ISBN 978-88-98066-34-6
53° Convegno di Studi sulla Magna Grecia - Taranto 2013
Istituto per la storia e l’archeologia della Magna Grecia
poleis e
politeiai
nella Magna Grecia
arcaica e classica
taranto 2013
Poleis e politeiai
nella Magna Grecia
arcaica e classica
ATTI DEL CINQUANTATREESIMO CONVEGNO
DI STUDI SULLA MAGNA GRECIA
TARANTO 26 - 29 SETTEMBRE 2013
Istituto per la Storia e l’Archeologia
della Magna Grecia - Taranto
MMXVI
Book 53°.indb 3
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Questo volume, che raccoglie gli Atti del LIII Convegno di Studi sulla Magna Grecia, svoltosi a Taranto dal 26 al 29
settembre 2013, è pubblicato dall’Istituto per la Storia e l’Archeologia della Magna Grecia, con il contributo della
Fondazione Taranto e la Magna Grecia e del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo - DGBID. La
redazione è stata curata da A. Alessio, M. Lombardo, A. Siciliano e dalla MUSEION Soc. Coop.
Tutte le immagini presenti in questo volume sono consultabili, a colori, seguendo il link alla pagina: <www.isamg.it/
pubblicazioniatticonvegno.html>.
Book 53°.indb 4
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Tra Zaleuco, Caronda e Parmenide:
legislatori e filosofi in Magna Grecia e Sicilia
Alfonso Mele
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53° Convegno di Studi sulla Magna Grecia
Tra Zaleuco, Caronda e Parmenide:
legislatori e filosofi in Magna Grecia e Sicilia
1. Legislazioni pitagoriche: difusione e cronologia
N
on può esservi dubbio, se cerchiamo
un elemento caratterizzante nella storia
delle legislazioni occidentali, che esso
vada identiicato nel rapporto che a un certo punto vi si instaura tra ilosoi e legislatori: legislazioni ad opera di discepoli di Pitagora in Italia
e Sicilia; leggi di Parmenide e Zenone ad Elea;
progetti di riforma della tirannide dionigiana ad
opera di Platone dei suoi discepoli1; strategie e
provvedimenti legislativi di Archita a Taranto.
La tradizione che ce ne ha conservato notizia risente chiaramente di questo dato di fatto,
rivelando nello stesso tempo da un lato la connessione con una certa idea della Magna Grecia
grande perché resa tale da Pitagora prima2 e dai
suoi allievi dopo3, dall’altro la connessione con
l’idea del legislatore ilosofo capace di unire paideia e andreia cara a Platone e all’Accademia4.
Primo esempio di tale integrazione sono le
legislazioni attribuite ai Pitagorici. Pitagora per
la sua formazione aveva ritenuto utile conoscere
le leggi di Minos e di Licurgo5. Senoilo pitagorico, del gruppo dei Fliasii, riteneva che la vita
in una città con buone leggi fosse il massimo da
augurarsi per l’educazione di un iglio6. E questo
riferiva Aristosseno in un’opera alternativamente intitolata Paideutikòi nomoi, Leggi destinate
all’educazione7, oppure Politikòi nomoi, Leggi
della città8, in cui citava Zaleuco, Caronda9, ma
poi anche Licurgo10. L’educazione pitagorica riteneva, infatti, essenziale per la formazione giovanile esercitarsi nei costumi e leggi della città11.
Nella setta vi erano perciò accanto ai politici
e agli economici, i nomothetikòi gli addetti alle
leggi12. Lo studio relativo non si limitava alle
leggi cittadine, ma comprendeva la conoscenza
e la valutazione delle leggi straniere: Pitagora,
l’abbiamo visto, aveva studiato le leggi di Creta
e di Sparta; il democratico Ninone, avversario
dei Pitagorici, criticamente notava che essi lodavano le leggi degli altri, salvo ad applicare solo
le proprie13.
Secondo Dicearco, Pitagora che fuggendo
da Crotone cercava asilo a Locri, si vide riiutare asilo dai geronti locali. Essi gli riconobbero
la fama di uomo saggio e superiore, ma poiché
erano contenti delle proprie leggi e intendevano
restare fedeli ad esse, lo pregarono di andare altrove14. Il passo contiene un vistoso errore cronologico perché confonde la partenza di Pitagora
per Metaponto dopo la vittoria di Crotone su Sibari nel 510 con la grande crisi del Pitagorismo
di metà V secolo circa, ma resta pur sempre testimone del fatto che l’ interesse per le leggi in Pitagora e nei suoi comportava anche integrazioni
7
FF 42 a: 43 W.
8
F 45F.
Nicomach., 1063 F 1, per cui da ultimo Mele 2013, pp.
117 sgg.
9
F 43 W.
10
F 44 W.
3
Iamb., VP, 166, per cui ancora Mele 2013, pp. 124 sgg.
11
Aristox., F 35.
4
Mele 2005, pp. 266 sgg.; 2006, pp. 85 sgg.
12
Iamb., VP, 72; 89.
5
Pomp. Trog. ap. Iust., XX, 4, 4; Iamb., VP, 25.
13
Iamb., VP, 260.
6
Aristox., F 43 W.
14
F 34 W = 41 A Mirhady.
1
Si veda l’elenco in Morrow 1993, pp. 6 sgg.
2
235
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Alfonso Mele
e interventi sulle legislazioni locali.
Che attività del genere si siano sviluppate su
vasta scala e anche al di fuori di Crotone risulta
in maniera esplicita dalla testimonianza combinata di vari passi di Poririo15 e di Giamblico16
tutti risalenti ad Aristosseno17. Pitagora aveva
eliminato sedizioni e discordie dalle città d’Italia
e Sicilia18; aveva liberato città soggette instillando in esse attraverso i suoi discepoli, l’amore per
la libertà19 e ponendole sotto il dominio della
legge20; aveva abbattuto le tirannidi, rimesso in
sesto le politeiai sconquassate, restituito libertà alle città prima asservite21; in questo clima,
dopo la crisi della ine del VI, la kalokagathia
dei Pitagorici aveva prevalso e le poleis avevano di buon grado accettato di mettere nelle mani
dei Pitagorici gli afari politici e le politeiai22. Le
legislazioni cui si era fatto ricorso per tutto ciò
furono quelle di Caronda di Catania e Zaleuco
di Locri23.
Il periodo interessato ha come terminus post
quem la ine del VI, abbattimento nel 510 della
tirannide di Telys a Sibari; gli inizi del V, abbattimento della tirannide di Clinia a Crotone24; gli
anni tra il 472, il 466 e il 461, durante i quali,
cadute successivamente le tirannidi degli Emmenidi, dei Dinomenidi e in ine degli Anassilaidi,
le città da esse assoggettate avevano via via riconquistato la loro libertà25. La conferma viene
sempre da un altro passo, sempre di provenienza
aristossenica, che fa coincidere la Megale Hellas
dei Pitagorici col periodo in cui grazie ai ilo-
15
Porph., VP, 21.
16
Iamb., VP, 33-34; 249.
17
F 17 -18 W.
18
Porph., VP, 21; Iamb., VP 34
19
Aristox., F 17 W.
20
Porph., VP, 21; Iamb., VP 33.
21
Iamb., VP 214.
22
Aristox., F 18 W.
soi, ai poeti e legislatori ioriti nella scuola, si
erano afermate le arti retoriche (Tisia, Corace,
Empedocle), l’oratoria epidittica (tali erano stati
i discorsi di Pitagora), le leggi scritte, i poemi
isici di Empedocle e Parmenide, le sentenze di
Epicarmo26: siamo dunque sempre in un orizzonte che si snoda tra la ine del VI, età di Pitagora, e
la prima metà del V, nel quale si sottolinea il primato ottenuto in fatto di leggi scritte e quindi il
ruolo in primis di Zaleuco. Terminus ante quem
è la grande crisi Pitagorica seguita alla perdita
delle risorse della Sibaritide provocata dalla fondazione di Thurii nel 444/3.
2. Aristosseno, Caronda e Zaleuco
Le città interessate da tutto questo processo
erano state diverse: achee, Crotone, Sibari; calcidesi, Catania, Reggio, Himera, Tauromenio;
doriche, Agrigento27. Ad esse il ilosofo aveva,
dunque, dato leggi tramite Caronda di Catania
e Zaleuco di Locri. Aristosseno va oltre e considera i due legislatori discepoli dello stesso Pitagora28.
La cosa corre per lui più o meno in questi termini: Senoilo, calcidese di Tracia e suo maestro,
riteneva condizione ottimale pe la buona educazione dei igli il vivere in una città ben governata, in cui vigesse dunque l’eunomia. Pitagora
aveva creato le premesse di tutto ciò, perché a lui
andava riconosciuto il merito di aver attratto a sé
uomini kalòi kai agathòi, come i nomotheti Zaleuco e Caronda: avevano dimostrato costoro di
saper intendere i suoi detti, i suoi symbola, e chi
rispondeva a questi requisiti subito se lo faceva
etairos ed amico. Il passo in questione si integra
con un altro (Iamb., VP, 104): di nuovo tornano
i symbola, come espressione dell’insegnamento
pitagorico, enigmatici ma compresi da ilosoi,
naturalmente dotati e provvisti di un ingegno di-
Iamb., VP 21; Porph., VP, 33. La fonte era dunque
Nicomaco 1063 F 1.
26
Iamb., VP, 166. Cfr. Mele 2013, pp. 124 sgg.
24
D. H., XX, 7 (19, 4).
27
Aristox., F 17 W.
25
D. S., XI, 53; 67, 4-7; 68; 72-73; 76.
28
F 43 W,
23
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vino: tali furono i discepoli che da giovani erano
stati contemporanei dell’ormai invecchiato ilosofo e tra di essi, accanto a pitagorici famosi e
di prima grandezza, come Filolao, Eurito, Aristeo29, Liside, Milone, Alcmeone e Hippaso, igurano appunto Caronda e Zaleuco.
Le considerazioni da fare sono parecchie. In
primo luogo in relazione alla cronologia delle
due legislazioni e ai loro autori. La legislazione
locrese era ritenuta da Eforo30 la prima messa per
iscritto e quindi anteriore a quella di Draconte.
Coerente è la datazione di Eusebio e Gerolamo
(Ol., 29, 3: 662/1) e quella implicita nella tradizione locrese, che, come anche Eforo31, lo faceva
a Creta allievo di Taleta32, poi passato a Sparta
dove aveva contribuito all’organizzazione delle gymnopedie33, istituite secondo Eusebio nel
665/4 (Ol., 28, 4) o secondo Gerolamo nel 669/8
(Ol., 27, 4).
La legislazione delle città calcidesi era
egualmente antica. Caronda era anche lui ritenuto il più antico legislatore d’occidente34, e Tucidide considera i nomima chalkidikà come anteriori al 648, data di fondazione di Himera, che
allora li assunse come propri35. Ancora Caronda,
nella tradizione locrese citata da Aristotele36, è
fatto allievo di Zaleuco, considerato allievo del
citato Taleta37.
L’opinione di Aristosseno, un Greco occidentale, nativo di Taranto, che fu in predicato
per succedere ad Aristotele nella direzione del
Liceo38, che li fa discepoli di Pitagora venuto
quarantenne a Crotone nel 53039, a prima vista
stupisce, ma qualche ulteriore considerazione
vale subito a dissipare tale stupore. Occorre per
cominciare tener presente che se le legislazioni
in oggetto risalivano certo al VII, l’attribuzione
rispettivamente a Zaleuco e a Caronda non era
altrettanto antica e autorevole.
Erodico Crateteo (II a.C.) faceva di Zaleuco
il legislatore prescelto da Thurii40. Timeo riteneva Zaleuco mai esistito41 e in efetti il suo nome,
prima della citazione di Eforo42, ossia prima del
IV secolo, non compare mai: Pindaro qualiica
come atrekeia l’eunomia locrese43; Platone loda
le leggi di Locri, ma di Zaleuco non fa parola44:
nel 353 Demostene parla unicamente di eunomia
locrese45. Quanto alla cronologia, se Eforo, facendone il primo autore di leggi scritte lo faceva perciò anteriore a Draconte e verisimilmente
come i citati Eusebio e Gerolamo lo poneva nella
prima metà del VII, Demostene invece considerava la legislazione di Locri esistente nella sua
forma compiuta a partire dal 553 a.C. e la faceva
scendere alla metà del VI46.
Quanto al suo proilo la tradizione eforea,
riallacciandosi alla già citata tradizione locrese,
condannata per altro da Aristotele47, ne faceva
uno studioso delle leggi di Creta, di Sparta e
dell’Areopago48; Aristotele stesso ne faceva uno
schiavo pastore liberato e ispirato da Atena49. La
tradizione raccolta da Diodoro ne faceva un nobile e gli conferiva un educazione elevata50.
Erodicus Crateteus ap. Athen., XI, 508 A; Sud. s.v.
Zaleukos.
40
29
Iamb., VP, 265.
30
F 139.
41
F 130.
31
F 149.
42
F 139.
32
Arist., Pol., 1274 A 22.
43
Pi., O., X, 17 sgg.
33
Plu., de mus., 9.
44
Pl., Ti., 19 E; Lg., 638 B.
34
Theodoret., gaec. afect. curae, 9, 8, 221 R.
45
D., 34, 139-141.
35
Th., VI, 5, 1.
46
XXIV,139-141.
36
Arist., Pol., 1274 A 22.
47
Arist., Pol., 1274 A 7.
37
Arist., Pol., 1274 A 30.
48
F 139.
38
Sud. s.v. Aristoxenos.
49
F 548 R = 555 Gigon.
39
Aristox., F 16. Cfr. Mele 2013, p. 16.
50
D. S., XII.
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Alfonso Mele
Tutto ciò ha una sua giustiicazione. Zaleuco, monocolo51, oggetto di onori divini52, con
un nome che vuol dire il luminosissimo, il diàleukos, altro non sembra essere stato all’inizio
che una divinità solare e tutto quanto si riferisce
alla sua biograia umana e cronologia è quindi
solo posteriore e arbitraria elaborazione. Simile
è stato il destino di Licurgo: monocolo, oggetto
di onori divini, con un nome che vuol dire facitore di luce: autore della legislazione spartana non
prima di Simonide53 e più tardi ancora di Erodoto54, egli pure ha dato origine a cronologie diversissime e a vicende biograiche controverse55.
Analoga la situazione delle legislazioni calcidesi d’Italia e Sicilia. Caronda ne appare autore non prima del IV secolo, quando lo citano
Platone, Aristotele e appunto Aristosseno56. Oggetto di onori divini57, con un nome che pure si
rapporta alla luce, dal momento che Charondas
rimanda a charon equivalente di charopòs, dagli
occhi lucenti. Anche, dunque, a non voler tornare all’opinione del Beloch, che dello stesso Caronda faceva una divinità solare, resta fermo il
dato della non originaria connessione del nome
di Caronda alla legislazione e quindi lo spazio
aperto a soluzioni cronologiche diferenti. Nessuno scandalo allora se Aristosseno sceglie di
farne discepoli diretti di Pitagora58.
Heraclid. Lemb., Pol., 61; Ael., VH, XIII, 24; V. M.,
VI, 5 ext. 3.
51
52
3. Caratteri laconico-calcidesi delle legislazioni
La seconda osservazione da fare a proposito
di queste politeiai pitagoriche riguarda l’associazione costante del nome dei due legislatori sia in
prima persona, come allievi di Pitagora autori,
in concorso con altri come vedremo, delle legislazioni pitagoriche59, sia sotto forma di un Caronda di Thurii60 o di uno Zaleuco, incaricati di
scriverne le leggi. Si tratta di un’associazione cui
fanno capo notizie distinte.
Interessate da tali operazioni furono città
calcidesi, in realtà in da principio destinatarie
delle leggi di Caronda: Catania61, Reggio62, Himera63, Taormina, in quanto erede di Nasso; città
achee, come Crotone e Sibari, o doriche, come
Agrigento, originariamente non destinatarie di
nessuna di tali legislazioni. Unica eccezione
parrebbe Sibari a proposito dei cui abitanti lo
Pseudo Scimno ricorda che essi non scelsero di
compiere, syntelein, cose coerenti con le leggi di
Zaleuco, ma avendo preferito, elomenoi, il lusso e un genere di vita rilassato, col passar del
tempo si spinsero, proelthenai, all’insolenza e
alla violenza, tipiche della raggiunta sazietà, e
a tentare, speusai, di distruggere le Olimpiadi
Elee, inendo in conclusione per cadere vittime
in poco tempo dei loro vicini Crotoniati64. Sembrerebbe che Sibari avesse fatte proprie le leggi
di Zaleuco. La notizia però è del tutto isolata e il
passo del Periegeta può essere meglio interpretato come premessa logica del comportamento
attribuito da Eforo a Thurii, l’erede di Sibari, di
essersi aidati per la propria salvezza ad una versione perfezionata delle leggi di Zaleuco65, visto
evidentemente che l’adozione da parte dei Siba-
Iamb., VP, 172.
53
628 Page.
59
54
Hdt., I, 65.
Porph., VP, 21; Iamb., VP, 33.
60
D. S., XII, 11, 3; Schol. Pl., R. 599 E; St. Byz., s.v. Catane.
La bibliograia è vastissima, mi limito perciò a rimandare
alla Vita plutarchea di Licurgo e al commento di L. Piccirilli.
55
56
Pl., R., X, 599 E; Arist., Pol., 1274 A 23; Aristox., F 43.
57
Iamb., VP, 172.
58
F 43 W. Sul valore storico della testimonianza di
Aristosseno: Mele 2013, pp. XVIII sgg.
61
Heraclid. Lemb., Pol., 55.
62
Heraclid. Lemb., Pol., 55, Dilts.
63
Th., VI, 5, 1.
64
Ps. Scymn., 347-360.
65
Ephor., F 149.
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53° Convegno di Studi sulla Magna Grecia
riti di un comportamento opposto a quello da tali
leggi previsto aveva portato la città alla rovina66.
Tutto ciò è ancor più comprensibile se il
passo dello Pseudo Scimno relativo a Sibari67
appunto ad Eforo risale, se esso dà per scontata
l’esistenza di Zaleuco, ammessa dal Cumano ma
negata da Timeo68; se appunto eforea è la ilosoia che lo pervade, secondo cui è la sophrosyne
indotta da una buona legislazione, di tipo dorico come quella attribuita a Zaleuco, a produrre
andreia69; se non condivisa da Timeo era l’attribuzione a Sibari e non invece a Crotone del
tentativo di oscurare le olimpiadi di Elea70.
D’altro canto, la notizia appare in un testo
come la Periegesi, contemporaneamente inluenzata da Eforo e dalla scuola pergamena71, alla
quale ultima si rifaceva un allievo di Cratete di
Pergamo come Erodico di Babilonia, il quale,
per amor di polemica contro Platone, forzava il
dato eforeo, e faceva direttamente di uno Zaleuco, diventato cittadino di Thurii, l’autore delle
leggi locali72.
Vista l’origine diversa delle città interessate,
il comune riferimento delle legislazioni pitagoriche, in comune alle leggi di Caronda e a quelle di
Zaleuco, dovrà necessariamente intendersi come
un insieme di legislazioni in cui la fedeltà dei
Pitagorici alle leggi e costumi patrii73 interessava
congiuntamente l’opera dei due massimi legislatori. In particolare ciò vorrà dire due cose: primo
che, vista la presenza tra le città citate di città
calcidesi, in dalle origini interessate dalle legislazioni attribuite a Caronda, norme provenienti
66
Che il richiamo avesse solo valore esemplare pensava
già Camassa 1987, p. 637.
67
Scymn., 337-360.
68
Ephor., F 139 contro Tim., F 130.
69
Ephor., FF 148-149.
Cfr. Tim., F 45 con Ps. Scymn., 350-356 e l’osservazione
di Ath., XXI, 522 D, per il quale l’attribuzione a Sibari non
era in Timeo.
70
71
Marcotte 2002, pp. 28 sgg., 41 sg.; Mele 2008, p. 98.
Erodico Crateteo, Contro l’adulatore di Socrate, ll.
36-40 Düring ap. Athen. XI, 508 A.
72
73
Iamb., VP, 176.
dalla legislazione di Locri saranno state inserite
in legislazioni calcidesi; secondo, che, visto che
tra le città igurano città achee o doriche estranee
all’una e all’altra esperienza, nelle legislazioni
saranno state inserite norme provenienti e dall’una e dall’altra sponda.
Possibilità di precisare emergono se teniamo
conto delle notizie relative a Locri e a Reggio,
città per le quali l’adozione della legislazione
di Caronda, per la prima74, e di Zaleuco, per la
seconda75 è data come originaria: a Reggio, secondo Aristotele in Heraclide Lembo, l’adozione delle leggi di Caronda fu parte integrale della
fondazione della colonia76; a Locri, Eusebio data
l’adozione della legislazione di Zaleuco al 662/1
e la fondazione di Locri al 673/2 (Ol., 26, 4) o
secondo Gerolamo al 680 (Ol., 25, 1). In entrambi i casi vi è allora un particolare comune che va
evidenziato.
A Locri il nome di Zaleuco si trova nei testi
pitagorici costantemente associato a quello di un
Timares77 o Timaratos78, il che pare signiicare
che dietro la tradizione dello Zaleuco pitagorico
si nasconda in realtà una qualche forma di intervento ad opera di quest’ultimo. A Reggio vi è
qualcosa di simile, ma anche di più. In una prima formulazione della notizia, Giamblico, dopo
aver citato Caronda di Catania come ottimo legislatore pitagorico, procede così: dicono che
gli autori delle due nomothesie reggine, la ginnasiarchica e quella detta sotto Theokles, siano
stati Pitagorici, Phytios, Theokles, Helicaone,
Aristocrate. Si distinsero costoro per abitudini e
costumi, che anche le città in quei luoghi in quei
tempi praticarono79. Ad opera di questo gruppo
di Pitagorici, dunque, nella città retta dalle leggi di Caronda, si realizzò un blocco solidale tra
comportamenti tradotti in leggi e quelli più ge-
74
Heraclid. Lemb., Pol., 55; Ael.,VH, 3, 17.
75
Ephor., F 139; Arist., F 555 Gigon; D. S., XII, 20, 1.
76
Heraclid. Lemb., cit.
77
Iamb., VP, 130; 267.
78
Iamb., VP, 172.
79
Iamb., VP, 130.
239
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Alfonso Mele
nerali previsti da abitudini e costume.
La notizia viene poi, sempre da Giamblico80,
ripresa in questi altri termini: Pitagora istituì un
altro bellissimo genere di giustizia, quella normativa, che prescrive cosa fare e vieta ciò che
non bisogna fare: la formula è assai signiicativa perché ritorna a proposito degli acusmata riportati nel Catechismo dei Pitagorici, per i quali
essi valevano come leggi: tutta una parte di essi
spiegava cosa fare e cosa no81. A diferenza della medicina questo tipo di giustizia non curava,
ma preveniva la malattia: la similitudine torna
nel Gorgia di Platone, dove la legislazione corrisponde alla ginnastica e l’amministrazione della
giustizia alla medicina82. I Pitagorici erano stati
perciò i migliori legislatori: Caronda di Catania,
Zaleuco e Timarato per i Locresi, e poi ancora
Theaiteto, Helicaone, Aristocrate e Phytios, che
divennero i legislatori di Reggio. E tutti costoro
ottennero dai cittadini onori simili a quelli degli dei83. Per completare il quadro va ricordato
che tra i Pitagorici di Reggio, nel catalogo aristossenico, compaiono nell’ordine Aristocrate,
Phytios ed Helicaone, mentre non c’è traccia di
un Theokles o Theaitetos84.
Questi due ultimi nomi in realtà si corrispondono poiché esprimono uno stesso concetto: il
chiamato, kletòs, o l’ invitato, aitetòs, dal dio.
È probabile si tratti della stessa persona con
il nome letto in due modi equivalenti. Al fatto
che non compaiano nel catalogo, corrisponde
nel primo testo una formula, epì Theokleous, che
sembra indicare eponimia più che diretta partecipazione e questo può ben spiegare il silenzio del
Catalogo. Fissi restano invece gli altri tre nomi
evidentemente i veri responsabili.
Altro dato interessante è che le legislazioni
nel primo caso sono due, la prima essendo la
ginnasiarchica, mentre nel secondo caso la di-
stinzione manca ed entra invece in gioco la comune deinizione di giustizia nomothetica. Una
legislazione che prende il nome di ginnasiarchica è evidente che deve aver rivolto particolare
attenzione all’educazione dei giovani, paides
e neaniskoi85 nella terminologia pitagorica, e a
quella fase della vita destinata, secondo l’ideale
pitagorico, ad assicurare ai futuri cittadini prestanza isica e conoscenza dei costumi e delle
leggi della città86.
È interessante allora cercare di capire cosa
esattamente signiichi questo richiamo nel secondo passo alla giustizia nomothetica. Il concetto
non è nuovo, perché ad essa fanno riferimento
tanto Platone quanto Aristotele. La distinzione
tra giustizia nomothetica e giudiziaria appare,
come si è già detto, nel Gorgia87 assieme al parallelo stabilito anche nel testo pitagorico della
prima con la ginnastica, che prepara e previene,
della seconda con la medicina che cura. Aristotele nell’Etica a Nicomaco chiarisce che la giustizia nomothetica è quella che serve a formare
per tempo il vero politico, il cittadino buono e
obbediente alle leggi secondo il modello messo
in opera a Creta e Sparta88. A questo punto tutto
si fa chiaro. Ginnasiarchica e nomothetica formano un tutt’uno e signiicano introduzione di
un ordinamento di tipo dorico in cui in dall’età giovanile lo stato si assume il compito della
formazione isica e politica del cittadino: coraggio e vigore isico, moderazione e temperanza,
in termini platonici, andreia e sophrosyne89, che
il buon legislatore deve fare in modo che siano
entrambe presenti nei cittadini; in termini pitagorici armorum cura e virtutis exercitatio90, che
Pitagora riporta a Crotone scivolata nel lusso.
85
Cordiano 1997.
Aristox., F 35 W.; Justin., XX, 4, 9 (pueri, juvenes);
Iamb., VP, 37 (neaniskoi); 51 (paides).
86
80
Iamb., VP, 172.
81
Iamb., VP, 30; 82-84.
87
Pl., Grg., 464 B 8; C 3; 520 B.
82
Pl., Grg., 464 B-C.
88
Arist., EN, 1102 a 10-12; 1141 b 25; X, 9, 1179 B e sgg.
83
Iamb., VP, 172.
89
Pl., Plt., 306 A-308 B; 311 B-C.
84
Iamb., VP, 267.
90
Justin., XX, 4, 1-13.
240
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53° Convegno di Studi sulla Magna Grecia
Sono ancora i valori evocati nel discorso di
Pitagora ai neaniskoi tenuto appunto nel ginnasio91 e da Giamblico nella premessa all’introduzione della giustizia nomothetica: riiuto del
lusso, obbedienza alle leggi, un abituarsi in
dall’inizio a un genere di vita temperante e virile, sophron te kai andrikòs bios92. Sono i concetti
base dell’educazione spartana.
Questo stesso dato emerge anche attraverso
la qualiica che a queste legislazioni usualmente
viene data: eunomia. Eunomia voleva dire legislazioni oligarchiche, non isonomiche, a carattere timocratico, come era il caso di quella di Solone, dove diritti e doveri erano commisurati al
censo posseduto, o aristocratico, come a Sparta,
dove entrava in gioco lo statuto geneticamente
determinato di Spartiati, Perieci e Iloti.
A proposito dell’eunomia di Locri la sua vicinanza a Sparta appare testimoniata in dall’inizio: Pindaro, nella prima delle due odi olimpiche
dedicate alla vittoria, ottenuta nel 476, nel pugilato dei ragazzi, da Agesidamo di Locri, deinisce
la città come quella in cui regna Atrèkeia, stanno a cuore Calliope e il bronzeo Ares93: la città
cioè delle attività belliche, dunque, della lirica
corale, della semplicità e precisione. Atrèkeia, in
particolare, è un termine che quando Pindaro lo
riprende ha, come aggettivo (atrekès) e avverbio
(atrekèos) corrispondenti, una sua storia, Iliadica
e Odissaica, e un valore che gli scolii relativi94 si
incaricano di precisare così: essi indicano negazione di pluralità o di deviazione e signiicano
esattezza e semplicità. Due allora le osservazioni
da fare: da una parte atrekeia richiama le lodi per
la presenza nella legislazione di Zaleuco di una
rigorosa e inderogabile deinizione delle pene e
di una aploustèra diataxis dei contratti95; dall’altra integra il quadro di una città simile a Sparta,
dove pure convivevano, al dire di Terpandro, di
Alcmane e dello stesso Pindaro, valore militare,
virtù musicali e canore, rispetto di giustizia96.
Il carattere oligarchico e aristocratico della
legislazione locrese appare nelle fonti come un
dato strutturale. L’ainità di essa con quella di
Creta e di Sparta, viene congiuntamente rilevata:
dalla tradizione locrese, che fa di Zaleuco a Creta un allievo di Taleta e un etairos di Licurgo97;
da Eforo, che gli fa scrivere leggi sul modello di
quelle di Creta e di Sparta98; da Diodoro, il quale cita come di Locri una legge che in Eraclide
Lembo (cioè Aristotele) e in Clemente Alessandrino è attribuita a Sparta99, in Filarco attribuita alla dorica Siracusa100, mentre in Giamblico
appare come pitagorica. Questa legge, infatti, si
connette ad un acusma pitagorico che vietava ad
una donna libera di indossare ornamenti d’oro,
mentre lo ammetteva per le sole etere101.
L’insieme della tradizione aristotelica in
più modi si adegua: riconosce un intreccio tra
le origini della colonia e le vicende della prima
messenica, con annessa presenza di una ristretta aristocrazia facente capo ad Aiace Oileo attraverso le così dette Cento Case102; connette le
sue tradizioni corali alle Gymnopedie spartane,
attraverso l’opera di Senocrito103, presentato da
Aristotele (in Eraclide Lembo) come un novello Omero104; ammette l’esistenza a Locri di una
servitù di tipo ilotico, implicita nella vicenda di
Zaleuco servo pastore poi liberato e fatto legislatore105; esplicitamente deinisce la sua costituzione come oligarchica e aristocratica, con gli stessi
Terp., F4 Diehl; Alcm., 41 Page; Pi., d 199 SnellMaehler.
96
97
Arist., Pol., 1274 A 23.
98
F 139.
D. S., XII, 21, 1-2. Cfr. Heraclid. Lemb., Pol., 13; Clem.
Al., Paed., II, 10, 105 (220 St.).
99
100
Phylarch., 81 F 45.
Iamb., VP, 37, 41-42; 44. Cfr. Justin., XX, 4, 9.
101
Iamb., VP, 187.
Iamb., VP, 171.
102
Arist., F 603 R = 618 Gigon.
91
92
93
Pi., O., X, 13-15.
103
Plu., de mus., 9.
94
In particolare: schol.Il. XV, 208 e Od. XVI, 246.
104
Heraclid. Lemb., Pol., 60.
95
Ephor., F 139.
105
F 555 Gigon.
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Alfonso Mele
difetti di quella spartana106.
Analogo il caso di Caronda. Anche per lui riconoscimenti di eunomia: in Platone107 e in Aristotele, che ne apprezza l’akribeia108 e lo mette
tra i migliori accanto a Solone e Licurgo109; e
ancora presso i Calcidesi di Tracia, che ad Androdamante cittadino di Reggio retta dalle leggi
di Caronda110 chiedono la loro legislazione sui
delitti di sangue e le ereditiere111; in Aristosseno
e nella tradizione pitagorica112; presso Antigono
Monoftalmo, che consiglia l’adozione delle sue
leggi a Lebedo e Chio113; a Cos114 e a Mazaca115,
dove le sue leggi vengono adottate; ad Atene
dove esse vengono cantate116.
La natura oligarchica ed aristocratica di questa legislazione emerge esplicita nel giudizio di
Aristotele117 e nelle deinizioni assegnate alle
costituzioni delle città che l’accettano: Leontini118, Reggio119, Cuma120, ma non la prossimità
alla legislazione spartana. In particolare, anzi,
in relazione al canto delle cicale, metafora delle tradizioni corali locresi e delle Gymnopedie
Spartane121, la tradizione vuole che, su richiesta
di Herackles122, esse sono tali a Locri, la città di
Zaleuco e di Senocrito, il cantore delle Gymno-
106
pedie123, gara generale di canto e per i giovani
anche di resistenza isica124, ma non a Reggio, la
città di Caronda125.
Se dunque costituzioni ginnasiarchiche e
giustizia nomothetica si sono, al di fuori di Locri, imposte a Reggio e, altrove, ciò fu dovuto ai
legislatori pitagorici e alle loro inclinazioni.
A Crotone, tradizioni ilolaconiche non
mancavano: la città aveva un eponimo scelto
da Herakles126, riteneva Herakles suo ecista127,
e pretendeva addirittura di essere di fondazione
spartana128. Si faceva bella di una buona salute
ottenuta attraverso la pratica delle attività militari, polemia, e dell’atletica, athlesis129, che ne
facevano l’antitesi di Sibari dedita al lusso e alla
mollezza130. Pitagora vi era arrivato dopo aver
studiato le leggi di Creta e Sparta131. Cantava gli
antichi peani di Taleta132, che insieme a quelli
di Senocrito di Locri, si eseguivano durante le
Gymnopedie a Sparta133. Aveva ricordato ai Mille la fondazione della città presso la tomba di
Kroton decisa da Herakles134. Vi aveva ravvivato
armorum cura e virtutis exercitatio135; avendo a
cuore, come si è già detto, temperanza e andreia136, aveva condannato i piaceri ed esaltato le
fatiche facendo di Herakles il simbolo di una tale
Arist., Pol., 107 A.
107
Pl., R., X, 599 D-E.
108
Arist., Pol., 1274 B 5.
Plu., de mus., 9. Cfr. Plu., Sol., 21, 3; Moralia, 238
A.B, 544 C. Paus., III, 11, 9. I canti erano quelli di Taleta,
Alcmane e Dionisodoto: Sosib., 595 F 5.
123
109
Arist., Pol., 1296 A 21-24.
110
Heraclid. Lemb., Pol., 55.
124
Pl., Lg., 633 C e schol.
111
Arist., Pol., 1274 B 23-26.
125
Heraclid. Lemb., Pol., 55; Ael., VH, III, 17.
112
F 43 W; Iamb., VP, 130; 172.
113
Rc 5 comm. Bradford Welles 1934, pp. 15 sgg.
D. S., IV, 24, 7; Iamb., VP, 50 (discorso a consiglio dei
Mille).
114
Herond., mim. II, 46 sgg.
115
Str., XIV, 1, 29, 643.
128
116
Hermipp., F 88 W.
129
Arist., Pol., 1296 A 19 -24.
Str., VI, 1 12, 263.
130
118
Arist., Pol., 1316 A 37.
Ath., XII, 518 D.
131
119
Heraclid. Lemb., Pol., 55.
Justin., XX, 4, 4.
132
D. H., VII, 6, 4-5 (oligarchia); 5, 2; 7, 3; 8, 3 (aristocrazia).
Iamb., VP, 110. Cfr. Porph., VP, 32.
133
Plu., de mus., 9. 1134 B-E.
117
120
121
Pratin., F 2 Page.
D. S., IV, 22, 5; Solin., 2, 40. Cfr. Tim., F 43; Str.,
VI,1, 9, 260; Plin., nat., XI, 95; Conon, 26 F 1,5; Ael.,
VH, V, 9; Paus., VI, 6, 4.
126
Ov., met., XV,19 sgg., 29 s., 43 sgg., e soprattutto le
monete con Herakles oikistas: Giangiulio 1997a, p. 187.
127
Paus., III, 3, 1.
134
Iamb., VP, 50.
135
Justin., XX, 4, 1.
136
Iamb., VP, 171.
122
242
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scelta di vita137.
Aveva parlato ai giovani nel ginnasio138, ricordando loro Herakles fondatore delle Olimpiadi139, e le splendide prove che i Crotoniati vi
avevano dato140; e nel movimento erano conluiti famosi atleti locali. Milone, il lottatore più
volte, tra il 540 e il 516, vincitore ad Olimpia e
altrove141: lo stratego nelle vesti di un Herakles
redivivo vincitore della battaglia del Traente 142,
aveva aderito al movimento143 e messa a sua disposizione la sua casa144; egli era divenuto famoso per la capacità di consumare giornalmente
grandi quantità di carne bovina145 e Pitagora, il
vegetariano, è anche colui che aveva fama di
aver introdotto per gli atleti una dieta vincente a
base di carne invece di quella base di ichi146. Anche altri famosi atleti e olimpionici avevano aderito: Astylos di Crotone, vincitore nel 488, 484 e
480, passato a Metaponto una volta caduto in disgrazia in patria147; Ikkos di Taranto olimpionica
nel 444, divenuto poi medico e famoso maestro
di ginnastica148; Dikon di Caulonia olimpionica
nel 392 e nel 384149.
Del tutto coerentemente, aveva imposto agli
adepti esercitazioni ginniche giornaliere e, quan-
Porph., VP, 42; Iamb., VP, 84, 85; Protr., XXI, 10, p.
113-19 sgg., 25 sgg. Pistelli.
137
138
Iamb., VP, 37.
139
Iamb., VP, 50.
140
Iamb., VP, 44.
141
Moretti, Olympionikai, 115.122.126.129,133.139.
142
D. S., XII, 9, 5-6.
Str., VI, 1, 12, 263; Iamb., VP, 267, p. 143, 24 e 147,
1 Deubner.
143
to al comportamento in battaglia, condivisa appieno l’etica oplitica del restare al proprio posto,
e ricevere le ferite nella parte anteriore del corpo150. Al momento della rivolta antipitagorica a
Crotone, non fa meraviglia, dunque, che i neoteroi presenti nella scuola diventino il fulcro della
resistenza armata e della successiva guerra civile151e siano guidati da un Democede omonimo e
certo imparentato col medico iglio di Callifonte
pitagorico e genero del Pitagorico Milone152. Il
recupero delle tradizioni laconizzanti di Locri
recepiva dunque, il rapporto dei legislatori con
le inclinazioni politiche di Pitagora e di Crotone.
Quanto al rapporto con il mondo calcidese e
le sue leggi non è diicile individuare uno spazio
di incontro col movimento pitagorico. Le città
calcidesi avevano governi deiniti oligarchici attenti cioè a valorizzare il livello della ricchezza:
Locri, città restata ino al IV secolo senza moneta153, aveva invece un governo deinito da Aristotele un’aristocrazia non ben temperata154, ostile
allo sviluppo di un mercato locale155. Non tali
le città calcidesi, che in quanto oligarchiche156,
erano abituate a coniugare assieme aretè e timemata157, aduse, secondo lo spirito dell’oligarchia
a punizioni di carattere pecuniario158: e tutte città
con un’economia monetaria e marittima.
I Pitagorici, quindi, sul piano economico,
erano piuttosto vicini a questo modello. Crotone
doveva la sua prosperità al suo porto159, aveva
goduto al tempo di Pitagora di grande euporia160,
150
Iamb., VP, 85.
151
Iamb., VP, 261.
152
Aristox., F 18 W; D. L., VIII, 39.
19 DK = 6 Timpanaro Cardini.
144
153
145
Ath., X, 412 E-413 A.
Parra 1991, pp. 200-201.
154
Arist., Pol., 1307 A 38.
155
Heraclid. Lemb., Pol., 60.
Heraclid. Pont., F 40 W; Porph., VP, 15; Porph., VP,
25. Si voleva perciò pensare a degli omonimi: D. L., VIII,
13; 46; Porph., VP, 15; Iamb., VP, 21-22.
146
Paus., VI,13,1; Iamb., VP, 267, p. 144,7. Cfr. Moretti,
Olympionikai, 178-179;186-187;196-198.
147
Iamb., VP, 267. P. 144,16 Deubner; Moretti, Olympionikai, 307.
156
F 603 R = 618 Gigon (le colonie e la madrepatria
Calcidesi); 1316 A 21 (Leontini). Cfr. Hdt., V, 77; Plu., Per.,
23, 4.
157
148
Iamb., VP, 267, p. 146, 4 Deubner. Cfr. Moretti,
Olympionikai, 379.384.
149
Heraclid. Lemb., Pol., 25 (Reggio).
158
Pol., 1297 A 19-24; Poll., IV, 12, 13.
159
Plb., X, 1, 6.
160
D. S., X, 3, 3.
243
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Alfonso Mele
e cominciato a coniar moneta a partire dal 530.
Pitagora era iglio di un mercante161; attraverso la mercatura paterna aveva stabilito i primi
rapporti con l’Occidente162; dalla pratica della
mercatura aveva derivato il suo interesse per i
numeri163; s’era occupato di pesi e misure164.
Nella setta igurarono oikonomikòi chiamati ad
amministrare l’oro e l’argento versato nelle sue
casse dagli adepti e a restituirli in quantità raddoppiata dopo 5 anni se i nuovi allievi non superavano felicemente il quinquennio di prova165.
Su questo terreno, quindi, di nuovo le nomothesie pitagoriche facilmente incontravano Caronda
e le leggi che sotto il suo nome correvano.
4. Zaleuco pitagorico e Thurii.
Il senso delle legislazioni pitagoriche quanto
al ilolaconismo attuato in nome di Zaleuco è,
dunque, chiaro, e una ripresa di essa appare la
tradizione diodorea, che propone ancora per lui
un rapporto con un Caronda, Thurino, omonimo,
dunque, ma non identico al legislatore catanese,
che come tale resta così sullo sfondo166.
Egli non è direttamente allievo di Pitagora,
ma in quanto legislatore aine allo Zaleuco, allievo di Pitagora, a suo tempo legislatore di Locri, rappresenta un‘ultima eco della tradizione
pitagorica sull’utilizzazione, contemporanea e
paritaria dell’opera dei due discepoli di Pitagora.
È infatti solo in omaggio all’ainità ancora
riscontrabile con l’operato del legislatore Thurino che Diodoro, che sta occupandosi di Thurii,
sotto forma di digressione, inserisce le notizie
sull’opera di Zaleuco. Egli, infatti, dopo aver de-
Justin., XX, 4, 3; Neanth., 84 F 19; Apollon., 1064 F
1; Porph., VP, 1-2; Iamb., VP, 4-7; 9.
161
162
Porph., VP, 2.
163
Aristox., F 23.
164
Aristox., F 24.
Tim., F 13; Iamb., VP, 72-74; 168. Cfr. Mele 2013, pp.
35 e sgg.
165
166
dicato ad essa uno spazio assai minore (XII,19,
3-21, 3) che a quella del Caronda Thurino (XII,
11, 3-19, 2), pur dichiarando di conoscerla in
tutta la sua ampiezza, ne abbandona presto l’esposizione, dichiarandola come tale estranea alla
narrazione che sta ora facendo (XII, 21, 3, 9).
Rispetto al racconto in atto delle vicende che
portarono alla nascita di Thurii, un richiamo a
Zaleuco è secondo Diodoro giusto, ed egli lo ha
inserito, ma un’esposizione dell’intera opera di
Zaleuco è fuor di luogo, perché trasformerebbe
quello che è un racconto su Thurii in una astratta trattazione perì nomon (o perì nomothetòn),
unica sede evidentemente opportuna per un discorso e un confronto completo ed esaustivo,
che altri evidentemente ha fatto, ma a cui lui, in
questo momento storico di Thurii, non interessato ex professo allo studio delle legislazioni, può
sottrarsi, bastandogli unicamente una sintetica
caratterizzazione che serva a veriicare quanto
in Caronda Thurino collimi con i principi cui si
ispira la legislazione di Zaleuco.
Secondo Diodoro Zaleuco locrese fu allievo di Pitagora, di nascita nobile e ammirato per
cultura (XII, 20, 1). Autore di una legislazione
originale; ha premesso ad essa un proemio, che
mira a ottenere il consenso dei cittadini, che preventivamente convinti, grazie all’osservazione
del cosmo e alla riconosciuta perfezione di esso,
dell’esistenza degli dei e del loro interesse per la
vita dell’uomo, avvertono la necessità di riconoscere il fondamento divino della legge, l’identità
tra giustizia e pietà, e di conservare l’anima pura
da ogni malvagità, perché alla bontà dei comportamenti badano gli dei e non al valore economico delle oferte loro fatte (XII, 20, 2). Seguono
norme relative alla concordia tra i cittadini, con
la condanna di ogni pervicace inimicizia, e ai
comportamenti dei magistrati e cittadini, con la
condanna di ogni atteggiamento di altezzosità o
parzialità (XII, 20, 3). Quindi, dopo una nuova
sottolineatura ed elogio dell’originalità della sua
opera, si cita la sua propensione verso punizioni
non monetarie e alcuni conseguenti provvedimenti per combattere sul versante femminile, il
Bertelli 1997, p. 580.
244
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ricorso eccessivo alla servitù, le uscite notturne,
l’uso di gioielli d’oro e di vesti bordate di porpora, sul versante maschile l’uso di anelli dorati e di mantelli di tipo milesio, facendone segni
distintivi di condotte disprezzate e immorali e
impedendone così la difusione (XII, 21,1-2). Si
chiude inine col ricordo delle ottime prescrizioni relative ai contratti (XII, 21, 3).
Due allora i fatti preliminarmente da sottolineare. Primo il rapporto letterale e contenutistico
del proemio divino e delle esortazioni a cittadini
e magistrati con gli analoghi accenni agli stessi temi presenti nel proemio riportato da Stobeo
(IV, 2, 119, 123 e 126), prova evidente che la più
lunga tradizione cui si è rinunciato è di questo
tipo. Secondo la presenza di un proemio per le
leggi, fatto notorio, per Zaleuco come per Caronda, attestato per la prima volta da Cicerone (de
legibus, 2, 14), la cui introduzione risponde ad
una prassi proposta per la prima volta da Platone
nelle Leggi167. Il ine era di evidenziare il fondamento non umano ma divino delle leggi168 e della
natura del legislatore, di interprete per gli uomini
dell’ordine divino dell’universo e della vita degli
uomini169; i tre capisaldi dell’esistenza degli dei,
della provvidenza divina, della incorruttibilità
del dio mediante riti e sacriici costosi170.
Sono esattamente i contenuti del proemio a
Zaleuco attribuito, il quale già attraverso il suo
nome rivela la sua natura di legislatore-divinità
astrale che illumina gli uomini. Al pari di Minos,
dunque, insieme iglio egli stesso di Asterios, lo
stellato171, e padre di un Asterios, il Minotauro172;
iglio di Europa, la dea dall’ampio sguardo173;
consorte della luna, Pasifae, la iglia di Helios
che tutti illumina; padre di Phaidra, la brillante
e di Arianna, aridela, la luminosissima, la cui
corona è diventata la costellazione della Corona Boreale174; autore di leggi che riceve da Zeus,
con cui si incontra ogni otto anni, nel momento in
cui occorre restaurare il rapporto tra anno solare
e lunare175; al pari di Licurgo, dio solare, facitor
di luce, e di Caronda, il legislatore dallo sguardo
brillante, personaggi tutti a lui connessi176, non
è altro che la concreta incarnazione dell’idea di
una legislazione umana quale proiezione dell’ordine cosmico.
Sono tutti concetti questi, che Platone prima
e gli Stoici dopo (Panezio, Cicerone)177, ereditano dal Pitagorismo. Fondamentale in questo
senso è il ruolo che nello sviluppare il concetto
della razionalità divina del kosmos ha un dialogo come il Timeo178, dove il richiamo evidente è
proprio all’eunomia di Locri179 e al locale pitagorismo: Timeo pitagorico locrese incontrato da
Platone e Timeo platonico plagio pitagorico180.
L’idea che dall’osservazione della perfezione dell’universo si potesse pervenire alla convinzione dell’esistenza del divino e dell’eterno,
è, infatti, concetto ilosoico di matrice pitagorica: era già in Alcmeone, che l’eterno e il divino scopriva nella volta celeste e ne deduceva
per analogia la convinzione dell’immortalità
dell’anima181. Pitagorica è la fede nel potere degli dei e nella loro attenzione al comportamento
Epimenid., F 25 = 8B 18 Colli.; Pherec., 3 F 148; Call.
F 110, 59-60 Pf., aR 3,1001; Arat., 71-73.
174
Od., XIX,179 s.; Pl., Min.,319 C-320 E; Lg., 624 B.;
Str., X, 4, 8, 476; XVI, 2, 38, 762. Cfr. Russo 1985, pp.
234 sg.
175
Il problema è antico e la bibliograia ampia. Mi limito
a rimandare a Morrow, pp. 553 sgg., e Vegetti 2003, pp.
241 sgg.
167
176
Ephor., F 139; Arist., Pol., 1274 A.
177
Morrow 1993, p. 485.
168
Pl., Lg.,885 B e sgg.
178
169
Pl., Epin., 982 A-983 C.
Pl., Tim., 27 A; 27 C-31 B.;42 D.; Lg., 683 B.
179
Pl., Tim., 20 a.
170
Pl., Lg., 905 D-906 Dp.
Hes. F 140 M-W; B. F 10 Snell-Maehler; D. S., IV, 60,
2-3. Cfr. Cassola 1998, pp. 22 sgg.
171
172
Apd., 3,1,1 e 3-4.
173
Cassola 1998, pp. 52-53.
Cic., Rep., I, 10, 16; in. V, 29, 87; V. M., VIII, 7 ext.3;
Iamb., VP, 267. Cfr. Burkert 1972, 84, n. 7. Il Timeo era
ritenuto plagio dell’opera di Filolao: Hermipp. ap. D. L.
VIII, 85.
180
181
22 A 12 DK.
245
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degli uomini, fondamento di ogni costituzione,
delle legislazioni, della giustizia e del diritto182;
pitagorica è ancora l’idea che principio di vita
basilare è l’accordo col divino, fonte superiore
di ogni bene183. Ad esso bisognava adeguarsi184:
onorare gli dei, come era stabilito dalla legge185;
desiderare solo quello che gli dei volevano186;
conservare un’anima pura, condizione prima per
riuscire con le loro oferte graditi agli dei187.
Pitagorico è l’obbligo di rinuncia ad inimicizie irrevocabili188 e quello per i magistrati di
non inorgoglirsi189 ed applicare imparzialmente
le leggi.190Sono idee tutte che ritornano nelle
Pythagorikài apophàseis di Aristosseno e risalgono, dunque al pitagorismo architeo e liasio e
alle sue matrici di seconda metà del V: Filolao,
allievo di Liside, ed Eurito191.
Diverso il tono della norma che in Diodoro segue, presentata come originale, che trova
solo parzialissimi riscontri tra gli acusmata pitagorici192, ma si presenta nel suo insieme come
vera e propria legge: senza un equivalente nel
proemio di Stobeo, in Phylarco attribuita anche
alla dorica Siracusa193, ma in Clemente Alessandrino attribuita direttamente a Sparta194 e quindi
appartenente a quel ilone legislativo locrese laconizzante evocato e dalla tradizione locrese e
182
Iamb., VP, 174 = Aristox. F 33 W.
183
Iamb., VP, 86; 137= Aristox. 58 DK D 2.
184
58 DK D 2 = Iamb., VP, 137; 144; 215.
185
Iamb., VP, 144; 215.
186
D. L., VIII, 9; Iamb., VP, 145.
Aristox. F 33 = Iamb., VP, 175; D. S., X, 9, 6; Iamb.,
VP, 54; 122.
187
D. L., VIII, 23; Iamb., VP, 40; 46; 126; 127; 230-232 (da
Aristosseno)= 58 DK D 9.
188
189
Iamb., VP, 46.
190
Iamb., VP, 263 = 58 DK 4, 8.
Schol. Pl. Phd., 61 E (Liside, Filolao); Iamb., VP, 266
(Filolao, Eurito e Archita); 148 (Filoao, Eurito); Thphr.,
Metaph., 11, p. VI a 19 (Archita, Eurito); D. L., VIII, 46
(Fliasii, Filolao, Eurito); Iamb., VP, 251.
da Eforo195. Punizioni di tipo morale, che compromettono l’onorabilità delle persone, invece
che pene monetarie, e mirano alla tutela della
famiglia, contro il consumo eccessivo del vino,
l’adulterio, il lusso e la prostituzione femminili,
il lusso, la prostituzione e l’adulterio maschili.
Punizioni di tipo laconico fondate su biasimo e
lode, apprezzate dal pitagorismo196.
Il senso ultimo è chiaro. Il rigetto della tradizione aristotelica del servo pastore ispirato da
Atena è totale197; quello della tradizione locrese
ed eforea parziale: si salva il collegamento con
Sparta, ma si contraddice in pieno l’idea di un
legislatore primo a dare leggi scritte, visto che si
trattava invece di un allievo di Pitagora, che non
attinge quindi alle leggi di Creta e Sparta direttamene, ma attraverso Pitagora. La tradizione è
dunque ilolocrese ma pitagorizzante, dialetticamente connessa al dibattito su Zaleuco attestato
dalle due contrapposte fonti di IV secolo ora citate, con un corollario, che fa da preludio alla introduzione successiva del Caronda legislatore in
luogo dell’originario Protagora, citato da Heraclide Pontico198: l’afermazione del fondamento
divino e non umano della legge, in opposizione
netta alle idee di chi come Protagora, proclamando inconoscibili gli dei e facendo dell’uomo la
misura di tutte le cose, alla legge dava invece
un fondamento esclusivamente umano199. Ne
deriva la coerenza tra le premesse ilosoiche e
cronologiche di questa tradizione, e da un lato
l’eliminazione di Protagora, il legislatore introdotto da Atene a Thurii; e la mancata conservazione, dall’altro, del rapporto col Caronda catanese, coetaneo di Zaleuco e discepolo pure lui
di Pitagora. Ne deriva altresì l’impossibilità di
far risalire questa parte del racconto diodoreo a
191
195
Ephor., f 139; Arist., Pol., 1274 A,
Nafissi 1991, pp. 306 sgg. Cfr. Aristox. F 42 (dai
Nomoi paideutikòi).
196
192
Iamb., VP, 187; Protr., 21 p. 106, 18, nn. 22, 35.
197
Arist., F 528 R = 585 Gigon.
193
81 F 45.
198
F 150 W.
194
Clem.Al., Paed., II, 10, 104, 2 (220 St).
199
Vegetti 2003, pp. 241 sg.
246
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Posidonio200: e perché questi, come Seneca ricorda201, mostrava interesse solo per il Caronda
discepolo di Pitagora; e perché la vicinanza tra
le idee del proemio e quelle, relative a tutt’altro
tema di Cleante, a proposito della percezione del
divino202, vanno, in un contesto tutto riferibile al
Pitagorismo, piuttosto spiegate alla luce dei rapporto tra stoicismo e platonismo pitagorizzante,
che considerate come una derivazione diretta
dall’opera di Cleante o di Posidonio.
In conclusione, dunque, nello Zaleuco annesso alla trattazione delle leggi di Thurii, pitagorico e laconizzante, alla maniera platonica
provvisto di un proemio imparentato con quello
dei proemii citati da Stobeo, stando ai dati disponibili, appare come il testimone di tradizioni
ilosoico-legislative correnti nel IV secolo, sul
tipo di quelle elaborate nei politikòi-paideutikòi
nomoi aristossenici, nei quali del resto esplicitamente compare come esempio di quella eunomia educativa vagheggiata dai Pitagorici, di cui
in quell’opera si fa portavoce Senoilo, calcidese
di Tracia, pitagorico vicino agli ambienti locresi (Timeo203 ed Echecrate204), architeo-tarantini
e liasii a loro volta connessi a Platone e alla
sua scuola. La sua inserzione nel quadro, ma in
appendice, appare perciò un residuo omaggio a
questa tradizione pitagorica.
Quanto alla fonte ultima utilizzata, vista la
distanza tra la tradizione pitagorizzante del proemio e le leggi, sia quelle citate a proposito di Zaleuco (XII, 21), sia quelle attribuite al Caronda,
la provenienza da due fonti diverse di queste parti del racconto è evidente. A meglio intendere la
situazione serve il rapporto che indubitabilmente esiste tra questi passi pitagorizzanti e quanto,
Come suppone invece De Sensi Sestito 1991, pp. 139
sgg.
200
201
Ep., 90, 5-6.
202
Cic., nat. deor., 2, V, 15 = SVF 528.
Pl., Tim., 20 A; 27 A; Cic., Rep., I.10, 16; de in., V, 29,
87; V. M.,VIII, 7 ext.3; Iamb., VP, 267.
sulla scorta sempre di Aristosseno, in Diodoro
stesso, a proposito di Pitagora, è detto nel libro
X205.
L’esperienza delle politeiai pitagoriche, alle
quali si rapporta il F 17 W di Aristosseno, quello
stesso in cui si fa parola dell’utilizzazione contemporanea delle leggi di Zaleuco e di Caronda, torna, quasi alla lettera, in X 10,2. I concetti
base del proemio attribuito a Zaleuco, il potere
assoluto degli dei sull’universo e la necessità di
rivolgersi ad essi con animo puro, tornano in X,
9, 6-8.
Per completare su questo punto di può fare
un’ulteriore osservazione. Unico punto d’incontro tra l’esposizione di tipo storico delle leggi di
Caronda Thurino e quella dei proemii pitagorizzanti attribuiti da Stobeo al Caronda Catanese,
sono i precetti relative alle matrigne e alle cattive compagnie da evitare206. Essi sono in Diodoro
esposti due volte: una prima volta sotto forma
di leggi, in XII, 12, 1 (le matrigne) e 13,3 8 (le
cattive compagnie); una seconda come precetti da commentare in un capitolo, il 14, il quale
appare come una successiva inserzione nel racconto. Torna, infatti, su cose già dette in 12, 1
(matrigne) e 13, 3 (compagnie), e interrompe la
continuità dell’esposizione tra 13 e 15.
A ciò si aggiunge un’ulteriore osservazione:
in Diodoro XII, 14, si fa ricorso per confermare il valore dei precetti di Caronda, al conforto delle citazioni di Euripide (14, 1) e dei poeti
della commedia nuova (14, 1-2). Questo modo
di procedere, utilizzo di Euripide e della poesia
ellenistica, si ritrova: quanto al solo Euripide in
Diodoro IX, 10,4, per illustrare una sentenza dei
Sette Saggi; quanto ad Euripide e ai poeti ellenistici, questa volta Callimaco, in Diodoro X, 6,
4 e 9, 6-8, per illustrare precetti di Pitagora, di
matrice aristossenica, comuni, quelli del secondo passo, al Caronda di Stobeo207 e al proemio di
Zaleuco in XII, 20, 2, ovverossia l’idea dell’ as-
203
Pl., Phd. 88 D; Aristox., FF 18.19 W; Tim., F 12; D.
L, VIII, 46; Iamb., VP, 251; 267 ecc. Cfr. Camassa 2000;
Muccioli 1999, p. 217.
205
Cfr. Schwartz 1903, s.v. Diodoros, cc. 678-679.
206
Stob., IV, 2, 24, 149 (le omiliai) e 154 (le metruiai).
207
IV, 2, 19, 124 e 2, 24, 149.
204
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Alfonso Mele
soluto potere degli dei e della necessaria purezza
dell’anima per accostarsi ad essi. Le coincidenze
sono troppo forti per non dover pensare all’uso di
una stessa fonte interessata ai Sette Saggi come
a Pitagora e al suo modo di concepire il fondamento delle leggi, da un lato, e dall’altro, al conluire in questa parte del racconto di Diodoro, di
due diverse tradizioni, di matrice storica, quella
relativa alle leggi, di matrice aristossenica e retorica quella che delinea il contesto e introduce i
commenti letterari.
5. Caronda Thurino
Il Caronda diodoreo, legislatore thurino
della sua patria, non viene identiicato col legislatore Catanese delle città calcidesi: in quanto
omonimo e pure lui nomotheta, ne presuppone
l’esistenza e lascia sullo sfondo l’inluenza calcidese sulla legislazione thurina. Egli non è e
non può essere il Caronda Catanese scambiato
per Thurio: in quanto Thurino è estraneo a tutta
la restante tradizione sul suo omonimo Catanese, e non è perciò neppure l’allievo di Pitagora
autore dei proemii; non ha un rapporto diretto
con Zaleuco, nei termini in cui è posto nelle legislazioni pitagoriche, giacché solo quest’ultimo
era stato allievo diretto Pitagora. In quanto Thurino di nome Caronda, ma vicino al mondo dello
Zaleuco pitagorico, da Diodoro evocato, implicitamente egli condivide l’idea del fondamento
divino della legge ed esplicitamente l’ apprezzamento di leggi di tipo spartano, ma non i proemii
nella loro interezza.
Sempre, in quanto Thurino e quindi più recente, egli ha potuto operare avendo a disposizione le nomothesie altrui. Ha, infatti, in primo
luogo investigato le altrui nomothesie e le ha tenute poi presenti in tutto il corso del suo lavoro:
ciò è detto chiaramente nella sua presentazione,
ed è ribadito più volte nel corso dell’esposizione delle sue leggi208. Diodoro, ossia la sua fonte,
208
D. S., XII, 11, 3; 12, 4; 13, 4;17, 1.
quindi, non sta confondendo i due omonimi personaggi, ma sta chiaramente sottolineando che
parla di un personaggio diverso e più tardo.
Né basta, che il suo Caronda non si è limitato al solo studio e conoscenza dell’opera dei
suoi predecessori, ma, ciò fatto, ha proceduto
poi in maniera originale come di nuovo e nella
presentazione e nel seguito dell’esposizione è
evidenziato209. Nel far ciò egli non è, come pure
si è pensato, metafora di Protagora, che deve dar
leggi ad una colonia panellenica210, ma, secondo
quella che è l’impostazione del racconto diodoreo, incarna l’ideale del legislatore ilosofo: Pitagora si è accostato alle leggi dopo aver studiato
quelle di Creta e di Sparta211; come appare dalle Leggi, il legislatore platonico, proprio come
lo Zaleuco eforeo, si accinge all’opera a partire
dalla valutazione, ambientata a Creta, delle preesistenti legislazioni, di Creta, rappresentata da
Megillo, di Sparta, rappresentata da Clinia, e di
Atene, rappresentata dall’ospite Ateniese; secondo Aristotele il legislatore ideale non è, come
pensava Isocrate, il retore che raccoglie le legislazioni esistenti e le seleziona212, ma è il ilosofo
che, proprio come il Caronda Thurio, alla luce
della sua esperienza, in maniera originale scrive
le sue leggi213. Il nostro legislatore è dunque concepito ed opera secondo il modello concreto del
ilosofo legislatore corrente nel IV secolo.
Conferma ancora la diversità voluta tra il nostro Caronda e l’omonimo catanese, la mancata
rispondenza tra le leggi ricordate da Diodoro e
quelle Aristotele attribuite a Caronda, sulla falsa testimonianza e sulle multe per assicurare la
partecipazione dei cittadini abbienti ai tribunali, nonché il rilievo dalla nessuna peculiarità di
esse214. Il quadro non cambia se si considera il
Caronda catanese allievo di Pitagora: gli allie-
209
D. S., XII, 11, 4; 3; 4; 13, 1; 15, 1; 16, 1; 17, 1.
210
Lana 1950, pp. 43 sgg.; Bertelli 1997, p. 580.
211
Justin., XX, 4 ,4.
212
Antid., 82-83.
213
EN, 1181 A 15 ss; 1181 B 5 ss.
214
Pol., 1274 B 5-9; 1297 A 19-24.
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vi di Pitagora provengono dai ceti cittadini più
elevati215, capaci di versare nelle casse della
scuola oro e argento216; il Caronda di Aristotele
rappresenta le classi medie217. Né la situazione
cambia se guardiamo ai Proemii del Caronda catanese e pitagorico trasmessi da Stobeo. I punti
comuni con le leggi thurine solo tre relativi alla
condanna delle cattive compagnie, alla richiesta
di fedeltà alle leggi, alla ripulsa delle matrigne,
ma il confronto dimostra come nella versione di
Stobeo si resta sempre sul piano della generica
ammonizione218, mentre in quella Thurina appaiono: leggi, procedure, gravità di pene219; la
pratica del cappio al collo e il rischio di morte
per chi presenta una richiesta di innovazione e
questa non passa220; indegnità politica ed esclusione dalla funzione di consigliere per chi impone ai proprii igli una matrigna221. E qui si coglie
una citazione diretta dalla costituzione di Thurii,
per la quale Aristotele ricorda dei symbouloi con
precise funzioni di nomophylakìa222.
Che Diodoro utilizzi in proposito una tradizione turina appare ancor più chiaro nella notizia, oggetto di un intero capitolo, il tredicesimo,
relativa all’introduzione dell’insegnamento pubblico della scrittura, implicito riferimento a Protagora223, discusso224, ma confermato, sul versanD. S., X, 11, 1; Porph., VP, 54; Iamb., VP, 248 =
Aristox., F 18 W.
215
216
Iamb., VP, 71-73. Cfr. Mele 2013, pp. 35 sgg.
217
Pol., 1296 A 19-21.
218
IV, 2, 24. 149 e 154.
219
D. S., XII,12,3.
220
D. S., XII, 16-17
221
D. S., XII, 12, 1.
222
Pol., 1307 B 6.
Pl., Prt., 325 E-326 A; Arist., Rh.,1407 B &, D. L., IX,
52, 54. Cfr. Lana 1950, p. 43 sgg.
te magno Greco, dall’importanza dal Pitagora
crotoniate attribuita all’apprendimento delle lettere 225 e al possesso della cultura come elemento
di discrimine tra uomini e animali, greci e barbari, liberi e schiavi, ilosoi e gente comune226; sul
versante Protagora dalla deinizione di maestro
di scuola attribuitagli da Epicuro227e sopra tutto
dal fatto che si trattava evidentemente di fatto
tanto importante, da lasciarlo sopravvivere, per
quanto contro corrente, in una tradizione che
tendeva ad oscurare il vero autore di essa.
Il ine ultimo della tradizione diodorea è
quello di donare alla città un legislatore che non
fosse né il suo predecessore calcidese né Protagora. Il suo Caronda, però, data la sua omonimia, presuppone l’altro, e ne è manifestamente
un duplicato non più che il secondo Radamantho
introdotto da Eforo228 o, ancor meglio, il secondo
Licurgo introdotto da Timeo229.
D’altra parte questa tradizione Thurina, che
quanto alla legislazione, prescinde da colui che
nell’originario disegno pericleo ne era stato l’autore, Protagora, il soista, vicino a Pericle, cui
aveva aidato l’educazione dei suoi due igli 230,
e proprio perciò è perfettamente databile: assume, infatti, rispetto alla storia di Thuri un ‘ottica posteriore e alla rinuncia agli ecisti ateniesi
compiuta nel 433231, e ancor meglio all’espulsione della fazione iloateniese nel 413232. Ma
per pensare di imporre una tale nuova verità, la
tradizione deve esser nata a una certa distanza
dai fatti del 444/3. In conclusione una datazione
quale quella tra ine del IV e prima metà del III,
Pol., 1337 A 24; 1260 B 16-20.
225
Aristox., F 35; Justin., XX, 4, 9; Iamb., VP, 99.
226
Iamb., VP, 44.
223
Hoelkeskamp 1999, p. 142. Ne ammettono la possibile
storicità W.V. Harris, letteratura e istruzione nel mondo
antico, Roma-Bari 1991, pp. 111 sg.; De Sensi Sestito
1993, p. 335, n. 26. Sembrerebbe confermarlo Epicuro
che fa di Protagora colui che a Democrito (68 A 9 DK)
insegnò l’ABC, nonché gli accenni alla generale necessità
di un’educazione pubblica impartita nell’interesse generale
a tutti i cittadini in da piccoli: in Pl., Lg., 804 C-D; Arist.,
224
227
68 A 9 DK; 80 A 33 sgg. DK; D. L., X, 8.
228
70 F 147.
229
556 F 127. Non è dunque necessario ammettere che
chi introduceva un Caronda Thurino fosse poi obbligato a
negare l’esistenza di un omonimo catanese.
230
Pl., Prt., 314 E; 315 A; 319 E; Plu., Per., 36, 3.
231
D. S., XII, 35, 1-3.
232
Th., VII, 35, 1.
249
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Alfonso Mele
già intuibile dopo le osservazioni fatte di sopra,
che emergerà in pieno tra poco dall’analisi del
racconto diodoreo, e sembra del tutto coerente
con il notato aggancio ad Aristotele.
6. La fortuna della legislazione di Thurii
Un primo indizio della popolarità di questa
legislazione si può trarre dalle parole di Eforo
(F 139): quando egli scrive di Zaleuco, ricorda
che i Thurini che lo avevano preso a modello
con l’intento di migliorarlo, akriboun thelontes,
ma erano immeritatamente divenuti più famosi,
endoxoteroi. La superiorità di Zaleuco è per lui
fuori discussione ed ha motivazioni di derivazione isocratea: dal Panegirico (datato al 380), per
l’apprezzamento della semplicità delle leggi233;
dal discorso A Nicocle (datato al 373/70), per il
motivo della semplicità della legislazione e della
necessaria issità delle pene234; dall’Areopagitico
(datato 357/354), per le critiche ad una legislazione troppo minuta235; dal Panatenaico (datato
342/39), per la vicinanza delle sue leggi a quelle
di Licurgo236. Confermano questa ambientazione culturale e cronologica il richiamo, sempre a
proposito della essenzialità e del numero limitato delle leggi all’ultimo Platone, morto nel 347,
quello appunto delle Leggi, com’è noto pubblicate postume da Filippo di Opunte237. Tutto ciò
tenuto ancora conto del fatto che Eforo ha posto
mano all’opera sua dopo Mantinea, tra il 360 e il
356, e che il F 139, dedicato a Zaleuco, doveva
apparire nei libri iniziali della stessa238, conferma
a pieno il fatto che attraverso la testimonianza
su Zaleuco recuperiamo un’atmosfera di prima
metà del IV secolo, come momento di ricono-
233
Paneg., 98.
234
A Nicocl., 17-18.
235
Areop., 39-41.
236
Panath., 153-155.
237
405 A. Cfr. Morrow 1993, pp. 63 sgg.
Breglia 1996, p. 21; Parmeggiani 2011, pp. 722 sgg. (e
bibl. ivi citata).
238
sciuta fama delle leggi di Thurii.
A queste leggi fa riferimento il racconto diodoreo. La prima cosa, allora, da notare in relazione alla conservata legislazione è che non ci
troviamo semplicemente di fronte a un elenco di
leggi, ma alla loro apologia: sono leggi nuove e
originali, apprezzate e sagge239; umane ed eicaci240; personali, straordinarie e senza precedenti241: è l’akriboun thelontes di cui parlava Eforo.
Lo sforzo apologetico trova il suo culmine nei
due successivi capitoli, tredicesimo e quattordicesimo, nei quali, abbandonando il terreno
della semplice esposizione delle leggi, si passa nel primo interamente all’elogio della scrittura e dell’insegnamento statale delle lettere; e
nel successivo a sottolineare la fama raggiunta
da due leggi, quella sulle cattive compagnie e
quella sulla condanna del secondo matrimonio e
dell’introduzione nella famiglia di una matrigna.
La cosa è assai signiicativa, e induce, innanzi tutto, a ricordare che una valutazione tale delle
loro leggi, come Eforo dimostra, era appartenuta
in dall’origine ai Thurini; e ci ricorda che una
scuola di retorica a carattere giudiziario e quindi
con al centro l’interesse alle leggi della città, era
nata in dall’inizio a Thurii: l’avevano fondata i
siracusani Corace e Tisia e l’aveva frequentata
Lisia242; nella città, appena nata, era venuto Empedocle, maestro di Gorgia, e fondatore secondo
Aristotele della retorica243; esuli dalla città, dopo
il 412, vennero ad Atene i due retori di Chio,
Euthydemo e Dionisodoro e vi hanno, come dichiara l’omonimo dialogo platonico, incontrato
Socrate244.
L’uso di una fonte decisamente thurina, d’altra parte, non meraviglia, perché del tutto coerente col racconto che in Diodoro precede, quello della fondazione di Thuri, tutto centrato sulla
239
D. S., XII, 15, 1-2.
240
D. S., XII, 16, 2.
241
D. S., XII, 17, 1-2; 19, 1-2.
242
Plu., Lys., 835 D.
243
D. L., VIII, 57; 29 A 10 DK.
244
Euthyd., 271 c, 283 e, 288 b.
250
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53° Convegno di Studi sulla Magna Grecia
giustiicazione della nuova colonia, come fondazione alla pari di Ateniesi e Peloponnesiaci.
Secondo tale racconto essa aveva tutto il
diritto di raccogliere l’eredità di Sibari, perché
i vecchi abitanti avevano voluto la colonia,245
e perché, agli occhi dei molti che avevano raccolto l’invito di Atene a partecipare a una colonia in comune, Apollo l’aveva legittimata246. La
sconitta di Sibari, una città naturalmente ricca
e potente, generosamente propensa ad estendere
ad altri la propria cittadinanza, era stata causata
dall’empietà di un tiranno, contro cui si erano levati Pitagora e Milone247, ma la totale distruzione
era stato un eccesso248; lo sviluppo della seconda
fondazione, quella che si era tentato di realizzare nel 453 con l’aiuto dei loro antichi progenitori, gli Achei tessalici, perfettamente legittima,
quindi, era stata bloccata dai Crotoniati dopo
solo cinque anni249. I vecchi abitanti Sibariti,
preso atto allora della loro incapacità di imporre
a Crotone la ripresa della vita dell’antica città,
erano passati all’idea di una rifondazione attuata
con l’aiuto di forze esterne, nelle forme di una
colonia, e la loro richiesta era stata accolta da
Atene, che aveva contemporaneamente rivolto
alle città del Peloponneso l’invito a partecipare,
utilizzando anche l’oracolo di Apollo a sostegno
dell’iniziativa250. In forza di questo oracolo la
vecchia Sibari era sì felicemente rinata, ma come
Thurii251.
A questo punto, sempre secondo Diodoro, i
vecchi Sibariti avevano dimenticato di aver offerto la partecipazione ad una colonia e preteso
di non tener conto della logica paritaria, democratica, con cui nella assegnazione delle terre
e dei diritti politici nelle colonie si procedeva:
avevano preteso privilegi per sé ed erano stati
dai loro synoikoi ormai maggioritari massacrati e cacciati e Crotone achea, approvando tutto
ciò, subito dopo aveva stretto un trattato con
Thurii252. Si era passati alla nomina tra i cittadini di un legislatore ed erano venute le leggi di
Caronda253. I Sibariti superstiti si erano insediati
a Sibari sul Traente254, e più tardi, nel 434/3255,
mentre in Grecia Atene e Sparta si avviavano
alla Guerra, si erano regolati i conti tra Ateniesi e Peloponnesiaci presenti in forze nella colonia: Apollo era diventato l’ecista,256 e la città,
nell’imminenza dello scontro di essa con Sparta
e i suoi alleati, si era così liberata di ogni obbligo di solidarietà con una metropolis Atene.
Coerentemente subito dopo nel 433/2 era stata
data mano libera alla dorica Taranto per fondare
Heracleia al posto di Siris257, una località che, in
quanto nata come jonica, Atene aveva sempre ritenuta a sé destinata258.
La tendenza del racconto è chiara e chiara la
volontà di fare della legislazione non ignara delle altrui esperienze in materia, ma originale259.
L’opinione oggi prevalente è che Eforo sia la
fonte per la parte giustiicativa della fondazione
relativa alla preistoria di Thurii260; e Timeo per il
racconto delle vicende che portarono all’evolvere dell’originario progetto Sibarita-Ateniese, nel
progetto Sibarita-Ateniese-Peloponnesiaco prima, in quello unicamente Ateniese-Peloponnesiaco, ma a prevalenza peloponnesiaca, dopo261.
252
D. S., XII, 11, 1-3.
253
D. S., XII, 11-3.
254
D. S., XII, 22.
255
D. S., XII, 35, 1-3.
256
D. S., XII, 35, 3.
257
245
D. S., XII, 10, 3.
246
D. S., XII, 10, 5-6.
D. S., XII, 36, 4. Tutto questo racconto si intende
ancora meglio se con l’aiuto delle testimonianze parallele
si riempiono i vuoti appositamente da Diodoro creati per
meglio giustiicare la trasformazione inale della colonia
in colonia comune. Per un’analisi dettagliata e un bilancio
bibliograico rimando per ciò a Nafissi 2007, pp. 385 sgg.
247
D. S., XII, 9, 1-6.
248
D. S., XII, 10, 1.
258
249
D. S., XII, 10, 2.
259
D. S., XII, 11, 3-4.
250
D. S., XII, 10, 3-5.
260
D. S., XII, 9-10, 3.
251
D. S., XII, 10, 6-7.
261
D. S., XII, 10, 3-11; 22; 23, 2; 35, 1-3.
Hdt., VIII, 62.
251
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Alfonso Mele
La coerenza del tutto rende però più verisimile l’ipotesi che si tratti in entrambi i casi della
stessa fonte e quindi sempre di Timeo in salsa
thurina262.
Alcune conclusioni ne derivano. Risulta evidente che la fonte della legislazione del Caronda
Thurino è strettamente locale e datata. L’apologia che se ne fa non si comprende se non in relazione alle origini locali e alle polemiche intorno
262
Gli argomenti usati per escludere per questa parte
Timeo sono molto deboli. Tracciare la preistoria di
Thurii era necessaria premessa della sua fondazione. È
vero che nel tracciare tale preistoria non si fa cenno alla
prima rifondazione (Sibari II), ma a parte la scarsa entità
dell’episodio, ai ini della fondazione di Thurii, come anche
il parallelo e connesso racconto di Strabone conferma (VI,
1, 13, 263), contava unicamente la distruzione iniziale
e la terza fondazione, fallita la quale era venuto l’invito
ad Atene e ai Greci metropolitani di prender parte ad un
nuovo tentativo. L’assenza di toni moralistici nel rievocare
il iorente passato sibarita ancora una volta è funzionale alla
vicenda di una fondazione preludio di quella di Thurii (cfr.
E., Tr., 224 sgg.; Metag., f 6 Kassel-Austin) né è accettabile
il teorema Eforo= niente accenni alla truphè, perché Eforo
il relativo topos conosceva e utilizzava come metro di
giudizio: FF 42.127.149; lo usa tra l’altro per spiegare il
declino di Mileto (F 183), la città modello di Sibari (Tim., F
50). Questo a non voler ricordare la disistima verso Thurii
e la loro strombazzata legislazione dimostrata da Eforo (F
139). Né, inine, è signiicativo di un cambio di fonte il fatto
che Lampone e Senocrito appaiono prima come ecisti di
una Sibari ateniese -sibarita (10, 3), poi come guide della
lotta che precede l’arrivo del grosso dei coloni e porta
alla fondazione di Thurii (10,4): si tratta di realtà ancora
aiorante in 35, 2-3, nella forma dell’ Atene ecista, da
leggere alla luce dell’ovvia constatazione che gli ecisti sono
anche i capi della spedizione navale, e non come cambio di
fonte. L’atteggiamento ilo turino di Timeo è evidente: si può
ancora dedurre dalle critiche al comportamento di Crotone
dopo la vittoria (FF 44-45), del tutto confrontabili con il
dissenso dal comportamento secondo Diodoro (XII, 10,
1) subito prima adottato verso Sibari (distrutta) e i Sibariti
(trucidati); e viene inoltre ribadito dalle critiche a Taranto
per avere tradito il Molosso, una volta diventato iloturino
(Str.,VI, 3, 3,280). La conferma deinitiva, inine, che fonte
di Diodoro XII 9 non è Eforo, si deduce con evidenza da
Ps. Scymn., 341, dove sempre in ottica eforea, come si è
già detto, il prestigio della legislazione di Zaleuco, caro ad
Eforo viene richiamato in una col topos della nomothesia
come rimedio ai mali del lusso e delle sue conseguenze, e la
cittadinanza allargata di Sibari conta 100mila e non 300mila
come nel ilone timaico rappresentato da Diodoro (XII, 9
2; 9, 5; X, 23, 2), Strabone (VI, 1, 13, 163) e Apollonio
-Timeo in Iamb., VP, 260.
alla sua validità presenti nelle fonti di IV secolo.
Eforo aveva detto che essa era famosa per
aver voluto superare in precisione quella semplice ed asciutta di Zaleuco, ma moltiplicando le
prescrizioni sui contratti aveva solo oferto più
spazio ai sicofanti, gli accusatori di mestiere263.
Opinione, aggiunge Strabone, anche da
Platone condivisa, che alla pluralità delle disposizioni di legge faceva, al pari di Isocrate264,
corrispondere pluralità di mali presenti nella comunità corrispondete265. Il legislatore thurino risponde a ciò sottolineando le gravi punizioni imposte ai sicofanti e l’estirpazione totale di questo
male, quelli condannati avendo scelto il suicidio
o l’esilio266 e tacendo del tutto sulle normative
thurine sui contratti, che invece Teophrasto citava con riguardo267.
Sempre nello stesso IV secolo, Aristotele
aveva eliminato il valore di Milone, solo per la
sua polyphagìa da lui ricordato268, e accolto una
versione, della vittoria del Traente, quella che
aveva portato alla distruzione di Sibari, non altrettanto onorevole per i Crotoniati, perché fondata sul tradimento e l’astuzia269. Aveva dimostrato di conoscere una versione della cacciata
dei Sibariti anch’essa favorevole ai Thurini, se
di tale cacciata faceva il contrappasso della altrettanto empia espulsione che i Sibariti avevano inlitta ai Trezeni loro synoikoi270; ma quanto
alle leggi di Thurii, aveva ricordato la debolezza
delle difese in favore della stabilità della costituzione locale, segnalando il tracollo di essa per
efetto della pressione organizzata dei giovani
che militavano nei posti di frontiera a cui i consiglieri detentori della nomophylakia non avevano
263
F 139.
264
Areop., 39.
265
Str., VI, 1, 8, 260 e Pl., R., 405 A; 425 B-D.
266
D. S., XII, 12, 2.
267
F 650 Fortenbaugh.
268
EN 1106 B 3; F 520 R = 523 Gigon.
269
F 583 R=Gigon,601,1-2; Ael., NA, XVI, 23.
270
Pol., 1303 A 28. Cfr. Nafissi 2007, p. 388.
252
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saputo o potuto resistere271.
La legislazione diodorea risponde ricordando la straordinaria legge del cappio e il rischio di
morte per coloro che proponevano innovazioni,
dilungandosi nel narrare le uniche tre occasioni
in cui, nella posteriore storia della città, le correzioni erano passate272; poi chiude col divieto,
pena la morte, di portare le armi nell’assemblea
e con la vicenda esemplare del legislatore, che
avendo inavvertitamente violato la sua legge
si era dato la morte273: a Thurii, dunque, non
ci si poteva presentare e comportarsi da soldato nell’assemblea. Né basta che una delle correzioni accettate era stata quella di applicare la
legge del taglione in caso di monocolo accecato,
cavando, per pareggiare efettivamente il danno,
entrambi gli occhi al colpevole274: tutto ciò rispondeva positivamente a un’osservazione che
sempre Aristotele aveva nella Rhetorica fatta,
secondo cui non c’era reale compensazione se
ad un monocolo accecato si concedeva la perdita
di un occhio solo da parte del colpevole275. Nel
far ciò Locri si era allineata, avendo, come dice
Demostene276, in duecento anni di storia accettata quest’unica innovazione.
Se però le origini prime di questo racconto
appartengono al IV secolo, a collocarne la redazione ultima nella prima metà del III vale in particolare il già citato capitolo quattordicesimo. A
conforto della importanza e notorietà di due delle leggi citate, quella che puniva le cattive frequentazioni, kachomilia, e quella che puniva chi
imponeva una matrigna, metruia, ai propri igli
rimasti orfani, si citano delle autorità a sostegno.
Come testimonianza della fortuna di questa
legge presso i poeti si utilizza una citazione dal
perduto Phoenix di Euripide277, la storia di un
giovane vittima di false accuse278, a proposito
della necessità di giudicare la natura di un uomo
a partire dalle sue amicizie, una citazione cui,
sempre allo scopo di richiamare la qualità delle
sue amicizie per ben valutare un uomo, avevano
fatto ricorso nel 345 Eschine, nella Contro Timarco279, e in risposta Demostene nel 343 nell’orazione Sulla corrotta ambasceria280. L’orizzonte è qui ancora di IV secolo, ma cambia nella
parte successiva.
A proposito della condanna delle seconde
nozze e dell‘introduzione in famiglia di una matrigna, per confermare la bontà e la fama della
legge si citano due testi provenienti da poeti della Commedia nuova, quella sviluppatasi tra la
ine del IV e nel III secolo. Il primo poeta, che
resta anonimo, ricordava direttamente la nomothesia di Caronda, che tra le altre cose conteneva
una condanna del cittadino che aveva introdotto
nella sua esistenza un malanno, una volta riuscito il primo matrimonio, così correva il testo, era
follia riprovare con un altra donna281. Sono ripresi sviluppo, contenuto e lettera della prescrizione
prima citata da Diodoro (XII, 12, 1). Segue la
citazione di Philemone, che, in una commedia
intitolata Il bastardo, dopo aver paragonato,
come Diodoro chiarisce, il matrimonio ad una
navigazione, esprimeva il suo stupore non se
uno si fosse imbarcato una prima volta, ma se si
fosse messo per una seconda volta in mare. La
cronologia di quest’ultimo poeta è nota: prima
vittoria nel 327282 e quasi centenario morto intorno al 264/3283.
Questo è dunque l’orizzonte inale raggiunto
dalla fonte di Diodoro. È lo stesso di Timeo, cui
abbiamo visto va, se non, come sono propenso a
credere, tutto il precedente racconto da Sibari a
Thurii, almeno la parte inale del racconto, che
271
Arist., Pol., 1307 B 3-6.
272
D. S., XII, 17-18.
278
Apd., 3, 13, 8 (175).
273
D. S., XII, 19, 1.
279
Aeschin., Contr. Timarch., 152.
274
D. S., XII, 17, 4-5.
280
De falsa legat., 245.
275
Rh.,1365 B 17.
281
F 110 Kock III, p. 425.
276
D., Contr. Timocr., 139-141.
282
Marmor Parium B 7.
277
E., F 812 N =1134 Mette. Ap. D. S., XII, 14, 1.
283
D. S., XXIII, 6, 1; Ael., F 11.
253
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espone solo gli eventi connessi alla fondazione
di Thurii. L’attribuzione a Timeo anche dell’esposizione della legislazione è stata già proposta
in passato284 e scartata però285, perché Timeo non
credeva all’esistenza di Zaleuco, citato in appendice alla stessa esposizione. Come si è visto, però
il brano su Zaleuco pitagorico proviene piuttosto
da un trattato sulle leggi di matrice aristossenica.
Il richiamo a Timeo come fonte iloturina trova un riscontro nel racconto relativo alla
morte di Alessandro il Molosso, se come viene
generalmente ammesso è a Timeo che risale la
condanna in proposito del comportamento di Taranto, che prima lo aveva chiamato e poi l’aveva
abbandonato286, e l’assoluzione invece di Thurii,
che lo aveva portato a combattere contro Brettii
e Lucani287.
Resta il problema del rapporto tra il mondo
delle leggi, l’invenzione di un Caronda Thurino
e l’appendice relativa a Zaleuco, personaggio
la cui storicità Timeo negava. E restano quegli elementi di continuità tra racconto diodoreo
sui Sette Saggi, e su Pitagora, nei libri nono (c.
10,4) e decimo (c. 9, 6-8), commenti su Caronda
(cap. 14) e Proemio di Zaleuco (XII, 20, 1-2),
che sembrano postulare una qualche mediazione tra il racconto di Timeo e quello della fonte
ilopitagorica-postaristossenica288. L’ipotesi che
siano state combinate due tradizioni diverse resta la più probabile e compatibile col modo di
lavorare di Diodoro289.
Laqueur 1936, s.v. Timaios, c. 1094; Casevitz 1972,
pp. XII s.100.
284
7. Caronda Calcidese e Caronda Thurino
Checché si pensi, comunque, di questa attribuzione, quello che è, a nostro avviso, fuor di
dubbio in questa tradizione è la presenza, almeno
sullo sfondo, del modello delle legislazioni pitagoriche comuni, che sposavano leggi di Caronda
con leggi di Zaleuco. Se è così si può cercare
di rispondere alla domanda su cosa della legislazione di Caronda restasse in queste esperienze,
partendo anche da quanto sappiamo di questa legislazione di un Caronda anche se Thurino.
Si può osservare subito a proposito delle leggi citate che le norme comuni ad Atene, di cui s’è
conservato ricordo, sono state omesse. Per conoscerle dobbiamo leggerle in Diogene Laerzio,
che parla di misure comuni a tutela degli orfani;
di divieto per l’incisore di conservare l’originale
di un sigillo; di punizione adeguata inlitta a chi
accecava un monocolo; di pena di morte inlitta
a chi si impadroniva di depositi non propri e al
magistrato che fosse stato trovato ubriaco290.
Esse sono state, salvo due, semplicemente
omesse e le uniche conservate, la norma sulla
scelta dei tutori per gli orfani e quella sui monocoli, dichiarate miglioramenti originatisi a Thurii291.
Con procedimento analogo si è eliminato
il ricordo di Protagora, il legislatore inviato da
Pericle292. Ne è rimasta labile traccia nella menzione dei symbouloi all’interno della legge sulle matrigne293, prima citata per contribuire alla
diorthosis ovverossia all’ediicazione dei lettori,
le matrigne essendo causa delle più gravi crisi
De Sensi Sestito 1991, p. 138. Ne accetta le conclusioni:
Bertelli 1997, p. 580 e n. 75.
285
286
Str., VI, 3, 3, 280.
Str., VI, 1, 5, 256. Cfr. Lasserre 1967, pp. 14-18; De
Sensi Sestito 1987, pp. 105 sgg: Mele 2003, p. 307 sgg.
287
288
cronologiche, il III secolo, sia per essere stato un famoso
autore di un’opera Sui Sette Saggi e di una Sui nomotheti,
potrebbe sembrare il nome giusto, ma il modo ironico
e ostile con cui trattava Pitagora, sconsigliano una tale
identiicazione. Cfr. Burkert 1972, 102 s.
Sul rapporto tra le notizie di Diodoro su Pitagora e
Aristosseno restano valide le osservazioni di Schwartz
1903, s.v. Diodoros, cc. 678-679. Non c’è assoluta fedeltà:
Diodoro dà versioni divergenti sul luogo di nascita (Samo),
sull’epoca del viaggio a Delo per assistere Ferecide, sulla
congiura (reale) di Damone e Finzia. I rapporti segnalati
con la trattazione sui Sette saggi rimandano ad una fonte
retorico-moralistica. Cfr. anche: Burkert 1972, n. 36.
Heraclid.Pont., F 150 W. Cfr. Lana 1950, pp. 32
sgg.; Untersteiner 1967, pp. 18-19. Cfr. bibliograia in
Bertelli 1997, p. 580.
289
293
A prima vista Hermippo callimacheo, sia per ragioni
290
D. L., I 56-57= 425 Martina.
291
D. S., XII, 15, 1-3; 17, 4-5; 1.
292
D. S., XII, 12, 1-2.
254
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domestiche294. Un’altra eco se ne coglie nell’attenzione, attraverso le leggi relative a orfani ed
erededitiere295, riservata alla conservazione del
numero originario dei kleroi296e quindi alla consevazione della originaria distribuzione paritaria
delle terre, che era stato un problema cardine per
la colonia, sia nel momento iniziale sia anche
dopo297: leggi al solito presentate come speciiche e originali. L’eco più corposo si ritrova nella legge relativa all’introduzione dell’insegnamento pubblico delle lettere298, presentata però
come una delle leggi migliori tra quelle create
dal Caronda Thurino e assolutamente nuova ed
originale299.
Questo dunque il metodo seguito. Se si vogliono, dunque, cogliere i segni delle inluenze
esterne sulla legislazione di Thurii, occorre superare questa barriera e confrontare le leggi citate con quelle attribuite ai presunti modelli.
Conseguentemente per veriicare il debito
verso il primo Caronda, occorre partire dalle
scarne notizie che Aristotele dà sulla legislazione dei Calcidesi e dai principi su cui messa manifestamente si fondava.
Aristotele dunque ne rilevava la mesotes,
l’eunomia ostile ad ogni prevaricazione300, paragonabile a quella di Licurgo e di Solone301, adusa
a commisurare diritti e doveri sulla base delle capacità economiche302; ne notava la scarsa originalità, ma anche la precisione303; i meriti acquisiti nella prevenzione della falsa testimonianza304.
Su questo piano l’unico punto di contatto con
294
D. S., XII, 11, 4; 12, 1-2;14, 1-3.
295
D. S., XII, 15, 1-3;18, 3-4.
296
Arist., Pol., 1274 B 1-6.
297
Arist., Pol., 1307 A 27; D. S., XII, 11, 1-2.
D. S., XII, 13. Cfr. Havelock 1963, pp. 39, 269, n. 8;
Cavallo 1975, pp. XIV s.
Thurii, si coglie nell’importanza data al censo
per ricoprire la carica di stratego305 e in Diodoro
nell’entità della dote stabilita per i parenti nobili
e ricchi di un’ereditiera306.
Il contatto più forte si coglie invece nell’interesse rivolto alla conservazione delle famiglie
e del rapporto di queste con il kleros. Aristotele,
infatti, rileva l’importanza che nella legislazione di Caronda veniva data all’unità di uomo e
donna per la sopravvivenza e la perpetuazione
della specie da un lato, e dell’uomo con la terra
da arare dall’altro. Era l’oikos in quanto prima
forma di unione degli uomini tra loro e degli uomini con i loro mezzi di sussistenza, il lotto di
terra: comunità secondo natura, i cui membri Caronda chiamava homosipyoi307, vale a dire quelli
che mangiano assieme, consumando la farina e
il pane308 tratto dalla stessa madia, sipye, che è
insieme aleurotheke ed artotheke. Questo dato si
integra bene con la notizia su Androdamante di
Reggio, città dove vigevano le leggi di Caronda309, divenuto nomotheta dei Calcidesi di Tracia, di cui restavano norme su reati di sangue ed
ereditiere310. Tutto così si tiene. La legislazione
di Caronda si caratterizzava per l’interesse rivolto alla conservazione e difesa delle famiglie, e
dei loro kleroi: tutela delle persone contro le violenze isiche; controllo delle ereditiere, iglie che
in mancanza di eredi maschi divenivano titolari
dei beni di famiglia e, in seguito a nozze, esponevano il nucleo familiare e lotto corrispondente
al duplice rischio di scomparire fondendosi col
kleros di un marito che ne avesse già uno suo,
o di fuoriuscire dal patrimonio della famiglia
di origine, se il marito prescelto non ne faceva
parte. Nello stesso senso andavano le leggi date
a Tebe dal Bacchiade Filolao relative alla disci-
298
305
Pol., 1307 A 27.
D. S., XII, 12, 4.
306
Arist., Pol., 1266 B 17; 1273 B 36 -1274 A 22.
D. S., XII, 18, 3-4.
300
307
301
Pol., 1296 A 21.
302
Pol., 1297 A 19-24.
308
Soph., F 275; sch. Ar., Pl., 805; Hsch., Sud., s.v. sipye.
303
Pol., 1274 B 6.
309
Heraclid. Lemb., Pol., 55 Dilts.
Pol., 1274 B 5-9.
310
Pol., 1274 B 23-26. Cfr. Hoelkelskamp 1999, pp. 77-79.
299
304
Pol., 1252 A 25 ss, ma specialmente per Caronda 1252
B 14-15.
255
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plina delle nascite, che miravano a preservare il
numero originario dei lotti ossia dei nuclei familiari corrispondenti311.
Una prima conclusione è allora ovvia. Segno
del contatto tra la legislazione di Thurii e le legislazioni pitagoriche che ne sono il modello, sono
tutte le norme relative alla famiglia, alla sua stabilità (divorzio), alla sua conservazione (matrigne), alla tutela degli orfani (scelta oculata dei
tutori) e al destino delle ereditiere (obblighi dei
parenti del marito morto).
Un qualche conforto a questa conclusione
danno alcune notizie, trasmesse da Giamblico312,
che, provenendo dai discorsi crotoniati attribuiti a Pitagora, per le coincidenze esistenti con
frammenti di Timeo313, con Giustino314 e Diogene Laerzio315, si suppongono di derivazione locale e timaica316. Come l’Aristotele che citando
Caronda a sostegno della sua tesi, considerava
cellula iniziale della vita cittadina l’oikos, Pitagora considerava: l’amministrazione degli afari
domestici principio del buon ordine di tutta la
città, in quanto essa era costituita di oikoi317; la
buona amministrazione della propria casa tale
da consentire di farne punto di riferimento per la
decisione di amministrare la città318. Quanto a lui
stesso, ereditati i beni di un certo Alceo, morto
al ritorno da un’ambasceria a Sparta, si era fatto
ammirare, evidentemente in funzione di tutore,
per il modo in cui li amministrò319.
311
Pol., 1274 A 31-B.
312
Iamb., VP, 47; 169-170.
313
FF 17; 131; 170.
314
Justin., XX, 4, 11.
315
D. L., VIII, 22.
Iamb., VP, 37-57: Burkert 1972, 100, n. 21; 104, n. 37.
Per Iamb., VP, 169-170 vale il confronto con Iamb., VP, 47
e con Tim., F 131.
8. Parmenide e Zenone legislatori pitagorici
Il contesto in cui le legislazioni pitagoriche
di prima metà V secolo si afermano si può comprende ancor meglio se ne integra l’analisi, prendendo in considerazione la tradizione relativa
alla coeva legislazione di Parmenide e Zenone,
tanto più poi se, in questa funzione di legislatori
sono deiniti pitagorici.
La notizia di una legislazione di Elea ad opera di Parmenide e Zenone pitagorici occorre in
Speusippo, in Strabone e in Plutarco. La testimonianza più antica è appunto quella di Speusippo,
nipote e successore di Platone, nella direzione
dell’Accademia, tra gli allievi di Platone il più
interessato all’impegno politico, in particolare
all’impresa siracusana e all’avventura di Dione320. Egli riprendeva in pieno il messaggio del
Politico di Platone sul sapiente come uomo regio
e legislatore, essendo la nomothetica la parte più
elevata della politica321. A tal ine nell’opera, sui
Filosoi322 o Sul ilosofo323, la quale riempiva il
vuoto lasciato da Platone, che avendo annunciato nel Soista un trittico in cui dovevano rientrare
il Soista, il Politico e quindi il Filosofo324, non
aveva poi mantenuto la promessa, egli citava
l’esperienza nomothetica di Parmenide a favore
della sua città325: Parmenide vi compariva come
realizzazione privilegiata dell’ideale platonico
del sapiente che si dedica alla politica e si fa legislatore. La tradizione è quindi della massima
autorevolezza e importanza, perché risale alla
tradizione accademica e rilette la familiarità da
Platone stesso e poi dallo stesso Speusippo acquisita in ambito magno greco.
A un ilone di tradizione sempre di matrice
ilosoica appartiene anche la notizia di Plutar-
320
316
Pl., Ep. II; Plu., Dion., 17, 2-4; 22, 1-4; 35, 4.
321
F 119 Isnardi. Cfr. Isnardi Parente 1980, pp. 364 sg.
322
F 118 Isnardi.
317
Iamb., VP, 169.
323
F 2 = D. L., IV, 4.
318
Iamb., VP, 47.
324
Soph., 216D-217 A.
319
Iamb., VP, 170.
325
D. L., IX, 23 = F 118 Isnardi.
256
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53° Convegno di Studi sulla Magna Grecia
co326. Essa viene riferita nell’ambito di una polemica contro il disimpegno dei ilosoi dalla vita
politica predicato dagli Epicurei; una polemica
tesa a dimostrare che il ilosofo non è un essere
inutile ed inetto, ma sa impegnarsi nell’attività
politica e condurre da stratego guerre; a conforto
di essa si ricorda che Parmenide ordinò con ottime leggi la sua patria (la sua fu una eunomia,
dunque) e che i magistrati di Elea facevano ogni
anno giurare ai cittadini di restare fedeli alle leggi di Parmenide, un mezzo dunque per mantenere intatte quelle leggi. La notizia pur mediata da
fonti ilosoiche ha origini, perciò, chiaramente
politiche ed eleati ed ha in quella polemica un
senso se la si immagina, per via dell’accenno
agli strateghi, connessa ai successi militari dagli
Eleati riportati grazie a quelle leggi, successi che
vediamo esplicitamente citati da Strabone.
La tradizione straboniana è la più ampia e
motivata; deriva certo da fonti storiche, ma ancora una volta impregnate di motivi ilosoici.
Strabone parla della legislazione nell’illustrare in breve la storia di Elea e le caratteristiche
della polis327. Dalla città fondata dai Focei provennero i pitagorici Parmenide e Zenone, grazie
alle cui leggi gli Eleati goderono, allora come
anche prima, di un buon governo, eunomia, e furono in grado di opporsi ai Poseidoniati e ai Lucani, benché inferiori per territorio e per numero
di uomini. La loro terra non era molto ferace ed
essi furono, perciò, costretti a dedicarsi alle attività marinare. Come Antioco aveva ricordato,
costretti dalla distruzione della propria città ad
opera dei Persiani, fecero prima vela verso Cirno
(la Corsica) e Massalia, ma respinti (da Tirreni e
Cartaginesi dice Erodoto328) si spostarono in ine
ad Elea329.
È un sintetico schizzo della storia della città, nel quale, come per Reggio, Crotone, Siris,
Metaponto, Taranto, si parte da un testo base in
cui si trova inserita una integrazione, in questo
caso la citazione di Antioco con la sua versione
dei fatti che coinvolge nelle vicende precedenti
la fondazione anche Massalia330. Nel quadro generale, non risalente quindi ad Antioco, ricorre
l’accenno alla nomothesia, in connessione con
la descrizione dei caratteri distintivi della città e
relative motivazioni: l’eunomia o buon governo;
il valore, l’andreia; la cattiva qualità della terra,
lyprotes tes ges; la thalattourgia, le attività marittime. Queste motivazioni se confrontate con le
tradizioni relative alle altre fondazioni focee si
rivelano assolutamente non speciiche di Elea,
ma Focee in quanto presenti anche in esse e con
analogo valore.
Il motivo dell’eunomia torna per Elea come
per Massalia331. Il motivo della terra cattiva torna
esplicitamente per Focea in Trogo332 e per Massalia in Strabone333. A Focea come a Massalia esso
determina lo sviluppo delle attività marinare; a
Massalia, come ad Elea, esso determina anche
il valore degli abitanti334. Siamo dunque sicuri,
per questo aspetto, di avere dinanzi una comune
tradizione eleate e focea a tutti gli efetti. Questo
diviene ancor più chiaro se consideriamo anche
la lettera dei tre passi.
Per Elea il testo straboniano suona così: sono
costretti, anankazontai, gli Eleati a causa della
asprezza della loro terra, luprotes tes ges, per lo
più a thalattourgein, rivolgersi alle attività marittime. Quanto a Massalia sempre in Strabone si
legge: i Massalioti hanno una terra quanto a cerealicoltura piuttosto aspra, lyproteran, sicché essi
aidandosi al mare più che alla terra, sfruttarono
piuttosto le opportunità oferte dalle navigazioni:
tò pros nautilias euphuès eilonto mallon. Quanto
a Focea inine attraverso il latino di Trogo traluce lo stesso motivo: exiguitate ac macie terrae
coacti, studiosius mare quam terram exercuere;
330
F 8.
326
Adv. Coloten, 32, 1126 A-B.
331
Str., IV, 1, 5, 179.
327
VI, 1, 2, 252.
332
Justin., XLIII, 3, 5.
328
Hdt., I, 166.
333
IV, l, 5, 17.
329
F 8.
334
Str., cit. Cfr. Mele 2006, pp. 68-71.
257
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Alfonso Mele
il che pressappoco corrisponde a lyproteti tes ges
anankazomenoi tò pros nautilias eilonto mallon.
I tre testi sono con tutta evidenza strettamente correlati sul piano contenutistico, ma anche e
assai signiicativamente su quello della lettera: la
fonte è dunque la stessa..
Non può non colpire allora il fatto che analoghe considerazioni valgono per la testimonianza
straboniana per Egina (VIII, 6, 16), per la quale
fonte esplicita è Eforo (F 176): vi si legge che
l’isola divenne un emporio poiché a causa della
lyprotes tes ges gli abitanti furono indotti al thalattourgein. Le analogie col passo su Elea sono
stringenti sia sul piano concettuale che su quello letterale, si da far subito supporre una stessa
fonte, Eforo. Cosa che non può meravigliare in
Strabone che Eforo usa per Cuma335, Locri336,
Crotone337, Metaponto338, Taranto339.
L’ipotesi è più che plausibile. Cuma eolica,
la patria di Eforo, aveva concesso terra e diritto
di nozze ai Focei sbarcati presso la foce dell’Ermo340: la colonia jonica, dunque, era prossima a
Cuma e ad essa legata da legami matrimoniali
risalenti ai primi coloni, che è come dire all’aristocrazia delle due città341. Ed Eforo, come ci
vien detto, era particolarmente attento a valorizzare le vicende della sua patria342 e a sviluppare
racconti su fondazioni, parentele, migrazioni,
archegeti343: tutti gli ingredienti che compaiono
nelle tradizioni sulla fondazione di Focea. Le colonie di Focea avevano posto nel suo racconto: è
335
336
F 134.
FF 138-139.
337
F 140.
338
F 141.
339
F 216. In tutti questi casi Eforo è citato per una versione
alternativa a quella di base e quindi esplicitamente. Nel
caso di Massalia dove eforea è la versione di base, il suo
nome manca; in quello di Elea dove pure la versione di base
pare sua, ovviamente compare il nome di Antioco, per la
versione alternativa.
340
Nic. Dam., 90 F 51. Cfr. Paus., VII, 3, 10.
341
Ragone 2006, pp. 451 sgg.
342
Str., XII, 3, 6, 623.
343
Plb., XI, 4; XXXIV, 1, 3-4; Str., X, 3, 5, 465.
attestata Lampsaco344 ma non potevano mancare
le altre. Viste le premesse eforee da cui muove la
trattazione dell’area celtica nella Periegesis del
Peudo Scymno345 e le molte notizie sulle fondazioni foceo-massaliote, non può esservi dubbio
che, fatta salva la data di fondazione di Massalia,
per cui esplicitamente si precisa che la notizia
proviene da Timeo346, l’insieme di queste notizie
del Ps. Scymno risalga appunto a lui347. Conosceva Eforo, per esplicita ammissione, i mythoi
massaliotikoi348. Dava ampio spazio sempre ai
Celti e al loro ilellenismo, motivandolo con il
loro spiccato senso di ospitalità349 in un contesto
dove l’ellenizzazione passava attraverso il rapporto con Massalia350 e l’esempio più eclatante
di ospitalità concessa a Greci era stato proprio
la fondazione di Massalia da parte dei Focei351.
L’interesse per Elea non poteva mancare e
si hanno chiari indizi della presenza delle sue
idee proprio nella vulgata straboniana. Questa,
infatti, inizia col ricordo della provenienza da
tale città dei Pitagorici Parmenide e Zenone, per
merito dei quali e anche prima la città godette
di un buon governo, eunomia, e fu per questo
motivo che essi riuscirono a resistere ai Lucani e
ai Poseidoniati benché fossero inferiori per territorio e numero di uomini. E si può allora fare un
passo avanti e notare che il motivo dell›andreia
riappare in Diogene Laerzio352 nella vita di Zenone, sempre agganciato a quello della modestia
344
F 46.
345
Marcotte 2002, pp. 52-55. Cfr. Ephor., F 128.
Ps.Scymn., 211-214 = Tim., F 71. Cfr. Marcotte 2002,
pp. 169-171.
346
347
Ps.Scymn., 145-149 (Mainake); 201-210 (Emporion,
Rhode, Agathe, Olbia, Rhodanousia). Per la cronologia di
Olbia, terzo quarto del IV secolo, cfr. Coupry 1974, pp.
191-199.
348
F 65.
349
F 131.
Cfr. Pomp. Trog. ap. Iust., XLIII, 1-2; Str., IV, 1, 5,
181.
350
Arist., F 549 R= 560 Gigon; Pomp. Trog. ap. Iust.,
XLIII, 3; Plu., Solon., 2, 6-7. Cfr. Marcotte ad Ps.
Scymn., 201-216.
351
352
D. L., IX, 28.
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53° Convegno di Studi sulla Magna Grecia
della città.
La notizia in Strabone così formulata, come
ho già ricordato altrove353, appare modellata su
un parallelo passo del Soista platonico354, dove
a proposito del monismo dei due ilosoi, lo straniero di Elea che parla, precisa che tale dottrina
era presente presso di loro anche prima, sicché i
due testi sono perfettamente coincidenti solo che
a monismo si sostituisca eunomia. Si può altresì
osservare che lo stesso luogo del Soista era stato ripreso e valorizzato dal maestro di Eforo, in
un passo del discorso Sull’antidosi, uno tra i più
signiicativi tra quelli composti dal maestro di
Eforo, Isocrate355. La cosa non meraviglia perché
un’analoga commistione di tradizioni isocratee
e platoniche torna, come abbiamo visto, come
tratto caratteristico di Eforo nel F 139, quello su
Zaleuco.
Né può costituire diicoltà il riferimento al
Pitagorismo: Eforo ammirava Epaminonda diverso dai suoi connazionali per essere stato allievo del pitagorico Liside356, che egli aveva a Tebe
ascoltato ino alla sua morte e ivi aveva seppellito357, allo stesso modo che Parmenide, avendo
avuto come suo vero maestro il pitagorico Aminia, l’aveva al momento della morte con tutti gli
onori seppellito ad Elea358.
D’altro canto la notizia del pitagorismo dei
due Eleati non meraviglia in un racconto chiaramente di origine eleate e pitagorica. Nella Tavola di Cebete, un falso di I sec. d.C. al più presto,
l’autore, uno stoico pitagorizzante, il bios parmenideo e quello pitagorico vengono appaiati359. In
una tradizione citata da Proclo e ripresa in forma
anonima da Fozio, la quale fa capo a Nicomaco
di Gerasa, un neopitagorico vissuto agli inizi del
353
354
355
II d.C., Parmenide e Zenone fecero parte della
scuola360. Nicomaco fu con la sua Vita di Pitagora fonte comune di Poririo e Giamblico, ai
quali fornì notizie tratte da fonti che partono dal
IV e scendono al III-II a.C., ma per questa tradizione è evidente il ruolo di Aristosseno. Parmenide, infatti compare come pitagorico nel quadro
della Megale Hellàs creata dai ilosoi pitagorici,
riferibile appunto ad Aristosseno361; e riappare,
accanto a Melisso, nel Catalogo dei Pitagorici,
pure opera di Aristosseno362.
Ma la fonte più autorevole è il peripatetico
Sozione363, prima metà del II a.C., che nell’opera Sulle successioni dei ilosoi, che non solo
assegnava alla scuola italica prima Pitagora e
Telauge, poi Senofane, Parmenide e Zenone, ma
appoggiava, come osserva il Cerri364, la sua fede
nell’esistenza di un rapporto tra il ilosofo e il Pitagorismo, su una testimonianza eleate di prima
grandezza: l’heroon che aveva fatto costruire ad
Elea in onore del suo pitagorico maestro Ameinias e l’iscrizione con cui lo ringraziava per l’insegnamento ricevutone in fatti di hesychìa, di
pratiche di concentrazione e di silenzio365.
Secondo Diogene Laerzio366, lo stesso Parmenide riconosceva che la sua idea della sfericità della terra era ispirata da Pitagora367. Il rapporto tra Pitagorismo ed Eleatismo, già più volte
riconosciuto in passato, viene ora riproposto in
maniera positiva da Cerri368, e da G. Casertano369.
La notizia straboniana rilette perciò certamente tradizioni eleatiche e pitagoriche370.
Procl., in Prm., I, 519, 4 (DK 28 A 4); Phot., Bibl., c
249, p. 439, a 36. Cfr. Schol. Iamb., VP, 267, p. 144, 10.
360
361
Iamb., VP, 166 058 D 1 K. Cfr. Mele 2013, pp. 124 sgg.
362
Iamb., VP, 267. 144, 10. Cfr. Mele 2013, pp. 127 sg.
Mele 2006, pp. 65 sgg.
363
Pl., Sph., 242 D.
F 27 W.
364
Antid., 268.
Cerri 2000, pp. 39-42.
365
D. L., IX, 21; VIII, 7; Iamb., VP, 197.
F 119; D. S., XV, 39, 2-3; 52, 7; 57, 1; C. Nep., Epam.,
2, 2; Str., IX, 2, 23. Cfr. Aristox., F 18 W; D. S. X,11, 2;
D. L., VIII, 7; Ael., VH, 3, 17; schol. Pl. Phd., 61 d p. 231.
356
366
D. L., VIII, 14 = DK 28 A 40 a.
367
Thphr., F 17 Diels = DK 28 A 44.
Plu., Moralia, 587 D-E, olymp. in Pl. Phd., p. 18 sgg.
368
Cerri 1999, pp. 50 sgg.
358
D. L., IX, 21.
369
Mele 2006, pp. 213-240.
359
Tab. 2, 2.
370
Mele 2005, pp. 14 sgg.
357
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Alfonso Mele
9. La cronologia
La nomothesia eleate va certamente collocata nella prima metà del V secolo. Collegata a
Parmenide, (Speusippo e Plutarco), più spesso
che a lui e Zenone, (Strabone), è piuttosto alla
cronologia del primo che essa va rapportata. La
sua acme è datata, secondo Apollodoro371, nella
LXIX Olimpiade, 504-501, cosa che ne farebbe
risalire la nascita al 544/541 circa, che è come
dire al momento stesso in cui iniziarono gli spostamenti dei Focei in Occidente: troppo semplice
e meccanico. Platone, nel Parmenide, testimonia
un soggiorno ad Atene del maestro e dell’allievo, ormai già noti e famosi, 65enne il primo e
40enne il secondo, viaggio che cadrebbe dunque
tra il 479 e il 476 circa. Ma nello stesso dialogo
Platone prevede l’incontro con un Socrate molto
giovane372, che essendo egli nato intorno al 470,
diviene del tutto impossibile. Se dobbiamo dare
qualche credito a quanto dice Platone, occorre
dunque pensare a una data intorno al 450, e ad
una data di nascita del ilosofo intorno al 515,
spostandone la maturità, i 40 anni minimi, agli
anni intorno al 475373. La cosa porta a far coincidere la maturità del Maestro con gli anni della ristrutturazione urbanistica di Elea, tra 480 e 450,
e dell’apparire, intorno al 450, sulla moneta per
la prima volta del tipo e della leggenda di Elea,
facendone l’epoca giusta per la redazione anche
di una nomothesia374, che viene pertanto ad allinearsi così alle nomothesie pitagoriche di cui si
è di sopra discusso.
Ultima conferma di tale cronologia la capacità dagli Eleati acquisita di resistere ai Lucani,
la cui ostile presenza nella Lucania viene dopo il
444/3 sperimentata dai Thurini guidati da Cleandrida, mentre, tra Terina e la Siritide, tentano di
371
372
riprendere il pieno controllo dell’ antico territorio di Sibari375; e la cui penetrazione nello spazio
anche cittadino di Poseidonia emerge a partire
dai decenni inali, 440/20, quale diretta conseguenza degli sforzi di Poseidonia in favore della
rinascita di Sibari (453/48)376.
10. I caratteri della nomothesia eleate
L’elogio, tipicamente eleate, della sua nomothesia ci viene dunque, conservato all’interno
di una tradizione interessata al rapporto tra legislazione, politica e ilosoia; la legislazione era
riservata ai saggi e il successo della legislazione
eleate ne era una conferma377. I contenuti percepibili sono quelli in queste circostanze attesi.
I due legislatori sono entrambi ilosoi, di nascita nobile378: il modello adottato in Diodoro per
qualiicare Zaleuco e Caronda, nobili e colti, è
dunque confermato. La loro legislazione realizza
eunomia, al pari di quella pitagorica, rispettosa
delle tradizioni patrie: eunomia era già prima in
vigore ad Elea ed era dunque, di matrice focea,
secondo Strabone379. Essa è, secondo Aristotele380, presente anche a Massalia: dioikountai d’aristokratikòs oi Massaliotai panton eunomòtata
e ciò è dovuto alla combinazione ivi perseguita
tra selezione per censo e selezione per aretê. Teofrasto considerava positivamente la legge che
vietava il vino puro (Ael., VH, II, 38). Cicerone,
che largamente utilizza la tradizione peripatetica in materia, nel De Republica (I, 27, 43), loda
per la sua summa justitia il governo di Massalia.
La moderazione dei consumi è attestata per le
sepolture e le cerimonie funebri, che dovevano
essere uniformi e sobrie381 e per le doti, che do-
375
Polyaen., II, 10, 1, 2.4.
244 F 34 = D. L., IX, 23.
376
Cipriani 1996, pp. 119 sgg.
127 A= T 5 DK.
377
Mele 2006, pp. 69 sgg.
378
D. L., IX, 21; 23 (Parmenide); IX, 26 (Zenone).
Sul problema: Giangiulio 1997b, pp. 323 sgg. e Vecchio
2005, pp. 241 sgg.; Mele 2005, pp. 11 sgg.
373
Mele 2005, pp. 13 sg. e bibliograia ivi citata. Ciò aiuta
a superare i dubbi di Cerri 1999, p. 52, a proposito della
cronologia suggerita da Platone.
379
VI, 1, 1, 252.
380
Pol., 1321 A 26-31.
381
V. M., 2,6,7.
374
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53° Convegno di Studi sulla Magna Grecia
vevano essere limitate382.
Se, dunque, la sophrosyne, come capacità di
dominare piaceri e desideri era presente383, andreia, la quale dell’eunomia è la conseguenza e
il secondo importante aspetto, è con vigore sottolineata.
Erodoto coglie l’occasione, nel racconto della battaglia di Lade, nel 494, per illustrare quella
che dei Focei d’Asia era la ilosoia di vita e ne fa
interprete Dionisio di Focea, colui che, se fosse
riuscito a imporre la sua strategia, avrebbe potuto far vincere gli Joni. Per conservare la propria
libertà e non diventare sudditi di nessuno, occorrono agli Joni talaiporìe e ponos, soferenza e
fatica, non malakìe e ataxìa, vita comoda e indisciplina384. Proprio perciò a sconitta sopravvenuta, per non sottostare ai Persiani, egli parte per
l’occidente a continuare la lotta contro i barbari
del luogo, Fenici, Cartaginesi e Tirreni385.
Sono gli avversari che tra poco, proprio
mentre i loro padri in Grecia afrontano i Persiani, anche i Sicelioti in Occidente dovranno
afrontare, ma sono altresì gli stessi avversari
che i Focei, i quali per non sottostare al Persiano
avevano prima di lui abbandonato la loro patria
per venire in Occidente, si erano trovati nel mare
Sardo ad afrontare386.
In parallelo va l’eunomia dei Massalioti, grazie alla quale riescono vincitori dei Cartaginesi387. Non diversamente va per Elea, che grazie
alle sue buone leggi riesce a tener testa ai più
numerosi Lucani e Poseidoniati388. A questo punto non si può fare a meno di notare che lo schema secondo cui a una terra dai magri prodotti,
di Focea, di Massalia, di Elea corrisponde il valore degli abitanti nella lotta contro i barbari, è
lo stesso che si impone in relazione alla vittoria
382
Str., IV, 1, 5, 181; Lucianus, Tox., 41, 24.
greca contro i Persiani.
Demarato dice a Serse che la povertà è la
compagna dei Greci, ma che avendo essi introdotto nel loro modo di vivere una virtù, aretè,
fatta di saggezza e una forte legislazione, essi
superano gli svantaggi della povertà ed evitano
la servitù, restando liberi389. Il motivo diventerà
in Hippocrate la nota distintiva tra gli Europei e
gli Asiatici, la cui eudaimonia diventa causa di
anandria390. Il radicamento di queste tradizioni
nel V secolo è dunque fuori discussione e così
l’origine rigorosamente focea ed eleate delle
stesse. E nello stesso tempo la loro contemporaneità e parentela, del resto, dichiarata col fenomeno delle nomothesie pitagoriche.
11. Conclusioni
È possibile ora trarre delle conclusioni. A
partire dalla vittoria di Crotone su Sibari, una
volta superata la crisi iniziale rappresentata dalla
partenza di Pitagora391 dal successo di Cilone392
e dalla tirannide di Clinia393, e tornati i Pitagorici
al potere394 si difusero le nomothesie pitagoriche.
Esse traevano le conseguenze dalla vittoria
su Sibari per condannare uno stile di vita lussuoso, la truphè; una formula di governo di tipo
orientale, l’eparchìa su quattro popoli e 25 città395, di tipo orientale, come evidenzia il mantello del Sibarita Alcistene396; facente capo ad
una ristretta oligarchia di cavalieri397; col loro
389
Hdt., VII, 102.
390
Aer., 12. 15. 16. 19. 23. 24.
391
Iamb., VP, 255.
392
Iamb., VP, 74.
393
D. H., XX, 7, 1.
383
Pl., Smp.,196 C; R., 430 E.
394
384
VI, 11, 2-3.
Aristox., F 17; porph., VP, 21; Iamb., VP, 33.
395
Str., VI, 1, 13, 263.
385
Hdt., VI, 17.
386
Hdt., I, 166-167.
387
Th., I, 13, 6; Paus., X, 8, 6; 18, 7.
388
Str.,VI, 1, 1, 252.
Ps.Arist., Mir., 96; Ath., XII, 541 A-BA, che cita
ancora Polemone F 85 Preller; Tzetz., Chil., I, 812-20. Cfr.
Mele 2013, pp. 106 sgg.
396
397
Ath., XII, 519 E; 520 C-D; Ael., NA, XVII, 23.
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seguito di tributari e di sudditi, i centomila cittadini398 e i trecentomila uomini messi in campo
al Traente399.
Sotto la spinta del Pitagorismo e dell’egemonia che Crotone, eliminata Sibari, aveva ottenuto, si difusero governi e legislazioni che
recepivano istanze di tipo laconizzante, tanto più
accreditate, quanto più silavano sotto gli occhi
dei Greci le disfatte di quei mondi cui Sibari s’era ispirata, Mileto distrutta nel 494400, la cavalleria e l’esercito persiano sconitto a Platea dagli
Spartani401.
I modelli cui esse si ispirarono furono fondamentalmente quelli laconici, in occidente ben
rappresentati dalle leggi attribuite a Zaleuco, che
integrarono l’impostazione oligarchico-territoriale delle leggi di Caronda. Nacque la Megale
Hellàs crotoniate pitagorica descritta da Nicomaco402 e prese corpo l’illusione che le vecchie
aristocrazie achee accentrate a Crotone, private
della concorrenza di una Sibari autonoma, sotto
l’usbergo del Pitagorismo, cui anche Sibariti403
e Lucani aderivano404, potessero conservare un
ruolo egemone.
I successivi tentativi di rifondare Sibari (476;
453-448), frustrati dalla pervicacia con cui Crotone cercava di mantenere il controllo delle risorse della Sibaritide405; la nascita alla ine (444/3)
di una Thurii, che espulsa anche la residua classe
dirigente sibarita, si impadronì totalmente della
Sibaritide, colpì al cuore gli interessi di Crotone,
come della sua colonia Terina e dei Lucani suoi
alleati406, allarmò Taranto, interessata alla Siritide, ma sopra tutto pose deinitivamente ine a
una tale illusione. I Pitagorici crotoniati, vincitori nel 448, di fronte alla svolta rappresentata
dall’arrivo degli Ateniesi e degli altri coloni407,
dovettero subire la rinascita dell’antico centro,
dove accanto a Pitagorici locali408 ve ne erano
anche di nuovi arrivati409. Ma sopravvenne, poi,
il riiuto da parte dei nuovi arrivati di accettare
le realtà preesistenti, il massacro e la cacciata
dei Sibariti superstiti410. I Crotoniati, in nome
di quella solidarietà achea, riemersa anche dopo
con la fondazione della lega achea411, ne consentirono l’insediamento sul Traente, loro frontiera
naturale con la Sibaritide ora in mano ai Thurini412. Si venne probabilmente allora alla rottura
con Thurii e Perillo rappresentante dei Pitagorici
di recente estrazione divenne un secondo Cilone413. A sua volta Thurii dovette impegnarsi nella
lotta contro Terina, i Lucani414 e Taranto415 e, per
sfuggire alla duplice morsa, si accordò con Taranto sulla Siritide e nacque Heracleia416.
Crotone non poté intervenire perché impegnata a fronteggiare i contraccolpi interni di
questo insuccesso: ci fu una grave crisi interna,
protagonisti i vincitori del Traente, ora defraudati dei frutti della vittoria417 e desiderosi di nuo-
407
D. S., XII, 10, 4.
Iamb., VP, 267, p. 144, 20-145, 1.2; 147, 6 Deubner
per i Sibariti; tra di essi Menestore (32 DK) precede
immediatamente Empedocle: Thphr., CP, I, 5 = 31 A 73.
408
409
Iamb., VP, 74 per i nuovi arrivati Thurini.
410
D. S., XII, 11, 1-2. Diodoro fa apparire l’espulsione
di Sibariti come accettata da Crotone, ma ciò è in accordo
con la tendenza iloturina della fonte e in contrasto con
l’insediamento sul Traente, ossia sul conine crotoniate
verso la Sibaritide.
398
Ps.Scymn., 341.
399
D. S., X, 23; XII, 9, 5; Str., VI, 263; Iamb., VP, 260.
400
Hdt.,VI, 21.
412
Hdt., IX, 20-22; 39-40; 63.
D. S., XII, 22, 1.
401
413
402
1063 F 1.Cfr. Mele 2013, pp. 117 sgg.
Iamb., VP, 74.
414
403
Iamb., VP, 267, p. 144, 20-145, 2 e 147, 4 Deubner.
411
Plb., II, 39, 6.
Plu., Moralia, 583 A-C; Iamb., VP, 265-266. Cfr. Mele
2013, pp. 133 sgg.
Iamb., VP, 267, p. 145, 11-12 Deubner. Cfr. Mele 2013,
pp. 137 sgg.
415
405
Eus., Ol., 81,3: Pythagorei his temporibus errant (453).
416
Antioch., F 11; D. S., XII, 36, 4.
406
Aristox., F 17 W; Plu., Mor., 583 A-B; Iamb., VP, 265.
417
Iamb., VP, 255.
404
Plu., Moralia, 583 A-C; Iamb., VP, 266. Cfr. Mele
2013, pp. 133 sgg.
262
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53° Convegno di Studi sulla Magna Grecia
ve terre e di liberazione dai debiti418; appoggiati
nelle loro aspirazioni democratiche anche dal
pitagorico Hippaso da Sibarita divenuto Crotoniate419, ma avversati dalla maggioranza degli
altri Pitagorici al governo, i cui dirigenti, ritenuti
pronti a una controrivoluzione, vennero mentre
erano riuniti per deliberare, assaliti e trucidati420.
Sopravvenne una lunga guerra civile421 che
interessò le varie città rette da governi Pitagorici422 e ne distrusse i gruppi dirigenti, i protoi423,
gli hegemonikotatoi424.
Al momento della strage, diarpasis, della
città di Crotone, a Boulagora, che ino ad allora
aveva diretto la scuola, successe per breve tempo Gartydas, salvatosi perché assente al momento della guerra, ma morto di crepacuore subito
dopo. Toccò allora ad Aresa lucano salvatosi
presso alcuni suoi ospiti, di assumere la direzione della scuola accogliere e istruire Diodoro di
Aspendo425, attivo in Grecia, e di ospitare Gorgia
reduce da Atene nel 427, apprendendo da lui che
Liside era salvo in Grecia ed essere da guerre,
discordie e tirannidi impedito nel richiamarlo426.
In questo stesso periodo si veriicarono una
serie di fatti assai signiicativi. La scissione, del
movimento tra il gruppo degli irriducibili, intenti
a continuare la lotta427, e quello conluito invece
a Metaponto e poi ad Eraclea; e contemporaneamente, l’introduzione della distinzione tra Matematici e Acusmatici, una via democratica per
assicurare, come al demo nella polis, ai semplici
418
Cfr. Iamb., VP, 255 con 260.
Iamb., VP, 267, p. 144, 20 Deubner, Iamb., VP, 81; 257
(DK 28 2.5).
uditori nella setta uno spazio riconosciuto428.
I Pitagorici di orientamento non rigorosamente conservatore, come Hippaso, il sostenitore delle proposte dei democratici a Crotone e
iniziatore appunto della distinzione tra matematici e acusmatici, di origine sibarita ma diventato
cittadino di Crotone e membro del Consiglio dei
Mille, si rifugiarono a Metaponto429; il crotoniate
Filolao, salvatosi tra i Lucani430, ed Eurito, poi
divenuti i maestri del tarantino Archita431, vicino
a sua volta di Hippaso432, si trasferirono l’uno ad
Heracleia e l’altro a Metaponto433. Metaponto,
infatti, come Taranto e Caulonia, era favorevole
ai democratici crotoniati: le tre città, chiamate
a decidere sulla contesa tra Pitagorici ribelli e
Crotone, ritennero colpevoli i primi e ne provocarono e giustiicarono l’esilio434: coerentemente
Dicearco, quando, confondendo la partenza di
Pitagora da Crotone con la fuga dei Pitagorici
scampati alla crisi inale, immagina il ilosofo
alla ricerca di un asilo sicuro, esclude Caulonia
e Taranto, e a Metaponto lo fa solo rifugiare nel
tempio delle Muse ed ivi morire dopo 40 giorni di digiuno435. Per il gruppo dei conservatori
a oltranza, ostili a Hippaso e ai suoi, rifugio fu
Reggio436.
Seguì una generale paciicazione, auspici gli
Achei e Deli e ai ribelli esuli da Crotone fu concesso il ritorno, ma poco dopo, avendo i Thurini
reagito con una irruzione nella Crotoniatide, perirono tutti in combattimento437.
La Megale Hellàs Crotoniate-pitagorica divenne un ricordo e prese corpo la Megale Hellàs
419
420
421
Iamb., VP, 261.
Iamb., VP, 263; Plu., Moralia, 583 B.
Plb., II, 39, 1-3; Dicearch. F 34 W= 41 A Mirhady;
Aristox., F 18; Plu., Moralia, 583 A.
422
428
Mele 2013, pp. 79 sgg.
Arist., Metaph. A 3, 984 A 7. D. L., VIII, 84 ecc. DK
18, 7. 8. 10. 13.
429
430
Plu., Moralia, 583 A-B.
431
Iamb., VP, 266.
Iamb., in Nic., 100, 19 Pistelli (DK 28,15).
423
Plb., II, 39, 2.
432
424
Aristox., F 18; Iamb., VP, 250.
433
Iamb., VP, 266.
434
Iamb., VP, 262. Cfr. Mele 2013, pp. 51 sgg.
Iamb., VP, 266. Ath., IV 163 D. Cfr. Mele 2013, pp.
136 sgg.
425
426
Plu., Moralia, 583 A-B. Cfr. Mele, cit.
Iamb., VP, 261 sgg. (Timeo in Apollonio). Cfr. Mele
2013, pp. 145 sgg.
427
435
F 34 W = 41 A Mirhady.
436
Aristox., F 18 W = Iamb., VP, 251.
437
Plb., II, 39, 4; Iamb., VP, 263.
263
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Alfonso Mele
dello Ps. Scymno, con Sibari svanita438, la potenza di Crotone tramontata439 e Taranto diventata la
megiste polis della Magna Grecia440.
In parallelo Aristosseno elaborò una diversa
motivazione della grandezza della Magna Grecia, in cui, lasciando sullo sfondo lo sviluppo
delle arti retoriche, dei discorsi epidittici e delle
leggi scritte, grazie anche al contributo eleatico e
siceliota, prevalevano gli aspetti culturali e ilosoici, dei poemi isici e delle sentenze morali441.
Alfonso Mele
438
Ps.Scymn., 337 sgg.
439
Ps.Scymn., 323 sgg.
Ps.Scymn., 300 sgg., 330 sgg. Abbiamo cercato così di
mettere ordine ad avvenimenti tramandati separatamente
e in maniera confusa, nella convinzione che grosso modo
questa possa essere stata la successione reale dei fatti.
440
Iamb., VP, 166 = DK 58 D 1. Cfr. Mele 2013, pp. 124
sgg.
441
264
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53° Convegno di Studi sulla Magna Grecia
Abbreviazioni Bibliografiche
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K.-J. Hoelkeskamp, Schiedsrichter, Gesetzgeber und Gesetzgebung im archaischen Griechenland, Stuttgart 1999.
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letterarie, progetti costituzionali (Atti del Convegno Internazionale di storia greca, Torino 29 maggio-31 maggio 2002),
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A. Mele, Gli Eleati tra oligarchia e democrazia, in L. Breglia, M. Lupi (edd.), Da Elea a Samo: ilosoi e politici di
fronte all’impero ateniese (Atti del Convegno di Studi, Santa Maria Capua Vetere 4-5 giugno 2003), Napoli 2005, pp. 9-30.
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A. Mele, L’identità di Elea: da Platone a Strabone, in ACT 45, Napoli 2006, pp. 65-91.
Mele 2007
A. Mele, Magna Grecia. Colonie achee e Pitagorismo, Napoli 2007.
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A. Mele, Harmonia e isonomia in Magna Grecia e nella tradizione pitagorica, incidenza dell’Antico, 7, 2009, pp.
37-60.
266
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53° Convegno di Studi sulla Magna Grecia
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A. Mele, Pitagora ilosofo e maestro di verità, Roma 2013.
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G. R. Morrow, Plato’s Cretan City: a Historical Interpretation of the Laws, New Jersey 1993.
Muccioli 1999
F. Muccioli, Dionisio II. Storia e tradizione letteraria, Bologna 1999.
Nafissi 2007
M. Nafissi, Sibariti, ateniesi e Peloponnesiaci. Problemi storici e storiograici nel racconto di Diodoro sulla fondazione
di Thurii, in E. Greco, M. Lombardo (edd.), Atene e l’Occidente. I grandi temi, Atene 2007, pp. 385-420.
Parra 1991
M. C. Parra, Locri, in BTCGI, IX, 1991, pp. 191-249.
Ragone 2006
G. Ragone, Tradizioni locali eoliche nelle biograie omeriche, in Eoli ed Eolide, Napoli 2006, pp. 451 sgg.
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J. Russo, Omero. Odissea, Libri XVII-XX, Milano 1985.
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E. Schwartz, s.v. Diodoros, in Realencyclopädie der Classischen Altertumswissenschaft (RE) V, 1903, cc. 663 sgg.
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M. Untersteiner, I soisti, Milano 1967.
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L. Vecchio, Zenone e la tirannide ad Elea, in M. Bugno (ed.), Senofane ed Elea tra Ionia e Magna Grecia (Atti del
Convegno, Napoli Università degli Studi Federico II, 6-7 febbraio 2003), Napoli 2005, pp. 241-262.
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267
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Indice
Premessa
Concessioni e convenzioni: forme e modalità dei rapporti
tra Mibact e università
(L. Malnati)
5
7
La discussione sulla polis greca oggi
(John K. Davies)
11
Introduzione al tema: la polis in Occidente e la storiografia moderna
(C. Ampolo, M. Lombardo)
35
Le fonti
L’archeologia della polis in Magna Grecia
(E. Greco)
65
L’archeologia della polis in Magna Grecia
(D. Mertens, discussant)
91
Documentazioni epigrafiche ed esperienze politiche e istituzionali
(M. L. Lazzarini)
99
Documentazioni epigrafiche ed esperienze politiche e istituzionali
(F. Cordano, discussant)
113
La monnaie, sceau et miroir de la polis
(O. Picard)
119
La moneta, segno e specchio della polis
(R. Cantilena, discussant)
137
Aristotele e le città della Magna Grecia
(D. Erdas)
149
La Magna Grecia nella scuola aristotelica
(L. Breglia, discussant)
177
L’immagine delle città di Magna Grecia nella Geografia di Strabone
(F. Prontera)
185
701
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Strabone e le città della Puglia romana
(F. Grelle, discussant)
Il dibattito (E. Greco, D. Elia, M. Lombardo)
191
195
Esperienze politiche e assetti costituzionali nelle poleis magnogreche
Le politeiai delle città della Magna Grecia: peculiarità e dinamiche
(M. Giangiulio)
201
L’organizzazione militare e la guerra
(M. Bettalli)
215
L’organizzazione militare e la guerra
(A. Bottini, discussant)
229
Tra Zaleuco, Caronda e Parmenide:
legislatori e filosofi in Magna Grecia e Sicilia
(A. Mele)
233
Qualche osservazione sui legislatori d’Occidente
nella prospettiva pitagorica e storiografica del IV sec. a.C.
(G. De Sensi Sestito, discussant)
269
Esperienze politiche ed assetti costituzionali
nelle poleis magnogreche di età arcaica: una riflessione
(F. Frisone)
289
Il dibattito (M. Lombardo, A. Pontrandolfo, A. Mele, C. Ampolo,
M. Giangiulio, M. Bettalli)
303
Gli spazi della polis nelle città magnogreche
Spazio sacro e culti civici
(E. Lippolis, V. Parisi, R. Sassu)
313
Spazio sacro e culti civici
(M. Osanna, discussant)
359
Alcune riflessioni sullo spazio pubblico
nelle poleis della Magna Grecia
(F. Longo)
369
702
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Lo spazio funerario
(A. Pontrandolfo)
397
Lo spazio funerario
Per una stratigrafia dei rapporti sociali: parentela, rito, tempo e filtri
funerari nella necropoli di Pithekoussai
(V. Nizzo, discussant)
417
Stili architettonici occidentali tra identità politica e distretti culturali
(C. Rescigno)
459
La produzione di immagini nelle poleis occidentali:
la ceramica italiota tra identità artistica e cultura politica
(C. Pouzadoux)
475
Il dibattito (E. Lippolis, F. Frisone, A. Pontrandolfo, V. Nizzo,
G. Bonivento Pupino, A. De Siena)
489
Dalle città ai territori
Città e territorio: popolazione e popolamento
(L. Gallo)
499
Città e territorio: popolazione e popolamento
(F. De Angelis, discussant)
513
Riflessi della polis magnogreca nel mondo indigeno
(M. Torelli)
517
Riflessi della polis magnogreca nel mondo indigeno
(P. G. Guzzo, discussant)
531
Il dibattito (A. Mele, M. Lombardo, V. Nizzo, A. Pontrandolfo,
L. Gallo, P. G. Guzzo)
537
Conclusioni
La polis fra ieri ed oggi
(M. Gras)
549
703
Book 53°.indb 703
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Le rassegne archeologiche
La Puglia
(L. La Rocca)
559
La Calabria
(S. Bonomi)
603
Le Province di Salerno, Avellino, Benevento e Caserta
(A. Campanelli)
649
La cronaca (G. Mazzarino, A. Uricchio, A. Siciliano)
685
Elenco contributi borse di studio anno 2013
691
Lista degli iscritti e dei partecipanti al convegno
693
Indice dei nomi e delle località notevoli
695
Indice
701
704
Book 53°.indb 704
12/12/2016 11:38:45