi di funzionamento dei neuroni specchio e
nell’ipotesi della “simulazione incarnata” (embodied simulation) sviluppata da
Vittorio Gallese (2005): tesi, questa, che sembra avvalorare ancora di più
l’ipotesi relativa alle basi neurobiologiche dell’arte medianica, avanzata nel
presente lavoro di ricerca. I fenomeni di automatismo psicomotorio risultano
essere amplificati quando interviene un altro fattore psicologico, di cui bisogna
tener conto nello studio dei fenomeni di arte medianica, ossia il potere della
suggestione e dell’autosuggestione: grazie ad esso, i movimenti automatici ed
involontari possono organizzarsi in un vero e proprio messaggio, che spesso
viene rivendicato dall’artista medianico per conto di una presunta entità
spirituale, da cui sarebbe guidato nella realizzazione dell’opera d’arte; infatti,
secondo alcuni studi, le credenze paranormali sembrano essere strettamente
correlate ad una predisposizione individuale verso i fenomeni dissociativi, così
come uno stato dissociativo può portare e/o orientare il soggetto a
convincimenti ed autosuggestioni di natura paranormale (Richards, 1991;
Irwin, 1994b). Così come i centri motori del braccio e della mano vengono
isolati dalla coscienza, pur continuando a funzionare in modo automatico
perchè indotti e guidati involontariamente dal pensiero di compiere l’azione,
40 | P a g .
anche l’intenzionalità a comunicare da parte del soggetto provoca
un’eccitazione verbo-motoria, ovvero attiva la componente motoria della
rappresentazione verbale (McPeake, 1968; Hugdahl, 1996; McGuirck et al.,
1998; Blanke et al., 2002). Viceversa, laddove è l’area verbale ad essere isolata
dalla coscienza (attraverso un’ipnosi parziale dell’area verbo-motoria) il
soggetto crede di ricevere messaggi da un’altra entità, mentre in realtà è lui
stesso a produrli. In sintesi, il pensiero rappresenta la parola o l’azione
repressa, che il soggetto in stato modificato di coscienza tende a far
riemergere, materializzandole concretamente sotto forma di opera d’arte o di
percezione di messaggi da parte di un’entità ritenuta estranea al soggetto
stesso, mentre in realtà è il pensiero del soggetto stesso, che autoproferisce il
messaggio. In tal modo, attraverso la disaggregazione psichica e la divisione
della coscienza dell’individuo, viene a crearsi una seconda personalità del
soggetto, che è inconscia, ma viene percepita come reale ed estranea al soggetto
stesso, la quale prende il controllo della prima: ecco quindi che l’artista si sente
“posseduto” da un’altra entità che lo guida nella realizzazione dell’opera d’arte,
incitandolo e dandogli istruzioni, consigli, suggerimenti. La presenza di impulsi
ideosensomotori separati dalla coscienza del soggetto (intesa come
consapevolezza e volontarietà dei processi psichici), creano la sensazione che
l’autore dell’opera non sia l’artista stesso, ma un’altra entità (spesso definita
“spirito-guida”), che va assumendo una propria personalità distinta e caratteri
psicologici propri, avvalorando l’interpretazione medianica diffusa e l’alone di
mistero (ulteriormente spettacolarizzati dai media) che circonda questa
specifica tipologia di manifestazioni creative non-ordinarie. È proprio questa
“seconda personalità” del soggetto che crea l’opera d’arte, adattandosi alle
pulsioni interiori ed alle attese personali dell’artista stesso, condizionate
dell’ambiente culturale in cui egli opera (come è evidente nel caso dei pittori
medianici brasiliani). Ma, qualunque sia la più corretta interpretazione di tali
fenomeni, non è escluso che la loro manifestazione “possa aprire la
comunicazione con sfere dell’inconscio normalmente inaccessibili: canali di
mediazione tra la coscienza e quei territori dell’inconscio da cui forse nascono
le esperienze archetipiche e creative” (Peduto, 1979, p. 250).
41 | P a g .
2.2 L’ipotesi psicoantropologica o etnopsichiatrica
Secondo tale ipotesi, l’arte medianica sarebbe una forma di esperienza
spirituale e/o mistico-religiosa e, in quanto tale, rintracciabile in specifiche
culture o subculture ed in particolari aree geografiche, come ad esempio il
Brasile. Infatti, in questo paese è molto diffusa la cultura spiritica, diretta
emanazione della Santeria, una forma di sincretismo religioso di ascendenza
africana, tipico dei paesi latino-americani, nato dalla fusione tra elementi della
religione cattolica e pratiche di culto proprie della religione tradizionale
animista Yoruba, praticata dagli schiavi africani e dai loro discendenti
deportati nelle Americhe (in particolar modo nei paesi dell’America Latina,
profondamente pervasa dalla cultura creola), che hanno poi dato origine alle
religioni medianiche e alle credenze spiritiche tipicamente afro-brasiliane
come l’Umbanda e il Candomblé o Tambour de Mina (dal nome di una danza
rituale tribale di origine Bantu, basata sul ritmo dei tamburi) e, parallelamente,
alla religione Vudù. Gli elementi specifici di queste forme di culto tipicamente
indigene, che traggono la loro capacità di influenza e suggestione dagli
elementi primordiali, atavici ed archetipici propri dei riti sciamanici, sono
andati poi fondendosi progressivamente, acquistando nuova forza, con la
dottrina filosofico-religiosa dello Spiritismo, elaborata e codificata nel 1857
dal pedagogista e filosofo francese Allan Kardec (pseudonimo di Hippolyte
Léon Denizard Rivail, 1804-1869). La successiva evoluzione di tale corrente
mistico-religiosa, definita Kardecismo (in onore del suo fondatore), ha fatto sì
che sorgessero numerosi associazioni di culto o centri spiritici, dove gli adepti
si riuniscono per praticare ed approfondire la loro dottrina (Hess, 1991;
Lewgoy, 2008). Tali centri di spiritualismo si sono diffusi soprattutto in
Brasile, ad opera dello studioso di spiritismo Adolfo Bezerra de Menezes
(Hess, 1991), nonchè degli scritti “ispirati” del noto medium brasiliano Chico
Xavier (1910-2002), che sarebbero stati dettati dagli spiriti stessi e trascritti
attraverso la psicografia, ovvero la scrittura automatica, andando ad integrare
la dottrina spiritista già codificata da Allan Kardec. Infatti è proprio in Brasile
che lo spiritismo kardeciano ha acquistato un carattere molto più religioso, a
42 | P a g .
causa della fusione tra cattolicesimo popolare, pratiche spiritiche e sistemi di
credenze popolari autoctone, nonchè della sua iniziale assimilazione da parte
delle classi sociali più umili, data la portata di riscatto e di crescita spirituale
individuale insita nella pratica del movimento, attraverso la quale gli adepti
effettuano una sorta di “addestramento mistico” fortemente suggestionante.
Sono infatti sempre più numerosi i gruppi spiritici che si riuniscono in questi
centri di spiritualità (comunemente definiti Centros), tra cui si distinguono la
Sala de Arte Mediúnica “Leonardo Da Vinci” nel quartiere di Campo Grande
a Recife, dove opera il famoso medium-pittore José Jacques Andrade (sordo
dalla nascita), il Grupo Espírita Scheilla a Salvador de Bahía, fondato dal noto
pittore medianico Florêncio Anton Neto ed il Centro de Estudos e
Desenvolvimento Espiritual “Os Caminheiros da Luz” a San Paolo del
Brasile. I medium-pittori appartenenti a tali gruppi spiritici si esibiscono
spesso in performances pubbliche di pittura medianica, “incarnando” lo spirito
di famosi artisti del passato e dando prova di riuscire a realizzare in pochi
minuti, o addirittura decine di secondi (direttamente con le mani o i piedi,
senza l’ausilio di pennelli) dipinti del tutto attribuibili a famose personalità di
artisti scomparsi. Il mondo della ricerca scientifica si è recentemente
interessato alla casistica dei fenomeni psichici di automatismo creativo
riconducibili al condizionamento operato all’interno delle comunità spiritiche
brasiliane, confermando lo stretto legame tra l’influenza esercitata all’interno
di tali comunità ed i fenomeni di absorption e dissociazione creativa che
caratterizzano le produzioni di arte medianica legate alla pratica spiritistica
(Krippner & Wickramasekera, 2008; Krippner & Friedman, 2010). In
particolare, al Dipartimento di Psicologia dell’Università di San Paolo del
Brasile va il merito di aver inaugurato un fecondo filone di studi basato su un
approccio di tipo biopsicosociale e psicoantropologico al fenomeno dell’arte
medianica e degli automatismi creativi culturalmente determinati (Maraldi,
Machado & Zangari, 2010; Maraldi & Krippner, 2013; Maraldi, 2014).
La religione spiritica e medianica brasiliana, attraverso le sue varie
manifestazioni a carattere ritualistico, evidenzia dunque la connessione tra
“medianità”, ossia i fenomeni paranormali di canalizzazione spiritica (o
43 | P a g .
channeling), che in questo caso hanno un’importante valenza spirituale e
mistico-religiosa, ed i processi creativi, che si esprimono appunto attraverso
l’arte medianica per mezzo di creazioni spontanee ed automatiche, talvolta
libere da influenze o imposizioni tecnico-formali e stilistiche: come già detto,
quando le opere non sono attribuibili a famosi artisti del passato, queste
risultano essere in parte simili ad opere di arte psicopatologica o Outsider Art,
ossia prodotte da artisti affetti da disturbi di natura neuropsichiatrica.
Per comprendere il profondo legame tra esperienze culturali, mistico-religiose
e psicologico-artistiche, apparentemente slegate tra loro, Michael Grosso ha
sviluppato il concetto di “dissociazione creativa” (Grosso, 1997). Questo
particolare stato di coscienza rappresenta la capacità della mente di fuggire (in
senso regressivo-difensivo, secondo un approccio di tipo psicoanalitico,
oppure come strategia di coping, o ancora di evitamento (avoidance-oriented),
secondo una visione cognitivo-comportamentale), ma anche trasformare o
trascendere i limiti della coscienza razionale e della realtà ordinaria: infatti il
“medium” è un individuo in grado di comunicare con l’inconscio (che può
essere percepito come dimensione “ultraterrena”) durante la sua permanenza
in uno stato di coscienza di tipo dissociativo, riuscendo a trasformare le sue
visioni mentali in opere d’arte dotate di eccezionale qualità estetica.2
Infatti, molti medium manifestano delle capacità artistico-creative che
trascendono le loro effettive conoscenze o capacità tecnico-artistiche e
stilistiche (Prince, 1964; Victor, 1970; Flournoy, 1994), ed anche altri studi
non direttamente incentrati sulla medianità o sullo spiritismo (Domino et al.,
2002; Pérez-Fabello & Campos, 2011) hanno evidenziato una significativa
correlazione tra dissociazione e creatività artistica, che confermano
l’intuizione di Michael Grosso. In relazione all’insorgenza dello stato di
dissociazione creativa, è però necessario tenere in considerazione l’enorme
influenza esercitata dal contesto sociale, culturale e religioso in cui si
collocano i fenomeni di arte medianica che, nel caso specifico dei medium2
La dissociazione creativa non ha necessariamente una genesi di natura psicopatologica,
anche se potrebbe evolvere verso particolari forme di disordine mentale o di dissociazione
psichica.
44 | P a g .
pittori brasiliani, riveste un’importanza fondamentale e decisiva, data la
potente capacità di suggestione e condizionamento operato sugli artisti, i quali
nella maggior parte dei casi sono membri attivi dei circoli spiritici kardeciani
e si occupano in prima persona di diffondere la cultura dei Centros e le
esperienze di pittura medianica, anche attraverso specifiche sessioni
pubbliche, incontri con gli adepti, nonchè la realizzazione di un genere
letteratura divulgativa. (Denis, 1990; Zanola, 1996; Rufino, 1999; Fernandes,
2002). La suggestionabilità degli adepti metterebbe dunque in atto un processo
di inerzia psichica che andrebbe a rafforzare un comportamento di conformità,
rendendo addirittura possibile la trasmissibilità degli schemi di attivazione
degli automatismi creativi da un adepto all’altro (Braud, 1980).
Il problema della dissociazione creativa assume, quindi, un ruolo molto
importante
nell’ambito
dell’interpretazione
psicoantropologico
ed
etnopsichiatrica del fenomeno dell’arte medianica, in quanto si intreccia
strettamente con le variabili socio-culturali e religiose che influenzano la sfera
psichica dell’individuo; ed il peso di tali variabili può giocare un ruolo
determinante nella differenziazione tra dissociazione patologica e nonpatologica, determinando processi psicologici adattivi e maladattivi nel
soggetto. È lo stesso Michael Grosso ad affermare che i fenomeni dissociativi
sono strettamente legati alla cultura, in base alla quale ciò che appare
frammentazione o disconnessione (secondo un punto di vista di “normalità”
sociale) può essere preludio ad una maggiore completezza o superiore
integrazione in base a particolari contesti (come le comunità spiritiste
kardeciane in Brasile): la dissociazione creativa è, quindi, uno stato di
coscienza paradossale perché può essere distruttiva e ricostruttiva allo stesso
tempo (Grosso, 1997, p. 182). Infatti, secondo alcune filosofie o religioni
(come ad esempio il Buddhismo), l’essere “umani” significa vivere in una
condizione che (secondo i correnti parametri di valutazione ed I normali
standard culturali) potrebbe essere considerata “dissociativa” (o deviante)
rispetto ad una condizione spirituale superiore, verso cui l’individuo aspira o
dovrebbe tendere (Cardeña, 1997, p. 61); poiché tale condizione superiore si
ritrova maggiormente in alcune culture considerate più spirituali anziché in
45 | P a g .
altre, il rapporto tra dissociazione e psicopatologia deve essere valutato alla
luce delle variabili socioculturali, artistiche e religiose riferite al contesto di
appartenenza del soggetto. Infatti, indagando sulle manifestazioni di arte
medianica in paesi fortemente permeati da una cultura religiosa di tipo
spiritista, come il Brasile, una visione troppo “occidentalista” ed etnocentrica
tenderebbe a trascurare l’apporto fondamentale delle suddette variabili alla
comprensione del fenomeno, esponendo al rischio di travisare il reale
significato di quelle manifestazioni “non-ordinarie” di creatività artistica,
come gli automatismi creativi che si esprimono nelle esibizioni di arte
medianica (Krippner, 1997, p. 6): infatti, l’occhio “occidentale” ha spesso
considerato i fenomeni di arte medianica come espressione di disordini di
natura psicopatologica o di una malattia mentale, dei quali sarebbero affetti i
medium-pittori, oppure come un’operazione di falsificazione o un abile trucco
(opportunamente amplificati e spettacolarizzati dai media), messi in atto da
pittori professionisti naturalmente dotati di un eccezionale talento artistico
(una sorta di “fenomeno da baraccone”), allo scopo di accrescere la loro
notorietà, influenza o autorevolezza all’interno dei circoli spiritici di
appartenenza e dell’intera comunità kardeciana, di cui sono membri attivi.
Secondo l’approccio di tipo biopsicosociale elaborato dal Dipartimento di
Psicologia dell’Università di San Paolo del Brasile (Maraldi & Krippner,
2013, pp. 562-568), le esperienze di dissociazione creativa, quali appunto le
manifestazioni di arte medianica, tenderebbero a conformarsi al contesto
storico, sociale e culturale nel quale esse si manifestano: i fattori contestuali
eserciterebbero dunque un enorme condizionamento sui soggetti coinvolti nei
fenomeni di dissociazione creativa, rendendoli particolarmente predisposti a
manifestazioni di creatività “non-ordinaria”, basate prevalentemente su stati
modificati di coscienza, come appunto gli automatismi creativi caratteristici
delle produzioni medianiche. Particolarmente in Brasile, la diffusione del
movimento spiritista kardeciano e la nascita dei centri di spiritualità (Centros),
da cui proviene la maggior parte degli artisti medianici viventi, ha esercitato
una grande influenza ed un intenso condizionamento sugli individui che
sperimentano i fenomeni di automatismo creativo. Addirittura, data la storia
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di persecuzione, emarginazione ed esclusione sociale dei circoli spiritici,
perpetrata dalle autorità statali, dal mondo della medicina e dal clero cattolico,
l’attuale notorietà internazionale di alcuni artisti medianici brasiliani (come
Luiz Antonio Gasparetto, José Jacques Andrade e Florêncio Anton Neto), che
hanno visto riconosciuta la loro arte “spirituale” come oggetto di indagine
scientifica (esibendola addirittura come prova della presunta immortalità
dell’anima), viene ritenuta una storica conquista, resa possibile da anni di
negoziazione sociale tra i medium e le istituzioni che ne vietavano le
manifestazioni pubbliche.
La dissociazione creativa (così come la medianità) sarebbe dunque
disciplinata da una determinata cultura o gruppo sociale (o religioso) di
riferimento, che provvede a stabilire le regole di base delle sue manifestazioni.
Infatti nei centri spiritici brasiliani, gli artisti medianici imparano a controllare
i propri “poteri” e le proprie esperienze spiritiche, ma soprattutto il proprio
stato dissociativo, interpretandolo secondo un preciso quadro normativo di
credenze e valori di riferimento, discutendo di questo stato di coscienza con
altri medium e frequentando corsi che aiutano a sviluppare ulteriormente le
loro potenzialità creative, imparando a stimolare, attivare e controllare le
esperienze di dissociazione creativa secondo schemi ben precisi di
comportamento ritualizzato. Sono poi gli stessi gruppi spiritisti a legittimare
l’esperienza dell’artista medianico, che agirà per soddisfare le aspettative dei
gruppi stessi, mettendo in moto un meccanismo di condizionamento ed
autosuggestione: infatti per tali gruppi l’esperienza vissuta dai medium-artisti
non è sintomo di una malattia psichiatrica, ma un vero e proprio rituale di
comunicazione tra i vivi e i morti, il cui tramite o intermediario (channeler) è
appunto l’artista medianico.
Questo processo ritualizzato è ben visibile nelle esibizioni o performance
pubbliche di arte medianica, che assomigliano a vere e proprie cerimonie,
simili a riti comunitari o a delle liturgie, che a volte assumono la coloritura di
spettacoli di folklore. Lo schema rituale è infatti sempre uguale: l’artista si
avvicina al materiale artistico necessario e lo pone in un certo ordine, dando
istruzioni a una o due giovani donne che hanno il compito di aiutarlo; poi si
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prepara mentalmente attraverso la preghiera, che ha lo scopo di evocare gli
spiriti degli artisti scomparsi, affinchè operino attraverso di lui, dando prova
alla comunità dell’esistenza di una vita oltre la morte e fornendo un messaggio
spirituale di speranza nell’aldilà. Tale comportamento ritualizzato, che ha
l’obiettivo di spettacolarizzare l’evento prodigioso (oltre che di legittimare le
proprie convinzioni e la propria identità di medium, ma soprattutto alimentare
le credenze della comunità e del pubblico nell’aldilà), mette in evidenza la
scenicità della performance, oltre che la particolare postura e gestualità
dell’artista, che non appare affatto un estraneo (proprio perchè è in grado di
provocare coscientemente il manifestarsi del fenomeno medianico, secondo
un rituale ben preciso, basato su specifici meccanismi già prestabiliti), ma
agisce come un individuo già abituato alla costante ripetizione di tale pratica
religiosa. Pertanto, data la “premeditazione” delle manifestazioni creative
dell’artista medianico, non si può parlare di malattia psichiatrica o di disturbo
psicopatologico, ma di controllo cosciente e ritualizzato sul manifestarsi del
fenomeno, anche se poi, una volta richiamata la condizione di attivazione
attraverso l’induzione di uno stato di coscienza modificato, gli automatismi
creativi emergono spontaneamente, manifestandosi attraverso movimenti
meccanici ed automatici, in grado di creare opere d’arte con grande rapidità.
L’eccezionale velocità e fluidità di esecuzione delle opere (che è però una
caratteristica manifestata anche dai soggetti psichiatrici) determina infatti un
forte impatto emotivo sul pubblico, impressionandolo al punto tale da
spingerlo a credere nell’esistenza di una dimensione trascendente e spirituale,
di cui l’artista medianico è emanazione ed incarnazione vivente.
Una ricerca condotta per mezzo delle tecniche di neuroimaging su alcuni
medium in stato di trance (ossia in stato di profondo assorbimento
dissociativo), ha addirittura evidenziato che, a livello di attivazione cerebrale,
esiste una differenza misurabile tra medium principianti e medium esperti, a
testimonianza che la “la dissociazione creativa” può essere una competenza
insegnata o sviluppata in qualche modo all’interno delle comunità spiritiste
(che fungono da “incubatori” di tale capacità, rendendole addirittura
trasmissibili tra i vari individui), le quali sottoporrebbero gli adepti ad un vero
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e proprio “addestramento mistico” (o training spiritico) in grado di provocare,
stimolare o indurre l’attivazione dei fenomeni di automatismo creativo.
Nonostante i patterns di funzionalità cerebrale abbiano rilevato un tracciato
per certi versi simile a quello dei pazienti schizofrenici, è lecito supporre che
esistano delle pratiche in grado di preservare gli adepti da rischi di
dissociazione patologica, ad esempio utilizzando tecniche e/o metodi di
prevenzione, autoregolamentazione e controllo degli stati di coscienza indotti
dalle pratiche religiose e spirituali (Peres et al., 2012).
L’arte medianica (e la stessa figura dell’artista medianico) rivestono
un’importante funzione sociale all’interno della comunità, adempiendo anche
ad una funzione terapeutica e di guarigione spirituale per gli individui che
assistono all’esibizione (Rufino, 1999): all’interno delle comunità spiritiche
brasiliane l’individuo sceglie volontariamente il suo percorso di medianità e
la sua missione spirituale, come se fosse una vera e propria professione
riconosciuta ed accettata dalla comunità, la quale provvede a legittimarla
socialmente, preservando in tal modo l’identità di gruppo e la struttura delle
sue credenze dottrinali. Egli diventa testimone e messaggero di un mondo
spirituale, nonchè tramite tra il mondo dei vivi e quello dei morti.
L’attribuzione delle opere d’arte prodotte dagli artisti medianici a famosi
artisti scomparsi dipende principalmente dall’involontarietà del fenomeno,
ossia dal fatto che il fenomeno, una volta attivato, si verifichi attraverso uno
stato modificato di coscienza caratterizzato dall’inconsapevolezza dell’artista
medianico e dalla difformità degli schemi comportamentali manifestati dal
soggetto nel corso del fenomeno rispetto a quelli abitudinari appartenenti alla
sua vita ordinaria (assenza di una formazione artistica o di esperienze estetiche
pregresse, mancanza di controllo della gestualità motoria, inconsapevolezza
del processo creativo e dei contenuti artistici prodotti), avvalorando ancora di
più la credenza nella prodigiosità del fenomeno o in un intervento esterno di
natura spiritica e trascendente (Eisenbeiss & Hassler, 2006).
Per quanto attiene specificamente al contesto brasiliano, il quadro sopra
delineato è filtrato dal sistema di credenze paranormali che caratterizza
l’universo spiritico kardeciano, che influenza, suggestiona e condiziona i
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medium-pittori. A rafforzare tale quadro di suggestione contribuisce, molto
spesso, il vissuto degli stessi artisti medianici, caratterizzato da esperienze di
bassa autostima stratificatesi e rafforzatesi nel corso dell’infanzia (che di per
sè fanno già parte del DNA culturale brasiliano), caratterizzate da repressione
o assenza di stimoli sociali adeguati, mancanza di incoraggiamento nello
sviluppo delle proprie capacità e di fiducia in se stessi, educazione autoritaria
e violenta, le quali inibiscono l’attribuzione a se stessi di doti eccezionali: il
soggetto, avendo un limitato concetto di sè e non sentendosi all’altezza dei
fenomeni straordinari da lui prodotti, evita di attribuire a se stesso le opere
prodotte attraverso capacità creative al di fuori dell’ordinario, rafforzando la
propria credenza in un intervento di natura paranormale da parte di entità
spiritiche disincarnate, che agirebbero servendosi della sua persona. La
suggestione diventa talmente forte da provocare nel soggetto l’irruzione di
abilità creative latenti sotto forma di automatismi psicomotori, che
attecchiscono nell’individuo laddove esistono innate tendenze dissociative, le
quali vanno ad innestarsi su un quadro socio-culturale caratterizzato da un
sistema di credenze paranormali, tipiche del contesto spiritico brasiliano.
Infatti i fenomeni dissociativi che caratterizzano le manifestazioni di arte
medianica e gli automatismi psicomotori attraverso cui si esprimono, non
possono essere adeguatamente spiegati in termini di separazione tra
manifestazioni cognitive (o psicoformi) e manifestazioni somatoformi, dato
che la dissociazione cognitiva si basa su processi che coinvolgono la sfera
neuro-psicofisiologica nel suo insieme e che sono oggettivamente misurabili
(Nijenhuis, 2000). I sintomi di depersonalizzazione che si verificano nel
soggetto, che costituiscono un tipico tratto dissociativo, accrescono la
tendenza (sia da parte dell’individuo che della comunità) ad attribuire i
fenomeni di automatismo creativo ad entità “spirituali” estranee al soggetto,
avvalorando ancora di più la spiegazione paranormale dei fenomeni di
automatismo creativo, propri dell’arte medianica.
Una volta stabilito che la dissociazione non è necessariamente un fenomeno
psichico di natura psicopatologica e che i fenomeni dissociativi possono essere
indotti dal contesto socio-culturale ed antropologico di appartenenza del
50 | P a g .
soggetto (che nelle comunità spiritiche sceglie volontariamente di essere un
artista medianico), si può facilmente comprendere come il contesto religioso
brasiliano, fortemente permeato di cultura spiritista, possa aver contribuito alla
stimolazione e/o attivazione di tali fenomeni di espressione creativa in
individui particolarmente predisposti e sensibili a dati di natura estetica. Più
avanti, nel capitolo riservato alla presentazione dell’ipotesi cui si è pervenuti
attraverso il nostro lavoro di ricerca, illustreremo la natura neurobiologica di
tale “ipersensibilità” al dato estetico, individuando nei meccanismi funzionali
dei neuroni specchio la possibile causa dei fenomeni di automatismo creativo,
propri dell’arte medianica. Per ora, il dato che ci interessa fissare è che la
manifestazione di alcuni fenomeni psichici ritenuti “anomali” o anormali,
ossia
non
riconducibili
a
categorie
psicologiche
o
psichiatriche
universalmente note, riconosciute e condivise, può essere strettamente
collegata all’ambiente culturale di insorgenza dei fenomeni stessi: si tratta
pertanto di fenomeni o esperienze “di confine” (borderline), che vanno
studiati ricorrendo ad una diversa metodologia di indagine, più incentrata sugli
aspetti endemici di natura etnoculturale, come quella utilizzata dal nuovo
settore di studi che va sotto il nome di etnopsichiatria o antropologia
psicologica (Leff, 1992; Nathan, 1996; Coppo, 1999).
Nel caso della pittura medianica in Brasile (detta anche pittura spiritica o
psicopittografia), è chiara l’influenza del contesto religioso autoctono, ossia
quello spiritico-kardeciano, così ricco di credenze e rituali da condizionare
anche le modalità di espressione ed estrinsecazione dei processi creativi, che
diventano così esperienze psico-estetiche di confine, data la natura
eccezionale delle loro manifestazioni. In tale contesto, l’arte medianica si
configura come una vera e propria categoria di esperienza religiosa ed un
evidente esempio di dissociazione creativa, in quanto fonde insieme arte e
religione in un mix potentemente suggestionante per l’individuo, che di norma
è un adepto di qualcuno dei numerosi circoli spiritici (o Centros). Questa
esperienza dissociativa a carattere mistico-religioso si fonda sulla supposta
capacità del medium-pittore di fungere da tramite (o intermediario) attraverso
cui i famosi artisti del passato, ormai defunti, possono continuare a realizzare
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le loro opere d’arte, provando la loro sopravvivenza del loro spirito oltre la
morte: è determinante in questo caso la convinzione (o autosuggestione) di
essere “posseduti” dallo spirito del famoso artista che si esprime attraverso il
medium-pittore, il quale assume su di sè le capacità creative dell’artista
defunto, addirittura siglando il quadro con la sua firma autografa originaria (si
pensi al famoso monogramma di Toulouse-Lautrec, usato come firma nei suoi
quadri, riprodotto da vari artisti medianici che incarnano il pittore francese).
Inoltre, è importante considerare che la suggestione ed il condizionamento
esercitati all’interno delle comunità spiritiche (che fungono da veri e propri
incubatori delle capacità artistiche dei pittori medianici e da induttori della
trance medianica), possono determinare l’insorgenza del disturbo disturbo
dissociativo dell’identità (o disturbo di personalità multipla) in soggetti
suscettibili o predisposti a tale patologia psichiatrica, determinando
nell’artista medianico il cambiamento automatico (o trasformazione) di
personalità ed il passaggio da una identità artistica all’altra (Bahnson & Smith,
1975; Braude, 1995): attraverso le suggestive performances pubbliche degli
artisti medianici brasiliani, capaci di “incarnare”, nell’ambito della stessa
seduta di arte medianica, differenti identità spiritihe di famosi artisti del
passato, si sono affermati alcuni casi di rilevanza internazionale, ampiamente
notiziati dai media, come quelli dei pittori medianici Florêncio Anton Neto,
Luiz Antonio Gasparetto e José Jacques Andrade.
Sono state date varie giustificazioni al motivo per cui famosi pittori del passato
dovrebbero manifestarsi attraverso le esibizioni pubbliche dei pittori
medianici, tra cui quella di avvalorare (attraverso la fama e l’autorevolezza di
nomi famosi) l’esistenza di un’altra dimensione dopo la morte, dove lo spirito
del defunto continuerebbe a sopravvivere: la firma autografa del grande artista
permetterebbe di confermare la sua identità post mortem, lasciando un
messaggio di consolazione e speranza per i vivi, ossia di credenza in un aldilà.
A volte la dimensione spirituale di cui i medium-pittori sarebbero testimoni
viene raffigurata in termini più astratti e meno figurativi, ma in questi casi i
dipinti potrebbero prestarsi ad interpretazioni troppo vaghe ed aleatorie per
poter confermare la scientificità del fenomeno, oltre a non permettere di
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evidenziare alcuna particolare capacità artistica al di fuori dell’ordinario
(Thévoz, 1990). In effetti, ad una prima impressione, questi fenomeni di
creatività artistica non-ordinaria sembrerebbero contraddire alcuni principi sia
di natura fisica, che biologica o psicologica e, per essere accettati,
imporrebbero una revisione delle tradizionali teorie scientifiche. Dato che ciò
risulta difficile, ecco che viene loro assegnato in maniera sbrigativa ed acritica
lo status di fenomeni trascendenti o paranormali (Zusne & Jones, 1989),
inquadrandoli sotto l’etichetta di “medianità”, alla stregua di altri fenomeni
coma le precognizione o la telepatia: comprendere, attraverso uno studio più
rigoroso e scientificamente ispirato, il fenomeno dell’arte medianica, potrebbe
dunque aiutarci a comprendere meglio le potenzialità creative del nostro
cervello, ossia la condizione psicologica (e neurobiochimica) che provoca la
genesi dell’ispirazione artistica.
In ogni caso, i concetti di “medianità” e di “automatismo psichico” non sono
avulsi dalle modalità espressive di alcuni movimenti artistici, primo fra tutti il
Surrealismo. Infatti, nel Primo Manifesto Surrealista pubblicato nel 1924 da
André Beton, il movimento avanguardista (cui aderì, tra gli altri, anche
Salvador Dalí), viene definito come “automatismo psichico puro mediante il
quale ci si propone di esprimere, sia verbalmente, sia per iscritto o in altre
maniere, il funzionamento reale del pensiero, in assenza di qualsiasi controllo
esercitato dalla ragione, al di fuori di ogni preoccupazione estetica o morale”
(Breton, 1924): per la prima volta il processo di creatività artistica viene
espressamente collegato (o meglio subordinato) sia al mondo dell’inconscio,
sia ad una dimensione psichica in grado di determinare la manifestazione di
fenomeni difficilmente spiegabili attraverso le teorie scientifiche tradizionali:
con il Surrealismo si assiste al tentativo programmatico di fondare una vera e
propria cultura della dissociazione creativa (Galetta, 2016). Infatti, artisti
come André Masson e Joan Miró utilizzarono l’automatismo psichico come
modalità di produzione creativa, equiparando le loro opere a quelle prodotte
dai medium.
Il contesto culturale brasiliano, pervaso dal culto e dalle pratiche spiritistiche
di stampo kardeciano, diffusesi attraverso le attività sociali dei Centros ed
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accompagnate dalle frequenti esibizioni pubbliche degli artisti medianici in
vari paesi del mondo (alle quali è stato dato ampio risalto dai mezzi di
comunicazioni di massa, specie nell’ambito di trasmissioni televisive dedicate
ai fenomeni occulti e paranormali), ha portato alla “normalizzazione
culturale” della trance medianica, ossia quel particolare stato di coscienza
attraverso cui si manifesta la creatività degli artisti medianici: infatti, questa
esperienza psichica si situa all’interno del continuum di esperienze tra i due
estremi di normalità e anormalità che caratterizzano la dissociazione, la quale
di per sé rappresenta l’elemento costitutivo di qualsiasi tipo di trance (Peters
& Price-Williams, 1983). La dissociazione, in questo caso, costituisce un
dispositivo psicobiologico universale al pari di una funzione vitale, e non va
affatto
confusa
con
la
dissociazione
di
tipo
psicopatologico
o
neuropsichiatrico (Lapassade, 1996). In virtù di questa sua caratterizzazione
normale ed antipsichiatrica, la trance (o transe, secondo l’etimologia del verbo
latino transire, come preferito da alcuni autori, utilizzata al fine di accentuarne
il significato di “passaggio” da uno stato all’altro della coscienza,
contrariamente ad un’interpretazione medianica e spiritistica del termine) può
attivarsi “spontaneamente durante ogni momento di intensa sollecitazione
emotiva, in situazione di stress come in ogni partecipazione affettiva,
nell’innamoramento, nell’orgasmo, nel vissuto di disagio o di malattia, in ogni
ricordo, illuminazione, intuizione, ed esumazione archetipica, in ogni
esperienza meditativa e soprattutto in ogni esperienza creativa più o meno
importante del nostro vissuto quotidiano” (Ampolo & Carretta, 2005, p. 21).
Nell’ambito di una possibile classificazione degli stati modificati di coscienza,
la trance può essere quindi considerata uno stato modificato di coscienza
culturalmente elaborato, basato sul superamento della realtà percettiva
finalizzata alla costruzione di un presunto passaggio a (o contatto con) una
dimensione trascendente da parte dell’individuo (Belli, 2000). In tale
prospettiva, la trance medianica sperimentata dal medium-pittore può essere
accomunata, da un punto di vista antropologico, alle visioni sciamaniche,
all’estasi mistica o alla possessione spiritica. Il superamento della realtà
sensibile (ossia basata sulla percezione dei sensi umani) attraverso
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l’alterazione della coscienza, è stato oggetto di diversi studi scientifici
(Bourguignon, 1983; Lapassade, 1980, 1993, 1996 e 1997), i quali hanno
evidenziato la forza insita nel condizionamento culturale, in grado di
modificare lo stato coscienza di un soggetto psicologicamente o
neurobiologicamente predisposto, determinando l’insorgenza di fenomeni
creativi apparentemente al di fuori dall’ordinario, ovvero difficilmente
spiegabili dal punto di vista scientifico, come appunto l’arte medianica. Del
resto, la possibilità che i condizionamenti culturali e le suggestioni misticoreligiose, esercitate sull’individuo dal contesto sociale e antropologico di
riferimento, possano influenzare la stessa biochimica del cervello umano è
stata già appurata nel corso di precedenti ricerche (Davidson & Davidson,
1980; Mandell, 1980, pp. 379-464).
La possibilità che lo stato ordinario di coscienza sia solo uno tra i tanti stati di
coscienza possibili, è un’ipotesi presa in considerazione da alcuni studiosi sin
dagli anni Settanta (Maslow, 1971; Tart, 1972), determinando quel settore di
ricerca noto come “psicologia transpersonale”, che ha avuto il merito di
reinterpretare le cause di alcuni nevrosi e psicosi difficilmente inquadrabili dal
punto di vista clinico. Secondo tale prospettiva di ricerca psicologica, può
essere considerata come “transpersonale” ogni esperienza o manifestazione
psichica che supera la barriera della personalità individuale, includendo in tale
definizione tutte quelle esperienze non-ordinarie, anomale o di confine,
definite a vario titolo spiritiche, mistiche, ascetiche, magiche o medianiche,
ammettendo addirittura una possibile influenza o trasmissibilità di tali
manifestazioni a livello biologico-genetico, secondo una prospettiva di tipo
psicologico-transpersonale (Braud & Schlitz, 1989; MacDonald et al., 1995;
Ianneo, 1999; Jouxtel, 2010). Ecco spiegata la concentrazione dei fenomeni di
automatismo creativo nelle comunità spiritiche kardeciane in Brasile, dove
opera attualmente la maggior parte degli artisti medianici viventi: in tali
comunità sembra operarsi un contagio (o travaso) di capacità medianiche da
un individuo all’altro, confermando il fatto che queste comunità agiscono da
veri e propri incubatori di capacità creative di natura non-ordinaria.
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Come affermato da Kalweit, la psicologia transpersonale è “una scienza che
studia gli aspetti della mente umana fin qui trascurati dalle teorie classiche,
con metodi nuovi e più lungimiranti. Essa afferma che nella coscienza
dell’essere umano esistono facoltà che non possono essere adeguatamente
spiegate dalle teorie del comportamento o dalla psicanalisi o dalla psicologia
del profondo” (Kalweit, 1996, p. 234). Tale prospettiva, che ammette la
possibile trasmissività dei processi coscienziali di natura non-ordinaria
elaborati dalla mente umana, permette quindi di dare una spiegazione ad
esperienze psichiche, prima considerate patologiche, inquadrandole come
forme diverse di manifestazione della coscienza, differenziando le psicosi da
quegli stati che rappresentano l’espressione di capacità straordinarie e latenti
della mente umana: l’arte medianica sarebbe dunque solo uno dei possibili
stati di coscienza “non-ordinari” che l’individuo è in grado di sperimentare.
Sono i processi di elaborazione culturale che permettono di istituzionalizzare
e normalizzare gli stati modificati di coscienza, integrandoli in forme
ritualizzate (e trasmissibili da un adepto all’altro), come appunto le esibizioni
pubbliche di arte medianica dei pittori-medium brasiliani. In tali contesti
istituzionalizzati di esibizione pubblica, questi attori sono in grado di
modificare le loro facoltà mentali e cognitive, rendendole capaci di funzionare
in modo anomalo ed apparentemente straordinario e di attivare potenzialità
creative latenti, facendo grande presa sull’immaginario collettivo (Braud &
Schlitz, 1989). Infatti, la suggestione esercitata sulla comunità, che diventa
testimone dell’evento, è in gran parte determinata dalla platealità delle sessioni
di arte
medianica
e dalla dimensione
“teatrale”
(opportunamente
drammatizzata) del contesto di esibizione. Sulla base dell’ipotesi presentata in
questo lavoro di ricerca, riteniamo però che, affinchè possa verificarsi una
modificazione dello stato di coscienza ordinario, dando luogo ai fenomeni di
arte medianica, le sole determinanti culturali non bastino ad attivare gli
automatismi creativi, ma è necessario che il soggetto sia biologicamente
equipaggiato di uno specifico asset neurale in grado di attivare la
“commutazione” psichica: tale equipaggiamento è stato da noi individuato nei
neuroni specchio, ossia in un fattore biologico comune a tutti gli esseri umani,
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e dunque potenzialmente universale indipendentemente dalla cultura di
appartenenza dei soggetti coinvolti nel fenomeno. Solo in tal modo è possibile
spiegare perché l’arte medianica possa manifestarsi anche in contesti culturali
diversi dalla tradizione spiritistico-medianica brasiliana, come quelli europei
(dove anche l’Italia annovera numerosi casi di artisti medianici): infatti, per
questioni di specificità scientifica, la psicoantropologia è maggiormente
orientata a rintracciare le sue spiegazioni in specifici contesti culturali di
riferimento, dove la ritualizzazione ed istituzionalizzazione di esperienze di
stati modificati di coscienza, come la trance medianica, ha una sua ragione
d’essere. Nel corso dello studio dei casi presi in esame, si è comunque notato
uno spiccato ritualismo delle manifestazioni di arte medianica. Infatti, nel caso
dei medium-pittori brasiliani attivi nei circoli kardeciani, come si diceva, si
assiste a vere e proprie cerimonie preparatorie, di natura rituale, in parte simili
a quelle praticate dai pittori braminici indiani (Maduro, 1976), cui
accenneremo più avanti. Ma, mentre nel caso dei pittori indiani tale rito di
preparazione è individuale, ossia compiuto in maniera intimistica dal solo
artista senza il coinvolgimento della comunità, nel caso dei pittori brasiliani
diventa un rito collettivo, basato su canti, preghiere ed invocazioni agli spiriti
che coinvolgono tutto il gruppo presente all’esibizione. Questi riti collettivi di
preparazione culminano poi nell’”incorporazione” dello spirito dell’artista
defunto nel medium-pittore, che cade in trance. Nel caso del pittore medianico
brasiliano José Jacques Andrade, ad esempio, si è osservato il soggetto entrare
in uno stato di totale assorbimento; il pittore ha poi iniziato a dipingere due
tele contemporaneamente, immergendo le mani in barattoli di pittura e
rappresentando ritratti, paesaggi e nature morte nello stile di Monet e Cézanne.
Al di là dei fattori neurobiologici di natura universale, che determinerebbero
l’insorgenza del fenomeno dell’arte medianica, le differenti espressioni del
fenomeno riscontrabili nelle varie culture dipendono senz’altro, come si è già
detto, dall’influenza e dal condizionamento esercitato dai fattori socioculturali e religiosi. Infatti, come già affermato da Rudowicz (2003),
l’espressione creativa è un fenomeno umano universale saldamente fondato
sulla cultura. Ciò significa che l’atto creativo è espressione di un luogo e di un
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tempo culturale definiti: ogni popolo esprime attraverso l’arte la propria
cultura di riferimento in un determinato momento storico, dando luogo a
manifestazioni di creatività artistica peculiari e diverse. Allo stesso tempo,
l’atto creativo esprime il patrimonio psicosociale di ciascun individuo, il quale
è fortemente condizionato dalla propria cultura di appartenenza, così come dal
proprio credo religioso e dalle proprie esperienze spirituali.
Un’interessante testimonianza della concezione mistico-sacrale dell’arte quale
manifestazione della creatività umana ispirata dalla divinità, ponte di contatto
tra la realtà materiale e una dimensione spirituale ed ultraterrena, è quella
fornita dagli studi di Renaldo Maduro sulla comunità di pittori indiani di
religione hindu (Maduro, 1976)3. Secondo la concezione basata sul testo
filosofico-mistico dello Yoga Sūtra,4 il processo creativo si fonda su un
modello ascetico a quattro stadi. Nel primo stadio, preparatorio rispetto
all’atto creativo, l’artista, raccogliendosi in meditazione, cerca di mettersi in
contatto in maniera cosciente e consapevole con la parte più profonda della
mente; in un secondo momento egli tenta un distacco simbolico del suo io
cosciente dalla realtà materiale, bruciando incenso e invocando Vishvakarma,
dio della creatività, per ricevere l’ispirazione: egli cerca, cioè, di indurre uno
stato dissociativo che favorisca la creatività (Lutz et al., 2004). Nel secondo
stadio l’artista si proietta mentalmente nell’oggetto di rappresentazione del
proprio dipinto, identificandosi con la sua materia. Nel terzo stadio l’artista
riceve l’illuminazione (insight), che corrisponde ad una sorta di intuizione
La comunità studiata dall’antropologo, psicologo e psicanalista Renaldo J. Maduro (19421988) è quella dei pittori Mewari del villaggio di Nathdwara, nel sud-ovest del Rajasthan
(distretto di Udaipur), dove si trova il tempio di Shri Natjhi. Tale comunità rappresenta una
vera e propria casta distinta dalle altre, la cui appartenenza è determinata dalla nascita.
Questa comunità produce un tipo di pittura religiosa, denominata appunto Mewari, basata
sulle sacre scritture hindu ed usata a scopo rituale, che viene venduta ai pellegrini che si
recano in visita al tempio. Questa comunità vive isolata e mantiene sporadici contatti con il
resto della popolazione locale: l’isolamento determinerebbe lo sviluppo di una personalità
poco socializzata ed incline al distacco dall’ambiente sociale, con una spiccata tendenza ai
disturbi dissociativi.
3
Lo Yoga Sūtra è una raccolta di 196 aforismi scritti dal filosofo Patañjali nel II secolo a.C.
e rappresenta il testo mistico fondamentale alla base della filosofia ascetica e meditativa
dello Yoga darśana, uno dei sei sistemi dell’ortodossia induista.
4
58 | P a g .
creativa, che si materializza nel quarto stadio, ossia la condivisione sociale
della propria opera attraverso la sua creazione materiale.
A differenza della concezione spiritista dei fenomeni di arte medianica operata
dai circoli kardeciani in Brasile, l’approccio utilizzato dei pittori indiani, oltre
a evidenziare una concezione mistico-sacrale dell’arte, è esemplificativa del
processo creativo messo in atto dalle culture orientali, basato sulla
meditazione e sull’ascetismo mistico attraverso cui l’artista cerca di
connettersi intimamente con l’essenza (o spirito) dell’oggetto della
rappresentazione artistica, allo scopo di raggiungere l’ispirazione (o
illuminazione). In questo sforzo psicologico di proiezione mentale, intrisa di
misticismo olistico, basato su un flusso ininterrotto di impressioni sensoriali e
immagini derivanti da una concentrazione immersiva sull’oggetto, si assiste
al distacco dell’artista dal mondo esterno, ossia alla ricerca di uno stato di
dissociazione creativa, di depersonalizzazione e derealizzazione, di proiezione
extracorporea ed immersione olistico-totalizzante nell’oggetto fisico della
rappresentazione artistica. Il modello orientale del processo creativo si
concentra dunque sulla dimensione spirituale, sull’intuizione e sulle
dinamiche intrapsichiche messe in atto dal soggetto, il quale deve dissociarsi
dal proprio io per identificarsi con l’oggetto della rappresentazione (Chu,
1970), a differenza del modello occidentale, più logico e razionale, focalizzato
sulla
ricerca
dell’innovazione
e
sull’originalità
dell’oggetto
della
rappresentazione e, dunque, ad orientamento prettamente cognitivo sebbene
non del tutto privo di riferimenti inconsci (Wonder e Blake, 1992).
Il contesto di ispirazione mistica, favorito dall’isolamento dell’artista
dall’ambiente sociale, nel quale la religione esercita un condizionamento
psicologico determinante, permette agli artisti hindu di sviluppare un
particolare modello di creatività artistica associato ad una personalità psicotica
con spiccate tendenze dissociative, determinato appunto dalla condizione di
isolamento e di pratica mistico-ascetica (Bagchi, 1971). In questo caso il
contesto sociale e la cultura religiosa (basata su credenze popolari e
sull’ascetismo mistico hindu) modificano la personalità dell’artista, che
attraverso un processo di autosuggestione arriverebbe a sviluppare la
59 | P a g .
convinzione profonda di essere uno strumento di intermediazione con la
divinità. Tale consapevolezza riceverebbe credito da parte della comunità di
appartenenza,
rafforzando
l’autoconvinzione
dell’artista.
È
inoltre
interessante notare un’analogia tra la fase mistica dell’invocazione della
divinità, tesa ad indurre lo stato di dissociazione creativa che permetterebbe ai
pittori indiani di “uscire” dal proprio corpo per proiettarsi nell’oggetto della
rappresentazione artistica, e lo stato di “trance estetica” dei medium-pittori
brasiliani, tesa a creare il contatto con l’entità spiritica disincarnata che dovrà
manifestarsi attraverso la creazione medianica per mano dell’artista
medianico. La base mistico-religiosa della pratica dell’arte medianica in
Brasile implica inoltre un aspetto psicoterapeutico legato al particolare
contesto in cui il pubblico assiste alle performance artistiche (Rufino, 1999).
Infatti i partecipanti, raccolti in un clima di preghiera in un ambiente
fortemente autosuggestionante, traggono giovamento dalle esibizioni
pittoriche degli artisti medianici, proprio perché l’artista è ritenuto essere un
medium, ossia un tramite con il mondo dei trapassati. Tale esperienza di tipo
mistico, spettacolarizzata in sessioni pubbliche attraverso precisi schemi
rituali, per mezzo dei quali i fenomeni di automatismo creativo vengono
presentati come eventi miracolosi di natura prodigiosa e soprannaturale,
assomiglia molto al sistema di guarigione popolare, caratteristico della
Santeria, che è noto nelle comunità latino-americane con il termine di
Curanderismo, i cui praticanti sono detti curanderos (Maduro, 1983). Come
si vede, ai fini della spiegazione del fenomeno dell’arte medianica, l’ipotesi
psicoantropologia o etnopsichiatrica può avere un senso nel caso di culture
fortemente ritualizzate e permeate da un forte spirito religioso (come nei casi
del Brasile e dell’India), ma non riesce a spiegare adeguatamente i casi
europei, dato il diverso contesto culturale, la formazione e la biografia degli
artisti medianici presi in esame, la cui dimensione intimistico-spirituale è
fortemente condizionata (e forse limitata) dai cliché culturali e dalle
convenzioni sociali di stampo occidentale, imponendo diversi modelli di
espressione creativa che, spesso sono sovrapponibili ad una sintomatologia di
natura psichiatrica (Noll, 1983). Insomma, pur riconoscendo all’antropologia
60 | P a g .
psicologica il merito di aver stabilito un legame significativo tra psiche e
cultura, è chiaro che di fronte a culture che non riconoscono o non permettono
la positiva sperimentazione di tutti gli stati di coscienza possibili, una
spiegazione psicoantropologica dell’arte medianica potrebbe apparire debole
da un punto di vista scientifico, specie se basata su presupposti di natura
spiritica, come nel caso dei medium-pittori brasiliani. È comunque accertato
il fatto che alcuni tipi di esperienze psichiche siano ricorrenti in tutte le culture
umane, a conferma dell’esistenza di una comune matrice di natura
neurobiologica ed universale.
2.3 L’ipotesi psicoanalitica
Sul versante dell’analisi dell’espressività pittorica psicopatologica, alla quale
l’arte medianica è spesso assimilabile, si sviluppa una riflessione
psicoanalitica da parte delle due maggiori correnti, quella freudiana e quella
junghiana. La ricerca psicoanalitica, che procede parallelamente agli studi
psicologici e psichiatrici sull’arte psicopatologica o alienata, si pone infatti
l’obiettivo di studiare le modalità attraverso le quali il conflitto nevrotivo
interno all’individuo si esteriorizza nella creazione artistica. Ma mentre
nell’approccio freudiano lo schema interpretativo è orientato ad una
simbologia di tipo sessuale, in quello junghiano prevale la ricerca di simboli
archetipici, assimilati ed introiettati dall’artista per mezzo dell’inconscio
collettivo. In quest’ultimo caso, il disegno è ritenuto essere una forma di
espressione della dimensione psichica più diretta della parola. Secondo
l’ipotesi freudiana, invece, la creatività artistica appartiene al processo
primario di funzionamento dell’apparato psichico (caratteristico dell’Es), che
attiene all’inconscio e persegue la soddisfazione pulsionale per via diretta e
immediata, sebbene allucinatoria e sostitutiva, come nel caso dei sogni e delle
fantasie: secondo tale prospettiva, l’arte medianica potrebbe rappresentare, per
la sua specifica caratteristica di evento borderline, ossia ai confini dello stato
di coscienza ordinario, una specifica modalità di espressione dell’inconscio,
61 | P a g .
che cercherebbe di soddisfare le pulsioni represse e latenti nell’individuo
attraverso l’accesso (tramite stati modificati di coscienza, come la trance
ipnotica e l’assorbimento dissociativo sperimentato dai pittori medianici) a
zone d’ombra della nostra mente, normalmente inaccessibili in stato cosciente,
popolate da immagini simboliche, sogni, incubi e allucinazioni: tali pulsioni
verrebbero sublimate attraverso il processo di creazione artistica, che esprime
dunque uno sforzo psichico di compensazione. Tale interpretazione viene
avallata dalla personalità generalmente introversa dell’artista, più vicina al
mondo delle nevrosi e dell’isteria. Per Freud, infatti, l’opera d’arte non sarà
mai un oggetto estetico, ma un oggetto allusivo e simbolico, che rimanda a
qualcosa che va al di là della semplice forma: l’arte diventa sublimazione del
desiderio, espressione dei fantasmi interiori dell’autore e, proprio in quanto
tale, va analizzata attraverso lo stesso metodo utilizzato nell’interpretazione
dei sogni, ricercandone i contenuti latenti attraverso la manifestazioni
simboliche materializzate per mezzo del processo di creazione artistica
(Freud, 1985). Attraverso uno stato di coscienza alterato di tipo ipnotico,
l’artista è in grado di mettere in atto un processo regressivo che gli permette
di accedere al proprio mondo interiore, spingendolo a recuperare contenuti
inconsci e latenti che, attraverso il meccanismo sostitutivo di sublimazione
operato per mezzo della creazione artistica, riaffiorano improvvisamente
fissandosi nell’opera d’arte. Il simbolismo che si nasconde dietro le opere di
arte prodotta dagli artisti medianici rimanda dunque ad una dimensione
inconscia, quasi esoterica e spirituale, fatta di simboli mistici e iniziatici, simili
ai crittogrammi per i quali è necessaria una specifica chiave interpretativa
(condivisa tra artista e spettatore). La prova evidente è testimoniata dal fatto
che numerosi pittori medianici, soprattutto quelli europei, riproducono nelle
proprie opere una simbologia mistica, costituita da segni e figure che
rimandano ad antiche culture esoteriche ed iniziatiche (di natura spirituale o
comunque trascendente l’umana comprensione), oppure ad alfabeti
sconosciuti o lontani nel tempo, come i geroglifici egiziani.
Lo stesso Jung si interessò alla pittura alienata: dopo aver studiato
approfonditamente i mandala (ossia i diagrammi esoterici buddhisti e hindu),
62 | P a g .
definì “mandala europei” alcune opere d’arte realizzate da malati psichici, che
erano molto simili ai motivi pittografici iniziatici orientali (Jung, 1969). Lo
studioso rilevò infatti un interessante parallelismo tra la filosofia orientale ed
i processi mentali operati dall’inconscio collettivo in Occidente (Jung, 1977).
Ma mentre nel malato psichico l’Io è totalmente sopraffatto dal processo
primario (come nel caso degli schizofrenici), nel caso della creatività artistica
di tipo medianico l’individuo sembra in qualche modo controllare tale
processo (Kris, 1952). Infatti, a differenza dell’espressione pittorica
psicopatologica, gli artisti medianici appaiono mantenere una linea di
continuità nella loro produzione creativa, una sorta di coerenza creativa
“interna”, pur nella supposta inesplicabilità del processo esecutivo
automatico, che distingue la loro arte da quella alienata, attingendo ad una
simbologia di natura archetipale ed universale, e come tale, comune all’intero
genere umano. Nell’artista medianico sembra infatti prevalere una ricerca di
senso (anche se aposteriori), un processo di ricostruzione e reintegrazione con
la fonte del processo creativo, un impulso di “riparazione” e ricostruzione
dell’oggetto della pulsione; nel malato psichico, invece, prevale un processo
distruttivo, caotico e delirante, che non conduce a nulla se non allo sfogo
immediato di un impulso irresistibile ed incontrollabile dettato dal suo stato
patologico,
del tutto sconnesso
e incoerente,
che evidenzia
una
frammentazione della coscienza, ovvero un Io diviso: la somiglianza,
rilevabile in alcuni casi, tra la pittura medianica e quella psicopatologica (a
parte le analogie stilistico-formali delle opere), sta nello stato alterato di
coscienza e nell’utilizzo di un linguaggio fatto di simboli e grafismi contorti e
spesso incomprensibili. Ciò potrebbe erroneamente indurre ad accomunare la
figura dell’artista medianico a quella di un malato psichico.
Una posizione interpretativa di compromesso tra le due scuole psicanalitiche
sembra essere quella di Ernst Kris, il quale, a proposito dell’arte
psicopatologica, parla di “incantesimo della creazione” (Kris, 1952). Secondo
lo storico dell’arte e psicanalista austriaco, le creazioni spontanee degli artisti
psicotici potrebbero rappresentare una strategia difensiva (o di coping) messa
in atto dal soggetto per controbilanciare il progressivo dissociarsi dal mondo
63 | P a g .
esterno e il disgregarsi della coscienza utilizzando un linguaggio onirico e
simbolico, il che potrebbe essere in parte vero anche per quanto riguarda l’arte
medianica. Il mondo dell’artista medianico, infatti, appare come una
dimensione rasserenante ed alternativa alla realtà, all’interno della quale
sembrano risolversi le dinamiche conflittuali intrapsichiche del soggetto, che
esprimono un modello escapologico, ossia un meccanismo di difesa e di fuga
in un mondo onirico, risolutivo dei propri conflitti interiori. La ricomposizione
della coscienza del soggetto attraverso tale dimensione inconscia avviene per
mezzo di uno stato modificato di coscienza di tipo dissociativo, per mezzo del
quale è possibile ricongiungersi catarticamente con un’altra personalità, più
ricca e profonda di quella percepita dal soggetto cosciente: infatti, mentre
l’artista psicotico vive una dissociazione di tipo drammatico, quella
dell’artista medianico è rasserenante e catartica, in quanto, una volta rientrato
allo stato di coscienza ordinario, l’artista avverte la sensazione di essere stato
guidato e protetto da una presenza misteriosa, riportando indietro un
messaggio di speranza a carattere mistico, religioso, filosofico o trascendente,
che non trova corrispondenza nell’arte psicopatologica: quella dell’artista
medianico è un’esperienza introspettiva e rivelatoria. Per questo suo carattere
mistico e sacrale, l’arte medianica sconfina nella medianità, ossia in una
dimensione metapsichica, spirituale e trascendente, rendendosi poi disponibile
e suscettibile a facili manipolazioni ad opera della cultura popolare e dei
meccanismi di spettacolarizzazione mediatica, che hanno erroneamente
raffigurato l’artista medianico come un medium, ossia una persona in bilico
tra la dimensione terrena ed una dimensione ultraterrena. Ma mentre l’artista
psicotico vive da spettatore passivo un’esperienza che evidenzia in maniera
invasiva e drammatica i meccanismi della propria malattia mentale, l’artista
medianico vive il fenomeno creativo con sereno stupore, proiettandosi nella
dimensione epifanica e rivelatoria della propria esperienza creativa, ossia di
accesso ad una dimensione recondita e trascendente, capace di disvelare i
misteri della coscienza rivelandosi gratificante e rassicurante per il soggetto
coinvolto. Infatti l’esperienza di arte medianica da parte dell’artista è molto
affine ad un’esperienza di tipo mistico ed ascetico, che assomiglia quasi ad un
64 | P a g .
rito di passaggio e/o di iniziazione, nel corso del quale il soggetto,
spogliandosi della propria identità materiale, si immerge in un mondo
simbolico e onirico alla ricerca della fonte di perfezione interiore,
evidenziando in tal modo il carattere di “rivelazione” dell’esperienza artisticomedianica, che diventa in tal modo catartica e riequilibrante e non caotica e
distruttiva, come per il malato mentale: “la creazione di un mondo onirico
espresso graficamente o vissuto come un sogno che si svolge parallelo alla
vita quotidiana e in questa emerge per frammenti, rappresenta un ritiro da
esperienze conflittuali o potenzialmente disarmonizzanti, così da risolverle in
una nuova visione del mondo e di se stessi. In questa prospettiva la stessa
rivelazione medianica potrebbe essere l’evento equilibrante primario che
ricostituisce una unità superiore, e comunque ricompositiva con una realtà
illuminata dal contatto con una diversa dimensione, e quindi più accettabile”
(Peduto, 1979, p. 179). L’arte medianica potrebbe dunque rappresentare un
fenomeno regressivo ed avere, sotto certi aspetti, una valenza terapeutica,
costituendo una manifestazione psichica attraverso la quale l’Io abbandona il
controllo di molte attività psicocognitive coscienti per ritirarsi in una comfort
zone più congeniale all’individuo stesso, il quale a questo punto è libero di
lasciar emergere le sue pulsioni represse sotto forma di attività creativa,
sanando in tal modo i suoi conflitti interiori e ricomponendo il materiale
rimosso dalla coscienza in forma più accettabile e innocua.
I processi inconsci e preconsci hanno dunque un ruolo decisivo
nell’emergenza dei fenomeni di creatività medianica: l’artista medianico è in
grado di espandere la propria creatività al di là delle normali possibilità di
rappresentazione artistica, entrando direttamente in contatto con la propria
dimensione inconscia e restituendo opere che non sono semplicemente frutto
di imitazione della realtà, ma rappresentano una nuova forma di espressione
mai sperimentata prima, ponendosi al di fuori dei limiti ordinari di coscienza.
Infatti, lo stato di dissociazione creativa che è stato osservato negli artisti
medianici corrisponde ad uno stato mentale in cui le abilità cognitive del
soggetto sono come sospese e libere di fluttuare, mentre al tempo stesso le
capacità di rappresentazione della realtà risultano potenziate e amplificate
65 | P a g .
(Braude, 2000 e 2002): attraverso la dissociazione creativa il soggetto passa
ad uno stato di coscienza non attentivo (di natura pre-linguistica), in cui si
sperimenta la perdita dei riferimenti spazio-temporali e la comparsa di una
seconda coscienza, che si sostituisce alla coscienza primaria (o Io cosciente).
È durante la permanenza in tale stato modificato di coscienza (che assomiglia
al sogno o alla trance ipnotica) che l’individuo percepisce vividamente
intuizioni, simbolizzazioni, fantasie, emozioni astratte, illuminazioni e nuove
forme espressive, mettendo in atto i processi creativi ad un livello meno rigido
e vincolato dalle regole del Super-Io e dai condizionamenti culturali, sociali e
mediatici: sono infatti ben noti i casi di scienziati ed artisti che hanno
realizzato le loro maggiori scoperte, creazioni o opere attraverso uno stato di
sospensione della coscienza, confermando che gli stati modificati di coscienza
sono strettamente collegati ai processi creativi (Tart, 1972; Lapassade, 1980;
Barman & Rheingold, 1986).
Generalmente, l’abilità di accedere ad una dimensione primordiale, onirica,
archetipica ed immaginifica (tipica dei bambini) viene persa nel corso della
crescita psicofisica del soggetto, anche a causa dei processi di apprendimento
ed acculturazione, così come dell’influenza e dei condizionamenti sociali,
culturali e mediatici. Ma in alcuni individui tale dimensione (che si esprime
attraverso la manifestazione di particolari capacità visionarie e di un’acuta
sensibilità) può restare viva e riemergere, tanto che, in particolari condizioni
di attivazione (ovvero attraverso stati di coscienza modificati), il soggetto è in
grado di accedere ad un mondo primitivo e simbolico, popolato da immagini
inconsce e oniriche, amplificando le proprie capacità di visione ed
immaginazione, come se riuscisse a penetrare la dimensione più profonda del
Sè, sperimentando quindi un tipo di creatività al fuori dell’ordinario,
inaccessibile all’Io cosciente.
Come si vede, lo studio psicanalitico del fenomeno dell’arte alienata si muove
a cavallo tra l’analisi estetico-formale e quella simbolico-espressiva , cercando
di comprendere il ruolo della nevrosi nel processo di creatività artistica, ossia
il modo in cui il conflitto nevrotico si esteriorizza nell’opera d’arte. Nel
processo di creazione artistica, si assiste infatti alla manifestazione di un
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conflitto dinamico all’interno dell’apparato psichico del soggetto tra le istanze
dell’Io e quelle dell’Es, tra processo primario e processo secondario, che si
traducono materialmente nel prodotto artistico. Si è infatti rilevato quanto
l’arte medianica possa anche rappresentare per l’individuo una modalità di
fuga dalla realtà, ovvero un meccanismo di difesa dell’Io, che cerca di
sublimare pulsioni negative come ansia, paure, frustrazioni, insicurezze,
insoddisfazioni, inibizioni, traumi, sofferenze e stress, deviandole verso un
obiettivo in grado di procurare affermazione individuale, riconoscimento,
valorizzazione e visibilità sociale, come appunto quella di essere identificato
e riconosciuto agli occhi della comunità come un medium-artista, ossia un
individuo dotato di una straordinaria capacità di natura spirituale che lo pone
in diretto contatto con “il mondo degli spiriti” e, quindi, lo rende degno di
particolare rispetto e attenzione da parte della comunità (Sannwald, 1963;
Kafka & Reiser, 1967; Horowitz, 1977).
Pur di raggiungere questa comfort zone, l’individuo si appropria di uno
specifico “territorio”, che l’artista in quanto tale è in grado di controllare e
governare: l’arte diventa quindi una necessità territoriale. Ed è in tale territorio
che l’artista medianico esercita il proprio dominio, tramite la manifestazione
di straordinarie doti creative che solo lui o pochi altri come lui possiedono.
Ma, poiché le capacità dell’artista, per poter essere ritenute prodigiose,
richiedono riconoscimento e visibilità sociale, è la stessa comunità di
appartenenza dell’artista ad istituzionalizzare le sue abilità, dotandole di
particolari connotazioni di tipo paranormale e spiritico, avvalorando pertanto
la credenza nella medianità dei fenomeni di automatismo creativo e
rafforzando l’autoconvinzione e l’autosuggestione dell’artista. In definitiva,
più che rispondere ad una strategia di coping messa in atto dall’individuo per
fronteggiare o sfuggire ad una qualche forma di sofferenza psichica legata al
percorso psichico traumatico vissuto dal soggetto (Braude, 2002, p. 6), o
essere una manifestazione del cosiddetto disturbo borderline di personalità,
l’arte medianica è espressione di un fenomeno di autosuggestione che trae
origine da uno specifico contesto antropologico-culturale o religioso, operato
attraverso l’influenza esercitata sul soggetto dalla comunità di appartenenza e
67 | P a g .
attraverso le suggestioni assorbite dall’inconscio collettivo, avvalorando e
rafforzando l’autoconvincimento dell’individuo rispetto alle proprie capacità
artistico-medianiche. L’artista, vivendo in uno stato di pressione culturale e
psicologica, avvertirebbe una sensazione di urgenza o addirittura una sorta di
coazione o imposizione, alla quale non riesce ad opporsi e che si afferma
contro la sua volontà, come un bisogno al quale non riesce a dare una
spiegazione cosciente (infatti diversi artisti odono delle “voci” o avvertono la
presenza di un’entità spiritica che “ordina” loro di disegnare o dipingere). Ed
assecondare tale bisogno, abbandonandosi all’impulso creativo in maniera
passiva, ha per l’artista un effetto liberatorio e catartico, che offre sollievo e
pace interiore, riuscendo a placare la forza che lo spinge a dipingere, attribuita
ad un’entità spirituale estranea al soggetto stesso: “la passiva esteriorizzazione
di contenuti inconsci, viene vissuta, attraverso un meccanismo proiettivointroiettivo, come una passività, un’intrusione, alla quale non è possibile
opporsi” (Peduto, 1979, p. 82). Tale meccanismo di accettazione passiva (che
in alcuni casi appare rassegnazione) è stato riscontrato in tutti gli artisti
medianici, anche quando non vi è alcun riferimento ad una spiegazione di tipo
spiritico o alla presenza di uno spirito-guida che, come una mano invisibile,
guiderebbe l’artista nella creazione delle sue opere. Infatti, la spiegazione
“spiritica” (o di natura paranormale) del fenomeno dell’arte medianica
attecchisce maggiormente laddove esiste un contesto che contribuisce da solo
a dare tale spiegazione, siano essi i circoli medianici nell’Europa
dell’Ottocento o i Centros brasiliani diffusi al giorno d’oggi: infatti, al
momento attuale, i pittori-medium brasiliani appartenenti ai circoli spiritici
kardeciani rappresentano il più interessante fenomeno, anche da un punto di
vista psicoantropologico ed etnopsichiatrico, proprio perchè intimamente
legati al sistema di credenze, alle pratiche religiose ed alle esperienze misticoascetiche (somiglianti a vere e proprie pratiche sciamaniche in chiave
moderna), tipiche del contesto culturale e religioso latino-americano,
fortemente intriso di spiritismo e cultura medianica. Un altro esempio
interessante in tal senso è infatti l’arte psichedelica praticata dagli sciamani
nella foresta amazzonica sotto l’influenza dell’ayahuasca, un mix di piante
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allucinogene utilizzate nei riti di comunicazione con il mondo spirituale
(McKenna, 2004; Metzner, 2006; Severi, 2006).
Il contesto sociale, culturale e religioso agirebbe dunque da “incubatore” per
quegli individui che, essendo neurobiologicamente predisposti all’attivazione
dei meccanismi neurobiologici che sfociano nelle produzioni di arte medianica
(secondo quanto ipotizzato nella presente ricerca), ne assorbono l’influenza ed
i condizionamenti (Locke & Kelly, 1985). Ma anche l’inconscio collettivo ed
il patrimonio di immagini e/o suggestioni mitologiche ed archetipali di natura
ancestrale influisce sull’attivazione dell’asset neurale di quei soggetti
particolarmente predisposti ed “ipersensibili” al dato estetico, che si rivelano
essere artisti medianici. Infatti, l’interpretazione popolare in chiave spiritistica
e medianica di tali fenomeni di creatività non-ordinaria ha un’origine
prevalentemente culturale ed autoctona, in quanto deriva dal milieu, ossia
dallo specifico contesto socio-culturale di appartenenza dell’individuo, come
risulta evidente nel caso dei pittori brasiliani, i quali forniscono un interessante
materiale di studio per l’etnopsichiatria (o antropologia psicologica), che
indaga sulla specificità culturale ed emica di determinati disturbi mentali, che
troverebbero terreno fertile in determinate aree geografiche caratterizzate da
un sistema radicato di credenze, riti e miti.
2.4 L’ipotesi psicopatologica o neuropsichiatrica
Ad un primo sguardo, i fenomeni di arte medianica sembrerebbero avere una
stretta correlazione con alcune forme di malattia mentale o disordini di natura
psichiatrica, come autismo, schizofrenia e paranoia (Reinsel, 2003).
Le modalità “dissociative” con cui si manifestano tali fenomeni creativi
presentano infatti più di una analogia con alcuni sintomi attribuibili a tali
malattie: la pittura psichica è spesso molto simile ai disegni realizzati dai
malati psichici o dai pazienti psichiatrici affetti da diversi disturbi di natura
psicopatologica e neuropsichiatrica, con molte somiglianze rispetto alla già
citata Outsider Art, tant’è che gli artisti medianici operano generalmente in
69 | P a g .
uno stato alterato di coscienza (Morgenthaler, 1990; Prinzhorn, 1995). Tale
associazione è abbastanza comune, dato che nella storia dell’arte, così come
nella psichiatria, è stato rilevato un nesso abbastanza significativo tra arte e
follia: la letteratura scientifica è molto vasta in proposito, dato che la storia di
molti pittori, in differenti epoche storiche, è stata effettivamente costellata da
episodi di alienazione e disturbi mentali, che si sono poi rivelati in alcuni casi
fatali (si pensi a Vincent van Gogh o a Mark Rothko). Ma, nel caso dell’arte
medianica, pur essendoci stato qualche caso di sovrapposizione di tali
fenomeni di creatività non-ordinaria a casi clinici di patologia psichiatrica
conclamata, solo una piccola parte della produzione artistica può essere
definita frutto di una creatività “malata” e dissociata, dato che sono pochi i
casi di artisti medianici notoriamente affetti da disordini di natura psichiatrica
o malattia mentale, la cui alienazione si manifesterebbe attraverso particolari
forme di espressione creativa di natura psicopatologica e dissociativa: infatti,
in questi casi, l’illusione di “possessione” o di presenza di un’entità estranea
al proprio corpo riferita da alcuni artisti medianici, così come i repentini
cambiamenti di personalità degli artisti stessi (attraverso la manifestazione di
stili artistici differenti), potrebbe essere connessa a forme di schizofrenia, in
particolare al disturbo dissociativo dell’identità o disturbo di personalità
multipla (DID o MPD) (Ferdièr, 1947a,b, 1948 e 1951; Volmat, 1956;
Bahnson & Smith, 1975; Allison, 1980; Ross, 1989; Hughes et al., 1990).
Tuttavia, questo disturbo mentale non può, da solo, riuscire a spiegare
adeguatamente la presenza di eccezionali abilità artistiche in individui del
tutto privi di conoscenze artistiche adeguate, tranne nel caso di soggetti affetti
dalla sindrome di Savant (Mesulam, 1981).
Com’è noto, con la pubblicazione del trattato Genio e follia nel 1864, Cesare
Lombroso aveva analizzato il tema della pittura alienata o “schizofrenica”,
caratterizzata da uno specifico stile che evidenzia l’anormalità psichica degli
artisti, in parte vicino a quello dell’arte primitiva e dell’arte infantile (naïf e
para-naïf), basato essenzialmente su grafismi dettati da un’istintività ingenua
e alienata; sulla perseverazione del segno grafico (ossia sulla ripetizione e
reiterazione ossessiva di disegni ed elementi grafici); sulle asimmetrie o, al
70 | P a g .
contrario, sulla ricerca esasperata di simmetrie grafiche e simbologie di tipo
visionario e pseudo-occulto; sulla scarabografia e sul bourrage, ossia sulla
presenza di linee e tracciati, spesso contorti e intricati, che mirano a riempire
tutto il foglio (Lombroso, 1864; Freud, 1969; Jaspers, 2001). Con lo studioso
italiano prende il via un filone di studi sull’arte grafico-pittorica prodotta dai
malati psichici, o “arte irregolare” (che più tardi l’artista francese Jean
Dubuffet definirà Art Brut, riferendosi appunto all’arte prodotta al di fuori
delle norme estetiche convenzionali da individui non esperti d’arte, internati
in strutture di esclusione sociale, come ospedali psichiatrici e manicomi), che
ha condizionato negativamente le successive interpretazioni del fenomeno
dell’arte medianica, dando impropriamente un significato diagnostico,
nosografico, psicopatologico e psichiatrico alle opere d’arte, allo scopo di
approfondire in questo modo la conoscenza del malato mentale, nonostante i
tentativi in chiave antipsichiatrica di dare all’arte “irregolare” una
caratterizzazione di “normalità”, inserendola dunque a pieno titolo nelle forme
istituzionalizzate di arte contemporanea, proprio perchè si è rilevato che la
dissociazione non ha necessariamente un carattere psicopatologico: Jean
Dubuffet, infatti, era infatti convinto che la vera arte non dimorasse nelle
accademie di belle arti, ma potesse essere prodotta solo da coloro che fossero
del tutto estranei al “sistema dell’arte” (Dubuffet, 1971).
Pur nelle limitazioni che un simile approccio psichiatrico e “medicalizzato”
comporta per l’interpretazione dei fenomeni di arte medianica, lo studio
dell’arte alienata (o Outsider Art) ha avuto il merito di fornire un quadro
sufficientemente esaustivo delle caratteristiche tecniche e stilistiche che
caratterizzano la produzione artistica tipica dei malati mentali, tant’è che
diversi autori hanno proposto classificazione dei tipi psicotici che si
esprimono attraverso l’arte (Jacab, 1956). Nel suo trattato L’art et la folie nel
1924, ad esempio, Jean Vinchon delineò sei tipi fondamentali di produzione
pittorica psicopatologica in rapporto ai quadri clinici osservati, basati
essenzialmente sulle caratteristiche grafico-formali delle opere (Vinchon,
1924, riportati in Peduto, 1979, pp. 139-140):
71 | P a g .
1. le grandi perversioni: caratterizzate da produzione grafica molto scarsa
e tendenza a nascondere la propria produzione;
2. depressioni, manie e melanconie: caratterizzate da disegni caotici,
spesso scarabocchi (soprattutto negli eccitati) e dall’estrema
importanza del colore, che in genere risulta vivace nei maniaci, cupo e
spento nei depressi;
3. paranoia: il paranoico disegna a getto, proiettando nel quadro i suoi
progetti di rinnovamento, le sue rivendicazioni, con una forte carica
immaginativa, in una produzione sempre però coerente, solidamente
costruita, ancorata alla realtà.
4. Epilessia: cartterizzata da una forte tendenza al decorativo e alla pittura
ornamentale (come è possibile riscontrare in numerosi artisti medianici,
soprattutto Europei, appartenenti in particolar modo all’Italia e alla
Francia).
5. Demenza e oligofrenia: produzione caratterizzata da scarabocchi e
segni grafici incoerenti, caratterizzati da linee spezzate.
6. Schizofrenia: produzione molto ricca, complessa e caotica.
Come si vede, solo una parte della suddetta classificazione nosografica di tipo
clinico-diagnostico può essere accomunata alle caratteristiche formali e
tecnico-stilistiche dell’arte medianica, nonché alla psicobiografia degli artisti
analizzati, ma questo non significa voler ridurre le loro produzioni artistiche
medianiche unicamente a manifestazioni di tipo psicopatologico. Infatti,
nonostante la tendenza a voler considerare l’arte medianica un caso di
ortopsichiatria (dato il suo apparente carattere di manifestazione ai limiti del
patologico), il quadro che caratterizza tale fenomeno è molto più complesso
ed una spiegazione di natura esclusivamente psicopatologica sarebbe riduttiva
e fuorviante rispetto agli scopi della presente ricerca. Lo stesso concetto di
“dissociazione” (di cui parlò per la prima volta sul finire dell’Ottocento lo
psicologo e filosofo francese Pierre Janet) è complesso e può avere diverse
sfaccettature a seconda del punto di vista da cui viene osservato, in quanto
fortemente condizionato dalle variabili socio-culturali (e religiose) relative al
72 | P a g .
contesto geografico di riferimento (Krippner, 1997). Infatti, secondo la visione
“occidentale” relativa a tale stato psichico (non necessariamente psicotico), la
dissociazione è una disconnessione e disaggregazione delle facoltà cognitive
dell’individuo dal suo normale flusso di coscienza, ovvero dalla propria
autocoscienza e dal normale repertorio comportamentale (ma anche il concetto
di normalità è culturalmente variabile). La stessa interpretazione del concetto
di dissociazione sopra delineato potrebbe non valere o indurre in errore nel
caso dell’osservazione e dell’analisi dei fenomeni di arte medianica in un
paese come il Brasile, fortemente permeato da una cultura religiosa di tipo
spiritico.
Ferdière (1951) ha insistito sul fatto che anche nell’artista schizofrenico (ossia
psichicamente malato) esiste una parte sana della personalità, che emerge
soprattutto nella produzione plastica (attraverso un processo creativo
morfogenetico costituito da neomorfismi, paramorfismi e stereomorfismi):
questa tipologia di produzione creativa deve essere pertanto considerata come
uno sforzo di conservazione dell’Io da parte del malato, ossia come una difesa
nei confronti della malattia distruttrice. D’altro canto Volmat (1956) ha
rilevato, specie nei paranoici, una tendenza a fuggire la realtà, rappresentando
nelle opere un contenuto-fuga, che è differente dal contenuto-scena
normalmente rappresentato. Inoltre la manifestazione della creatività artistica
in soggetti psicotici può portare o ad uno stato di tranquillità e serenità con
effetto catartico, o ad una eccitazione impulsiva con improvvise ed
imprevedibili esplosioni di violenza: difatti alcuni artisti schizofrenici
sembrano preferire tele di grande formato, proprio per dare libero sfogo alla
propria esagitazione attraverso ampi movimenti delle braccia. Gli
schizofrenici in particolare sembrano preferire una “maniera calligrafica” di
espressione creativa, utilizzando la penna (o la matita) e facendo un uso
limitato del colore e dei pennelli (salvo, in questo caso, preferire colori accesi
come il rosso), prediligendo quindi una modalità espressiva monocromatica,
cosa che si riscontra anche in alcuni artisti medianici. Questa tipologia di
artisti non si preoccupa della visione d’insieme dell’opera, ma preferisce agire
ed insistere sul particolare in maniera reiterata ed ossessiva, ripetendo
73 | P a g .
compulsivamente lo stesso disegno ed ignorando la composizione, la messa in
rilievo e la prospettiva: l’opera sembra in qualche modo “scucita” dalla realtà,
in quanto frutto di un’aggregazione o ricomposizione di piccoli disegni
disaggregati, ciascuno dei quali è provvisto di un proprio inquadramento. La
molteplicità degli inquadramenti è poi in qualche modo bilanciata dalla ricerca
di una simmetria e di un equilibrio a volte speculare degli elementi decorativi,
che diventano quasi ornamentali. L’artista schizofrenico utilizza tutto lo
spazio a disposizione, senza lasciare bianco a margine o spazi vuoti (bourrès),
cosicchè le composizioni diventano asfissianti, quasi un reticolo intricato di
segni, motivi e decorazioni che si ripetono in inquadrature infinite: il foglio
viene abbandonato solo quando è saturo di elementi. A volte i vuoti vengono
riempiti con figure geometriche, lettere o iscrizioni ornamentali e stilizzate: la
tendenza degli schizofrenici a riempire completamente il tempo con azioni
ripetute si riflette sulla necessità ossessiva di riempire lo spazio del foglio a
sua disposizione come se fosse un contenitore, in una sorta di attività ludicoedonistica che graficamente tutta la rappresentazione dell’opera. Infatti, una
caratteristica tipica dell’arte psicopatologica (ma anche di alcuni artisti
medianici) è la stereotipìa, ossia la disposizione ordinata e monotona di forme
identiche e ripetute, che diventa un gesto meccanico proprio perché legato
all’automatismo esecutivo, che si estrinseca nella fissazione invariabile
(ripetizione di un disegno per lunghi periodi di tempo) e nella reiterazione
(ripetizione immediata e consecutiva di uno stesso gesto motorio, anche se di
nessuna utilità): lo schizofrenico torna continuamente sulla sua opera,
lavorando su parti che sembravano concluse, attaccandosi a nuovi dettagli,
proprio perché assalito da dubbi e ossessioni, riproducendo tratti identici,
elementi stilizzati, segni lineari cerchi e figure concentriche e spiraliformi, o
figure decorativamente strutturate ed ornamentali come arabeschi, dotati di un
rigoroso geometrismo. Prevalgono dunque: la geometrizzazione, la cura del
dettaglio, la schematizzazione, la stilizzazione, la condensazione, la
deformazione, la simmetria, l’equilibrio, ma anche una forte tendenza alla
simbolizzazione. Se si considera il problema del cambiamento di stile
74 | P a g .
(Stilwandel) dei malati psichici5, si noterà che, nel caso di artisti esperti, esso
risulta un’evoluzione aberrante dello stile originario (Andreoli & Trabucchi,
1969); ma nel caso di un malato inesperto, ci troviamo di fronte a uno stile del
tutto originale ed allo sviluppo di una “tecnica morbosa”, basata su una serie
di elementi pittografici caratteristici, solitamente ripetuti in maniera ossessiva.
A livello di rappresentazione espressiva, nell’arte psicopatologica si manifesta
un processo dissociativo di dereificazione, ossia di perdita del contatto con la
realtà
spazio-temporale,
che
si
evidenzia
nella
rappresentazione
sproporzionata della realtà attraverso la rappresentazione grafica da parte
dell’artista, che esprime un distacco dai modelli originari della raffigurazione,
denotando una disgregazione delle immagini mentali, che si traducono in
grafismi contorti e indecifrabili. La dissoluzione della realtà attraverso il
disegno avviene progressivamente e per gradi, segno di un graduale
allontanamento del soggetto dalla realtà: figure ed oggetti inizialmente
rappresentati in maniera realistica, finiscono poi per disgregarsi in figure
geometriche e in linee spezzate, sino a dissolversi nel grafismo confuso e nella
rappresentazione astratta e informale, riproducendo in termini grafico-pittorici
la disgregazione dell’Io del soggetto a causa della malattia. Le connessioni
logiche tra gli elementi della rappresentazione si allentano fino ad annullarsi:
la prospettiva scompare, così come il distacco tra fondo e rappresentazione.
L’espressione
pittorica
psicopatologica
esprime
una
progressiva
disgregazione della realtà in una rappresentazione caotica ed indifferenziata,
mentre nell’arte medianica si assiste in diversi casi (anche se non in tutti) ad
un processo di morfogenesi, attraverso il quale l’artista passa dalla produzione
di grafismi elementari ad una strutturazione sempre più complessa ed
articolata degli elementi compositivi dell’opera, dove la loro reiterazione
ossessiva lascia il posto ad una rappresentazione più organica dell’immagine
Con il termine “stile” si intende, in questo specifico contesto di ricerca, il rapporto che lega
i singoli elementi compositivi (o stilemi) alla struttura complessiva dell’opera d’arte,
caratterizzando la produzione del singolo artista come espressione della propria individualità
psichica e non come espressione della cultura di un determinato periodo storico-artistico. In
tal caso lo stile può avere una sua caratterizzazione nosografica, in quanto potrebbe mettere
in luce o evidenziare la tipologia di psicosi da cui sarebbe affetto il soggetto di studio.
5
75 | P a g .
raffigurata, che si fa sempre più chiara, coerente ed intellegibile agli occhi
dell’osservatore. Mentre la pittura degli artisti psicopatici procede “per
sottrazione” e tende ad impoverire progressivamente la raffigurazione fino a
dissolverla caoticamente (disgregazione dell’Io), quella degli artisti medianici
procede
“per
addizione”,
ossia
aggiungendo
nuovi
elementi
alla
rappresentazione, rendendola via via sempre più completa ed organicamente
strutturata: in quest’ultimo caso, si passa dal caos iniziale alla
rappresentazione imitativa del reale, in cui il segno diventa immagine dotata
di senso. Tale processo denota una maggiore aderenza alla realtà da parte
dell’artista medianico rispetto all’artista psicotico: elementi grafici
inizialmente casuali, si sviluppano in maniera sempre più intenzionale, in
quanto
il
soggetto
acquista
maggiore
lucidità
e
consapevolezza
nell’estrinsecazione del fenomeno, imparando dalla propria esperienza e
raffinando le sue capacità di rappresentazione pittorica che, a differenza
dell’artista psicotico, aderiscono sempre di più alla realtà.
Con l’arte medianica ci troviamo quindi di fronte ad un processo di
costruzione e “rireificazione”, anziché di decostruzione e dereificazione della
realtà, come invece accade con l’arte psicopatologica: mentre l’arte medianica
ricrea la realtà, l’arte psicopatologica la distrugge. Molto probabilmente, è
proprio qui che si innesta il fenomeno della criptomnesia, di cui si parlerà più
avanti, che comporta il recupero inconsapevole di frammenti criptomnestici di
una realtà già vissuta e/o percepita dal soggetto, ma nascosta a livello
subliminale in una memoria latente, che abbiamo definito “memoria estetica”.
L’ossessività della ripetizione mette in luce altre caratteristiche formali, come
la stratificazione dei piani prospettici, la condensazione degli elementi
decorativi, la distorsione delle figure (simile a quella riscontrata in artisti sotto
l’effetto di sostanze psicotrope, allucinogene o psichedeliche), che
conferiscono alle raffigurazioni antropomorfiche o alle rappresentazioni
paesaggistiche una configurazione tormentata e caotica o un’atmosfera gotica,
cupa, pietrificata, cristallizzata e glaciale (si pensi ai quadri di Francis Bacon):
le proporzioni delle figure esprimono la visione propria del mondo interiore
del malato, il quale si sforza di rappresentare le proprie esperienze individuali
76 | P a g .
tentando di riprodurre sul foglio la propria realtà, per mezzo di un processo
creativo attraverso il quale la ricerca ossessiva e spasmodica della simmetria
e dell’equilibrio sembrano essere una risposta al processo di disgregazione
interiore, in atto nell’individuo a causa della malattia. A volte gli elementi
figurativi sembrano orientarsi verso una sola direzione o essere risucchiati in
un movimento verticoso verso l’alto, distorcendosi ed avvitandosi su se stessi.
Come si vede, esistono effettivamente diverse somiglianze tra l’arte medianica
e quella psicopatologica, dovute al fatto che non di rado l’artista medianico
lavora in uno stato alterato di coscienza e questo particolare può generare
un’impropria assimilazione dell’arte medianica a forme di espressività
artistica alienata. Anzi, come sostenuto dalla psicologa Angela Peduto,
parlando degli artisti medianici che realizzano le loro opere in stato di totale
incoscienza, “anche quelli tra essi che sostengono di operare in stato di
coscienza
ordinario,
sperimentano
uno
stato
di
rêverie
e
di
semisonnambulismo” (Peduto, 1979, p. 160).
Come riferito da diversi artisti medianici, essi avvertono una sensazione di
distacco dalla realtà (derealizzazione), una sorta di estasi all’interno della
quale l’artista si muove in modo eterodiretto e automatico (quasi come fosse
“posseduto”) realizzando la sua opera in totale concentrazione, salvo ritornare
alla realtà nel momento in cui interviene un’interferenza che destabilizza tale
stato di assorbimento dissociativo. Con l’arte medianica siamo quindi di fronte
ad uno stato di coscienza dissociato dalla realtà, in base al quale l’artista
sembra concentrarsi su se stesso e raccogliere tutte le sue forze interiori per
comunicare attraverso la sua opera un messaggio che sembra provenire dalle
profondià dell’inconscio: la sensazione di “estasi” riferita dagli artisti è quindi
uno stato di “dissociazione creativa” non necessariamente di natura
psicopatologica, ossia uno stato alterato di coscienza che va dalla rêverie alla
grande trance, passando attraverso stadi intermedi come il sonnambulismo o
il semisonnambulismo. Tale forma di comunicazione con il proprio inconscio,
che si manifesta attraverso il processo artistico per mezzo di automatismi
creativi, non potrebbe realizzarsi in uno stato di coscienza ordinario, in quanto
le
forme
simboliche
ed
estetico-rappresentative
nascono
pure
ed
77 | P a g .
incontaminate a un livello più profondo di coscienza, non essendo contaminate
dalla percezione della realtà sensibile, operata dall’individuo in stato
cosciente. Riassumendo, volendo tracciare le dovute differenze tra arte
psicopatologica ed arte medianica, dobbiamo notare che le modalità di
insorgenza del fenomeno dell’arte medianica possono essere confuse
facilmente con quelle relative all’arte psicopatologica: il senso di possessione
estranea alla volontà del soggetto, lo stato di dissociazione psicomotoria
accompagnato dalla meccanicità dei movimenti e dei gesti convulsi e agitati
(tipici degli automatismi creativi), la presenza di fenomeni allucinatori di tipo
visivo o auditivo: sono tutti sintomi che potrebbero facilmente far pensare di
trovarci di fronte ad un malato mentale e, quindi, ad un’espressione artisticopittorica di tipo psicopatologico. Ma, come era già stato notato dagli spiritisti
del secolo scorso, mentre le opere di arte alienata, essendo di natura
psicopatologica,
presentano
qualcosa
di
“morboso
e
degenerato”,
esprimendosi attraverso le caratteristiche grafico-pittoriche e stilistico-formali
sopra delineate, quelle di arte medianica sembrano in qualche modo essere
“ispirate” e guidate da qualcosa di più profondo, piuttosto che dall’impulso
incontrollato della malattia.
All’inizio del 1980, lo psicologo e studioso di fenomeni paranormali Elmar R.
Gruber ha proposto una classificazione comparativa tra arte psicopatologica
ed arte medianica, rintracciando una serie di elementi comuni alle due forme
di espressività artistica, qui di seguito schematizzati (Gruber, 1980 e 1982):
CARATTERISTICHE DI STRUTTURA
CARATTERISTICHE DI CONTENUTO
Distorsione dell’espressione pittorica
Espressione pittorica astratta
•
Forme barocco-ornate
•
Composizioni geometrico-lineari
•
Stile lussuoso ed esuberante
•
Composizioni chiuso-ornamentali
•
Pittura grottesco-caricaturale
•
Composizioni miniaturistiche
78 | P a g .
Condensazione dell’espressione pittorica
Espressione pittorica concreta
•
Disordine compatto
Panorami e scenari
Pitture cosmiche
•
Sovrariempimento
Pitture allegoriche
Stile bizantino
•
Inserzione di elementi scritti
Pitture religiose
Ritratti
Pitture magiche
Architetture
Neomorfismi
Contesto
•
Combinazione di figure umane
•
Pitture durante stati di trance
•
Forme rotonde vs. forme appuntite
•
Pitture “ispirate”
•
Reiterazione degli elementi grafici
•
Pitture in completa oscurità
Disintegrazione dell’espressione pittorica
•
Inosservanza delle relazioni spaziali
•
Dissoluzione compositiva
•
Decomposizione della fisionomia
Linguaggio
Simbolico
Metaforico
Fantastico/Favolistico
Delirante
Onirico
Infantile / Naïf
La comparazione operata da Gruber consente di rintracciare nell’arte
medianica, al di là degli elementi in comune con l’arte psicopatologica, quegli
elementi inconsci che difficilmente possono emergere nei processi di
espressività artistica di un malato psichico, il quale esprime un mondo
interiore diversamente strutturato (anzi “disgregato”) rispetto ad un artista
medianico, in quanto manifestazione di un rapporto alterato con il mondo
esterno. Mentre l’arte psicopatologica esprime i sintomi destrutturanti di una
malattia, l’arte medianica rivela un mondo strutturato e dotato di una propria
coerenza interna. Questo aspetto diventa ancora più evidente se si considerano
i dipinti a struttura morfogenetica, mentre i dipinti di arte medianica a carattere
figurativo (ritratti, paesaggi o altro) difficilmente si prestano ad un confronto
proficuo con dipinti prodotti da malati psichici, data l’evidenza di una
caratterizzazione del tutto diversa dall’arte psicopatologica.
Come evidenziato dai test psicodiagnostici somministrati e dalle interviste
effettuate ad alcuni artisti medianici (nonchè come già messo in luce nel
79 | P a g .
precedente paragrafo a proposito dell’ipotesi psicoanalitica), certi individui
sperimentano l’arte medianica come una sorta di fuga dalla realtà (o escapismo
psichico), in grado di rimuovere e sublimare le proprie paure, ansie, traumi,
sofferenze, pressioni, tensioni e frustrazioni sperimentate nella vita
quotidiana, attraverso un comportamento creativo modificato ed alterato da
modalità di manifestazione anomale e non ordinarie, proprie degli episodi di
automatismo creativo: il soggetto, dopo aver vissuto un’esperienza di arte
medianica, anche se caratterizzata da gesti meccanici e convulsi, riporta una
sensazione piacevole di serenità, tranquillità e compiutezza inusuali. Per tale
motivo l’arte medianica potrebbe rappresentare, al di là di una spiegazione di
tipo psicobiologico o neuroscientifico, un meccanismo di difesa dell’io messo
in atto da individui psicologicamente predisposti a tale tipo di reazione
psichica, capace di far emergere una nuova forma di creatività latente
(Domino et al., 2002). Infatti, lo stato di “dissociazione creativa” (Grosso,
1997) che caratterizza le manifestazioni di arte medianica evidenzia che la
dissociazione stessa, di cui sembra essere preda l’artista, anzichè essere uno
stato patologico o psichiatrico, potrebbe rappresentare una modalità diversa di
attivazione dei processi creativi dell’individuo, che la utilizza come strategia
di coping allo scopo di rispondere ai traumi subiti ed alle sofferenze psichiche
vissute. Tale strategia cognitivo-comportamentale di risposta, che rappresenta
una tipologia di dissociazione non patologica, si attuerebbe pertanto attraverso
l’emergenza spontanea ed inconsapevole di abilità artistiche latenti e di un
comportamento artistico di tipo automatico, messo in atto dal soggetto in stato
modificato di coscienza di tipo dissociativo, come la trance estetica (Braude,
2002, p. 6; Alvarado, 2005).
Nonostante la disputa sulla natura psicopatologica dell’arte medianica, gli
studi comparati sull’arte creata da artisti psicotici e quella degli artisti
medianici hanno però avuto il merito di aprire nuovi orizzonti di ricerca, oltre
quello della neuropsichiatria, coinvolgendo in anni recenti altri settori di
ricerca, come la psicologia dell’arte e della creatività, ma anche la psicanalisi
e la psicologia del profondo, gli studi sull’inconscio ed il simbolismo e, più
80 | P a g .
recentemente, la neuroestetica, l’etnopsichiatria e le scienze cognitive in
generale, gettando nuova luce sul fenomeno.
2.5 L’ipotesi psicobiochimica
Anche l’utilizzo di alcune sostanze psicotrope, psichedeliche o allucinogene
(dette
anche
enteogene)
potrebbe
avere
un’influenza
determinante
sull’insorgenza dei fenomeni di automatismo creativo, potenziando le capacità
di visualizzazione mentale del soggetto, nonché l’accesso ad una memoria
inconsapevole e latente, ossia una memoria contenente immagini, visioni o
esperienze di natura estetica che il soggetto non è consapevole di aver
acquisito (criptomnesia), un repertorio o archivio subliminale, che può essere
attivato dal soggetto in particolari circostanze e/o attraverso specifiche
sollecitazioni, come ad esempio l’assunzione di determinate sostanze
psicoattive di origine chimica o naturale, che sembrano essere positivamente
correlate ad un potenziamento delle facoltà creative nell’uomo. Infatti, è già
stata evidenziata una positiva correlazione tra pensiero creativo e utilizzo di
sostanze psichedeliche ed allucinogene, capaci di modificare lo stato di
coscienza dell’individuo rendendolo in grado di accedere ad abilità creative
latenti e sconosciute, orientando gli studi psicologici verso una biochimica
della creatività (Pulvirenti, 1999).
Una delle principali sostanze in grado di attivare i processi creativi e
immaginifici
è,
ad
esempio,
la
psilocibina
(O-fosforil-4-idrossi-
N.N dimetiltriptamina), una triptamina psichedelica presente in alcuni
funghi allucinogeni appartenenti al genere Psilocybe e Stropharia, capaci di
interrompere il normale funzionamento della rete di comunicazione neurale,
attivando connessioni tra aree cerebrali che non sono direttamente collegate
(Petri et al., 2014). I funghi allucinogeni (detti anche funghi “magici”) erano
conosciuti sin dai tempi del Neolitico e venivano utilizzati degli sciamani nei
riti magici allo scopo di indurre stati alterati di coscienza che, proiettando
l’individuo in una condizione mentale di trance ipnotica, gli permettevano di
81 | P a g .
entrare in contatto con una dimensione spirituale ed extracorporea, popolata
da entità sovrumane (dèi, spiriti, angeli, demoni): tale pratica, mediata
dall’assunzione di sostanze psichedeliche, era collegata, secondo le credenze
di alcuni popoli, al possesso di poteri di guarigione taumaturgica da parte dello
sciamano che, come tale, era rispettato e venerato dalla comunità (Pahnke,
1966; Zusne & Jones, 1989; Harner, 2013; Winkelman, 2010).
La
psilocibina,
in
particolare,
possiede
una
molecola
simile
al
neurotrasmettitore della serotonina, che oltre ad essere in grado di potenziare
le facoltà mnemoniche e le potenzialità creative del soggetto assuntore (ecco
il motivo per cui diversi artisti ne fanno uso), viene spesso utilizzata in campo
psichiatrico nel trattamento di alcuni disturbi della personalità. Nel caso dei
fenomeni di arte medianica, qualora fosse provata l’assunzione di tale sostanza
da parte dei pittori medianici, questa potrebbe favorire o indurre (come una
sorta di ipnosi regressiva chimicamente indotta) l’accesso alla “memoria
estetica” dell’artista medianico, di cui si parlerà più approfondimente nel corso
del presente lavoro, all’interno della quale il soggetto sarebbe in grado di
recuperare le immagini e/o esperienze estetiche, fissate inconsapevolmente
attraverso i meccanismi di percezione visiva ed immagazzinate in tale
“archivio mentale”, attuando una procedura di matching tra visione mentale
dei contenuti estetici ed azione psicopittorica in grado di riprodurli, proprio
attraverso le modalità di funzionamento dei neuroni specchio, secondo
l’ipotesi avanzata in questa ricerca. Ma, allo stato attuale degli studi, non
risultano casi in cui il soggetto si sia volontariamente sottoposto a prelievo
sanguigno per verificare la presenza di sostanze psicotrope nell’organismo e
nessuno degli artisti medianici è sembrato disposto ad ammettere di fare uso
di droghe per potenziare le proprie facoltà mentali e creative, trasformandosi
in artista medianico, infangando alla fine la propria reputazione di essere un
“eletto”, ossia un individuo ispirato o “posseduto” da un’entità soprannaturale,
che lo avrebbe scelto tra molti come canale di comunicazione con una
dimensione soprannaturale o con l’aldilà.
Gli effetti di una sostanza allucinogena come la psilocibina variano da
individuo a individuo (in quanto legate alle differenze soggettive nella
82 | P a g .
capacità di ricaptazione della serotonina), determinando nei soggetti
neurobiologicamente predisposti una maggiore apertura mentale e creativa ed
un potenziamento del senso estetico, con espansione delle facoltà di accesso
ad immagini e visioni fantastiche, nonché ad esperienze mistiche, che spesso
si ritrovano anche in pazienti schizofrenici (Eastwood et al., 2001).
Una maggiore propensione e suscettibilità del soggetto all’ipnosi ed alla
suggestionabilità ed autosuggestionabilità (hypnotizability), così come una
spiccata tendenza verso visioni fantastiche (fantasy-prone personality),
determina una maggiore sensibilità all’assunzione di sostanze psicotrope ed
allucinogene, così come ad altre procedure utilizzate per indurre stati alterati
di coscienza (come la meditazione trascendentale ed il biofeedback),
producendo risposte creative imprevedibili e al di fuori dall’ordinario (Glisky
et al., 1991; Laidlaw et al., 2005). Gli studi sulla risposta differenziale alla
psilocibina hanno evidenziato che la cosiddetta absorption (stato mentale
dissociativo e di ipnotica concentrazione, caratterizzato da sintomi quali
straniamento, depersonalizzazione e derealizzazione, ma anche attenzione
focalizzata) ha maggior impatto sul soggetto rispetto a tutte le altre variabili
psicologiche determinate dalle esperienze individuali di stati alterati di
coscienza: infatti, la absorption è fortemente associata con l'alterazione
complessiva della coscienza, le esperienze di tipo mistico e gli effetti visivi
psichedelici indotti dalla psilocibina e da altre sostanze psichedeliche (Pahnke,
1966; Carhart-Harris et al., 2012). I ricercatori hanno suggerito che le
differenze individuali sia in absorption che in reattività alle droghe
allucinogene potrebbero essere connessi all’intensità del potenziale legame
con i recettori della serotonina (in particolare il 5-HT2a), che costituiscono il
principale luogo di azione degli allucinogeni classici, sia di origine naturale
(come mescalina, pejotes, ayahuasca, ibogaina) che di sintesi, come l’LSD (o
acido lisergico) e la ketamina (Hartman & Holister, 1963; Pahnke & Richards,
1966; Johnstone, 1973; Bianchi, 1997; Ott et al., 2005).
Appare chiaro che l’effetto di tale sostanza (come di altre sostanze similari)
possa essere potenziato se il soggetto si trova a vivere in un contesto culturale,
religioso ed antropologico altamente suggestionante ed evocativo, come
83 | P a g .
quello spiritistico dei Centros brasiliani, ovvero dei circoli di formazione
“spiritica” kardeciana, intrisi di suggestioni e condizionamenti medianici e
frequentati assiduamente da numerosi medium-artisti che, in qualità di adepti,
ne assorbono l’influenza pervasiva suggestionante completando in tal modo il
loro percorso di “addestramento mistico”. La droga potrebbe quindi essere in
grado di indurre il processo dissociativo ed estatico che conduce alla
manifestazione degli automatismi creativi tipici dell’arte medianica, agendo
da catalizzatore dei meccanismi neurobiochimici in grado di stimolare
l’ipersensibilità estetica propria degli artisti medianici, potenziandone di
conseguenza i processi creativi e le abilità artistico-espressive pur senza il
coinvolgimento cosciente e volontario dell’individuo, il quale agisce in
maniera inconsapevole, spontanea e automatica, essendo appunto immerso
nello stato di “dissociazione creativa” indotto dalla droga. L’ipotesi di un
coinvolgimento di sostanze allucinogene e psicotrope potrebbe anche spiegare
l’apparente comunicazione tra gli artisti e le entità disincarnate degli spiriti,
come già evidenziato nel corso di precedenti ricerche (Meyer, 1994).
84 | P a g .
PARTE II:
LA RICERCA
85 | P a g .
CAPITOLO TERZO:
OBIETTIVO E METODO DELLA RICERCA
3.1 Obiettivo della ricerca: una nuova ipotesi interpretativa
Partendo dal quadro teorico sopra delineato, che rappresenta lo stato attuale
degli studi sull’arte medianica, e ritenendo che tale fenomeno creativo possa
essere spiegato da un punto di vista neuroscientifico senza ricorrere ad ipotesi
di natura parapsicologica o metapsichica (quale manifestazione di presunte
facoltà medianiche o di possessione spiritica), la presente ricerca si è posta
l’obiettivo di chiarire quali potrebbero essere i meccanismi neurobiologici alla
base dei fenomeni dissociativi non patologici osservabili negli artisti
medianici nel corso delle performance di arte medianica, fornendo una nuova
ipotesi interpretativa che aiuti a far luce su queste manifestazioni di creatività
artistica spontanea ed inconsapevole parte di individui del tutto privi di
qualsiasi conoscenza artistica, ed offrendo una nuova prospettiva di ricerca
che possa costituire la base di partenza per ulteriori studi di approfondimento,
nel tentativo di dare una spiegazione scientifica al fenomeno psichico degli
automatismi creativi.
L’ipotesi avanzata in questo lavoro di ricerca, di tipo neuroscientifico e
cognitivistico, è che l’arte medianica sia un fenomeno creativo dovuto ad uno
specifico pattern di funzionamento dei neuroni specchio, i quali, in alcuni
individui neurobiologicamente predisposti ed ipersensibili al dato estetico, si
attiverebbero in maniera anomala attraverso il processo di visione/percezione
estetica, al punto da indurre il soggetto ad imitare/simulare/riprodurre
immagini artistiche (o comportamenti estetici) precedentemente osservate e
memorizzate, anche se a livello inconsapevole o inconscio. Lo stato
86 | P a g .
dissociativo, indotto o autoindotto, in cui tali individui sarebbero immersi nel
corso del verificarsi del fenomeno, favorirebbe in qualche modo il processo di
recupero/visione mentale del dato estetico, attivando i processi psicomotori
che conducono alla rappresentazione artistica della visione stessa per mezzo
degli automatismi creativi.
Poichè gli studi sui neuroni specchio hanno evidenziato una specifica
correlazione tra azione e osservazione, si è ipotizzato che, per quanto attiene
ai fenomeni di arte medianica, i processi di osservazione/visione estetica da
parte di alcuni individui non esperti d’arte, ma estremamente ipersensibili al
dato estetico (grazie al loro specifico asset neurale), siano in grado di indurre
corrispondenti manifestazioni artistico-creative sotto forma di automatismi
spontanei, che si verificano quando tali soggetti si trovano in uno stato di
alterazione dissociativa, ovvero quando non sono connessi con il proprio Io
cosciente: si è notato infatti che, nel caso degli artisti medianici, l’accesso a
tali esperienze avviene inconsapevolmente (ossia in stato di absorption o
trance semi-ipnotica e/o allucinatoria) e si manifesta attraverso un processo di
automatismo creativo spontaneo ed involontario da parte di soggetti che non
hanno mai avuto esperienze artistiche (o intrapreso un percorso di formazione
artistica) prima del verificarsi dell’evento e che, una volta rientrati allo stato
di coscienza ordinario susseguente alla manifestazione del fenomeno creativo,
non riconoscono l’opera d’arte come prodotto della loro creazione.
Sulla base del rapporto di correlazione tra azione ed osservazione evidenziato
dagli studi sui neuroni specchio, è stata pertanto ipotizzata una positiva
correlazione tra l’inconsapevolezza nella osservazione/memorizzazione dei
dati estetico-artistici da parte dell’individuo (input) ed l’inconsapevolezza
dell’azione/espressione estetica nel corso dei fenomeni di arte medianica
(output): il soggetto assimila inconsapevolmente i contenuti estetici attraverso
l’esperienza percettiva e, visualizzandoli mentalmente, li riproduce altrettanto
inconsapevolmente attraverso gli automatismi spontanei tipici dei fenomeni di
arte medianica, che si manifestano quando l’individuo è immerso in uno stato
dissociativo indotto o autoindotto. L’inconsapevolezza nell’assimilazione dei
contenuti estetici spiegherebbe l’assenza, a livello consapevole, di qualsiasi
87 | P a g .
cognizione o abilità tecnico-artistica da parte dell’artista medianico, che è in
grado di creare le sue opere senza apparentemente possedere alcuna
competenza artistica: l’arte medianica è un fenomeno creativo che si manifesta
senza la consapevolezza dell’individuo, ovvero senza la partecipazione
cosciente dell’artista.
Nel caso dei fenomeni di automatismo creativo di tipo grafico-pittorico, la
particolare “ipersensibilità estetica” dei soggetti coinvolti e la conseguente
attivazione del sistema dei neuroni specchio, che reagirebbero alla visione
delle immagini mentali che affiorano da una specifica “memoria estetica” nel
corso dei fenomeni (i quali avvengono in stato modificato di coscienza),
sarebbe dovuta ad uno specifica struttura (o asset) neurale del soggetto stesso
e, quindi, avere una potenziale configurazione innata ed universale: data
l’esiguità dei soggetti interessati dal fenomeno, è lecito presupporre che tale
configurazione neurale, in grado di attivare le manifestazioni spontanee di arte
medianica, si presenti raramente nell’uomo. In tale tipologia di soggetti,
interessati da stati dissociativi non patologici in grado di generare fenomeni
psichici di natura creativa, questa “ipersensibilità estetica” si esprimerebbe
attraverso l’acquisizione/assimilazione involontaria di dati percettivocognitivi di tipo estetico provenienti dalla realtà esterna al soggetto
percipiente. Tali dati verrebbero assorbiti in maniera inconsapevole e
subliminale attraverso l’esposizione a vari stimoli o esperienze, come la
formazione culturale, il contesto sociale, le esperienze estetiche (ad esempio:
lettura di libri, visite a musei, osservazione di artisti al lavoro, etc.),
l’esposizione ai flussi informativi dei mezzi di comunicazione di massa (ad
esempio I programmi televisivi di arte e cultura) ed altro ancora, che
andrebbero a costituire e alimentare una specifica “memoria estetica”, di cui
si parlerà più avanti. In tal modo verrebbero assorbiti ed assimilati a livello
inconscio ed inconsapevole gli stili pittorici o le tecniche artistiche di famosi
artisti del passato, riuscendo ad “immaginare” ed a mettere in atto anche la
manualità (artistry) e la sequenzialità dei gesti necessari a riprodurre le opere,
indipendentemente da punti di riferimento di natura spaziale e/o ambientale,
come ad esempio la luce. Ecco perchè alcuni artisti medianici riescono a
88 | P a g .
dipingere anche al buio: essi sono immersi in uno stato di cecità ipnotica e
fanno ricorso ad un tipo di memoria diverso da quella visiva e/o di lavoro
(Bryant & McConkey, 1989a, 1989b e 1989c).
Le dinamiche estetico-simulative, artistico-imitative e di “inconsapevolezza
creativa” da parte dell’artista medianico, messe in atto attraverso le specifiche
modalità di funzionamento dei neuroni specchio, dando luogo al fenomeno
della cosiddetta “simulazione incarnata”(embodied simulation) (Gallese,
2005; Gallese, Migone & Eagle, 2006), potrebbero essere messe in atto non
soltanto grazie all’osservazione e memorizzazione inconsapevole di dati
estetici ed esperienze artistiche (riutilizzati e messi in opera dal soggetto
attraverso gli automatismi psichici ed i fenomeni di creatività spontanea che
caratterizzano
le
manifestazioni
di
arte
medianica),
sperimentate
consapevolmente o inconsapevolmente attraverso meccanismi percettivi di
assorbimento cognitivo di natura subliminale, ma anche a livello di pura
visione mentale di azioni, immagini, e/o esperienze estetiche compiute
direttamente in prima persona, o indirettamente guardando altri individui
compiere tali azioni, ad esempio, immaginando se stessi o un artista dipingere
e poi farlo realmente in stato di trance dissociativa, senza rendersene conto: la
correlazione tra azione ed osservazione, che è una tipica funzionalità dei
neuroni specchio, si tradurrebbe quindi, nel caso dell’arte medianica, in
dinamiche di imitazione e/o simulazione di visioni mentali relative ad azioni,
immagini e/o esperienze estetiche, che verrebbro messe in atto dall’artista
medianico in uno stato modificato di coscienza di tipo dissociativo. Le
indagini effettuate mediante l’utilizzo delle tecniche di neuroimaging e
visualizzazione cerebrale hanno permesso infatti di evidenziare che le aree
cerebrali attivate quando si immagina di compiere un’azione (ossia quando si
ha la visione mentale dell’azione che viene compiuta) sono le stesse che
vengono attivate quando si vede compiere l’azione o la si compie in prima
persona nella realtà (McIntosh, 1999).
L’assunto di base di questa ricerca è che non vi sia alcuna competenza artistica
consapevole da parte soggetto, ossia che lo stesso non abbia mai sperimentato
la pratica artistica (art untrained) prima del verificarsi dei fenomeni di
89 | P a g .
automatismo creativo, non avendo appunto alcuna formazione in grado di
fornirgli le conoscenze artistiche e tecnico-stilistiche necessarie a realizzare
un’opera d’arte (artistic skills/abilities o artistry). L’opera emerge dunque
spontaneamente ed in maniera automatica, mentre il soggetto si trova assorto
in uno stato di trance dissociativa, ossia quando non è connesso e/o collegato
nè alla realtà esterna, nè alla sua sfera conscia: il soggetto non ha alcuna
conoscenza tecnica della pratica artistica, così come non è consapevole del
processo creativo da lui messo in atto involontariamente, in quanto dissociato
dalla realtà e dalla propria sfera conscia e volitiva. Ma se non vi è alcuna
competenza artistica o tecnico-stilistica, allora com’è possibile per l’individuo
riuscire a realizzare in pochi minuti (a volte solo decine di secondi) un’opera
d’arte (o anche due contemporaneamente), emulando, simulando o
riproducendo la tecnica e lo stile di famosi pittori del passato?
Per arrivare a formulare l’ipotesi alla base della nostra ricerca, si è dunque
partiti dalla scoperta dei neuroni specchio, avvenuta nel 1992 ad opera
dell’équipe di ricercatori del Dipartimento di Neuroscienze dell’Università di
Parma (Vittorio Gallese, Luciano Fadiga, Leonardo Fogassi, nonchè Giuseppe
di Pellegrino e Giovanni Pavesi), coordinati dal prof. Giacomo Rizzolatti:
com’è noto, si tratta di una particolare classe di neuroni presenti nel cervello
umano (ma anche nei primati, negli elefanti, nei delfini, nei cani ed in alcune
specie di uccelli), localizzati prevalentemente nella corteccia motoria e
premotoria (oltre che nella corteccia parietale inferiore e nell’area di Broca),
che si attivano sia durante l'esecuzione di azioni e/o movimenti finalizzati
(goal oriented) da parte di un individuo, sia quando l’individuo osserva tali
azioni che vengono eseguite da altri individui (ma anche immaginando di
compierle in prima persona, richiamandole alla memoria sotto forma di visioni
mentali), ponendo una base neurobiologica all'empatia ed alla consapevolezza
del sé, ma soprattutto all’apprendimento imitativo (che è la prima modalità di
apprendimento nei bambini): i neuroni specchio rendono infatti possibile il
riconoscimento, la comprensione e l’imitazione/simulazione delle azioni,
intenzioni ed emozioni altrui attraverso l’osservazione (che può essere anche
visione mentale), la quale contribuisce, per mezzo di un meccanismo di
90 | P a g .
“rispecchiamento”, alla costruzione di un repertorio psicomotorio in grado di
riprodurre, simulare o mimare azioni ed esperienze corrispondenti ai dati
percepiti o osservati (nel nostro caso, i dati estetici), indipendentemente dal
fatto che questi vengano osservati nella realtà o solo visualizzati mentalmente
dall’individuo. Gli stessi animali apprendono attraverso l’imitazione e, negli
uomini, i neuroni specchio rendono possibile proiettare inconsapevolmente
(ad un livello pre-riflessivo, inconscio e subliminale) azioni, immagini di
azioni o esperienze compiute da altri all’interno della propria mente,
fissandole ed imprimendole sui neuroni specchio come istantanee
“fotografiche” che vanno a costituire una specifica memoria latente, la quale,
nel nostro caso, diventa quindi una “memoria estetica”, capace di attivarsi
spontaneamente o di essere indotta a farlo in presenza di determinate
condizioni, o essere attivata dallo stesso individuo per mezzo di specifiche
tecniche induttive (come stati di meditazione profonda, ipnosi, uso di sostanze
psicotrope, allucinogene o psichedeliche, ed altro ancora), traducendo le
immagini visualizzate mentalmente in azioni o, nel nostro caso, movimenti
finalizzati alla creazione, rappresentazione e realizzazione di opere d’arte: il
soggetto simula i movimenti e riproduce nella realtà le immagini che osserva
nella propria mente, attraverso lo schema osservazione > azione, tipico dei
neuroni specchio. Lo stesso meccanismo funzionale viene attivato anche se il
soggetto immagina di compiere un’azione, come quella di disegnare o
dipingere.
Attraverso l’analisi dei dati osservazionali raccolti si è dunque giunti a
formulare una nuova ipotesi interpretativa dei fenomeni di arte medianica, che
coinvolgerebbero le specifiche modalità di funzionamento dei neuroni
specchio, trovandone conferma nella capacità di alcuni animali dotati dei
neuroni specchio, come appunto l’elefante, di sperimentare in maniera
inconsapevole l’esperienza estetica riuscendo a realizzare immagini pittoriche
pur senza avere alcuna cognizione artistica o tecnico-stilistica, ma utilizzando
unicamente la propria “memoria estetica” dopo una fase di addestramento
(senza voler assolutamente entrare nel merito della pratica tradizionale di
addestramento degli elefanti, chiamata phajaan, tipica di alcune zone del sud-
91 | P a g .
est asiatico, oggettivamente violenta e riprovevole, in quanto tesa, nella
credenza popolare, ad operare il distacco dello spirito dal corpo dell’animale,
annullando la sua volontà allo scopo di sottometterlo completamente al
padrone, o mahut). In questo caso, la fase di addestramento artistico
dell’elefante, che induce un condizionamento dell’animale, non pregiudica
affatto la capacità dell’animale stesso (che resta comunque inconsapevole del
processo creativo) di visualizzare mentalmente le immagini e rappresentarle in
forma estetica: l’animale deve comunque “vedere” l’immagine (dopo averla
recuperata nella propria memoria) prima di poterla rappresentare attraverso un
processo di riproduzione artistica, che presuppone un’azione motoria (formata da
una specifica sequenza di movimenti) necessaria alla rappresentazione pittorica.
Dopo aver formulato l’ipotesi che l’arte medianica possa essere un fenomeno
legato ad uno specifico pattern funzionale dei neuroni specchio, è opportuno
però precisare che, date le oggettive difficoltà tecniche legate ad un simile
lavoro di ricerca (di seguito dettagliatamente elencate), sarebbe necessario
effettuare, tramite l’utilizzo di tecniche di visualizzazione cerebrale e
neuroimaging (o, anche se in modo più invasivo, attraverso l’impianto di
elettrodi nel cervello, come è stato fatto nel caso delle scimmie, che hanno
portato alla scoperta dei neuroni specchio), ulteriori e più specifiche indagini
sperimentali sui soggetti non-umani in grado di realizzare prodotti di natura
estetica in assenza di qualsiasi conoscenza di tipo artistico, nè consapevolezza
del processo creativo alla base di tali produzioni, com’è stato evidenziato
attraverso l’analisi dei dati osservazionali (riportati in sitografia): tale
condizione di partenza è infatti compatibile con quella degli artisti medianici,
i quali, a livello consapevole, non avrebbero alcuna conoscenza o formazione
tecnico-artistica tale da indurli a sviluppare le abilità grafico-pittoriche da loro
dimostrate nel corso dei fenomeni di automatismo creativo. Confrontando i
risultati ottenuti attraverso tali sperimentazioni con analoghe rilevazioni
effettuate sugli artisti medianici nel momento stesso in cui si verificano tali
fenomeni creativi, sarà quindi possibile ottenere una migliore e più ampia
validazione dell’ipotesi presentata in questo lavoro di ricerca.
92 | P a g .
Le principali difficoltà riscontrate nella conduzione del presente lavoro di
ricerca, che hanno in parte limitato ulteriori approfondimenti, sono state:
1. La scarsità degli studi scientifici sino ad oggi effettuati, nonchè di una
letteratura specifica sull’argomento.
2. L’esiguità del numero dei soggetti viventi che manifestano i fenomeni
di automatismo creativo, tipici dell’arte medianica.
3. La lontananza geografica dei casi di studio (la maggior parte degli
artisti medianici viventi si trova tuttora in Brasile).
4. La resistenza, da parte degli artisti medianici, nel sottoporsi ad indagini
più accurate, seppur basate sull’utilizzo di tecniche non invasive di
visualizzazione cerebrale, come ad esempio la risonanza magnetica
funzionale (fMRI) o la tomografia ad emissione di positroni (PET).
5. I costi connessi ai protocolli di ricerca, nonchè all’utilizzo delle
apparecchiature di visualizzazione cerebrale.
6. Lo stato attuale della ricerca sui neuroni specchio, ancora in via di
ulteriore approfondimento e soggetta ad ulteriori sviluppi.
Il presente lavoro non ha dunque la pretesa di essere esaustivo, ma intende
offrire una nuova prospettiva di ricerca che, grazie al contributo di ulteriori
studi di approfondimento di tipo neuroscientifico, possa far luce su questo
affascinante, ed in gran parte ancora inesplorato fenomeno, della creatività
umana.
3.2 Metodo di ricerca: un approccio qualitativo multidisciplinare
Il metodo utilizzato in questo lavoro di ricerca sui fenomeni di automatismo
creativo noti come “arte medianica” è quello qualitativo, basato sullo “studio
di caso” di tipo esplicativo-strumentale riferito a casi multipli, condotto per
mezzo di un approccio di tipo comparativo e multidisciplinare (Yin, 1993 e
2003; Stake, 1995; Soy, 1997; Sturman, 1998).
93 | P a g .
Prima di arrivare alla formulazione dell’ipotesi presentata in questo, è stato
tracciato un quadro teorico d’insieme dove sono state raccolte ed attentamente
vagliate tutte le spiegazioni fornite sino ad oggi sui fenomeni di automatismo
creativo che caratterizzano le manifestazioni di arte medianica, partendo da un
contesto empirico caratterizzato da un basso livello di dimostrabilità (quello
parapsicologico), fino ad arrivare ad un ambito di ricerca dotato di un più
elevato
livello
di
“densità”
scientifica
(prevedendo
l’impiego
di
apparecchiature e strumentazioni diagnostiche/biomediche per un’obiettiva e
più accurata misurazione dei risultati), dove è stato possibile raccogliere gli
elementi a sostegno della nostra ipotesi, come evidenziato nella Figura 1.
Figura 1. Arte Medianica: il quadro teorico attuale
Oltre che attraverso un’indagine di tipo psicobiografico, effettuata sugli artisti
medianici ormai scomparsi sulla base dei resoconti storici redatti per mezzo
di interviste, testimonianze dirette e studi scientifici (per la verità pochi e
tendenzialmente riconducibili al campo parapsicologico), la presente ricerca è
stata condotta su un panel di pittori medianici viventi (in particolar modo
94 | P a g .
brasiliani),
attraverso
l’osservazione
e
l’analisi
approfondita
delle
registrazioni audiovisive delle performances di arte medianica, supportate da
indagini psicodiagnostiche e da studi condotti in ambito psicoantropologico
da altri gruppi di ricerca (Hageman et al., 2010; Hageman, Wickramasekera
& Krippner, 2011; De Oliveira Maraldi & Krippner, 2013), utilizzando quindi
un approccio di tipo sincretico e multidisciplinare. I risultati di queste analisi
sono stati poi messi a confronto con le più recenti sperimentazioni sui neuroni
specchio e sui loro meccanismi di funzionamento, permettendoci di formulare
una nuova ipotesi interpretativa in relazione al fenomeno indagato e di
giungere alle conclusioni finali presentate in questo lavoro.
Per arrivare alla formulazione della nuova ipotesi, è stato effettuato uno studio
approfondito su tutti i casi noti di arte medianica verificatisi nel mondo in
epoche diverse: tale lavoro di ricerca, di tipo comparativo, ha consentito di
evidenziare la presenza di fattori comuni e ricorrenti in contesti socio-culturali
differenti, lontani sia nel tempo che nello spazio, portando alla costruzione di
un quadro teorico d’insieme ed alla formulazione di una nuova ipotesi
interpretativa di tipo neuroscientifico. La triangolazione delle fonti dei dati
raccolti sui fenomeni di arte medianica verificatisi nel mondo in vari periodi
storici, ha infatti restituito un quadro sufficientemente coerente, basato sulla
presenza di numerosi elementi comuni e ricorrenti, caratterizzati da uno
spiccato ritualismo nei processi di automatismo creativo osservati negli artisti
medianici, ossia di schemi ricorrenti indipendentemente dalla cultura di
appartenenza o dall’epoca storica di riferimento (Denzin, 1984).
Tutto ciò ha permesso di sostenere l’ipotesi che l’arte medianica possa avere
una base neurobiologica e, quindi, potenzialmente universale: infatti, questo
fenomeno
“non-ordinario”
di
creatività
spontanea,
apparentemente
inspiegabile da un punto di vista scientifico, potrebbe essere in realtà
determinato da una particolare “ipersensibilità estetica” dovuta allo specifico
asset neurale di alcuni individui che, immersi in uno stato modificato di
coscienza (indotto o autoindotto), sarebbero in grado di attivare un processo
di creatività spontanea, manifestando (sotto forma di automatismi psicomotori
involontari) abilità artistiche latenti, ovvero mai apprese a livello cosciente,
95 | P a g .
depositate in una specifica “memoria estetica” alimentata in modo del tutto
inconsapevole dal soggetto attraverso i meccanismi di percezione visiva.
Ma come si è giunti a tale ipotesi? Poichè dall’analisi delle registrazioni video
delle performances di arte medianica si è rilevato che gli artisti, immersi in
uno stato modificato di coscienza di tipo dissociativo, tendevano a volgere
frequentemente il loro sguardo in maniera focalizzata ed attentiva in vari punti
dell’ambiente circostante (come se stessero effettivamente guardando
qualcosa, anche se in realtà avevano gli occhi chiusi o non vi era alcun oggetto
in direzione del loro sguardo), continuando poi nell’esecuzione dell’opera, si
è intuito che gli artisti riuscissero a visualizzare delle immagini mentali,
simulando i gesti ed i movimenti necessari a riprodurle. Tale processo,
implicando il recupero del ricordo e la visualizzazione mentale delle
immagini, presuppone dunque l’esistenza di una “memoria estetica”
contenente un archivio di immagini memorizzate inconsapevolmente dal
soggetto (una sorta di memoria fotografica), che non ne ha ricordo cosciente:
in sostanza, quando il soggetto è immerso in uno stato alterato di coscienza
(ad esempio, trance o ipnosi), osserva l’immagine mentale e la riproduce senza
rendersene conto, in maniera automatica ed inconsapevole, anche se tale
abilità tecnica non è accessibile a livello cosciente, ossia quando il soggetto si
trova allo stato ordinario di coscienza. Una volta recuperato il ricordo,
l’osservazione dell’immagine mentale si traduce dunque in azione
involontaria ed automatica, attivando in modo inconsapevole il processo
creativo e le abilità artistiche latenti ad esso associate.
Poichè la correlazione tra osservazione e azione è una tipica funzionalità dei
neuroni specchio, si è dedotto che i fenomeni di arte medianica possano in
qualche modo coinvolgere e/o essere determinati da questa specifica classe di
neuroni, di recente scoperta. Una conferma significativa a tale ipotesi, ma,
soprattutto, una prova evidente dell’esistenza di una “memoria estetica”, è
emersa osservando il comportamento artistico degli “elefanti pittori” in
Thailandia, di cui si parlerà più avanti.
96 | P a g .
3.3 Fonti di dati e materiali di studio
Per arrivare alla formulazione dell’ipotesi che è alla base del presente lavoro
di ricerca, sono state utilizzate diverse fonti di dati e materiali, che hanno tutti
contribuito in varia misura a determinare il quadro d’insieme che ha portato
alla formulazione della nuova ipotesi interpretativa relativa ai fenomeni di
automatismo creativo, compresi nella definizione di “arte medianica”. Tale
ipotesi non era stata ancora considerata dai precedenti (seppur ancora esigui)
studi scientifici sull’argomento.
Le fonti di dati utilizzate nella presente ricerca sono state le seguenti:
1. I casi riportati sino ad oggi nella letteratura scientifica internazionale,
limitatamente a quelli che sono stati analizzati in maniera dettagliata
sulla base delle manifestazioni psichiche e neurofisiologiche degli
artisti, registrate nel corso dei fenomeni. Si è partiti dalle prime
descrizioni scientifiche dell’arte medianica in ambito psicologico
(Freimark, 1914), fino ad arrivare alle più recenti investigazioni basate
sull’utilizzo di protocolli d’indagine psicodiagnostica condotte sui
pittori medianici brasiliani, che rappresentano tuttora il fenomeno più
interessante anche da un punto di vista psicoantropologico ed
etnopsichiatrico, in quanto legati ad uno specifico sistema di credenze
e pratiche mistico-religiose (De Oliveira Maraldi, 2014).
2. I dati osservazionali:
a) Analisi dettagliata delle registrazioni video delle performance
pubbliche
degli
artisti
medianici
brasiliani
(reperibili
su
Youtube.com, ma trasmesse anche alla televisione italiana nel corso
di alcuni dossier di approfondimento), seguite dallo studio
sistematico delle azioni psicomotorie osservabili (mimica facciale,
movimenti del corpo, comunicazione non verbale, prossemica),
così come delle dinamiche d’interazione tra artista, pubblico ed
ambiente circostante, nonchè delle tecniche di esecuzione
dell’opera, evidenziate dalla scansione al rallentatore dei frames
97 | P a g .
delle performance videoregistrate ed il ricorso allo zoom su
particolari dettagli del corpo dell’artista in azione, come il volto e
le mani, allo scopo di rilevare particolari segnali, sintomi e/o
evidenze di natura psicofisica (sudorazione, movimenti muscolari
involontari ed espressioni, anche impercettibili, del viso).
b) Analisi accurata del materiale artistico, ossia delle opere d’arte
prodotte, effettuata sia da un punto di vista stilistico-formale (tratto,
colore, luce, prospettiva, profondità, etc.) ed estetico (rispondenza
a determinati canoni di bellezza, perfezione delle forme, giudizio
critico, etc.), che in relazione alle modalità esecutive ed ai tempi
tecnici di realizzazione dell’opera.
c) Osservazione diretta sul posto ed analisi dettagliata del materiale
video disponibile sul fenomeno degli “elefanti pittori” della
riserva di Maesa a Chiang Mai (Maesa Elephant Camp) e del
Thai Elephant Conservation Center (TECC) di Lampang in
Thailandia (cfr. www.thailandelephant.org/en/painting.html), per
quanto attiene ai meccanismi di funzionamento dei neuroni
specchio e la loro applicabilità ai casi di automatismo creativo
tipici degli artisti medianici. I links ai contributi video sono
raccolti nella sezione “Riferimenti Sitografici” del presente lavoro,
sotto la voce “Elefante pittore”.
3. Le informazioni psicobiografiche ed i dati socio-demografici relativi
agli artisti medianici, con particolare riferimento al contesto
socioculturale ed al vissuto degli artisti all’interno delle proprie
comunità di appartenenza.
4. I risultati delle indagini clinico-diagnostiche ed elettrofisiologiche
condotte dal Dipartimento di Psicologia dell’Università di San Paolo
del Brasile sui pittori-medium brasiliani attraverso l’utilizzo di
apparecchiature biomediche: le misurazioni sono state effettuate sia in
stato di riposo (ad occhi chiusi e aperti) che nel corso della
manifestazione dei fenomeni creativi osservati, come ad esempio
98 | P a g .
durante l’intenso sforzo mentale ed immaginativo, che culmina nel
momento della presunta “incorporazione” dello spirito dell’artista
defunto nel pittore medianico, registrando le risposte del sistema
nervoso centrale e periferico. Il caso di studio più completo, sul quale
sono state sperimentate tutte le seguenti metodologie d’indagine, è
stato quello del pittore medianico brasiliano José Jacques Andrade, che
è stato analizzato sulla base di un approccio di tipo biopsicosociale
dall’équipe di ricercatori del Dipartimento di Psicologia Sociale
dell’Università di San Paolo del Brasile (De Oliveira Maraldi &
Krippner, 2013):
a)
registrazione
dell’attività
elettrica
cerebrale
tramite
elettroencefalografia (EEG) (cfr. Hughes & Melville,1990;
Ooashi et al., 2002; Delorme et al., 2013);
b)
elettrocardiogramma e studio del tracciato cardiaco (ECG);
c)
rilevazione della temperatura corporea (in particolare la
temperatura delle mani);
d)
attività elettrodermica (EDA) e conduttanza cutanea bilaterale o
Galvanic Skin Resistence (GSR);
e)
elettromiografia e analisi della tensione muscolare (EMG).
f)
poligrafo (o “macchina della verità”).
5. I risultati di test e misurazioni psicodiagnostiche effettuati dal
Dipartimento di Psicologia Sociale dell’Università di San Paolo del
Brasile, supportati anche dall’osservazione partecipante di tipo socioantropologico e dall’intervista individuale semi-strutturata o nonstrutturata di tipo narrativo:
a) Childhood Trauma Questionnaire (CTQ), al fine di verificare
l’eventuale correlazione tra abusi infantili e disturbi dissociativi,
nonchè altri sintomi di natura somatoforme, come il disturbo di
conversione, in quanto fortemente legati ad episodi di forte ansia e
stress per il soggetto traumatizzato (Irwin, 1994a; Bernstein & Fink,
99 | P a g .
1997): tali abusi sono frequenti in determinati contesti sociali ed in
particolari aree geografiche (caratterizzate da povertà e disagio
sociale, nonchè esposizione ad episodi di violenza personale), come
appunto il Brasile, dove si registra attualmente il maggior numero
di casi di automatismo creativo, data la presenza in questo paese
della maggior parte degli artisti medianici viventi (che fanno capo
ai centri spiritici kardeciani, noti come Centros). L’arte medianica
potrebbe dunque rappresentare un meccanismo psichico difensivo
(o strategia di coping), ossia di rimozione del trauma o di
autoaffermazione individuale, sviluppato inconsapevolmente dal
soggetto traumatizzato. Le variabili prese in considerazione dal
questionario somministrato sono state: l’abuso fisico (percosse,
punizioni, malnutrizione), l’abuso emotivo (minacce, paure,
deprivazioni), l’abuso sessuale, la trascuratezza fisica ed emotiva e
l’abbandono, misurati in frequenza, intensità e durata degli episodi.
b) Tellegen Absorption Scale (TAS), al fine di verificare il livello di
absorption,
ossia
di
attenzione
focalizzata,
straniamento,
depersonalizzazione e/o derealizzazione sperimentati dal soggetto
analizzato, che sono solitamente associati agli stati modificati di
coscienza, ad esperienze mistico-ascetiche di meditazione profonda
o all’uso di sostanze psicotrope ed allucinogene come la psilocibina,
in grado di alterare e/o potenziare l’attività neurale, creando
iperconnessioni cerebrali, amplificando le capacità creative della
mente ed attivando percezioni multisensoriali e sinestetiche
(Tellegen & Atkinson, 1974; Carhart-Harris et al., 2012). Questi
stati attenzionali, estremamente focalizzati interessano molto
spesso individui dotati di una personalità spiccatamente tendente
all’ideazione fantastica, ovvero caratterizzata da una forte
predisposizione alla fantasia (fantasy proneness) e, quindi,
predisposta a forme di alterazione creativa, nonchè soggetti inclini
alla suscettibilità ipnotica (Hilgard, 1965). Stando ad alcune
ricerche, I tratti riconducibili a tali tipologie di personalità sarebbero
100 | P a g .
positivamente correlati alla comparsa di stati dissociativi o
comunque alterati di coscienza, come quelli che si verificano nel
corso delle manifestazioni di automatismo creativo degli artisti
medianici (Lynn & Rhue, 1988; Lynn, Pintar, & Rhue, 1997).
c) Revised Transliminality Scale (RTS) (Thalbourne & Maltby, 2008).
Tale scala è intesa a misurare il livello di ipersensibilità individuale
al materiale psicologico (inteso come immaginazione, ideazione,
emozione e percezione) proveniente dall’inconscio del soggetto
analizzato o come risposta del soggetto stesso all’ambiente esterno
sotto forma di stimoli socio-culturali, in grado complessivamente di
influenzare il comportamento e le risposte emotive, cognitive e le
azioni dell’individuo. In particolare, la versione rivista di tale
strumento d’indagine include nuove voci relative a: ideazione o
pensiero magico, esperienze mistiche, absorption, derealizzazione
e depersonalizzazione, immedesimazione con la natura e gli oggetti,
iperestesia,
esperienze
interpretazione
di
psicotiche
sogni/incubi,
e
ideazione
credenze
maniacale,
paranormali
e
predisposizione/tendenza alla fantasia (Lange et al., 2000). Nello
specifico del presente lavoro, riveste un particolare interesse
l’analisi dei cosiddetti “sogni archetipali”, dove vengono riferiti
incontri con esseri soprannaturali, nonché la correlazione con
particolari variabili di tipo psicopatologico e non, come:
dissociazione, disturbo schizotipico di personalità (Dagnall et al.,
2010), tendenza alle allucinazioni, personalità creativa ed
esperienze traumatiche infantili (Thalbourne, Houran & Crawley,
2003).
d) Dissociative Experiences Scale (DES), uno strumento in grado di
analizzare le esperienze dissociative non soltanto come patologia,
ma come continuum di esperienze di stati di coscienza di differenti
intensità, comprendendo quindi sia esperienze definite “normali”
che “anomale” (Bernstein & Putnam, 1986; Carlson & Putnam,
1993; Carlson et al., 1993; Wright & Loftus, 1999).
101 | P a g .
6. Analisi e comparazione dei dati osservazionali ed empiricofenomenologici, di cui al punto 2. del presente paragrafo, con gli studi
e le sperimentazioni sui neuroni specchio condotti in ambito
neuroscientifico (Rizzolatti et al., 1996; Gallese et al., 1996; Rizzolatti
& Craighero, 2004; Rizzolatti & Sinigaglia, 2006; Gallese, 2005;
Gallese et al., 2006; Iacoboni, 2008).
102 | P a g .
CAPITOLO QUARTO:
I CASI DI STUDIO
4.1 I casi italiani
4.1.1 Gustavo Adolfo Rol (1903-1994)
Personaggio molto noto ed eclettico,
stimato
da
grandi
personalità
del
Novecento (tra cui Albert Einstein), era
dotato di presunte facoltà paranormali, ma
non volle mai sottoporsi a controlli
scientifici, per cui si è giustamente dubitato
del reale possesso delle sue capacità. Uomo
di vasta cultura, proveniva da un’agiata
famiglia torinese. Si interessò direttamente
Figura 2. Gustavo Adolfo Rol
d’arte, cimentandosi personalmente nella
pittura e nella musica e frequentando molti artisti. Quello che ci interessa
maggiormente della sua produzione artistica è la sua capacità di utilizzare i
processi creativi in modo “non ordinario”, ossia senza seguire le normali
procedure di creazione artistica. Infatti, a corollario delle sue presunte capacità
paranormali, Rol era in grado di materializzare sia la scrittura che la pittura
senza entrare direttamente in contatto con il supporto, ossia con il foglio di
carta o la tela. Le sue capacità creative, a detta di testimoni attendibili, si
estrinsecavano infatti a distanza, facendo comparire scritte o disegni che lui
attribuiva a quelli che lui chiamava “spiriti intelligenti”.
103 | P a g .
Secondo la personale “teologia” dell’autore (di tipo antropocentricoanimistico), ogni cosa possiede un proprio spirito: il mondo sarebbe pervaso
da una armonia universale, essendo immerso in un potente flusso di energia
che non risponde alle leggi fisiche conosciute, ma agirebbe per mezzo di
particolari vibrazioni e risonanze. L’uomo, in particolare, sarebbe dotato di
una sorta di dualità animistica: oltre l’anima, l’essere umano possederebbe uno
“spirito intelligente”, cioè provvisto di una coscienza e di capacità creative
proprie, che dopo la morte continuerebbe a permanere in questa dimensione,
entrando in contatto con individui particolarmente sensibili e ricettivi.
Insomma, il mondo sarebbe pervaso da una potente energia immateriale, un
etere psichico nel quale viaggiano sotto forma di onde tutte quelle facoltà che
sfuggono alle leggi fisiche conosciute (come la telepatia, la chiaroveggenza,
la precognizione ed altri fenomeni). Rol sosteneva di entrare in contatto con
gli “spiriti intelligenti” di famosi pittori del passato, come François-Auguste
Ravier, El Greco, Vassily Kandinsky, Pablo Picasso, Francisco Goya, Henri
Matisse, George Braque ed altri, attraverso i quali dipingeva le proprie opere
utilizzando solo tre colori (Fig. 26, 27 e 28). La cosa sorprendente è che Rol,
almeno apparentemente, non entrava in contatto con colori, pennelli e fogli di
carta, ma i dipinti si materializzavano da soli all’interno di fogli ripiegati, che
erano stati inseriti nelle tasche dei suoi amici o immersi in bicchieri d’acqua
(Riccardi, 2004). Purtroppo Rol non permise ad alcuno scienziato di
approfondire la natura dei suoi presunti poteri, ne tantomeno la genesi degli
eccezionali fenomeni di cui si rese protagonista, esponendosi ad aspre critiche
e ad accuse di illusionismo ed abile prestidigitazione.
4.1.2 Narciso Bressanello (1915-2001)
Nato a Burano da una famiglia molto modesta, lavorava come costruttore e
riparatore di barche nel sestiere di Dorsoduro a Venezia quando, all’età di 61
anni, si ammalò gravemente. Una volta guarito, spinto da un impulso
irresistibile e quasi sotto costrizione, produsse di getto centinaia di disegni di
104 | P a g .
grandi dimensioni (figure umane,
animali, edifici), senza mai sapere in
anticipo
cosa
avrebbe
dipinto.
Dipingeva ossessivamente tutti i
giorni con grande velocità e sicurezza,
senza apportare alcun ritocco o
correzione ai suoi dipinti, recitando
sottovoce in ritmo staccato versi che
leggeva da fogli sparsi sulla scrivania
del suo laboratorio di artigiano. Il suo
stile era caratterizzato da un fitto ed
intricato groviglio di linee grafiche
simili a ragnatele, che riproducevano
complicati disegni astratti e informali,
nonchè immagini tratte da suggestioni
Figura 3. Narciso Bressanello - ©Elmar R. Gruber
visive e simboli archetipali della sua
terra di origine (l’isola di Burano), trasfigurandole ora in una cosmogonia
oscillante ed evanescente di reti di colori brillanti, ora in un’intricata selva di
linee sinuose in bianco e nero, utilizzando semplicemente una penna a sfera,
spesso duplicando in maniera simmetrica alcuni elementi delle composizioni
(ad esempio, pesci o uccelli, riproducendo la testa su entrambi i lati del corpo),
oppure inserendo paesaggi all’interno dell’addome di animali (Fig. 29 e 30).
Molte sono le raffigurazioni di santi e patriarchi, o dei simboli della città di
Venezia (come il Bucintoro, ossia l’antica imbarcazione dei Dogi, o il leone,
simbolo della città). Come altri pittori medianici, non possedeva alcuna
formazione artistica (aveva frequentato fino alla seconda elementare) e
nessuno della sua famiglia aveva mai disegnato. Organizzava spesso sedute
spiritiche in cui sosteneva di incontrare il suo spirito-guida (di nome Fidelio),
che dipingeva attraverso le sue mani, senza la partecipazione cosciente
dell’autore. L’artista dormiva pochissimo e disegnava tutto il giorno,
producendo anche tre o quattro opere in una sola giornata. Non considerava
tale attività come un hobby, ma un vero e proprio lavoro o, come amava
105 | P a g .
ripetere, una “preghiera”. Quando iniziava un lavoro, non sapeva mai in
anticipo cosa avrebbe disegnato o dipinto, ma si abbandonava completamente
ai propri automatismi, lasciandosi guidare dalla sua mano, che sembrava
rispondere a comandi interiori: percepiva infatti una “voce” che gli suggeriva
cosa fare e come procedere nella realizzazione delle opere. Non vi erano mai
ripetizioni, ma piuttosto variazioni su uno stesso tema. Nel suo tratto prevale
una regolarità geometrica che conferisce armonia alle opere (le quali
rispondono ad una sorta di ordine interiore), così come si nota nelle opere
dell’artista medianico francese Léon Petitjean, che presenta molte analogie
con Bressanello, specie per quanto riguarda la ripetizione e la
miniaturizzazione
degli
elementi
grafici.
Mentre
i
primi
disegni
rappresentavano ossessivamente piccoli mostri e teste animali, con il passare
del tempo l’artista sembrò acquistare maggiore serenità interiore, distendendo
il suo tratto, che andò acquistando una propria eleganza stilistica,
prevalentemente monocromatica, producendo linee più pure e incisive.
Interessante appare il processo di realizzazione tecnica dei suoi disegni: prima
veniva tracciata la struttura, che l’artista creava con l’estrema rapidità che
contraddistingue le modalità esecutive di altri artisti medianici, poi lo
arricchiva di ulteriori particolari completandolo. In questa modalità tecnicoesecutiva, è evidente la reminescenza della memoria di lavoro utilizzata
dall’artista quando esercitava il mestiere di barcaiolo ed era abituato a
costruire prima di tutto il telaio dell’imbarcazione, ossia la struttura vuota da
riempire, proprio come faceva con i suoi disegni. Bressanello non volle mai
dare un titolo alle sue opere.
4.1.3 Giuseppe Lanzillo (1913-2005)
Odontotecnico napoletano trasferitosi a Bologna, iniziò le sue creazioni
medianiche all’improvviso, verso la fine degli anni ’60 all’età di 57 anni,
senza aver mai avuto alcuna esperienza in campo pittorico o artistico.Sin
dall’infanzia si erano però verificati alcuni fenomeni anticipatori di presunta
106 | P a g .
natura paranormale (come episodi
di
precognizione
e
telepatia),
culminati poi in un’intensa attività
onirica,
che
si
ossessivamente
ricorrente
misteriosa
del
concentrò
sul
volto
donna
sogno
di
velata
una
e
sull’esperienza di viaggi compiuti
Figura 4. Giuseppe Lanzillo - © Visto
al di fuori del proprio corpo in
paesi lontani. La dimensione del sogno, infatti, caratterizzò fortemente il
processo creativo dell’artista, che dipingeva esclusivamente di notte, in stato
di trance, realizzando dipinti in modo automatico e rapidissimo (impiegava
dai 5 ai 15 minuti per completare un’opera): il processo creativo non lasciava
alcun ricordo cosciente nell’autore, come se nel corso del fenomeno il
soggetto manifestasse un’altra personalità. I fenomeni di arte medianica
durarono per circa un anno (dal 1970 al 1972) e scomparvero all’improvviso,
così come erano iniziati: dipinse un’opera quasi ogni notte per undici mesi di
seguito e poi, in modo alterno, per altri due-tre mesi, realizzando 234 tele.
L’impulso creativo ritornò dopo qualche tempo, ma lo stile pittorico si rivelò
completamente diverso dal precedente, esprimendosi per mezzo di disegni
molto semplici ed elementari, a testimonianza che il soggetto non sapeva
affatto dipingere. Le sue opere sono caratterizzate essenzialmente da due
tipologie di soggetto: 1) la rappresentazione surreale di paesaggi freddi e
nordici, nonchè di interni vuoti e inanimati di chiese e cattedrali, caratterizzati
da un’atmosfera sacrale e dalla ripetizione di motivi gotici (Fig. 32 e 33); 2)
la raffigurazione ritratti indefiniti e misteriosi, a volte sofferenti, esangui e
monocromatici, attribuiti dall’autore alle sue esperienze di reincarnazione
(Fig. 31). La personalità di Lanzillo era istrionica ed egocentrica, molto
tendente alla fantasia: l’artista credeva infatti nell’esistenza di dimensioni
parallele o altri mondi. Il suo caso venne stato studiato dal CSP - Centro Studi
Parapsicologici di Bologna, dove venne sottoposto ad ipnosi ed analizzato nel
corso della manifestazione del fenomeno (Cassoli, 1972). L’artista raccontò
107 | P a g .
che verso i quattro anni aveva subito un incidente, riportando un serio trauma
cranico dopo una caduta dal secondo piano della sua abitazione. In seguito,
verso i sei anni, cominciò ad avere allucinazioni e a fare sogni premonitori,
che poi sfociarono nell’automatismo delle sue produzioni pittoriche,
caratterizzate da una straordinaria vivacità creativa, ma soprattutto dalla
costante presenza di una figura umana di natura spirituale, una misteriosa
“dama velata”. L’artista riferiva infatti di provare la sensazione di sdoppiarsi
nel sonno per raggiungere questa donna a Londra, per poi fare ritorno nel
proprio corpo, provando la sensazione di vederlo dall’esterno (come riportato
nei casi di esperienza OBE). Il carattere erotico e fantastico, ma a volte anche
religioso, delle sue visioni confermerebbe le origini inconsce delle visioni, che
l’autore cercava di sublimare trasferendo le sue pulsioni sessuali sulla propria
attività artistica (Freud, 1979). Come già detto, l’artista iniziò a dipingere a
seguito di tali esperienze oniriche, in stato crepuscolare di trance
sonnambolica, avvertendo una sensazione di involontaria costrizione,
dipingendo anche su mobili e pareti nel caso non avesse trovato una tela a
disposizione. Solo dopo aver assecondato tale impulso (che percepiva come
una sorta di comando interiore), provava un senso di pace e di tranquillità,
come dopo aver assolto a un obbligo impostogli da una forza misteriosa.
Scrive Piero Cassoli, il noto psichiatra bolognese che nel 1972 ebbe modo di
studiare da vicino il caso dell’artista presso il CSP, Centro Studi
Parapsicologici di Bologna, anche sottoponendolo ad ipnosi: “Lanzillo, ad un
certo momento, sotto un impulso profondo, per lo più di carattere erotico e
fantastico ti tipo inconscio, ha ricevuto un imperativo psicologico verso
l’estrinsecazione di una sua tendenza repressa e latente, come spesso accade
ai musicisti, scrittori, calcolatori prodigio, i quali, senza aver appreso alcun
rudimento
particolare
e
specifico,
hanno
manifestato
in
maniera
personalissima i loro contenuti profondi e le loro attitudini prima ignorate”
(Cassoli, 1972). Fu proprio il Cassoli a coniare la definizione di “pittore
medianico”. Del caso di Giuseppe Lanzillo si occuparono noti psicologi e
parapsicologi (tra cui Massimo Inardi, noto tra l’altro per essere stato un
famoso campione di Rischiatutto, la celebre trasmissione condotta da Mike
108 | P a g .
Bongiorno negli anni Settanta), oltre che giornali nazionali ed internazionali,
rotocalchi e trasmissioni radiofoniche e televisive dell’epoca, facendolo
diventare un vero e proprio fenomeno mediatico. L’artista è stato ricordato
anche nel film del regista Pupi Avati La cena per farli conoscere, del 2006.
4.1.4 Iris Canti
Anche per questa medium milanese, che rappresenta forse il caso più noto di
artista medianica in Italia, si ripete l’ormai consueto schema di manifestazione
dei fenomeni di automatismo creativo, già riscontrato in altri artisti medianici
in varie parti del mondo. Ricorrono infatti: la sequenza di eventi traumatici
occorsi durante la vita dell’artista; la rivelazione del “dono” in età matura, nel
corso di una seduta spiritica; l’assenza di qualsiasi tipo di preparazione
tecnico-artistica; la capacità di dipingere sentendosi ispirata da entità spiritiche
diverse; la spiegazione delle sue opere ricevuta attraverso la scrittura
automatica; lo stato di semi-trance durante il quale venivano realizzati i
disegni. Le sue opere, create esclusivamente di notte assecondando un impulso
irresistibile, venivano solitamente eseguite mediante la tecnica del
“puntinismo”: migliaia di piccoli punti, apparentemente insignificanti, che
assumevano via via una configurazione sempre più complessa e coerente,
dando luogo a composizioni esteticamente perfette.
Il carattere ermetico dei suoi disegni cela molto probabilmente il vissuto
traumatico e difficile dell’artista: l’arte ha forse agito come meccanismo di
compensazione rispetto a un vissuto personale frustrante e insoddisfacente.
Spesso le opere venivano dipinte al rovescio, per cui erano leggibili solo dopo
aver capovolto il foglio. La convinzione di essere ispirati e guidati da forze
estranea alla propria volontà, ricorrente anche in altri artisti medianici, dava
all’artista la sensazione di dipingere “con mani diverse”. Infatti, se si eccettua
il caso dei medium-pittori brasiliani (che riproducono lo stile di famosi pittori
del passato), e a prescindere dallo stile unitario e prettamente personale
maturato da ciascun artista medianico, lo Stilwandel, ossia la capacità di
109 | P a g .
trasformare le proprie modalità espressive utilizzando stili pittorici diversi
(una testimonianza della compresenza di diverse “personalità” artistiche
nell’esecuzione delle opere) era molto frequente in questa autrice. Come ebbe
a dire la stessa artista, nel corso di un’intervista rilasciata alla studiosa Paola
Giovetti:
“È sorprendente ch’io parta da un punto x, ove sento di appoggiare la
penna o il pennello, senza avere un’idea di quello che verrà. E partendo
da questo punto x, che sia o no al centro, con linee che vanno, ritornano
e s’intersecano, avviene di vedere alla fine che il disegno è in centro,
esteticamente armonico, coerente come potrebbe essere quello eseguito
da persona capace che, avendo davanti un soggetto o un modello, abbia
già preparato, ideato l’insieme e magari già eseguito uno schizzo a matita
e calcolato anche le distanze” (Giovetti, 1982, p. 171).
Lo stile pittorico dei suoi dipinti, analogamente a quanto riscontrato in altri
artisti medianici, si esprime attraverso un decorativismo molto minuzioso e
prolisso, ricco di elementi grafici e di arabeschi: anche in questa autrice si
riscontra la tendenza alla miniaturizzazione e duplicazione degli elementi. La
linea spezzata e, a volte, “disturbata”, caratteristica nei suoi disegni, esprime
con molta evidenza una personalità inquieta, profondamente provata dagli
avvenimenti della vita. All’inizio delle manifestazioni di automatismo
creativo, il senso di cogente costrizione e il profondo senso di stanchezza e
spossatezza provato dopo le manifestazioni di automatismo, turbarono
profondamente l’artista, che volle rivolgersi a un neurologo per verificare il
suo stato di salute mentale.
Come riscontrato anche nell’artista tedesca Margarethe Held, in Iris Canti è
presente un altro elemento figurativo ricorrente: le teste. La tendenza ad
attribuire i significati delle opere alla sua personale esperienza di vita,
condusse l’artista a riconoscere se stessa nei volti disegnati. Anche nelle sue
opere ricorre l’atmosfera onirica, fiabesca, mitica e irreale frequentemente
riscontrata in altri arstisti medianici. L’artista si cimentò anche nella scultura
e nella modellazione plastica, utilizzando materiali quali la ceramica,
110 | P a g .
attraverso cui riprodusse gli stessi volti misteriosi dei suoi dipinti. La notorietà
di Iris Canti venne in parte alimentata anche dall’interesse della stampa nei
confronti della ricerca psichica verso la fine degli anni Settanta.
4.1.5 Liena
Pseudonimo di un’anonima e colta artista milanese (non volle mai rivelare il
proprio nome), venne studiata verso la fine degli anni ’70 da Paola Giovetti
(Giovetti, 1982). Dotata sin da bambina di supposte facoltà paranormali e di
doti da sensitiva (come chiaroveggenza e precognizione), iniziò a dipingere in
età matura, nel tentativo di superare la situazione di conflitto interiore creatasi
a causa dei suoi presunti poteri paranormali, che tanto la turbavano e che
preoccupavano anche i suoi genitori (i quali la inibivano e la rimproveravano
per questo). Attraverso le indicazioni fornite da misteriose guide spirituali (da
lei definite “maestri universali”) tramite la scrittura automatica, l’artista
produceva opere coloratissime dai contenuti simbolici, in cui riusciva a vedere
le sue incarnazioni precedenti e il destino delle persone che si rivolgevano a
lei. I suoi presunti poteri si svilupparono spontaneamente, senza alcuna
influenza o condizionamento da parte di circuiti medianici o spiritici, ma per
timore furono tenuti repressi finchè l’artista non trovò il coraggio di esprimerli
attraverso la pittura medianica. Il conflitto psichico e il turbamento dovuti al
manifestarsi di questi fenomeni apparentemente inspiegabili, imposero
all’artista continue battute d’arresto, determinando un andamento ciclico della
sua opera, caratterizzata da numerose interruzioni e riprese.
Come per altri artisti medianici, il lavoro di questa autrice è caratterizzato da
un vivace decorativismo e simbolismo che ricorda l’arte naïf: dalla partizione
geometrica delle tavole, all’inquadramento di visi e figure in elementi
geometrico-decorativi che ricordano i mosaici, pur avendo un vago sapore
egizio (Fig. 34). L’autrice era una convinta spiritualista e reincarnazionista e
non credeva che la propria arte provenisse dall’inconscio e fosse un fenomeno
psichico. Come altri pittori medianici, si sentiva forzata a dipingere e non
111 | P a g .
sapeva mai in anticipo cosa avrebbe dipinto, credendo di essere guidata da
un’entità disincarnata a lei estranea, di natura spirituale: si lasciava guidare
dalla propria mano (che si muoveva in modo automatico) finchè non si
interrompeva, per poi riprendere l’opera anche a distanza di parecchi giorni.
Molto interessante appare la simbologia che traspare dalle sue opere, che
veniva rivelata attraverso un processo di “chiarudienza” per mezzo della
scrittura automatica, che procedeva “sotto dettatura” da parte di una voce
misteriosa che solo l’artista era in grado di udire e che, dopo il dettato, non era
più in grado di ricordare. Nella sua opera si ripetono gli stessi motivi
individuati in altri artisti medianici: raffigurazioni di personaggi e vicende
appartenenti a mondi lontani, civiltà remote, incarnazioni precedenti, contatti
con altre dimensioni e con altri esseri, cicli evolutivi terrestri ed extraterrestri,
riferimenti a miti e leggende lontani nel tempo e nello spazio.
4.1.6 Milly Canavero Serra
Sensitiva ed automatista di Genova, a
partire dal 1973 iniziò a manifestare
all’improvviso e spontaneamente, anche se
in tarda età, il fenomeno della scrittura
automatica, senza avere alcuna cognizione
di parapsicologia o medianità, arrivando a
scrivere in maniera involontaria complessi
testi filosofici dettati da un inspiegabile ed
irresistibile impulso interiore. Durante un
incontro casuale, un medium le rivelò infatti
che lei stessa possedeva abilità psichiche e
di sensitiva. Dopo il 1976 la sua produzione
Figura 5. Milly Canavero - ©Elmar R. Gruber
artistica, sino ad allora prettamente letteraria, subì una svolta, trasformandosi
da scrittura automatica in produzione pittorica spontanea, caratterizzata da
un’unica tipologia di soggetto, pur nella diversità ed unicità di ciascuna opera:
112 | P a g .
si tratta di forme astratte simboliche costituite da linee rette estremamente
precise (realizzate a mano libera in pochissimi secondi, senza fare uso di
righello), spirali e figure geometriche, a volte intervallate da cifre (Fig. 35 e
36). L’artista, che eseguiva in totale automatismo ed in pochi secondi le sue
opere, ma non era mai in trance, considerava i suoi disegni come messaggi
provenienti da un’intelligenza “intergalattica” (ovvero di natura extraterrestre),
che venivano solitamente siglate per mezzo di un piccolo fiore stilizzato. Dopo
circa otto anni dalle prime produzioni di pittura medianica, l’artista iniziò a
riempire gli spazi vuoti delle sue opere precedenti con strani simboli ricorrenti,
somiglianti ad una sorta di alfabeto antico o alieno, riempiendo spesso il retro
del foglio con “trasmissioni” poetiche trascritte automaticamente. Il simbolismo
dei suoi disegni esprimeva, a detta dell’autrice, la forza del cosmo e l’eterno
divenire della vita, caratterizzati dalla ciclicità della spirale evolutiva e
dall’eterna ricerca del progresso spirituale dell’uomo, che tende a ricongiungere
il proprio Essere con un Tutto universale (Bellisai, 1981). La cifra caratteristica
di questa artista è costituita dall’utilizzo ricorrente di figure geometriche
(cerchi, ellissi, triangoli, spirali, linee curve e rette) che danno luogo ad uno stile
particolare e riconoscibile. Il processo creativo si sviluppava infatti attraverso
la ripetizione ossessiva di simboli e figure basate su un unico concetto esclusivo
(attenzione focalizzata), che richiedeva mesi di maturazione prima l’artista
potesse concentrarsi su un altro. Se le prime opere rappresentavano fiori
stilizzati dai lunghi steli, oppure onde, la produzione dell’artista si sviluppò
progressivamente fino a comprendere la raffigurazione di un altro elemento
grafico, la freccia, che di solito era l’ultimo elemento tracciato nel disegno ed
indicava sempre l’alto (rappresentando simbolicamente la tensione verso un
superiore livello spirituale).
4.1.7 Giovanna Bergamini
Sensitiva romana ancora vivente (laureata in chimica), dopo un grave
incidente
stradale
iniziò
a
manifestare
spontaneamente
fenomeni
113 | P a g .
apparentemente inspiegabili dal punto di vista scientifico: visualizzazione di
aloni luminosi attorno ai corpi (aura), retrocognizione, capacità di piegare i
metalli, chiarudienza, trance spontanea, materializzazioni, psicometria (in
senso parapsicologico, una forma di chiaroveggenza che giunge alla persona
tramite la percezione di vibrazioni emanate dagli oggetti), scrittura automatica
e psicopittografia. Anche nel suo caso ricorre un elemento comune anche in
altri artisti medianici, ossia un trauma di natura fisica e/o psichica, che scatena
o attiva in qualche modo tali fenomeni di supposta natura paranormale: una
costante che, data la sua frequenza, non sembra essere del tutto casuale.
Con l’aiuto del marito ingegnere, ha sempre cercato di trovare una spiegazione
scientifica ai suoi fenomeni, dato che spesso le riesce difficile controllarli.
Attraverso alcune sedute spiritiche iniziate per gioco, la Bergamini iniziò a
manifestare i primi fenomeni medianici, imparando in seguito ad autoindurre
lo stato di trance che le consentiva di entrare in contatto con un’entità
spirituale di nome Amigdar (un sedicente faraone egizio vissuto oltre 6.000
anni fa), il quale si manifestava attraverso la scrittura automatica e disegni di
antiche città, costumi ed edifici risalenti al periodo egizio, traducendo
addirittura alcuni brani in antica scrittura geroglifica, sottopostigli dal marito
della Bergamini, la quale non conosceva affatto tale scrittura. Anche per lei,
come per altri artisti medianici, è ricorrente il riferimento all’antico Egitto dei
faraoni. Dopo aver sperimentato le prime manifestazioni di arte medianica,
l’artista (che non aveva mai manifestato alcuna capacità artistica) ha
continuato a disegnare e dipingere, sempre in stato di trance, realizzando
anche piccole figure con la plastilina (cosa alquanto rara in altri artisti
medianici). Anche la Bergamini produce opere nello stile di famosi artisti del
passato, che la sensitiva riesce ad incarnare producendo voci diverse dalla
propria. Il processo esecutivo delle opere è rapidissimo (altra caratteristica
degli artisti medianici) e, quando si prolunga troppo, dato che la sensitiva è in
stato di trance, produce effetti fisiologici sull’artista stessa, quali tachicardia e
palpitazioni, sudorazione, senso di spossatezza, che la costringono ad
interrompere il lavoro, che può essere ripreso in un secondo tempo senza per
questo perdere di coerenza ed omogeneità. Come per gli altri artisti medianici,
114 | P a g .
anche la Bergamini, una volta emersa dallo stato di trance, non ricorda nulla e
si sorprende di fronte alle proprie opere. Lo stato di trance assume
caratteristiche differenti a seconda della tecnica pittorica utilizzata: i dipinti
realizzati ad acquerello e pastello, che presuppongono l’uso dei colori,
vengono realizzati ad occhi aperti; i disegni monocromatici eseguiti a penna o
matita, invece, ad occhi chiusi. Le identità di artisti che si sono manifestate
attraverso la sensitiva sono circa una trentina e tutti hanno sempre firmato le
loro opere. Spesso si tratta di artisti stranieri noti solo agli esperti d’arte , di
cui la Bergamini ha affermato di non conoscere neppure il nome: Suh-Ktiao,
Audrey Beardsley, Jan Toorop, Joos Van Clere, Alphonse Mucha. Per quanto
riguarda le figure in plastilina, queste sarebbero state realizzate dal famoso
artista Antonio Ligabue, che parlava per bocca della sensitiva utilizzando a
volte frasi sconnesse e un linguaggio scurrile (tipico dell’artista che, com’è
noto, fu un paziente psichiatrico, più volte internato in manicomio).
4.1.8 Luisa Giovannini
Si tratta di un’artista di Novara ancora vivente: il suo caso venne studiato
all’inizio degli anni Ottanta da Paola Giovetti (Giovetti, 1982, pp. 131-136).
Come per altri artisti medianici, il suo percorso di artista medianica ebbe inizio
con un evento scatenante di natura traumatica (la morte di una persona cara),
che portò alla luce abilità artistiche latenti attraverso la produzione di disegni
realizzati in totale automatismo, anche se in stato cosciente: le bastava
poggiare la penna sul foglio perchè la mano iniziasse a muoversi
automaticamente, tracciando linee fitte ed intersecate, senza alcun senso o
progetto preliminare, seguendo uno schema tipico riscontrato anche in altri
artisti medianici. Le modalità di manifestazione di tali fenomeni, che all’inizio
proccuparono notevolmente l’artista, la fecero inizialmente propendere verso
un’interpretazione paranormale e spiritica (ossia eterodiretta e determinata da
forze estranee al soggetto), ma con il passare del tempo, la convinsero sempre
di più dell’influenza dell’inconscio e delle potenzialità nascoste della mente,
115 | P a g .
portandola ad ammettere l’esistenza di abilità creative innate (anche se
sconosciute all’artista) che non avevano mai avuto la possibilità di emergere
fino al verificarsi di un evento scatenante di natura traumatica (come uno
shock emotivo) in grado di attivarle.
All’inizio dei primi fenomeni di automatismo spontaneo, le opere dell’artista,
costituite essenzialmente da disegni elementari e schematici, venivano
eseguite quasi esclusivamente per mezzo di una linea continua, disegnata
senza mai staccare la penna dal foglio, ma con il passare del tempo i suoi
disegni iniziarono ad assumere maggiore complessità, dotate di notevole
virtuosismo stilistico. Rispetto ad altri artisti medianici, in grado di realizzare
all’improvviso opere già definite e stilisticamente mature, il percorso di questa
artista testimonia un’evoluzione della tecnica compositiva che, partendo da
disegni molto semplici caratterizzati da un processo esecutivo incerto, giunge
progressivamente alla creazione di opere sempre più complesse ed elaborate,
come se il soggetto, sperimentando le proprie abilità, acquisisse col tempo
maggiore padronanza della propria tecnica artistica, lavorando in maniera
sempre più sicura e disinvolta, fino a raggiungere risultati esteticamente
notevoli: questo specifico caso testimonia che il soggetto, anche se
inconsapevole, è in grado di apprendere e migliorarsi attraverso un graduale
processo di autoformazione di tipo esperienziale che, rispetto al normale
percorso di un artista ordinario, è del tutto involontario proprio perchè avviene
senza la partecipazione cosciente e consapevole dell’autore. L’artista (che non
aveva mai disegnato in vita sua), non conosceva mai in anticipo il contenuto
dei suoi disegni, che assumevano significato solo una volta completati, spesso
anche dopo numerose sedute. Una delle caratteristiche proprie della sua arte è
che i disegni venivano eseguiti al rovescio: quelli a lettura orizzontale erano
realizzati in verticale e viceversa. Il disegno era inizialmente composto da
parti staccate, indipendenti e senza alcun ordine apparente, che all’improvviso
venivano ricongiunte e completate in modo rapido e preciso (come se
rispondessero ad un chiaro ed ordinato progetto, precedentemente elaborato),
lasciando emergere di colpo figure dotate di un estremo rigore compositivo.
Come rilevato in altri artisti medianici, anche in questa artista è presente la
116 | P a g .
ripetizione ossessiva e la miniaturizzazione degli elementi decorativi: migliaia
di linee, cerchi ed elementi grafici minuscoli, dotati di eccezionale simmetria.
Le sue opere rappresentano mondi fantastici immersi in un’atmosfera onirica
e fiabesca, popolati da fiori e animali (specialmente acquatici), oggetti
simbolici (ad esempio vasi e brocche), paesaggi irreali e misteriosi: un’altra
costante tipica delle produzioni di arte medianica. La tecnica preferita
dall’artista era il bianco e nero ad inchiostro di china. Gli studi effettuati sul
caso, che hanno indagato psicobiograficamente la vita dell’artista, hanno
rilevato che alcuni dei contenuti raffigurati nelle sue opere potrebbero essere
frutto di criptomnesia, ovvero un disturbo della memoria (di cui si parlerà più
approfonditamente nel sesto capitolo del presente lavoro) a causa del quale il
soggetto raffigura eventi, persone, luoghi o situazioni che in realtà ha vissuto
in prima persona nel passato, ma che non ricorda affatto o riferisce di non
conoscere. Come si è detto, a differenza di altri pittori medianici, l’artista non
cadeva in trance o in uno stato di assorbimento dissociativo (absorption), ma,
dopo qualche attimo in cui la sua attenzione sembrava focalizzata, non appena
la penna iniziava a muoversi attraverso gesti involontari ed automatici, la
pittrice poteva distaccarsi da quanto stava facendo e, senza prestare più
attenzione al disegno, era in grado di chiacchierare con i presenti, guardare la
televisione, insomma dedicarsi ad altre attività, mentre la sua mano continua
a disegnare da sola, a testimonianza del fatto che la creazione è indipendente
dalla
volontà
dell’artista,
il
quale
non
partecipa
coscientemente
all’elaborazione cosciente del processo creativo.
4.1.9 Evelyne Disseau
Artista francese ancora vivente (ma italiana d’adozione), dalla personalità
molto ricca ed immaginativa, cominciò a manifestare i primi fenomeni di
automatismo creativo verso i vent’anni (nel 1968), dopo un periodo di intenso
stress emotivo dovuto al momento di solitudine e isolamento vissuto a seguito
del suo trasferimento per lavoro a Milano (dove vive tuttora insegnando Yoga
117 | P a g .
e tenendo corsi di educazione prenatale, interessandosi tra l’altro di esoterismo
e magia, pur senza essere una medium o una spiritista). Il caso di questa artista
è stato descritto dalla studiosa Paola Giovetti nel suo libro sull’arte medianica
(Giovetti, 1982): come accaduto ad altri artisti medianici, gli episodi di
automatismo
creativo
si
manifestavano
all’improvviso,
attraverso
un’irresistibile impulso a dipingere, durante i quali l’artista percepiva una
presenza spirituale che la guidava nella creazione delle opere, che venivano
realizzate in stato di semisonnambulismo. Nel corso di una delle prime
manifestazioni di arte medianica, non conoscendo alcuna tecnica di pittura,
l’artista stese uniformemente sulla tela un unico colore scuro, dietro il quale
le sembrò di intravedere un viso: le bastò rimuovere “il colore in più” con uno
straccio imbevuto in un diluente, perché si delineasse chiaramente un volto
umano. Questa particolare tecnica artistica, che procede per “sottrazione”, è
rimasta poi la costante del suo automatismo pittorico. In sostanza l’artista
manipolava la tela come se fosse una scultura, eliminando quanto le sembrava
superfluo dopo aver steso inizialmente il colore, finchè non compariva
l’immagine che sentiva dover comparire. Nonostante la frammentarietà della
tecnica di esecuzione, le composizioni risultano essere armoniche e
proporzionali. Inoltre l’artista, nel corso degli episodi di automatismo
creativo, durante i quali non era in stato di trance ma di concentrazione (che
le consentiva di interagire con altre persone), avvertiva una serie di disturbi di
natura psicosomatica, come una sorta di tensione nella regione del plesso
solare, che scompariva una volta terminata l’esecuzione dell’opera (che
poteva durare anche 8 ore di seguito), dopo la quale si sentiva spossata e
sfinita, come svuotata, ma al tempo stesso desiderosa di dipingere un altro
quadro, anche se fisicamente non era più in grado di farlo.
In seguito, si verificarono anche alcuni eventi di presunta natura paranormale,
come sogni premonitori, visioni notturne e presenza di figure sospese, ma
soprattutto la ricorrente visione di un globo luminoso (che lei percepiva essere
la madre). Infatti un elemento figurativo caratteristico delle sue opere era la
presenza di una luce, una fiamma o un globo luminoso (una sorta di “terzo
occhio”) che compariva al di sopra o in prossimità delle figure disegnate, che
118 | P a g .
raffiguravano quasi esclusivamente volti umani o donne con bambini in
braccio che, secondo la visione dell’artista, rappresenterebbero simboli
archetipici universali, come la “maternità”.
4.2 I casi francesi
4.2.1 Victorien Sardou (1831-1908)
Fra i maggiori autori teatrali francesi della seconda
metà
dell’Ottocento,
drammaturgo,
celebre
appassionato
commediografo
di
spiritismo
e
e
manifestazioni medianiche, frequentò con assiduità la
Società parigina degli Studi Spiritisti, presieduta da
Allan Kardec (pseudonimo di Hippolyte Léon Denizard
Rivail), il pedagogista e filosofo francese che codificò
la dottrina dello spiritismo, diffusa oggi nei circoli
kardeciani in Brasile, dai quali proviene attualmente la
maggior parte dei pittori medianici viventi. Sardou
Figura 6. Victorien Sardou
sosteneva che le sue commedie gli venissero dettate
dallo spirito dell’artista Bernard Palissy (famoso ceramista francese del
Cinquecento). Molto famosi divennero i suoi disegni raffiguranti i paesaggi di
Giove, eseguiti con una tecnica simile al puntinismo (pointillisme), attraverso
i quali l’artista rappresentò le sue presunte visioni di un mondo alieno,
popolato da spettacolari edifici, disegnati attraverso il consueto stile
decorativo tipico di altri artisti medianici (Flammarion, 1907; Fig. 37 e 38). In
altre opere utilizzò particolari variazioni figurative, come minuscole figure
musicali di crome e semicrome. L’artista, pur operando in stato di lucidità,
riferiva di sentirsi “posseduto” da entità a lui estranee, che guidavano la sua
mano, manifestando anche altri fenomeni di natura paranormale, come
psicocinesi e materializzazione.
119 | P a g .
4.2.2 Léon Petitjean (1869-1922)
Noto giornalista (nato a Liverpool, ma vissuto a Parigi tra la fine
dell’Ottocento ed i primi del Novecento), fu un fervente spiritista ed un grande
appassionato di sedute medianiche. Era del tutto profano d’arte ma, ad un certo
punto della sua vita, oltre a manifestare fenomeni di scrittura automatica,
avvertì un irresistibile impulso di disegnare, iniziando a realizzare complicate
strutture simili a merletti, che raffiguravano paesaggi fantastici o ritraevano
strani personaggi ammantati in sontuose vesti drappeggiate. Il suo stile, del
tutto inusuale per l’epoca, anticipò per certi versi la pittura astratta. La
ripetizione seriale ed a tratti ossessiva di certi elementi grafici e decorativi nei
suoi disegni, costituiti da un intricato groviglio di linee sinuose e minuscoli
elementi (a forma di squame di coccodrillo), da cui emergevano visi umani e
figure zoomorfe, è una caratteristica comune anche in altri artisti medianici
(ad esempio nell’italiano Narciso Bressanello). Gli elementi pittografici delle
sue opere sono inoltre inframmezzati da testi scritti, ovvero presunti messaggi
dettati dagli spiriti, che l’artista trascriveva automaticamente, ritenendo di
essere in contatto con essi. Anche questo personaggio, del tutto inesperto di
tecniche artistiche, era convinto di agire sotto l’impulso di uno spirito-guida,
che lo spingeva a creare con estrema rapidità e grande sicurezza disegni dalla
complicatissima struttura decorativa, senza mai fermarsi per apportare
correzioni o cancellazioni, ma riempiendo velocemente l’intero foglio, in
modo sostanzialmente simile ad altri artisti medianici. Le sue testimonianze
dirette ci sono pervenute attraverso gli Annales des Sciences Psychiques,
pubblicati a Parigi nel 1911, sui quali scrisse lo stesso pubblicista.
4.2.3 Fleury-Joseph Crépin (1875-1948)
Nato a Hénin-Liétard, visse e morì a Montigny-en-Gohelle, un piccolo centro
minerario nei pressi del Pas-de-Calais (come Augustin Lesage). Di lui si
occupò André Breton, padre del movimento surrealista, profondamente
120 | P a g .
interessato a tutto ciò che riguardasse gli
automatismi ed i fenomeni di creatività
spontanea, che riteneva essere il linea con
lo spirito del Surrealismo. L’artista era
convinto di non essere l’autore delle sue
opere, ma solo il tramite di una forza
spirituale a lui estranea. Di famiglia
modesta, aveva frequentato solo le scuole
elementari, ma si dedicò con passione alla
musica, cimentandosi nella composizione.
Verso i cinquant’anni iniziò a manifestare
Figura 7. Fleury-Joseph Crépin
doti di sensitivo e guaritore. In seguito, fu
proprio lavorando ad uno spartito musicale che, all’età di 63 anni, scoprì di
essere in grado di tracciare disegni sotto l’influenza di una forza misteriosa
che guidava le sue mani. Le opere di questo artista sono caratterizzate da
un’eccezionale ricchezza di elementi decorativi policromatici (come simboli,
figure, ornamenti, fregi, che vengono riprodotti più volte in maniera
ossessiva). Usava spesso ricopiare e ingrandire su tela disegni i cui schizzi
erano stati precedentemente realizzati in piccola scala su un quaderno, dove
fungevano da “lista di controllo”: infatti, una volta riprodotto in scala più
grande il soggetto tratto dal quaderno, lo barrava come se avesse completato
un compito assegnato. Realizzava le sue opere velocemente e senza alcuna
esitazione, spesso ascoltando musica. L’artista inoltre riferiva di vedere spesso
delle ombre vicino a lui e di essere convinto della presenza di entità spirituali,
di cui udiva anche le voci. I suoi disegni si presentano perfettamente simmetrici
rispetto all’asse verticale del foglio e comprendono elementi decorativi di varia
natura: soli, lune, fiori, foglie, animali stilizzati (soprattutto uccelli e serpenti),
stelle e croci, che vanno a comporre più ampie figure, spesso architettoniche,
come troni, templi, altari, frontoni, baldacchini, balaustre e lampadari (Fig. 39
e 40). Quando rappresentava figure umane, queste si limitano alla testa. A
differenza di Lesage, che prediligeva motivi religiosi, esotici e orientali,
Crépin preferiva rappresentare elementi di ispirazione simbolica e magico-
121 | P a g .
favolistica, dall’aria misteriosa, irreale ed enigmatica, traendo spunto dai suoi
sogni. Non aveva mai imparato a disegnare o dipingere, così come non aveva
mai visitato un museo, eppure riusciva a realizzare dettagli di natura molto
complessa, come templi e architetture fantastiche, senza comprendere come
fosse possibile riuscire a crearle e, soprattutto, quale fosse lo scopo del suo
lavoro artistico. L’artista riteneva di assorbire la sua energia spirituale e
creativa dal sole, che era per lui fonte di allucinazioni e premonizioni. Allo
stesso tempo era convinto che dai suoi quadri si irradiasse una forza misteriosa
che racchiudeva poteri di guarigione spirituale, essendo appunto in grado di
procurare benessere e salute in chi li ammirava. Gli elementi presenti nei suoi
quadri attingono molto alla sfera personale ed al vissuto dell’artista, ma sono
rielaborati inconsapevolmente in maniera originale e creativa: il suo mestiere
di artigiano, la passione per la musica, i colori della sua regione, i motivi
cristiani, l’ordine, il rigore, la simmetria che traspare dalle perle di colore in
rilievo, perfettamente calibrate, che decorano in chiave ornamentale i suoi
quadri e sono la caratteristica stilistica più evidente dell’autore.
4.2.4 Augustin Lesage (1876-1954)
Artista
medianico
di
umili
origini e semianalfabeta, nacque
a Saint-Pierre les Auchel (nei
pressi di Calais) da una famiglia
di minatori. Fu minatore egli
stesso e visse in un ambiente
totalmente
privo
di
stimoli
artistici, con esigui strumenti
culturali a disposizione. La sua
Figura 8. Augustin Lesage
vita fu costellata da alcuni eventi
traumatici, come la morte della piccola sorella e la sua partecipazione come
combattente alla prima guerra mondiale. Scoprì di possedere poteri di
122 | P a g .
guaritore e si dedicò allo spiritismo ed alla frequentazione di circoli spiritici,
arrivando a credere nella reincarnazione. Dopo una serie di fenomeni
premonitori di supposta natura medianica, accompagnati da allucinazioni
auditive (uno dei tipici sintomi da disturbo psicotico), iniziò a dipingere
all’improvviso (dopo aver udito una voce che gli “ordinava” di farlo), spinto
da una forza estranea alla propria volontà in grado di guidarlo nell’esecuzione
delle opere. Durante il processo di creazione, l’artista era vigile, ma come
immerso in uno stato di profondo assorbimento estatico e straniamento
dall’ambiente circostante. I suoi dipinti sono caratterizzati dalla raffigurazione
di ampie composizioni basate sulla simmetria degli elementi decorativoornamentali e di patterns policromatici bidimensionali: non vi sono nè ombre,
nè prospettive. La produzione iniziale, che assomiglia molto all’arte arcaica
primitiva, è caratterizzata dalla ripetizione ossessiva degli stessi motivi, figure
o schemi (a volte simboli mistici o religiosi), con la tendenza a riempire
totalmente lo spazio delle tele, spesso di enormi dimensioni, in momenti
successivi alla prima stesura dell’opera, cosa che ha fatto pensare ad
un’origine psicopatologica della sua arte. In una fase successiva, la sua pittura
si evolve verso forme figurative sempre più complesse, facendo spazio alle
differenti identità spiritiche che, come da lui sostenuto, firmavano i suoi
quadri. I motivi decorativi ed ornamentali sono ricchissimi, come ad esempio
le dense rappresentazioni di motivi architettonici in stile antico e dal sapore
orientale, come fregi, colonne, portali e gallerie, rappresentati senza alcuna
prospettiva (Fig. 41 e 42). Tale rappresentazioni coincidevano spesso con
luoghi reali e lontani, mai visitati dall’artista. La particolarità della sua arte
consisteva nell’utilizzo di una tecnica miniaturistica su grandi superfici,
tecnica che implicava un grande sforzo di realizzazione, ma soprattutto un
processo
realizzativo
altamente
complesso,
caratterizzato
dalla
rappresentazione di elementi decorativi minuscoli, come motivi egiziani,
persiani, indiani, tibetani e paleocristiani. Notevoli sono i contenuti
precognitivi delle sue opere, come la riproduzione di scene di vita egizia del
tutto identiche a quelle scoperte nella Valle dei Re ed ancora ignote al mondo:
una manifestazione del fenomeno noto come mantica (divinazione o
123 | P a g .
rivelazione), ovvero la capacità di ottenere informazioni normalmente
inaccessibili tramite fonti di supposta natura soprannaturale. Il misticismo
sviluppato dall’artista lo portò a rappresentare di frequente misteriose
simbologie di ispirazione filosofica o religiosa, con la raffigurazione di
pseudo-scritture antiche. Realizzò oltre 800 opere, che fu costretto a vendere
per vivere, a differenza di altri artisti medianici, che di solito non vendono i
propri lavori o lo fanno solo a scopo benefico.
L’artista riferiva la sensazione di trovarsi in un ambiente diverso da quello
ordinario e di sentirsi immerso in uno stato di rapimento estatico. Poteva
rimanere fermo per ore tracciando linee caotiche e disegni incomprensibili,
ma poi, all’improvviso, la sua mano acquistava una velocità prodigiosa
riuscendo a completare l’opera in pochissimi minuti, senza alcuna esitazione
o ritocchi e senza mai guardare il punto esatto in cui dipingeva. L’artista
affermava di non essere l’autore dei suoi dipinti, ma solo il tramite di spiritiguida, che si manifestavano attraverso le voci udite dall’artista o attraverso la
scrittura automatica. Il suo caso, che potrebbe far pensare ad un disturbo
dissociativo dell’identità (Romme & Escher, 1989; Braude, 1995),
caratterizzato dalla manifestazione di personalità multiple e da allucinazioni
auditive, venne studiato da Eugéne Osty, medico e noto studioso di fenomeni
psichici, nonché di conoscenza extrasensoriale, oltre che pioniere
dell’indirizzo sperimentale in metapsichica, presso l’Institut Métapsychique
International (IMI) di Parigi (Osty, 1928a; www.metapsychique.org/).
4.2.5 Marguérite Burnat-Provins (1872-1952)
Ricca e colta signora dell’alta borghesia francese. Nonostante fosse molto
introversa e sensibile, sin da piccola manifestò un’intelligenza precoce, tanto
che in collegio venne definita una ragazza iperattiva ed indisciplinata. Iniziò a
quindici anni a scrivere racconti, poesie e commedie, per poi passare più tardi
alla musica e alla pittura. Sperimentò numerosi fenomeni di natura
allucinatoria, sia visivi che auditivi, che la condussero a disegnare i ritratti di
124 | P a g .
misteriosi personaggi di cui lei
percepiva
la
presenza,
visualizzandone mentalmente
la fisionomia ed udendone le
voci. Appena si formava la
visione
mentale,
l’artista
avvertiva un forte impulso
coercitivo che la spingeva a
Figura 9. Marguérite Burnat-Provins (1905)
disegnare in maniera convulsa
e con eccezionale rapidità esecutiva, oggettivando immediatamente le
immagini che percepiva. Una sindrome allucinatoria che la spingeva
inesorabilmente a disegnare contro la propria volontà: infatti, nel momento in
cui tentava di ribellarsi a tale impulso, provava un senso di forte angoscia che
la obbligava a riprendere l’esecuzione dell’opera: il malessere causato dallo
sforzo di reprimere il fenomeno e la sensazione di costrizione, determinavano
infatti una situazione psicologica conflittuale che la costringeva a persistere
nella ripetizione compulsiva dell’atto creativo allo scopo di trarne sollievo.
4.2.6 Laure Pigeon (1882-1965)
Nata in Bretagna e morta a Nogent-sur-Marne, nei
pressi di Parigi, fu una signora dell’alta borghesia
che, dopo i cinquant’anni ed una vita familiare
travagliata, iniziò a produrre regolarmente disegni
che riteneva le fossero trasmessi dall’aldilà. Non
volle mai rivelare la sua storia personale ma, solo alla
sua morte, furono ritrovati 500 disegni (datati e
classificati) e molti scritti, che svelarono la serie di
Figura 10. Laure Pigeon
fenomeni alla base della loro produzione. L’artista,
all’inizio della manifestazione degli automatismi creativi, rimase molto
turbata in quanto non riusciva a darne una spiegazione logica, essendo
125 | P a g .
totalmente negata per l’attività artistica. In seguito ritenne che tali disegni gli
fossero stati dettati o trasmessi da entità spirituali, in particolare dal pittore
francese Maurice Utrillo (di cui l’artista aveva previsto la morte, avvenuta poi
nel 1955). È possibile supporre che gli eventi che interessarono la sua vita
familiare e le continue frustrazioni e delusioni patite (come la mancanza di
figli e la separazione dal marito) abbiano giocato un ruolo fondamentale
nell’insorgenza delle sue abilità artistiche latenti: probabilmente il soggetto ha
messo in atto (in maniera inconscia e incosapevole) un meccanismo
psicologico di compensazione e sublimazione in risposta ad un vissuto
personale frustrante e insoddisfacente. Infatti, nei testi racchiusi all’interno
delle opere, ricorrono spesso frequenti riferimenti a persone presenti nella vita
dell’artista, a conferma che l’origine dei fenomeni di arte medianica possa
essere ricondotta ad una risposta psicologica dell’individuo alle sue
frustrazioni, attivando e facendo emergere abilità creative latenti attraverso
automatismi spontanei: una sorta di rifugio alle delusioni della vita quotidiana.
Il possesso di particolari doti creative le era però già stato preannunciato da
un’amica sensitiva, che aveva percepito un’intensa energia spirituale, a cui
l’artista (almeno apparentemente) non aveva mai prestato alcuna attenzione.
La sua produzione grafica raffigurava prevalentemente volti e figure umane
misti a parole e motivi decorativi e ornamentali, realizzate attraverso il
consueto automatismo creativo che, secondo la testimonianza dell’artista,
guidavano la sua mano. Mentre in una prima fase la sua produzione artistica
si concentrò sulla raffigurazione di volti e persone inseriti in costrutti
ornamentali inframmezzati da parole che si condensavano in una fitta scrittura,
in una seconda fase l’artista sembrò prediligere elementi miniaturizzati e
ripetitivi, che andavano a costituire fitte trame istoriate finemente lavorate
(simili a trine), che ricordavano un denso fogliame (la miniaturizzazione e
ripetizione degli elementi decorativi è una caratteristica ricorrente anche in
altri artisti medianici). La caratteristica più evidente, in questa seconda fase, è
l’uso esclusivo del colore azzurro su fondo bianco, una sorta di firma stilistica
tipica dell’artista. La precisione e sicurezza del tratto (realizzato con penna
stilografica, ma la cui densità faceva pensare all’utilizzo del pennello), nonchè
126 | P a g .
la mancanza di cancellazioni o abrasioni sui fogli, lascia desumere che anche
questa artista lavorasse in maniera rapidissima, così come altri artisti
medianici, proprio come se vedesse davanti ai suoi occhi un’immagine che
bastava solo ricopiare ricalcandone il disegno, come una sottile filigrana
visibile in controluce: e la correlazione tra osservazione e azione, come
vedremo più avanti, è una tipica funzionalità dei neuroni specchio, capace di
attivare inconsapevolmente ed automaticamente il processo creativo in alcuni
soggetti neurobiologicamente predisposti ed ipersensibili al dato estetico, così
come sostenuto nel presente lavoro di ricerca.
4.2.7 Victor Simon (1903-1976)
Uomo di modesta cultura: era
ragioniere e, come altri artisti
medianici, non aveva alcun talento
artistico.
Nacque
a
Bruay-en-
Artois, nei pressi del Pas-de-Calais,
da
una
famiglia
di
minatori
(proprio come Augustin Lesage e
Fleury-Joseph Crépin). Dopo aver
ricevuto in sogno i primi segnali
Figura 11. Victor Simon
premonitori, che presagivano il suo futuro di medium, verso i trent’anni fu
svegliato nel sonno da una voce che gli ordinò di dipingere. Profondamente
religioso, si accostò con devozione alla dottrina di Cristo e, dopo aver assistito
ad una seduta medianica, iniziò un percorso di crescita spirituale che lo portò
a denunciare pubblicamente il vuoto esistenziale e la bramosia di denaro della
sua epoca. Divenne guaritore e consigliere spirituale, fondando nel 1947 la
rivista Forces Spirituelles. Anch’egli dipingeva sotto l’influenza di una
presunta forza spirituale estranea alla propria volontà, che lo guidava nella
realizzazione delle opere fornendogli consigli e suggerimenti, rafforzando la
sua convinzione di essere un eletto e un “canalizzatore” di messaggi
127 | P a g .
provenienti da entità spiritiche. I suoi dipinti sono infatti caratterizzati da una
intensa carica spirituale e religiosa, che si esprime attraverso la ricchezza, la
precisione e la simmetria degli elementi decorativi, che ricordano i motivi
dell’arte bizantina e induista, ma che, data la ripetizione ossessiva di elementi
identici e ricorrenti, rimanda a certe opere di arte psicopatologica. La tensione
spirituale e l’estrema cura per i dettagli, capaci di trasmettere un senso di
raccoglimento e di elevazione dell’anima, culmineranno nella sua opera più
famosa dal titolo La Toile Bleue, eseguito tra il 1943 e il 1944 (Figura 43), il
cui punto focale è l’apparizione di Cristo nel tempio. La maggior parte delle
sue opere di “arte spirituale” sono custodite nella sezione di Art Brut del
Museo di Arte Moderna Lille Métropole (LAM) di Villeneuve d'Ascq. Dopo
aver condotto una vita umile e morigerata, morì ad Arras nel 1976.
4.2.8 Raphaël Lonné (Le Facteur) (1910-1989)
Il suo background è simile a quello di
altri artisti medianici: nativo di un
villaggio delle Landes e di famiglia
molto modesta (i suoi genitori erano
contadini),
giunse
al
disegno
medianico attraverso le sue esperienze
di spiritismo e di frequentazione degli
ambienti mediani. Visse un’infanzia
difficile a causa delle sue cagionevoli
Figura 12. Raphaël Lonné
condizioni di salute e della sua
personalità timida, riservata, introversa e complessata: di frequente era oggetto
di bullismo da parte dei suoi compagni di classe. Non completò le scuole, ma
manifestò ben presto una particolare predisposizione per la musica, il teatro e
la poesia, che lo spinse ad esprimersi anche in pubblico. Dopo la seconda
guerra mondiale, tornato al paese natìo e ripreso il suo lavoro di postino,
conobbe i coniugi Perrin, ferventi seguaci delle dottrine kardeciane, attraverso
128 | P a g .
cui approfondì la conoscenza dello spiritismo e della contattologia medianica.
Fu infatti durante una seduta spiritica che l’artista cominciò a disegnare
automaticamente e radidamente cerchi, spirali ed arabeschi (alcune delle
forme grafiche tipiche degli artisti medianici).
È lo stesso artista a fornire, nel corso di una intervista rilasciata alla studiosa
Paola Giovetti, esperta di fenomeni di arte medianica (la quale ebbe modo di
studiarlo da vicino), una descrizione delle sue sensazioni durante la
manifestazione dei fenomeni di automatismo creativo:
“Dopo quella sera ho continuato a disegnare spontaneamente, senza
alcun controllo. Ero come un automa, all’inizio… E poi avevo sempre
più voglia di disegnare. Finito il mio turno di postino, la sera mi mettevo
a coprire di segni dei piccoli fogli, prima a matita, poi a penna; in seguito
a guazzo, a olio, utilizzando anche tecniche miste. Lavoravo a volte fino
all’una del mattino, ma non ero mai stanco. Non so più in che stato
d’animo ero in quei primi tempi, ma di certo non mi sentivo posseduto.
Il disegno mi ha sempre disteso e rilassato. Col tempo, comunque, il mio
disegno è diventato meno automatico e molto minuzioso…” (Giovetti,
1982, p. 145).
La tecnica preferita dall’artista è il disegno a penna, attraverso la quale
realizzava piccoli disegni del formato di una cartolina, utilizzando uno stile e
una struttura formale ricorrenti anche in altri artisti medianici, soprattutto per
quanto riguarda la miniaturizzazione e duplicazione degli elementi grafici: un
groviglio solo apparentemente informale di linee, da cui emergono
progressivamente volti (soprattutto femminili), figure stilizzate, animali, fiori,
simboli e scritte misteriose. Queste ultime, in particolare, somigliano a
“pseudoscritture”, ossia a delle grafie che risultano però essere incompresibili.
Anche questo artista, come altri, non conosceva in anticipo ciò che avrebbe
disegnato, ovvero non aveva alcun progetto dell’opera, ma si lasciava guidare
dai suoi automatismi per poi scoprire alla fine il risultato del suo lavoro. Al
contrario di altri artisti medianici, che spesso ricevono (attraverso intuizioni o
scrittura automatica) una spiegazione delle proprie opere, questo artista non
riesce a spiegare il significato dei suoi disegni, né a dare loro un titolo.
129 | P a g .
L’esecuzione dell’opera seguiva un ordine ricorrente: l’artista iniziava dalla
parte in alto sinistra del foglio, per poi concludere in basso a destra,
disegnando come se scrivesse. L’assimilazione del meccanismo esecutivo a
quello della scrittura, lo portava spesso a produrre file di disegni impilate l’una
sull’altra, come se fossero delle righe di scrittura, che l’artista definisce
“poesia grafica o disegno poetico”. Come affermato dallo stesso artista, se il
disegno si interrompeva all’improvviso, quando riprendeva non veniva meno
il flusso creativo iniziale: “Ritrovo subito l’ispirazione in quanto non sono io
ad avere il programma: si tratta sempre di un impulso che viene da qualcosa
che mi anima. Automaticamente ritrovo subito questo equilibrio” (Giovetti,
1982, p. 146). A proposito del suo processo creativo, lo stesso artista riferisce:
“Sono assolutamente tranquillo e sereno, poso la mano sul foglio e mi
lascio andare, come quando scrivo poesie. È come un sogno che si
materializza. E per tutto il tempo che disegno provo un sentimento di
gioia, mai di possessione. Sono sempre calmo, tranquillo, non mi sento
mai costretto ad andare di fretta… Non rifiuto affatto l’idea di essere
aiutato (corsivo dell’autrice del testo), ma se è così non mi interessa
sapere chi mi guida. Non voglio invocare alcun aiuto, niente. Prendo
quello che mi viene dato, partecipo a quello che mi viene suggerito. Ma
non invoco niente. Credo di essere aiutato perché lo stato di grazia in cui
mi trovo quando disegno non può che essere il risultato di radiazioni che
mi vengono inviate e che liberano il mio pensiero, facendomi sentire
lieto, felice… Tutto è spontaneo, niente è elaborato da me, io non
partecipo affatto alla composizione. Non ho mai bisogno di cancellature,
di fare ritocchi… In questi trent’anni il mio stile e il mio modo di
disegnare sono cambiati; non sono più costretto all’automatismo quasi
integrale delle prime creazioni, ho acquisito una relativa indipendenza e
una certa padronanza nell’esecuzione. Tutte le mie opere sono comunque
sempre concepite e realizzate spontaneamente senza preparazione
preliminare né alcun ritocco o cancellatura; cosa che mi permette di
mantenere pienamente il mio credo spiritualista e la mia convinzione di
avere ‘una certa guida’, una specie di angelo custode che mi sostiene nei
miei lavori e mi protegge nelle mie prove terrene…” (Giovetti, 1982, pp.
146-147).
130 | P a g .
In questo artista, emerge un senso di serenità che è lontano dal dal senso di
costrizione, coazione o “possessione” riscontrato in altri artisti medianici, i
quali si sentono in qualche modo “forzati a creare”. E tale sensazione emotiva
si ripercuote anche sulla sua tecnica esecutiva che, pur essendo dettata da
automatismo, non contempla l’eccezionale velocità o il livello di
dissociazione creativa riscontrato in altri artisti medianici, che di solito
operano in uno stato modificato di coscienza.
Come quasi tutti gli artisti medianici, anche Lonné non volle mai trarre profitto
delle sue opere vendendole: preferiva regalarle agli suoi amici dell’ambiente
spiritualista: “Credo anche che i miei disegni facciano del bene a chi li
possiede, che diano loro un sollievo mentale e sentimentale…” (Giovetti,
1982, p. 146). È attualmente possibile ammirare alcune delle sue opere presso
il Musée de l’Art Brut di Losanna (Fig. 44 e 45).
4.3 I casi tedeschi
4.3.1 Heinrich Nüsslein (1879-1947)
Mercante d’arte di Norimberga, iniziò a dipingere
in verso i 47 anni, producendo migliaia di tele
(circa 30.000) dal gusto molto raffinato, usando
semplicemente le dita. Era semicieco e lavorava in
penombra (ma a volte anche nel buio totale), ma
nonostante la sua menomazione visiva riusciva a
dipingere particolari di eccezionale finezza,
dosando sapientemente i colori, che usava
miscelare direttamente con le dita, oppure
utilizzando materiali vari come carta, stracci e
Figura 13. Heinrich Nüsslein
cotone idrofilo. Il processo creativo dell’artista era
131 | P a g .
velocissimo e non avveniva in stato di trance (gli bastava qualche minuto di
concentrazione iniziale): l’esecuzione di un’opera durava dai 4 ai 15 minuti. I
soggetti dei suoi quadri rappresentavano prevalentemente paesaggi fantastici
dall’atmosfera classicheggiante, castelli incantati o luoghi di culto (Fig. 46 e
47). Per ogni quadro prodotto, l’autore riferiva di ricevere una spiegazione
dalle sue guide “cosmiche”: infatti egli non si considerava un vero e proprio
artista (ossia un creatore autonomo), ma come “mediatore” di una “forza
creativa” proveniente da un livello sovradimensionale di esistenza. Possedeva
inoltre doti di chiaroveggenza, per cui seppe già in anticipo che avrebbe
iniziato a dipingere in età matura, accogliendo quindi il suo dono senza
sorprendersi, al contrario di altri pittori medianici, che a volte provavano
stupore o spavento di fronte al manifestarsi del fenomeno. L’artista, infatti,
anzichè attribuire le sue doti artistiche all’intervento di entità spirituali, era
convinto che la sua ispirazione traesse origine da altri mondi o pianeti, che
irradiavano un’energia di natura cosmica (Nüsslein, 1932).
Rispetto ad altri pittori, sin da bambino aveva desiderato diventare un pittore
e per un breve periodo frequentò anche una scuola d’arte, che dovette
abbandonare in quanto i suoi problemi alla vista non gli consentivano di
copiare dal vero. A questa passione si unì uno spiccato interesse per
l’occultismo e l’esoterismo, che condizionarono profondamente la sua
personalità, rendendolo in grado di percepire quelle forze in grado di
potenziare le sue doti creative. Si potrebbe dunque pensare ad un lavoro di
autosuggestione operato dall’artista attraverso la conoscenza delle scienze
occulte unita allo studio delle tecniche d’arte, che lo resero capace di superare
le limitazioni legate al suo apparato visivo, portandolo ad una concezione
estetica e ad una rappresentazione artistica di tipo mistico-sacrale e metafisico.
Come altri pittori medianici, non sapeva mai in anticipo cosa avrebbe
disegnato o dipinto, ma si lasciava guidare da quella forza spirituale che
incanalava le sue energie creative. L’opera così prodotta, essendo espressione
di contenuti inconsci e latenti, sembrava essere estranea alla volontà
dell’artista che, sulla base del particolare processo creativo messo in atto,
amava definirsi uno “scrittore di quadri”: l’autore, infatti, concentrandosi
132 | P a g .
sull’oggetto della rappresentazione, ne richiamava la visione mentale
riuscendo a riprodurlo anche al buio, entrando in una sorta di stato visionario
“illuminante”, o di cecità ipnotica (Bryant & McConkey, 1989a, 1989b e
1989c). I soggetti dei suoi quadri, traendo ispirazione da “forze spirituali”,
rappresentavano scene di antichi culti religiosi, visioni ancestrali, mondi
ultraterreni, paesaggi fantastici e mitici, templi misteriosi, così come grandi
personaggi della spiritualità umana (Cristo, Maometto, Davide, Mosè).
Come per altri pittori medianici, anche nella sua pittura prevale un ricco
decorativismo, basato sulla produzione di motivi ornamentali e arabescati,
tanto che alcune sue opere sono state paragonate a delle icone. Si dimostrò
perfettamente consapevole della differenza tra opere d’arte create attraverso
un processo puramente cerebrale, le quali seguivano determinate direttive
pittoriche di natura accademica (in quanto frutto di formazione e
dell’osservanza di specifici canoni estetici istituzionalizzati), ed opere
scaturite invece da un processo di visione interna ed introspettiva.
4.3.2 Margarethe Held (1894-1981)
Nata a Mettingen (nel regione del
Württemberg),
aveva
56
anni
quando, nel corso di una seduta
medianica, iniziò improvvisamente
a
disegnare,
spinta
da
una
misteriosa entità spirituale che,
secondo il racconto dell’artista, le
rivelò di essere il dio indiano Siwa.
Anche in questo caso, ci troviamo di
Figura 14. Margarethe Held
fronte ad un impulso creativo che nasce in modo involontario e inatteso
attraverso la pratica spiritica, che di per sé determina sicuramente un quadro
di profondo condizionamento del soggetto, pur partendo dalla raffigurazione
di una divinità non cristiana, ossia non appartenente all’universo culturale ed
133 | P a g .
immaginativo dell’autrice, che di solito esercita una maggiore e più diretta
influenza su un artista. Come per altri artisti medianici, anche in questo caso
si rileva la presenza di un trauma psichico, che sconvolse emotivamente la vita
dell’artista: la contemporanea perdita sia del padre (artista egli stesso) che del
marito, le cui “presenze” iniziarono a manifestarsi in sogno, come anche nel
corso di sedute spiritiche. Dopo i primi fenomeni di automatismo, l’artista
sviluppò un’intensa attività creativa, che la portò a produrre oltre 300 quadri
nei primi 4 mesi di attività. Secondo lo schema tipico riscontrato negli altri
artisti medianici, la Held lavorava con estrema velocità e sicurezza, senza mai
apportare cancellature o correzioni ai disegni e senza mai sapere in anticipo
cosa avrebbe disegnato. La produzione creativa di questa artista si concentrò
quasi esclusivamente sulla ritrattistica: dipinse infatti centinaia di ritratti di
“defunti, spiriti e dèi”, ma anche elfi, fate, gnomi, fauni, demoni (che lei
chiamava “aiutanti di Dio”), rappresentati sempre di profilo (Fig. 48). Ritorna
ancora un elemento frequente nella produzione di tipo medianico: la
ripetizione e duplicazione meccanica e ossessiva degli stessi elementi
figurativi. Nel caso specifico di questa artista tedesca, l’elemento ricorrente ed
esclusivo è rappresentato dalle teste (dal vago sapore arcaico e naïf), che si
ripetono in modo unitario e monotono, quasi ad assomigliarsi tutte, come
effigi di antiche monete o medaglie.
Analizzando bene i disegni, si nota però una spiccata somiglianza dei ritratti
con il profilo stesso dell’artista, che ritorna (reinventato e modificato) senza
che lei se ne renda conto: una sorta di proiezione mentale di se stessa,
raffigurata in maniera costante e ossessiva, sempre identica a se stessa, eppure
così diversa come ad incarnare altre personalità. Come per altri artisti, la Held
riceveva attraverso la scrittura o dettatura automatica la spiegazione dei
disegni da lei prodotti. Secondo la sua visione, espressa dai messaggi
automatici che lei trascriveva, anche se l’universo ci appare come una
dimensione incontrollabile e ricca di mistero, alla fine tutto ha un senso e nulla
è lasciato al caso; l’autrice stessa scrisse anche un libro sull’argomento, dove
sosteneva di essere una sorta di messaggera di Dio, presentando
dettagliatamente la propria opera. Nella conclusione di questo libro (riportata
134 | P a g .
in: Giovetti, 1982, p. 169), la psicologa tedesca Mechthild Rausch scrive:
“Certo è che quando Margarethe Held si sforza di sganciare il proprio ‘io’
dalla pittura, non può impedire che questo ‘io’ trovi nuovamente accesso ai
suoi disegni. Chiaro indizio è la ripetizione della propria fisionomia in molti
dei visi dipinti… Ci si potrebbe chiedere se gli stessi risultati figurativi
sarebbero ottenibili anche per via normale, o se non abbiano presupposti
patologici. Simili domande risultano però superflue se si individua nella
supposta medianità l’elemento creativo” (Held, 1977). L’artista interruppe
bruscamente la sua attività di artista medianica nel 1954.
4.3.3 Clara Schuff (1893-1987)
Nata a Monaco di Baviera, ma trasferitasi
negli Stati Uniti all’indomani della seconda
guerra mondiale, dopo essersi già rifugiata in
Brasile come perseguitata politica, manifestò
le sue doti medianiche sin da bambina,
praticando meditazione e cadendo in stato di
trance. Coltivò le sue facoltà lavorando
professionalmente come sensitiva e fornendo
responsi a famosi politici, uomini d’affari,
registi e divi hollywoodiani, ma anche stelle
del rock come Jimi Hendrix. Riusciva persino
a fare diagnosi mediche a distanza con
Figura 15. Clara Schuff - ©Elmar R. Gruber
accurata precisione. I fenomeni di arte
medianica iniziarono però a manifestarsi soltanto in tarda età (ad oltre
ottant’anni), dopo un incidente a seguito del quale le era stata amputata una
gamba: come per altri casi di artisti medianici, è proprio un evento traumatico
(che può essere sia di natura fisica che psichica) a innescare la produzione
creativa medianica, caratterizzata da inconsapevolezza ed automatismo
spontaneo. Iniziò all’improvviso a cantare inni e melodie in strane lingue
135 | P a g .
sconosciute. Cantando queste melodie arcaiche, l’artista iniziò in seguito a
creare disegni automatici con penne a sfera a grande velocità: era convinta
questi disegni provenissero dal popolo cui appartenevano quei misteriosi
linguaggi. Nel giro di pochi secondi, apparentemente senza riflettere, l’artista
riusciva a disegnare strane figure (in genere di colore rosso o blu), che nessun
altro artista riusciva a replicare nello stesso tempo di esecuzione. Iniziava
disegnando forme circolari (una sorta di mandala primitivi), che poi
suddivideva in varie sezioni, riempiendone gli spazi vuoti con figure
antropomorfiche o zoomorfiche, utilizzando inoltre strane simbologie che
ricordavano antichi caratteri geroglifici (Fig. 49). Tali disegni assumevano
spesso la forma di antichi templi o di navi spaziali ed includevano strane
iscrizioni che l’artista attribuiva a varie popolazioni dell’antichità (incas,
maya, egizi, hindu, cinesi, giapponesi, tibetani). L’artista affermava che tali
visioni le giungevano attraverso una sorta di intuizione o sensazione, cui lei
forniva dettagliate spiegazioni. Nonostante l’autrice non avesse mai studiato
lingue antiche, alcuni esperti hanno riconosciuto nei segni tracciati all’interno
delle sue opere forme arcaiche di linguaggi o dialetti ormai scomparsi da
secoli. L’interpretazione dell’artista (sebbene non si considerasse tale, ma
preferisse definirsi una veggente) era che tali iscrizioni fossero tracce di
ricordi o reminescenze delle sue vite precedenti, che lei era in grado di
rievocare sotto forma di canti o disegni. Non fu mai studiata scientificamente
in maniera sistematica, anche se di lei si occupò per un certo periodo il prof.
Hans Bender, attraverso alcuni esperimenti condotti presso l’Istituto per i
territori di confine della Psicologia e dell'Igiene Mentale (IGPP) di Friburgo,
da lui fondato.
4.3.4 Victor Emanuel Bickel (Faroxis) (1929-?)
Nato ad Augsburg, ma vissuto a Monaco di Baviera, è una figura singolare di
artista poliedrico: pittore, musicista, novelliere e poeta. La sua creatività
artistica, anzichè essere rivolta verso il passato, è proiettata al futuro: ritiene
136 | P a g .
infatti che i contenuti dei suoi dipinti siano dettati da intelligenze extraterrestri.
Le sue tele infatti rappresentano paesaggi futuristici o città del futuro:
probabilmente ciò che già esiste in altri mondi o altre dimensioni, secondo la
visione dell’artista, il quale ritiene che su altri mondi o sistemi solari esterni
alla nostra galassia possa esistere una vita più evoluta della nostra.
Lavorò professionalmente come musicista presso l’orchestra sinfonica della
radio di Monaco, ma fin da bambino coltivò sua passione per la pittura,
frequentando anche l’Accademia Artistica di Monaco. Ad un certo punto della
sua carriera artistica (verso la fine degli anni Cinquanta), l’artista ebbe una
sorta di visione o illuminazione interiore che lo indusse a sviluppare
progressivamente uno stile grafico totalmente differente da quello utilizzato
fino a quel momento, caratterizzato da un tratto più tenue e delicato, nonchè
da un particolare elementarismo pittorico, costituito da linee essenziali e tinte
pastello, così come da visioni aeree e dinamiche che raffiguravano un mondo
simbolico e mitico, lontano nel tempo e nello spazio. Utilizzava spesso le sue
tavole come illustrazioni di novelle “extraterrestri”, una sorta di ricordi o
visioni interiori di mondi futuri (o già esistenti in altre parti dell’universo) che
l’artista percepiva, senza tuttavia riuscire a spiegarne il significato: esse si
presentavano come sogni o si manifestavano come messaggi cifrati.
Va comunque detto che l’artista si era sempre interessato allo studio di antiche
religioni e civiltà scomparse, esoterismo e dottrine orientali, probabilmente
elaborando sotto forma di visioni interiori i contenuti dai quali era stato più
suggestionato e costruendo un proprio mondo interiore fatto di visioni
fantastiche ed allucinatorie, del quale lui stesso si sentiva parte. La sua
profonda convinzione dell’esistenza di una vita extraterrestre e di altre civiltà
nell’universo, più evolute della nostra, che lo guidavano nella creazione
artistica, ha sicuramente contribuito ad influenzare il suo stile e il suo tratto
pittorico, spingendolo ad attribuire i contenuti dei suoi dipinti a presunte
influenze di natura aliena. I suoi quadri riflettono infatti un mondo simbolico
e misterioso, ma sempre dotato di un’intensa luce ed armonia, sospeso tra
l’acqua e il cielo: compaiono veicoli spaziali, architetture futuristiche ed
ultramoderne (che sembrano l’evoluzione di antichi templi, come le piramidi
137 | P a g .
egizie ed azteche), figure antropomorfe o zoomorfe alate, insieme a simboli e
riferimenti ad antiche civiltà passate. Tali raffigurazioni mitico-favolistiche ed
astrali contribuiscono a trasmettere, attraverso la loro simbologia onirica, una
visione positiva ed ottimistica dell’esistenza e sono dotate di una forte carica
spirituale ed evocativa, tipica delle filosofie new age: l’autore infatti credeva
fermamente nell’avvento dell’età dell’Acquario e nella positiva evoluzione
dell’umanità verso un’era di pace, prosperità e armonia. Lo stesso artista
affermò di sentirsi guidato da una particolare “radiazione” positiva, di essere
il messaggero di una nuova filosofia e di aver voluto rappresentare nei suoi
quadri la “mitologia del futuro”: insomma, una sorta di profeta visivo. Anche
l’uso del colore riveste una particolare importanza nello stile pittorico di
questo artista visionario: infatti prediligeva tinte tenui, ma luminose, capaci di
trasmettere una sensazione un senso di serenità e una visione positiva ed
ottimistica dell’esistenza, pervasa da un intenso afflato spirituale (Fig. 50).
Anche in questo artista ricorre uno schema caratteristico ed usuale, riscontrato
anche in altri artisti medianici in varie epoche storiche e in diverse parti del
mondo: l’accadimento di un evento traumatico capace di influenzare la sfera
emotiva e la psiche dell’artista, scatenando una serie di sintomi neurologici e
di natura psicofisica, come sogni lucidi, incubi, visioni ed allucinazioni, ed
attivando a lungo termine un’ipersensibilità estetica che trova il suo sfogo in
episodi di creatività spontanea e automatica. Infatti, a seguito di un grave
incidente stradale, nel corso del quale l’artista riportò una seria commozione
cerebrale, si verificarono alcuni strani episodi che lo stesso autore definì come
“alterazioni dello stato di coscienza”: egli iniziò infatti a percepire una
sensazione di distacco dalla “coscienza quotidiana” (tipico sintomo della
sindrome dissociativa), accompagnata dalla sensazione di trovarsi in un
mondo totalmente estraneo, sospeso tra la vita e la morte. Ecco perché l’artista
soleva dire, scherzando, di appartenere ad un altro mondo, o di aver vissuto in
un’altra dimensione, riportando nei suoi quadri i ricordi di tali esperienze
vissute su altri piani di esistenza: e l’arte, secondo l’artista, era l’unico modo
per raffigurare la “la realtà del sogno”.
138 | P a g .
4.3.5 Gertrud Emde
Artista medianica ancora vivente, insieme al marito
Günter (presidente di Imago Mundi, Società
Austriaca di Parapsicologia già diretta da padre
Andreas Resch, teologo, psicologo clinico e
studioso di fenomeni paranormali) è tutt’ora
impegnata sui temi della guarigione spirituale ed ha
pubblicato anche alcuni libri sull’argomento.
Studiando il suo caso ed analizzando la genesi della
sua produzione creativa, non si può non pensare
alla forte influenza esercitata dall’autosuggestione
Figura 16. © Gertrud Emde
e dal condizionamente religioso: l’artista infatti è
una fervente credente e frequenta assiduamente gruppi spiritualisti,
considerando la sua medianità come una missione affidatale da Dio. Vive
infatti la sua religiosità con intenso fervore e misticismo; inoltre, le prime
manifestazioni di arte medianica sono state precedute da un forte desiderio di
iniziare a disegnare e dipingere. C’è dunque una precisa volontà alla base dello
sviluppo delle sue abilità creative. L’artista infatti ha conosciuto un periodo di
evoluzione partendo da semplici disegni, quasi infantili, fino ad arrivare a più
ampie e complesse elaborazioni grafiche. Come per altri artisti medianici, le
sue capacità si sono manifestate sin da bambina, con sogni precognitivi e
visioni di varia natura. Poi l’artista, convincendosi di poter entrare in contatto
con un’altra dimensione spirituale, ha iniziato a sperimentare i primi disegni,
servendosi della preghiera come fase preparatoria agli automatismi creativi.
La convinzione di essere aiutata da “guide spirituali” convince l’artista di
essere il “canale” tra un mondo ultraterreno e la realtà materiale: l’autrice si
sente guidata sia da un’entità maschile (che le trasmette disegni di tipo
geometrico), sia femminile (che invece le suggerisce disegni floreali). Le
opere da lei prodotte sono ricche di raffinatissimi dettagli, estremamente
decorativi e ornamentali, spesso eccessivamente ridondanti; sono inoltre
caratterizzate da un elemento ricorrente nelle produzioni di arte medianica,
139 | P a g .
ossia una linea ininterrotta che congiunge i vari elementi figurativi dei disegni
(segni, simboli, lettere, numeri, grafismi, parole e immagini). Oltre ad aver
sperimentato ogni tecnica di produzione grafico-pittorica (penne a biro,
matite, pastelli, acquerelli, olio), un altro elemento che contraddistingue la sua
produzione pittorica e l’utilizzo dei colori oro e argento, con i quali l’artista
intende rappresentare l’energia. La sua produzione avviene con grande
velocità e, come per gli altri artisti medianici, senza apportare alcuna
correzione o cancellatura durante i lavori, come se sapesse esattamente cosa
disegnare o dipingere: inizia da un punto focale centrale, tracciando delle
.linee verso l’esterno ed aggiungendo progressivamente minuscoli segni, fino
a creare delle strutture complesse, simili ad una filigrana oppure ad una sorta
di pizzi o damaschi. I colori vengono usati in sequenze separate: prima tutte
le parti in rosso, poi quelle in verde, poi altri colori e alla fine quelle in oro o
argento che, riflettendo la luce, rendono le opere estremamente cangianti se
guardate da differenti angolazioni. Secondo le intenzioni dell’autrice, l’oro e
l’argento hanno lo scopo di riprodurre l’energia, le vibrazioni e le radiazioni
del mondo ultraterreno, trasmettendo una sensazione di fluidità, movimento,
ma anche di bellezza, luminosità ed armonia, trasformando le forme materiali
in forme spirituali ed ultraterrene.
4.3.6 Salomé Pinx
Si tratta dello pseudonimo di un’artista tedesca ancora vivente. La sua
produzione di arte convenzionale (e consapevole) si differenzia nettamente da
quella medianica, che avviene in modo automatico e della quale l’autrice non
è consapevole se non dopo aver terminato il lavoro: come per altri artisti
medianici, la mano inizia a disegnare senza alcuna partecipazione volontaria
o consapevole. Si tratta di opere dal contenuto “inconscio” (come affermato
dalla stessa artista), i cui significati le vengono rivelati in sogno. Per quanto
riguarda questo specifico caso di studio, va sottolineato che l’autrice, che
proviene da una famiglia di artisti, nutriva sin da bambina una grande passione
140 | P a g .
per il disegno e la pittura, diventando essa stessa un’artista secondo i canoni
convenzionali. Ma per quanto la sua produzione di arte medianica, bisogna
notare che l’artista entra in uno stato di inconsapevolezza creativa, che la
spinge a produrre opere a grande velocità senza rendersi conto del processo
esecutivo, arrivando a produrre ben 60 opere in appena quattro giorni (senza
effettuare alcuna correzione). L’artista riferisce di assistere come in un sogno
a quanto accade, vedendo lei stessa al lavoro, ma senza partecipare
coscientemente ad esso, ovvero sperimentando una sensazione di distacco da
se stessa. Anche in questo caso sono presenti alcuni elementi comuni in altri
artisti medianici: esperienze traumatiche, insoddisfazioni e frustrazioni,
malattia, desideri insoddisfatti (la nascita di un figlio maschio), volontà di
autoaffermazione (la ricerca di un proprio stile artistico personale che la
rendesse famosa e riconoscibile agli occhi del pubblico). Ad un certo punto
della propria vita incominciò a fare sogni vividi e a ricevere messaggi onirici,
nei quali una figura luminosa le trasmetteva contenuti di natura precognitiva,
ma anche altri elementi presenti nelle esperienze vissute da altri artisti
medianici: antichi simboli egizi, oppure hindu (come la testa d’elefante del dio
Ganesh, che rappresenterebbe il suo spirito-guida), o ancora, misteriosi
paesaggi sotterranei o di natura onirica. La stessa artista, nel corso di
un’intervista, fornisce una descrizione lucida e precisa delle sensazioni fisiche
sperimentate durante la manifestazione dei fenomeni di creatività spontanea,
che ci danno un’idea della natura del processo creativo alla base di questo
particolare tipo di manifestazioni psichiche (Giovetti, 1982, pp. 68-70):
“La mia attività pittorica inconscia è preceduta da un certo nervosismo,
che produce in me un impulso che continuamente aumenta, finchè devo
(corsivo dell’autrice del testo) mettermi a lavorare, non avendo idea di
quello che dipingerò. Per tutto il tempo che dipingo, io sto letteralmente
«a guardare», con emozione, tensione e curiosità, quello che avviene.
Tengo gli occhi semichiusi, le pupille fisse; la mia concentrazione è
intensa, tutta proiettata verso l’interno, non ho più pensieri nè desideri.
È come se fossi in stato di dormiveglia, però col corpo scattante, come
pronto a un gran salto. Questo stato di intensa concentrazione attiva dura
141 | P a g .
un tempo relativamente breve, poi la forza che mi domina cede un poco
e si trasforma in uno stato più rilassato, in cui posso continuare a
lavorare. Spesso devo interrompere il lavoro perchè sono totalmente
esausta, e per riprenderlo devo attendere che mi colga un’altra volta
quella forza misteriosa. Questo per i quadri ad olio, al cavalletto. Per I
disegni è diverso. Anche in questo caso avverto un certo nervosismo,
allora mi sistemo comodamente su una poltrona senza braccioli, in modo
da avere I gomiti liberi, ho in grembo un’assicella con la carta, poi mi
concentro sullo spirito-guida e sulle mie mani, finchè mi trovo in uno
stato simile a quello che precede immediatamente il sonno e la mia mano
avverte un leggero, gradevole formicolio. Tengo la penna dritta tra
pollice e indice, toccandola appena. Uso una penna a sfera perchè ha un
suo equilibrio e faccio in modo che la temperatura nella stanza sia alta,
affinchè la penna scorra meglio. Così comincio a disegnare. Il primo
disegno che faccio in genere non è troppo buono, quelli successivi
migliorano notevolmente, come se scendessi sempre più in profondità
dentro di me. A un certo punto sono sfinita – e al tempo stesso quando
smetto di disegnare mi sento riposata come se avessi fatto un buon sonno
pomeridiano. La mano che ha retto la penna avverte ancora quel
formicolio benefico e gradevole. Il mio spirito-guida mi ha spiegato che
è come se avessi praticato le cure spirituali, cosa che talvolta faccio.
Disegno con gli occhi aperti: ho bisogno di guardare […]. I quadri
veramente medianici sono come i sogni, cioè vengono quando devono
venire, e quello che significano non riesco a capirlo subito, proprio come
avviene coi sogni. Semplicemente un bel giorno si verifica un fatto che
riguarda il quadro – e io colgo il nesso. Spesso infatti dipingo un quadro
che non so proprio cosa significhi, non so neppure che titolo abbia; e poi
un bel giorno viene da me una persona amica e mi spiega che quel quadro
fa parte della sua vita, che si riferisce a certi fatti ed esperienze sue e
quindi lo vuole assolutamente avere. Così un quadro è come una lettera
dall’aldilà e io sono solo il postino (corsivo dell’autrice del testo) […].
Se per un certo periodo dipingo consapevolmente, la produzione
inconscia si concentra dentro di me come un vulcano o un terremoto,
finchè a un certo punto si arriva all’esplosione […]. Si può dire che io
sogno in modo visibile sulla tela.”
142 | P a g .
L’artista, nel corso dei fenomeni di produzione creativa di tipo medianico,
cade dunque in uno stato di trance o semi-trance, durante il quale avverte la
sensazione di essere guidata da entità spirituali in qualche modo a lei familiari,
che l’aiutano ad estrinsecare quelle abilità creative inconscie che altrimenti, in
stato cosciente, non riuscirebbe mai ad esprimere.
4.3.7 Heita Coponi (1941-)
Pittrice tedesca nata a Münster, reincarnazionista ed appassionata di religioni
e mistica orientali, esoterismo, yoga, meditazione zen e scienze di confine.
Figlia di un pittore e diplomata all’accademia di belle arti, scoprì un naturale
talento della pittura all’età di sei anni. Un’artista a tutti gli effetti dunque, che
sembrerebbe non trovare posto tra i casi di automatismo creativo illustrati in
questa ricerca, se non fosse per il particolare tipo di processo creativo messo
in atto. Infatti, l’intenso stato di meditazione sperimentato dall’artista (nonché
lo stato di suggestione mistica) gli consentiva di trovarsi nelle stesse
condizioni di “flusso creativo” sperimentate dagli artisti medianici: i motivi
delle sue opere scaturivano direttamente dalla coscienza, concretizzandosi
nelle immagini simboliche alle quali l’autrice aveva accesso nel corso dei suoi
trip mistici. Il particolare stato di attivazione mentale le consentiva infatti di
dipingere particolari opere, intrise di una sorta di misticismo olistico che
esprimeva con forza le sue visioni interiori: quadri dalle tinte trasparenti e
luminose, che lasciano filtrare una luce tenue e “spirituale”.
Le opere più caratteristiche della pittrice raffigurano dei mandala, un
particolare tipo di disegno simbolico (o diagramma esoterico) dalla forma
circolare che si ritrova in numerosi popoli dell’antichità: esso racchiude un
significato mistico-rituale e di intima comunione con una dimensione
spirituale, sovrumana e divina, esprimendo un simbolismo ed una religiosità
di natura cosmica ed universale. Questo particolare tipo di rappresentazione
simbolica, così densa di suggestioni archetipali, venne infatti studiata da Carl
Gustav Jung, il quale affermò che durante i periodi di tensione psichica
143 | P a g .
(susseguenti ad un intenso shock psicofisico o emotivo, come quelli
frequentemente riscontrati nella vita degli artisti medianici), figure
mandaliche possono apparire spontaneamente nei sogni per indicare la
necessità di un ordine interiore per l’individuo, di un’armonia capace di dare
serenità e pace ad un animo tormentato, a testimonianza dello sforzo psichico
dell’individuo nel cercare di stabilizzare il materiale “doloroso” rimosso dalla
coscienza (Jung, 1969). L’artista definiva la sua arte come pittura
“trascendentale” o “simbolismo spirituale”, affermando di voler rappresentare
le sue intuizioni attraverso un processo di meditazione profonda avente lo
scopo di entrare in intimo contatto con la propria coscienza. Il processo
creativo messa in atto durante la fase di immersione meditativa viene descritto
dalla stessa pittrice:
“Quello che sperimento e vedo interiormente si materializza da sé,
spesso a velocità fulminea, in un quadro. A volte sono addirittura
sommersa da un diluvio di visioni e immagini, molto più luminose,
variopinte ed eteriche di quanto io possa dipingere. Rendere visibili
all’occhio normale queste immagini simboliche interiori è un processo
che richiede molta pazienza e concentrazione, oltre che tecniche
pittoriche adeguate. I miei quadri rappresentano la possibilità di superare
il confine che ci separa da un mondo diverso…” (Giovetti, 1982, p. 206).
144 | P a g .
4.4 I casi britannici
4.4.1 Elizabeth Hope (Madame d’Espérance) (1855-1919)
Dopo
aver
trascorso
un’infanzia
piuttosto
traumatica (rapporto conflittuale con la madre e
molestie sessuali da parte di medici) ed aver
sperimentato strane visioni di tipo allucinatorio (il
consueto
quadro
psichico
e
sintomatologico
riscontrato anche in altri medium-artisti), scoprì le
sue doti medianiche verso i quindici anni, attraverso
la manifestazione di fenomeni apparentemente
inspiegabili. Pervenne al disegno attraverso la
scrittura automatica. Pur senza essere in possesso di
una tecnica particolare, era in grado di catturare su
carta ritratti da lei percepiti come “entità spiritiche”,
Figura 17. Elizabeth Hope
lavorando in totale oscurità ed a grande velocità:
riusciva infatti a realizzare un ritratto in appena trenta secondi, affermando di
vederne i contorni luminosi nel buio, come una sorta di materializzazioni, di
cui lei si limitava a ricalcarne le forme. Fu accusata di frode per aver inscenato
una finta materializzazione nel corso di una seduta spiritica.
4.4.2 Coral Polge (1924-2001)
Si tratta di una delle più famose sensitive britanniche (londinese di nascita),
divenuta famosa per essere in grado di realizzare ritratti di persone defunte
(che lei non poteva affatto conoscere), che venivano riconosciute da parenti o
amici presenti alle sedute durante le quali l’artista si esibiva: l’identità delle
persone raffigurate nei ritratti realizzati dalla medium veniva provata senza
ombra di dubbio attraverso le fotografie esibite dai parenti o amici dei defunti,
145 | P a g .
che riconoscevano nei disegni i propri
congiunti scomparsi (Fig. 51). I ritratti
venivano realizzati in modo molto
rapido (tra i 5 e i 20 minuti) ed erano
preceduti da un breve contatto tra le
mani del parente e quelle della sensitiva,
la quale affermava di non vedere le
Figura 18. Coral Polge
persone che ritraeva, ma semplicemente
di “percepirle”: infatti avvertiva come una sorta di intuizione che la spingeva
a disegnare i volti, rimanendo poi lei stessa stupita di quanto realizzato. La
medium stessa descrisse il processo di automatismo creativo in questi termini:
“Non vedo le persone che ritraggo, le ‘sento’, mi sembra cioè di diventare io
stessa il soggetto in questione, e disegnando esprimo quello che sento di
essere. C’è quindi da parte dello spirito un certo controllo della mia persona.
Io ne capto il carattere, il temperamento, partecipo delle sue sofferenze, della
sua gioia. Mi vengono anche trasmesse notizie e nomi relativi alle persone che
ritraggo, ma non sento le parole in senso acustico, le ricevo direttamente nella
mente” (Giovetti, 1982, p. 175). Coral Polge fu un’artista medianica
eccezionalmente prolifica: produsse infatti circa 70.000 disegni e schizzi. Fece
delle sue doti di sensitiva la sua professione, cosa alquanto comune, dato che
l’Inghilterra vanta la più antica tradizione in fatto di ricerca psichica ed
esistono attualmente, a livello universitario, una cattedra di Anomalistic
Psychology presso il Dipartimento di Psicologia della Goldsmiths University
of London, nonché una cattedra di Parapsicologia (l’unica al mondo) presso
l’Università di Edimburgo in Scozia. L’artista sposò inoltre Tom Johanson,
segretario della SAGB (Spiritualist Association of Great Britain) e direttore
della Spiritualist Gazette. Al contrario di altri artisti medianici, Coral Polge
era invece dotata di una buona preparazione artistica, avendo lei stessa
frequentato la Harrow Art School. Anche in lei si ritrova il classico schema di
sviluppo dei fenomeni di automatismo creativo riscontrato in altri artisti, come
la scoperta “casuale” delle sue doti, maturata in ambiente spiritistico (la Polge
frequentò anche un corso per sviluppare le sue doti medianiche). Al contrario
146 | P a g .
di altri artisti medianici, l’artista manifestava i propri automatismi in uno stato
apparentemente ordinario di coscienza, ovvero senza cadere in trance, e in
piena luce. A volte le sue esibizioni avvenivano in presenza di un altro
medium, il quale, mentre lei disegnava il ritratto del defunto, parlava per
mezzo dell’entità spiritica, riferendo dettagli e informazioni (che si rivelavano
vere) sulla vita del soggetto rappresentato dall’artista. A proposito della
tecnica artistica, l’artista dimostrò di preferire l’utilizzo di matite e pastelli,
anziché olio e tempera: “Le matite e i pastelli mi consentono di lavorare più
velocemente; dipingere coi colori e i pennelli è troppo lento. Le mie
impressioni arrivano molto velocemente, e se mi fermo a mescolare i colori le
perdo” (Giovetti, 1982, p. 176). Al contrario di altri artisti, la Polge dimostrò
di avere un atteggiamento più razionale e consapevole, ossia più controllato
rispetto ai fenomeni di automatismo creativo che la riguardavano, denotando
una personalità critica e, apparentemente, meno soggetta a condizionamenti.
4.4.3 Matthew Manning (1955-)
Artista medianico inglese ancora vivente. Il
suo caso è molto complesso (ed in gran parte
simile a quello dell’italiano Gustavo Adolfo
Rol), in quanto, oltre le manifestazioni di
creatività automatica, questo artista medianico
inglese originario di Cambridge si è reso
protagonista di numerosi ed inspiegabili
fenomeni di supposta natura paranormale,
come poltergeist (noto anche come PK o
psicocinesi), scrittura automatica e telepatia,
Figura 19. Matthew Manning
che insorgevano spontaneamente senza che il
soggetto avesse mai avuto alcuna esperienza di natura suggestionante
all’interno di circoli medianici o spiritici, manifestando un’energia in grado di
modificare la realtà fisica (opera infatti anche come sensitivo e guaritore).
147 | P a g .
Tali fenomeni iniziarono a manifestarsi sin dall’infanzia, anche in modo
violento (nel caso dei poltergeist), finche l’autore non si accorse che
regredivano se lui poggiava la mano su un foglio di carta, consentendo alla
supposta “presenza” di scrivere: all’inizio si trattava solo di linee senza senso
e scarabocchi illegibili, ma questi segni iniziarono ad assumere
progressivamente contorni sempre più netti e precisi, diventando una sorta di
messaggi, talvolta prodotti in lingue sconosciute all’autore stesso. Dopo aver
sperimentato la scrittura automatica, Manning iniziò a creare disegni che
diventarono sempre più precisi, fino a produrre opere firmate da famosi artisti
del passato, come Albrecht Dürer, Goya, Leonardo, Paul Klee, Henri Matisse,
Claude Monet (Fig. 52), Pablo Picasso e molti altri (tra cui anche i miniaturisti
elisabettiani del Cinquecento). La tecnica delle sue opere è davvero pregevole
e di elevata qualità estetica: l’artista medianico è in grado di eguagliare la
straordinaria maestria e lo stile di quei famosi pittori, pur senza che l’autore
abbia alcuna competenza artistica (come confermato dal suo insegnante di
disegno delle scuole superiori), anche se sembra prediligere il disegno
monocromatico alla pittura. Manning è stato uno dei sensitivi più studiati al
mondo, sin da quando aveva appena diciotto anni. Gli studi condotti attraverso
elettroencefalogramma sul soggetto in stato di absorption, effettuati
dall’équipe del dr. George Owen (direttore del New Horizons Research
Foundation di Toronto, Canada), hanno rilevato sensibili anomalie
nell’attività cerebrale dell’artista, caratterizzate da un aumento di onde theta
ed una corrispondente diminuzione di onde beta, evidenziando quindi delle
effettive modificazioni nell’attività elettrofisiologica e biochimica del cervello
(Owen, 1974; Whitton, 1974; Lorenz, 1977; Rauscher, 1977). Questa è la
testimonianza diretta fornita dallo stesso artista, riportata nella sua
autobiografia (Manning, 1976):
“Io vuoto la mia mente meglio che posso e in questa condizione penso
alla persona con la quale voglio entrare in contatto. A volte però constato
l’identità dell’artista solo quando appare la sua firma […]. Devo fare due
osservazioni importanti: ho cercato regolarmente la collaborazione di
certi artisti e sebbene io creda sinceramente che i disegni provengano da
148 | P a g .
una fonte esterna a me, sono sicuro che il mio subconscio mi abbia
portato occasionalmente ad ornare certi disegni e ad aggiungere
qualcosa. Non l’ho però mai fatto volutamente o consapevolmente. In
secondo luogo mi sembra importante anche il fatto che i lavori sono
senza alcun dubbio nello stile dell’artista che firma, all’inizio però erano
semplici riproduzioni o quasi copie di lavori che l’artista aveva eseguito
quando era ancora in vita. Nella maggior parte dei casi sono certo di non
aver mai visto il disegno originale e rimango deluso quando esso mi
viene mostrato dagli esperti. Posso spiegarmi questo fatto solo pensando
che l’artista voglia identificarsi al di là di ogni possibile dubbio,
producendo qualcosa che è già noto. Tuttavia la maggior parte dei
disegni che ho ricevuto automaticamente, sia firmati che anonimi,
completi o incompleti, sembrano essere originali, cioè opere mai
disegnate prima da un artista. […]. Quando voglio entrare in contatto con
un determinato artista rivolgo semplicemente tutti i miei pensieri a lui.
Non penso ad altro che a lu. Non sono in trance e percepisco tutto quello
che avviene intorno a me. Qualche volta mi hanno bendato gli occhi, ma
i risultati sono stati pessimi, cosa che trovo strana. Dato che questi
disegni vengono eseguiti automaticamente, non dovrebbe far differenza,
e chi trasmette dovrebbe essere capace di scrivere o disegnare anche se
io ho gli occhi bendati. Ho fatto però l’esperienza che i fenomeni
supersensoriali non obbediscono a una logica e non sono prevedibili.
Forse la mia situazione può essere paragonata a quella di un apparecchio
radio senza antenna. In questo senso mi si potrebbe considerare una sorta
di ricevitore che capta gli impulsi da un trasmettitore. Un altro fatto
interessante è che i disegni riempiono sempre il foglio,
indipendentemente dalla sua dimensione. Se io prendo un foglio grande
come un francobollo, viene riempito tutto, al pari di un foglio di due
metri quadrati […], quando cerco di entrare in contatto con un
determinato artista, non ho nessuna garanzia che questo riesca. Questo
spiega forse il gran numero di disegni anonimi che ho fatto. Quando mi
concentro su un determinato artista, può avvenire che ne intervenga un
altro, senza che io me ne accorga. E costui spesso non firma col suo
nome. A volte posso ricevere opere anonime se mi siedo senza pensare
a un nome particolare e mi pongo solo in situazione ricettiva. Questo
avviene di solito quando voglio impedire che si scateni una nuova attività
149 | P a g .
di poltergeist. Io sento infatti in qualche modo che si accumula energia
cinetica. Se sto due settimane o più senza scrivere o disegnare, si
manifesta il poltergeist. Se disegno o scrivo più di un’ora, mi sento
stanco. I messaggi diventano poco chiari, come impalliditi. Ci vogliono
poi alcune ore prima che io mi ricarichi di nuovo. […] La cosa più
notevole in questi disegni è la velocità con cui vengono eseguiti. Iniziano
in genere al centro del foglio e di lì vengono completati verso l’esterno.
Vengono sempre disegnati direttamente sulla carta con l’inchiostro,
senza uno schema preliminare con la matita. Errori ne vengono fatti di
rado, anche se qualche disegno rivela errori tecnici nella prospettiva o
nelle ombreggiature. Mentre io impiego per un disegno 1-2 ore, per
comporre un’opera del genere un artista normalmente ne impiegherebbe
da 6 a 8. Io credo che questo tempo ridotto si possa spiegare pensando al
fatto che per il disegno non c’è bisogno, o quasi, di un programma. […].
Mi è stato chiesto se sento o vedo qualcosa mentre scrivo o disegno
automaticamente. I medium ricevono spesso forti impressioni di coloro
coi quali sono in contatto, o addirittura li vedono. Io però non ricevo
impressioni del genere, sebbene possa valutare la forza della personalità
in questione dalla pressione che la mia mano esercita sulla carta. […].
Uso una penna da disegno, ho constatato che questo mi consente i
migliori risultati. Se uso i colori – sia acquerelli che penne colorate,
matite, ecc. – questo sembra confondere l’artista. I colori si mescolano e
il risultato è in genere molto mediocre. Anche questo fatto non ha una
spiegazione. Ma tutte le esperienze che ho fatto indicano che ottengo i
migliori risultati usando un solo colore. L’unico artista che non presenta
problemi con l’uso dei colori è Pablo Picasso. Le mie esperienze con lui
sono state particolarmente interessanti. La prima sua opera arrivò nel
luglio 1973, tre mesi dopo la sua morte. Io avevo pregato Picasso in
modo particolare di fare un disegno per me. Avevo una penna con un
pennino di 2 mm, lo stesso che uso per gli artisti che producono lavori
molto fini. Nel giro di pochi secondi la mia mano fu dominata da una
forza molto precisa, e così potente che dopo un minuto di rapido disegno
la penna era piegata e non serviva più a niente. Presi quindi una penna
da 5 mm. Anche questa fu messa fuori uso in fretta e solo una penna di
8 mm che presi successivamente risultò adeguata alla forza con cui la
mia mano lavorara. Il disegno aveva l’inconfondibile stile di Picasso,
150 | P a g .
forte e ardito. Io disegnavo con l’inchiostro nero, come al solito, ma sul
mio tavolo c’era una scatola con 24 penne colorate. Presi un nuovo foglio
di carta da disegno, pregai Picasso di disegnare ancora una volta per me,
e posai la mano sui colori. Con mia grande sorpresa la mia mano afferrò
la penna nera. Rapidamente sul foglio fu tracciato uno strano modello di
forme e linee, con la stessa forza di prima. Pareva un viso. Poi di colpo
la mia mano si mosse verso la penna verde, la prese e parti del quadro
furono ombreggiate di verde. Questo si ripetè col nero, verde, marrone,
violetto, rosso, giallo e grigio, finchè davanti a me ci fu il disegno
variopinto di un viso, che assomigliava a un re egiziano. Alla fine il
quadro fu firmato. […] Stranamente pochi motivi religiosi. L’unico
quadro religioso che ho prodotto è una testa di Cristo, che pare derivare
da Leonardo da Vinci. La maggior parte dei disegni rappresenta uomini,
uccelli e animali, pochissimi edifici. […] Con le iniziali di Albrecht
Dürer ho prodotto una serie di ritratti che portano il nome della persona
rappresentata. I nomi mi sono sempre stati sconosciuti, a parte rarissime
eccezioni. Si tratta in genere di contemporanei di Dürer. Il problema
centrale è come questi ritratti arrivino sul foglio per mia mano. Non ho
mai visto prima questi personaggi e non sono in grado di disegnare
autonomamente.” (Giovetti, 1982, pp. 98-103)
La cosa effettivamente sorprendente è che le opere d’arte prodotte da Manning
sono state attribuite da numerosi esperti d’arte ai grandi maestri che firmavano
i lavori per mano dell’artista medianico. Addirittura, nelle opere firmate da
Matisse, vi era un particolare preciso (individuato dagli esperti della casa
d’aste Sotheby’s) che Manning non poteva affatto conoscere: la lettera M
maiuscola che Matisse, nelle opere prodotte nell’ultimo periodo della vita,
nascondeva nei suoi quadri per difendersi dai falsi.
Del caso di Manning si occupò anche il prof. Hans Bender nel 1974 presso
l’Istituto per i territori di confine della psicologia e dell’igiene mentale di
Friburgo, da lui diretto, nel corso di alcuni esperimenti compiuti davanti alla
telecamera. Bender fornì a Manning lo pseudonimo di una pittrice a lui
sconosciuta da poco scomparsa (che lo studioso conosceva bene) e l’artista
produsse automaticamente un disegno contenente elementi noti soltanto allo
151 | P a g .
psicologo, il quale concluse che l’artista aveva probabilmente captato da lui
tali informazioni in maniera telepatica. Bender riferisce con queste parole le
conclusioni alle quali era giunto, confermando che le capacità creative
dell’artista riuscivano ad emergere solo in uno stato alterato o modificato di
coscienza, di cui Manning non era affatto consapevole: “Questa prestazione
di Matthew non è quindi soltanto una ‘riproduzione automatica’ di
un’informazione, ma piuttosto la configurazione creativa, la rappresentazione
in forma estremamente concisa di una complicata situazione captata per via
paranormale. Matthew disegna allo stato normale molto mediocremente,
addirittura goffamente; si potrebbe dire che egli è un artista impedito a
produrre da una barriera consapevole” (Bender, 1981). Se all’inizio lo stesso
Manning sembrò propendere verso un’interpretazione medianica delle proprie
capacità, ammettendo una possibile influenza da parte di entità spiritiche a lui
estranee (una prova della sopravvivenza dei grandi maestri, che si
manifesterebbero attraverso l’artista medianico), con il passare degli anni
modificò notevolmente il proprio atteggiamento, giungendo alle stesse
conclusioni alle quali era pervenuto Gustavo Adolfo Rol (che parlava di
“spirito intelligente”): ossia che ogni gesto o azione creativa generi un’energia
che non andrebbe mai perduta, ma verrebbe captata da individui in grado di
entrare in sintonia con essa, riproducendola attraverso le proprie opere
(Eisenbeiss & Hassler, 2006). Matthew Manning ha ormai smesso già da tanto
tempo la produzione dei suoi disegni, considerando le manifestazioni di arte
medianica solo una fase transitoria del proprio percorso evolutivo di sensitivo
e guaritore. Lo stesso artista, descrivendo il processo creativo che era alla base
delle proprie opere, riferì che i suoi disegni non avevano bisogno di alcuno
schema di base o bozzetto: egli cominciava a disegnare partendo dal centro
del supporto, per poi procedere verso l’esterno, in senso antiorario, come nella
scansione di uno schermo radar. Egli sostenne che tutto sembrava avvenire
“come per un processo fotografico”. E proprio quest’ultima affermazione
sembra avvalorare ancora di più l’ipotesi presentata in questo lavoro di ricerca,
ossia l’influenza dei neuroni specchio, di cui si parlerà più avanti. Tale ipotesi
spiegherà più approfonditamente la probabile correlazione tra l’osservazione
152 | P a g .
di immagini mentali (inconsapevolmente immagazzinate nella “memoria
estetica” dell’individuo) e l’esecuzione creativa automatica da parte degli
artisti medianici in stato di dissociazione creativa.
4.5 Il caso svizzero
4.5.1 Emma Kunz (1892-1963)
Nata a Brittnau in Svizzera da una famiglia molto modesta (frequentò solo la
scuola primaria), venne sconvolta dalla perdita del padre, che si suicidò
quando lei aveva 17 anni (tipico evento traumatico che si ritrova
frequentemente nelle biografie degli artisti medianici). Le vicissitudini della
sua vita la spinsero a vivere in solitudine, esercitando mestieri molto umili,
finchè non scoprì di possedere doti di guaritrice, radiestesista e veggente
(predisse infatti il lancio delle bombe atomiche in Giappone e l’assassinio dei
fratelli Kennedy). All’età di 46 anni, cominciò improvvisamente a disegnare,
spinta da un irresistibile impulso interiore: “Tutto avviene secondo una certa
legge che sento in me e che non cessa di tormentarmi” (Giovetti, 1982, p. 211).
Figura 20. Emma Kunz
153 | P a g .
La sua arte è caratterizzata dal rigoroso geometrismo e schematismo dei
disegni, eseguiti di solito su carta millimetrata (particolare insolito per un
artista medianico), utilizzando pastelli a cera o matite colorate. L’attivazione
degli automatismi creativi dell’artista avveniva anch’esso in modo alquanto
inusuale, raccogliendosi in concentrazione ed esplorando la superficie del
foglio con il pendolo (tipico strumento del radiestesista), che gli permetteva di
individuare, attraverso una serie di punti “energetici”, lo schema preciso del
disegno prima di iniziarne l’esecuzione. Una volta determinati i punti focali e
gli assi fondamentali, l’artista collegava i vari punti attraverso i colori,
fornendo al tratto la forza e l’intensità necessari a riprodurre la carica
energetica del disegno (lavorando ininterrottamente anche per 24 ore
consecutive), corrispondente alla sua intuizione interiore (Fig. 53).
La visione dell’artista esprime infatti una sorta di misticismo olistico e di
animismo magico universale, che la spinsero a personificare ogni
manifestazione della natura, nella quale si identificava , traendo da essa le sue
conoscenze in maniera non razionale, ma intuitiva, diretta e immediata: la
Kunz riversò nei suoi “disegni diagrammatici” la propria visione dell’essere
umano e dell’anima, traducendo sotto forma di rappresentazione simbolica
tutto ciò che non riusciva ad esprimere a parole, rappresentando un mondo
pervaso da una potente energia spirituale di natura universale, che lei
raffigurava attraverso schemi precisi e simmetrici, dotati di logica matematica
e decorativismo geometrico. Infatti l’artista utilizzava spesso i suoi disegni
come oggetto di meditazione e strumento di guarigione (sia fisica che
spirituale) per coloro che si rivolgevano a lei, potenziando le sue supposte
capacità di percezione extrasensoriale. Nei suoi disegni si ritrovano spesso
riprodotti antichi simboli alchemici, magici, esoterici e animisti che
assomigliano ai mandala, ovvero a simboliche proiezioni geometriche del
mondo, tipiche della teosofia indiana, studiate da Carl Gustav Jung quali
simboli archetipali di compiutezza e perfezione universale (Jung, 1969).
Di lei si conservano circa 400 disegni, parte dei quali esposti alla Kunsthalle
di Düsseldorf, al Museo d’Arte Moderna di Parigi e al Palais des Beaux-Arts
di Bruxelles, grazie al contributo di un suo amico ed ex paziente, Anton C.
154 | P a g .
Meier, titolare dell’omonima galleria d’arte a Ginevra, che nel 1986 ha
fondato anche un centro intitolato alla memoria dell’artista (Emma Kunz
Zentrum), con sede a Würenlos in Svizzera, dove le opere culturali e spirituali
e curative promosse dall’artista possano fondersi insieme ed essere accessibili
al pubblico in un unico luogo pervaso di armonia e di intensa energia (cfr.
http://www.emma-kunz.com/).
4.6 Il caso spagnolo
4.6.1 Marcelo Modrego (1912-1997)
Nato a Lérida, fu un uomo di modesta cultura, avendo lasciato la scuola all'età
di nove anni per fare il pastore. Alla morte di sua moglie fu colpito da una
profonda depressione che lo avrebbe condotto a una sorta di bulimia creativa,
dipingendo in maniera ossessiva e delirante su qualsiasi oggetto: dipinti,
mobili, accessori per la cucina. Nel 1966 iniziò a dipingere sulle pareti del suo
appartamento, come catapultato in un luogo a lui sconosciuto. Immerso in uno
stato di totale automatismo creativo, egli ricoprì integralmente le pareti con
disegni di fiori, uccelli e strani motivi geometrici dai colori molto accesi e
brillanti. Vari personaggi ed enigmatiche figure sembravano emergere
attraverso un intricato labirinto (Fig. 54). Dopo quindici anni di intenso lavoro,
l’artista interruppe improvvisamente la sua produzione creativa.
155 | P a g .
4.7 Il caso polacco
4.7.1 Marjan Gruzewski (1898-?)
Artista polacco, è noto per i contenuti precognitivi delle sue opere (disegnò
con anni di anticipo la carta geografica della Polonia secondo i confini che le
furono assegnati dopo la Seconda Guerra mondiale, all’indomani della
Conferenza di Teheran). La sua storia parte da un’infanzia popolata da visioni
di natura inquietante (visi e figure umane), che lo riepirono di spavento fino a
renderlo un bambino nervoso ed iperattivo, ma di fervida immaginazione. In
lui era presente un forte bisogno di nutrire la sua mente con contenuti di natura
estetica: infatti amava guardare dipinti e disegni, ma anche ascoltare racconti
fantastici. Sembra che in lui convivessero differenti personalità, tant’è che a
volte la sua mano si rifiutava di scrivere ciò che egli voleva, immobilizzandosi
o gettando via la penna, come se fosse del tutto indipendente dalla sua volontà.
Dopo il trauma subito con la morte della madre, iniziò a frequentare circoli
spiritici, finchè un giorno non si scatenò in lui la medianità, manifestandosi
attraverso fenomeni di natura paranormale e metapsichica, come psicocinesi e
materializzazioni. In stato di trance riferiva della presenza di spiriti-guida, che
lo guidavano nella creazione di poemi o altre composizioni letterarie in versi
o in prosa (cosa di cui era incapace in stato di veglia), o nella creazione di
quadri e disegni ad occhi chiusi, in stato di completa dissociazione.
Successivamente cominciò a lavorare ad occhi aperti, ma in stato di
sonnambulismo o ipnosi. L’artista descriveva che, quando si trovava in stato
di trance, le persone che assistevano alle sue esibizioni non gli apparivano
come quando era sveglio, ma come immerse in un fluido in movimento,
luminoso e colorato, mescolate ad altre figure umane. Arrivò addirittura a
controllare o suoi stati di trance, così da poterle autoindurle a piacimento
nell’attimo in cui avvertiva l’esigenza di dipingere o gli veniva richiesto di
farlo: gli bastava rimanere immobile e guardare nel vuoto, dopodichè i suoi
occhi si chiudevano e lui si abbandonava perdendo conoscenza; il respiro si
156 | P a g .
faceva forte e rumoroso accelerando progressivamente, il suo corpo veniva
assalito da tremori ed il tronco si irrigidiva riversandosi all’indietro, poi
l’artista ritornava in posizione seduta e, con gli occhi sbarrati, iniziava il suo
lavoro. Al risveglio, dopo aver creato le sue opere, realizzate con movimenti
rapidi e convulsi, ricordava solo qualche sprazzo o reminescenza della sua
esperienza medianica, il cui contenuto era indefinito e sfuggente come il
ricordo di un sogno. Egli arrivò a sperimentare due tipi di trance: 1) una
“grande trance”, della durata di 20-45 minuti, in cui appariva totalmente
isolato dall’ambiente circostante e della quale non conservava alcun ricordo,
salvo qualche vaga e soffusa visione: in questo stato di coscienza,
caratterizzato da un elevato grado di assorbimento, era in grado di realizzare
le opere più complesse; 2) una “piccola trance”, durante la quale era più vigile
ed in grado di percepire la luce e rumori dell’ambiente circostante e delle
persone presenti, ricordando particolari più vividi e precisi: durante tale fase
eseguiva opere più semplificate, per poi uscirne spontaneamente una volta
terminata l’opera. L’artista era uno spiritista convinto. Tale caratteristica lo
rendeva fortemente suggestionabile, tant’è che riteneva di essere soltanto uno
strumento passivo, mentre i veri creatori delle sue opere erano artisti defunti,
che si manifestavano attraverso la sua mano durante lo stato di trance. La
suggestionabilità esercitò un ruolo fondamentale sull’artista e molta parte
della sua opera fu il prodotto del suo misticismo e della sua cultura occultista,
fortemente condizionate dalla credenza nella sopravvivenza e nella
reincarnazione: tutto ciò evidenzia una stretta correlazione tra creatività ed
esperienze medianiche. Un’altra interessante caratteristica dei fenomeni
medianici che interessarono l’artista polacco fu quella di cadere
spontaneamente in stato sonnambolico di fronte a un proprio quadro non
finito, per poi continuare a dipingerlo o completarlo, fino a quando non
ritornava in sé. Al risveglio cosciente seguiva uno stato di temporanea
confusione mentale e afasia, accompagnata da difficoltà a situarsi
nell’ambiente circostante, senza ricordare nulla. Quando decise di imparare a
dipingere in maniera ordinaria, ossia in maniera cosciente e consapevole, le
sue acquisizioni determinarono un aumento della qualità artistica delle opere
157 | P a g .
prodotte in stato di trance: le competenze consapevolmente apprese si erano
andate a sovrapporre alle abilità latenti potenziandole, ossia accrescendo la
capacità di rappresentazione visiva, come se l’artista avesse acquisito in modo
inconscio e subliminale maggiore consapevolezza delle sue capacità artistiche.
Tali capacità si rivelano del tutto eccezionali, in quanto l’artista era in grado
di lavorare anche in piena oscurità (Osty, 1928b).
4.8 Il caso cecoslovacco
4.8.1 Fritzi Libora Reif (1905-?)
Nata a Praga, ma trasferitasi nei pressi di Salisburgo in Austria, era una
convinta spiritualista e reincarnazionista che amava disegnare quelli che lei
definiva “ritratti dell’anima”: partendo dalla fotografia di una persona, l’artista
disegnava strane composizioni colorate costituite da fiori, frutti e ornamenti
che, secondo la visione dell’artista, rappresentavano simbolicamente il
prolungamento dell’anima del soggetto, disposti secondo un ordine preciso o
“bilancia spirituale”; tale composizione simbolica, secondo la visione
dell’artista, illustrava al destinatario dell’opera i “meriti” da lui acquisiti sul
piano spirituale sino al momento dell’esecuzione dell’opera. L’artista, che
amava definirsi “il prolungamento di una matita che viene guidata dall’alto”,
donava poi i suoi disegni alle persone alle quali erano destinati.
Anche nel caso di questa artista cecoslovacca si ripete il classico schema di
approccio all’arte medianica: la rivelazione del “dono” nel corso di una seduta
spiritica; un evento traumatico (la morte della madre e del marito); l’età
avanzata in cui si manifestarono i primi episodi di automatismo creativo
(aveva già 60 anni quando iniziarono); la disponibilità e remissività
nell’esecuzione del compito affidatole; la sensazione di portare avanti una
“missione” di natura spirituale attraverso la sua produzione artistica; la
convinzione di non essere lei l’autrice delle opere, ma solo un’intermediaria;
158 | P a g .
il presunto carattere “sacrale” delle sue opere. È interessante notare come gli
episodi di automatismo si verificassero ogni giorno sempre alla stessa ora
(dalle 14.00 alle 18.00), come se avesse un appuntamento fisso con quello che
lei chiamava il suo duale, ovvero l’entità spirituale che la guidava
nell’esecuzione dell’opera. L’artista descrisse con queste parole l’inizio dei
suoi automatismi:
“Una sera la mia mano cominciò a muoversi piano e delicatamente, come
se mi volesse dire: ‘Svegliati!’. Presi due fogli di carta per macchina da
scrivere, mi misi a tavolino e cominciai il primo tremante disegno, e una
specie di scrittura da destra a sinistra. Le ore di esercizio col duale
iniziavano sempre con una preghiera di tutti i presenti. E dopo un po’ la
mia mano si moveva ed eseguiva esercizi, linee, cerchi, figure, in modo
che in seguito essa potesse eseguire senza opporre resistenza questi
disegni. Scopo degli esercizi era che la mia mano diventasse facilmente
guidabile” (Giovetti, 1982, p. 186).
Le opere di questa artista medianica sono caratterizzate da estrema perfezione
stilistica, cura minuziosa per i dettagli, delicatezza delle forme e delle tinte,
ottenute attraverso semplici matite colorate. L’utilizzo del colore, in
particolare, ha un preciso significato simbolico e spirituale.
4.9 Il caso giapponese
4.9.1 Takeshi Mochizuki (1937-)
Famoso pittore giapponese ancora vivente, trasferitosi da Tokyo a Madrid nel
1965. Al contrario della maggior parte dei pittori medianici, è sempre stato un
artista molto dotato: possiede infatti solide basi tecnico-artistiche, avendo
avuto in gioventù come maestro di disegno e calligrafia un monaco buddista,
che lo avviò ad un rapporto meditativo e spirituale con l’arte, ed avendo
159 | P a g .
studiato arte moderna all’Università di New York (dopo essersi laureato in
letteratura all’Università di Tokyo). Verso i 15 anni iniziò infatti a praticare la
scrittura e il disegno automatico, a seguito di alcuni eventi di natura psichica
(visioni di “luci interiori” colorate, che l’artista iniziò a riprodurre nei suoi
quadri). Infatti lo stile di questo artista, definito “para-realismo”, esprime un
immaginario meraviglioso ed è caratterizzato da colori vividi e disegni dal
tratto deciso e marcato, ricco di elementi ridondanti e decorativi, caratteristica
comune anche in altri artisti medianici (Fig. 55). Anche questo artista, come
altri pittori medianici, lavora esclusivamente di notte, in stato di semi-trance,
percependo la sensazione di sentirsi guidato da una forza estranea alla sua
volontà. Egli è però cosciente nell’ideazione iniziale, in quanto, dopo essersi
raccolto in stato meditativo profondo, evoca un concetto mentale astratto (di
tipo filosofico), che poi inizia a riprodurre in totale automatismo ed in maniera
non razionale, limitandosi a seguire la propria mano che lavora, come uno
spettatore esterno. Il processo creativo dura circa cinque o sei ore, nel corso
delle quali l’artista perde la cognizione del tempo trascorso, così come quella
del proprio corpo: egli è unicamente focalizzato sull’idea iniziale di partenza,
per cui non gli è possibile lavorare su più quadri contemporaneamente (come
invece fanno i medium-pittori brasiliani). Usa inchiostri solubili in acqua o
olio, ossia un materiale fluido adatto ai movimenti veloci della mano. Una
cosa interessante è che questo artista alterna periodi di intensa attività a periodi
di inattività assoluta, come se il flusso creativo si interrompesse. L’artista ha
definito il suo processo creativo come “automatismo controllato”, ossia un
automatismo che non è totalmente sganciato da uno stato di coscienza vigile,
in quanto permette una partecipazione parziale al processo creativo. Infatti, al
contrario di altri artisti medianici, che sono totalmente inconsapevoli del
processo creativo e del significato delle loro opere, questo artista parte da
un’idea iniziale che è in grado di controllare fino alla fine del lavoro,
nonostante poi la realizzazione dell’opera proceda in maniera automatica. Ma
l’artista ha prodotto opere anche in totale automatismo, secondo il processo
creativo tipico di altri artisti medianici, oscillando quindi tra due tipologie di
automatismo creativo.
160 | P a g .
4.10 I casi indiani
4.10.1 Sri Chinmoy (1931-2007)
Chinmoy Kumar Ghose (noto come
Sri Chinmoy) fu un guru, poeta ed
artista indiano nato a Shakpura, un
piccolo villaggio nella regione di
Boalkhali (nell’attuale Bangladesh),
ma trasferitosi a New York nel 1964
in cerca della propria realizzazione
spirituale: personalità eclettica e
poliedrica, fu un convinto assertore
del metodo dell’autotrascendenza
(Self-Transcendence), un percorso
Figura 21. Sri Chinmoy
mistico-religioso e spirituale basato
sul superamento dei limiti della mente attraverso l’espansione della propria
coscienza per mezzo della meditazione e della pratica yoga. Fondò anche la
comunità spirituale che porta il suo nome (attiva anche in Italia), diventata ben
presto una rete internazionale. Personaggio dotato di eccezionale creatività, la
sua vena artistica è sempre stata straordinariamente prolifica, toccando campi
anche molto diversi tra loro: pittura, disegno, canto, musica, letteratura,
poesia, teatro. Ha dipinto oltre 130.000 quadri, dando alla pittura un
particolare valore spirituale: la considerava infatti l’espressione visibile
dell’energia spirituale e della luce interiore che sgorgano attraverso la
meditazione, ossia una trasformazione in forma e colore dell’esperienza
interiore, che costituisce la fonte della sua arte, per questo definita come
Fountain-Art. Sri Chinmoy iniziò il suo percorso di ricerca spirituale sin da
giovanissimo, raggiungendo il massimo livello di coscienza (Nirvikalpa
Samadhi) e trascorrendo oltre venti anni in un ashram, praticando la
meditazione e sviluppando le sue energie interiori. La sua filosofia spirituale,
161 | P a g .
aperta a tutte le religioni, lo rese famoso in tutti gli Stati Uniti (molti giornali
e televisioni parlarono di lui) ed anche l’ONU si servì di lui come maestro
spirituale per i suoi delegati e collaboratori. Sri Chinmoy, che era anche un
atleta, esercitò una forte influenza sul movimento New Age e molti artisti
famosi (tra cui il musicista Carlos Santana) si rivolsero a lui come guida
spirituale. La base dei suoi insegnamenti spirituali è la trasformazione
interiore dell’individuo, l’unione con Dio e la ricerca della pace ed armonia
interiori, operate attraverso la meditazione trascendentale.
La sua arte scaturisce proprio dai suoi insegnamenti ed in essa l’artista riversa
tutto il suo credo spirituale: è infatti rarissimo che uno yogi si dedichi all’arte,
per cui tutta la sua produzione appare condizionata dalla sua ricerca spirituale.
Infatti la pittura, secondo l’autore, rappresenta la diretta emanazione del
Supremo, ossia della volontà divina, che si serve dell’artista come strumento
e messaggero per diffondere pace, gioia ed armonia interiore. Lo stesso artista
definì le sue opere come Jhama-Kala, che in lingua hindi significa “arte che
sgorga dalla fonte”: un’esperienza mistica totalizzante, in grado di rendere
visibile la luce interiore, la serenità e l’energia spirituale che scaturiscono dalla
meditazione. Infatti, quando il maestro dipingeva entrava in uno stato
meditativo profondo e immersivo, molto simile alla trance: secondo i suoi
resoconti, egli riusciva ad accedere alla dimensione più profonda della sua
coscienza, entrando in contatto con la coscienza sovra-mentale e, attraverso di
essa, con il divino: la sua produzione artistica quindi non era consapevole,
ossia guidata dall’Io cosciente, ma attingeva ad un livello profondo di
coscienza, dove l’artista riferiva di percepire un “raggio di luce interiore” che
lo ispirava nella creazione delle sue opere. Il maestro era in grado di
raggiungere uno stato di totale chiarezza mentale e profondità spirituale (tipico
dei grandi meditatori guru): infatti, come già rilevato, tale stato di coscienza,
caratterizzato dall’attivazione delle onde gamma, è in grado di potenziare i
processi creativi stimolando l’emersione di facoltà creative latenti (Cahn,
Delorme & Polich, 2010). Anche in questo artista indiano si ritrova lo stesso
schema di automatismo creativo rilevato in altri artisti medianici, soprattutto
in quelli brasiliani: l’artista dipinge direttamente con le dità a grande velocità,
162 | P a g .
senza prestare attenzione alla scelta dei colori, al percorso delle linee o alla
configurazione dei disegni, lasciandosi guidare unicamente dal suo stato di
ispirazione e dalla sua coscienza “illuminata”. Infatti i suoi quadri sono
dominati da un dinamismo e da una gamma di colori brillanti, ricchi di luce e
di energia, nonostante l’artista non scegliesse i colori in maniera consapevole.
Un tipo di arte che assomigliava vagamente all’espressionismo astratto, pur
non essendo inquadrabile in alcun genere definito: un’arte “spirituale” che
scaturiva direttamente dalla coscienza (la fonte), condensandosi in opere che
qualcuno ha definito “mantra visuali” (Fig. 56 e 57). Infatti i suoi automatismo
gli permettevano di creare un quadro in pochi secondi, anche se in un caso,
ripreso anche dalla televisione americana, egli riuscì a dipingere per
ventiquattr’ore consecutive realizzando ben 16.031 opere, in un flusso
creativo continuo ed ininterrotto. I suoi quadri sono stati esposti al Louvre di
Parigi, al Victoria ed Albert Museum di Londra, al Museo d’Arte Moderna di
San Pietroburgo e presso la sede delle Nazioni Unite.
4.10.2 Narayana K. N. Murthy (MaNaNi)
Questo artista, studiato negli anni
Ottanta
dallo
antropologo
psicologo
culturale
ed
austriaco
Elmar R. Gruber (collaboratore del
Prof.
Hans
Bender,
famoso
studioso di fenomeni paranormali,
presso l’IGPP - Istituto per i
territori di confine della psicologia
Figura 22. Narayana Murthy - ©Elmar R. Gruber
e dell’igiene mentale di Friburgo),
utilizza la tecnica delle macchie simmetriche di colore, sviluppata dallo
psichiatra svizzero Hermann Rorschach (1884-1922) come test proiettivo (o
strumento diagnostico), utilizzato in psicometria e psicodiagnostica per
individuare i tratti della personalità individuale attraverso l’interpretazione
163 | P a g .
soggettiva delle macchie d’inchiostro. Anche se si tratta di immagini generate
(almeno apparentemente) in maniera casuale, l’artista attribuisce loro
particolari significati di natura religiosa, riferendo di sentirsi ispirato dalle
divinità indù nel momento della creazione dell’opera, che avverrebbe dunque
in stato “ispirato”, ossia senza il suo intervento cosciente. Secondo l’autore, la
maggior parte dei suoi lavori sarebbero prodotti attraverso l’intervento diretto
degli dèi del pantheon induista e rappresenterebbero le scene mitologiche delle
grandi epopee della sua terra, ossia i poemi epici Rāmāyaṇa e il Mahābhārata,
due dei più importanti testi sacri della tradizione religiosa e filosofica indiana.
Lo pseudonimo dell’artista, ossia “MaNaNi”, racchiude un particolare
significato simbolico, essendo costituito dalle iniziali di tre termini: “Ma” sta
per “Manovigyan”, che in lingua Kannada (parlata nel sud dello stato indiano
del Karnataka, da dove proviene l’artista) significa “psicologico”; “Na” sono
le lettere iniziali del suo nome (Narayana); “Ni” sta per “Niguda”, che in
Kannada significa “nascosto” o “astratto”. “MaNaNi” significa dunque “il
pittore dell'anima nascosta”, o meglio, l'artista che illumina le mitiche
profondità della psiche. L’artista è un grande ammiratore di Hermann
Rorschach ed è per questo che utilizza la tecnica delle macchie simmetriche,
ma le sue macchie di colore sono molto più lussureggianti e caratterizzate da
particolari dinamiche (Fig. 58): egli crea le sue immagini spontaneamente e,
non appena identifica in esse forme e simboli visionari, che alludono in
qualche modo ad una sorta di “presenza” di natura misteriosa e spirituale, li
“libera” aggiungendo i propri contenuti inconsci, che esprimono la
dimensione archetipica dell’essere umano: la sua arte diventa dunque diretta
emanazione di un mondo religioso e spirituale, molto vicino all’idea di
divinità. In questo modo l’artista produce immagini molto evocative che
catturano lo spettatore portandolo a nuove interpretazioni, come ad esempio
nella rappresentazione del concetto di Yoni, che in sanscrito indica i genitali
femminili o la parte femminile della divinità, ma che polisemicamente indica
anche il principio creativo immanente, la nascita, l’origine, la fertilità, la casa
o il luogo del riposo; così come la rappresentazione del principio opposto, di
natura maschile, detto Lingam: questa è la raffigurazione aniconica del dio
164 | P a g .
Shiva e del suo potere creativo e generativo universale, che in termini
metafisici corrisponde alla forma dell’Assoluto trascendente, senza principio
nè fine, che si fonde con l’Assoluto senza forma (o Brahman) in quello che
l’artista ha definito un grande “oceano di vita”: infatti, nelle rappresentazioni
simmetriche delle macchie di colore, le forme separate svaniscono e gli
opposti si uniscono. Come si vede, nell’arte di MaNaNi ricorre, oltre che una
simbologia di chiara natura sessuale, anche il costante riferimento alle divinità
del complesso universo religioso induista, che hanno evidentemente esercitato
un’enorme influenza sulla psiche dell’artista, condizionando di riflesso
l’espressività della sua arte ed i processi creativi ad essa connessi. L’“oceano
di vita” a cui si riferisce l’artista è quindi molto probabilmente l’espressione
del suo personale inconscio creativo, dominato dalle intense suggestioni
religiose da cui emergono forme archetipiche e primordiali, che prendono vita
grazie agli automatismi creativi della sua arte spontanea.
4.11 I casi brasiliani
4.11.1 Luiz Antonio Alencastro Gasparetto (1949-)
Famoso artista medianico di San Paolo del Brasile, è laureato in psicologia ed
ha esercitato per anni la professione di psicologo clinico. La sua storia
personale è molto interessante, in quanto proviene da una famiglia di medium
di ascendenza kardeciana: la madre ed il fratello erano entrambi automatisti.
È quindi lecito presupporre una forte influenza suggestionante esercitata dal
contesto socio-culturale e religioso di appartenenza, che ha probabilmente
condizionato l’artista sin dalla primissima infanzia, permettendogli di far
emergere le sue doti creative attraverso la realizzazione di opere d’arte nello
stile di famosi artisti ormai scomparsi. Infatti i primi fenomeni di arte
medianica iniziarono a manifestarsi quando Gasparetto era ancora un ragazzo
che assisteva frequentemente a sedute spiritiche: i segnali prodromici furono
165 | P a g .
costituiti da un intenso
tremore al braccio e alla
mano, a seguito dei quali
l’artista iniziò a disegnare
automaticamente, come se
posseduto da una forza
estranea alla sua volontà
(Girard, 2006, pp. 524527). Anche lui, come molti
Figura 23. Luiz Antonio Gasparetto
altri artisti medianici, ha
frequentato una sorta di “scuola di medianità” all’interno di un circolo spiritico
kardeciano, dove ha potuto sviluppare le sue doti di artista medianico: in
questa tipologia di circoli medianici (o Centros) è infatti possibile, per le
persone dotate di sensitività (secondo l’ipotesi alla base del presente lavoro di
ricerca, si tratterebbe invece di una particolare ipersensibilità dell’individuo al
dato estetico) apprendere le tecniche di attivazione psicofisica del fenomeno,
chiaramente visibile in tutte le registrazioni video che mostrano l’artista, prima
delle manifestazioni di arte medianica, concentrarsi immersivamente fino ad
entrare in uno stato modificato di coscienza che dà luogo all’estrinsecazione
dell’automatismo creativo, che si manifesta attraverso gesti rapidi e convulsi
(Dubugras, 1979). Mediante tali tecniche (apprese dal soggetto) sarebbe
possibile attivare il processo di creatività spontanea, ponendo l’artista in
sintonia con i meccanismi neurobiochimici in grado di scatenare il fenomeno
che, secondo la nostra ipotesi, riguarda le specifiche funzionalità dei neuroni
specchio e la capacità dell’individuo di tradurre in azione l’osservazione di
immagini mentali opportunamente richiamate da una specifica “memoria
estetica”. Le performance di arte medianica, che assumono il tono di veri e
propri riti collettivi, sono in realtà sedute spiritiche dotate di uno specifico
schema esecutivo, molto rigido e definito (una sorta di protocollo), nel corso
delle quali l’artista è convinto di evocare le entità di famosi artisti scomparsi:
sarebbero oltre 40 le “entità” artistiche di famosi pittori del passato che si
166 | P a g .
manifestano attraverso Gasparetto, tra cui Picasso e Modigliani, ossia gli
artisti più ricorrenti anche in altri pittori medianici (Fig. 59, 60, 61 e 62).
Il procedimento esecutivo delle opere appare realmente incredibile: l’artista
crea le sue opere in maniera rapidissima (dai 90 a 200 secondi per ciascun
dipinto) ed è in grado di realizzare dai dieci ai quindici quadri nel corso di una
seduta della durata di un’ora, cambiando stile (ed anche materiali e tecnica di
esecuzione) per ogni singola opera. Gasparetto lavora in uno stato di semitrance (pur continuando a percepire l’ambiente esterno), distribuendo i colori
con le dita e lavorando anche su due opere diverse contemporaneamente, con
entrambe le mani: ogni mano opera autonomamente ed indipendentemente
l’una dall’altra, firmando ciascuna il proprio lavoro. Spesso il quadro viene
eseguito a rovescio, firmando l’opera allo stesso modo. L’artista usa con
disinvoltura anche la mano sinistra, ma lui non è mai stato mancino. È in grado
di dipingere anche con i piedi, al buio (o alla luce di una lampada rossa molto
tenue) o ad occhi chiusi, ossia in condizioni impossibili per qualsiasi artista
ordinario. La scelta dei colori viene effettuata senza guardare, ma poi i colori
vengono utilizzati con coerenza esattamente dove servono, anche se l’artista
continua a rimanere ad occhi chiusi durante l’esecuzione dell’opera, come se
qualcun altro vedesse per lui e gli indicasse dove posizionare e dirigere le dita
per stendere l’impasto cromatico, spremendo i tubetti dei colori direttamente
sul supporto (o intingendo le dita in barattoli). Lo stile e la tecnica risultano
sempre corrispondenti a quello degli artisti che firmano i suoi quadri, anche
se l’estrema velocità del processo esecutivo e l’utilizzo di materiali diversi da
quelli originariamente usati da tali artisti pregiudicherebbero (a detta di
Gasparetto) la qualità finale dell’opera a vantaggio del messaggio spirituale
da comunicare al pubblico che assiste alle esibizioni, traendone benefici
spirituali. Le opere prodotte sino ad oggi dall’artista (oltre 10.000) sono tutte
diverse: la cosa interessante da notare è esse non sono copie di opere esistenti,
ma creazioni del tutto inedite ed originali, che esprimono fedelmente lo stile e
la tecnica dei pittori “disincarnati”. Spesso i dipinti ritraggono parenti o amici
defunti di alcune delle persone presenti tra il pubblico, che Gasparetto non
ovviamente non conosce, svolgendo appunto le sue esibizioni in giro per il
167 | P a g .
mondo senza mai richiedere alcun compenso. Tali persone riconoscono i
propri congiunti nelle opere dell’artista medianico ed esibiscono le foto dei
defunti, a conferma della somiglianza dei volti ritratti da Gasparetto con quelli
dei loro cari ormai trapassati.
Visionando le registrazioni video di alcune delle esibizioni giovanili che
ritraggono l’artista medianico al lavoro (Gasparetto, 08 gennaio 2008; 19
novembre 2009; 26 marzo 2013), è possibile notare chiaramente come le sue
espressioni facciali si modifichino nel corso della manifestazione dei
fenomeni creativi, trasformandosi a seconda dell’identità “spiritica”
dell’artista incarnato, come se Gasparetto esprimesse effettivamente altre
personalità diverse dalla propria: a volte sembra contento e sorride, a volte
appare assorto e concentrato, oppure manifesta segni di concitazione,
discutendo anche in altre lingue con gli artisti che in quel momento si
servirebbero di lui per rappresentare la propria arte dall’aldilà (ad esempio,
parlando in francese con Modigliani). Anche l’iperstimolazione sensoriale
gioca un ruolo fondamentale nel ritualismo esecutivo dell’opera: l’artista ha
bisogno di ascoltare musica classica ad alto volume e le dita sembrano
danzare, eseguendo movimenti coordinati con il ritmo della musica, ora
lentamente, ora più velocemente. Non è necessario il silenzio e la
concentrazione da parte della platea che segue le sue esibizioni di
psicopittografia (spesso riprese da troupes televisive internazionali, come la
BBC), contrariamente a quanto richiesto da altri medium, che esigono solo
pochi presenti, a cui viene richiesto il massimo silenzio: l’artista è in grado di
dissociarsi completamente dall’ambiente circostante, pur mantenendo il
contatto con esso. Nel 1978 Gasparetto fu sottoposto ad un esperimento
scientifico mediante l’utilizzo del MindMirror®, una sofisticata
apparecchiatura scientifica per elettroencefalografia (EEG), utilizzata per
registrare e misurare le variazioni delle onde celebrali in individui soggetti a
modificazioni dello stato di coscienza, rilevando che, quando nell’artista si
alternavano diverse “entità”, le onde cerebrali subivano delle oscillazioni
anomale ed il tracciato cerebrale cambiava sensibilmente: addirittura, mentre
l’artista dipingeva contemporaneamente due opere utilizzando in maniera
168 | P a g .
indipendente entrambe le mani, l’apparecchio rilevò la presenza di due tracciati
differenti (www.mindmirroreeg.com).
L’artista, sulla base del proprio credo spiritico, è fermamente convinto di
portare avanti una precisa missione: dimostrare che la vita continua oltre la
morte e che è possibile, per i viventi, entrare in contatto con gli spiriti dei
defunti, che sopravvivono nell’aldilà. Secondo Gasparetto, lo stile dei famosi
pittori scomparsi, che firmano i loro quadri per farsi riconoscere e dare così
prova della loro sopravvivenza, continuerebbe ad evolversi anche nell’aldilà.
Secondo la studiosa Paola Giovetti, è probabile che l’artista “possieda facoltà
artistiche subconsce che non riesce ad esprimere consapevolmente e ce
necessitano per emergere di un livello un poi abbassato di coscienza (la trance,
anche leggera). In questa condizione egli sarebbe in grado di dipingere
riproducendo lo stile di famosi pittori defunti, che certamente conosce, anche
se ha dimenticato di aver visto le riproduzioni delle loro opere” (Giovetti,
1982, p. 115). Come altri pittori medianici brasiliani, anche Gasparetto non ha
mai fatto commercio delle proprie abilità, vendendo le sue opere d’arte: infatti
ha sempre devoluto in beneficenza il ricavato della vendita dei suoi quadri in
favore delle famiglie povere della sua città, San Paolo del Brasile. Tale
circostanza gli ha comunque procurato enorme notorietà in Brasile, facendolo
diventare un personaggio molto ricercato dalle televisioni di tutto il paese,
dove capita spesso di vederlo in note trasmissioni televisive.
4.11.2 José Jacques Andrade (1945-)
Artista medianico, sordo sin dalla nascita e di modesta cultura, ha frequentato
attivamente il movimento spiritico Kardecista per parecchi anni, dedicando
gran parte della sua vita artistica e religiosa alle esibizioni pubbliche di pittura
medianica nel suo centro spirituale, il Salone di Arte Medianica “Leonardo da
Vinci” (Sala de Arte Mediúnica “Leonardo Da Vinci”) nel quartiere di Campo
Grande a Recife, che frequenta tutt’oggi.
169 | P a g .
Al momento il suo è stato il
caso scientificamente più
studiato al mondo, grazie
alla
disponibilità
dello
stesso artista, nonché al
lavoro
di
ricerca
e
sperimentazione svolto dal
Dipartimento di Psicologia
dell’Università di San Paolo
del Brasile (con il supporto
Figura 24. José Jacques Andrade
dell’Inter Psi Laboratory of Anomalistic Psychology and Psychosocial
Processes), nell’ambito del filone di ricerche sui fenomeni di dissociazione
creativa collegati allo specifico contesto socio-culturale e religioso che
caratterizza i circoli spiritici kardeciani, frequentati dalla maggior parte dei
medium-pittori brasiliani: tali studi hanno avuto il merito di fornire una lettura
di tipo biopsicosociale ai fenomeni di creatività medianica (Maraldi &
Krippner, 2013). Andrade ha sempre fornito il suo consenso all’effettuazione
di esperimenti scientifici sulla sua persona, basati sulla somministrazione di
test psicologici e psicodiagnostici (DES, TAS, CTQ e RTS), sull’applicazione
di apparecchiature biomediche per la rilevazione di variazioni nei parametri
elettrofisiologici (EEG, ECG, EMG ed EDA), nonché sull’utilizzo del
poligrafo (o “macchina della verità”). Come altri pittori medianici, durante la
manifestazione degli automatismi creativi, Andrade “incorpora” lo spirito di
famosi artisti scomparsi (come Cézanne e Monet), facendo precedere la sua
esibizione da una cerimonia rituale basata su canti e preghiere, allo scopo di
evocare
lo
spirito
degli
artisti
scomparsi.
Una
volta
avvenuta
l’“incorporazione” dello spirito, l’artista manifesta i suoi automatismi,
immergendo le dita nei barattoli di colore e iniziando a dipingere su due tele
contemporaneamente, riproducendo due soggetti diversi (come altri pittori
medianici brasiliani). I risultati degli esperimenti condotti su Andrade hanno
evidenziato una notevole positività al test DES (Dissociative Experiences
Scale), rilevando che l’artista è fortemente predisposto alla manifestazione di
170 | P a g .
fenomeni dissociativi (Maraldi & Krippner, 2013, p. 551), che implicano:
propensione alle allucinazioni e all’ideazione fantastica, suscettibilità
ipnotica, amnesia, absorption, ideazione maniacale, elevata suggestionabilità
rispetto alle credenze paranormali e al pensiero magico, predisposizione alle
esperienze mistiche, depersonalizzazione (distacco da se stessi ed esperienze
OBE),
derealizzazione
(alterazioni
nella
percezione
dell’ambiente
circostante), percezione di presenze estranee di natura immateriale, sviluppo
di una sintomatologia di tipo psicosomatico. Infatti Andrade (confermando
quanto riportato anche da altri pittori medianici brasiliani) ha riferito che, nel
corso delle sedute di arte medianica, si sente “posseduto”, ispirato e guidato
dallo spirito di famosi artisti scomparsi (evidenziando un’alterazione dello
stato di coscienza), e non è in grado di controllare pienamente i suoi
movimenti e non ricorda quanto accaduto durante le sedute. Il livello di
autosuggestione ed il condizionamento operato dalla comunità spiritica
kardeciana si evince dal fatto che, sulla base delle proprie credenze spiritiche,
l’artista ritiene di avere un compito da svolgere sulla terra, una missione di
tipo spirituale, che è quella di testimoniare l’esistenza di un aldilà, ossia di una
dimensione che travalica i confini della vita materiale su questa terra: egli è il
messaggero di questa dimensione ultraterrena e, tramite lui, è possibile dare
una speranza ai vivi, dimostrando la sopravvivenza dell’anima. L’artista stesso
crede di essersi reincarnato più volte, riferendo di aver sperimentato
esperienze OBE durante l’infanzia. Un altro interessante elemento rilevato
grazie ai test è stato l’elevato punteggio riportato nel CTQ (Childhood Trauma
Questionnaire), il che probabilmente significa che l’artista è stato esposto
durante la sua infanzia a diverse esperienze traumatiche, anche abbastanza
gravi, come violenza fisica ed emotiva, trascuratezza da parte dei genitori,
specchio delle pratiche di educazione violenta ed autoritaria, di tipo patriarcale
(specie nelle comunità rurali più povere), che ha caratterizzato in passato il
Brasile; tale elemento è stato ulteriormente confermato dal fatto che Andrade
non è sembrato disposto a parlare con gli intervistatori delle sue esperienze
d’infanzia. Da rilevare inoltre il fatto che l’artista, nel corso della vita
adolescenziale, sia stato oggetto di discriminazione sociale a causa della sua
171 | P a g .
menomazione all’udito, contribuendo evidentemente allo sviluppo di un
sentimento di bassa autostima e, di conseguenza, di una forte motivazione di
riscatto e di rivalsa sociale, giocando così un ruolo fondamentale nello
sviluppo delle manifestazioni medianiche legate alla creatività artistica,
ritenute psicologicamente un mezzo di elevazione sociale, nonchè di conquista
di autorevolezza e visibilità all’interno della propria comunità di
appartenenza: attraverso le sue esperienze medianiche egli avrebbe tentato di
superare la condizione di limitazione ed il senso di inferiorità legati al proprio
deficit uditivo. Infatti, secondo un punto di vista prettamente cognitivocomportamentale (teoria cognitiva dello stress), la menomazione fisica, il
basso livello di istruzione, le cattive condizioni socio-economiche, il fatto che
Andrade possa essere stato vittimizzato da abusi e discriminazioni nel corso
dell’infanzia, lo ha probabilmente indotto a sviluppare una strategia di coping
(quale meccanismo di difesa contrapposto alla sofferenza e al basso livello di
autostima), basata sullo sviluppo di abilità creative rese accessibili attraverso
stati modificati di coscienza di tipo dissociativo, rendendolo in grado di
produrre i fenomeni di automatismo creativo che caratterizzano la sua arte,
che è medianica nella misura in cui si sviluppa all’interno di uno specifico
contesto antropologico-culturale costituito dall’ambiente dei circoli spiritici
brasiliani di ascendenza kardeciana. Ciò significa che le sue abilità non erano
pienamente integrate nel suo flusso ordinario di coscienza, ma richiedevano
uno specifico set di circostanze per potersi adeguatamente sviluppare,
evolvere e manifestarsi; e tali circostanze comprendevano una modalità di
espressione culturalmente legittimata dal contesto culturale di appartenza: la
medianità. Del resto è stata rilevata una positiva correlazione tra esperienze
traumatiche infantili (come abusi di natura fisica) e sviluppo di un sistema di
credenze paranormali, con conseguente attivazione di stati dissociativi nel
soggetto traumatizzato, a conferma di un possibile legame tra le esperienze
traumatiche vissute da Andrade nel corso dell’infanzia e lo sviluppo delle sue
credenze spiritiche e delle sue abilità creative (Perkins and Allen, 2006)
Sulla scorta di quanto affermato da Michael Grosso, che ha rilevato una forte
correlazione tra esperienze dissociative e contesto socio-culturale di
172 | P a g .
appartenenza (Grosso, 1997), i ricercatori del’Università di San Paolo del
Brasile hanno ipotizzato che le spiccate tendenze dissociative rilevate nella
personalità di Andrade potrebbero aver avuto origine dall’influenza esercitata
dalla comunità di appartenenza nel corso della sua pratica artistico-religiosa
presso il centro spiritista kardeciano da lui frequentato, che utilizza
programmaticamente la dissociazione creativa come mezzo di elevazione
spirituale per accedere ad un’altra dimensione di coscienza e ad un altro (e più
elevato) livello di conoscenza: tale pratica avrebbe contribuito a sublimare il
vissuto sofferto e traumatico dell’artista, aiutandolo a fuggire, trasformare e
superare le limitazioni imposte dalla realtà quotidiana della vita ordinaria.
Le tendenze dissociative dell’artista sono emerse anche da un altro particolare,
ossia dall’incongruenza tra l’osservazione comportamentale ed i resoconti
verbali, nonchè le risposte fisiologiche: ad esempio, il soggetto poteva
apparire calmo e composto, ma allo stesso tempo parlare di terrificanti episodi
della propria vita o di eventi tragici riferiti a “vite precedenti”, mantenendo
allo stesso tempo un basso ritmo cardiaco, che denotava uno stato di
tranquillità e relax psicofisico. Dopo aver analizzato il profilo psicologico e le
risposte neurofisiologiche, che ha restituito in quadro caratterizzato da forti
tendenze dissociative, la ricerca dell’Università di San Paolo del Brasile si è
concentrata sull’analisi della tecnica e dello stile della pittura di Andrade,
rilevando che la tecnica usata da questo artista è la stessa utilizzata da altri
pittori medianici brasiliani: Andrade usa direttamente le mani, intingendole in
barattoli di pittura, diffondendo piccole quantità di colore in più punti delle
tele per poi miscelare le tinte con straordinaria velocità, delineando i contorni
che si traducono nell’immagine finale, usando le dita, il dorso delle mani e i
polsi per rifinire i dettagli (Lima, 1998). È noto che altri artisti medianici
brasiliani, come Luiz Antonio Gasparetto e Florêncio Anton Neto, dipingono
utilizzando anche i piedi, ma questo particolare non offre necessariamente la
prova di un intervento di natura “spiritica”, in quanto tale procedimento
esecutivo enfatizza soltanto le proprie abilità motorie, senza indicare alcuna
relazione di tipo paranormale con gli artisti defunti. Come rilevato in tutti gli
artisti medianici, Andrade non effettua mai correzioni o ritocchi durante
173 | P a g .
l’esecuzione dell’opera, segno di grande maestria, nonostante abbia sempre
sostenuto di non aver mai appreso o fatto uso di alcuna tecnica artistica prima
della manifestazione dei fenomeni di automatismo creativo, anche se sembra
abbia frequentato alcuni corsi di pittura in gioventù, presso la scuola di belle
arti della città di Penedo, nello Stato di Alagoas, dove l’artista è nato.
Secondo la ricerca condotta dall’Università di San Paolo del Brasile, la stessa
attribuzione a famosi artisti del passato è risultata difficile o dubbia, in quanto
la sua tecnica non ha fornito sufficienti elementi di identificazione che
permettessero di attribuire con assoluta certezza le opere ad un artista
specifico, anche se permangono alcuni elementi grafico-pittorici che si
ritrovano prevalentemente in alcuni artisti anzichè in altri, richiamando una
particolare cifra stilistica. Inoltre i temi raffigurati nei suoi dipinti sembrano
essere sempre gli stessi (religiosi, floreali, ritratti, paesaggi e nature morte) e
non sempre coincidono con i temi preferiti dai famosi artisti cui sono attribuiti
i dipinti; inoltre non manifesterebbero la stessa profondità e ricchezza
simbolica che avrebbero dimostrato gli artisti di attribuzione, ma soltanto il
livello superficiale del loro tratto distintivo (come una forma senza contenuto).
Insomma, da un’attenta analisi stilistico-formale, non è possibile ottenere
prove significative circa l’appartenenza di tali dipinti a famosi artisti del
passato, ovvero non è possibile attribuire in maniera certa e precisa la paternità
di un’opera, nè è possibile sostenere che tale opera nasconda la mano dello
spirito dell’artista scomparso. La conseguenza è che non è possibile sostenere
con delle prove scientifiche i supposti processi di natura paranormale, che
sarebbero alla base degli automatismi creativi dell’artista medianico
brasiliano. Neanche la paternità della scrittura autografica con la quale gli
artisti defunti firmerebbero le loro opere per mano dell’artista medianico è
attribuibile con certezza. Insomma, i pittori medianici non sarebbero in grado
di riprodurre pienamente lo stile dei famosi artisti del passato, nonostante
l’eccezionale abilità esecutiva. In ogni caso, la letteratura scientifica sulla
dissociazione e gli stati alterati di coscienza attesta che, in particolari
condizioni, alcune persone possono manifestare abilità latenti che vanno al di
là
delle
conoscenze
normalmente
accessibili,
esprimendo
capacità
174 | P a g .
inconsapevolmente acquisite e non accessibili allo stato di coscienza ordinario
(Braude, 2000; 2002). Pertanto è possibile che un medium, dotato di
particolare sensibilità, sia in grado di imitare con abilità ed estrema
naturalezza lo stile e la firma di famosi pittori del passato senza
premeditazione cosciente: questa forma di imitazione spontanea, combinata
ad un’intensa attività di elaborazione immaginativa, può determinare casi
conclamati di “dissociazione creativa”, secondo l’ipotesi formulata da
Michael Grosso (Grosso, 1997). Difatti, nel caso di Andrade, è stato
scientificamente accertata la presenza di uno stato modificato di coscienza di
tipo dissociativo nel corso delle sedute medianiche, nonostante non si verifichi
una perdita completa di conoscenza e venga mantenuto un certo contatto, sia
con l’ambiente circostante che con i presenti. Una caratteristica di questo stato
di dissociazione creativa che dà luogo agli automatismi creativi, ed è stata
ampiamente riscontrata anche negli altri artisti medianici brasiliani, è la
ritualità del processo creativo, costituito da sequenze di azioni ricorrenti e da
una gestualità meccanica di tipo seriale. Infatti Andrade è solito adottare una
postura rituale mentre dipinge: durante l’esecuzione, che avviene come
sempre in maniera rapidissima e senza pause di riflessione, a volte sorride
come se provasse una grande gioia, altre volte appare irritato e nervoso, come
se volesse trasmettere il disagio di non poter controllare pienamente le sue
azioni, altre volte ancora sembra essere profondamente assorto e lavora ad
occhi chiusi, in stato di totale assorbimento.
Anche Andrade, come gli altri pittori-medium brasiliani, preferisce
“incarnare” autori di arte moderna e contemporanea (salvo pochissime
eccezioni), il che è stato messo in correlazione con una tipologia di arte più
semplificata rispetto al passato (caratterizzata da maggiore complessità
tecnica e rigore formale) e, quindi, più facilmente riproducibile dall’artista
medianico, che avrebbe in tal modo la possibilità di convincere più facilmente
il pubblico dell’autenticità delle produzioni medianiche e del’intervento
spirituale degli artisti defunti, che si manifesterebbero attraverso le sue mani:
una sorta di strategia di persuasione, che farebbe leva anche sul fatto che gli
175 | P a g .
artisti moderni sono più conosciuti dal pubblico attuale rispetto agli antichi
maestri e, come tali, maggiormente assimilati dall’immaginario collettivo.
In tale prospettiva, anche la firma apposta sul dipinto mediante la calligrafia
dell’artista scomparso rappresenterebbe il tentativo da parte del mediumpittore di legittimare ed avvalorare, attraverso l’esibizione di una prova
dell’identità dell’artista defunto, il fenomeno dell’incarnazione del suo spirito
nella propria persona, attestando quindi la prodigiosità dell’evento e
determinando il rispetto da parte della comunità di adepti del suo circolo
spiritico (Eisenbeiss & Hassler, 2006).
4.11.3 Florêncio Reverendo Anton Neto (1973-)
Fondatore
del
Grupo
Espírita
Scheilla, costituito nel 1999 a
Salvador de Bahía, è il pittore
medianico brasiliano più conosciuto
in Italia (ed anche il più giovane
caso di studio) al momento della
stesura del presente lavoro di
ricerca, grazie anche alle sue
frequenti esibizioni nei centri di
spiritualità
di
numerosi
paesi,
nonché alle diverse apparizioni in
Figura 25. Florêncio Anton
varie trasmissioni televisive (tra cui
la trasmissione “Mistero” su Italia1, che gli ha dedicato un servizio nel 2013).
Nato a Salvador de Bahía, ma cresciuto nella città di Tobias Barreto, nello
stato di Sergipe, dove frequentò una scuola elementare cattolica, si è laureato
in Educazione, specializzandosi come terapeuta in ipnosi regressiva e come
infermiere professionale (lavora attuamente come consulente indipendente e
formatore in una clinica per cure palliative). Fin dalla prima infanzia Florêncio
Anton preferiva stare appartato e rifuggiva la compagnia di altri bambini; il
176 | P a g .
suo comportamento era incostante: a volte aggressivo, a volte estremamente
remissivo e obbediente, ma spesso anche irragionevole e impulsivo. Secondo
una casistica statisticamente riconosciuta, questi sarebbero infatti i tipici
segnali della presenza di facoltà medianiche nei bambini: infatti l’artista iniziò
a manifestare già ad otto anni i primi fenomeni, riferendo di vedere e sentire
strane presenze attorno a lui. All’età di undici anni venne accolto a casa del
famoso spiritista brasiliano Manoel Messias Canuto Oliveira, ingegnere e
grande studioso di fenomeni paranormali, che lo spinse a manifestare le sue
doti di sensitivo attraverso la psicopittografia, avviandolo alla frequentazione
del centro spiritista Grupo da Fraternidade Leopoldo Machado a Salvador de
Bahía, dove, nonostante la sua giovane età, venne iniziato al percorso di
sviluppo della facoltà medianiche. In questo centro l’artista ebbe modo di
leggere approfonditamente il testo fondamentale di Allan Kardec dal titolo Il
Vangelo secondo lo Spiritismo, scritto nel 1864, nel quale il pensatore francese
aveva codificato la dottrina del Cristianesimo spiritista, diffusasi poi in tutto
il mondo e soprattutto in Brasile (Kardec, 2004). All’interno del circolo
kardeciano, Florêncio Anton cominciò a coltivare e a sviluppare le sue abilità
in psicofonia e in scrittura automatica, per poi approdare alla psicopittografia,
ossia alla produzione di dipinti di famosi artisti scomparsi, pur non avendo
mai studiato pittura. Fu nel 1990 quando, all’età di 17 anni, i suoi mentori lo
invitarono a prendere parte ad un esperimento in cui gli venne chiesto di
concentrarsi al buio: durante l’esperimento l’artista (ispirato dagli spiriti di
famosi pittori del passato), riuscì a dipingere dieci quadri nella più totale
oscurità. Da quel momento Florêncio Anton è stato in grado di “entrare in
contatto” con gli spiriti degli artisti defunti, che si servirebbero di lui per
dimostrare l’immortalità dell’anima, aiutandolo a trovare le risorse per aiutare
la gente povera dei quartieri brasiliani. Infatti, come tutti gli artisti medianici
appartenenti all’ambiente spiritista cristiano di stampo kardeciano, anche
Florêncio Anton ha sempre sostenuto di avere una missione da compiere:
testimoniare che esiste una vita oltre la morte, che l’anima è immortale e che
lui stesso è un intermediario tra il mondo dei vivi e quello dei morti. L’arte
sarebbe dunque una manifestazione degli spiriti, i quali, attraverso l’operato
177 | P a g .
del medium-artista, vogliono trasmettere un messaggio di consolazione e di
speranza ai vivi, nonché infondere un’energia positiva, che serve a curare le
malattie del corpo e dell’anima. Come si vede, si tratta di una posizione
condizionata dal particolare contesto socio-culturale ed antropologico,
determinato dall’appartenenza ai circoli spiritici kardeciani, che come già
ampiamente illustrato nel paragrafo dedicato all’ipotesi psicoantropologica (o
etnopsichiatrica), in grado di esercitare un forte condizionamento sugli adepti,
consentendogli di sviluppare e controllare gli stati modificati di coscienza, per
mezzo dei quali i medium-pittori sono in grado di manifestare i fenomeni di
automatismo creativo, caratteristici dell’arte medianica. L’arte dunque,
secondo la concezione spiritista, oltre ad essere una forma di comunicazione
con l’aldilà, diventa uno strumento terapeutico e, per certi aspetti,
taumaturgico, in quanto mira a curare e a guarire, trasmettendo energia
positiva a chi assiste alle esibizioni pittoriche, che attestano l’esistenza di una
dimensione spirituale. Come già rilevato nel caso di altri medium-pittori,
anche questo artista utilizza la musica classica come sottofondo delle sue
performance: la musica infatti ha l’obiettivo (secondo un ritualismo tipo dei
circoli medianici) di creare un clima adatto a stimolare e potenziare il flusso
di comunicazione con i defunti, oltre che isolare l’artista dai rumori
dell’ambiente circostante, favorendo la sua entrata in uno stato modificato di
coscienza e di dissociazione creativa. Come si vede, esiste sempre una schema
ricorrente e rituale, comune a tutte le esibizioni degli artisti medianici
brasiliani e tipico delle comunità spiritiste kardeciane.
Florêncio Anton dipinge solitamente ad occhi chiusi, in uno stato di trance (o
ipnagogico), nel corso del quale perde il controllo cosciente, consapevole e
volontario dei suoi movimenti: l’artista riferisce entrare volontariamente in
uno stato di meditazione che induce la trance, ma di rimanere lucido durante
l’esecuzione, pur perdendo la cognizione del tempo e dello spazio. Anche
questo artista dipinge utilizzando modalità esecutive praticamente impossibili
per qualsiasi artista ordinario: ad occhi chiusi, lavorando spesso con entrambe
le mani contemporaneamente su due opere diverse, dipingendo anche con i
piedi, al buio, al rovescio e così via. Dall’analisi del materiale video, si nota
178 | P a g .
chiaramente che l’artista risponde con cenni ed espressioni del volto (ed anche
con sorrisi) a delle sollecitazioni che provengono senz’altro dalla
visualizzazione di immagini mentali o da allucinazioni di tipo visivo (Anton
Neto, 26 settembre 2007; 9 ottobre 2007; 17 gennaio 2011).
Numerosi test condotti sull’artista hanno dimostrato che non vi è alcuna frode
nell’esecuzione dei dipinti: sino ad oggi Florêncio Anton ha prodotto oltre
30.000 opere, attribuite a ben 110 artisti diversi, tutti famosi artisti ormai
scomparsi, il cui stile personale è stato confermato da numerosi critici ed
esperti d’arte (Figg. 63-84). I suoi dipinti vengono venduti unicamente per
sostenere, attraverso il ricavato delle esibizioni pubbliche di arte medianica in
giro per il mondo, le opere assistenziali e di carità del suo gruppo spiritista a
favore della baraccopoli di Mussurunga, un quartiere popolare (bairro),
povero e disagiato della periferia di Salvador de Bahía. La beneficenza, oltre
che la disseminazione dello spiritismo (e del suo messaggio di consolazione e
speranza per i vivi), è infatti un’altra delle caratterististiche salienti dei
medium-pittori brasiliani, i quali non intendono (o non possono) fare
commercio delle proprie opere d’arte, ma soltanto aiutare con opere di bene le
persone svantaggiate e bisognose della propria comunità. Per avere un’idea
della sua attività, è possibile consultare il blog curato dal suo gruppo spiritico:
http://diariodapintura.blogspot.it/
179 | P a g .
CAPITOLO QUINTO:
LE OPERE D’ARTE
5.1 Tra originalità ed imitazione
In questo capitolo viene presentata una selezione delle opere eseguite dai vari
artisti medianici analizzati nel presente lavoro di ricerca. Quello che si nota
nel gruppo di opere selezionato è l’estrema varietà degli stili e delle tecniche
utilizzate, anche se è possibile suddividerne la tipologia in due gruppi
principali, ciascuno dei quali caratterizzato da alcuni elementi distintivi:
1. Opere originali;
2. Opere che imitano famosi artisti del passato.
Al primo gruppo appartengono tutte quelle opere che, pur essendo eseguite
dall’artista medianico sotto l’influenza di entità disincarnate, mantengono
delle caratteristiche di originalità, pur nel ripetersi di elementi stilistici che è
possibile riscontrare in tutti gli autori del gruppo, indipendentemente dalla
nazionalità o dal periodo storico di riferimento. Ci riferiamo, ad esempio, a
caratteristiche ripetitive e ricorrenti quali la miniaturizzazione e duplicazione
di elementi grafico-pittorici, o la tendenza ad un decorativismo ridondante e
barocco, come la predilezione per motivi favolistici (in stile naïf), mitici,
esotici e sacrali: tutti questi elementi sono spesso presenti nelle opere di arte
psicopatologica, quali indicatori di uno specifico stato mentale. La
caratteristica degli artisti medianici appartenenti a questo gruppo è che non
amano esibirsi in pubblico, ma anzi preferiscono vivere in solitudine (a volte
con angoscia e timore) il manifestarsi dei fenomeni di automatismo creativo.
Al secondo gruppo appartengono invece le opere che si ispirano, imitano o
riproducono lo stile di famosi artisti del passato che, secondo la corrente
180 | P a g .
interpretazione di tipo parapsicologico e metapsichico, realizzerebbero i
dipinti per mano dell’artista medianico, il quale diventa in tal modo un
channeler, ossia un tramite tra il mondo dei vivi e quello dei morti. A questo
gruppo appartengono le opere realizzate dai medium-artisti brasiliani attivi nei
circoli kardeciani, che invece fanno delle loro esibizioni delle vere e proprie
cerimonie di natura corale o happening, esibendosi in pubbliche sessioni,
spesso anche in trasmissioni televisive , allo scopo di divulgare il messaggio
di speranza nell’immortalità dell’anima, tipico dei circoli spiritisti. Dunque, se
da una parte vi è una sorta di rielaborazione originale di contenuti inconsci in
chiave artistica, a volte specchio di una personalità disturbata se non di una vera
e propria malattia psichiatrica, dall’altra parte la tendenza è quella di emulare lo
stile dei famosi artisti del passato, pur nella rappresentazione di nuovi contenuti
(che non sono semplicemente copie dell’originale). Nel secondo caso,
l’attribuzione dell’opera ad un famoso artista sarebbe addirittura attestata dalla
firma autografa del maestro, che viene apposta sul quadro per mano dell’artista
medianico (anch’essa simile alla grafìa originaria del famoso artista). In questo
caso, specie se si osserva il comportamento psicomotorio dell’artista nelle fasi
di esecuzione dell’opera, appare più evidente l’influenza dei meccanismi di
funzionamento dei neuroni specchio sui fenomeni di automatismo creativo che
caratterizzano l’arte medianica. Riassumendo, mentre le opere del primo
gruppo assomigliano (per caratteristiche stilistiche ed elementi grafico-pittorici)
alle opere di arte psicopatologica prodotte da soggetti psichiatrici, quelle del
secondo gruppo identificano esclusivamente i pittori medianici brasiliani
(eccetti casi sporadici). La caratteristiche che, al di là delle differenze stilisticoformali rilevabili, accomunano i due gruppi di opere sono costituite dal fatto
che: a) manca negli autori una formazione e/o competenza artistica pregressa;
b) i fenomeni di automatismo creativo che danno luogo alla creazione delle
opere di arte medianica avvengono quasi esclusivamente quando l’artista si
trova in uno stato modificato di coscienza (o di dissociazione creativa), che
induce la manifestazione degli episodi di creatività spontanea e automatica.
181 | P a g .
Figura 26. Gustavo Adolfo Rol: Paesaggio (© Franco Rol)
Figura 27. Gustavo Adolfo Rol: Rose, I (© Franco Rol)
Figura 28. Gustavo Adolfo Rol: Rose, II (© Franco Rol)
182 | P a g .
Figura 29. Narciso Bressanello: Pennarello su carta, 1987 (©Elmar R. Gruber)
Figura 30. Narciso Bressanello: Penna a sfera su carta, 1981 (©Elmar R. Gruber)
183 | P a g .
Figura 31. Giuseppe Lanzillo: Opera tratta dalla serie dei “disegni” (© Famiglia Lanzillo)
Figura 32. Giuseppe Lanzillo: Opera tratta dalla serie dei “paesaggi” (© Famiglia Lanzillo)
184 | P a g .
Figura 33. Giuseppe Lanzillo: Opera tratta dalla serie dei “paesaggi” (© Famiglia Lanzillo)
Figura 34. Liena: Amea I (© Paola Giovetti/Edizioni Mediterranee)
185 | P a g .
Figura 35. Milly Canavero Serra: Pennarello a feltro su carta, 1985 (©Elmar R. Gruber)
Figura 36. Milly Canavero Serra: Pennarello a feltro su carta, 1985 (©Elmar R. Gruber)
186 | P a g .
Figura 37. Victorien Sardou: La maison de Mozart sur Jupiter (Revue Spirite, 1858)
Figura 38. Victorien Sardou: Quartier des Animaux chez Zoroaster (Revue Spirite, 1858)
187 | P a g .
Figura 39. Fleury-Joseph Crépin: Tableau Merveilleux No 11, 1946 (© Ph. Philip Bernard)
Figura 40. Fleury-Joseph Crépin: Untitled No 37, 1948 (© The Museum of Everything)
188 | P a g .
Figura 41. Augustin Lesage: composizione simbolica, 1936 (olio su tela)
Figura 42. Augustin Lesage: L’esprit de la Pyramide, 1926 (© Musée LAM, Lille Métropole)
189 | P a g .
Figura 43. Victor Simon: La Toile Bleue, 1943-1944 (© Musée LAM, Lille Métropole)
Figura 44. Raphaël Lonné: Inchiostro di china su carta
190 | P a g .
Figura 45. Raphaël Lonné: Composizione, 1982 (© Tajan, Paris)
Figura 46. Heinrich Nüsslein: Taiga, 1920 (© Ph. Schmidt Kunstauktionen Dresden)
191 | P a g .
Figura 47. Heinrich Nüsslein: Der Thriumphbogen, 1910 (© Ph. Biksady Galéria Kft., Budapest)
Figura 48. Margarethe Held: Ritratti di spiriti, dèmoni ed elfi (© Sammlung Zander)
192 | P a g .
Figura 49. Clara Schuff: Pennarello su carta, 1980 (©Elmar R. Gruber)
Figura 50. Viktor Emanuel Bickel (Faroxis): Nell’èra delle farfalle (© Paola Giovetti/Edizioni Mediterranee)
193 | P a g .
Figura 51. Coral Polge: Ritratto di un defunto sconosciuto all’artista medianica (disegno a matita)
Figura 52. Matthew Manning: Dipinto in stile Monet
194 | P a g .
Figura 53. Emma Kunz: Disegni a pastello e colori a cera (© Emma Kunz Zentrum/Anton C. Meier)
Figura 54. Marcelo Modrego: Olio su tela, 1980 (© Elma e Olga Modrego)
195 | P a g .
Figura 55. Takeshi Mochizuki: Nascita di Venere (© Paola Giovetti/Edizioni Mediterranee)
Figura 56. Sri Chinmoy: Acrilici su grande tela, 1993 (© Ph. Prashphutita)
196 | P a g .
Figura 57. Sri Chinmoy: Acrilico su tela
Figura 58. MaNaNi: Inchiostro su carta, 1984 (©Elmar R. Gruber)
197 | P a g .
Figura 59. Luiz Antonio Gasparetto: Stile Degas
Figura 60. Luiz Antonio Gasparetto: Stile Modigliani
Figura 61. Luiz Antonio Gasparetto: Toulouse-Lautrec Figura 62. Luiz Antonio Gasparetto: Toulouse-Lautrec
198 | P a g .
Figura 63. Florêncio Anton: Dipinto in stile van Gogh (© Florêncio Anton/Grupo Espírita Scheilla)
Figura 64. Florêncio Anton: Dipinto in stile van Gogh (© Florêncio Anton/Grupo Espírita Scheilla)
199 | P a g .
Figura 65. Florêncio Anton: Dipinto in stile van Gogh (© Florêncio Anton/Grupo Espírita Scheilla)
Figura 66. Florêncio Anton: Dipinto in stile van Gogh (© Florêncio Anton/Grupo Espírita Scheilla)
200 | P a g .
Figura 67. Florêncio Anton: Dipinto in stile Picasso
Figura 68. Florêncio Anton: Dipinto in stile Picasso
Figura 69, 70, 71. Florêncio Anton: Dipinti in stile Picasso (© Florêncio Anton/Grupo Espírita Scheilla)
Figura 72, 73. Florêncio Anton: Dipinti in stile Picasso (© Florêncio Anton/Grupo Espírita Scheilla)
201 | P a g .
Figura 74, 75, 76. Florêncio Anton: Dipinti in stile Modigliani (© Florêncio Anton/Grupo Espírita Scheilla)
Figura 77. F. Anton: stile Chagall
Figura 78. F. Anton: stile Matisse
Figura 79. F. Anton: stile Renoir
Figura 80, 81, 82. Florêncio Anton: Dipinti in stile Toulouse-Lautrec (© Florêncio Anton/Grp. Espírita Scheilla)
202 | P a g .
Figura 83. Florêncio Anton: Dipinto in stile Monet (© Florêncio Anton/Grupo Espírita Scheilla)
Figura 84. Florêncio Anton: Dipinto in stile Monet (© Florêncio Anton/Grupo Espírita Scheilla)
203 | P a g .
CAPITOLO SESTO:
RISULTATI E DISCUSSIONE
6.1 L’ipotesi neuroscientifica: il coinvolgimento dei neuroni specchio
Partendo dall’assunto fondamentale che non vi sia alcuna competenza o
formazione artistica da parte dell’artista medianico, il quale opera in uno stato
di coscienza di tipo dissociativo (caratterizzato cioè dall’involontarietà ed
inconsapevolezza del processo creativo messo in atto), si è cercato di
comprendere, attraverso la metodologia di ricerca più sopra delineata, quali
potrebbero essere i meccanismi in grado di attivare quel particolare fenomeno
di automatismo creativo (di tipo grafico-pittorico) che viene comunemente
definito “arte medianica”. Dopo aver analizzato tutti i casi di studio presi in
esame ed aver passato in rassegna tutte le possibile ipotesi che fino ad oggi
hanno tentato di dare una spiegazione ai fenomeni di arte medianica, ci si è
accorti che alcuni elementi ricorrevano con una certa frequenza e regolarità,
indipendentemente dal contesto socio-culturale di appartenenza degli artisti
medianici, così come dal periodo storico di riferimento.
Ci si è dunque chiesti se alla base di queste manifestazioni “non ordinarie” di
creatività spontanea potesse esserci una spiegazione scientifica comune ai vari
casi presi in esame. Allo scopo di fornire una descrizione più analitica del
fenomeno dell’arte medianica, in grado di illustrare schematicamente le
similitudini di fondo relative ai vari casi di studio sopra riportati, sono stati
individuati gli elementi comuni maggiormente ricorrenti nell’ambito dei
fenomeni di automatismo creativo, che si ritrovano nella maggior parte dei
casi analizzati. Gli elementi individuati nel corso del nostro lavoro di ricerca
sono i seguenti:
204 | P a g .
1.
Assenza di competenza, formazione e/o esperienza artistica pregressa
2.
Automatismo creativo
3.
Inconsapevolezza del processo creativo
4.
Involontarietà del processo creativo
5.
Eventi scatenanti di natura traumatica (shock psicofisici o emotivi)
6.
Condizionamenti e/o suggestioni di tipo socio-culturale o religioso
7.
Allucinazioni visive e/o auditive
8.
Dissociazione creativa (absorption/trance/ipnosi/allucinazioni)
9.
Ritualismo del processo esecutivo
10. Riproduzione/simulazione di stili pittorici noti (artisti brasiliani)
Arrivati a questo punto, si è ipotizzato che tali caratteristiche, ricorrenti in
soggetti appartenenti a differenti contesti culturali e a diverse epoche storiche,
possano essere legate ad una matrice comune ed avere, dunque, un carattere
di supposta universalità (al di là del numero di individui in cui tali fenomeni
di creatività non-ordinaria si manifestano o si sono manifestati): l’attenzione
si è dunque concentrata sull’esperienza visivo-percettiva e sull’apparato
neurobiologico dell’individuo, in particolare sul sistema dei neuroni specchio.
Com’è noto, la classe di cellule visuomotorie note come “neuroni specchio”
si attiva sia quando si compie un’azione che quando la si osserva, stabilendo
pertanto un rapporto di correlazione e/o simmetria tra osservazione e azione:
tale processo comporta la riproduzione/simulazione/imitazione di azioni,
operazioni e/o esperienze osservate direttamente (sincroniche) o visualizzate
mentalmente in momenti diversi dal presente (diacroniche), siano esse attivate
da stimoli esterni, oppure semplicemente evocate tramite la memoria,
attraverso la visualizzazione di immagini mentali o ricordi visivi (Buccino et
al., 2001). Nel caso dell’arte medianica, tali azioni, operazioni e/o esperienze
mentali sono essenzialmente di tipo estetico: ciò che viene richiamato alla
mente del soggetto (recuperandone il dato visivo immagazzinato in una
specifica area della memoria, che abbiamo definito “memoria estetica”) può
205 | P a g .
essere, ad esempio, l’immagine di un’opera d’arte o la sequenza di
azioni/operazioni compiute da un artista al lavoro (mentre disegna o dipinge),
che sono state inconsapevolmente memorizzate dal soggetto nel corso della
sua esperienza percettiva, ad esempio guardando un film, sfogliando una un
giornale o una rivista , visitando un museo o una galleria d’arte e così via.
Analizzando inoltre la psicobiografia degli artisti medianici presi in esame
(appartenenti a nazionalità e ad epoche diverse), si è notato che:
a) I fenomeni di arte medianica traggono origine da un evento scatenante
di natura traumatica (uno shock fisico, psichico o emotivo), in grado di
attivare abilità creative latenti, ossia non attingibili a livello cosciente,
facendole emergere sotto forma di automatismi creativi;
b) I fenomeni di arte medianica si manifestano nella maggior parte dei casi
quando i soggetti si trovano immersi in uno stato modificato di
coscienza di tipo dissociativo, che può essere indotto o autoindotto
(come absorption, meditazione profonda, trance o ipnosi); tale stato di
coscienza rende gli individui inconsapevoli del processo creativo
messo in atto, tant’è che gli artisti medianici non ricordano di aver
dipinto o disegnato: l’esecuzione dell’opera avviene in modo del tutto
automatico ed inconsapevole da parte del soggetto.
Al di là di una possibile matrice neurobiologica universale, solo alcuni
individui particolarmente ipersensibili al dato estetico sperimentano i
fenomeni di automatismo creativo definiti come “arte medianica”; tali
individui sono in grado di manifestare abilità creative latenti (ossia possedute
a livello inconsapevole dai soggetti). Queste abilità creative vengono:
1. attivate attraverso la visualizzazione mentale di immagini estetiche,
inconsapevolmente immagazzinate dal soggetto in una specifica area
della memoria, definita come “memoria estetica”;
2. tradotte dal soggetto in una specifica sequenza di azioni motorie
finalizzate alla rappresentazione grafico-pittorica delle immagini
mentalmente
visualizzate,
esprimendosi
attraverso
schemi
di
automatismo creativo, generalmente involontari ed inconsapevoli.
206 | P a g .
La possibilità di una origine neurobiologica ed universale dei fenomeni di
automatismo creativo definiti come “arte medianica”, i quali avvengono senza
la partecipazione consapevole e cosciente dell’artista, che è immerso in uno
stato alterato di coscienza nel corso del quale “riflette” inconsapevolmente ciò
che sta osservando nella sua mente, riproducendolo involontariamente
attraverso un processo di creazione automatica, ha fatto sì che la nostra
attenzione si concentrasse sulle recenti ricerche nel campo delle neuroscienze
Figura 85. Imitazione neonatale nel macaco grazie ai neuroni specchio. Fonte: Gross, L. (2006). Evolution of Neonatal
Imitation. PLoS Biol, 4(9): e311. doi:10.1371/journal.pbio.0040311 (con licenza CC BY 2.5 tramite Wikimedia Commons)
e, in particolare, sulla scoperta dei neuroni specchio avvenuta nel 1992 ad
opera dell’équipe di ricercatori del Dipartimento di Neuroscienze
dell’Università di Parma, coordinata dal prof. Giacomo Rizzolatti, tra cui
Vittorio Gallese, Luciano Fadiga e Leonardo Fogassi. Infatti, analogamente a
quanto avvenuto per i neuroni specchio, che sono stati scoperti
involontariamente osservando il comportamento delle scimmie (precisamente
i macachi nemestrini) di fronte a determinati stimoli esterni (gli elettrodi
impiantati nel loro cervello hanno rilevato l’attivazione di tali neuroni in
risposta a specifiche azioni compiute dagli sperimentatori, inducendo
l’imitazione di tali azioni negli animali), l’ipotesi di una possibile matrice
neurobiologica dei fenomeni di automatismo creativo (ossia senza
apprendimento consapevole), tipici dell’arte medianica, è emersa osservando
il comportamento artistico degli “elefanti pittori” ospitati nella riserva di
Maesa a Chiang Mai (Maesa Elephant Camp) e presso il Thai Elephant
Conservation Center (TECC) di Lampang in Thailandia (che abbiamo avuto
207 | P a g .
modo di osservare direttamente sul posto), i quali sono capaci di dipingere e
disegnare in maniera del tutto simile agli umani, pur senza aver appreso
consapevolmente alcuna tecnica di produzione/riproduzione pittorica: grazie
ai neuroni specchio (di cui anch’essi sono dotati), gli elefanti sarebbero in
Figura 86. Elefante pittore mentre dipinge un quadro
grado di osservare, memorizzare ed imitare, azioni o schemi di azioni
tipicamente umane (come appunto disegnare o dipingere), pur senza avere la
consapevolezza che ciò che stanno facendo è arte o può essere considerata tale
(vedasi il materiale video raccolto nella sezione “Riferimenti Sitografici” del
presente lavoro, sotto la voce “Elefante pittore”).6
L’attivazione del processo di creazione e/o produzione grafico-pittorica
sembra infatti avvenire spontaneamente, ossia: quando un elefante viene posto
di fronte ad una tela, esso afferra con la proboscide il pennello che gli viene
L’arte degli “elefanti pittori” thailandesi viene venduta, oltre che ai turisti che assistono ai
loro spettacoli e sono affascinati da questo fenomeno creativo, anche a collezionisti ed
appassionati attraverso marketplace internazionali d’arte, come ad esempio quello curato
dall’AEACP – The Asian Elephant Art & Conservation Project, consultabile all’indirizzo:
http://www.elephantart.com/catalog/
6
208 | P a g .
offerto dal proprio mahut7 ed
inizia a dipingere da solo.
Nonostante tale pratica non sia
affatto un riflesso condizionato,
ma presupponga una fase di
addestramento,
l’animale
è
realmente in grado di dipingere
e riprodurre immagini o figure
appartenenti al mondo naturale,
raffigurando
addirittura
se
stesso (è infatti in grado di
autoriconoscersi allo specchio,
come confermato in: Plotnik, de
Figura 87. Elefante pittore con il suo mahut
Waal
&
Reiss,
2006),
scegliendo il tema del dipinto (astratto o figurativo) ed il giusto
posizionamento dei colori sulla tela (ad esempio: marrone per il tronco di un
albero, verde per le foglie, rosso per i fiori o i frutti, e così via). Inoltre,
l’apprendimento di questo processo creativo, che non fa parte del tipico
repertorio motorio di questi animali (ossia il movimento della proboscide, che
trascina il pennello producendo un’immagine corrispondente alla visione
mentale), verrebbe diffuso tra i propri simili (all’interno delle riserve)
attraverso l’osservazione ed imitazione dell’azione di disegnare e dipingere
compiute da altri elefanti, contribuendo ancora di più ad avvalorare l’ipotesi
del coinvolgimento dei neuroni specchio in soggetti non esperti d’arte.8
7
Il mahut è il custode e conduttore di elefanti. Inizia la sua professione sin da giovane (si
tratta in genere di un lavoro tramandato di padre in figlio), quando gli viene assegnato un
elefante, che rimarrà legato a lui per tutta la vita.
8
Un processo simile è stato riscontrato anche nelle scimmie, anche se le qualità delle opere
realizzate da questo animale (anch’esso dotato di neuroni specchio) non è paragonabile, in
termini di compiutezza estetico-formale, a quelle prodotte dagli elefanti delle riserve
thailandesi, a conferma del fatto che, pur ammettendo l’esistenza di basi biologiche ed
universali del senso estetico, queste operano in maniera differente a seconda della specie
animale considerata (Morris, 1969; Eibl-Eibesfeldt, 1988).
209 | P a g .
L’addestramento di questi animali, infatti, non può certamente essere
paragonato ai processi di apprendimento (tipicamente umani) sperimentati
dall’individuo (ad esempio, un artista inesperto o un neofita) attraverso
percorsi di formazione di tipo scolastico o accademico: esso presuppone
l’acquisizione di una serie di nozioni tecnico-stilistiche, nonchè culturali, che
l’elefante non può ovviamente essere in grado di elaborare consapevolmente
(al contrario di un individuo cosciente). Tuttavia, proprio la mancanza di
conoscenze estetico-artistiche negli elefanti consente di assimilare il processo
creativo messo in atto da questi mammiferi a quello messo inconsapevolmente
in atto dagli artisti medianici, che non hanno (almeno apparentemente) alcuna
competenza artistica o nozione tecnico-stilistica che gli consenta di realizzare
le loro opere, creandole per mezzo di uno stato modificato di coscienza
attraverso il quale essi sono in grado di accedere a delle abilità artistiche
latenti, normalmente non accessibili a livello cosciente (infatti gli artisti
medianici dipingono involontariamente ed inconsapevolmente, dimenticando
poi di averlo fatto). Sia l’animale che l’artista medianico sono dunque in grado
di riprodurre immagini mentali immagazzinate nella loro “memoria estetica”
attraverso un processo di percezione visiva di tipo fotografico, mettendo in
atto processi creativi sostanzialmente simili, ossia traducendo le immagini
mentali visualizzate in sequenze di azioni motorie involontarie e automatiche
in grado di riprodurle: questo significa che, sia nell’uomo che nell’elefante, si
attivano le medesime aree cerebrali. E poiché i neuroni coinvolti
nell’attivazione dei processi visuomotori (ossia in grado di tradurre
l’osservazione in azione) sono appunto i neuroni specchio, ed entrambi gli
esseri viventi sono dotati di tali neuroni, è possibile che la genesi dei processi
di automatismo creativo (come l’arte medianica) risieda proprio in tale classe
di neuroni. È opportuno però precisare che, per avere una conferma decisiva
a tale ipotesi, sarebbe necessario effettuare indagini più approfondite, capaci
di rilevare l’attività cerebrale a livello della singola cellula, e ciò sarebbe
possibile solo impiantando elettrodi nel cervello degli elefanti, come del resto
già fatto con i macachi (che sono piccole scimmie), ossia utilizzando la stessa
procedura scientifica che ha permesso la scoperta dei neuroni specchio: ma
210 | P a g .
tale procedura è invasiva e deontologicamente vietata, poichè implicherebbe
un intervento di chirurgia cerebrale su un grande mammifero.9 Tuttavia
sarebbe possibile utilizzare una metodologia di ricerca meno invasiva, come
ad esempio le tecniche di visualizzazione cerebrale o neuroimaging,
sottoponendo gli elefanti alla fMRI (o risonanza magnetica funzionale), ma
tale approccio non è ancora stato tentato e ci auguriamo che questo lavoro di
ricerca possa contribuire a stimolare la curiosità di altri studiosi, aprendo
nuove strade agli studi scientifici sul legame tra i neuroni specchio ed i
fenomeni di automatismo creativo.
Una contestazione alla teoria dei mirror neurons, è stata recentemente
sollevata da una ricerca (Ricciardi et al., 2009) secondo la quale il cervello
sarebbe programmato a svilupparsi anche in assenza di esperienza visiva
(come nel caso dei soggetti non-vedenti affetti da cecità congenita): secondo
tale ricerca, la capacità di rappresentare il mondo esterno non è strettamente
dipendente dall’osservazione visiva, in quanto il cervello sarebbe in grado di
ricavare le informazioni utili a ricostruire la realtà anche dagli altri sensi,
essendo in qualche modo già “programmato” per farlo.10 In sostanza, i neuroni
specchio non esisterebbero! Ma, come appare evidente nel nostro lavoro , tale
ipotesi viene ampiamente contraddetta dai fenomeni di automatismo creativo
(come l’arte medianica), che presuppongono necessariamente l’esperienza
visiva del soggetto (ossia la percezione del dato estetico attraverso l’apparato
visivo), che va ad alimentare un repertorio di immagini mentali che, nel caso
degli artisti medianici, verrebbero acquisite inconsapevolmente attraverso un
Allo stato attuale, infatti, “l’etica preclude di condurre esperimenti di questo tipo sugli
esseri umani e sulle grandi scimmie antropomorfe (scimpanzé, gorilla, oranghi e bonobo).
L’unica eccezione alla regola si ha nel caso di pazienti neurologici (in genere epilettici) che
hanno elettrodi impiantati per ragioni mediche. In tali casi la ricerca sulla singola cellula è
corretta sotto l’aspetto etico se ne viene concessa l’autorizzazione dal paziente, come quasi
sempre avviene” (Iacoboni, 2008, p. 27).
9
La ricerca che contesta l’esistenza dei neuroni specchio è stata condotta dal dott. Pietro
Pietrini, direttore del dipartimento di Medicina di laboratorio e Diagnostica molecolare
dell'Azienda ospedaliera universitaria di Pisa, in collaborazione con la cattedra di Psicologia
clinica diretta da Mario Guazzelli e il Centro di Risonanza magnetica del Consiglio
Nazionale delle Ricerche (Cnr) di Pisa.
10
211 | P a g .
meccanismo di fissazione mnemonica di tipo fotografico ed immagazzinate in
una specifica “memoria estetica”, consentendo al soggetto di attivare un
processo di creazione automatica basato sull’imitazione/simulazione di
un’immagine o visione mentale, che viene graficamente o pittoricamente
riprodotta attraverso gli automatismi creativi: come si vede, le modalità stesse
con le quali si manifestano i fenomeni di automatismo creativo (tra cui l’arte
medianica), confermano chiaramente l’esistenza di una correlazione tra
osservazione di un’immagine (sotto forma di visione mentale) ed azione
motoria (disegno/pittura), e tale correlazione è una funzionalità propria dei
neuroni specchio.
Come si vede, la stessa operazione compiuta da un essere umano (posto in
particolari condizioni di attivazione), viene compiuta anche da un animale
dotato di neuroni specchio come l’elefante, che utilizzando lo stesso processo
di automatismo creativo tipico degli artisti medianici, crea inconsapevolmente
ed in modo automatico un’opera d’arte, senza possedere alcuna conoscenza o
pratica artistica, né formazione tecnico-artistica o stilistica, ma solo un
addestramento per mezzo del quale è in grado di collegare un’azione (muovere
un pennello con la proboscide) alla riproduzione di una immagine,
corrispondente alla visione mentale di un dato estetico immagazzinato nella
memoria: l’elefante riproduce ciò che vede nella sua mente. La sequenza del
processo di creazione automatica di un artista medianico è dunque la seguente:
1. percezione del dato estetico;
2. memorizzazione (dato estetico + sequenza movimenti produttivi);
3. recupero del dato estetico (in stato modificato di coscienza);
4. attivazione processi psicomotori (osservazione/azione);
5. riproduzione della visione mentale attraverso l’azione.
Quel che resta aperto è il problema dell’attivazione del processo di creazione
spontanea e automatica. La spiegazione del perché soltanto alcune persone (gli
artisti medianici) sono in grado di realizzare spontaneamente (ossia attraverso
un processo di creazione automatica) un’opera d’arte indicherebbe che tali
individui siano dotati di uno specifico asset neurale che li renderebbe
212 | P a g .
“ipersensibili” al dato estetico, ossia estremamente ricettivi e focalizzati verso
immagini, oggetti e/o azioni di natura estetica, percepite e “fotografate”
inconsapevolmente attraverso l’apparato visivo del soggetto, il quale
provvederebbe ad introiettarle in una specifica “memoria estetica” ed è in
grado di recuperarle in modo involontario attraverso uno specifico processo di
attivazione, che avviene generalmente in uno stato modificato di coscienza di
tipo dissociativo, come trance, ipnosi o profondo assorbimento (che possono
essere indotti o autoindotti), traducendo poi in azione grafico-pittorica di tipo
imitativo le immagini “scaricate” dalla “memoria estetica” (che è una
memoria di tipo fotografico), mentalmente visualizzate, attraverso un
processo creativo di natura simmetrico-speculare (osservazione > azione), che
riproduce il tipico schema funzionale dei neuroni specchio.
La manifestazione del fenomeno dell’arte medianica, che avviene in maniera
inconsapevole ed automatica, è quindi legata all’accesso alla “memoria
estetica” da parte dell’artista, che avverrebbe in particolari condizioni di
attivazione che non rientrano nello stato di coscienza ordinario del soggetto:
il processo di creazione automatica, basata sul recupero dei dati estetici
memorizzati, si attiva infatti ad un livello modificato di coscienza, che può
essere indotto o autoindotto, come vedremo più avanti, discutendo della teoria
degli stati modificati di coscienza. Ma perché ciò accada è ancora un mistero
legato alle modalità di funzionamento della nostra mente, la quale nasconde
potenzialità ancora sconosciute ed inesplorate.
6.2 L’esistenza della “memoria estetica”
Analizzando i processi di automatismo creativo alla base dei fenomeni di arte
medianica, si è cercato di comprendere come sia possibile per alcuni individui
riuscire a realizzare immagini grafiche o pittoriche senza aver mai acquisito
alcuna conoscenza di tipo artistico o tecnico-stilistico, ma soprattutto, si è
voluto capire da dove provengono le immagini che gli artisti medianici sono
in grado di realizzare in modo automatico. Dopo aver analizzato attentamente
213 | P a g .
il quadro teorico sopra delineato ed aver vagliato tutte le possibili ipotesi che
sono state fornite fino ad oggi per spiegare questo particolare tipo di fenomeno
creativo, sono state individuate alcune caratteristiche comuni e ricorrenti nella
maggior parte dei casi analizzati, che ci hanno indotto a prendere in
considerazione una nuova ipotesi interpretativa: quella neuroscientifica.
Si è cercato quindi di rintracciare gli elementi che permettessero di ricondurre
ad una matrice comune e, per così dire, universale, i fenomeni di arte
medianica, che sono caratterizzati da un processo creativo di tipo automatico,
ossia basato sull’assenza di formazione artistica e sull’inconsapevolezza del
processo creativo messo in atto. E poichè un’origine comune per tutte le
manifestazioni di automatismo creativo può essere rintracciata solo a livello
neurobiologico, la nostra attenzione si è concentrata su un fenomeno creativo
che avviene altrettanto automaticamente: quello degli “elefanti pittori”.
È stata infatti osservata una notevole analogia tra il processo creativo messo
in atto dagli artisti medianici e quello prodotto da questi enormi mammiferi:
in entrambi i casi, la riproduzione grafica e/o pittorica avviene
automaticamente ed in modo inconsapevole, cioè senza che vi sia alcuna
formazione artistica pregressa che possa giustificare il verificarsi del processo
creativo: ma da dove provengono le immagini che tali soggetti riproducono?
Poichè nessuna azione artistica può essere intrapresa senza la visione
dell’immagine reale o mentale di un oggetto, è logico presupporre l’esistenza
di un archivio mentale di immagini specifiche cui il soggetto possa attingere
per recuperare la visione dell’oggetto da riprodurre graficamente o
pittoricamente: si è voluto definire questo archivio mentale come “memoria
estetica”. Altrettanto logico appare il coinvolgimento dei neuroni specchio nei
processi di automatismo creativo, propri dell’arte medianica: poichè
l’osservazione dell’immagine mentale permette al soggetto (in stato di
modificato di coscienza) di riprodurre automaticamente l’oggetto della
visione, e le evidenze scientifiche hanno dimostrato che il meccanismo di
sincronizzazione/simmetria tra osservazione ed azione è un automatismo
214 | P a g .
funzionale tipico dei neuroni specchio (una sorta di neurofeedback),11 appare
chiaro che gli automatismi creativi tipici delle manifestazioni di arte
medianica possano essere determinati proprio dai neuroni specchio.
Questa “memoria estetica” viene alimentata attraverso l’osservazione (o
esperienza visivo-percettiva), la memorizzazione inconsapevole di immagini
esteticamente rilevanti per il soggetto dotato di uno specifico asset neurale, che
lo renderebbe “ipersensibile” al dato estetico. Tali immagini verrebbero
impresse nella “memoria estetica” al pari di scatti fotografici, (attraverso un
“effetto snapshot”) ed introiettate/immagazzinate in questo archivio mentale,
pronte ad essere richiamate sotto forma di visioni mentali nel momento in cui
si verificano specifiche condizioni di attivazione, ricomprese in uno stato
modificato di coscienza: dissociazione, absorption, trance, ipnosi, meditazione
immersiva profonda, allucinazioni, trip psichedelico o altro ancora. Questi stati
alterati di coscienza permetterebbero al soggetto di risalire in maniera
regressiva al momento della fissazione del ricordo, producendo immagini lucide
che il soggetto visualizza mentalmente, consentendo di attivare, attraverso le
specifiche modalità di funzionamento dei neuroni specchio, il meccanismo di
corrispondenza tra l’osservazione e azione psicomotoria involontaria:
l’individuo è in grado di riprodurre ciò che osserva nella sua mente per mezzo
di automatismi creativi, mettendo in atto lo schema osservazione > azione, che
è il principale meccanismo attivato dai neuroni specchio.
Mentre nei soggetti predisposti ai fenomeni di arte medianica avverrebbe in
modo inconsapevole ed automatico, grazie alla particolare “ipersensibilità”
estetica del loro asset neurale e alla capacità di accedere alla “memoria
estetica”, nell’elefante l’attivazione del processo di riproduzione pittorica
avviene per mezzo dell’addestramento, ossia attraverso un processo di
Attraverso l’utilizzo delle tecniche di neuroimaging o visualizzazione cerebrale, come la
risonanza magnetica funzionale (fMRI) o la tomografia ad emissione di positroni (PET), la
stimolazione magnetica transcranica (TMS), la magnetoencefalografia (MEG) e
l’elelettroencefalografia (EEG), è stato infatti dimostrato che, a livello neurale, esiste una
correlazione/sincronia/simmetria tra osservazione ed azione, e che tale funzionalità riguarda
la classe dei neuroni specchio.
11
215 | P a g .
condizionamento, che può essere basato sul meccanismo del rinforzo positivo
(ossia il premio o ricompensa, ad esempio il cibo), o sull’evitamento della
violenza fisica, della costrizione coattiva e della punizione (come nella pratica
tradizionale del phajaan, una forma di addestramento di tipo violento, basato
sull’assoggettamento dell’animale e sull’annullamento della sua volontà,
praticata in alcuni paesi del sud-est asiatico). Ma, proprio perchè determinato
dai neuroni specchio, il processo di riproduzione pittorica può anche essere
attivato per mezzo dell’osservazione/imitazione di altri elefanti che compiono
la stessa azione, coinvolgendo nel processo la componente ambientale
(corrispondente alla componente socio-culturale nelle comunità umane).
Quelle che abbiamo illustrato sono tutte condizioni in grado di richiamare le
immagini mentali immagazzinate nella “memoria estetica”, capaci di
innescare i meccanismi visuomotori di “rispecchiamento” della visione e di
corrispondente riproduzione/duplicazione delle immagini attraverso il disegno
o la pittura, sia negli umani che nei primati (Orban, 2011).
Come già rilevato, nei soggetti dotati di uno specifico asset neurale che
determina la specifica “ipersensibilità” al dato estetico, riscontrata nei soggetti
in cui si verificano le manifestazioni di automatismo creativo (ossia gli artisti
medianici), la condizioni di attivazione dei processi di automatismo creativo
sono dunque costituite, come già detto, dagli stati modificati di coscienza, che
possono essere indotti o autoindotti dall’individuo: dissociazione, absorption,
meditazione profonda, ipnosi, trance, utilizzo di sostanze psicotrope e altro
ancora. A questo punto il quesito fondamentale è: perchè in alcuni soggetti i
dati estetici acquisiti per mezzo dell’osservazione diretta (o percezione visiva)
vengono relegate in una dimensione subliminale di consapevolezza, ossia ad
uno stato profondo che travalica i limiti della coscienza ordinaria e i processi
cognitivi coscienti e consapevoli dell’individuo, fissandosi in una zona
nascosta o latente della memoria, per poi riaffiorare in maniera improvvisa e
automatica, dopo essere stati attivati da specifici meccanismi di risonanza
interna, scatenati in maniera induttiva o autoinduttiva?
In alcuni individui neurobiologicamente predisposti, quali appunto gli artisti
medianici, la decodificazione della realtà esterna si focalizzerebbe in maniera
216 | P a g .
rilevante sul dato estetico, determinando la memorizzazione inconsapevole di
elementi dotati di specifiche caratteristiche in grado di attivare il piacere
estetico dell’osservatore, come ad esempio la regolarità geometrica o le forme
curve, che di per sè stimolano l’apprezzamento estetico e la percezione del
“bello” nell’osservatore (Bar & Neta, 2006; Silvia & Barona, 2009;
Friedenberg & Bertamini, 2015). Tale processo comporterebbe la scansione
selettiva di immagini esteticamente rilevanti attraverso il sistema visuopercettivo del soggetto, le quali verrebbero catturate attraverso un
meccanismo di acquisizione involontaria
di tipo “fotografico” ed
immagazzinate in una zona latente della memoria, che abbiamo appunto
definito “memoria estetica”. La registrazione selettiva di informazioni di
natura estetica da parte dell’individuo, e quindi la sua “ipersensibilità” ai dati
di natura estetica provenienti dall’esperienza percettiva, potrebbero essere
dovuti a una disfunzione nei processi di neural binding, che regolano la
sincronizzazione dei segnali neurali nel corso dell’esperienza percettiva del
soggetto, permettendogli la percezione e memorizzazione integrale (ovvero
non selettiva e separata) dei dati percetti (Newman & Grace, 1999; Opitz,
2010). Questa “memoria estetica”, che è invece una memoria fotografica di
tipo selettivo (in quanto capace di selezionare/filtrare i dati estetici provenienti
dalla realtà), è però difficilmente accessibile al soggetto in stato cosciente. In
altre parole, l’accesso alla “memoria estetica” avverrebbe solo quando il
soggetto si trova in uno stato modificato di coscienza, che costituisce la
condizione fondamentale di attivazione del processi di automatismo creativo.
Ecco perchè gli artisti medianici operano senza averne la consapevolezza, in
maniera involontaria e automatica: essi sono immersi in uno stato modificato
di coscienza che permette loro di accedere a tale “memoria estetica”,
recuperare le immagini ivi immagazzinate e riprodurle attraverso automatismi
creativi che riproducono il modello funzionale osservazione > azione tipico
dei neuroni specchio. Infatti, quando il soggetto è immerso in uno stato
modificato di coscienza, è in grado di recuperare un’immagine o un repertorio
di esperienze visive dalla “memoria estetica”, di osservarle sotto forma di
immagini mentali, mentre i neuroni specchio, rispecchiandone appunto la
217 | P a g .
visione, attiverebbero il sistema psicomotorio dell’individuo, i cui impulsi si
tradurrebbero nella sequenza di movimenti necessari a replicare l’oggetto
mentalmente visualizzato, traducendo l’osservazione in azione: in tal modo il
soggetto, senza rendersene conto, è in grado di riprodurre l’oggetto della
visione in maniera automatica, inconsapevole ed involontaria (Parker,
Wilding & Bussey, 2002).
Il processo di visione mentale di immagini o esperienze immagazzinate nella
“memoria estetica” è basato a sua volta sulla stratificazione delle esperienze
percettive del soggetto mediate dai processi di visione estetica e da ripetute
esposizioni ai dati estetici nel tempo (come la fruizione di opere d’arte nei
musei o nelle gallerie, la visione di immagini di natura estetica in televisione
o la lettura di libri o riviste in cui compaiono elementi e oggetti esteticamente
connotati o percepiti come estetici, ossia in grado di stimolare la particolare
sensibilità estetica dell’individuo). Tali esperienze di percezione estetica
verrebbero selezionate e filtrate attraverso una modalità di funzionamento
asincrono (e quindi anomalo) dei meccanismi di neural binding, che
provocherebbero una focalizzazione attenzionale involontaria del soggetto
unicamente sui dati estetici (anziche sulla globalità della visione), in grado di
attivare gli impulsi psicomotori che si traducono negli automatismi creativi,
tipici dell’arte medianica (Galetta, 2014a, 2014b).
Nel corso della manifestazione dei fenomeni di creatività spontanea, l’artista
medianico sperimenterebbe dunque, in modo del tutto inconsapevole, una
forma di “consapevolezza inconscia” che è in grado di riemergere sotto forma
di abilità creativa, nel momento in cui viene attivata da particolari stati di
coscienza non ordinaria: si tratta di quella “coscienza emergente”che viene
attivata negli insights creativi dell’artista e del genio, nelle pratiche di
meditazione profonda o di pensiero immersivo e nelle visioni mistiche e
unificanti di chi sperimenta la ricerca interiore: un’irruzione improvvisa ed
inconsapevole della
creatività nel vissuto quotidiano
di individui
apparentemente ordinari e dalla vita assolutamente normale (Goleman, 1988).
È stato infatti rilevato che gli stati di meditazione profonda aumentano
l’oscillazione delle onde gamma, che sono fortemente associate all’attivazione
218 | P a g .
dei processi creativi e di generazione creativa (Lutz et al., 2004). Tale
fenomeno di insorgenza creativa al di fuori del controllo consapevole e
cosciente del soggetto, pur avendo (secondo la nostra ipotesi) una base
neurobiologica, essendo appunto collegati a pattern di funzionamento dei
neuroni specchio, non è necessariamente collegato a disordini mentali o a
disturbi di natura psicopatologica e neuropsichiatrica, come la sindrome di
Savant e la schizofrenia. Le scienze cognitive e la neuroestetica, ma anche le
tecniche di neuroimaging biomedico, come la risonanza magnetica funzionale
(Functional Magnetic Resonance Imaging o fMRI), sono in grado di dare un
importante contributo alla comprensione scientifica di tale fenomeno creativo,
mettendo in evidenza le modificazioni delle onde cerebrali durante i fenomeni
di channeling, evidenziando le aree del cervello maggiormente coinvolte nel
corso delle performances degli artisti medianici (Hughes & Melville, 1990;
Zeki, 1999; Moulton & Kosslyn, 2008).
La presente ricerca ha quindi permesso rilevare l’esistenza di una “memoria
estetica”, che è una memoria selettiva di tipo fotografico presente sia
nell’uomo che in alcuni animali dotati di una struttura cerebrale
particolarmente
evoluta
(come
gli
elefanti),
alla
quale
individui
specificamente “ipersensibili” al dato estetico sarebbero in grado di accedere
in specifiche condizioni di attivazione, come gli stati modificati di coscienza.
Infatti tali condizioni si verificano proprio quando il soggetto si trova al di
fuori dello stato di coscienza ordinario, che può essere raggiunto per mezzo di
particolari procedure induttive, che possono essere sia di tipo volontario che
involontario, in quanto possono essere indotte o autoindotte dall’individuo: il
soggetto immerso in tale stato di coscienza è dunque in grado di creare opere
d’arte pur senza avere alcuna conoscenza e/o formazione di tipo tecnico,
artistico e/o stilistico, né aver effettuato in precedenza alcuno di sforzo
mentale focalizzato, che pure potrebbe condurre ad una qualche forma di
apprendimento senza consapevolezza, come già dimostrato in condizioni
sperimentali: egli riproduce le forme delle sue visioni mentali (Buckalew,
Finesmith & Sisemore, 1968).
219 | P a g .
Come già detto, la condizione prioritaria di accesso a questa “memoria
estetica” è la presenza di uno stato modificato di coscienza di tipo dissociativo,
in grado di attivare gli automatismi psicomotori involontari che caratterizzano
i processi creativi messi in atto dagli artisti medianici. Secondo la nostra
ipotesi, l’“ipersensibilità” estetica di alcuni individui sarebbe dunque da
attribuire ad un particolare asset neurale (ossia ad una particolare struttura
neurocerebrale) che caratterizza l’equipaggiamento neurobiologico e
biopsichico di tali soggetti, nonché a meccanismi di scompenso nei processi
di neural binding, legati ad un’imprecisa sincronizzazione dei segnali neurali
sollecitati dall’esperienza percettiva del soggetto: una volta attivato il
processo, il soggetto recupera inconsapevolmente le immagini contenute nella
“memoria estetica” (che sono state impresse come scatti fotografici in maniera
selettiva, ossia selezionandole dalla massa di dati percepiti dalla realtà esterna)
e le riproduce attraverso un meccanismo di esecuzione rapidissimo e
involontario, tanto da stupire lo stesso autore, il quale non è in grado di
replicare le sue stesse opere in stato cosciente, così come nessun artista
ordinario sarebbe in grado di riprodurle nello stesso tempo impiegato
dall’artista medianico a realizzarle (Stein, 1989). L’artista medianico, dunque,
è in grado di riprodurre le immagini mentali fissate nella “memoria estetica”,
attraverso l’attivazione di abilità artistiche latenti, che diventano accessibili
attraverso uno stato modificato di coscienza, che è stato definito “trance
estetica” o “dissociazione creativa” (Grosso, 1997; Braude, 2000), mettendo
il soggetto in grado di riprodurre l’oggetto delle sue visioni attraverso un
meccanismo di corrispondenza tra osservazione e azione, tipico dei neuroni
specchio. Sulla base dell’osservazione dell’automatismo esecutivo degli artisti
medianici, l’analisi del contesto socio-culturale di riferimento e le indagini
biopsicodiagnostiche condotte dai laboratori di ricerca, è dunque possibile
ipotizzare che il cervello di alcuni individui, particolarmente predisposti,
sensibili e ricettivi, sia in qualche modo neurologicamente già “programmato”
ad attivarsi in specifiche condizioni, contenendo apriori le “istruzioni” che
permetterebbero ad un soggetto apparentemente ordinario di realizzare di
getto, in stato di “trance estetica” o “dissociazione creativa” (spesso indotte
220 | P a g .
volontariamente o autoindotte attraverso determinate pratiche o rituali), opere
d’arte pur senza avere alcuna conoscenza tecnico-pratica delle tecniche
artistiche necessarie. Gli stati alterati di coscienza che caratterizzano le
manifestazioni di arte medianica, provocherebbero quindi una disconnessione
dell’attività mentale dell’individuo dai normali processi cognitivi e lo
straniamento dalla realtà, permettendo l’emersione di abilità artistiche latenti,
che si manifestano attraverso un irrefrenabile impulso creativo (alcuni casi
viene percepito come coattivo), che costringe il soggetto ad eseguire il lavoro
in modo automatico ed indipendente dalla sua volontà (Braude, 2000).
Il soggetto sarebbe quindi in grado di creare solo in stato di “trance estetica”,
che evidenzia uno stato dissociativo e di alienazione dalla realtà, in grado di
determinare l’attivazione involontaria dei processi creativi, permettendo
all’artista di manifestare abilità artistiche latenti attraverso la creazione di
opere d’arte indipendentemente dalla sua volontà cosciente, la quale verrebbe
a trovarsi temporaneamente sotto il controllo di automatismi psicomotori,
determinando un nuovo tipo di esperienza dissociativa, esteticamente
focalizzata (Waller, Putnam, & Carlson, 1996).
6.3 La teoria degli stati modificati di coscienza
Una teoria che potrebbe contribuire a spiegare il meccanismo di attivazione
dei processi di creazione spontanea e automatica tipici dell’arte medianica, è
quella relativa agli stati modificati (o alterati) di coscienza, che aiuterebbero
il soggetto ad accedere alla “memoria estetica”, recuperando le immagini,
visioni ed esperienze ivi immagazzinate per poi tradurle in sequenze di
movimenti finalizzati alla riproduzione artistica delle visioni mentali,
coinvolgendo appunto i meccanismi di funzionamento dei neuroni specchio.
Gli stati modificati di coscienza, che inducono quelle manifestazioni di
creatività non-ordinaria
apparentemente spontanea e automatica definite
come “arte medianica” (spesso esibite in pubbliche sessioni a dimostrazione
dell’esistenza di una dimensione spirituale che va oltre la vita), possono avere
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diverse spiegazioni scientifiche di natura neurobiologica, ma anche differenti
modalità di manifestazione, comprendendo tutti quei fenomeni che si
verificano al di fuori del controllo consapevole e cosciente dell’individuo,
ossia quando la mente non è focalizzata sulla decodificazione sensoriale della
realtà esterna al soggetto. Infatti, lo stato di coscienza di tipo dissociativo
rilevato in quasi tutti gli artisti medianici, può essere indotto o autoindotto
manifestandosi sotto forma di trance, semi-trance, absorption, stato ipnotico
o alterazione ipnoide, stato crepuscolare onirico, semisonnambulismo,
delirium, catatonia o stati allucinatori sia di tipo visivo che auditivo, che
sfociano negli automatismi psicomotori che caratterizzano l’irrefrenabile ed
involontario impulso creativo dell’artista medianico, dando luogo ad un
processo produttivo rapido e convulso, caratterizzato da un’eccezionale
velocità esecutiva, che il soggetto non è in grado di controllare
consapevolmente e che impressiona tanto il pubblico che assiste alle esibizioni
di arte medianica (Richeport, 1992; Cardeña, Lynn & Krippner, 2000).
Tutti questi fenomeni configurano l’esistenza di una coscienza “interna”, ossia
di un mondo scisso (o secondo livello di coscienza) caratterizzato da una
varietà di esperienze mentali possibili, che è distinto dalla coscienza “esterna”
dell’Io sociale normalmente agito dall’individuo: si tratta di un tipo di
coscienza “emergente”, che caratterizza gli insights creativi dell’artista e del
genio, sui quali però questi conservano ancora un margine di vigile
consapevolezza, un luogo dove lo stato elettrofisiologico del cervello è
dominato dalle onde beta, emesse dalla corteccia cerebrale, specializzata
nell’elaborazione delle informazioni che provengono dal mondo esterno, la
quale provvede (attraverso i meccanismi di neural binding), ad unificarle in
un unicum dotato di senso, regolando al tempo stesso le risposte motorie
coscienti dell’individuo, atte ad assumerne il controllo operativo. Negli artisti
medianici invece, l’attività elettrica del cervello è caratterizzata dalle onde
theta, delta e gamma (che sono onde lente e ad alta energia), strettamente
correlate ai processi di generazione creativa: le stesse che caratterizzano gli
stati meditativi profondi e immersivi, nonchè di attenzione focalizzata,
attraverso cui è possibile raggiungere le visioni unificanti tipiche della ricerca
222 | P a g .
spirituale interiore (si pensi alle pratiche yoga o al Buddhismo Zen): una sorta
di “occhio interiore”, capace di scrutare le profondità dell’inconscio, lasciando
emergere contenuti latenti e rimossi, o semplicemente introiettati a livello
subliminale in maniera del tutto involontaria e inconsapevole dal soggetto
percipiente (Goleman, 1988; Tononi, 2012). È infatti in questo stato di
“sospensione” della coscienza ordinaria che si attiva nell’individuo un’attività
creativa spontanea, dove entrano in gioco le potenzialità nascoste della mente,
le quali possono rivelarsi attraverso la manifestazione di abilità sconosciute
allo stesso individuo secondo meccanismi che deviano dalle modalità di
manifestazione ordinaria della creatività, come le capacità creative che si
manifestano nel corso dei fenomeni di automatismo creativo, caratteristici
dell’arte medianica, dove soggetti apparentemente privi di competenze
artistiche riescono a realizzare opere d’arte. Ma la modificazione dello stato
di coscienza può essere indotta anche da stimoli esterni al soggetto, come
suoni, voci, musica, luci, colori (che spesso risultano alterati, distorti,
amplificati attraverso l’assunzione di sostanze psicotrope o allucinogene, in
grado di provocare dissociazione, sinestesia o altri fenomeni psichedelici), o
autoindotti dal soggetto stesso, per esempio attraverso concentrazione, stati di
meditazione profonda, mantra, preghiere e invocazioni (a santi, persone
defunte o entità disincarnate) o formule rituali, come nel caso dei pittori
brasiliani (Sinke et al., 2012).
In molti casi, attraverso un’indagine psicobiografica sulla vita degli artisti
medianici, è stato rilevato che la maggioranza dei soggetti, prima della
comparsa dei fenomeni di automatismo creativo, avevano subito traumi fisici
e psichici, o intensi shock emotivi che hanno portato tali individui, in alcuni
momenti della loro vita ordinaria, a dissociarsi dalla realtà e a rivivere tali
eventi traumatici nel tentativo di rimuoverli: essi apparivano spesso assorti e
distaccati dalla realtà. Infatti, tali eventi sono strettamente correlati alla
comparsa dei fenomeni di automatismo creativo, anzi a volte sembrano essere
la condizione essenziale per il loro manifestarsi; infatti, in numerosi casi, la
sintomatologia relativa ai disturbi collegati al vissuto traumatico del soggetto
sembra scomparire una volta iniziati gli episodi di automatismo creativo.
223 | P a g .
Un vissuto traumatico e doloroso può senz’altro rappresentare un fattore
prodromico e scatenante, anche se “la genesi del fenomeno va cercata molto
più lontano, in una preparazione che lentamente si svolge nel soggetto,
portandolo, nel momento in cui agisce il segnale adatto, ad una medianità di
tipo scrivente, pittorico, o anche a forme più complesse di medianità” (Peduto,
1979, p. 74-75). Di solito, la fase successiva ad un trauma (come nel caso del
disturbo post-traumatico da stress, o PTSD, che colpisce ad esempio i soldati
traumatizzati dalle esperienze di guerra, le vittime di attentati terroristici o i
sopravvissuti a disastri), è caratterizzato dalla presenza dei sogni lucidi o
vividi, ossia di un tipo di esperienza onirica in cui il soggetto può essere in
grado di accrescere il controllo cosciente sul sogno stesso, immaginando ad
esempio di saper dipingere, quando in realtà non sarebbe in grado di farlo a
livello cosciente (Blanke et al., 2002). Il soggetto è dunque cosciente di essere
all’interno del proprio sogno (ovvero è consapevole che sta sognando) e si
muove come fosse immerso in una realtà virtuale, nella quale è in grado di
vivere qualsiasi tipo di esperienza, anche impossibile nella realtà: volare,
spostare oggetti, attraversare muri, trasformarsi in altre persone o saper fare
cose che non sarebbe mai stato in grado di fare nella vita reale sulla base delle
proprie competenze effettive, come ad esempio disegnare o dipingere.
Questo tipo di esperienza onirica (definito onironautica) permetterebbe al
soggetto, oltre che di rivivere le esperienze rimosse a livello cosciente (come
nel caso di eventi traumatici), di visualizzare determinate immagini
ipnagogiche (ad esempio il ricordo latente di un opera d’arte,
inconsapevolmente immagazzinata nella “memoria estetica” ma inaccessibile
a livello cosciente) o di compiere virtualmente determinate azioni, come ad
esempio disegnare o dipingere (Garfield, 1974; LaBerge, 1980; LaBerge,
1988; LaBerge & Rheingold, 1990; Godwin, 1994; Ball, 2000). Poichè è
possibile sperimentare tali abilità in stato onirico, è probabilmente questo il
motivo per qui le doti degli artisti medianici si manifestano in stato di trance
o ipnosi (ossia stati di coscienza molto vicini all’inconsapevolezza del sogno,
che rappresenta uno stato di dissociazione temporanea dalla realtà): in tale
stato di coscienza modificato, gli artisti medianici sono paradossalmente in
224 | P a g .
grado di controllare (ad un livello metacosciente) la propria abilità, così come
avviene nel sogno lucido, recuperando selettivamente le immagini dalla
“memoria estetica” (alimentata inconsapevolmente attraverso I processi di
percezione visiva del soggetto) e mettendo in atto inconsapevolmente un
processo di riproduzione di visioni mentali attraverso sequenze di movimenti
automatici, finalizzati alla riproduzione artistica di immagini osservate nella
mente dal soggetto durante la sua permanenza in tale stato di coscienza
modificato (Herlacher & Schredl, 2004). E, come già ampiamente descritto,
la correlazione tra osservazione ed azione è una tipica funzionalità dei neuroni
specchio. Anche l’assunzione di alcune sostanze psicotrope, in grado di
potenziare le facoltà creative dell’individuo, stimolano l’insorgenza di sogni
lucidi, attraverso i quali numerosi artisti sono riusciti a comporre musica,
scrivere testi o realizzare opere d’arte, senza che a tale fenomenologia creativa
fosse attribuita una spiegazione di tipo paranormale o parapsicologico
(Hobson, 2001). Comparendo spesso in seguito ad eventi traumatici, i sogni
lucidi rendono possibile rivivere ricordi di azioni compiute o di eventi
accaduti, rielaborando pensieri che sfuggono al controllo della nostra parte
cosciente: è proprio lavorando su questo materiale che gli analisti, spesso
attraverso l’ipnosi regressiva, possono aiutare l’individuo a rivivere ed a
superare i traumi subiti, facendone riaffiorare il ricordo alla coscienza e
stabilizzandolo in maniera tale da non poter nuocere al soggetto.
Come osservato nel caso dei pittori medianici brasiliani legati ai gruppi
spiritici kardeciani, l’insorgenza di stati modificati di coscienza, capaci di
attivare i processi di automatismo creativo, possono essere favoriti da apposite
sessioni, cerimonie o riti di preparazione (ad esempio mediante invocazioni e
preghiere di gruppo), che forniscono agli adepti le istruzioni per indurre o
provocare gli stati di trance, di distacco dalla realtà o di profondo assorbimento
dissociativo (absorption), durante i quali si verificano le performances di arte
medianica; tali procedure di “addestramento” della coscienza sono
assimilabili alle pratiche ascetiche di meditazione profonda ed immersiva di
alcune filosofie mistiche orientali, come il buddhismo Zen, la meditazione
Yoga o il Sufismo (Cahn, Delorme & Polich, 2010): si pensi alle danze
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roteanti dei Dervishi, attraverso cui gli iniziati raggiungono l’estasi mistica
perdendo il contatto con la realtà sensibile ruotando per ore su se stessi
attraverso movimenti vorticosi e rapidissimi, senza mai perdere il controllo sul
proprio equilibrio (Fanā): si tratta di una forma di controllo metacosciente che
il soggetto è in grado di attivare, pur essendo dissociato dalla realtà.
In questo stato di coscienza modificato, definito “meditazione di visione
penetrativa” (o insight meditation) o assorbimento meditativo, molto spesso
gli artisti medianici sperimentano, come già detto, allucinazioni visive e
auditive (ossia percezioni senza oggetto), sinestesia, perdita di controllo
motorio, esperienze extracorporee (o OBE, Out-of-Boby Experience), che li
inducono a dare una spiegazione di natura paranormale ai fenomeni di
automatismo creativo, autoconvincendosi dell’esistenza di una dimensione
spirituale o di entità spiritiche che ne guidano i processi creativi: la
metacoscienza, ossia la forma di controllo delle proprie azioni in stato di
coscienza modificato, è attribuita all’intervento di entità extracorporee o
spiriti-guida (Monroe, 1971; Palmer, 1978; Irwin, 1985c; Metzinger, 2005;
Barton, 2008).
È dunque importante considerare anche il potere dell’autosuggestione,
sostenuto dal contesto antropologico-culturale e spirituale-religioso di
appartenenza, che spesso è manipolato dalle aspettative “spirituali” del
pubblico che assiste alle performance degli artisti medianici, ma anche
condizionato
dall’inconscio
collettivo
e
dall’immaginario
plasmato,
condizionato e influenzato dai mezzi di comunicazione di massa: secondo una
concezione popolare diffusa in comunità caratterizzate da un’identità sociale
fondata su credenze mistico-religiose o mitologico-ancestrali di natura
archetipale, l’artista è considerato alla stregua di un moderno “sciamano”,
depositario di misteri insondabili, ma soprattutto rappresenta un canale di
comunicazione tra la dimensione umana e quello divina (o aldilà): proprio
come uno sciamano, egli è un “eletto” (o perlomeno è considerato tale agli
occhi della comunità, che lo ha investito socialmente di questo ruolo, non
riuscendo a dare una spiegazione ai fenomeni che egli è in grado di dominare),
ovvero egli ha il potere (o “dono”) di riuscire ad entrare in contatto con una
226 | P a g .
dimensione ultraterrena, sovrumana, spirituale e divina che, in qualche modo,
influenza e guida la sua comunità e l’intero genere umano (Winkelman, 1986).
Volendo attenerci ad una caratterizzazione più antropologica del fenomeno
dell’arte medianica, che includa anche i condizionamenti culturali e le
aspettative sociali delle comunità di appartenenza degli artisti medianici
(come ad esempio: guarigione o benessere spirituale, conferma e speranza
nell’esistenza di un “aldilà”), sarebbe più corretto sostituire (a livello
terminologico) il concetto di “medianità” con quello di “canalizzazione”
(channeling), in quanto il primo è maggiormente focalizzato sulla natura
paranormale e spiritica del fenomeno dell’arte medianica, mentre il secondo
(spogliato di ogni valenza parapsicologica relativa ad un presunto contatto con
un mondo ultraterreno o “aldilà”), permette di inquadrare in maniera più
obiettiva il rituale di “passaggio” dell’individuo (che si svolge nel corso di
particolari esibizioni pubbliche, del tutto simili a liturgie collettive) attraverso
una sorta di “canale” simbolico (collettivamente istituzionalizzato), che gli
consente di connettersi con la parte più profonda del proprio essere (inconscio
o subconscio), modificando al tempo stesso, attraverso meccanismi di
suggestione o autosuggestione, gli stessi processi neurobiochimici e gli stati
elettrofisiologici del proprio cervello, fino ad esprimere delle potenzialità
creative latenti del tutto sconosciute alla parte cosciente dell’individuo stesso:
tutto ciò contribuirebbe a determinare, guidare ed orientare gli automatismi
che si esprimono in questa particolare forma di espressione “anomala” e nonordinaria della creatività umana: l’arte medianica diventa in tal modo un’arte
“canalizzata”.
Pur esistendo uno schema comune e ricorrente, per così dire “rituale”, nelle
varie manifestazioni di arte medianica (rilevato nella maggior parte degli
artisti medianici a prescindere dalla nazionalità e dalla cultura di appartenenza,
così come dall’epoca storica di riferimento), ogni artista sperimenta differenti
stati di coscienza, caratterizzati da vari gradi di alterazione e da sintomi
oggettivamente osservabili e clinicamente misurabili: le esperienze di arte
medianica sono molto soggettive ed esistono una varietà di livelli in cui
l’attenzione vigile, cosciente, critica e razionale del soggetto degrada fino a
227 | P a g .
dissolversi nel puro automatismo e nella trance. Secondo una visione popolare
molto diffusa, l’eccezionale abilità creativa degli artisti medianici, che si
esprime attraverso la produzione di disegni o dipinti, è considerata essere un
fenomeno paranormale
quando il soggetto non possiede,
almeno
apparentemente (ossia a livello cosciente e razionale, ma soprattutto agli occhi
della comunità), le abilità tecniche necessarie a creare materialmente un’opera
d’arte: lo stesso artista non è cosciente delle proprie abilità creative e non
riconosce di essere lui stesso l’artefice dell’opera d’arte, non avendo a livello
consapevole le capacità, nè le conoscenze artistiche o le competenze tecnicostilistiche necessarie a realizzarla: in questo caso, è facile (ed ingenuo)
attribuire poteri paranormali al soggetto, in quanto, apparentemente, non
sembra possibile dare una spiegazione logica e scientifica al fenomeno
dell’automatismo creativo e, probabilmente, non si è nemmeno disposti a
farlo, pur di mantenere viva un’illusione e credere che possa esistere una
dimensione spirituale extracorporea che desidera comunicare con gli uomini
attraverso gli artisti medianici.
Il prof. Hans Bender, famoso psicologo tedesco, studioso di fenomeni
paranormali ed esponente di spicco della parapsicologia, si espresse in questi
termini a proposito dell’influenza degli stati modificati di coscienza sui
fenomeni di automatismo creativo:
“Le produzioni intelligenti dette automatiche, cioè subcoscienti,
dissociate, fuori dalla portata normale del controllo del sè, dispongono
del contenuto della memoria integrale, mentre la persona dominata dal
sè non può evocare le produzioni subconscie… Attraverso scritture e
disegni automatici, cioè attraverso un accesso subliminare, un gran
numero di medium celebri si è avvicinato al ‘processo primario’, termine
con cui si intende l’informazione inconscia paranormale, che in uno stato
di coscienza normale molto spesso non supera la soglia cosciente, ma si
rivela nei sogni, nelle visioni, nelle intuizioni e anche attraverso i vasi
comunicanti: cioè gli automatismi psicologici” (Bender, 1936; Giovetti,
1982, p. 212).
228 | P a g .
6.4 L’attivazione degli automatismi creativi
La principale caratteristica delle manifestazioni di arte medianica è
l’automatismo creativo, che è stato oggetto di studi sin dai primi decenni del
secolo scorso in relazione al fenomeno della cosiddetta scrittura automatica,
diventato molto popolare grazie alla diffusione dello spiritismo nei circoli
culturali dell’epoca (Mühl, 1930; Breton, 1933 e 2007).
L’automatismo ideo-senso-motorio osservabile negli scrittori automatici,
contraddistinto dall’eccezionale rapidità dei movimenti e dall’inesplicabilità
dei contenuti espressi, aveva suggerito agli psicanalisti l’apertura di un canale
diretto tra il subconscio e l’Io razionale, attraverso il quale le abilità creative
latenti e represse dell’individuo potevano essere liberate, bypassando il
controllo della volontà cosciente ed imponendosi all’individuo (immerso in
uno stato alterato di coscienza) in maniera perentoria ed autoritaria sotto forma
di scrittura automatica o psicografia. Ciò veniva confermato dagli stessi
scrittori medianici, i quali sostenevano di non ricordare ciò che avevano
prodotto attraverso i propri automatismi, di essersi sentiti come “posseduti”
da un’entità ad essi estranea, o di non riconoscere la paternità dei propri scritti.
Si è a lungo discusso sulla possibile origine psicopatologica di tali fenomeni
di automatismo, molto spesso paragonati a delle vere e proprie malattie
mentali: nell’Ottocento venne infatti approfondito il concetto di isteria. Ma,
come già sostenuto, il fenomeno dell’arte medianica potrebbe avere una
spiegazione più razionale e scientifica: lo stato modificato di coscienza vissuto
da molti artisti medianici, contornato da fenomeni allucinatori di vario tipo
(come visione di immagini evanescenti ed irreali, aloni luminosi, percezione
di voci, etc.), consentirebbe ad alcuni soggetti “ipersensibili” al dato estetico
di attivare in modo diverso la loro rete neurale, trasformando le proprie visioni
mentali in automatismi creativi senza che tale processo abbia necessariamente
un’origine psicopatologica, ossia legata a specifiche malattie mentali o
disturbi di natura neuropsichiatrica. Infatti il soggetto immerso in uno stato
modificato di coscienza sarebbe in grado di attingere ai contenuti
inconsapevolmente impressi nella sua “memoria estetica” attraverso i processi
229 | P a g .
di percezione visiva, trasformandoli (per mezzo di un meccanismo di
rispecchiamento tra osservazione e azione, tipico dei neuroni specchio) in
gesti e movimenti automatici, in grado di riprodurre (attraverso disegni o
dipinti) le immagini mentalmente visualizzate, rivelando al tempo stesso delle
abilità creative latenti apparentemente sconosciute all’individuo, proprio
perchè inaccessibili allo stato di coscienza ordinario.
L’automatismo degli artisti medianici, detto psicopittografia (o pittura
psichica), è diverso dall’automatismo tecnico o “memoria di lavoro”, che è il
risultato di processi di apprendimento cosciente (come nuotare o andare in
bicicletta): infatti è osservabile un divario tra un automatismo esecutivo,
consapevolmente appreso dal soggetto, e l’impulso creativo involontario,
inconsapevole e automatico manifestato da tali artisti. Con l’arte medianica si
assiste infatti ad un processo di emergenza di abilità creative latenti, che si
manifestano all’improvviso se attivate da particolari condizioni, come lo stato
di assorbimento dissociativo del soggetto: è come se le abilità artistiche
fossero in qualche modo già presenti nella mente dell’individuo, il quale è in
grado di attivarle inconsapevolmente ad un livello modificato di coscienza.
Ciò ci ha portato ad ipotizzare che alcuni soggetti, dotati di una specifica
struttura (o asset) neurale, siano caratterizzati da una particolare
“ipersensibilità” al dato estetico e che la loro straordinaria capacità artistica
apparentemente inspiegabile (definita arte medianica), sia in qualche modo già
preconfigurata sotto forma di abilità creative latenti nella loro mente (come
una sorta di software preinstallato a livello neurobiologico o genetico), pronta
ad emergere spontaneamente quando essa viene attivata in specifiche
condizioni, dando luogo alle manifestazioni di automatismo creativo tipiche
degli artisti medianici, che non hanno alcuna competenza artistica a livello
cosciente, nè sono consapevoli dei processi di creazione automatica.
Per tale motivo si propende per una spiegazione di tipo neuroscientifico: le
dinamiche imitative e simulative (essenzialmente simmetriche e “speculari”),
determinate dagli specifici patterns di funzionamento dei neuroni specchio
(Oberman, Pineda & Ramachandran, 2007), in grado di sincronizzare
l’osservazione di immagini mentali del soggetto con le azioni motorie
230 | P a g .
finalizzate alla riproduzione di tali immagini sotto forma di disegni o dipinti,
permetterebbe all’artista medianico di recuperare, tramite uno stato modificato
di coscienza caratterizzato da profondo assorbimento dissociativo (che si
manifesta sotto forma di trance o semi-trance), le immagini artistiche
immagazzinate nella propria “memoria estetica”, attivando in maniera
speculare il suo sistema psicomotorio: tale processo renderebbe il soggetto in
grado di riprodurre le immagini mentali attraverso movimenti automatici ed
involontari del tutto inconsapevoli. Infatti gli artisti medianici “possiedono
capacità artistiche subconsce che non riescono ad esprimere consapevolmente,
e che necessitano per emergere di un livello un po’ abbassato di coscienza (la
trance, anche leggera, per esempio). In questa condizione essi sarebbero in
grado di dipingere riproducendo lo stile di maestri defunti di cui con ogni
probabilità conoscono le opere, anche se hanno dimenticato di averne visto le
riproduzioni” (Giovetti, 1982, p. 86; Eisenbeiss & Hassler, 2006). In
quest’ultima affermazione, si accenna ad un fenomeno che, secondo la nostra
ricerca, potrebbe contribuire a completare il quadro esplicativo dei fenomeni
di automatismo creativo, quello della criptomnesia, di cui si parlerà più avanti.
In altre parole: le abilità artistiche latenti, che si manifestano attraverso
l’attivazione di automatismi psicomotori da parte di un soggetto inesperto
d’arte, si traducono in azione involontaria esprimendosi attraverso azioni
motorie finalizzate alla riproduzione artistica (sotto forma di disegni o dipinti)
di immagini mentali presenti nella “memoria estetica”: il soggetto riproduce
(o meglio “riflette”) ciò che osserva nella propria mente. Poiché tale processo
creativo si attiva solo attraverso uno stato modificato di coscienza, il soggetto
non ha alcuna consapevolezza o ricordo cosciente di tale processo, che
avviene in maniera del tutto automatica.
A livello psicocognitivo, la fissazione delle immagini mentali, che il soggetto
recupera dalla propria “memoria estetica” nel corso della sua nello stato
modificato di coscienza, attraverso il quale si attuano i processi di
automatismo creativo tipici dell’arte medianica, avverrebbe presumibilmente
per
mezzo
di
passate
esperienze di
fruizione
estetica,
acquisite
inconsapevolmente dal soggetto a livello subliminale: l’individuo stesso non
231 | P a g .
ricorda, a livello cosciente, di aver osservato e memorizzato tali immagini, ma
può accedere ad esse se immerso in uno stato modificato di coscienza, che è
in grado di abbassare le barriere frapposte dall’Io cosciente. Questo processo
si realizzerebbe attraverso l’osservazione di immagini, oggetti ed opere d’arte,
che verrebbero memorizzate ed introiettate inconsapevolmente dal soggetto
percipiente all’interno della “memoria estetica”, dove resterebbero
temporaneamente immagazzinate, fino a quando non vengono recuperate in
particolari condizioni di attivazione. Le abilità creative latenti, manifestate
dall’individuo nel corso dei fenomeni di arte medianica, si baserebbero
dunque su dati estetici già acquisiti inconsapevolmente dal soggetto,
attraverso un processo di apprendimento senza consapevolezza (Buckalew,
Finesmith & Sisemore, 1968).
Attraverso l’osservazione diretta e le evidenze sperimentali, è stato notato che
i fenomeni di automatismo creativo, specifici dell’arte medianica, denotano
uno stato di dissociazione psicomotoria, che si evidenzia attraverso movimenti
“automatici”, meccanici, rapidi e convulsi, compiuti al di fuori del controllo
cosciente dell’individuo. Tali fenomeni di automatismo si manifestano
attraverso due modalità:
1) all’improvviso
ed
involontariamente,
ovvero
senza
alcuna
preparazione o aspettativa da parte del soggetto, nè alcun intervento o
sollecitazione esterna, come una specie di crisi epilettica, anche se
(come questa) spesso preannunciati da specifici sintomi di natura
prodromica (ad esempio, l’aura);
2) attraverso una fase preparatoria di concentrazione, meditazione o
preghiera (a volte di gruppo), durante la quale il soggetto si predispone
volontariamente ad accogliere il manifestarsi del fenomeno, senza
opporre alcuna resistenza o barriera psicologica.
In entrambi I casi possono manifestarsi dei segnali anticipatori, che preludono
al verificarsi del fenomeno maggiore (così come l’aura precede una crisi
epilettica). L’individuo può quindi apparire:
232 | P a g .
a) dissociato dalla realtà, ovvero il soggetto è apparentemente vigile e
cosciente, ma sembra assente ed insensibile agli stimoli ed alle
sollecitazioni esterne, essendo appunto immerso in uno stato
modificato di coscienza;
b) cosciente, ma privo di controllo sulle proprie azioni e movimenti, come
se fosse in qualche modo forzato (o “posseduto”) da un’entità a lui
estranea: l’opera d’arte si materializza progressivamente davanti ai suoi
occhi in maniera automatica ed incontrollata, senza che lui possa
impedirlo.
Dopo la manifestazione del fenomeno di automatismo, il soggetto, rientrato
nel suo stato di coscienza ordinario, può:
1) ricordare ciò che è accaduto, ma come se avesse osservato se stesso
dall’esterno, pur senza riuscire a controllare volontariamente il proprio
operato, ossia mantenendo intatte le proprie capacità metacognitive;
2) essere del tutto inconsapevole del processo creativo messo in atto e non
ricordare affatto quanto sia accaduto, acquisendone consapevolezza o
attraverso l’opera stessa (che non riconosce essere stata creata da lui),
o attraverso il racconto dei presenti, che hanno assistito al fenomeno e
sono stati testimoni della sua performance creativa.
Come è stato osservato, i fenomeni di arte medianica si manifestano, nella
maggior parte dei casi, senza la partecipazione cosciente e consapevole degli
autori e presentano delle caratteristiche completamente al di fuori degli
standard di creatività artistica ordinaria, socialmente accettati (e proprio per
questo destano stupore e meraviglia nel pubblico): quando tali soggetti
iniziano a lavorare, essi non hanno la consapevolezza di ciò che sta accadendo
ed anzi (spesso all’inizio della manifestazione dei fenomeni) ne sono
spaventati, in quanto, almeno apparentemente (ossia a livello cosciente), non
possiedono le conoscenze artistiche e/o tecnico-stilistiche che caratterizzano
normalmente il lavoro di un artista ordinario (sia esso un professionista o
dilettante): “il soggetto, vivendo un’esperienza di automatismo motorio e
raffigurativo, un’esperienza, quindi, di qualcosa che è al di fuori della sua
233 | P a g .
volontà (come atto motorio), e della sua coscienza (come atto di
raffigurazione), tende ad attribuirla ad una forza estranea” (Peduto, 1979, p.
73). In tali soggetti la creatività fluisce in modo spontaneo e automatico: gli
artisti medianici sembrano lavorare “a memoria”, come se vedessero in
anticipo (a un livello metacosciente) il risultato del proprio lavoro, ma in
realtà, a livello cosciente, essi non hanno alcuna idea del risultato finale dei
propri automatismi motori, che osservano come se si trovassero al di fuori di
se stessi: l’opera d’arte si materializza progressivamente davanti ai loro occhi
attraverso un processo di creazione automatica basato su movimenti rapidi,
meccanici, concitati e convulsi, spesso usando separatamente le due mani,
oppure utilizzando anche i piedi. I soggetti sembrano essere in preda ad un
raptus e ad un ritualismo gestuale ossessivo e delirante, prendendo coscienza
di quanto accaduto solo nel momento in cui la trance scompare ed il lavoro è
terminato, ma senza riuscire a dare una spiegazione logica di quanto sia
avvenuto, nè dei contenuti rappresentati nei disegni/dipinti, nè del motivo per
cui lo hanno fatto (Giovetti, 1982). Non esistono infatti bozzetti o schizzi
preliminari dell’opera e, durante l’esecuzione, non viene effettuata alcuna
modifica, correzione o cancellazione in quanto il lavoro viene realizzato “di
getto”: l’opera nasce già compiuta (perchè già esiste da principio nella mente
dell’artista, che non deve far altro che osservarla e riprodurla), ovvero il
prodotto creativo risulta essere già definitivo e concluso, come se fosse ben
presente apriori agli occhi dell’artista, che non ha fatto altro che “ricopiare” la
sua visione mentale, pur senza rendersene conto. E, come già detto, è proprio
tale correlazione tra osservazione di un’immagine mentale ed azione graficopittorica che ha fatto ipotizzare un coivolgimento dei neuroni specchio nei
fenomeni di automatismo creativo, propri dell’arte medianica.
Le modalità di esecuzione delle opere presentano di solito uno schema
esecutivo di tipo “morfogenetico”, iniziando con abbozzi di linee tracciate in
punti differenti del foglio o della tela, in maniera disordinata e incomprensibile
(spesso scarabografica), per poi essere coordinate all’improvviso in maniera
velocissima, confluendo in strutture dotate di senso, acquistando via via una
configurazione sempre più logica, coerente e ordinata, per poi risolversi in
234 | P a g .
rappresentazioni figurative riconoscibili. Questo aspetto risulta ancora più
evidente quando il soggetto è in grado di riprodurre contemporaneamente due
opere diverse utilizzando separatamente entrambe le mani, come è possibile
vedere nelle registrazioni video che ritraggono pittori brasiliani come Luiz
Antonio Gasparetto e Florêncio Anton Neto: in questo caso è evidente che
entrambi gli emisferi cerebrali stanno lavorando contemporaneamente (Anton
Neto, 2007a, 2007b, 2011; Gasparetto, 2008, 2009, 2013).
A volte l’artista (specie quando non riproduce lo stile di opere di famosi artisti
del passato) parte da un punto focale, aggiungendo progressivamente nuovi
elementi, miniaturizzandoli e replicandoli centinaia di volte in maniera rapida
e ossessiva, dando al dipinto una caratterizzazione stilistica particolare e molto
ricorrente nelle opere di arte medianica (una sorta di cifra stilistica
riconoscibile e specifica di questo tipo di opere, che identifica l’autore
dell’opera come un artista medianico, pur assomigliando sotto certi aspetti ad
opere di arte psicopatologica). Ovviamente l’artista non si rende conto degli
automatismi creativi, nè del processo creativo messo in atto, il quale, per la
rapidità e convulsività dei movimenti utilizzati (e spesso anche per la tipologia
di rappresentazione dell’opera), ricorda lo schema esecutivo tipico dell’arte
psicopatologica prodotta da pazienti psichiatrici.
Spesso le opere d’arte vengono create in condizioni impossibili per qualsiasi
artista “normale”. Esse possono essere realizzate al buio, o dipinte al contrario,
specularmente, sottosopra. Spesso non si nota alcuna differenza tra un’opera
d’arte “convenzionale” ed un’opera di arte medianica, specie nel caso della
produzione di soggetti d’arte figurativa o nel caso dei pittori-medium
brasiliani che riproducono lo stile di famosi artisti del passato: le opere di arte
medianica sono del tutto simili alle opere d’arte ordinaria e sembrano dipinte
attraverso il procedimento tecnico normalmente utilizzato da un artista di
professione, dotato di una propria formazione artistica. In altri casi il lavoro,
a causa delle distorsioni delle immagini contenute nei dipinti, presenta delle
forti analogie con lo stile surrealista, o è simile ad opere realizzate da artisti
convenzionali sotto l’effetto di sostanze psicotrope o allucinogene (come
l’LSD, capace di indurre visioni psichedeliche e deformanti della realtà, come
235 | P a g .
le rappresentazioni dei quadri surrealisti) o, prodotte da artisti affetti da
particolari disturbi psichiatrici o malattie mentali (somigliano infatti alle opere
di “arte irregolare” o Outsider Art). Alcuni artisti, soprattutto gli artisti
brasiliani dei circoli spiritici kardeciani, dipingono opere che riproducono
esattamente lo stile di famosi artisti del passato, come Toulouse-Lautrec, van
Gogh o Modigliani, firmando addirittura le opere con la loro calligrafia
originaria (e questo ha fatto pensare ad un’origine paranormale di tali
fenomeni creativi). Altri artisti dipingono invece ritratti di persone a loro
sconosciute, che vengono solitamente riconosciute come i parenti defunti di
qualche persona presente tra il pubblico che assiste all’esibizione. Questo
avvalora ancora di più nell’immaginario collettivo la credenza che tali pittori
siano “posseduti” o guidati da entità spiritiche disincarnate ad essi estranee,
che guidano la loro mano, come i famosi artisti del passato ormai defunti.
Le tecniche grafiche e pittoriche attraverso cui si manifesta l’arte medianica
sono comunque molto differenti. L’arte espressa dai pittori medianici può
essere: figurativa, surreale, visionaria, simbolica, geometrica, onirica,
calligrafica, decorativa, morfogenetica, mista (Egidi, 1953). Lo stile di gran
parte di esse è assimilabile in gran parte a quello “contemporaneo”, sia per la
semplificazione del linguaggio espressivo, sia per la libertà degli schemi
compositivi utilizzati: infatti, l’arte contemporanea nasce come distacco dalle
forme canoniche dell’arte classica, ricerca della semplicità, spontaneità ed
istintività, desiderio di un ritorno al linearismo e graffitismo dell’arte
primitiva, ma anche ricerca ed esplorazione delle profondità recondite della
psiche umana, come risulta evidente nel caso del Surrealismo, che rappresenta
un esplicito tentativo di far emergere il mondo degli archetipi, del sogno e
dell’inconscio; oppure nel caso dell’Arte Naïf che, come l’arte infantile
prodotta dai soggetti in età evolutiva, rifugge da regole formali e procedure
tecniche, apprese attraverso una formazione scolastica di tipo specialistico ed
è pervasa da una spontanea genuinità, lontana dagli schemi logico razionali e
dalla rigida formazione accademica (così come propugnato dai movimenti
artistici d’avanguardia, come il Dadaismo).
236 | P a g .
Lo stile rintracciabile nelle opere prodotte attraverso gli automatismi creativi
che caratterizzano l’arte medianica appare comunque molto simile
all’espressione pittorica psicopatologica, la cosiddetta Art Brut o Outsider Art,
definita anche arte “irregolare” in quanto prodotta da artisti affetti da disordini
mentali o disturbi psichiatrici: come si diceva, una particolarità riscontrata in
molti artisti è la miniaturizzazione degli elementi grafico-pittorici e la loro
ripetizione e/o duplicazione ossessiva, quasi maniacale; il che farebbe pensare
ad una forma di espressione artistica di tipo psicopatologico o
neuropsichiatrico.
Per quanto riguarda specificamente il caso dei pittori brasiliani, la loro arte
non può essere separata dal contesto socio-culturale, ma soprattutto religioso
di appartenenza, ossia dalle associazioni o comunità spiritistiche tipiche del
Brasile, i cosiddetti Centros (centri di spiritualità ispirati agli insegnamenti del
pedagogista francese Allan Kardec), che agiscono da veri e propri “incubatori”
per tali forme di espressione creativa, al punto tale che esistono delle vere e
proprie “scuole” dove gli artisti medianici verrebbero “iniziati” attraverso
suggestionanti sessioni di medianità (Hess, 1991; Wickramasekera, Krippner,
& Wickramasekera II, 1997; Hageman, Wickramasekera II & Krippner,
2011). I pittori-medium brasiliani sono infatti in grado di riprodurre lo stesso
stile di famosi artisti del passato ormai scomparsi, il che avvalorebbe ancora
di più la diffusa interpretazione popolare (molto radicata nell’immaginario
collettivo, a causa dell’influenza esercitata dalla propaganda dei gruppi
spiritisti e dalla spettacolarizzazione dei fenomeni ad opera dei mezzi di
comunicazione di massa) di trovarci di fronte ad artisti ispirati da entità
disincarnate e spirituali. L’interpretazione dei fenomeni di arte medianica è
ingenuamente spiritistica, proprio perchè risponde alla credenza popolare
(molto diffusa in Brasile) nell’esistenza di una vita oltre la morte: l’arte
medianica sarebbe dunque una forma di comunicazione tra i viventi e l’aldilà,
e l’artista è ritenuto essere un medium (channeler), ossia un intermediario o
canale di comunicazione tra il mondo dei viventi e quello degli spiriti. Tale
convinzione è avvalorata dal fatto che gli artisti medianici sono in grado di
237 | P a g .
dipingere utilizzando lo stile di famosi pittori scomparsi, come se fossero
appunto “posseduti” dai loro spiriti (Parra, 2009; Eisenbeiss & Hassler, 2006).
L’approccio scientifico di tipo biopsicosociale ai fenomeni di automatismo
creativo tipico dei circoli spiritici kardeciani, utilizzato dall’équipe di
ricercatori del Dipartimento di Psicologia Sociale dell’Università di San Paolo
del Brasile (Maraldi, Machado, & Zangari, 2010; Maraldi & Krippner, 2013),
ha fornito interessanti spunti per la comprensione delle manifestazioni di arte
medianica brasiliana a livello etno-culturale e psico-religioso. Infatti, lo studio
di caso effettuato sul medium-pittore brasiliano José Jacques Andrade ha
restituito un quadro abbastanza chiaro dei processi neurologici e
biopsicobiologici che si verificano nel soggetto nel corso delle manifestazioni
di arte medianica: gli elevati punteggi ottenuti nel DES (Dissociative
Experiences Scale), ossia il test di misurazione delle esperienze dissociative,
hanno evidenziato quanto la personalità del suddetto pittore medianico sia
caratterizzata da tratti dissociativi. D’altro canto, come già sopra evidenziato,
la dissociazione creativa riscontrata nei pittori medianici non ha
necessariamente una natura psicopatologica, essendo caratterizzata da una
varietà di oscillazioni rispetto al continuum di esperienze psichiche, situate
nell’intervallo tra i due estremi di “normalità” e “anormalità”, ed è spesso
positivamente correlata al possesso di elevati doti creative da parte del
soggetto, a conferma di una predisposizione di natura neurobiologica del
quadro dissociativo che conduce ai fenomeni di automatismo creativo
(Ortoleva & Testa, 2003; Montagnolo, 2005).
Riepilogando, lo schema che descrive sinteticamente le fasi del processo
attraverso cui si manifestano gli automatismi creativi tipici dei pittori
medianici che, assorti in uno stato modificato di coscienza, sono in grado di
creare automaticamente dipinti o disegni pur senza avere alcuna conoscenza
tecnica e/o stilistica, è il seguente:
1. Fissazione involontaria ed inconsapevole di immagini mentali di natura
estetica all’interno di una specifica area della memoria, definita come
“memoria estetica”;
238 | P a g .
2. Accesso alle immagini mentali contenute nella “memoria estetica”
attraverso lo stato di coscienza modificato del soggetto (definito come
“trance estetica” o “dissociazione creativa”), che può essere indotto o
autoindotto per mezzo di concentrazione, pratiche meditative, ipnosi,
rituali, preghiere, assunzione di sostanze allucinogene e psicoattive, o
altro.
3. Visione “interna”, da parte del soggetto immerso in uno stato
modificato di coscienza, delle immagini mentali recuperate nella
“memoria estetica”.
4. Attivazione delle abilità artistiche latenti, che rendono il soggetto in
grado di riprodurre, per mezzo di un processo di automatismo esecutivo
di tipo speculare, immagini mentali immagazzinate nella “memoria
estetica”, superando così i limiti imposti dallo stato di coscienza
ordinario.
5. Riproduzione (grafica o pittorica) delle immagini mentali visualizzate
dal soggetto attraverso automatismi esecutivi, basati su un meccanismo
di “rispecchiamento” delle immagini in grado di attivare il sistema
psicomotorio
dell’individuo,
il
quale
traduce
specularmente
l’osservazione delle immagini mentali in azione pittorica attraverso
gesti/movimenti esecutivi involontari e automatici in grado di replicare
le visioni, mettendo in atto modalità funzionali tipiche dei neuroni
specchio basate sul meccanismo osservazione > azione.
6.5 La criptomnesia
Un’altra elemento che potrebbe contribuire a spiegare i fenomeni di
automatismo creativo tipici dell’arte medianica, rafforzando ancora di più
l’ipotesi del coinvolgimento dei neuroni specchio (e delle loro capacità di
fissazione “fotografica”) e gettando nuova luce sui processi di generazione
creativa degli artisti medianici, è quello della criptomnesia (Jung, 1970).
239 | P a g .
Questo fenomeno psichico, che costituisce un disturbo dei processi funzionali
della memoria (speculare a quello del “falso riconoscimento” o falsa
attribuzione), fornirebbe all’artista medianico la sensazione di non riconoscere
le raffigurazioni delle opere da lui realizzate, attribuendole alla vita di altre
persone, di solito defunte, mentre in realtà queste trarrebbero origini dai suoi
stessi ricordi latenti, da esperienze vissute in prima persona o da frammenti di
memoria che riaffiorano dal proprio inconscio, di cui però l’artista non ha
consapevolezza. L’inaccessibilità ai propri ricordi coscienti, determinata dalla
criptomnesia (e quindi il mancato riconoscimento della propria opera da parte
dell’artista medianico), confermerebbe l’esistenza di una “memoria estetica”
inconsapevole ed inaccessibile al soggetto in stato di coscienza ordinario.
L’introiezione subliminale di specifici contenuti estetici (determinata, nel caso
degli artisti medianici, da uno specifico asset o struttura neurale che li
renderebbe “ipersensibili” al dato estetico), come aver visto un’opera d’arte in
un museo, su un giornale o in televisione, oppure aver osservato
inconsapevolmente un pittore dipingere, fa sì che la mente assorba e registri
in modo inconsapevole delle informazioni che, nel momento in cui riaffiorano
alla coscienza, non vengono riconosciute dal soggetto come parte integrante
della propria esperienza percettiva pregressa o del proprio bagaglio di
conoscenze, per il semplice fatto che non le ricorda a livello cosciente: il
cervello ha quindi archiviato tali informazioni in maniera involontaria, ma il
soggetto non ne è consapevole perché non ha contestualizzato in modo
cosciente e attento l’evento percettivo (Brown & Halliday, 1991; Schacter,
2002; Bredart, Lampinen, & Defeldre, 2003): si tratta quindi di una
“conoscenza subliminale”, ovvero una forma conoscenza inconsapevole che
si stratifica nella memoria del soggetto senza che questo se ne renda conto .
Come già spiegato approfonditamente, sarà poi il particolare asset neurale di
alcuni individui a determinare la selezione focalizzata di contenuti estetici: i
dati estetici vengono filtrati attraverso percezione della somma stimoli
provenienti dall’ambiente per mezzo di un processo di selezione automatica a
livello neurale, del quale l’individuo non ha consapevolezza e non conserva
ricordo cosciente. Tale processo cognitivo è noto come neural binding: nel
240 | P a g .
caso specifico della memorizzazione inconsapevole di alcuni dati (quelli
estetici) anzichè di altri, è possibile ipotizzare un fenomeno di disaggregazione
percettiva operata inconsapevolmente dal soggetto percettore, che non
riuscirebbe ad integrare nella propria memoria tutte le informazioni complete
derivanti dalla propria esperienza percettiva, ma fisserebbe soltanto quelle di
natura estetica. Infatti, secondo l’ipotesi del neural binding, i segnali neurali
generati dall’esperienza percettiva sarebbero accoppiati attraverso oscillazioni
sincronizzate dell’attività neuronale, le quali si combinano e si ricombinano
per consentire un'ampia varietà di risposte a stimoli dipendenti dal contesto
percettivo, ma soprattutto per fornire all’individuo una corretta codifica ed
interpretazione dei dati provenienti dalla realtà attraverso l’esperienza.
(Varela, 1995; Singer, 1999; Engel & Singer, 2001; Muller et al., 2001; Ward,
2003). Nel caso degli artisti medianici, tale sincronizzazione, che
consentirebbe un’esperienza percettiva completa e integrata (costituita
appunto dall’integrazione dei segnali neurali derivanti dagli stimoli percettivi
filtrati integralmente dalla realtà), nonchè dal ricordo integrale e globale di
tale esperienza coesiva, non avverrebbe, o meglio avverrebbe in maniera
selettiva e focalizzata rispetto ai soli stimoli estetici (Newman & Grace, 1999).
Questo scompenso di natura neurale sarebbe anche la causa delle esperienze
allucinatorie vissute dagli artisti medianici, nonché dei comportamenti guidati
da azioni involontarie, quali appunto gli automatismi creativi. La stessa
disfunzione potrebbe essere collegata agli stati dissociativi e disgregativi di
coscienza rilevati nei pazienti schizofrenici, caratterizzati appunto da
allucinazioni, distorsione della realtà, delirio e pensiero disorganizzato.
L’ipersensibilità estetica rilevata negli artisti medianici deriverebbe quindi da
una mancanza di attivazione sincronizzata delle reti neurali; tale disfunzione
causerebbe un’anomala focalizzazione dell’attenzione percettiva sui dati
estetici provenienti dalla realtà, anziché sulla loro configurazione integrata,
inducendo il soggetto a selezionare inconsapevolmente ed unicamente le
informazioni di natura estetica, filtrandole attraverso la miriade di stimoli che
raggiungono il cervello per mezzo dell’esperienza percettiva globale. Tali
informazioni verrebbero poi immagazzinate nella “memoria estetica”, pronte
241 | P a g .
a riemergere in particolari stati di attivazione. L’ipersensibilità estetica
costituisce dunque la caratteristica fondamentale degli individui nei quali si
manifestano gli episodi di automatismo creativo: si tratta di una spiccata
sensibilità al dato e all’apprezzamento estetico, che pur confermando i
fondamenti biologici della percezione estetica (Eibl-Eibesfeldt, 1988), va al di
là degli standard di percezione estetica normalmente sperimentati da soggetti
ordinari, in quanto determinerebbe un aumento abnorme dell’oscillazione
Figura 88. Attivazione della corteccia prefrontale
rispetto ad uno stimolo “bello”
Figura 89. Attivazione della corteccia prefrontale
rispetto ad uno stimolo “non-bello”
delle onde cerebrali normalmente coinvolte nei processi di apprezzamento
estetico, che interessano la corteccia prefrontale del cervello, come rilevato
dagli studi effettuati attraverso l’utilizzo della magnetoencefalografia
(MEG), che hanno messo in luce la differente attivazione di tale area
cerebrale in individui sottoposti a stimoli estetici caratterizzati da differenti
condizioni di apprezzamento estetico (bello vs. non-bello) (Cela-Conde et
al., 2004; Rosselló-Mir et al., 2015).
La mancanza di ricordo consapevole da parte dell’individuo (criptomnesia),
così come l’inconsapevolezza del processo di produzione artistica, che
avviene in stato modificato di coscienza attraverso automatismi esecutivi di
tipo meccanico, implica di conseguenza il mancato riconoscimento dell’opera
d’arte: l’artista medianico, non riconoscendosi come l’autore dell’opera da lui
stesso creata, tenta quindi di dare una spiegazione al fenomeno da lui vissuto
attribuendolo ad una forza misteriosa, a uno spirito-guida o ad un’entità
disincarnata a lui estranei, creando nella sua mente una figura autorale che lo
242 | P a g .
spinge (o addirittura costringe) alla creazione dell’opera (Myers, 1892): egli,
a causa dello scompenso neurale nel processo di neural binding sopra
descritto, non ricorda i contenuti che fanno parte della sua esperienza
percettiva, nè li riconosce quando emergono sotto forma di creazione artistica
originale, riaffiorando in specifiche condizioni di attivazione. Sono
semplicemente filtrati in maniera subliminale attraverso i processi di
percezione visiva, senza lasciare traccia a livello cosciente (essendo appunto
memorizzati in quella che abbiamo definito “memoria estetica”), per poter
essere richiamati in maniera consapevole, come un normale ricordo o
contenuto della memoria: una memoria “dormiente” o latente che viene
improvvisamente attivata da specifici eventi o esperienze o in particolari stati
alterati di coscienza, come ipnosi, trance, dissociazione, absorption o altro
(Kampman, 1976; Mandler, 1994). L’accesso e l’attivazione di tali ricordi
“dormienti” può avvenire a vari livelli di coscienza, a seconda della profondità
di immagazzinamento dei dati estetici nella memoria: ad un soggetto potrebbe
essere sufficiente rimanere in uno stato di dormiveglia (come ad esempio nel
caso degli artisti che lavorano in condizione di semisonnambulismo), ad un
altro potrebbe invece essere necessaria un’ipnosi profonda e regressiva. Si è
addirittura avanzata l’ipotesi di una trasmissione genetica di tale memoria.
Il fenomeno della criptomnesia può anche contribuire in parte a spiegare come
l’artista riesca a riprodurre e/o simulare perfettamente lo stile e la tecnica di
famosi artisti del passato, effettuando una sorta di plagio inconscio o
involontario (Brown & Murphy, 1989). Egli riporta alla luce i suoi ricordi
inconsapevoli e latenti, relativi ad opere di famosi artisti scomparsi, sotto
forma di opera d’arte originale, costruendo e generando l’immagine mentale
attraverso frammenti di memoria inconsapevolmente catturati in una sorta di
“foto istantanea”, che imprime i suoi contenuti indipendentemente dalla
volontà dell’individuo, superando i limiti della percezione cosciente (Marsh,
Landau & Hicks, 1997). In certi casi, la creazione può essere così perfetta e
aderente al modello originario immagazzinato in maniera subliminale nella
memoria latente del soggetto (il quale potrebbe aver visto le opere d’arte di
famosi maestri del passato su un libro, in televisione, al cinema, in rete o in un
243 | P a g .
museo, ma non ricorda tale esperienza visiva), da essere facilmente attribuita
a tali artisti, creando il fenomeno dell’arte medianica, nel corso del quale
l’artista percepisce di essere “posseduto” dallo spirito dell’artista famoso che
dipinge attraverso di lui. Ma, in realtà, la sorgente dei ricordi è lo stesso artista
medianico (Macrae, Bodenhasen & Calvini, 1999).
Poiché la criptomnesia è strettamente legata i processi di percezione visiva e
di visualizzazione mentale, è ipotizzabile un altrettanto stretto collegamento
con i neuroni specchio e la loro supposta capacità fotografica, una sorta di
memoria eidetica persistente grazie alla quale la mente sarebbe in grado di
fissare indelebilmente i dettagli di un’immagine (ad esempio quella di un
dipinto famoso visto, anche se incidentalmente, su un libro o in un museo),
senza la consapevolezza cosciente dell’osservatore. Nel campo dei fenomeni
paramnestici, un'altra variante che potrebbe interessare l’arte medianica è
invece la pseudomnesia, attraverso la quale il soggetto attribuisce alle sue
fantasie lo status di ricordi di situazioni che in realtà non ha mai vissuto, come
nel caso delle raffigurazioni di persone o paesaggi lontani nel tempo e nello
spazio, che l’artista afferma di conoscere o aver visto (ad esempio la
rappresentazione dei paesaggi gioviani o marziani realizzati da alcuni artisti
medianici del secolo scorso, tra cui il commediografo e pittore medianico
francese Victorien Sardou, descritto in § 4.1.2 ed illustrato dalle Fig. 37 e 38).
244 | P a g .
CAPITOLO SETTIMO:
CONCLUSIONI
7.1 Verso una neurobiologia degli automatismi creativi
Sino ad oggi non è ancora stato adeguatamente chiarito il meccanismo in
grado di attivare gli automatismi creativi degli artisti medianici, che sembra
aprire improvvisamente un “canale” tra il corpo e la mente, attraverso cui
fluisce quel mondo visionario ed immaginifico di contenuti apparentemente
misteriosi e inconsci, che si concretizzano materialmente nella produzione di
opere d’arte di indiscutibile valore estetico. Le ipotesi che sono state avanzate
fino ad ora, da noi sintetizzate nel quadro teorico delineato in questo lavoro di
ricerca, non hanno tenuto in debita considerazione la possibilità di un
convolgimento della sfera neurobiologica dei soggetti interessati dalle
manifestazioni di arte medianica. Proprio per tale motivo, sulla base della
metodologia di ricerca utilizzata e dopo un’attenta analisi ed interpretazione
di tutti i dati raccolti in tre anni di lavoro, si è giunti a sviluppare una nuova
ipotesi interpretativa, fornendo una diversa spiegazione scientifica ai
fenomeni di automatismo creativo: siamo infatti convinti che l’arte medianica
abbia delle basi neurali e che i neuroni specchio siano coinvolti nelle
manifestazioni di automatismo creativo sperimentate dagli artisti medianici.
Ma come si è giunti a formulare tale ipotesi?
Il quesito fondamentale che ha guidato il presente lavoro di ricerca, ovvero
come sia possibile riuscire a creare delle opere d’arte senza avere alcuna
conoscenza artistica, nè le competenze tecnico-stilistiche necessarie, ci ha
spinto a ricercare gli elementi comuni alle varie manifestazioni di arte
medianica, concentrando la nostra attenzione su quelli che ricorrevano con
245 | P a g .
maggior frequenza, indipendentemente dal contesto socioculturale e dal
periodo storico di riferimento. La ricorsività di tali elementi nella maggior
parte dei casi di studio analizzati, ci ha fatto intuire la possibilità di una origine
comune di tali fenomeni ed il fatto che tale matrice possa essere individuata
in fattori universali (ovvero potenzialmente presenti in tutti gli esseri umani),
quali appunto l’apparato neurobiologico e, in particolare, i neuroni specchio.
Dopo aver analizzato tutti i dati raccolti attraverso la metodologia di ricerca
descritta nel relativo capitolo del presente lavoro, e dopo aver valutato le
evidenze sperimentali ed i risultati degli studi condotti sino ad oggi anche da
altri gruppi di ricerca, si è giunti alla conclusione che la cosiddetta “arte
medianica” sia una forma di automatismo creativo determinato dalle
specifiche modalità di funzionamento dei neuroni specchio: infatti, come più
sopra evidenziato, tale classe di neuroni (di recente scoperta) determina la
simulazione/imitazione di azioni osservate o anche immaginate dal soggetto,
ovvero una corrispondenza di tipo simmetrico tra il dato osservato e le azioni
necessarie a simulare, imitare, riprodurre, replicare, emulare quanto osservato.
Ben prima della scoperta dei neuroni specchio, già Feltz & Landers (1983)
avevano messo in luce che l’immagine mentale di un’azione (ad esempio,
dipingere o disegnare) attiva virtualmente le stesse aree cerebrali coinvolte
nell’azione reale, evidenziando una correlazione tra osservazione e azione.
Si è dunque pensato che l’azione di disegnare o dipingere compiuta da
individui senza alcuna competenza tecnico-artistica potesse dipendere dal
tentativo di riprodurre immagini che fossero in qualche modo già presenti
(anche se a livello inconsapevole) nella memoria dei soggetti, ma non fossero
accessibili a livello cosciente (ovvero in uno stato di coscienza ordinario):
infatti, alcuni soggetti immersi in uno stato modificato di coscienza sono in
grado di dipingere o disegnare in modo automatico, come se osservassero
un’immagine mentale, traducendo inconsapevolmente l’osservazione mentale
in azione reale finalizzata alla riproduzione dell’immagine stessa attraverso
automatismi creativi del tutto involontari (come una sorta di riflesso
condizionato).
246 | P a g .
Poichè la correlazione tra osservazione è azione è una specifica funzionalità
dei neuroni specchio, allo scopo di confermare l’ipotesi della presente ricerca
si è voluto verificare se lo stesso processo di produzione artistica
inconsapevole e automatica (ossia messo in atto in assenza di apprendimento
specifico) fosse presente anche in soggetti non umani dotati di neuroni
specchio, ossia in animali che non potrebbero essere in grado di realizzare
consapevolmente disegni o dipinti, non potendo appunto sviluppare alcuna
competenza artistica al pari di un essere umano. Sorprendentemente, si è
scoperto che anche un altro essere vivente dotato di neuroni specchio è in
grado di disegnare o dipingere, pur senza avere alcuna competenza tecnica, nè
alcuna consapevolezza dei processi di creazione artistica: l’elefante.
Così come lo studio della simmetria tra azione ed osservazione nei macachi
ha permesso di individuare la classe dei neuroni specchio, che sono situati
nella corteccia parietale e frontale e, coinvolgendo le aree motorie e
premotorie del cervello (in particolare l’area di Broca), sono in grado di
tradurre l’osservazione in azione (Pellegrino et al., 1992; Rizzolatti et al.,
1996; Gallese et al., 1996;), l’osservazione diretta delle abilità artistiche di
esseri non-umani dotati di neuroni specchio come gli elefanti, in grado di
eseguire disegni e dipinti certamente non attribuibili ad alcuna formazione
tecnico-artistica (o consapevolezza estetica), confermerebbe l’esistenza di una
correlazione tra gli automatismi creativi (manifestati da soggetti senza alcuna
competenza artistica, come gli artisti medianici) e i neuroni specchio.
È pertanto ipotizzabile che le aree motorie e premotorie del cervello che
rispondono all’osservazione diretta, traducendola una corrispondente azione
di tipo imitativo, siano coinvolte anche nell’attivazione degli automatismi
creativi finalizzati alla riproduzione estetica da parte di soggetti senza alcuna
competenza artistica: tale processo di rispecchiamento di immagini mentali in
azione pittorica appare sostanzialmente simile sia negli elefanti che negli
artisti medianici. Ma come è possibile che gli elefanti siano in grado di
disegnare o dipingere? Anche se si tratta di imitazione e non di creazione
intenzionale, consapevole o immaginativa (infatti è lo spettatore che
attribuisce un significato ed un valore estetico a tali prodotti), questi animali,
247 | P a g .
se opportunamente addestrati utilizzando il condizionamento operante per
favorire l’apprendimento di un comportamento “artistico” (Skinner, 1938),
sono in grado produrre disegni e dipinti raffiguranti figure ed oggetti
esteticamente rilevanti (riuscendo addirittura a rappresentare se stessi),
avvalorando ancora di più l’ipotesi dell’esistenza di quella che abbiamo
definito “memoria estetica”, ossia di un archivio mentale di immagini o
esperienze visive di natura estetica, inconsapevolmente impresse ed
introiettate attraverso meccanismi percettivi di tipo “fotografico”, mediante un
processo di scansione selettiva della realtà percepita che, nel caso dell’uomo,
sarebbe stimolato dai processi emozionali e di elaborazione simbolica
coinvolti nella percezione estetica del dato artistico (propri della nostra specie,
ossia in parte biologicamente determinati ed in parte culturalmente
condizionati), nel caso dell’animale dall’osservazione ed imitazione di
pratiche artistiche umane. In quest’ultimo caso, i meccanismi di fissazione
mnemonica (come la ripetizione di un disegno legata ad una specifica
memoria di lavoro) sfrutterebbero l’abilità dei neuroni specchio di tradurre
l’osservazione in azione, per cui il processo di esecuzione creativa di tipo
artistico non è frutto di semplice addestramento, basato sulla ripetizione
meccanica di azioni sequenziali apprese a memoria, ma è una riproduzione di
immagini mentali presenti nella “memoria estetica” dell’animale (Broughton,
2007). Il distacco dai processi attentivi della memoria consapevole da parte
del soggetto nel corso dei fenomeni di automatismo creativo, ovvero l’accesso
ad un altro livello di conoscenza non consapevole e ad un altro livello di
memoria, è stato rilevato per mezzo di alcuni esperimenti di neuroimaging
compiuti nel corso di fenomeni di scrittura automatica, che hanno messo in
luce una bassa attivazione delle aree cerebrali responsabili dell’attenzione e
delle attività di pianificazione durante il verificarsi dei fenomeni. Infatti,
durante lo svolgimento di un compito che richiede attenzione e accesso ad una
memoria consapevole (come quello della scrittura), sarebbe dovuto avvenire
il contrario: ciò testimonia che, durante lo stato dissociativo, il soggetto accede
effettivamente ad un altro tipo di memoria, inaccessibile allo stato cosciente
(Peres et al., 2012).
248 | P a g .
La possibilità di accedere a questa “memoria estetica”, permetterebbe dunque
di osservare le immagini mentali ivi immagazzinate e riprodurle nella realtà
attraverso un procedimento tecnico-esecutivo di tipo automatico, basato sulla
correlazione simmetrica tra osservazione e azione, ossia su una caratteristica
funzionale tipica dei neuroni specchio, com’è stato dimostrato dalle più recenti
ricerche nel campo delle neuroscienze, supportate dall’utilizzo delle tecniche
di visualizzazione cerebrale e neuroimaging (Rizzolatti & Craighero, 2004;
Rizzolatti & Sinigaglia, 2006; Oberman, Pineda & Ramachandran, 2007).
L’automatismo creativo (basato sull’apprendimento inconsapevole) sarebbe
dunque guidato dai processi funzionali tipici dei neuroni specchio, rivelando
quindi una matrice neurobiologica comune sia nell’uomo che in un altro essere
vivente dotato di neuroni specchio, come è stato dimostrato osservando gli
automatismi creativi nell’elefante. L’ipotesi di un coinvolgimento dei neuroni
specchio verrebbe inoltre confermata anche dal fatto che, come è stato
scientificamente appurato, i fenomeni psicofisici che anticipano le
manifestazioni di arte medianica (la cosiddetta “fase prodromica”), in
particolare le esperienze allucinatorie di tipo visivo o auditivo (come l’aura,
che di solito precede le crisi epilettiche, comportando alterazioni della
percezione), interessano maggiormente la corteccia e le aree temporali, ossia
proprio le aree cerebrali connesse all’attività biochimica dei neuroni specchio.
Ma perché quale motivo i fenomeni di automatismo creativo si manifestano
soltanto in alcuni individui? Sulla base dei dati raccolti, relativi ai casi di
numerosi studio esaminati, nonchè come già ampiamente descritto nel
presente lavoro, la maggior parte dei soggetti che sperimentano fenomeni di
creatività non-ordinaria si trovano immersi in uno stato modificato di
coscienza. Ciò significa che gli stessi individui non riescono ad accedere in
modo consapevole alle proprie abilità creative latenti in stato di coscienza
ordinario, o meglio, lo stato cosciente costituirebbe una barriera
all’estrinsecazione di tali facoltà: infatti nessun artista medianico è in grado di
disegnare/dipingere o di riprodurre i propri disegni/dipinti in stato di coscienza
ordinario, per il semplice fatto che, in tal caso, sarebbe un artista ordinario .
Poiché, nel caso dell’uomo, gli automatisi creativi si attivano attraverso uno
249 | P a g .
stato modificato di coscienza, si è ipotizzato che alcuni individui siano dotati
di un particolare asset o struttura neurale capace, in particolari condizioni di
attivazione e/o sollecitazione, di accelerare l’attività elettrobiochimica delle
aree cerebrali coinvolte nei processi di visione (tra cui, appunto, i neuroni
specchio), come accade ad esempio nelle esperienze di proiezione
extracorporea (OBE) di pre-morte (NDE), determinando un’ipereccitazione
delle aree cerebrali responsabili dei processi di visione, testimoniata
dall’aumento dell’oscillazione delle onde cerebrali gamma, delta e theta (le
onde coinvolte nei processi creativi), come è stato dimostrato nel corso di una
recente ricerca finanziata dal National Institutes of Health e dalla James S.
McDonnell Foundation, condotta da un gruppo di ricercatori della Medical
School dell’Università del Michigan nell’ambito del Neuroscience Graduate
Program (Borjigin et al., 2013), che ha messo in luce la capacità del cervello,
all’approssimarsi della morte clinica, di attivare un “circuito di emergenza” in
grado di far fronte all’ipossia e alla degradazione delle catene di glucosio in
un organismo morente. Il fatto che alcuni artisti medianici riferiscano di avere
visioni, allucinazioni o sperimentano percezioni extracorporee, che li
inducono a riprodurre con estrema lucidità immagini mentali dotate di
connotati estetici sotto forma di opere d’arte, è probabilmente dovuto ad un
processo analogo, ovvero ad una modificazione degli stati elettrofisiologici
del cervello: il loro asset neurale sarebbe in grado, in determinate condizioni
(come, ad esempio: stati di meditazione profonda, trance, pratiche di ipnosi o
autoipnosi, trip psichedelici e altro ancora), di attivare spontaneamente tale
“circuito di emergenza”, stimolando l’eccitazione delle aree cerebrali
responsabili dei processi di visione (che in questo caso non avverrebbe in
punto di morte), che determina l’accesso (proprio come avviene nei sogni
lucidi) a visioni mentali di natura estetica e ad abilità creative latenti di tipo
artistico: l’attivazione e/o modificazione dell’attività elettrofisiologica e
biochimica del cervello, determinerebbe un ampliamento delle proprie
capacità di visione, che si ripercuote a livello psicomotorio traducendosi negli
automatismi creativi tipici dell’arte medianica.
250 | P a g .
Il particolare stato di dissociazione creativa, definito anche “trance estetica”
(Pavese, 1955), che precede gli episodi di automatismo creativo degli artisti
medianici, verrebbe dunque indotto da particolari condizioni di attivazione
(interne o esterne all’individuo) in grado di innescare una modificazione
dell’attività biochimica ed elettrofisiologica del cervello, permettendo agli
artisti stessi di recuperare le immagini fissate ed immagazzinate in una
specifica area della memoria presumibilmente dedicata alla registrazione di
informazioni e dati di natura estetica, che abbiamo appunto definito “memoria
estetica”, traducendo le visioni mentali in impulsi psicomotori inconsapevoli
e automatici finalizzati alla creazione di disegni o dipinti conformi a tali
immagini attraverso i processi indotti di automatismo creativo (Grosso, 1997;
Braude, 2002).
Sulla base dell’analisi approfondita dei casi di studio sopra illustrati, i quali
hanno messo in luce gli elementi maggiormente ricorrenti nelle manifestazioni
di arte medianica, le principali condizioni di attivazione del suddetto stato di
dissociazione (o trance estetica), in grado di determinare gli automatismi
creativi negli artisti medianici, sono le seguenti:
a) meditazione profonda, ipnosi, auto-ipnosi, trance, tecniche di
condizionamento e/o manipolazione del pensiero;
b) credenze e fenomeni di suggestione ed autosuggestione;
c) influenza e condizionamento esercitati dal contesto sociale ed
antropologico-culturale di riferimento dell’artista (come, ad esempio,
le pratiche rituali fortemente suggestionanti sperimentate dai mediumpittori all’interno di particolari comunità, come i Centros ed i circoli
spiritici kardeciani in Brasile);
d) riti e pratiche religiose (Negro, Palladino-Negro & Louzã, 2002);
e) esperienze mistiche, ascetismo, esoterismo, pratiche spiritistiche e
rituali magici come lo sciamanesimo e il curanderismo (Maduro, 1983;
Cooperstein, 1996; Krippner, 2000 e 2007);
251 | P a g .
f) uso di particolari droghe o sostanze psicotrope, allucinogene,
enteogene o psichedeliche in chiave mistico-rituale, tipico di
determinati riti iniziatici, capaci di indurre l’estasi mistica e
l’ampliamento delle capacità creative dei soggetti assuntori;
g) traumi fisici, psichici o emotivi (specie se vissuti nel corso della prima
infanzia), come ad esempio: mancanza di affetto; perdita di un genitore;
educazione repressiva; violenza familiare; abusi e privazioni;
mancanza di stimoli, incoraggiamento o approvazione nello sviluppo
delle abilità individuali; basso status socio-economico.
In particolare, i fattori elencati al punto g) condurrebbero il soggetto a
sviluppare un basso livello di autostima e di fiducia nelle proprie capacità,
oltre che un senso di frustrazione, spingendolo a maturare un forte desiderio
di autoaffermazione, nonchè la volontà di emergere e distinguersi dagli altri,
come rilevato nel corso delle ricerche effettuate sui pittori medianici brasiliani
(De Oliveira Maraldi & Krippner, 2013).
In alcuni soggetti neurofisiologicamente predisposti, in presenza dei suddetti
meccanismi di attivazione, tali fattori possono portare all’emersione di abilità
creative latenti che si manifestano sotto forma di di manifestazioni anomale di
creatività non-ordinaria, come appunto i fenomeni di automatismo creativo
tipici dell’arte medianica, che vengono rafforzati dal sistema di credenze
dell’individuo e dall’influenza (mediante suggestione o condizionamento)
esercitata dall’appartenenza a sette o circoli iniziatici di natura spiritistica, che
esaltano la natura paranormale di tali manifestazioni creative, confermando ed
avvalorando il ruolo e l’influenza sociale dell’artista medianico nella comunità
di appartenenza, contribuendo a divulgare il messaggio spirituale del gruppo
e ad alimentarne la credenza in una vita oltre la morte, oltre che a rafforzare
nell’immaginario collettivo il ruolo istituzionalizzato e riconosciuto di
medium (o channeler), esercitato dell’artista medianico all’interno della
propria comunità spiritica (Almeida, Lotufo Neto, & Greyson, 2007; De
Oliveira Maraldi, 2014). È stato infatti accertato che la pressione esercitata da
tali condizionamenti sociali e religiosi può condurre l’individuo (attraverso un
processo di suggestione profonda) a modificare la sua stessa personalità,
252 | P a g .
rendendolo in grado di accedere ad abilità creative latenti (ossia sconosciute
allo stesso soggetto, in quanto non apprese a livello consapevole ed
inattingibili a livello cosciente), facendo emergere, attraverso i fenomeni di
automatismo creativo propri dell’arte medianica, capacità artistiche al di fuori
dell’ordinario in persone del tutto prive di competenze di natura tecnicoartistica o stilistica, che si manifestano dunque all’improvviso ed in modo
apparentemente inspiegabile (Dagnall, Munley, Parker, & Drinkwater, 2010).
Tale aspetto, di natura biopsicosociale, è stato chiaramente messo in luce dai
test psicodiagnostici somministrati al pittore medianico brasiliano José
Andrade dall’équipe di ricercatori del Dipartimento di Psicologia
dell’Università di San Paolo del Brasile (De Oliveira Maraldi & Krippner,
2013). Il condizionamento culturale, psicosociale e religioso operato su
soggetti neurofisiologicamente predisposti all’attivazione dei processi di
automatismo creativo, così come l’influenza esercitata dal sistema di credenze
all’interno di una determinata comunità, contribuirebbero dunque ad attivare
la particolare “ipersensibilità” di tali individui agli stimoli estetici provenienti
dall’ambiente esterno, rafforzando la capacità del soggetto di accedere ad uno
stato mentale che va al di là della soglia di coscienza, caratterizzato da un
ampliamento delle proprie capacità di visione cosciente: tale processo è stato
definito transliminalità, misurabile attraverso un test per il quale è stata
predisposta un’opportuna scala di misurazione, in grado di individuare i
soggetti maggiormente predisposti alla manifestazione di tali fenomeni
(Thalbourne, 2000a, 2000b; Thalbourne & Maltby, 2008).
Il condizionamento operato all’interno delle comunità spiritiste brasiliane
sarebbe talmente forte per alcuni individui, da determinare una trasmissione
“memetica” delle pratiche creative medianiche, avvalorata dal fatto che, in
alcuni casi, anche i familiari dell’artista medianico manifestano le stesse doti
di automatismo creativo, come ad esempio nel caso del pittore-medium
brasiliano Luiz Antonio Gasparetto (anche sua madre e suo fratello erano
automatisti!): è come se tali doti creative venissero in qualche modo apprese
e trasmesse all’interno della comunità (probabilmente grazie a specifiche
pratiche di ”addestramento mistico”), propagandosi come un meme, ovvero
253 | P a g .
dando luogo ad un fenomeno di replicazione delle stesse capacità in altri
soggetti appartenenti al medesimo gruppo culturale o religioso (Dawkins,
1976; Lumsden & Wilson, 1981; Cavalli-Sforza & Feldman, 1981; Ianneo,
1999; Dennet, 2007; Jouxtel, 2010). Non a caso la maggior parte degli artisti
medianici viventi è attualmente concentrata nelle comunità spiritiste
kardeciane in Brasile.
Tali circostanze consentirebbero addirittura di ipotizzare, in alcuni individui,
una predisposizione genetica dell’asset neurale in grado di determinare la loro
ipersensibilità estetica: la capacità di manifestare automatismi creativi
potrebbe quindi essere trasmissibile geneticamente, ma tale ipotesi è ancora
da dimostrare. Secondo Kretschmer (1931), per predisposizioni ereditarie, il
genio sarebbe dotato di una struttura psichica del tutto particolare, che gli
consentirebbe di generare, a un livello più elevato di altri, dei prodotti creativi
su cui è impresso il sigillo di una personalità rara e originale: se si eccettua il
caso della sindrome di Savant, molto spesso i casi di manifestazione di
eccezionali talenti artistici emergono in tenera età ed hanno dei precedenti
familiari (si pensi ad esempio ai “calcolatori prodigio”). A tal proposito è
interessante notare, da un punto di vista psichiatrico, che molti geni creativi
rientrano nel gruppo dei pazienti maniaco-depressivi, ciclotimici o affetti da
disturbo bipolare, caratterizzati dall’ampiezza delle fluttuazioni di umore e dal
rischio depressivo, fino ad arrivare al rischio suicida o a comportamenti di
natura suicidaria (corrispondenti allo stereotipo dell’artista sregolato e ribelle
o dell’artista “maledetto”), come nel caso di famosi pittori come Vincent van
Gogh o Mark Rothko, a conferma dello stretto legame tra arte e follia, che è
stato oggetto di numerosi studi in campo neuropsichiatrico (Akiskal &
Akiskal, 1988; Andreasen, 1988; Richards et al., 1988; Richards, 1994).
Come accade spesso ai “pittori prodigio” (di solito bambini), anche gli artisti
medianici manifestano i loro fenomeni creativi, apparentemente inspiegabili,
attraverso sintomi neurofisiologici di natura prodromica che precedono gli
episodi maggiori, come allucinazioni, aura, sogni lucidi, sonnambulismo o
semi-sonnambulismo. Infatti, come sostenuto da Kretschmer, “i prodotti
creativi dell’immaginazione artistica tendono ad emergere da un crepuscolo
254 | P a g .
psichico, da uno stato di coscienza attenuata e di minore attenzione agli stimoli
esterni. Inoltre stato è caratterizzato da una certa distrazione accompagnata da
una superconcentrazione ipnoide su un unico punto (attenzione focalizzata),
che offre un’esperienza puramente passiva, spesso di carattere visivo, scissa
dalle categorie di spazio e di tempo, di logica e volontà” (Kretschmer, 1931).
Anche l’auto-isolamento sociale dell’artista (come nel caso dei pittori
braminici indiani studiati da Maduro negli anni Settanta, più sopra descritti),
o l’appartenenza a sette o circoli di natura spiritica (come i Centros brasiliani,
oggetto di recenti studi condotti dal Dipartimento di Psicologia dell’Università
di San Paolo del Brasile), sono terreno fertile per la comparsa di psicosi che
possono condurre a manifestazioni creative anomale, eccezionali e al di fuori
dell’ordinario: questo, però, non significa affatto che l’artista medianico sia
un malato psichico, ma, piuttosto che possegga probabilmente una struttura o
asset neurale (di supposta natura genetica) che lo rende più vicino al genio
creativo.
Sulla base di quanto rilevato dalle più recenti ricerche di taglio biopsicosociale
a proposito delle comunità spiritiste brasiliane di derivazione kardeciana (da
cui proviene la maggior parte dei pittori medianici viventi), all’interno delle
quali viene operato un forte condizionamento psicologico sugli adepti, l’arte
medianica si configura quindi come un fenomeno psicoantropologico tipico di
uno specifico ecosistema culturale: l’influenza ed il condizionamento
esercitati in tali comunità su individui dotati di uno specifico asset neurale,
che li renderebbe “ipersensibili” al dato estetico (ossia capaci di registrare
inconsapevolmente le informazioni estetiche filtrate in maniera selettiva
dall’ambiente attraverso i processi di percezione visiva), permetterebbe di
attivare i processi di automatismo creativo, consentendo agli artisti medianici
di riprodurre le proprie visioni mentali attraverso uno tipico schema di
automatismo motorio inconsapevole ed involontario, basato su un processo di
corrispondenza tra l’osservazione delle immagini immagazzinate nella
“memoria estetica” e l’azione pittorica in grado di replicare tali immagini:
poichè le sperimentazioni neuroscientifiche hanno dimostrato che tale
processo di corrispondenza tra osservazione e azione è una tipica funzionalità
255 | P a g .
dei neuroni specchio, l’ipotesi formulata nel presente lavoro di ricerca, ossia
che i fenomeni di automatismo creativo caratteristici dell’arte medianica
potrebbero avere una matrice neurobiologica (essendo appunto basati su
patterns di funzionamento dei neuroni specchio), sembrerebbe essere
confermata. Tale conclusione può essere estesa anche ai casi europei di
automatismo creativo analizzati nel presente lavoro, ovvero a quei casi che, pur
lontani da un contesto antropologico-culturale permeato di cultura spiritica
(quale quello brasiliano), sembrano riflettere i medesimi meccanismi e processi
funzionali a livello neurobiologico, proprio perché basati sul sistema dei
neuroni specchio, che costituiscono il nostro comune patrimonio biologico.
Sulle base delle specifiche modalità di attivazione dei fenomeni di
automatismo creativo, l’arte medianica si configura quindi come una forma di
espressione “anomala” o non-ordinaria della creatività umana, la cui
psicogenesi, secondo l’ipotesi formulata in questo lavoro di ricerca, andrebbe
rintracciata in una particolare “ipersensibilità” estetica di alcuni individui,
neurofisiologicamente dotati di una particolare struttura neurale: il patrimonio
di immagini e di esperienze di natura estetica, stratificatesi nel tempo
attraverso un processo di selezione e registrazione inconsapevole di tali dati
all’interno della “memoria estetica” (di cui si è ampiamente discusso),
verrebbe quindi attivato inconsapevolmente attraverso gli stati modificati di
coscienza, che consentirebbero agli artisti medianici di accedere a questo tipo
di memoria. Il coinvolgimento del sistema dei neuroni specchio nei processi
di visione mentale, permetterebbe dunque di replicare e simulare le immagini
mentali registrate nella “memoria estetica” attraverso meccanismi di
automatismo creativo involontario, il cui risultato è la creazione
inconsapevole di opere d’arte, corrispondenti appunto alla visione di immagini
mentali di oggetti o esperienze estetiche reali.
Come già ampiamente discusso, la particolare “ipersensibilità” estetica degli
artisti medianici (probabilmente dovuta ad una disfunzione nei processi di
neural binding che, paradossalmente, renderebbero le loro capacità artistiche
davvero straordinarie), permetterebbe loro di filtrare in maniera selettiva ed
estremamente focalizzata i dati estetici provenienti dall’esperienza percettiva
256 | P a g .
esterna, fissando (come scatti fotografici) a livello inconsapevole immagini o
esperienze di natura estetica, immagazzinandole all’interno della “memoria
estetica” (analogamente a dati memorizzati in un computer), cui i soggetti
sarebbero in grado di accedere in determinate condizioni di attivazione o
attraverso specifici stimoli e/o processi di natura induttiva rispetto agli
automatismi creativi messi in atto (costituiti essenzialmente dagli stati alterati
di coscienza), riuscendo a riprodurre le proprie visioni mentali attraverso
meccanismi di riproduzione artistica basati su automatismi psicomotori,
caratterizzati a loro volta dall’estrema rapidità esecutiva con cui vengono
realizzate le opere di arte medianica.
Lo stato di “sospensione” temporanea di coscienza (o “dissociazione
creativa”), caratteristico della maggior parte degli artisti medianici, presenta
delle analogie con il fenomeno della rêverie (definito anche daydream, o
“sogno ad occhi aperti”), nel corso del quale il soggetto, dissociandosi dalla
realtà circostante ed immergendosi in uno stato di profondo assorbimento
estatico e derealizzazione, riuscirebbe a focalizzare la sua attenzione su
immagini mentali impresse nella “memoria estetica”, recuperando tutte le
informazioni esteticamente rilevanti e tecnicamente riproducibili (linee,
formato, luce, stile, colore, layout, etc.), attivando al tempo stesso i
meccanismi psicomotori in grado di guidare le sequenze di movimenti
necessari a riprodurre le immagini mentali visualizzate dal soggetto, attraverso
la creazione/duplicazione “automatica” dell’opera d’arte per mezzo di un
processo esecutivo di “dinamismo rituale” che guida l’automatismo creativo,
tipico dei fenomeni di arte medianica, i quali si verificano in uno stato di
dissociazione creativa, che favorisce l’accesso dell’individuo alla “memoria
estetica” e alle abilità creative latenti, in grado di tradurre l’osservazione delle
immagini mentali in azione grafico-pittorica involontaria.
Come già abbiamo visto, il concetto di “dissociazione creativa” (Grosso,
1997) non ha affatto una natura esclusivamente psicopatologica, ma si
configura come un continuum di esperienze di stati di coscienza diversi,
apparentemente scollegati tra loro (Bernstein & Putnam, 1986): l’artista
medianico non è uno psicopatico, uno soggetto psicolabile o un malato
257 | P a g .
psichiatrico, ma piuttosto un individuo neurobiologicamente dotato di una
particolare “ipersensibilità” estetica, che lo rende in grado di riprodurre le
proprie visioni mentali attraverso un processo di attivazione psicomotoria, che
si esprime per mezzo di automatismi creativi involontari, ai quali accede
inconsapevolmente attraverso uno stato modificato di coscienza.
L’accesso alle immagini presenti nella “memoria estetica”, che avviene in
stato modificato di coscienza producendo i fenomeni di automatismo creativo,
a loro volta guidati dai meccanismi di funzionamento dei neuroni specchio,
può essere indotto:
a) volontariamente, ossia per mezzo di processi di attivazione cosciente,
come meditazione profonda, preghiere, rituali, invocazioni, pratiche
spiritiche (che sono tutti meccanismi induttivi dotati di intensa capacità
di suggestione sull’individuo), oppure tramite l’assunzione di sostanze
psicotrope, allucinogene, psichedeliche o enteogene che, come si è
visto, producono nel soggetto un’alterazione più o meno profonda dello
stato di coscienza, funzionale al recupero delle informazioni estetiche
(criptate nella “memoria estetica”) e delle abilità creative latenti,
sconosciute ed inaccessibili al soggetto in stato di coscienza ordinario;
b) involontariamente, ovvero al di fuori del controllo cosciente
dell’individuo ed in presenza di particolari condizioni che ne
favoriscono l’attivazione, manifestandosi sotto forma di “attacchi”
improvvisi di creatività (simili a dei veri e propri raptus), che vengono
normalmente stimolati da un evento che funge da “innesco” o
catalizzatore, come ad esempio la visione di un’immagine evocativa,
analogamente a quanto avviene nei processi di ipnosi, nei quali tale
attivazione (in individui fortemente predisposti a suscettibilità ipnotica)
può essere indotta da una specifica parola (Hilgard, 1965).
In quest’ultimo caso, lo stato di attivazione involontaria susseguente alla
condizione di attivazione (arousal) permette al soggetto di accedere ad abilità
creative latenti inaccessibili allo stato cosciente. L’innesco infatti induce nel
soggetto lo stato modificato di coscienza che dà inizio al processo creativo
automatico: attraverso tale stato coscienziale, l’individuo può accedere alla
258 | P a g .
“memoria estetica” dando il via al processo di produzione automatica che,
come si è visto, è guidato dai meccanismi funzionali propri dei neuroni
specchio,
secondo
lo
schema
osservazione/visione
mentale
>
azione/riproduzione grafico-pittorica. Le abilità creative latenti che si
manifestano attraverso gli automatismi creativi tipici dell’arte medianica sono
basate sulla simulazione/riproduzione delle immagini mentali visualizzate dal
soggetto in stato modificato di coscienza, attraverso impulsi psicomotori che
si traducono in sequenze di movimenti finalizzati alla riproduzione artistica.
Come rilevato in alcuni casi di studio (tutti quelli non riconducibili ai Centros
brasiliani, i quali fungono da incubatori dei processi di automatismo per i
medium-pittori, che si nutrono di suggestioni spiritico-medianiche tipiche di
tale contesto socio-culturale e religioso), l’abilità creativa manifestata dai
pittori medianici, così come era apparsa, può anche scomparire
all’improvviso: allo stesso modo in cui il soggetto aveva manifestato
improvvisamente un eccezionale talento artistico attraverso la creazione
inconsapevole e involontaria di opere d’arte, altrettanto improvvisamente tale
talento sparisce ed il soggetto non è più in grado di realizzare alcuna opera,
non essendo più capace di disegnare o dipingere a livello cosciente (infatti non
ricorda di aver manifestato tale capacità, né di aver mai posseduto tale talento
o competenza artistica). Tra l’altro, sembrano non verificarsi più le condizioni
in grado di attivare i processi di automatismo creativo, ossia gli stati modificati
di coscienza. Esiste dunque un meccanismo, ancora sconosciuto, capace di
attivare o disattivare il fenomeno (una sorta di “interruttore” psichico), che
non sembra essere collegato ad alcun evento (o stato sintomatologico
specifico) relativo alla vita dei soggetti analizzati, cioè non è stato rilevato
nulla in grado di giustificare l’improvvisa scomparsa delle manifestazioni di
automatismo creativo. Solo un ulteriore approfondimento della neurobiologia
dei processi di automatismo creativo potrà fornire gli elementi utili alla
costruzione di un quadro noetico sufficientemente chiaro ed esplicativo.
Un altro elemento che nel corso della ricerca ha attirato la nostra attenzione, è
il fatto che le manifestazioni di arte medianica si verificano quasi
esclusivamente in individui appartenenti alle culture occidentali (soprattutto
259 | P a g .
in quelli di cultura neolatina), come dimostrato dalla numerosità dei casi
ricorrenti in Brasile, Francia e Italia. È come se i processi di “visione interna”
riscontrati negli artisti medianici, che sarebbero correlati, come si è visto, al
sistema dei neuroni specchio, in grado di tradurre la visione interiore in azione
pittorica automatica, siano in qualche modo già connaturati alle culture
orientali, fortemente permeate da sistemi di credenze e pratiche filosoficospirituali di ascetismo mistico e meditazione, attraverso cui l’individuo puo
entrare in contatto con la dimensione più profonda della propria coscienza (si
pensi al Buddhismo Zen o al misticismo ascetico induista), diventando quindi
poco ricettivo o “immune”, anche a livello psicofisico, rispetto ai fenomeni di
automatismo creativo, che invece ricorrono più frequentemente in individui
appartenenti a culture (quali appunto quelle occidentali) che non hanno
maturato nel proprio genoma culturale il livello di profondità interiore e
spirituale raggiunto dalle culture orientali, grazie appunto alla disponibilità di
sistemi filosofico-religiosi millenari e culturalmente radicati.
Inoltre, si è notata una particolare correlazione tra i casi di arte medianica e
quelli relativi alla Sindrome di Stendhal (detta anche Sindrome di Firenze, o
Hyperkulturemia), che deriva il suo nome dallo pseudonimo utilizzato dallo
scrittore francese Marie-Henri Beyle (1783-1842), che ne fu colpito per la
prima volta durante il viaggio compiuto in Italia nel 1817, fornendo una
descrizione dei sintomi nel resoconto della sua esperienza.12 Questo disturbo
neurologico di natura psicosomatica, individuato per la prima volta nel 1977
dalla psichiatra italiana Graziella Magherini, sarebbe dovuto ad un
sovraccarico di immagini artistiche (specie se concentrate in spazi ristretti) o
ad esperienze di fruizione estetica estremamente ravvicinate e compattate,
come appunto quelle vissute dai turisti che, in pochi giorni di permanenza,
sperimentano una full immersion nelle bellezze storico-artistiche di Firenze.
Tali circostanze (o eventi scatenanti) determinerebbero un vero e proprio
“cortocircuito” percettivo nell’individuo colpito (cultural overload): la
Sindrome di Stendhal descrive infatti tutta una serie di sintomi di natura
psicofisica che si verificano in individui prevalentemente occidentali in visita
12
Stendhal (1826). Rome, Naples et Florence. Paris: Delaunay.
260 | P a g .
a musei o gallerie d’arte, di solito turisti/viaggiatori solitari di sesso maschile,
di età compresa tra i 25 e i 45 anni, dotati di un buon livello di istruzione
scolastica (Magherini, 1989).
Il range sintomatologico di questa sindrome è molto vario e comprende sia
disturbi di natura psicotica, che esperienze di tipo nevrotico/dissociativo,
come ad esempio: percezioni e intuizioni di natura delirante, associate ad
allucinazioni visive e auditive, disturbi maniacali e ipomaniacali (euforia,
sensazione di estasi, delirio di onnipotenza), panico, ansia, fobia,
cenestofrenie, deliri olotimici e catatimici (ossia disturbi della sfera affettiva,
caratterizzati da depressione o senso di colpa e rovina). A livello neurologico,
l’eziologia di questa psicosi riguarderebbe la particolare sensibilità di alcuni
soggetti predisposti a meccanismi di distorsione percettiva, riferibili proprio
all’attivazione dei neuroni specchio, i quali verrebbero elicitati dal processo
di fruizione estetica, determinando appunto una sorta di “cortocircuito”
percettivo nell’individuo, ovvero una overdose di stimoli di natura estetica che
il soggetto non è in grado di decodificare adeguatamente (in quanto collegate
ad un sovraccarico di informazioni di natura artistico-culturale, concentratesi
nella mente dell’individuo), e che quindi scatenano la sintomatologia psichica
sopra descritta. L’alta concentrazione di opere d’arte in spazi ristretti e la
velocità di fruizione estetica in poco tempo disorienterebbero quindi
l’individuo, provocando un fenomeno di rifrazione interna in grado di
disorientare e destabilizzare l’equilibrio psicofisico del soggetto coinvolto: è
come se una stessa immagine si riflettesse e rifrangesse più volte nella mente
dell’individuo (analogamente a un gioco di specchi), attivando una
fenomenologia psicotica, che si manifesta attraverso percezioni abnormi e
sensazioni di tipo onirico o psichedelico (Nicholson, Pariante & McLoughlin,
2009; Gallese, Migone & Eagle, 2006; Innocenti et al., 2014).
In merito all’interpretazione neurobiologica della Sindrome di Stendhal, ed in
particolare a proposito del coinvolgimento dei neuroni specchio, è stato
osservato che “attraverso il meccanismo della simulazione incarnata mediata
dai neuroni specchio l'osservazione di un'opera d'arte potrebbe teoricamente
generare nell'osservatore in maniera automatica, non consapevole e pre-
261 | P a g .
riflessiva i medesimi stati emozionali consci od inconsci che il suo autore ha
voluto più o meno consapevolmente esprimere, in alcuni casi così intensi da
generare in soggetti predisposti quadri psicopatologici complessi come quelli
osservati nella sindrome di Stendhal. Anche l'interpretazione psicoanalitica
della sindrome proposta dalla Magherini riletta alla luce delle recenti scoperte
sui neuroni specchio e dei meccanismi relativi alla simulazione incarnata può
non apparire un costrutto totalmente privo di fondamento scientifico. Se è stato
dimostrato che provare una emozione e osservare la stessa emozione provata da
altri attivano la stessa struttura neurale, questi meccanismi potrebbero essere
utilizzati per spiegare l'empatia o fenomeni come l'identificazione proiettiva: il
“Fatto Scelto” nell'interpretazione psicoanalitica della sindrome di Stendhal
potrebbe rappresentare quel particolare dell'opera d'arte che elicita una
popolazione di neuroni specchio responsabile della simulazione di un
particolare stato d’animo nell'osservatore e del conseguente scatenamento della
sintomatologia psichica. Quello che va notato è che secondo la teoria della
simulazione incarnata da parte del soggetto non ci sarebbe alcuna intenzione
inconscia: l'empatia e l'identificazione proiettiva secondo questa teoria
sarebbero fenomeni automatici e ubiquitari ed in ogni relazione umana vi
sarebbe una induzione automatica di quello che l'altro prova”.13
In realtà esistono diverse varianti della “Sindrome di Firenze” (definita così in
quanto colpirebbe appunto i turisti in visita ai musei di Firenze), che
presentano una correlazione inversa rispetto alla presunta caratterizzazione
prevalentemente “occidentale” del fenomeno. Tali varianti sono: la cosiddetta
“Sindrome di Parigi”, la quale colpirebbe quasi esclusivamente i turisti
giapponesi (dunque orientali), in visita alla capitale francese (dovuta
probabilmente al disagio psichico, definito Pari shōkōgun, causato dalla
visione idealizzata di tale città, maturata nella cultura nipponica, e l’effettiva
percezione della città reale), oppure la “Sindrome di Gerusalemme”, collegata
ai disturbi psichici causati dall’intensa suggestione esercitata dal luogo
religioso, capace di indurre forti reazioni emozionali nei visitatori. Comunque
Il brano, riportato integralmente, è tratto dalla voce ”Sindrome di Stendhal”, reperita su
Wikipedia e disponibile al link: https://it.wikipedia.org/wiki/Sindrome_di_Stendhal
13
262 | P a g .
sia, tutti i quadri clinici sopra delineati hanno in comune l’insorgenza
improvvisa di uno scompenso psichico acuto, in grado di indurre forti reazioni
emozionali, scatenando la sintomatologia psichica descritta nei soggetti
colpiti. Ai fini della presente ricerca, è importante evidenziare il fatto che già
altri studi (non specificamente incentrati sugli automatismi creativi) hanno
messo in luce il coinvolgimento del sistema dei neuroni specchio nei processi
di percezione estetica: infatti, secondo l’ipotesi presentata in questo lavoro di
ricerca, esiste una stretta correlazione tra i neuroni specchio e i fenomeni di
arte medianica, ed i suddetti studi avvalorerebbe ancora di più la nostra ipotesi.
7.2 Riepilogo dei risultati raggiunti
Presentiamo qui di seguito un breve riepilogo dei risultati raggiunti attraverso
il nostro lavoro di ricerca, attraverso cui siamo arrivati alla formulazione di
una nuova ipotesi interpretativa di tipo neuroscientifico, relativa ai fenomeni
di automatismo creativo noti come “arte medianica”: ritenendo che tali
risultati siano sufficientemente in grado di sostenere la validità della nuova
ipotesi qui presentata, si spera che essi possano costituire un valido punto di
partenza per ulteriori studi di approfondimento su questa affascinante tematica
relativa alla multiformità dei processi creativi messi in atto dall’essere umano
grazie alle straordinarie capacità della mente, ancora in gran parte sconosciute.
Riepilogando, la ricerca sin qui condotta ha dunque rilevato che:
1.
Esistono capacità creative che trascendono il puro apprendimento
cosciente di conoscenze e competenze artistiche o tecnico-stilistiche,
che vengono comunemente acquisite attraverso un processo di
formazione di tipo scolastico-accademico, oppure attraverso la pratica
artistica professionale, semi-professionale o dilettantistico-amatoriale
ripetuta nel tempo;
2.
Tali capacità vengono sviluppate inconsapevolmente dall’individuo
attraverso i processi di percezione/visione di informazioni, dati ed
esperienze di natura estetica ed introiettate in una specifica area della
263 | P a g .
memoria, pronte ad emergere sotto forma di abilità artistiche latenti,
se opportunamente attivate in particolari condizioni;
3.
L’accesso a tali capacità e l’attivazione dei processi di automatismo
creativo sono attualmente osservabili solo in alcuni individui;
4.
Tali capacità sono normalmente inaccessibili all’individuo in stato di
coscienza ordinario: l’accesso avviene nella maggior parte dei casi in
stato modificato di coscienza;
5.
Gli individui interessati dai fenomeni di automatismo creativo
sarebbero dotati di una particolare struttura o asset neurale, tale da
renderli “ipersensibili” al dato estetico;
6.
Lo sviluppo di queste capacità creative latenti, che si manifestano
attraverso i fenomeni di automatismo creativo, può essere ricondotto
al sistema neurobiologico dell’essere umano;
7.
Tali capacità sono collegate alle specifiche modalità di funzionamento
dei neuroni specchio e si basano sul modello di risposta funzionale
osservazione > azione;
8.
Anche un altro essere vivente dotato di neuroni specchio, ossia
l’elefante, è in grado di dipingere o disegnare in modo automatico,
ovvero senza possedere alcuna competenza o conoscenza consapevole
di tipo tecnico-artistico o stilistico, a conferma di un coinvolgimento
dei neuroni specchio nei fenomeni di automatismo creativo;
9.
Esiste una “memoria estetica”, ossia un tipo di memoria selettiva
rispetto ai dati estetici provenienti dall’esperienza percettiva del
soggetto: si tratta di una specifica area della memoria (inaccessibile
allo stato di coscienza ordinario) all’interno della quale verrebbero
inconsapevolmente immagazzinate le informazioni di natura estetica
(immagini e/o azioni) provenienti dall’esperienza percettiva del
soggetto percipiente;
10. Il processo di selezione dei dati estetici attraverso l’esperienza
percettiva potrebbe essere legato a una disfunzione nei meccanismi di
264 | P a g .
neural binding; in base al quale i suddetti dati, anziché giungere
all’individuo integrati in un’esperienza percettiva globale e unitaria,
verrebbero
filtrati selettivamente
ed introiettati in
maniera
subliminale (ovvero senza il controllo cosciente del soggetto), per
essere immagazzinati nella “memoria estetica”, che li conserverebbe
in maniera latente fino al momento dell’attivazione dei processi di
automatismo creativo;
11. I soggetti dotati di quella particolare struttura o asset neurale (che li
rende ipersensibili al dato estetico) sono in grado di recuperare, in
particolari stati modificati di coscienza, immagini o esperienze di
natura estetica, registrate in maniera selettiva nella “memoria
estetica”, attivando inconsapevolmente abilità artistiche latenti che si
manifestano attraverso gli automatismi creativi, basati su uno schema
di corrispondenza tra visione mentale ed azione pittorica, guidato dal
sistema dei neuroni specchio;
12. Tale
asset
neurale
potrebbe
essere
trasmissibile,
se
non
geneticamente, a livello memetico, secondo una prospettiva di tipo
“transpersonale” (Ianneo, 1999; Jouxtel, 2010).
I risultati della presente ricerca confermano che alcuni individui sono dotati di
abilità creative latenti, che superano le normali capacità di espressione della
creatività secondo consueti meccanismi di tipo standard comunemente
osservabili e che restano inespresse allo stato di coscienza ordinario. Tali
abilità sono subliminali, in quanto vengono introiettate inconsapevolmente a
livello profondo e si nascondono al di sotto del livello di coscienza ordinario,
ma possono emergere con forza all’improvviso, una volta “liberate” da
specifici meccanismi di attivazione (coincidenti generalmente con stati
modificati di coscienza o di dissociazione creativa), rompendo le barriere
imposte dall’Io razionale e manifestandosi sotto forma di automatismi creativi
apparentemente inspiegabili, in quanto differenti dalle normali modalità di
espressione della creatività ordinaria (Grosso, 1997; Braude, 2002).
265 | P a g .
La stretta correlazione tra i fenomeni di automatismo creativo ed i meccanismi
di funzionamento dei neuroni specchio, rilevata nel corso della presente
ricerca, confermerebbe dunque la matrice neurobiologica delle manifestazioni
psichiche di creatività non-ordinaria che sono state definite “arte medianica”.
266 | P a g .
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314 | P a g .
INDICE DELLE ILLUSTRAZIONI
Figura 1. Arte Medianica: il quadro teorico attuale ________________________ pag. 94
Figura 2. Gustavo Adolfo Rol _________________________________________ pag. 103
Figura 3. Narciso Bressanello _________________________________________ pag. 105
Figura 4. Giuseppe Lanzillo __________________________________________ pag. 107
Figura 5. Milly Canavero ____________________________________________ pag. 112
Figura 6. Victorien Sardou ___________________________________________ pag. 119
Figura 7. Fleury-Joseph Crépin ________________________________________ pag. 121
Figura 8. Augustin Lesage ___________________________________________ pag. 122
Figura 9. Marguérite Burnat-Provins ____________________________________ pag. 125
Figura 10. Laure Pigeon _____________________________________________ pag. 125
Figura 11. Victor Simon _____________________________________________ pag. 127
Figura 12. Raphaël Lonné ____________________________________________ pag. 128
Figura 13. Heinrich Nüsslein __________________________________________ pag. 131
Figura 14. Margarethe Held __________________________________________ pag. 133
Figura 15. Clara Schuff ______________________________________________ pag. 135
Figura 16. Gertrud Emde ____________________________________________ pag. 139
Figura 17. Elizabeth Hope ___________________________________________ pag. 145
Figura 18. Coral Polge ______________________________________________ pag. 146
Figura 19. Matthew Manning _________________________________________ pag. 147
Figura 20. Emma Kunz ______________________________________________ pag. 153
Figura 21. Sri Chinmoy ______________________________________________ pag. 161
Figura 22. Narayana Murthy __________________________________________ pag. 163
Figura 23. Luiz Antonio Gasparetto ____________________________________ pag. 166
Figura 24. José Jacques Andrade ______________________________________ pag. 170
Figura 25. Florêncio Anton ___________________________________________ pag. 176
Figura 26. Gustavo Adolfo Rol: Paesaggio _______________________________ pag. 182
315 | P a g .
Figura 27. Gustavo Adolfo Rol: Rose, I _________________________________ pag. 182
Figura 28. Gustavo Adolfo Rol: Rose, II ________________________________ pag. 182
Figura 29. Narciso Bressanello: Pennarello su carta, 1987 ___________________ pag. 183
Figura 30. Narciso Bressanello: Penna a sfera su carta, 1981 _________________ pag. 183
Figura 31. Giuseppe Lanzillo: Opera tratta dalla serie dei “disegni” ___________ pag. 184
Figura 32. Giuseppe Lanzillo: Opera tratta dalla serie dei “paesaggi” __________ pag. 184
Figura 33. Giuseppe Lanzillo: Opera tratta dalla serie dei “paesaggi” __________ pag. 185
Figura 34. Liena: Amea I ____________________________________________ pag. 185
Figura 35. Milly Canavero Serra: Pennarello a feltro su carta, 1985 ____________ pag. 186
Figura 36. Milly Canavero Serra: Pennarello a feltro su carta, 1985 ____________ pag. 186
Figura 37. Victorien Sardou: La maison de Mozart sur Jupiter ________________ pag. 187
Figura 38. Victorien Sardou: Quartier des Animaux chez Zoroaster ____________ pag. 187
Figura 39. Fleury-Joseph Crépin: Tableau Merveilleux No 11, 1946 ___________ pag. 188
Figura 40. Fleury-Joseph Crépin: Untitled No 37, 1948 _____________________ pag. 188
Figura 41. Augustin Lesage: composizione simbolica, 1936__________________ pag. 189
Figura 42. Augustin Lesage: L’esprit de la Pyramide, 1926 __________________ pag. 189
Figura 43. Victor Simon: La Toile Bleue, 1943-1944 _______________________ pag. 190
Figura 44. Raphaël Lonné: Inchiostro di china su carta______________________ pag. 190
Figura 45. Raphaël Lonné: Composizione, 1982 ___________________________ pag. 191
Figura 46. Heinrich Nüsslein: Taiga, 1920 _______________________________ pag. 191
Figura 47. Heinrich Nüsslein: Der Thriumphbogen, 1910____________________ pag. 192
Figura 48. Margarethe Held: Ritratti di spiriti, dèmoni ed elfi ________________ pag. 192
Figura 49. Clara Schuff: Pennarello su carta, 1980 _________________________ pag. 193
Figura 50. Viktor Emanuel Bickel (Faroxis): Nell’èra delle farfalle ____________ pag. 193
Figura 51. Coral Polge: Ritratto di un defunto sconosciuto __________________ pag. 194
Figura 52. Matthew Manning: Dipinto in stile Monet _______________________ pag. 194
Figura 53. Emma Kunz: Disegni a pastello e colori a cera ___________________ pag. 195
Figura 54. Marcelo Modrego: Olio su tela, 1980 ___________________________ pag. 195
Figura 55. Takeshi Mochizuki: Nascita di Venere _________________________ pag. 196
Figura 56. Sri Chinmoy: Acrilici su grande tela, 1993 ______________________ pag. 196
Figura 57. Sri Chinmoy: Acrilico su tela ________________________________ pag. 197
Figura 58. MaNaNi: Inchiostro su carta, 1984 ____________________________ pag. 197
Figura 59. Luiz Antonio Gasparetto: Stile Degas __________________________ pag. 198
Figura 60. Luiz Antonio Gasparetto: Stile Modigliani ______________________ pag. 198
316 | P a g .
Figura 61. Luiz Antonio Gasparetto: Toulouse-Lautrec _____________________ pag. 198
Figura 62. Luiz Antonio Gasparetto: Toulouse-Lautrec _____________________ pag. 198
Figura 63. Florêncio Anton: Dipinto in stile van Gogh _____________________ pag. 199
Figura 64. Florêncio Anton: Dipinto in stile van Gogh _____________________ pag. 199
Figura 65. Florêncio Anton: Dipinto in stile van Gogh _____________________ pag. 200
Figura 66. Florêncio Anton: Dipinto in stile van Gogh _____________________ pag. 200
Figura 67. Florêncio Anton: Dipinto in stile Picasso ________________________ pag. 201
Figura 68. Florêncio Anton: Dipinto in stile Picasso _______________________ pag. 201
Figura 69. Florêncio Anton: Dipinto in stile Picasso _______________________ pag. 201
Figura 70. Florêncio Anton: Dipinto in stile Picasso ________________________ pag. 201
Figura 71. Florêncio Anton: Dipinto in stile Picasso ________________________ pag. 201
Figura 72. Florêncio Anton: Dipinto in stile Picasso ________________________ pag. 201
Figura 73. Florêncio Anton: Dipinto in stile Picasso ________________________ pag. 201
Figura 74. Florêncio Anton: Dipinti in stile Modigliani _____________________ pag. 202
Figura 75. Florêncio Anton: Dipinti in stile Modigliani _____________________ pag. 202
Figura 76. Florêncio Anton: Dipinti in stile Modigliani _____________________ pag. 202
Figura 77. Florêncio Anton: Dipinto in stile Chagall _______________________ pag. 202
Figura 78. Florêncio Anton: Dipinto in stile Matisse _______________________ pag. 202
Figura 79. Florêncio Anton: Dipinto in stile Renoir ________________________ pag. 202
Figura 80. Florêncio Anton: Dipinto in stile Toulouse-Lautrec _______________ pag. 202
Figura 81. Florêncio Anton: Dipinto in stile Toulouse-Lautrec _______________ pag. 202
Figura 82. Florêncio Anton: Dipinto in stile Toulouse-Lautrec _______________ pag. 202
Figura 83. Florêncio Anton: Dipinto in stile Monet ________________________ pag. 203
Figura 84. Florêncio Anton: Dipinto in stile Monet ________________________ pag. 203
Figura 85. Imitazione neonatale nel macaco grazie ai neuroni specchio ________ pag. 207
Figura 86. Elefante pittore mentre dipinge un quadro ______________________ pag. 208
Figura 87. Elefante pittore con il suo mahut ______________________________ pag. 209
Figura 88. Attivazione della corteccia prefrontale rispetto al “bello” ___________ pag. 242
Figura 89. Attivazione della corteccia prefrontale rispetto al “non-bello” _______ pag. 242
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RINGRAZIAMENTI E RICONOSCIMENTI
Anche se si è prestata la massima attenzione nell’attribuzione dei diritti d’autore per
ogni immagine, disegno o dipinto utilizzato, le illustrazioni inserite in questo lavoro
(reperite per la maggior parte su Internet) appartengono ai rispettivi autori e/o aventi
diritto (anche se non citati) e sono state utilizzate unicamente per gli scopi della
presente ricerca.
Desidero ringraziare la Prof.ssa Rosella Tomassoni, mio tutor (nonché coordinatore
del corso di Dottorato di Ricerca XXVIII Ciclo svoltosi presso l’Università degli
Studi di Cassino e del Lazio Meridionale) ed il Prof. Antonio Fusco per la fiducia
che hanno voluto concedermi, ma soprattutto per avermi accolto nel loro gruppo di
lavoro: spero di essere stato all’altezza delle loro aspettative.
Voglio inoltre ringraziare il Prof. Ferdinando Bersani, docente all’Alma Mater di
Bologna e Presidente del CSP – Centro Studi Parapsicologici, per la disponibilità, il
materiale di studio ed i preziosi suggerimenti forniti su un tema ancora in parte
controverso e di non facile interpretazione.
Un ringraziamento particolare va anche agli studiosi che, pur non avendo avuto il
piacere di conoscere personalmente, mi sono stati di grande aiuto e ispirazione,
grazie al loro importante contributo allo studio del fenomeno: Paola Giovetti, Angela
Peduto ed Everton De Oliveira Maraldi, del Dipartimento di Psicologia Sociale
dell’Università di San Paolo del Brasile, attraverso i cui lavori ho approfondito la
comprensione biopsicosociale del fenomeno indagato.
Ma soprattutto, grazie a tutti coloro che hanno creduto e continuano a credere in me.
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