‘
la repubblica promuove lo
sviluppo della cultura e
la ricerca scientifica e tecnica.
tutela il paesaggio e il
patrimonio storico e artistico
della nazione.
[costituzione della repubblica italiana, articolo 9]
1
la pianura campana.
prima della città
immaginando città
racconti di fondazioni mitiche,
forma e funzioni delle città
campane.
santa maria capua vetere - paestum
a cura di
carlo rescigno, francesco sirano
La Campania settentrionale in età protostorica
Claude Albore Livadie
Dal Neolitico finale all’Eneolitico: metà V-III millennio a.C.
Quasi nulla si conosceva fino alla metà degli anni ’90 degli insediamenti protostorici della Campania settentrionale, ad eccezione di alcuni stanziamenti di breve durata e dalle specializzazioni principalmente pastorali, ubicati sui rilievi calcarei che
delimitano a nord (monte Massico) e a nord-est (monti di Caserta) la Piana Campana. Grazie a numerose indagini preventive, associate a fortunati e casuali rinvenimenti, è stato possibile
rivelare un inaspettato quadro archeologico che ha totalmente
cambiato la storia del popolamento protostorico della regione
e ha permesso di ricostruire millenni di storia umana caratterizzati dall’interferenza dei fenomeni vulcanici dovuti all’attività
del Somma-Vesuvio e dei Campi Flegrei. Le evidenze riscontrate
hanno offerto, infatti, straordinarie possibilità di lettura di tutto
quanto attiene l’organizzazione economico-sociale, territoriale
e di vita quotidiana delle comunità pre-storiche ivi installate ben
prima dell’inizio dell’età del Ferro nella Piana.
Ad oggi, mancano in quest’area le testimonianze relative alle
prime fasi del periodo neolitico, così ben attestato nella vicina
Irpinia e nel Beneventano, lasciandoci intendere che solo intorno al V millennio a.C. sia avvenuta, con i primi villaggi, la messa
a coltura della piana. Sappiamo, tuttavia, che bisogna considerare con cautela questa lacuna della documentazione che denoterebbe un vuoto di popolamento sorprendente in una fase climatica favorevole e in presenza di suoli ben drenati di indubbio
richiamo per le popolazioni agricole.
Le nostre conoscenze diventano ben più cospicue per la fase del
Neolitico avanzato, caratterizzata nella Piana Campana da insediamenti sparsi, con attività produttive prevalentemente indirizzate verso un’economia a base agricola. Questi nuclei di diverse
12 PRIMA DELLA CITTÀ / CLAUDE ALBORE LIVADIE
dimensioni conoscono periodiche dislocazioni, verosimilmente
legate a rotazioni dell’uso delle terre arabili, per il fenomeno
dell’esaurimento dei suoli. Tali nuclei sono stati individuati in
vari contesti ambientali: ad Acerra, località Masseria Sanguigno, nei pressi di Maddaloni e di Marcianise, nel settore della
piana ad E del Clanis, a ridosso della depressione del Sebeto, a
Gricignano, località Fusarello, a Napoli, località Botteghelle, ecc..
Testimonianze estremamente espressive della vita delle comunità di contadini sono le numerose tracce di aratura e i recinti,
conservati in un contesto coevo o di poco anteriore alla ceramica neolitica di Serra d’Alto/Diana. Numerosi villaggi occupano
principalmente le aree non lontane dei fiumi principali (Clanis,
Sebeto), riparate però dalle fasce esondabili, mentre sembrano
disabitate le aree distanti dai corsi d’acqua. Alcune evidenze indicano anche l’occupazione di pendii collinari: a Napoli, in via
Diaz, sono stati rinvenuti solchi di aratura alle falde della collina di Sant’Elmo; a Sarno, un villaggio sorgeva sulle pendici della
collinetta di Sant’Angelo di Foce; nell’alta valle del Clanio, in località Fusaro, un abitato di lunga durata era ai piedi del monte
Campimma. Interessante per la prossimità della costa e il facile
collegamento con Capri e i centri di sfruttamento dell’ossidiana, l’occupazione delle falde del Vesuvio: a Boscoreale, a Boscotrecase, a Pompei (insula dei Casti Amanti). Ad oggi, abbiamo
pochi dati relativi all’occupazione delle valli del Volturno e del
Savone, soggette a ingenti modifiche paleomorfologiche e, per
quanto riguarda la valle del Volturno, a una forte aggradazione
per l’accumulo nel tempo di sedimenti con condizioni palustri
del settore costiero.
Con la successiva età del Rame si verifica una rinnovata presenza insediativa e un più integrato sfruttamento del territo-
rio. Processi di trasformazione nell’ambito sociale, ideologico e
tecnico con l’introduzione della metallurgia, si accompagnano
all’incremento della conflittualità comprovato dalla generalizzazione dei rinvenimenti delle armi di selce e di rame. Tuttavia,
la transizione alla nuova era non avviene con una cesura netta e
radicale. Al margine della piana nolana, l’insediamento di Mulino Sant’Antonio (alta valle del Clanio), manifesta la non linearità
di questa fase di passaggio all’Eneolitico e la possibile variabilità
dell’organizzazione economica da un gruppo a un altro. La datazione del sito (5070±70 BP) costituisce un importante punto
di riferimento, in quanto avvicinabile alle più antiche datazioni
radiocarboniche ottenute per altri contesti eneolitici di transizione. Questo sito, verosimilmente collegato ai villaggi di agricoltori della vicina pianura, affianca alla produzione agricola e
all’allevamento un’economia predatoria, che utilizza le risorse
forestali (caccia, allevamento allo stato brado). Esso è ricoperto da uno strato vulcanico relativo a un potente evento eruttivo
flegreo, di incerta attribuzione. Il vulcanismo dei Campi Flegrei,
dopo una lunga fase di quiescenza, riprende, infatti, con un notevole dinamismo dalla fine del periodo neolitico e durante tutto l’Eneolitico. Tra 4800 e 3800 BP si contano più di venti eruzioni tra esplosive ed effusive. Talune hanno interessato la regione.
Alcune datazioni C14, a dire il vero, non sempre concordi, situano
nel tempo l’attività dei principali centri vulcanici flegrei: Agnano
3 (4450±50 BP; 3340-2930 cal. BC), Paleoastroni 1 e Paleoastroni
2 (4170±40 BP; 28862629 cal. BC), Agnano-Monte Spina (4130±50
BP; 2877-2577 ca.l BC), di Monte Sant’Angelo (4400±50 BP; 33362925 cal. BC), Solfatara (4386/4181 cal. BP), Averno 2 (3700±50 BP;
2275-1975 cal. BC), Astroni (4345/4153 cal. BP; 3820±50 BP; 24592140 cal. BC). Anche l’eruzione dell’isolotto di Nisida potrebbe
essere avvenuta in questo turbato periodo. Per la sua ubicazione (Piana di Fuorigrotta), vicinissima al mare, e per l’intensità
dell’esplosione ha dovuto avere un forte impatto sull’ambiente
circostante e forse originare uno tsunami lungo la costa.
Nella Piana Campana sono note alcune necropoli dell’Eneolitico antico. É un periodo in cui si strutturano le aree formali di
seppellimento. Diversi insediamenti riflettono la successione
di realtà culturali dissimili, non sempre chiaramente definibili
dal punto di visto della loro rispettiva durata e delle loro possibili convivenze. Gli scavi lungo il tracciato della linea TAV, in
prossimità del paleoalveo del Cranio, hanno evidenziato piccoli abitati e tracce consistenti di sfruttamento agricolo nei suoli
che si sono evoluti sulla superficie del cosiddetto Paleosuolo B,
formatosi alla sommità di vecchi eventi (Tufo Giallo Napoletano,
Pomici di Mercato, Pigna-San Nicola) e sotto le ceneri di Agnano 3. Per il periodo dell’Eneolitico antico, interessanti sono le
incinerazioni in contenitore di ceramica (Succivo, località Torre
Valentino; Gricignano, viadotto Padulicello) e con modestissimo
corredo. É difficile attribuire per ora questi contesti funerari alla
facies archeologica di Taurasi che è documentata in questo stesso periodo in Puglia, nell’Avellinese, ed è stata riconosciuta in
alcune aree della Piana Campana (Piedimonte Massicano, località Masseria Sacconara), a Capri (grotta delle Felci), in penisola
sorrentina (grotta Nicolucci), forse ad Ischia (Lacco Ameno) e nel
Vallo di Diano (Sala Consilina, località Capo La Pazza). Connessa
al processo formativo del Gaudo potrebbe avere conosciuto una
più capillare diffusione in Campania e sulla costa meridionale
del Tirreno.
Per la fase antica dell’Eneolitico e per i momenti successivi, una
ricca documentazione proviene dagli scavi dei villaggi plurifasi di Caivano (Linea TAV, IV sottotratta, lotto 10) e di Afragola
(Linea TAV, V sottotratta, lotto 1). L’insediamento di Caivano ha
una prima fase di vita con strutture a pianta ellittica e ovale. Nonostante l’evento vulcanico di Agnano 3, conosce una ripresa, a
quanto sembra rapida, e un certo sviluppo con l’edificazione di
nuove capanne a pianta circolare e ovale, prima di essere di nuovo ricoperto dall’eruzione di Paleastroni 2. L’abitato della terza
fase di vita, ormai ridimensionato, resta ubicato nello stesso luogo, ma occupa la paleosuperficie di questa ultima eruzione. Ad
Afragola si riscontra una situazione affine e la medesima fedeltà
residenziale.
Evidenze funerarie attribuite alla facies del Gaudo erano state
da tempo riconosciute in alcune località dell’alto casertano (tra
cui Sessa Aurunca, Piedimonte Massicano, Mondragone, Caiazzo, Alife, Faicchio) e nella parte meridionale della Piana (Napoli),
dando conferma di uno stretto collegamento con il Lazio attraverso le vie interne e la costa. Gli scavi recenti hanno rinvenuto
una tomba a grotticella ad Acerra (località Parmiano) ricoperta
da Agnano 3 e a Caivano (Linea TAV, IV sottotratta, lotto 1, zona
industriale) un nucleo di sepolture verosimilmente coevo al vicino insediamento sopra menzionato, forse uno degli abitati Gaudo, finora raramente individuati.
In via preliminare, consideriamo che la fase dell’Eneolitico medio caratterizzato dal Gaudo si sviluppa dalla metà del IV, o poco
dopo, e la metà del III millennio, o poco prima, fino all’affermarsi della facies di Laterza, con la quale potrebbe condividere una
qualche contemporaneità. Questa ipotetica sovrapposizione
cronologica e la compresenza nello stesso territorio hanno potuto comportare una complessa coesistenza, competitiva o pacifica, difficile da valutare allo stato delle nostre conoscenze.
Con l’Eneolitico tardo, in vasta parte della Campania, sono noti
ampi abitati e aree di sepolture singole in fossa o a pseudo grotticella con individui rannicchiati deposti sul fianco destro riferibili
all’aspetto campano di Laterza. Finora le attestazioni ben definite di questa facies sono attestate solo al di sopra dell’eruzione di
Agnano Monte Spina. Un vasto insediamento a Gricignano d’Aversa (US Navy) illustra bene la complessità della sequenza geoarcheologica e l’importanza della documentazione acquisita.
Il paleosuolo a tetto dell’eruzione di Agnano Monte Spina ha restituito circa cinquanta capanne a pianta prevalentemente ellittica, numerose evidenze produttive e circa centosettantacinque
tombe a fossa, ricoperte dall’eruzione Paleoastroni 1, la cui paleosuperficie viene occupata da un altro abitato, di cui sono state
esplorate alcune capanne circolari. Questa paleosuperficie è, poi,
sigillata da un successivo evento vulcanico, cronologicamente vicino (Paleoastroni 2), sul quale s’impone un altro villaggio di cui è
stato possibile esplorare alcune capanne allungate ed absidate,
verosimilmente ancora riferibile alla facies di Laterza.
Il modello insediativo con tombe all’interno dell’abitato e/o in
attigui cimiteri, documentato nelle grandi necropoli di Grici-
LA CAMPANIA SETTENTRIONALE IN ETÀ PROTOSTORICA 13
gnano, rivela, pur nella parzialità dei dati in nostro possesso,
un quadro articolato dei rituali funerari che potrebbero essere
indicativi di una (apparente?) discriminazione dei sessi (le sepolture femminili sono generalmente prive di corredo personale e
di offerte specifiche), affine a quella già riscontrata nel Gaudo. Si
nota, anche se la tematica relativa agli usi funerari richiede una
grande prudenza interpretativa, che le tombe maschili mostrano una particolare sistemazione dei vasi legati a vari momenti
del rituale e verosimilmente a qualche distinzione sociale.
Le ultime manifestazioni riconoscibili ancora come eneolitiche
consistono in pochi manufatti tardo Laterza. Uno scenario assai
più complesso di quello finora atteso per la fase finale dell’Eneolitico è suggerito dalla presenza di nuove componenti culturali:
la facies laziale dall’aspetto “del pettine trascinato” attestata a
Gricignano-US Navy (t. 14) e ad Afragola (Linea TAV, saggio 81218131) e la facies dalmata di Çetina per ora presente solo nel Salernitano (Atena Lucana; Oliva Torricella) e nella penisola sorrentina (Agerola), ma non in Campania settentrionale.
Il Bronzo antico: 2300/2200-1750 a.C. ca.
La facies più chiaramente definita per il periodo del Bronzo antico è quella di Palma Campania. Conosciamo soprattutto il momento tardo del suo sviluppo, in quanto i numerosi insediamenti presenti nel settore NE della Piana Campana e nell’Avellinese
sono stati ricoperti dal materiale piroclastico di una potente eruzione vesuviana. Rispetto a precedenti teorie, il periodo cronologico occupato dal Bronzo antico è stato valutato nella sua reale
estensione cronologica solo di recente. Allo stato attuale, esso
occupa, circa sei-sette secoli compresi grosso modo tra l’ultimo
terzo-fine del III millennio a.C. e il XVIII sec. a.C. ca. È un periodo
di grandi innovazioni socio-economiche caratterizzate, almeno
in alcune regioni della penisola e delle isole, da una maggior stabilità degli insediamenti, determinata da uno sfruttamento più
oculato delle risorse naturali del territorio e dal lento sviluppo
della lavorazione del bronzo (lega rame-stagno). A un momento
poco evoluto, corrispondente agli aspetti di transizione e/o formativi della facies di Palma Campania, si possono attribuire un
numero limitato di necropoli (San Paolo Belsito, località Monticello; Gricignano, US Navy, Linea TAV) e alcuni abitati, tra cui
l’insediamento di Oliva Torricella, nelle vicinanze di Salerno, distrutto da uno tsunami, l’abitato di Sarno, quello di Nola-piazza
d’Armi e alcuni siti della Piana Campana (forse quello rinvenuto
ad Acerra, località Spiniello e nel lotto 10, IV sottotratta, saggio
445-452), che ci forniscono alcune informazioni cronostratigrafiche. Anche se la fine del III millennio conosce alcuni eventi vulcanici flegrei (Averno 2 3700±50 BP; 2275-1975 cal. BC, Astroni 3
3820±50 BP; 2460-2140 cal. BC, Senga-Fossa Lupara 3820±50 BP;
2460-2140 cal. BC), il Bronzo antico sembra corrispondere a un
periodo di quiete almeno fino al momento dell’eruzione pliniana delle Pomici di Avellino (3550±20 BP, 1960-1770 cal. BC), verificatasi quando la regione era densamente abitata.
Diverse tipologie di siti (piccoli rilievi, zone collinari, terrazzi
fluviali, conoidi, ma anche zone in aperta pianura) accoglievano degli insediamenti a volta di grande estensione. L’assenza
di strutture difensive sembra generalizzata per questo periodo.
14 PRIMA DELLA CITTÀ / CLAUDE ALBORE LIVADIE
Questi villaggi aperti, soggetti a periodiche dislocazioni, erano
posti a poca distanza gli uni dagli altri e collegati da strade percorsi da carri. La densità del tessuto insediativo è ben evidenziata là dove sono state numerose le prospezioni o le indagini
preventive come è avvenuto nell’area nolana, in prossimità del
Clanio e nelle aree costiere (Pompei-Casa delle Nozze d’argento,
Sant’Abbondio; Boscoreale; Boscotrecase).
Il fatto che le abitazioni di diverse dimensioni, con forme generalmente absidate, siano raggruppate, a Oliva Torricella come
a Nola (fig. 1) e ad Afragola, all’interno di spazi ben definiti, recintati da steccati di varie tipologie, che le separavano da aree
aperte dove erano rinchiusi il bestiame e le riserve alimentari,
sottolinea l’esistenza di una proprietà “privata”. Questa asserzione è rinforzata dall’osservazione della divisione dei campi di
cui si sono conservate le tracce sotto i materiali vulcanici. Nelle
zone pianeggianti, i campi sono organizzati in lotti allungati di
diverse dimensioni (la lunghezza è notevole a Gricignano, molto
inferiore a Palma Campania, ma la larghezza da 30 a 60 metri è
simile), secondo l’entità dei gruppi familiari. Questi campi sono
delimitati da cordoni rilevati di terra con allineamento parallelo
e mostrano tracce di sarchiature, per l’eliminazione delle erbacce, di arature parallele con solchi e porche che evocano la semina
in riga, di arature incrociate praticate per sminuzzare il terreno,
per interrare la semente e per eliminare le malerbe germinanti. La presenza di canalette necessarie all’irrigazione e la stessa
struttura geometrica degli appezzamenti testimoniano un’attività sviluppata che comprende l’uso dell’aratro, la messa a riposo delle terre con la rotazione delle colture e la concimazione dei
campi. Il tutto è espressione di comunità di villaggio popolose,
legate da forti vincoli familiari e verosimilmente organizzate in
un sistema gerarchico parentelare. Diversi pozzi (Acerra, località
Spiniello; Gricignano, località Casignano), usati come fonte d’acqua, acquisiscono al momento del loro abbandono, una valenza
cultuale come mostrano le forme ceramiche utili per attingere
l’acqua e le lenti di ceneri presenti nei livelli di chiusura. Anche
una simile valenza potrebbero avere i ripostigli di asce in bronzo
della Campania costiera: Frignano-San Marcellino, area del Lago
Patria (fig. 2), Carinola.
Le tombe a fossa, con deposizioni singole, si presentano con
scheletro in posizione distesa su un fianco, le gambe leggermente flesse e le braccia ripiegate davanti al busto, con le mani in
corrispondenza della testa. Esse riflettono una situazione sociale ancora poco differenziata, soprattutto nella fase del Bronzo
antico non inoltrato in cui gli indicatori di distinzione sociale nei
corredi sono assenti o comunque scarsi. La presenza di alcuni tumuli a Gricignano, a San Paolo Belsito (fig. 3) e a Santa Maria a
Vico indica però una prima differenziazione di alcuni personaggi
eminenti all’interno dei gruppi sociali, da cui col tempo si svilupparono i primi lignaggi.
Le analisi archeobotaniche ad Avella, Gricignano, Palma Campania, San Paolo Belsito, Afragola, Capua, e più particolarmente a
Nola, località Croce del Papa, offrono una immagine delle attività rurali praticate prima dell’eruzione delle Pomici di Avellino.
Esse documentano una programmazione razionale con una logica estensiva, indirizzata alla coltura dei principali cereali tra i
quali l’orzo, Hordeum vulgare e il farro, Triticum dicoccum, e delle
leguminose da granella, in particolare la fava, Vicia faba. Inoltre, è attestato il consumo dei frutti spontanei, in particolare, la
mandorla, Amygdalus sp. e l’uva, Vitis sp.
Lo studio dell’alimentazione di alcuni dei siti di pianura della facies di Palma Campania (Nola, San Paolo Belsito, Afragola, Palma
Campania), allargato ad un sito dell’interno (La Starza di Ariano
Irpino) e del Salernitano (Oliva Torricella) indica che la dieta dei
prodotti animali si basava su bovini, ovicaprini e suini, oltre a un
consumo di specie selvatiche quali cinghiali e cervidi. È testimoniato anche il consumo del cane (Canis familiaris L.) e di volatili; in
prossimità della costa (Oliva Torricella) era consumata la malacofauna marina del genere Cardium, Venus e Glycimeris. Era praticata la transumanza verticale nelle aree più elevate del territorio.
Le particole fini dell’eruzione sono state trasportate verso la costa adriatica e a nord fino in Italia centrale, dove le ritroviamo
nei carotaggi effettuati nel bacino di Sulmona (Abruzzo) e nel
lago di Accesa (Toscana). A tal proposito, va citata l’opinione di
alcuni specialisti, i quali le ritengono responsabili di un deterioramento climatico. Poiché l’eruzione delle Pomici di Avellino è
stata caratterizzata da una forte emissione di gas tossici, il persistere di questi ultimi, sotto forma di aerosol nell’atmosfera,
avrebbe provocato una riduzione dell’energia solare e, di conseguenza, della temperatura in modo proporzionale alla quantità
dei gas presenti. Pertanto, ritengono che all’indomani dell’evento eruttivo si sia avuta una riduzione di temperatura di circa 2
ºC e che abbia avuto inizio una fase fredda e piovosa. Le analisi
polliniche rivelano tuttavia un ambiente vegetale assai simile a
quello anteriore all’eruzione, anche se con una minore espansione delle piante coltivate. L’impatto più devastante sembra
determinato prevalentemente da alluvionamenti diffusi, con,
a tratti, notevoli addensamenti piroclastici che hanno portato
a più o meno lunghi fenomeni di impantanamento e indotto
a profonde modifiche del reticolo idrografico, condizionando
fortemente il paesaggio antropico. Nella zona nord-occidentale
del Somma-Vesuvio (area di Casalnuovo, tra Nola e Marigliano),
l’eruzione delle Pomici di Avellino ha causato una forte concentrazione di depositi da ricaduta e di “surge”, che ha ostacolato
il naturale deflusso dei fiumi Clanio-Sebeto. Dopo l’eruzione,
il paleoClanio, alimentato dalle sorgenti di Cancello, continuò
a defluire nella zona di Acerra, originando, quindi, aree umide,
diventate paludose, però solo in età romana imperiale, mentre
nella depressione del Sebeto, lungo il fianco orientale del Somma-Vesuvio, è totale l’assenza di evidenze archeologiche.
Dal Bronzo antico finale (primo terzo II millennio avanzato) al
Bronzo medio 3 (1350 a.C. ca.)
Malgrado il forte impatto dell’eruzione delle Pomici di Avellino e
le notevoli conseguenze sull’ambiente, alcuni siti attestano una
nuova fase insediativa. I tempi del riutilizzo del territorio sono
molto variabili da un settore a un altro, anche se sono da valutare
non in secoli come è stato proposto in passato, ma verosimilmente in alcuni decenni. Tuttavia, si evidenzia che l’impatto antropico
è stato meno rilevante rispetto al periodo precedente, probabilmente a causa di una riduzione numerica della popolazione, a un
uso diverso del territorio e all’impoverimento dei nuovi paleosuoli formatisi sopra i depositi eruttivi. Inoltre, tranne alcune eccezioni, la ripresa della vita sembra sia stata di modesta durata.
Conosciamo ancora pochi siti che appartengono al periodo posteruttivo. La Piana Campana centromeridionale risulta quasi
completamente spopolata. Altrove, alcuni stanziamenti sono
ubicati nelle zone precedentemente frequentate: Capua (Strepparo e Cento Moggie), Pompei (Sant’Abbondio), Boscoreale,
Boscotrecase, San Paolo Belsito (Monticello). È da notare che in
alcuni casi la destinazione d’uso dell’area è cambiata dopo l’eruzione. Altri insediamenti, nelle regioni collocate ai margini
dell’area di ricaduta dei prodotti vulcanici, poche o per nulla toccate dall’evento eruttivo (litorale campano, zone insulari, alto
casertano), non sembrano avere avuto un particolare sviluppo
nel periodo successivo all’evento pliniano.
Per questa fase va segnalato un nucleo di tombe con deposizione rannicchiata rinvenute a Gricignano (US Navy). Il corredo
comprende generalmente un solo vaso posto vicino alla testa e
raramente delle armi in bronzo; una seconda necropoli con inumazioni rannicchiate ma anche supine è stata individuata poco
più a nord dalla precedente, nel corso dei lavori della linea A.V.
Queste evidenze sono cronologicamente vicine alla necropoli in
località Sant’Abbondio (Pompei), che occupa l’area del villaggio
della facies di Palma Campania, ormai abbandonata. La cronologia delle tombe a fossa con inumazioni rannicchiate e supine
non raggiunge il pieno periodo appenninico.
Due insediamenti ubicati sul paleosuolo formatosi alla sommità
dell’eruzione a Cimitile e a San Paolo Belsito appaiono particolarmente significativi. Proprio in quest’ultimo sito, in appoggio
alla sequenza cronotipologica dei periodi iniziali del Bronzo medio (BM1 e BM2), troviamo dei markers importanti costituiti da
nuovi eventi eruttivi del Somma-Vesuvio (cosiddette eruzioni
protostoriche AP1 e AP2) che hanno interessato due livelli di frequentazione. Il primo livello, posto a tetto delle pomici dell’eruzione delle Pomici di Avellino e verosimilmente coperto dalla
prima eruzione protostorica AP1, è caratterizzato da un patrimonio ceramico ancora strettamente legato a quello di Palma
Campania, al quale si associano forme tipiche del Bronzo medio
protoapenninico.
Gli eventi subpliniani AP1 (3220±65 BP; 1670-1380 cal. BC/3279±60
BP; 1690-1639 cal. BC) e AP2 (3280±70 BP; 1740-1420 cal. BC), cronologicamente molto vicini, oltre a riversarsi sul settore centromeridionale della Piana Campana, hanno avuto anche un forte
impatto sulla regione sarnese raggiungendo pure le zone interne
verso Avellino e Salerno. A San Marzano, i tefra della AP2 e le colate detritiche dei versanti delle vicine colline, hanno considerevolmente modificato la paleoidrografia della zona. Suoli ricoperti
dai prodotti delle eruzioni sono documentati a San Paolo Belsito
(Monticello-Montesano), a Palma Campania (Balle, via Isernia e
via Vecchia Palma-San Gennaro) dove si rinvengono numerose
tracce lasciate dagli animali e dagli uomini; altrove sono arature e
piccoli agglomerati che indicano il tentativo di sopravvivere in un
ambiente diventato difficile. Anche nel settore di Acerra, località
Pozzillo, è stata parzialmente scavata un’area insediativa risalente
a due momenti di vita del Bronzo medio non inoltrato (fasi 1 e 2).
LA CAMPANIA SETTENTRIONALE IN ETÀ PROTOSTORICA 15
Nel golfo di Napoli si strutturano alcuni siti in prossimità della costa, estendendosi, oltre che nella sua parte continentale, anche a
quella insulare (Procida, Vivara, Ischia) che sarà precocemente in
rapporto con il traffico miceneo e costituirà un nodo strategico
intermedio tra le coste centrotirreniche e i centri delle isole Eolie.
Nella zona dell’attuale Fuorigrotta, lo stanziamento di piazzale
Tecchio (Napoli) in un’area pianeggiante di recente formazione
(III millennio a.C. ca.) costituisce la prima attestazione del Bronzo medio iniziale nell’area della città partenopea dove, finora,
sono maggiormente testimoniate le fasi eneolitiche. È ipotizzabile, vista la presenza di una zona rubefatta con chiazze cineritiche e scorie e di un manufatto in bronzo, la prossimità di un
“atelier” per la lavorazione del metallo. Non sono documentate
importazioni micenee, che però sono presenti a Vivara (punta
Mezzogiorno), da dove provengono (se si esclude la grotta del
Pino di Sassano-Vallo di Diano) le più antiche importazioni egee
della Campania. Riferibili a un momento successivo sono le nuove frequentazioni di punta Capitello e punta d’Alaca e d’Ischia
(Castiglione) che perdono il loro ruolo di protagonisti dei traffici
transmarini nel corso del Bronzo medio 2.
Con la piena cultura appenninica del Bronzo medio 3 (1500-1350
a.C. ca.), in un contesto di clima tendenzialmente più arido, sembra stabilizzarsi l’occupazione del settore centromeridionale
della Piana Campana, dove si riscontra una occupazione sparsa
ma intensa, evidenziata lungo tutto il tracciato indagato della
TAV fino alla località Sant’Arcangelo, nel Comune di Caivano.
Numerose sono le tracce di frequentazione antropica nei paleosuoli ricoperti dai depositi delle eruzioni vesuviane AP3 (35903810 cal. BP) e AP4 (3200-3400 cal. BP), che hanno restituito buche di palo, solchi carrai, impronte umane e di animali.
Alcuni villaggi di dimensioni non agevolmente accertabili occupano un territorio precedentemente frequentato, come a Capua
(località Strepparo e Cento Moggie), a Avella (località Fusaro)
o nel retroterra di Pozzuoli (Montagna Spaccata). Altrove i siti
nascono in questo periodo, spesso nelle zone di passaggio obbligato: Arivito, Incaldana nell’alto casertano, San Felice a Cancello, Sarno-San Giovanni, Poggiomarino-Longola e in molti altri settori del territorio. Nelle isole del golfo, varie attestazioni
sono localizzate anche in zone finora non occupate a Vivara, ad
Ischia (Lacco Ameno, Castiglione che si configura come un insediamento di lunga durata) e a Capri. Nelle zone appenniniche interne, potenti insediamenti controllano le vie di collegamento,
favorite sono pure le aree in prossimità dei corsi d’acqua.
Solo verso la fine del periodo sembra aprirsi una crisi che porta
al ridimensionamento delle importazioni egee, mentre si rompe
l’equilibrio demografico che conduce ad un nuovo spopolamento del territorio.
Dal Bronzo recente (1350/1300 a.C.) al Bronzo finale (1000 a.C. ca.)
Pochi dati possediamo sugli insediamenti collocati nelle aree
collinari dell’alto casertano (monte Massico, monte Cratevula)
e della valle di Maddaloni (monte San Michele; monte Longano)
legati alla pastorizia. Sembrerebbe che gran parte della Piana
Campana risulti poco popolata. Anche in prossimità del corso
fluviale del Clanio, scarse sono al momento le testimonianze,
16 PRIMA DELLA CITTÀ / CLAUDE ALBORE LIVADIE
che sembrano attribuibili ad abitati sparsi costituiti prevalentemente da fattorie. Mancano pure indicazioni relative al settore
centro meridionale della regione. Nella Piana centroccidentale,
invece, dopo un lungo periodo di abbandono, la vita riprende.
A Gricignano sono state scavate due capanne del Bronzo recente-finale. Lungo il tracciato della Linea A.V. nei pressi di Afragola,
è stato individuato un insediamento che si prospetta come uno
dei rari centri nati nel Bronzo recente con continuità di vita nel
Bronzo finale. Come Poggiomarino, nella valle del Sarno, sta ad
indicare l’incipiente formazione di grandi abitati ubicati in punti
cruciali del territorio. Ancora meno sappiamo della piana nolana dove solo due siti confermano l’interesse per il controllo del
territorio: San Paolo Belsito e Casamarciano, ambedue nell’immediata periferia di Nola. Nessun reperto può essere attribuito
all’età del Ferro.
In diverse zone della pianura (Gricignano, Carinaro, Afragola), gli
scavi hanno offerto la possibilità di esaminare un numero limitato di strutture finalizzate alla raccolta dell’acqua freatica per
lo sfruttamento agricolo dell’area. Dopo l’esaurimento della falda, vasi frammentari e scarichi di fornace ne segnano la defunzionalizzazione. Però, non di rado, erano deposti al loro interno
offerte faunistiche, oggetti in bronzo, vasi interi o rotti intenzionalmente sia d’impasto locale che di ceramica figulina micenea
e di tipo miceneo. I frammenti micenei provenienti principalmente dagli scavi di Afragola sono finora gli unici materiali della
Campania settentrionale riferibili al Tardo Elladico IIIB-IIIC, se si
escludono per ora i pochi frammenti ancora sub iudice rinvenuti
a Poggiomarino. Essi fanno quindi da anello di congiunzione tra
i materiali delle isole flegree (datati al Tardo Elladico I-IIIA) e i siti
della Campania meridionale (Salerno, Pontecagnano, forse Paestum, Eboli, Polla, Battipaglia) con importazioni del Tardo Elladico IIIC. La presenza di ceramica di tipo miceneo suggerisce che
sia esistita un’emigrazione di un gruppo di popolazione (anche,
quindi di vasai), che avrebbe continuato a produrre al di fuori
della patria di origine.
Per quanto riguarda l’ambito funerario, recenti acquisizioni
sono costituite da necropoli rinvenute a Capua (area del nuovo
mattatoio), a Carinaro, a Gricignano e a Casamarciano. I nuclei
di Carinaro (fig. 4) e di Gricignano, con tombe a incinerazione e
poche altre a inumazione attribuibili alla fine dell’età del Bronzo
evidenziano una tendenza alla miniaturizzazione degli oggetti
di corredo. La deposizione delle ceneri in urne con coperchio a
forma di tetto conico è un altro elemento che indica uno stretto
collegamento con il Lazio. Un’ulteriore similarità con il rituale
laziale è la presenza a Gricignano-US Navy, nel corredo di una
tomba a pozzetto, assieme a vasi di dimensione normale e a
bronzi anche miniaturizzati, di un gruppo plastico rappresentante una figura maschile su un carro processionale trainato da
due cavalli che costituisce un chiaro indicatore del ruolo sociale
verticale assunto in vita dal defunto (fig. 5). Contemporaneamente è attestato un aspetto protovillanoviano a Sant’Angelo
in Formis e a Casamarciano, che rimanda all’Etruria meridionale
e anticipa l’aspetto più antico del villanoviano campano.
Tra gli insediamenti di questo periodo si distingue l’esteso villaggio di Longola (Poggiomarino), un eccezionale laboratorio
di osservazione per la storia di un mezzo millennio di vita di un
gruppo umano. Sorto in un’area afflitta da fenomenologia di impaludamento per affioramento della falda freatica, è costituito
da un complesso sistema di isolotti e canali che hanno la loro
origine nel Bronzo medio 3, ma che sono chiaramente evidenziati nel corso del Bronzo recente-finale.
Dopo un incendio devastante, ma parzialmente controllato, all’inizio dell’età del Ferro, Longola si presenta come un’area artigianale che si è sviluppata nel tempo, fino a diventare una zona con
produzioni intensive di oggetti d’uso e di prestigio. La copresenza di ceramica di tipo Fossakultur e di tipo villanoviano potrebbe
fare ipotizzare che gruppi di diversa origine vi erano stanziati e
partecipassero agli scambi con altre città campane, ma anche
con la Daunia, la Sardegna e diversi territori più lontani. Eventi
naturali che riempiono di alluvioni sabbiose i canali condurranno al progressivo abbandono dell’insediamento. Cambiata la
destinazione del sito, gli abitanti di Longola come quelli della
valle del Sarno si spostano nel corso della prima metà del VI secolo a.C. verso Nola, Pompei e il settore costiero, attratti dalle
nuove dinamiche culturali ed economiche del golfo di Napoli.
nota bibliografica
Datazioni C14 relative alle eruzioni flegree e vesuviane, non sempre concorde, sono in:
Di Vito et alii 1999; Passariello et alii
2010; Smith et alii 2011; Talamo-Passariello-Lubritto-Terrasi 2011.
Per un inquadramento generale sugli
aspetti insediativi e funerari dell’età
del Bronzo in Campania:
AA.VV. 2005; Albore Livadie-Marzocchella 1999; Albore Livadie-Bietti
Sestieri-Marzocchella 2004; Marzocchella 2005; Albore Livadie 2007; Albore Livadie et alii 2008.
Gli interventi di scavo dalla fine degli
anni ’90 sono stati così numerosi e
ricchi di dati che non è possibile darne
un’esaustiva bibliografia. Si rimanda
dunque ai singoli interventi relativi
alle indagini recenti per i riferimenti
specifici.
LA CAMPANIA SETTENTRIONALE IN ETÀ PROTOSTORICA 17
4. Tomba a incinerazione 12
Carinaro Linea TAV
Bronzo finale
5. Tomba a incinerazione
a pozzetto con carretto
processionale
Gricignano US Navy
fase antica delle prima età
del Ferro
1. Capanna in corso di scavo
Nola-Croce del Papa
Bronzo antico evoluto
3. Tomba a tumulo 3
parte della copertura e della base
San Paolo Belsito Monticello
Bronzo antico
2. Ripostiglio di asce ad alette in
bronzo
Giugliano in Campania, Lago
Patria
Bronzo antico evoluto
18 PRIMA DELLA CITTÀ / CLAUDE ALBORE LIVADIE