Matteo Taufer (Hg.)
Tradurre classici greci
in lingue moderne
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ROMBACH WISSENSCHAFTEN · REIHE PARADEIGMATA
herausgegeben von Bernhard Zimmermann
in Zusammenarbeit mit Karlheinz Stierle und Bernd Seidensticker
Band 44
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Matteo Taufer (Hg.)
Tradurre classici greci
in lingue moderne
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Unter der Schirmherrschaft der
Autonomen Region Trentino – Südtirol
Gedruckt mit Unterstützung der
PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO
Bibliografische Information der Deutschen Nationalbibliothek
Die Deutsche Nationalbibliothek verzeichnet diese Publikation in der
Deutschen Nationalbibliografie; detaillierte bibliografische Daten sind im
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© 2017. Rombach Verlag KG, Freiburg i.Br./Berlin/Wien
1. Auflage. Alle Rechte vorbehalten
Umschlag: Bärbel Engler, Rombach Verlag KG, Freiburg i.Br./Berlin/Wien
Satz: Martin Janz, Freiburg i.Br.
Herstellung: Rombach Druck- und Verlagshaus GmbH & Co. KG,
Freiburg i.Br.
Printed in Germany
ISBN 978-3-7930-9908-6
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Inhalt
Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
7
S. DOUGLAS OLSON
Il destino dei Feaci:
testo e traduzione di Richmond Lattimore di Odissea XIII 158 . . . . .
13
MICHELE NAPOLITANO
Note di lettura alla Teogonia esiodea nella traduzione di Pavese . . . . .
23
ANDREA BROCCHIERI
Übersetzung / Auseinandersetzung
Heidegger e la prova dell’estraneo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
45
FRANCO FERRARI
La traduzione della lingua filosofica di Platone:
alcune riflessioni sul significato di ousia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
67
BERNHARD ZIMMERMANN
Deutsche Aristophanes-Übersetzungen . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
87
FRANCESCO PAOLO BIANCHI
Raccogliere, tradurre e interpretare
i frammenti dei poeti comici greci . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
105
GIUSEPPE ZANETTO
Tradurre epigrammi: un’impresa (im)possibile? . . . . . . . . . . . . . . . . .
139
ANNA TIZIANA DRAGO
»All’ombra dell’altra lingua«: la traduzione come atto
necessario e alcune notazioni sugli epistolografi greci . . . . . . . . . . . . .
153
CARMELO CRIMI
Traduzioni latine del carme de virtute (I 2,10)
di Gregorio Nazianzeno . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
175
CLAUDIO BEVEGNI
Tradurre (ma non solo) Aldo Manuzio . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
195
Stellen- und Personenregister . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
Figuren- und Sachregister . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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CARMELO CRIMI (Catania)
Traduzioni latine del carme de virtute (I 2,10)
di Gregorio Nazianzeno
Abstract
This paper focuses on four Latin translations of a long poem by Gregory
Nazianzen (I 2,10, de virtute). The oldest of these versions is due to the humanist
Antonius Tudertinus (†1489), while the others are due to Johannes Löwenklau
(1541-1594) and to Jacques de Billy (1535-1581). I examine how translators
worked, emphasizing in particular the efforts of Löwenklau to adhere to the
Greek text and Billius’ talent for translating into verse.
Keywords
Humanism – Renaissance – Patristics
1.1
L’umanista Antonio Pacini da Todi, Antonius Tudertinus, auditor di Francesco Filelfo e precettore di Giovanni di Cosimo de’ Medici1, ci ha lasciato
anche una versione in prosa del carme I 2,10 di Gregorio Nazianzeno, tradizionalmente intitolato περὶ ἀρετῆς, de virtute 2. Essa è stata esemplata su un
manoscritto molto simile, forse un ›gemello‹, a un codice del XIV secolo, il
Romanus Casanatensis gr. 6 (= Cs)3, che appartiene a quel filone della tradizione
manoscritta del carme in cui questo inizia col v. 184. Si distingue, infatti, tra
il filone di tradizione ›integra‹ – comprensivo di tutti i 998 versi – e il filone
per così dire ›mutilo‹, privo dei vv. 1-183. Dev’essere avvenuta una caduta
accidentale di fogli in una fase antica della storia del testo, certamente ben
prima del IX secolo4.
La versione del Tudertinus (= Tudert. 1439), dedicata a papa Eugenio IV, si
colloca al tempo della proclamazione dell’Unione con gli ortodossi, 6 luglio
1
2
Sul personaggio (†1489) cf. Lucioli 2014.
La traduzione del Tudertinus è pubblicata da chi scrive in appendice all’edizione critica
del carme I 2,10 in Crimi-Kertsch 1995, 440-457 (la versione è preceduta dal Prooemium
ad Eugenium PP. Quartum, 438 s.).
3 Cf. Crimi 2000, 297-299.
4 Cf. Crimi in Crimi-Kertsch 1995, 43 ss. e 73: »I codici in nostro possesso continuano, in
verità, due, se non tre, antiche famiglie le cui tracce possiamo ancora individuare tra la
fine del VII e gli inizi del IX secolo«.
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Carmelo Crimi
1439, al termine del Concilio di Ferrara-Firenze, e costituisce un esito della
circolazione di testi patristici greci favorita da quel momento della storia
della chiesa5. Tale traduzione rappresenta invero un unicum nel panorama
del tempo e successivamente occorrerà attendere più di cento anni circa
perché se ne dia una nuova.
1.2
L’editio princeps del carme I 2,10 (= Samb. 1568) 6 apparve nel 1568 ad Anversa per le cure dell’ungherese Iohannes Sambucus, Iános Számboky (15311584), singolare figura di umanista e collezionista di manoscritti7, in costante
e interessato rapporto con la corte asburgica di Vienna. È per questo che la
sua pubblicazione fu dedicata ai giovani arciduchi figli di Massimiliano II
d’Austria (1564-1576) e a questa destinazione in un certo senso ›scolastica‹
si dovrebbe – a dire di Sambucus, ma appare del tutto speciosa la sua giustificazione – la mancanza di una versione latina a fronte, intesa a divulgare
il difficile testo. L’ungherese afferma, infatti, nella sua lettera di dedica, che
il compito di vertere i testi spettava all’insegnamento vivo, cioè orale, dei
precettori dei rampolli imperiali8. La editio princeps è esemplata su un codice
appartenente al filone di tradizione ›mutilo‹, mandato in tipografia e poi
perduto9.
1.3
Nel 1571, un infaticabile dotto di confessione calvinista, Johannes Leunclavius (1541-1594)10, che nel corso della sua vita si occuperà in particolare di
5
6
7
8
9
10
Cf. Crimi 2000, 309ss. Per gli strumenti lessicografici utilizzati dagli umanisti del XV
secolo cf. Rollo 2017.
Alle pp. 82-112. Su questa edizione e i rapporti che la legano ad alcuni settori della
tradizione manoscritta cf. Crimi in Crimi-Kertsch 1995, 87-92. Sulla pubblicazione di
Sambucus e i testi che vi sono contenuti, nonché sul suo significato nella storia del Fortleben
umanistico del Nazianzeno, cf. anche Crimi 2002, 147-150.
Per la biografia cf. Visser 2005, 1-46, e Almási 2009, 145-197: quest’ultimo tratteggia la
personalità di Sambucus come »gifted careerist who perfectly understood how to convert
an international scholarly reputation into concrete benefits« e »prestigious client of the
House of Austria« (196).
Cf. Samb. 1568, 8: »Versionem, similiumque locorum παραγραφὰς adiecissem, nisi id
viuorum esset magistrorum praestare…«.
Cf. Crimi in Crimi-Kertsch 1995, 89ss.; anche Crimi 2002, p. 150 e n. 21.
Della poliedrica attività di Leunclavius (sono svariate le grafie latinizzate del cognome
Löwenklau) manca tuttora una ricostruzione complessiva. Sul personaggio (autore di una
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testi tardoantichi e bizantini – soprattutto a carattere giuridico – pubblica
a Basilea gli Opera del Nazianzeno, quasi sempre in versioni latine e solo
desultoriamente accompagnate dal testo greco (= Leuncl. 1571)11. Nel terzo
tomo12 si trova la versione in prosa del carme I 2,10 che ha per Vorlage un
manoscritto ›integro‹, oggi perduto13. Nel contempo, Leunclavius dovette
avere a disposizione anche un testis ›mutilo‹, che potrebbe identificarsi con
Samb. 156814: il dotto tedesco intrattenne buoni rapporti di amicizia con
l’ungherese e ne ricevette opere greche inedite da tradurre15.
1.4
Una figura centrale nella storia degli studi sul Nazianzeno è il francese
Jacques de Billy de Prunay, latinamente Jacobus Billius16, che nacque nel
1535. Egli si professò monaco benedettino nel 1559, all’alba delle guerre di
religione in Francia, e fu pure abate dell’antico monastero di S. Michel-enl’Herm in Vandea, roccaforte cattolica, che nel gennaio del 1569 fu presa
e distrutta sanguinosamente dagli Ugonotti, nel corso della terza guerra di
religione. Nello stesso anno, Billius pubblicò in versione latina (Bill. 1569)
numerosi testi del Nazianzeno già noti17, tra cui non figura il carme I 2,10.
11
12
13
14
15
16
17
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Apologia pro Zosimo, pubblicata nel 1576, su cui cf. Mazzarino 2002, 95-102, che l’ha definita
»la carta di fondazione degli studi moderni sul basso impero« [96], e ora Ben-Tov 2015,
14ss.) cf. Burtin 1990; per Leunclavius studioso del diritto bizantino cf. Stolte 1994, e per
il suo interesse per la storia e la cultura ottomane cf. Ács 2011; Ács 2014, 273ss.
Cf. Palla 2002, 177-179.
Leuncl. 1571, 1044-1053.
Cf. Palla 2002, 178.
Cf. Crimi in Crimi-Kertsch 1995, 96 n. 290.
Nella prima pagina (senza numero) del Prooemium di Leuncl. 1571, primo tomo, il dotto
tedesco definisce Sambucus »amicissimus«. L’ungherese è chiamato anche »Caesareae
familiae domesticus«, dal momento che era aulae familiaris della corte di Vienna, cf. Almási
2009, 150ss. Un anno dopo la traduzione del Nazianzeno, Leunclavius pubblicò la traduzione latina degli Annales dello storico bizantino Michele Glica (Leuncl. 1572), tratti
»ex Io. Sambuci v.c. Bibliotheca«. Nel Prooemium (indirizzato »ad Generosum et illustrem
virum, Ioannem Baronem Kitlicianum, Craini ac Drencaniae Dominum«: sui »Barones
de Kittlitz« cfr. Menckenius 1730, 1983s.), Leunclavius traccia un quadro apertamente
laudativo della liberalitas di Sambucus, e dice, tra l’altro, che l’ungherese gli aveva inviato
»superioribus his annis proximis duos annalium scriptores Graecos, Michaelum Glycam,
cognomento Siculum, et Constantinum Manassem: quorum utrumque Latinum in sermonem conuerterem, ac publici iuris facerem« (f. α3v). Su questa generosità di Sambucus,
che prestava i suoi manoscritti ad umanisti interessati a pubblicarli o a volgerne i testi greci
in latino, cf. Almási 2009, 218s.
Per la biografia di Billius cf. Backus 1993, 15ss.
Bill. 1569, su cui cf. Palla 2002, 168-176.
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Successivamente, conosciuto Samb. 1568, ne fornì una traduzione in senari
giambici che apparve nel 1575 (= Bill. 1575)18. In virtù delle sue non comuni
capacità divinatorie, Billius riuscì a ritrovare ope ingenii molte lezioni corrette,
ma di svariate corruttele presentate dalla princeps non venne a capo. Lo studioso è in evidente posizione ›difensiva‹ nell’Argumentum premesso al carme:
Hoc autem Carmen Graece nobis exhibuit Sambuci bibliotheca, verum multis ac
foedis mendis deformatum, quae si non omnia emendare potuimus (sunt enim, ut
opinor, quaedam eiusmodi, ut haud scio an quispiam illis a coniectura medicinam
afferre possit) non erit propterea, cur nobis Lector succensere debeat. Interpretis
enim non diuinatoris munere fungimur19.
In questa sua pubblicazione del 1575, Billius non cita mai Leuncl. 1571, sebbene quest’opera fosse apparsa quattro anni prima: il benedettino non la
conosceva ancora, forse a causa della vita raminga e delle peregrinazioni
– Nantes, Tauxigny, Tours, Oysonville e Parigi – che dovette sostenere,
dopo la distruzione della sua abbazia nel 1569. La sua esistenza, segnata
dalla tubercolosi, ebbe termine a Parigi, dove si spense la notte di Natale
del 1581. Due ecclesiastici amici, G. Génébrard (1537-1597) e J. Chatard20,
pubblicarono un paio di anni dopo, dalle sue carte e sotto il nome del defunto, gli Opera del Nazianzeno, in cui compare la nuova versione del carme
I 2,10 (= Bill. 1583)21. Nei due volumi postumi sono frequenti gli attacchi a
Leunclavius22, che mescolano ragioni filologiche ed esegetiche con invettive
personali e polemiche dottrinarie: il cattolico Billius aveva perso quattro
fratelli nelle guerre di religione.
Dai primi anni ’70 del XVI secolo e fino alla morte nel 1581, Billius era stato
un interlocutore privilegiato di alcuni altissimi personaggi della corte pontificia che avevano individuato in lui l’interpres cattolico del Nazianzeno e di
altri scrittori23. La sua traiettoria di studio si era incontrata con le significative
attività dei cardinali Guglielmo Sirleto (1514-1585) e Antonio Carafa (1538-
18 Bill. 1575, su cui cf. Palla 1990; Palla 2002, 179-181.
19 Bill. 1575, 293. La traduzione del carme si trova alle pp. 293-325. I relativi ›Scholia‹ alle
pp. 325-338.
20 A Chatard Billius aveva lasciato la sua biblioteca (cf. PG XXXV 19-20: »…Chatardi…,
cui bibliothecam Billius legarat…«).
21 Questa versione è in Bill. 1583, 1375-1383, seguita dai relativi ›Scholia‹, pp. 1383-1389.
Per Bill. 1583 cf. Palla 2002, 181-188.
22 Cf. Palla 2002, 182.
23 Per l’attività versoria di Billius e del fratello Jean (1530-1580) in relazione allo pseudo-
damascenico Barlaam e Ioasaf cf. ora Ronchey in Cesaretti-Ronchey 2012, LXXIs.
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1591), rivolte – dopo la conclusione del Concilio di Trento – a un rilancio
degli studi patristici da parte cattolica. Il benedettino si rivolgeva loro per
chiedere manoscritti di opere da tradurre e pubblicare, appagando, da un
lato, le sue ambizioni di studioso, mentre il papato, dal canto suo, recuperava
terreno nel difficile processo di ›riappropriazione‹ dei Padri, utilizzando le
indubbie capacità filologiche e letterarie di Billius24. Grazie agli autorevoli
interlocutori romani, il benedettino è riuscito ad ottenere svariati apografi
di manoscritti. In particolare, egli ha ricevuto alla metà circa del 1580 un
manoscritto vaticano – da considerare oggi perduto, perché sarà rimasto con
ogni verosimiglianza tra le carte del suo lascito25 – che conteneva l’intero
carme I 2,10. Su di esso, nel poco tempo che gli restava da vivere, Billius
ha esemplato la seconda versione – sempre in senari – del carme stesso che
apparve, come si è detto, nel 158326.
2.1
Questo il quadro sommario delle versioni umanistiche del carme I 2,10 che
saranno qui considerate. Val la pena, nel contempo, ricordare che questo
componimento si presenta come l’assemblaggio di exempla pagani e di ἱστο
ρίαι dell’Antico e del Nuovo Testamento, quasi a costituire, per certi aspetti,
un ›catalogo‹ suddiviso per sezioni e organizzato in base ad un principio
contrastivo: agli exempla pagani si contrappongono quelli biblici che, naturalmente, emergono vittoriosi dalla synkrisis27.
È di grande importanza individuare, in primo luogo, quali errori e fraintendimenti, presenti in una determinata versione, siano da addebitare allo
status testuale della Vorlage su cui l’interprete ha condotto il proprio lavoro e
quali invece siano da attribuire alla sua eventuale imperizia. I casi esemplari
che verranno presentati nei successivi punti 2.2. e 2.3. sono da addebitare
alla situazione della Vorlage.
24
25
26
27
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Cf. Palla 1990, 6ss.; Palla 2002, 180ss.
Cf. Crimi 2014-2015, 359.
Cf. supra n. 19.
Cf. Crimi in Crimi-Kertsch 1995, 37ss.
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2.2
Tra gli esempi pagani di ἀνδρεία, Gregorio ricorda le figlie di Leòs, offerte
dal padre in sacrificio durante una pestilenza che aveva colpito Atene, poi
Meneceo, figlio di Creonte, che si immolò per rendere possibile la vittoria
dei Tebani, e Cleombroto che si suicidò dopo la lettura del Fedone platonico:
680
… Τὰς Λεὼ δὲ θαυμάζεις κόρας,
τὰς τῶν Ἀθηνῶν προσφαγείσας ἀσμένως
Μενοικέως τε τὴν πρόθυμον εἰσφοράν,
Θηβῶν ὕπερ θανόντος ὡς σώσῃ πόλιν,
Κλεομβρότου τε τοῦ σοφοῦ τὸ τίμιον
πήδημ’ ἀφ’ ὕψους, ὡς ἀπέλθοι σώματος,
ἐπεὶ Πλάτωνος τῷ περὶ ψυχῆς λόγῳ
πεισθείς, ἔρωτι λύσεως κατεσχέθη;28
677 προσφαγείσας] προσφρείσας Cs, προσφιγείσας Samb. Mor.
Tudert. 1439 così rende i vv. 677 s.:
Puellas populi Atheniensis alacriter irruentes non parva admiratione dignas
existimabis…?29
ove il participio »irruentes« fa riferimento alle figlie di Leòs, in realtà προσφα
γείσας, ›sgozzate‹. A monte di questa erronea traduzione sta la lectio singularis
προσφρείσας che appare soltanto in Cs, in pronuncia iotacistica prosfrìssas.
L’umanista avrà forse ›congetturato‹ un προσρυείσας, prosriìssas, interpretandolo come »irruentes«. Non meno istruttivo lo stesso passo in Bill. 1575:
Natas parente laudibus tollis Leo,
Quod, imminenti soluere vt periculo
Possent Athenas, non necem defugerint30
28 Crimi-Kertsch 1995, 162/164. Trad. Crimi, ibid., 163/165: »Perché queste cose? Ammiri
le figlie di Leos, sacrificate volentieri per Atene, e la pronta offerta di Meneceo che morì
per Tebe, per salvare la città, e il glorioso balzo dall’alto del saggio Cleombroto per uscire
dal corpo, quando convinto dall’opera di Platone sull’anima, fu preso dal desiderio di liberarsi?«. L’apparato critico che accompagna i passi del carme I 2,10 citati in questo lavoro è
tratto da quello dell’edizione Crimi-Kertsch 1995 e ne rappresenta una scelta, funzionale
alla disamina delle traduzioni presentate. Non si è rinunciato, comunque, a presentare con
una certa completezza il quadro della situazione manoscritta e delle edizioni per i lemmi
riportati. I sigla dei manoscritti sono quelli dell’edizione predetta, 112-113.
29 Crimi-Kertsch 1995, 450.
30 Bill. 1575, 312.
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dove il »defugerint« si spiega con quanto il benedettino leggeva in Samb.
1568, προσφιγείσας, che avrà inteso iotacisticamente come un προσφυγεί
σας, peraltro inusitato, riconducendolo a προσφεύγω. Corretta la resa in
Bill. 1583:
… Lei tu filias laude euehis,
Subiere quae pro gente Cecropia necem31
e migliore ancora Leuncl. 1571:
Num potius uirgines illas Leo filias admiraris, quae alacri animo se pro Athenarum
salute iugulari passae sunt?32.
2.3
Sotto il profilo che qui ci interessa, vanno esaminati pure i vv. 861-864,
ove – all’interno della consueta caratterizzazione dei costumi licenziosi degli
Elleni – si menziona Fidia che incide il nome del suo amasio, Pantarkes, nel
dito della παρθένος, cioè della statua crisoelefantina di Atena nel Partenone:
Ταῖς σφῶν δ’ ἑταίραις τὴν Ἀφροδίτην οἱ σοφοὶ
μορφοῦσιν, ὡς θεοῖντο τῷ σοφίσματι·
καὶ Φειδίᾳ τὰ παιδικὰ ἐν τῷ δακτύλῳ
τῆς παρθένου γραφέντα· Παντάρκης καλός33.
864 Παντάρκης] πάντ’ ἀρχὴ CGS, πανταρκεῖ LM2, πάντ’ ἀρκεῖ Cs Cosm. Samb. Mor.,
Παντάρχης Caill., «omnipotentes» Syr.
La versione di Tudert. 1439:
Meretricibus vero prudentes sodales statuam Veneris erigunt ut hac fallacia rem
divinam agere videantur et puerilia omnia formosae virginis ex dactylo Phidiae
picta esse sufficiant34,
31 Bill. 1583, 1381.
32 Leuncl. 1571, 1051.
33 Crimi-Kertsch 1995, 176. Trad. Crimi, ibid., 177: »Sulla base delle loro etere gli esperti
danno forma ad Afrodite, perché siano deificate con questo espediente, e il nome
dell’amasio viene inciso da Fidia nel dito della vergine: ›Pantarkes bello‹«.
34 Crimi-Kertsch 1995, 454.
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tradisce la corruttela παντ’ ἀρκεῖ, presente in Cs nonché nella editio princeps.
Billius, che nel 1575 ha Samb. 1568 per Vorlage, sebbene non riesca a divinare
il nome del pusio dello scultore, cerca comunque di trarsi d’impaccio:
…Cyprianique35 callidi
Amasiarum sub suarum vultibus
Formant, vt istis artibus fiant deae.
Sic pusionis Phidias in annulo
Scripsit Mineruae subdolus nomen sui 36.
I due ultimi versi, 863-864, trapassano inalterati da Bill. 1575 a Bill. 158337:
un dato che può sorprendere, tenuto conto che nel Vat. Ottobon. gr. 202 (Ot),
il codice ›gemello‹ – con ogni verosimiglianza38 – del Sirleti liber che fu utilizzato dal dotto benedettino per rivedere Bill. 1575, si legge distintamente
παντάρκης καλὸς39. Vi si può scorgere un ulteriore indizio del fatto che il
benedettino non riuscì a condurre a termine la rielaborazione del lavoro del
1575 che si era ripromesso di attuare40? Non lo escluderei: sono alquanto
numerosi, in proporzione, i versi che rimangono identici nel passaggio dall’una all’altra versione, anche se non è detto che Billius intendesse ritradurre
e modificare ogni cosa. In realtà, non sappiamo bene in quali condizioni
si trovassero le carte del dotto che, dopo la sua morte, furono utilizzate da
Génébrard e Chatard per la pubblicazione del 1583 e ci sfugge con quanta
acribia costoro abbiano lavorato sui materiali a disposizione.
3.
È opportuno, per caratterizzare le peculiarità delle singole versioni e metterne
in risalto i caratteri distintivi, verificare se in esse sia presente una qualche
ricerca di equivalenza numerica tra termini da tradurre e termini tradotti.
Sotto questo profilo, Leuncl. 1571 appare la versione che meglio corrisponde
a tale procedere, ed è significativo che in essa persino qualche aggettivo o
avverbio ›in più‹ ha una possibile ragion d’essere. In Leuncl. 1571, i vv. 678683, già citati41,
35
36
37
38
39
40
41
Lege Cypriamque.
Bill. 1575, 320.
Bill. 1583, 1382.
Cf. Crimi 2014-2015, 356-359.
Vat. Ottobon. gr. 202, f. 88v.
Sul tema, conclusivamente, cf. Palla 2002, 186s.
Cf. supra n. 28 e relativo contesto.
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Traduzioni latine del carme de virtute (I 2,10)
183
Μενοικέως τε τὴν πρόθυμον εἰσφοράν,
Θηβῶν ὕπερ θανόντος ὡς σώσῃ πόλιν,
680 Κλεομβρότου τε τοῦ σοφοῦ τὸ τίμιον
πήδημ’ ἀφ’ ὕψους, ὡς ἀπέλθοι σώματος,
ἐπεὶ Πλάτωνος τῷ περὶ ψυχῆς λόγῳ
πεισθείς, ἔρωτι λύσεως κατεσχέθη;
sono così tradotti:
Num (scil. admiraris) Menoecis oblationem promtam [sic], cupide mortui quo
Thebas incolumes seruaret? num egregium illum docti uiri Cleombroti de sublimi
saltum, ut exiret de corpore, posteaquam per librum Platonis de Animo persuasus,
dissolutionis cupiditate mirifica fuisset accensus?42.
L’avverbio »cupide«, allotrio rispetto al testo di partenza, ›anticipa‹ il »cupiditate« con cui il dotto tedesco traduce l’ἔρωτι di v. 683, ove si ricorda che
Cleombroto fu posseduto dal desiderio di liberarsi dal corpo. Leunclavius
ha voluto mettere in risalto il comune denominatore delle due morti volontarie, quella di Meneceo e quella di Cleombroto, e capiamo pure che egli
procede segmentando il testo per blocchi, o segmenti, ampi e inclusivi. Egli
ha per fine una resa perspicua, sostanzialmente senza sbavature, del testo
d’origine, che ne attenui nel contempo le durezze e la frequente inconcinnitas.
Diverso è l’atteggiamento degli altri due traduttori, Tudertinus e Billius, che
indulgono volentieri alla dittologia sinonimica43, rivelando attenzione ben
minore all’equivalenza numerica tra termini da tradurre e termini tradotti.
4.
Un passo difficile, che costituisce un autentico banco di prova per la competenza teologica degli interpreti si trova quasi alla fine del carme, ai vv.
946-964:
42 Leuncl. 1571, 1051.
43 Per esempi in Tudert. 1439, cf. Crimi 2000, 304-305. Cito un solo significativo esempio
per le due traduzioni billiane dell’aggettivo σεβασμία (che definisce la εἰκών del filosofo
Polemone) nel carme I 2,10, 805: in Bill. 1575, 317, σεβασμία viene reso, con riferimento
a Polemone stesso, »namque erat / Grauitate summa plenus, ac reuerentia«; non molto
distante Bill. 1583, 1382, sempre riguardo al filosofo, »Ore venerando namque erat, perquam et graui«.
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Carmelo Crimi
Ὃ δ’ ἐστὶν οἴεσθ’ εἰδέναι, βλάβη φρενῶν,
πλὴν εἰ καθ’ ὑδάτων τις ἡλίου σκιὰν
βλέπων, νομίζοι προσβλέπειν τὸν ἥλιον,
ἢ καὶ πυλῶνος κάλλος ἐκπεπληγμένος,
τὸν δεσπότην οἴοιτο τῶν ἔνδον βλέπειν.
Ἄλλος μὲν ἄλλου καὶ ποσῶς σοφώτερος,
ὃς πλεῖον αὐγῆς ἔσπασε, πλείω βλέπων·
κάτω δ’ ὅμως ἅπαντες ἀξίας Θεοῦ,
ὃν φῶς καλύπτει, οὗ σκότος προΐσταται.
Ἢν καὶ ζόφον τέμνῃ τις, ἀνταστράπτεται
τοῦ φωτὸς ἄκρου δευτέρῳ προβλήματι.
Διπλοῦν δ’ ὑπερσχεῖν οὐ μάλ’ εὐπετὲς σκέπας.
Ὃς πάντα πληροῖ καὶ ἄνω παντὸς μένει,
ὃς νοῦν σοφίζει καὶ νοὸς φεύγει βολάς,
ἕλκων ἀεί με πρὸς ὕψος ‹ὡς› ὑπεκδρομαῖς.
Θεὸν νοεῖν μὲν ὡς μάλιστα καὶ σέβειν,
δεικνὺς τὸ φίλτρον ἐν ζέσει τῶν ἐντολῶν·
ζητεῖν δ’ ὅ ἐστι, μήτε πάντῃ μήτ’ ἀεί,
μήτε προχείρως πᾶσι γυμνοῦν τὸν λόγον44.
950
955
960
955 ἀνταστράπτεται] ἀστράπτεται C, ἀπαστράπτεται P s.l., Va (sed s.l. ἀνταστράπτε
ται)
957 ὑπερσχεῖν] ὑπερέχειν CsM2 DoctrCE edd., ὑπερσχὴν fort. S
959 σο
φίζει] φωτίζει G (sed mg. γρ: σοφίζει) P (sed s.l. σοφίζει) Doctr AB
960 με om.
Ω
‹ὡς› supplevi
ὑπεκδρομαῖς] ὑπ’ ἐκδρομαῖς L, ὐπεκδρομῆς Cs, ὐπεκδρομεῖς
Samb. Mor., ὐπεκδρομεὶ Caill., ἐπ’ ἐκδρομαῖς DoctrΒ, ταῖς ὑπεκδρομαῖς (ταῖς ὑπ’ ἐκδρο
μαῖς G) Ω; totus versus sic legitur in Syr.: «trahens me indesinenter in altum eo quod effugit»
961 νοεῖν μὲν ὡς μάλιστα] μάλιστα καὶ νοεῖν με (μὲν Caill.) LSVaCsM2 D mg.,
DoctrCE edd.; totus versus sic legitur in Syr.: «ut ‹quis› Deum quidem amplius intelligat et colat»
44 Crimi-Kertsch 1995, 182/184. Trad. Crimi, ibid., 183/185: »Credere di sapere che cosa sia
nuoce alla mente, a meno che uno, vedendo il riflesso del sole nelle acque, non ritenga di
vedere il sole o, incantato dalla bellezza di un vestibolo, non creda di vedere il padrone
di ciò che è dentro. È sapiente più di un altro, e in una certa misura, chi, vedendo di più,
ha attinto più luce; eppure tutti sono al di sotto della dignità di Dio, che è nascosto dalla
luce, davanti al quale stanno le tenebre. Anche se uno fende l’oscurità, resta folgorato dal
secondo ostacolo: la somma luce. Superare la duplice cortina non è molto agevole. Colui
che riempie tutto rimane anche al di sopra di tutto; colui che rende saggia la mente sfugge
agli sguardi della mente, traendomi continuamente verso l’alto, quasi col suo sfuggire.
Abbi Dio in mente, onoralo quanto più è possibile, mostrando il tuo amore nello zelo per
i precetti; non cercare ovunque e sempre ciò che è, e non svelare a chiunque con facilità
il tuo pensiero«.
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Traduzioni latine del carme de virtute (I 2,10)
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Tudert. 1439 mostra qui alcuni limiti nella comprensione:
Si quis arbitratur Deum posse cognoscere in quantum Deus est, non sanam
mentem habet, nisi, quemadmodum si umbram solis in aqua respiceret, solem
intueri putaret vel ostii pulchritudinem admiratus, dominum intus videre putaret.
Alius sane alio sapientia praestantior extat: qui, cum plura videt, plus splendoris
abstraxit – sed tamen omnes dignitate Dei quem lumen velat inferiores sunt. Hoc
lumen tenebrae tegunt atque preoccupant et, si aliquis nubem intuitu scinderet,
fulgore secundi obiecti summi luminis reverberaretur. Quanquam et nubem et
splendorem cogitatione superarem, non tamen ad Deum cognoscendum satis
hoc sufficiens mihi videretur, qui omnia sui replet quique totus universos caelos
occupat et qui mentibus sapientiam praebet ac mentis ictus refugit, quae me
semper ad altissimam contemplationem cognoscendi Dei atque venerandi trahit
amoremque ardore praeceptorum ostendit. Deus autem quid sit velle cognoscere
nec ubique nec semper licet neque etiam debemus omnibus rationem enudare45.
Qualche brano valga da esempio: il Tudertinus rende il v. 957 Διπλοῦν δ’
ὑπερσχεῖν οὐ μάλ’ εὐπετὲς σκέπας con un esplicativo »Quanquam et nubem
et splendorem cogitatione superarem, non tamen ad Deum cognoscendum
satis hoc sufficiens mihi videretur…«. Egli ricava »nubem et splendorem«
dal precedente v. 954 (ὃν φῶς καλύπτει, οὗ σκότος προΐσταται), chiarendo
scolasticamente il διπλοῦν…σκέπας, la ›duplice cortina‹ che rende Dio inaccessibile. E si produce nell’adiectio, banalmente integrativa, »…non tamen
ad Deum cognoscendum satis hoc sufficiens mihi videretur«, senza riscontri
nel testo di partenza, ma che fa da sutura con i vv. 958 ss. Al v. 960 emerge
una rapida allusione alla dottrina dell’ἐπέκτασις46: alle βολαί della mente
dell’uomo, tese a cogliere l’Inafferrabile, corrispondono simmetricamente le
ὑπεκδρομαί di Dio, che con i suoi ›sfuggimenti‹, i suoi moti subitanei, sfugge
alle βολαί stesse, nel contempo attirando l’uomo e il suo intelletto sempre
più in alto. L’umanista non afferra bene il pensiero e la sua versione tenta di
mascherare l’ignoranza del tema47. Eppure, anche in questo passo in cui il
dotto mostra le sue incertezze nell’intendere pienamente il linguaggio teologico del Nazianzeno, appare qualche spunto significativo, come, ad esempio,
la resa dell’ἀνταστράπτεται di v. 955 con »reverberaretur«. È, quest’ultima,
una scelta lessicale che potrebbe rispecchiare la nota dottrina agostiniana
45 Crimi-Kertsch 1995, 455-456.
46 Nota soprattutto dalle opere di Gregorio Nisseno: cf. Völker 1993, 167ss. Per la presenza
nel Nazianzeno cf. Crimi 1991, 35-36.
47 Cf. Crimi 2000, 303-304.
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Carmelo Crimi
della reverberatio espressa, tra l’altro, in Conf. VII 10,15, et reverberasti infirmitatem
aspectus mei radians in me vehementer, et contremui amore et horrore48.
Certamente migliore Leuncl. 1571 – versione che, come si è detto, opera per
ampie segmentazioni di testo – in cui il passo viene così reso:
Verum iccirco scire uelle quid sit Deus, mentis ipsius est pernicies. Nisi quis forte
solis umbram in aquis cernens, solem ipsum se cernere putet: uel ob liminis
elegantiam obstupescens, herum ipsum intra aedes abditum intueri se arbitretur.
Alius quidem alio quadam ex parte sapientior est, ut qui plus lucis hauserit, et
plus uideat: uerum omnes nihilo minus Dei maiestate sunt inferiores, quem lux
tegit, et ante quem stant tenebrae. Quod si maxime tenebras quis penetret, altero
lucis summae obstaculo ac uelamine prae nimio ipsius fulgore occaecatur. Et
tegumentum duplex penetrare, non admodum est facile. Deum autem illum, qui
omnia replet, ac supra omnia manet, qui mentem luce perfundit, et radios tamen
mentis fugit semper subterfugiendo ad sublimiora trahens: Deum igitur hunc
mente quidem indagare colereque maxime debes, ostenso amore in ipsum tuo
per feruentem mandatorum eius obseruationem: at quid sit quaerere, nec ubique
conuenit, nec semper, nec orationem de hoc tuam facile quibusuis aperire49.
È significativo che Leuncl. 1571 faccia precedere la traduzione dei relativi ὅς ai
vv. 958 e 959 da un »Deum autem illum…« ch’egli deriva dal Θεόν iniziale
del successivo v. 961. A mio parere, una simile interpretazione non appare
pienamente giustificabile, perché a partire dal v. 961 il Nazianzeno comincia
un nuovo ordine di ragionamenti, contrapponendo alla conoscenza di Dio,
che si realizza attraverso l’osservanza dei comandamenti, l’inopportunità
di una ricerca estenuata di ciò ch’Egli sia. Mi appaiono complessivamente
più felici le traduzioni di Billius, soprattutto quella apparsa in Bill. 1583,
che rispecchia ottimamente la secchezza del testo originale e dimostra la
grande abilità del benedettino nell’affrontare il difficile linguaggio teologico
del Nazianzeno:
48 Cf. Kertsch in Crimi-Kertsch 1995, 371.
49 Leuncl. 1571, 1053.
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Traduzioni latine del carme de virtute (I 2,10)
Bill. 1575
At quid sit ipse, si quis est qui se putet
Habere notum, mentis est inops bonae.
Atque est perinde, solis vt si quis videns
Vmbras in vndis, se putet tum cernere
Solem: videns aut atrium
pulcherrimum,
Herum arbitretur aedium se cernere.
Praecedat alter alterum sophia licet,
Meliusque cernens, luminis plus
hauriat:
Infra supremi numinis cuncti tamen
Sunt dignitatem: quem tegit lux
splendida,
Caligo cuique densa prostat maxime.
Atque vt quis atram dissecet caliginem,
Tamen supremi luminis perstringitur
Velo secundo. Iam duo velamina
Procliue non est cuipiam perrumpere.
Qui cuncta complens altior cunctis manet,
Sophiaque mentes instruens, mentis
tamen
Fugit ipse captum: sicque me semper
trahit
In culmen altum, dum celer se proripit.
Et cogitare maxime, colere et pie
Numen supremum debeo: sanctissimis
Atque obsequendo legibus, quod hunc
amem,
Monstrare. quid ast ipse sit, nec
quaerere
Prorsus, nec omni tempore, aut
promptissime
De rebus hisce proloqui cunctos
apud50.
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Bill. 1583
At scire quid sit, qui putat, mente
excidit.
Atque est perinde, solis vt si quis videns
Vmbras in vndis, hunc putet se cernere:
Valdeque mirans atrium pulchrae
domus,
Dominum videre credat idcirco aedium.
Praecedat alter alterum sophia licet,
(Qui nempe lucis plus trahit, plura
intuens)
Infra Dei omnes dignitatem sunt tamen:
Quem lumen operit, antequam51 fusus
nigror.
Tenebrasque si quis dissecet, velo statim
Summi secundo luminis perstringitur.
Non facile porro scinditur velum duplex.
Qui cuncta complens altior cunctis manet,
Docensque mentem, mentis aspectum
fugit:
Trahens in altum dum celer se proripit.
Deum quidem tu cogita, et cole maxime,
Philtrum, obsequendo legibus,
monstrans tuum:
At parce, quid sit ipse, ubique quaerere,
Semperque, cunctis verba nec fundas
leuis52.
505152
50 Bill. 1575, 323-324. Sono in corsivo i versi (o parti di verso) che ritornano identici in Bill.
1583 (cf. supra n. 40 e relativo contesto).
51 Lege ante quem.
52 Bill. 1583, 1383. In corsivo i versi (o parti di verso) ripresi da Bill. 1575 (cf. supra n. 40 e
relativo contesto).
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Carmelo Crimi
5.
Ho notato altrove53 che il Tudertinus, che tradusse Vitae plutarchee, sembra
apprezzare gli aneddoti e gli exempla virtutis che il Teologo – testimone critico,
ma non di meno assai curioso, della vita degli Elleni – ci ha tramandato nel
carme I 2,10. Nonostante questi suoi interessi, l’umanista mostra qualche
defaillance a proposito di episodi e racconti relativi agli antichi. Ad esempio,
al v. 676 (citato supra, al punto 2.2.), egli traduce malamente con »populi«,
scambiandolo per il nome comune, il nome proprio Λεώ, il padre delle
fanciulle sacrificate per salvare Atene. Anche a riguardo degli episodi veterotestamentari, le sue conoscenze rivelano qualche crepa. Il Nazianzeno, ai
vv. 523-532, parla diffusamente del profeta Elia:
…Ἠλίαν δὲ ποῦ
στήσωμεν, ὃν Κάρμηλος ἔτρεφεν μέγας
κόραξι χειμάρρῳ τε γῆς ἐκ διψάδος;
Ὅς, ὢν πένης τε καὶ πενήτων ἔσχατος,
ἵστη τυράννοις ὑετούς, ῥείθρων βάθη·
πῦρ εἷλκεν ἐχθροῖς καὶ θυσίαις ἐξ οὐρανοῦ,
χήραις ἐπήγαζε ῥανίδας στενὰς τροφῆς,
τρέφων τρεφούσας πλουσίως ὁ ἐνδεής·
νεκροὺς δ’ ἀνίστη, μισθὸν εὐσεβοῦς σκέπης,
πυρός τ’ ἀνήγεθ’ ἅρματι πρὸς οὐρανόν54.
525
530
525 ἐκ διψάδος] ἐκδιψάμενος DG, διψωμένης P (sed mg. ἐκ διψάδος)
527 τυράν
νοις] τυράννους Ω (sed τυράννοις P s.l.)
529 στενὰς] στενῆς P (sed s.l. στενὰς)
LCs edd.
τροφῆς] στροφῆς Cs a.c., edd. (sed τροφῆς PG)
Ecco Tudert. 1439:
Verum Eliam, qui in Carmelo monte altissimo a corvis cibum suscipiebat et e
torrente terra longe arida scaturiente aquam potabat, ubi collocabimus? Qui,
cum longe ceteros pauperes paupertate vinceret, imbres auferens ignem hostibus
sacrificiisque e caelo diripuit; qui, cum reficiendi corporis gratia cibum poposcisset
53 Cf. Crimi 2000, 308ss.
54 Crimi-Kertsch 1995, 152. Trad. Crimi, ibid., 153: »E dove porremo Elia, che il grande
Carmelo nutriva con i corvi e con il torrente dall’arida terra? Egli, povero, anzi l’ultimo
dei poveri, arrestava le piogge ai tiranni e le profondità dei fiumi; faceva cadere dal cielo
il fuoco su nemici e sacrifici; per le vedove faceva sgorgare piccole gocce di nutrimento,
nutrendo copiosamente, lui bisognoso, chi lo nutriva; resuscitava i morti, ricompensa del
pio riparo, e fu portato in cielo da un carro di fuoco«.
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Traduzioni latine del carme de virtute (I 2,10)
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nutrientemque fecunde nutrisset viduaeque guttas imbecillis nutrimenti subministrasset, mortuo vitam, mercedem pii hospitii, restituit et igneo curru vectus ad
caelos evolavit55.
È evidente che, al v. 527, l’interprete non ha colto l’allusione alla siccità
predetta da Elia al crudele re Achab56 e ha erroneamente riferito le piogge
(»imbres auferens«) all’episodio del profeta e dei sacerdoti di Baal57 cui invece
si allude, nel testo del Nazianzeno, al successivo v. 528. Tale confusione tradisce le incertezze del Tudertinus in materia biblica; però, quando egli afferra
l’allusione – come accade per l’episodio della vedova di Zarepta che accoglie
e nutre il profeta58 – egli aggiunge un allotrio »cum reficiendi corporis gratia
cibum poposcisset«, senza riscontri nel carme gregoriano. È quel che si potrebbe chiamare il ›compiacimento‹ dell’interprete che ha finalmente modo
di sfoggiare qualche competenza, aggiungendo di suo elementi extratestuali.
La versione del Tudertinus, con i suoi limiti, è un esperimento episodico,
che rivela anche come la figura del Nazianzeno venisse alquanto confusamente percepita nell’età dell’interprete: quasi un biografo ed educatore, un
umanista cristiano, una sorta di alter Basilius. Il Basilio, diciamo pure, del De
legendis libris gentilium capillarmente divulgato grazie alla fortunata traduzione
di Leonardo Bruni59.
6.1
Discorso diverso va fatto certamente per le distinte personalità di Leunclavius e Billius, le cui versioni del carme de virtute fanno parte di corpora
vasti e ambiziosi. Il primo vuole »…rendere pubblico quanto di inedito [del
Nazianzeno] esiste, non in greco, ma in latino«60, e ciò giustifica l’evidente
ricerca, da parte sua, di un eloquio piano, dal carattere sensu lato divulgativo.
Quest’ultimo aggettivo sembra per qualche aspetto rispondere bene alle
intenzioni del dotto tedesco, che, nell’epistola di dedica di Leuncl. 1571, così
scrive:
55
56
57
58
59
60
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Crimi-Kertsch 1995, 447. Per questo passo cf. Crimi 2000, 301.
Il re è designato col plurale poetico τυράννοις: l’episodio è narrato in 3 Reg. 17,1.
In 3 Reg. 18,21ss., in particolare 18,38.
In 3 Reg. 17,8ss. Nel carme gregoriano l’allusione si trova ai vv. 529-530.
Cf. Naldini 1984, 58ss.; la traduzione di Bruni: ibid., 231-248.
Palla 2002, 178.
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Carmelo Crimi
…liberali quodam animi desiderio, et ambitione honesta (fatebor enim quod
res est) excitatus, in hoc totis uiribus incumbendum duxi: ut si qui ueterum
Graecorum libri uel Latinam in linguam hactenus conuersi non essent, uel in
bibliothecarum tenebris delitescentes necdum lucis usuram accepissent, meo
studio tum Latinam uestem induerent, tum ea exornati publice hominum oculis
sese spectandos exhiberent61.
Pur espresso nella tradizionale topica umanistica, viene formulato un programma che appare pienamente consapevole del valore e del ruolo delle
opere greche.
6.2
Billius, al contrario, inizialmente aveva soprattutto proposto versioni di testi
già editi nell’originale, per poi focalizzare i suoi interessi anche nella pubblicazione di testi del Teologo inediti in greco62. E, a differenza di Leunclavius,
il suo vertere, un vertere in metro, si badi, si prefiggeva altri scopi: una resa
retoricamente nobile dei testi, ben adeguata alla auctoritas del Nazianzeno,
il che significava quasi l’entrare in gara con i versi dell’augusto modello,
non l’umile porsi al servizio del lettore. In tale prospettiva, Billius dava
fondo alle sue notevoli competenze, attingendo a piene mani alla tradizione
letteraria antica e producendo versioni colme di flosculi retorici che redolent
auliche locuzioni63.
Nel passaggio dalla prima (1575) alla seconda versione (1583), il benedettino
ha ridotto il numero dei senari, sovrabbondanti nella prima, finendo per
approssimarsi a quello dei trimetri giambici dell’originale. Non è stata una
semplice operazione di maquillage, perché egli, pur senza rinunciare del tutto
a ridondanze espressive, ha cercato di seguire più da vicino la catafratta
durezza e l’imprevedibile sprezzatura del suo modello, che talora sconfinano
nella obscuritas. Billius dà qui la misura della sua matura competenza e si approssima ad uno stile, quello del Nazianzeno, che risultava spesso sgradito
anche a palati finissimi. Pensiamo ad un Erasmo che, cinquanta anni prima,
61 Leuncl. 1571, prima pagina (senza numero) del Prooemium, primo tomo (cf. Palla 2002, 178
n. 59).
62 Cf. Palla 2002, 179.
63 Un paio di esempi da due versi ricordati in questo lavoro (supra n. 28 e relativo contesto):
I 2,10, 677 τῶν Ἀθηνῶν, Bill. 1583, 1381, »pro gente Cecropia« (cf. Hor. carm. 4, 12,5
Cecropiae domus), e 678 πρόθυμον, Bill. 1575, 312 e Bill. 1583, 1381, »non pigro… pede«
(cf. Hor. epod. 11, 19 incerto pede). Si aggiunga I 2,10, 806 ἀπῆλθεν, che Bill. 1583, 1382,
traduce »rettulit… pedem« (cf. Ov. her. 16, 73 rettulit illa pedem).
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Traduzioni latine del carme de virtute (I 2,10)
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aveva parlato della argutiarum… affectatio e della obscuritas di Gregorio e non
aveva nascosto di preferire la perspicuità di Basilio di Cesarea64.
Alla versione di Billius del 1583 arride il successo. Viene riprodotta negli Ope
ra omnia di Gregorio pubblicati tra il 1609 e il 1611, in due tomi, da Fédéric
Morel (1552-1630), e nelle successive ristampe seicentesche. Ancor oggi la
leggiamo in calce alla edizione dei Maurini, ristampata nella Patrologia Graeca.
Quasi una insperata rivincita nei confronti del vituperato Leunclavius.
Riferimenti bibliografici
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1400-1700. Between Cosmopolitism and Regionalism«, Edited by H. Karner,
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Backus 1993 = Irena Backus, La Patristique et les guerres de religion en France. Étude
de l’activité littéraire de Jacques de Billy (15351581) O.S.B., d’après le MS. Sens
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Ben-Tov 2015 = A. Ben-Tov, Infamie und historische Wahrheit. Johannes Löwenklaus
Apologia pro Zosimo (1576), »Verteidigung als Angriff. Apologie und Vindi
catio als Möglichkeiten der Positionierung im gelehrten Diskurs«, Herausgegeben von M. Multhammer, Berlin-Boston 2015, 9-25
Bill. 1569 = Divi Gregorii Nazianzeni, cognomento Theologi, Opera omnia, quae quidem
extant, nova translatione donata, una cum doctissimis Nicetae Serronij commentariis in
sedecim Panegyricas orationes, intextis etiam quibusdam Pselli enarrationibus in obscuriora
loca secundae orationis de Paschate. Adiunctum est praeterea Nonni opusculum, quo pro
fanas historias et fabulas, quae in Invectivis adversus Iulianum Apostatam reperiuntur,
exponit. Quae omnia nunc primum Latina facta sunt, Iacobi Billi Prunaei, S. Michaëlis
in Eremo Abbatis, diligentia et labore. Addita sunt etiam ubique brevia quaedam Scholia,
eodem Abbate auctore. Cum triplici indice, Parisiis, Apud Sebastianum Nivellium
[anche Apud Ioannem Benenatum], 1569
Bill. 1575 = D. Gregorii Nazianzeni, cognomento Theologi Opuscula quaedam, nunc pri
mum in lucem edita, aliaque item versibus reddita, magnaque ex parte Cyri Dadybrensis
64 Per il severo giudizio di Erasmo sul Nazianzeno cf. Crimi 2006, 348-349 n. 132.
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Carmelo Crimi
Episcopi commentariis illustrata. Interprete Iacobo Billio Prunaeo, S. Michaelis in
Eremo Coenobiarcha…, Parisiis, Apud Ioannem Benenatum, 1575
Bill. 1583 = D. Gregorii Nazianzeni, cognomento Theologi, Opera omnia quae extant, nunc
primum propter novam plurimorum librorum accessionem in duos Tomos distincta: Cum
doctissimis Graecorum, Nicetae Serronij. Pselli, Nonni, et Eliae Cretensis Commentariis.
Iacobo Billio Prunaeo, Sancti Michaëlis in Eremo Coenobiarca, Interprete et Scho
liaste, I-II, Parisiis, Apud Nicolaum Chesneau… [anche Apud Sebastianum
Nivellium], 1583 [la paginazione dei due tomi è continua]
Burtin 1990 = M.-P. Burtin, Un apôtre de la tolérance. L’Humaniste allemand Johan
nes Löwenklau, dit Leunclavius (15411593?), »Bibliothèque d’Humanisme et
Renaissance« LII (1990) 561-570
Cesaretti-Ronchey 2012 = Storia di Barlaam e Ioasaf. La Vita bizantina del Budda, a
cura di P. Cesaretti-Silvia Ronchey, Torino 2012
Crimi 1991 = C. Crimi, La «Doctrina Patrum» e la tradizione diretta del carme I 2,10
di Gregorio Nazianzeno, »ΣΥΝΔΕΣΜΟΣ. Studi in onore di Rosario Anastasi«,
I, Catania 1991, 21-47
Crimi-Kertsch 1995 = Gregorio Nazianzeno. Sulla virtù: carme giambico [I,2,10], introduzione, testo critico, traduzione di C. Crimi, commento di M. Kertsch,
appendici a cura di C. Crimi e J. Guirau, Pisa 1995
Crimi 2000 = C. Crimi, Antonio Pacini traduttore del carme giambico «De virtute» di
Gregorio Nazianzeno, »Tradizioni patristiche nell’Umanesimo«. Atti del Convegno. Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento. Biblioteca Medicea
Laurenziana, Firenze, 6-8 febbraio 1997, a cura di Mariarosa Cortesi e C.
Leonardi, Firenze 2000, 295-315
Crimi 2002 = C. Crimi, Note su alcune edizioni di Gregorio Nazianzeno apparse tra il
1550 e il 1568, »I Padri sotto il torchio. Le edizioni dell’antichità cristiana nei
secoli XV-XVI«. Atti del Convegno di studi, Certosa del Galluzzo, Firenze,
25-26 giugno 1999, a cura di Mariarosa Cortesi, Firenze 2002, 147-165
Crimi 2006 = C. Crimi, «Editiones principes» dell’epistolario di Basilio di Cesarea, »›Editiones principes‹ delle opere dei Padri greci e latini«. Atti del Convegno di
studi, Certosa del Galluzzo, Firenze, 24-25 ottobre 2003, a cura di Mariarosa
Cortesi, Firenze 2006, 313-354
Crimi 2014-2015 = C. Crimi, Nazianzenica XX. Sopra un codice vaticano perduto e
un Sirleti liber utilizzato da Jacques de Billy, »Bizantinistica. Rivista di Studi
Bizantini e Slavi« s. II, XVI (2014-2015) 349-359
Leuncl. 1571 = Operum Gregorii Nazianzeni Tomi tres, Aucti nunc primum Caesarii, qui
frater Nazianzeni fuit, Eliae Cretensis Episcopi, et ipsius Gregorii librorum aliquot acces
sione. Quorum editio diuturnis vigilijs, summaque fide, qua interpretationem, qua veteres
ad libros collationem, elaborata est per Ioannem Leuvenklaium. Nec deinceps aliam
expectari locupletiorem posse, de prooemio Lector intelliget. Additae sunt Annotationes,
et Index quum Locorum S. Scripturae obiter explicatorum, tum Rerum et verborum
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Traduzioni latine del carme de virtute (I 2,10)
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locupletissimus, Basileae, ex Officina Hervagiana, 1571 [la paginazione dei tre
tomi è continua]
Leuncl. 1572 = Annales Michaeli Glycae Siculi, qui lectori praeter alia cognitu iucunda
et utilia, Byzantinam historiam uniuersam exhibent: nunc primum Latinam in linguam
transscripti et editi per Io. Levvenclaium; ex Io. Sambuci v.c. Bibliotheca: accessit Index
geminus locupletiss., Basileae, Per Episcopios, 1572
Lucioli 2014 = F. Lucioli, Pacini, Antonio, »Dizionario Biografico degli Italiani«,
LXXX, 2014 (consultato online, 23 giugno 2017)
Mazzarino 2002 = S. Mazzarino, La fine del mondo antico, rist. Milano 2002 (ediz.
orig. Milano 1959)
Menckenius 1730 = Scriptores rerum Germanicarum, praecipue Saxonicarum, in quibus
scripta et monumenta illustria, pleraque hactenus inedita, tum ad historiam Germaniae
generatim, tum speciatim Saxoniae sup. Misniae, Thuringiae et Varisciae spectantia, (…)
maximam partem collegit Io. Burchardus Menckenius…, tomus III, Lipsiae,
Impensis Ioannis Christiani Martini, 1730
Naldini 1984 = Basilio di Cesarea, Discorso ai giovani. Oratio ad adolescentes, con
la versione latina di Leonardo Bruni, a cura di M. Naldini, Firenze 1984
Palla 1990 = R. Palla, Alle fonti della prima edizione billiana dei carmi di Gregorio
Nazianzeno, estr. anticipato, Messina 1990, 1-33 [da cui si cita], e in »Polyanthema. Studi di letteratura cristiana antica offerti a Salvatore Costanza«, III,
Messina 1998, 83-113
Palla 2002 = R. Palla, Tra filologia e motivi confessionali: edizioni e traduzioni latine
di Gregorio Nazianzeno dal 1569 al 1583, »I Padri sotto il torchio. Le edizioni
dell’antichità cristiana nei secoli XV-XVI«. Atti del Convegno di studi, Certosa del Galluzzo, Firenze, 25-26 giugno 1999, a cura di Mariarosa Cortesi,
Firenze 2002, 167-188
Rollo 2017 = A. Rollo, Study Tools in the Humanist Greek School: Preliminary Obser
vations on GreekLatin Lexica, »Teachers, Students, and Schools of Greek in
the Renaissance«, Edited by Federica Ciccolella, L. Silvano, Leiden-Boston
2017, 26-53
Samb. 1568 = Sententiae et regulae vitae ex Gregorii Nazanzeni scriptis collectae. Eiusdem
Iambi aliquot, nunc primum in lucem editi: Per Ioannem Sambucum Pannonium,
Antverpiae, Ex officina Christophori Plantini, 1568.
Stolte 1994 = B.H. Stolte, The Lion’s Paws. Observations on Joannes Leunclavius (1541
1594) at work, »Rechtshistorisches Journal« XIII (1994) 219-233
Tudert. 1439 = editio princeps in Crimi-Kertsch 1995, 440-457
Visser 2005 = A.S.P. Visser, Joannes Sambucus and the Learned Image. The Use of the
Emblem in LateRenaissance Humanism, Leiden-Boston 2005
Völker 1993 = W. Völker, Gregorio di Nissa filosofo e mistico, trad. dal tedesco e
indici di Chiara O. Tommasi, presentazione e trad. dei testi greci di C. Moreschini, Milano 1993
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