:nessi
«Proporrei di includere nel capitolo “contatti tra culture” non solo i casi in cui il contatto
avviene tra due comunità con diversa cultura e sfocia in una profonda perturbazione
della cultura di uno o di ambedue i gruppi; ma anche i casi di contatto all’interno di una
singola comunità. In questi casi il contatto avviene tra gruppi differenziati di individui,
ad esempio tra i sessi, tra vecchi e giovani, tra aristocrazia e popolo, tra due clan, ecc.,
gruppi che vivono insieme in equilibrio approssimativo. Estenderei addirittura l’idea di
“contatto” fino ad includervi quei processi mediante i quali un bambino è plasmato ed
educato a conformarsi alla cultura in cui è nato»
(Gregory Bateson, Verso un'ecologia della mente.)
Nel regno degli esseri viventi non esistono cose ma solo relazioni.
(Gregory Bateson)
Ogni persona è di per sé già essere interculturale, portatore di discontinuità, di viaggi fatti o sognati, portatore
di storie, di progetti e pezzi di vita; ognuno ha una sua propria lingua che attraversa tutte le sue lingue,
ognuno sceglie appartenenze, riferimenti, ed in questa ricchezza e complessità ogni incontro ha la possibilità
di essere o diventare un ricco scambio di esperienze e di punti di vista, un momento ispiratore di relazioni e di
curiosità.
Un percorso che parte dall’osservare quello che già conosciamo, quello che
solitamente non interroghiamo. Quello di cui siamo sicuri. Sicuri: senza
cura? Le cose delle quali siamo sicuri non necessitano di ulteriore cura?
Osservazione? Attenzione?
Per dire: quando usiamo categorizzazioni dicotomiche, ad esempio: nord e
sud? Buono e cattivo? Reale e irreale? Di cosa stiamo parlando? Delle
cose, o di quello che abbiamo nella nostra testa?
In quest’ottica diviene centrale anche il lavoro sul punto di vista, sul contatto con le emozioni e con le
dinamiche del gruppo, sul conflitto. Una cultura della responsabilità e la gestione costruttiva e nonviolenta dei
conflitti suppongono tappe primarie: la valorizzazione di sé e degli altri, la fiducia la ricerca del contatto, la
comunicazione e la cooperazione: giocare -e fare- con e non necessariamente contro, riconoscendo il contesto
ed attuando un approccio aperto e legato, ancora una volta, alla scelta.
Quanto è nella nostra testa, quanto è costruzione che ci ostiniamo a far
passare per realtà? E facciamo spesso ricorso a formule rassicuranti: dati
di fatto, oggettivo.
L’oggettività è l’illusione che le osservazioni possano essere fatte senza
l’osservatore (Heinz Von Foerster)
È importante mettersi in gioco, non scendendo a compromessi ma assumendo che esistono altre possibilità
oltre a quella (o quelle) proposte dal singolo, che pur riveste un ruolo importante e sul quale vengono spesso
riversate aspettative e speranze -al limite della delega- dalle famiglie e dai ragazzi stessi. La scuola deve
tornare ad essere – o imparare ad essere- palestra di attività sociali, luogo di educazione, non soltanto luogo
deputato ad una pur necessaria attività didattica.
Giochiamo. Facendo attenzione all’obiettivo del gioco, e alle sue regole.
Dato il seguente schema, riesci a unire i 9 punti utilizzando quattro linee
rette continue?
Osserviamo tutti i tentativi fatti. Cosa hanno in comune? Forse che una
regola implicita ha condizionato tutti i tentativi di risolvere il gioco, così
tanto da impedire a tutti di risolvere il gioco stesso?
Bene, adesso che abbiamo svelato l’inghippo, adesso che abbiamo capito di
dover fare attenzione a quelle cose date per scontate, è così, possiamo
giocare ancora. Ecco, data questa sequenza, sapete dirmi quale regola ho
seguito per disporre i numeri proprio in quest’ordine?
Un punto importante diviene così l’offerta di strumenti che permettano il decentramento, attraverso il
riconoscimento dei diversi punti di vista, comportamenti, giudizi e idee, e la successiva decostruzione di
aspettative sugli altri che nascono spesso nascoste ma che indirizzano le modalità relazionali e di ascolto,
restituendo significato a fatti ed atteggiamenti, e differenziando il comportamento dalla persona. Il
decentrarsi stimola criticità, interesse, spinge a mettere in relazione fatti, tempi, luoghi che troppo spesso
appaiono non collegati:
La scuola veicola interpretazioni assimilate con imprinting duraturi e spesso definitivi, molte
affermazioni si radicano in convinzioni non sottoposte a verifica successiva, per esempio che i poemi
omerici siano i più antichi, che Marco Polo sia il più grande viaggiatore del Medioevo... Il decentramento
permette di prendere coscienza del modo in cui tendenze etnocentriche influenzano il nostro modo di
“narrare”, stimola l’analisi critica, fa affiorare stereotipi radicati e meno avvertiti, evidenzia l’attitudine a
saldare le “fratture” e le “crepe” interpretative del sistema, preziose opportunità di accesso ad altre
chiavi di lettura, ad altre costruzioni di senso.
(Antonella Fucecchi, Strategie di decentramento)
Perché Magritte ci fa questo scherzo? Perché si ostina a ricordarci che “Ceci
n’est pas une pipe.?”
Forse perché è un disegno?
Si deve stimolare la ricerca, riportarla (o portarla) ad essere l’elemento principe delle relazioni,
ridimensionando così le aspettative sul risultato, sulla soluzione: ogni legame, ogni collegamento messo in
atto costituisce la vera ricchezza dell’individuo; l’osservazione di questa ricchezza è difficilmente percepibile
ad uno sguardo veloce e poco attento, ad uno sguardo che non ha riflettuto sul continuo ricorrere a schemi
precostituiti e cornici, gestalt.
Cosa diamo per scontato? Cosa non vediamo più facilmente?
La comunicazione. Questa sconosciuta. Quante informazioni riusciamo a
dare con la frase seguente? Possiamo scegliere quale informazione mettere
al centro dell’intento comunicativo? Come fare?
Il primo passaggio in chiave interculturale consiste nel lavorare per la creazione di uno spazio e di un tempo
dove ogni aspetto della persona, legato al momento specifico, intra ed inter-relazionale, di contesto e di scelta
abbia la possibilità di mostrarsi o meno, e possa essere riconosciuto come principalmente riconducibile ad un
processo di opzione personale, legata ai fattori che in quel momento la stessa persona decide di porre come i
motivatori avanzati e prioritari della propria decisione.
In questo spazio ed in questo tempo affiora potente la necessità di uno sguardo plurale, del riconoscimento
della presenza di un pluriverso, formato esso stesso da pluriversi. Affiora la necessità di affrontare un cambio
di paradigmi, esplicitando e portando in superficie quello che giace un po’ (o un bel po’) a fondo. Il primo
passo decostruttivo rispetto agli impliciti, ai presupporti, agli stereotipi è individuarli, portarne la presenza a
conoscenza di me stesso.
Coniglio o papera? Coniglio e papera. Avete notato quel piccolo
avvallamento sulla sinistra dell’immagine? Se consideriamo la papera
quell’avvallamento rischia di essere fastidioso, irritante, brutto, oltre che
inutile. La papera ha perso qualche penna, diremmo. È sciupata. Ma,
possiamo chiederci, quell’avvallamento è così poco importante anche per il
coniglio?
Il ricorso a metodologie ecologiche, decostruttive prima e successivamente costruttive plurali, il sostegno di
un approccio umoristico che si concentri sull’ascolto e sulla relazione in un’ottica cooperativa e non
competitiva ci chiama, si rende necessario.
Così come dovremo imparare ad analizzare l’ovvio, il sicuro, il certo per aiutarci a scoprire schematizzazioni,
categorizzazioni, rigidità cognitive e anche emozionali.
Dovremo imparare a interrogarsi sulle parole usate, sulle cornici invisibili che contengono (e concorrono alle
scelte) ogni azione portata in essere, abbandonare le dicotomie scontate (il giusto e lo sbagliato, ad esempio),
domandarci come mai abbiamo già la risposta, chiederci da dove arriva, perché abbiamo proprio quella
risposta.
Ascoltare le parole dette da me stesso, ricercare il motivo della scelta di una parola rispetto ad altre: le mie
parole hanno detto quello che volevo dire? Ho detto davvero solamente quello che ho detto?
Adesso immaginiamo. A ciascuno sono rimaste solamente quattro parole.
Non una di più. Ognuno deve scegliere quali sono le quattro parole che gli
sono rimaste. Fatto? Bene, formate delle coppie, e parlate. Naturalmente
ognuno può usare solo le proprie quattro parole. Dopo due minuti ognuno
di voi avrà le proprie quattro parole, ma potrà aggiungere le quattro parole
scelte dalla persona con la quale avete parlato. Formiamo nuove coppie, e
parlate ancora per un paio di minuti. Ognuno dovrà utilizzare le proprie otto
parole. Dopo due minuti, aggiungete alla vostra lista di otto parole le otto
parole della seconda persona con la quale avete parlato. Ora avete, se siete
fortunati, sedici parole. Con queste sedici parole scrivete qualcosa. Una
lettera, una poesia, una canzone, una storia, quello che volete. Dopo
leggiamo tutto. Com’è avere tante cose da dire ma così poche parole per
farlo? Quali parole hai scelto? Qual è l’efficacia comunicativa raggiunta?
Dovremo ragionare sull’apprendimento, su come si apprende, su cosa avviene e cosa concorre a farlo avvenire.
L’apprendimento porta al suo interno i legami tra ambiti cognitivi e relazionali: e senza la supremazia di
alcuno, ma in costante definizione e ridefinizione di legame. L’apprendimento è un processo costantemente
presente, attivo anche in quei momenti apparentemente distanti dall’oggetto stesso dell’apprendimento.
"Avevamo in famiglia una cagna di razza Keeshond, e quando finalmente divenne madre ebbi il
privilegio di assistere allo svezzamento dei suoi cuccioli. Si svolse come per tutti i canidi: la madre preme
la bocca aperta sulla nuca del cucciolo il quale viene così schiacciato a terra. se a questo punto il cucciolo
chiede ancora latte, viene schiacciato di nuovo. Fin qui si tratta solo di una storia di condizionamento
operante con rinforzo negativo e rientrerebbe benissimo in ogni manuale di psicologia. Ma il passo
successivo fu quasi una battaglia, che si trasformò in un gioco affettuoso fra madre e figlio. Il cucciolo
aggredì la bocca della madre con la sua e poi i due si misero a giocare con le bocche. In altre parole, il
contesto di apprendimento è intrecciato all'interno di una relazione globale e non ha il risalto di un
incidente isolato. Non è solo 'impara a non chiedere la tetta', ma una faccenda molto più complicata
entro un tessuto complessivo intrecciato di relazioni d'amore. E se i cani attingono a quest'ordine di
complessità, si può star sicuri che gli esseri umani possono e debbono raggiungere due o tre ordini di
complessità di più.
(Gregory Bateson, Una sacra unità)
Il campo primario di indagine per cambiamenti ampi deve necessariamente essere me stesso, la mia persona,
in relazione alle varie relazionalità che mi fanno essere. Devo iniziare a cercare, muovermi dallo stato
precedente al sapere di non sapere.
I pesci non sanno dell’acqua nella quale nuotano.
Ma quei pesci non sanno, al tempo stesso, di non sapere dell’acqua nella quale nuotano.
Ecco: la mia situazione decostruttiva di partenza dovrà essere Non sapere di non sapere.
È questo è il passo che può spingermi a imparare a farmi domande.
Il ragionamento (solamente) razionale non mi porta lontano in questo percorso: ecco allora che devo
interrogarmi, venire in contatto con le emozioni, con gli imbarazzi, con lo spaesamento. Allora mi apparirà,
seppur ancora offuscato e poco delineato, che quello che definisco normale o addirittura naturale non mi sarà
molto normale, e di sicuro non si avvicinerà a niente di naturale.
La revisione del curricolo e dei saperi in chiave interculturale presuppone questa serie di passaggi e
trasformazioni precedenti relativamente alla metodologia, all’approccio relazionale, di osservazione, di
invenzione e costruzione della didattica, e siamo sicuri di non aver esaurito la ricerca in tal senso.
Sistemi semplici, sistemi complessi, ascolto passivo, ascolto attivo, le regole dell’Arte di
ascoltare: un ottimo contributo di M. Sclavi.
La presa di consapevolezza della presenza e dell’attivazione di queste cornici entro cui si inseriscono i saperi
curricolari proposti in classe diviene quindi un fattore che discrimina la buona riuscita di ogni intervento
interculturale. I saperi proposti –anche a scuola- non sono mai neutri, veicolano messaggi meta, che stanno
sopra, che parlano di me insegnante, di me formatore, di me persona. Le scelte, le parole, le successioni, non
sono fattori valorialmente neutri, asettici, ma sono portatori di valori, di sensi esistenziali, sono scelte
educative.
Certo, i saperi, scelti attraverso certi canoni, contribuiscono a costruire le identità personali, ma il
cambiamento di saperi, da solo, risulta di difficoltosa attuazione e presenta comunque una efficacia limitata,
se non preceduto e supportato da un cambiamento di metodo. Serve un pensiero circolare, di rete, che tenga
di conto della relazione, delle relazionalità, delle connessioni, dei collegamenti: dei nessi.
(Francesco Bianchi)
in “Uguaglianza, diversità e comunità: percorsi per una scuola antirazzista e dell‟inclusione. Materiali didattici e piste di lavoro per
docenti delle scuole dell’obbligo.”
SCARICABILE DA
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