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NOTIZIE ARCHEOLOGICHE BERGOMENSI 23 2015 ISSN: 1127-2155 Periodico di archeologia del Civico Museo Archeologico di Bergamo fondato da Stefania Casini I testi sono stati sottoposti a revisione paritaria. La responsabilità di quanto riportato nel testo, nonché di eventuali er rori e omissioni, rimane esclusivamente degli Autori. Autorizzazione del Tribunale di Bergamo, n. 32 del 27.11.1993 Direttore responsabile: Stefania Casini Tutti i diritti riservati Comune di Berg amo, Museo Archeologico Sede: Civico Museo Ar cheologico di Bergamo, piazza Cittadella 9, 24129 Bergamo Proprietà: Comune di Bergamo Stampato da: Grafo s.r.l., Palazzago, Bergamo 2 Lo scavo di via Moneta a Milano (1986-1991). Protostoria e romanizzazione a cura di ANNA CERESA MORI con la collaborazione di CARLA PAGANI 3 Lo scavo di via Moneta a Milano (1986-1991). Protostoria e romanizzazione Coordinamento scientifico Anna Ceresa Mori Coordinamento redazionale Stefania Casini Direzione dello scavo archeologico Anna Ceresa Mori Esecuzione dello scavo archeologico Società Lombarda di Archeologia Fotografie Luciano Caldera, Luigi Monopoli (SAL); Società Lombarda di Archeologia Riordino e sistemazione dei materiali Annalisa Majorano (Società Lombarda di Archeologia) Disegni dei reperti Remo Rachini; Autori dei testi Rilievi Società Lombarda di Archeologia Elaborazioni grafiche Michela Ruffa; Società Lombarda di Archeologia Montaggio tavole grafiche Roberta Cavalli, Carla Pagani (Società Lombarda di Archeologia) Restauro dei reperti Annalisa Gaparetto (SAL); Lori Nistri Revisione dei testi Ilaria Piccolini L’elaborazione e l’informatizzazione dei dati di scavo e lo studio dei reperti sono stati finanziati dalla Banca d’Italia e dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. 4 SOMMARIO Presentazione Filippo M. Gambari p. 7 Premessa Anna Ceresa Mori » 9 Il quadro storico Alberto Barzanò » 11 Lo scavo Anna Ceresa Mori » 37 Via Moneta: analisi culturale delle fasi preromane Stefania Casini - Marco Tizzoni » 69 La produzione ceramica preromana: analisi delle forme Stefania Casini - Marco Tizzoni » 177 La ceramica attica Claudia Lambrugo » 267 La ceramica a vernice nera Lilia Palmieri » 273 Le lucerne Marina Ricci » 291 La ceramica a pareti sottili Sara Masseroli » 301 Le anfore Patrizia Cattaneo - Diana Dobreva » 309 I kalathoi iberici e gli pseudo-kalathoi Stefania Casini - Marco Tizzoni » 329 Gli ornamenti metallici di età preromana Marta Rapi » 339 Instrumenta e recipienti di bronzo Marina Castoldi » 345 La coroplastica Rosanina Invernizzi » 351 Le armille di vetro Marta Rapi » 357 Le monete Ermanno A. Arslan » 363 5 Gli ossi lavorati Chiara Bianchi » 377 Il quartiere celtico degli artigiani del metallo di Mediolanum Costanza Cucini » 387 Analisi di manufatti e scarti metallici di epoca celtica Costanza Cucini - Maria Pia Riccardi » 451 Le tecniche edilizie Mauro Rottoli » 461 6 Recent findings Besides the dice and the small lamp, a ceramic cup was recovered from the Via Moneta site It appeared to have been dipped in rose varnish and stamped with a scene of satyrs at grape harvest and bore the name Perennius Bargates Alan Jones (da Long after Hannibal had passed with elephants, New York, Paris, Turin 1995) Premessa Lo scavo di via Moneta (1986-91) è uno scavo “storico” per Milano: la prima parte (1986-87) è durata quasi un anno, durata record per uno scavo archeologico dell’epoca, e vi hanno partecipato molti archeologi che erano allora all’inizio di una lunga e promettente carriera. Esso ha in un certo senso avviato, con gli scavi per la linea 3 della Metropolitana Milanese, un’intensa stagione di attività di tutela preventiva sulla città e inaugurato una lunga serie di scavi archeologici, alcuni dei quali altrettanto interessanti e di durata anche superiore a questo. L’importanza dei risultati, per la storia delle origini della città e per la comprensione delle dinamiche di trasformazione da centro indigeno a municipio romano, era emersa fin da subito, e quindi la necessità della loro pubblicazione. Per questo la Banca d’Italia, che già aveva sostenuto gli oneri dell’intervento di scavo, aveva erogato un cospicuo finanziamento. Il lavoro per l’edizione dello scavo è iniziato una ventina di anni fa e ci si è subito resi conto che se ne erano sottovalutate le difficoltà. A quel tempo la Soprintendenza mancava degli strumenti per la gestione di una simile quantità di reperti. I problemi erano dovuti sia alla enorme massa di materiale recuperato, sia alla difficile gestione, oltre che dei reperti, delle migliaia di dati stratigrafici (allora l’informatica non era sviluppata come oggi), sia al fatto che, nella seconda metà degli anni Ottanta, la Soprintendenza, che aveva sede a Palazzo Reale, non possedeva magazzini. Il materiale fu depositato temporaneamente presso le Civiche Raccolte Archeologiche del Castello Sforzesco, per essere trasferito in seguito in parte nei magazzini della nuova sede della Soprintendenza in via De Amicis e in parte ancora in nuovi magazzini comunali. La particolare complessità della stratigrafia di questo scavo, così lacunosa e frammentaria, richiedeva inoltre la massima concentrazione per poter affrontare i numerosi interrogativi posti dalla sua lettura e interpretazione. La conoscenza della ceramica protostorica non era ancora abbastanza avanzata da consentire un’agevole comprensione della stratigrafia alla luce dei dati cronologici forniti dai reperti. La volontà di perseguire l’obiettivo della pubblicazione di via Moneta non è tuttavia mai venuta meno nel corso degli anni, ma si è anche scontrata, oltre che con le difficoltà intrinseche al lavoro, con le esigenze sempre più pressanti della tutela archeologica dell’area milanese, che assorbivano totalmente tempo e energie mie e dei miei collaboratori. Sono perciò molto grata al gruppo di studiosi specialisti nei vari settori che nel corso di questi anni hanno continuato a credere in questo lavoro e con cui non si è mai interrotto un dialogo costante su Milano e la sua storia. Il loro interesse, entusiasmo, tenacia e determinazione hanno permesso a tutti noi di non cedere allo scoraggiamento e di portare finalmente, anche se tardivamente, a termine l’opera, o almeno una parte di essa. Si è scelto infatti di limitare per il momento la pubblicazione alle prime tre fasi, tra la protostoria e la romanizzazione, perché la ricerca su di esse, che ha dato risultati di gran lunga superiori a quanto ci si attendeva all’inizio, soprattutto nello studio della ceramica protostorica e della metallurgia, ha assunto proporzioni molto più ampie di quanto era stato preventivato. Il metodo adottato, che è consistito principalmente in un continuo confronto tra i risultati dello studio dei materiali e l’analisi della stratigrafia, condotto capillarmente, unità per unità, ha consentito di mettere a fuoco la cronologia delle attestazioni di attività nell’area e quindi il processo di graduale passaggio dall’oppidum al municipio romano. 9 Fig. 1: I par tecipanti allo scavo nella primavera del 1987. Desidero ringraziare in primo luogo gli operatori della Società Lombarda di Archeologia che hanno partecipato allo scavo, troppo numerosi perché possa ricordarli singolarmente, i responsabili di settore Brian Howes, Carla Pagani e Nicholas White per la qualità del loro lavoro, Annalisa Majorano, sempre solerte e insostituibile nel riordino e prima classificazione dei materiali, Roberta Cavalli per le planimetrie di fase, Remo Rachini per i disegni dei reperti. La mia gratitudine va inoltre a tutti gli studiosi che hanno collaborato al lavoro nel corso degli anni, abbandonandolo per vari motivi prima della sua conclusione, e a quelli che hanno approfondito aspetti non contemplati da questa prima pubblicazione. Ricordo in particolare Michela Ruffa, Chiara Niccoli e Cristina Longhi, che hanno curato l’informatizzazione dei dati. Un sentito ringraziamento va alla Banca d’Italia, con cui il rapporto è sempre stato improntato alla massima cordialità e collaborazione, che ha finanziato gli interventi di scavo, l’elaborazione dei dati e lo studio dei reperti, in particolare all’allora direttore dott. Noto, al dott. Licciardi e al geom. Cinquini. Un grazie di cuore al direttore dei lavori ing. Urbano Pierini e all’impresa Castelli. Ringrazio inoltre Donatella Caporusso e il personale delle Civiche Raccolte Archeologiche, dove è ancora depositata una parte del materiale, tutto il personale della Soprintendenza, in particolare i fotografi Luciano Caldera e Luigi Monopoli e la restauratrice Annalisa Gasparetto. Sono riconoscente al funzionario responsabile per Milano, dott.ssa Annamaria Fedeli, per la disponibilità con cui ha agevolato il nostro lavoro. Ringrazio infine Stefania Casini, direttore responsabile della rivista Notizie Archeologiche Bergomensi, che ha curato la redazione del volume, e l’Assessorato alla Cultura del Comune di Bergamo. ANNA CERESA MORI 10 Notizie Archeologiche Bergomensi, 23, 2015, pp. 37-67 ISSN: 1127-2155 Lo scavo Anna Ceresa Mori In un’area di mq. 1200, rimasta libera in seguito ai bombardamenti della seconda guerra mondiale, si è svolto nel 1986-87, grazie al generoso finanziamento della Banca d’Italia, uno scavo archeologico preventivo, in occasione della realizzazione dell’ampliamento della sede della banca, in via Moneta. L’indagine è proseguita nel 1990-91, in occasione della realizzazione di sottoservizi e di un tunnel di collegamento sotto il sedime stradale di via Moneta1 (figg. 1-2). La zona è a poca distanza da quella del foro della città romana, compresa tra le piazze S. Sepolcro e Pio XI, indagata tra il 1990 e il 1992 in occasione dei lavori di restauro della Biblioteca Ambrosiana, nelle cui cantine sono emerse alcune porzioni del lastricato della piazza forense. Nell’area della vecchia sede della Banca d’Italia erano venuti in luce nel 1908 i resti di un vasto edificio a pianta rettangolare in cui il De Marchi riconobbe la Zecca romana, l’opulens moneta di Ausonio, a cui fa riferimento anche il toponimo della via Moneta, che si collega ai nomi delle chiese di origine medievale di S. Mattia e S. Martino alla Moneta2. I dati archeologici recuperati in passato in questa zona, pertinenti sia al periodo protostorico, sia al periodo romano, erano molto frammentari, perché derivanti da rinvenimenti fortuiti effettuati in occasione di lavori edilizi o per sottoservizi. Altre indagini archeologiche stratigrafiche estensive, condotte dalla Soprintendenza in occasione di opere edilizie a partire dagli anni ’80 del 1900, hanno interessato questa zona centrale della città romana e si sono svolte, oltre che in via Moneta e nella Biblioteca Ambrosiana, in via S. Maria alla Porta3, via S. Maria Fulcorina4, via Valpetrosa5 e via S. Maria Podone6, via Santa Margherita7. Esse hanno consentito di individuare per il periodo romano una sequenza di fasi edilizie che iniziano con il I secolo a.C., all’epoca in cui Mediolanum era colonia di diritto latino, conferito alla città nell’89 a.C. con la lex Pompeia, e proseguono poi per tutta l’epoca tardorepubblicana e imperiale fino alla caduta dell’Impero. Per il periodo protostorico, i rinvenimenti erano sporadici e privi di contesto. La novità assoluta dello scavo di via Moneta consiste nell’individuazione, per la prima volta a Milano, di una sequenza di livelli di insediamento che si distribuiscono in un arco di tempo compreso tra il periodo Golasecca III A (V secolo a.C.-inizio IV secolo a.C.) e i periodi La Tène B1, B2 e C1 (IV-inizio II secolo a.C.), documentando una continuità insediativa nell’area dal V secolo a.C. al periodo della romanizzazione. Ciò ha consentito di proiettare le origini della città su un orizzonte molto più antico di quanto fosse prima noto, di stabilire importanti punti di riferimento per la ceramica comune protostorica, di inserire i vecchi rinvenimenti in un quadro cronologico più preciso e di meglio interpretarne la natura. In via Moneta, le cantine degli edifici distrutti dalla guerra avevano asportato su tutta l’area del cantiere una parte consistente del deposito archeologico, fino alla profondità di circa m 3-3,50 dal piano stradale; la stratigrafia era inoltre stata pesantemente compromessa da numerose cisterne e ghiacciaie realizzate in epoca medievale e moderna. Il deposito archeologico conservato tra il pavimento delle cantine e il terreno sterile aveva quindi uno spessore di circa m 2 e in esso era compressa tutta la sequenza delle fasi edilizie sviluppatesi tra l’epoca protostorica e quella attuale. 1) CERESA MORI et Al. 1987; CERESA MORI-WHITE 1990 e 1991. 4) CAZORZI-CERESA MORI-PAGANI-VALLE 1985. 5) CERESA MORI 1992-93. 2) Si veda CERESA MORI 2010, con bibliografia precedente. 6) CERESA MORI-SALSAROLA 1987. 3) CERESA MORI 1986-a. 7) JORIO 1985. 37 Da ciò derivava una stratigrafia “a macchia di leopardo”, molto lacunosa e di difficile interpretazione, anche a causa del reimpiego dei materiali edilizi, prassi adottata sistematicamente a Milano. Le evidenze relative alle prime fasi di occupazione dell’area erano costituite quasi esclusivamente da impronte in negativo. La stratigrafia era caratterizzata da depositi sottili, che documentavano reiterati interventi di ripristino, coerenti con l’utilizzo di legno e terra per le costruzioni, materiali deperibili che richiedevano frequenti rifacimenti8, con effetti negativi dal punto di vista della leggibilità della sequenza stratigrafica. Per la realizzazione delle piante di fase si è dovuto per questo motivo fare una scelta, puntando sugli strati che si ritenevano più significativi, nell’impossibilità di rendere in una planimetria generale il continuo alternarsi a brevi intervalli di tempo di piani d’uso e livelli di frequentazione e accrescimento. Altra peculiarità di questo scavo, per le ragioni esposte sopra, è costituita dalla grande quantità di materiale ceramico recuperato, con un’elevata percentuale di residualità; ciò vale in particolare per la ceramica comune, di cui lo scavo ha restituito una quantità considerevole, a fronte dell’esiguità delle evidenze strutturali rilevate. Lo scavo è stato suddiviso in quattro lotti, pari al 74,6% dell’intera area del cantiere (fig. 3). Nella zona della rampa di accesso, per esigenze tecniche, si è rinunciato allo scavo archeologico, anche in considerazione del fatto che era una zona molto dissestata da interventi recenti e ci si è limitati ad un controllo dello scavo effettuato con mezzo meccanico. La scelta di dedicare il primo volume alle sole prime tre fasi documentate nello scavo è dovuta alla grande quantità di ceramica recuperata, soprattutto ceramica comune. Si è privilegiato il criterio di ricostruire i contesti di scavo, non tralasciando di presentare, accanto ai reperti in giacitura primaria, anche materiali residuali provenienti da strati più recenti, ma verosimilmente riconducibili alle fasi protostoriche. Si deve infatti alle specifiche caratteristiche della stratigrafia urbana, in cui si registra un’altissima percentuale di strati ridepositati a causa di continui interventi di scavo, riempimento, recupero materiali edilizi, livellamento, nuova edificazione, se molti materiali pertinenti alle fasi più antiche sono stati recuperati in giacitura secondaria. In tale contesto anche tali reperti acquistano grande importanza, perché in alcuni casi possono segnalare fasi di vita della città non altrimenti attestate. La fase IB (IV-III secolo a.C.) al momento dello scavo era stata identificata solo in minima parte e sembrava documentata quasi esclusivamente da reperti residuali9. Un’analisi più approfondita dei materiali, condotta successivamente, ne ha definito meglio la consistenza e la cronologia e ha così consentito di individuare e datare con maggiore precisione le evidenze ad essi connesse. Fase IA (fig. 4, tav. 1 fuori testo) Le evidenze pertinenti a questa fase10 (fig. 4), individuate nei lotti 1, 3 e 4, sono molto modeste, costituite da piccoli lembi di piani d’uso e livelli di frequentazione-accrescimento, che presentavano buchi di palo irregolarmente disposti. La lacunosità dei resti conservati non consente di formulare ipotesi sulla destinazione dell’area. La datazione degli strati e dei riempimenti è basata principalmente sulla ceramica comune recuperata, che consente un inquadramento della fase nel periodo Golasecca III A (V-inizi IV secolo a.C.). Sopra il terreno sterile era presente ovunque uno strato, 304, testimonianza di un antico suolo evoluto su ghiaie fluviali e in seguito in parte asportato. Esso era coperto dallo strato 303, composto da sabbia poco limosa di colore marrone grigiastro scuro con ghiaia media, chiazze d’argilla e noduli di ferro. Nel paleosuolo 965, uguale a 303, situato nella parte sud est dello scavo (lotto 1), era tagliata 8) Si stima di una ventina d’anni la durata massima del legno per le costruzioni: BERNARD 2005, p. 20; BARRALGASTON-VAXELAIRE 2011, p. 100. par la di distruzione quasi totale dei contesti di IV-III secolo a.C. In realtà la distruzione era solo parziale, come si evince dalla presente relazione, che si basa sui risultati dell’analisi di tutto il ma teriale ceramico. 9) Per le prime interpretazioni della stratigrafia in questo senso, quando la f ase di IV-III secolo a.C. non era stata ancora completamente riconosciuta, si veda, ad esempio: CERESA MORI 2001, pp. 369-370. In tale contributo si 10) La relazione degli scavi è stata redatta da Brian Howes, Carla Pagani e Nicholas White della Società Lombarda di Archeologia. 38 Fig. 1: Milano, via Moneta: ubicazione degli scavi. La linea bianca indica l’area degli scavi. una serie di otto piccoli buchi di palo (590, 596, 954, 960, 958, 598, 956, 964) allineati in senso nord est-sud ovest, profondi in media cm 12, riempiti da uno strato di sabbia limosa di colore marrone grigiastro con molti carboni e piccoli ciottoli. Lo strato 965 era coperto da due livelli di frequentazione sovrapposti: 587 e 574, con caratteristiche molto simili, a matrice sabbiosa e limosa con abbondanti patine e noduli di ferro ossidato e frammenti di carbone. Entrambi gli strati sono databili, in base ai reperti ceramici, al periodo G. III A2 (seconda metà V secolo a.C.). I riempimenti dei buchi di palo avevano caratteristiche molto simili allo strato 587, interpretabile come livello di frequentazione nel quale probabilmente erano stati scavati i buchi di palo, e quindi ad essi contemporaneo. I buchi di palo, per la scarsa profondità e le ridotte dimensioni, sembrano riferibili ad una struttura leggera. Simile a 574 era lo strato 557, visibile a est per un’estensione di m 12 est ovest per m 3,50 nord sud. Gli strati 574 e 557 potevano avere lo scopo di impedire i ristagni d’acqua, in un’area interessata da cospicui innalzamenti della falda, e presentavano resti di focolari molto vicini tra di loro, che sembrano riconducibili ad un’area di lavoro a cielo aperto, data la 39 mancanza di evidenti strutture. Essi venivano coperti dallo strato 568, composto anch’esso da sabbia limosa giallo oro con grumi grigiastri e abbondanti noduli di ferro, che conteneva materiale ceramico databile al periodo G. III A2. Nel lotto 3, situato a nord del lotto 1, è stato individuato il paleosuolo 1248, uguale a 965, alla quota assoluta di m 115,95, di limo molto sabbioso marrone con abbondanti ciottoli, coperto dagli strati 1238 e 1258. Lo strato 1238, costituito da ciottoli in matrice limo-sabbiosa nocciola con evidenti tracce di ossidazione, è databile al periodo G. III A2. Esso era coperto da 1216, uno strato di livellamento-preparazione per il successivo piano d’uso 1269. Lo strato, a matrice limoFig. 2: Veduta del cantiere (f oto Archivio SAL). sabbiosa grigio-marrone con carboni sparsi e grumi d’argilla gialla, si data al periodo Golasecca III A2 (seconda metà V secolo a.C.). Esso ha restituito un frammento di argilla cruda11 proveniente da una struttura in terra. Il piano d’uso 1269, in limo sabbioso grigio marrone con abbondanti carboni, frammenti ossei e frammenti ceramici databili al periodo G. III A2, era alla quota assoluta di m 116,06. Esso ha anche restituito una fibula in bronzo tipo Certosa del V secolo a.C. A sud ovest di 1269, un’area di paleosuolo dello spessore di circa cm 10, composta da sabbia debolmente limosa con pochi ciottoli (1340, 1416), era interessata da una serie di piccoli buchi per palo (1328, 1334, 1335, 1336, 1337), il più grande dei quali era di forma circolare con diametro di cm 20. Doveva trattarsi di una struttura leggera di forma e uso non ricostruibili. Il paleosuolo 13401416 era coperto da una serie di strati composti da sabbia limosa poco compatta di colore grigiomarrone con chiazze di limo giallo, frammenti di carbone e ciottoli, tra cui 1324, riferibile al periodo G. III A2, tagliato da un piccolo buco di palo circolare. Anche lo strato 1415, livello d’uso che copriva il paleosuolo, ha restituito reperti del periodo G. III A2 ed era tagliato da un piccolo buco di palo. Nel lotto 4, situato a nord ovest, le evidenze più antiche erano costituite da due buchi di palo circolari, 2071/2072 e 2024/2025, i cui riempimenti erano privi di reperti, che tagliavano uno strato di limo sabbioso giallo, compatto, 2062, uguale a 2018 (quota m 116,50 s.l.m.) spesso circa cm 10. Gli strati che li coprivano, per lo più a matrice limosa con ghiaia in percentuale variabile, si presentavano estremamente lacunosi. Le evidenze, buchi per pali, impronte, buche irregolari, erano di difficile interpretazione. Lo strato 2068 ha restituito ceramica databile al periodo G. III A3 (fine V-inizio IV secolo a.C.) L’unico livello insediativo finora noto a Milano, coevo a quelli descritti sopra, è stato documentato nell’angolo sud ovest del cortile principale di Palazzo Reale12. Materiali riferibili al periodo Golasecca III A in giacitura secondaria provengono invece da molte zone della città. La carta di distribuzione dei reperti dell’età del Ferro ha consentito di delineare una mappa del sito di Mediolanum in tale periodo, che occupava la zona centrale della città attuale compresa tra piazza Duomo, via Meravigli, via Gorani e via Valpetrosa e raggiungeva, in base alle attuali conoscenze, un’estensione di circa 17 ettari (fig. 5). Nel cortile di Palazzo Reale è stata individuata, alla quota di m 114,90, una piccola fornace per ceramica di forma circolare con al centro un piano forato in argilla. Il livello è databile, come quelli di via Moneta, al periodo G. III A e sembra attestare la presenza di un’area destinata ad attività produttive. La differenza di circa un metro tra le quote assolute dei due siti mostra che l’area centrale dell’insediamento golasecchiano, corrispondente alla zona di via Moneta e della Biblioteca Ambrosiana, dove in epoca romana sarebbe sorta la piazza del foro, era in posizione 11) Si veda ROTTOLI in questo volume. 40 12) JORIO 1987, pp. 132-133. Fig. 3: Milano. Via Moneta. Le aree inda gate nel 1986-87, 1990 e 1991 (disegno B. Howes). 41 Fig. 4: Sintesi dei dati cronologici della fase IA. lievemente più elevata rispetto alla parte restante dell’abitato. Un dato interessante offerto dalle evidenze di via Moneta è il fatto che i buchi di palo rinvenuti nel lotto 3 erano allineati in senso nord-ovest/sud-est, e sembravano quindi indicare, già nel periodo più antico dell’insediamento, un orientamento che appare costante in tutte le successive fasi edilizie di questo settore di Mediolanum13, dal periodo dell’oppidum a quello del municipio romano. Esso infatti è proprio delle strutture della fase IB (IV-III secolo a.C.) e sarà in seguito rispettato dall’assetto urbanistico della città romana. Fase IB (fig. 10, tav. 2 fuori testo) In questo periodo, le impronte in negativo di costruzioni in legno con lembi di livelli interpretabili come piani di cantiere, depositatisi nel corso della realizzazione degli edifici, risultano relativamente più consistenti rispetto alla fase precedente, e sono concentrate nella parte sud ovest e nord est dello scavo (lotti 2 e 3). È stato possibile individuare resti di due edifici (A e B) in legno e terra cruda, e tracce di attività di lavorazione del ferro e del bronzo, documentate da buche di scarico all’estremità sud dell’area14. Di particolare importanza è il fatto che questa fase costituisce, allo stato attuale, un unicum per Milano: è cioè l’unica testimonianza finora nota nella città di un abitato riferibile ai periodi G. III A3-La Tène B/C1 (IV-III secolo a.C.). L’area abitata era delimitata a nord da un fossato con sezione a V e orientamento nord ovest-sud est. Oltre alla ceramica comune, elementi di datazione sono offerti da alcune fibule e una moneta15. Nel lotto 1 era presente un numero considerevole di buche di scarico molto disturbate da interventi posteriori. La buca 589/588 (fig. 6), che tagliava lo strato 574 della fase precedente, era di forma circolare e il suo riempimento composto da tre strati, 588A, B e C, ha restituito scorie metalliche. La buca era coperta dallo strato 586, di sabbia limosa con ciottoli, piccoli frammenti di carbone e scorie metalliche. L’area risultava quindi interessata da buche di scarico con residui di attività metallurgiche. Verso est era lo strato 545, sulla superficie del quale era una serie di piccoli focolari rappresentati da chiazze di limo giallastro con segni del fuoco, frammenti di concotto e abbondanti carboni. Il più grande, 544, aveva una dimensione massima in senso est ovest di cm 90. All’estremità est del lotto il paleosuolo 303 era tagliato da un buco di palo, 290/291, il cui riempimento ha restituito reperti del periodo G. III A3. Esso era probabilmente in fase con lo strato di frequentazione-accrescimento 286, che copriva il paleosuolo ed è databile al periodo La Tène B o C. 13) Lo stesso orientamento caratterizza le impronte di travi e di pali lignei rinvenuti sotto la Biblioteca Ambrosiana. 42 14) Si veda il contributo di CUCINI in questo volume. 15) Si vedano i contributi di RAPI e ARSLAN in questo volume. Fig. 5: Car ta di distribuzione dei ritrovamenti della Milano pr eromana (disegno M. Ruffa). Nei settori settentrionali del lotto 3 il livello d’uso 1269 (fase IA) era coperto dallo strato 1173, a matrice sabbiosa marrone con concrezioni ferrose, privo di reperti datanti, probabilmente riferibile ad un’area aperta, ed era coperto dagli strati 1217, 1237, 1244, 1172. Nello strato 1244 era tagliata una grossa buca riempita da una serie di strati, il più alto dei quali, 1239, costituito da limo sabbioso grigio giallastro con chiazze arancioni, indizi della presenza di residui di focolare gettati nella buca, è databile al periodo LT B. Vi erano tracce di strutture lignee leggere, costituite da una piccola trincea a fondo arrotondato, orientata nord est-sud ovest, 1303, che tagliava la buca 1268, e da due piccole trincee ortogonali tra loro, con lo stesso orientamento di 1303, che tagliavano lo strato 1213, molto compatto, sabbioso e limoso con abbondanti inclusioni di ghiaia fine, patine e noduli di ferro ossidato, databile al periodo LT B. Le trincee erano riempite dallo strato 1214, di limo sabbioso grigio chiaro, databile allo stesso periodo. Nel settore meridionale del lotto 3 a nord il paleosuolo 1344, uguale a 1340, 1248 e 1416, era coperto da uno strato giallo ocra di consistenza sciolta con ciottoli, 1220, in cui erano scavati due buchi per palo, 1221/1224, che ha restituito reperti del periodo LT B1, e 1225/1223, il cui riempimento era privo di reperti. Essi facevano parte di una struttura non identificabile, probabilmente da collegarsi ad uno strato di argilla cotta di colore arancio-giallastro, 1212, ricca di carboni, ossa combuste e frammenti ceramici databili al periodo LT B1 (375/310 a.C.). Lo strato di bruciato si può interpretare come un focolare della struttura a cui erano pertinenti i buchi di palo. Al focolare fa pensare la presenza di uno strato di ciottoli di forma subcircolare. Al di sopra di queste evidenze, e in parte anche all’interno dei buchi di palo, era lo strato 1197, di limo sabbioso compatto con lenti di cenere e abbondanti carboni, forse livello di accrescimento, caratterizzato dalla stessa matrice argillosa del piano bruciato, in cui si sono individuati due livelli, 1197A e 1197B, che hanno restituito ceramiche del periodo LT B1. Lo strato 1197A (fig. 7) era tagliato da una piccola traccia in negativo orientata nord ovest-sud est, profonda pochi centimetri, 1191/1194. La presenza nel suo riempimento di residui di ossa combuste e resti ferrosi faceva pensare ad una canaletta, in cui lo scorrimento di acqua poteva aver prodotto l’ossidazione del ferro. I reperti ceramici indicano per la canaletta una datazione al periodo LT B1. 43 Fig. 6: La buca 589/588 (foto Archivio SAL). Fig. 7: Il livello di accrescimento 1197A con la canaletta 1191/1194 (foto Ar chivio SAL). Edifici in legno a est e ovest. Nella zona est del lotto 3 si individuava una serie di strati di limo sabbioso giallo, tra cui il solo strato 1206, un probabile livello d’uso, ha restituito reperti databili al periodo LT B1 (375-310 a.C.) Lo strato copriva un probabile piano di calpestio in ciottoli, 1373, che conteneva ceramica del periodo LT B. Esso era tagliato da dodici buchi di palo e una piccola trincea, 1411/1410, impronte in negativo pertinenti a un grande edificio in legno orientato in senso nord ovest-sud est. Erano conservati cinque tratti, 1318, 1339, 1362 (fig. 8), 1390 (fig. 9), 1393, di un solco lungo m 15, largo cm 15/30 e profondo cm 50, traccia in negativo della parete perimetrale nord dell’edificio, che doveva essere costituita da elementi orizzontali e verticali in legno regolarmente assemblati e messi in opera. Le trincee 1411 e 1333, perpendicolari alla parete perimetrale nord, e il piccolo tratto di una terza trincea, 1372, erano verosimilmente resti delle pareti divisorie interne dell’edificio. I buchi di palo presenti negli strati 1206 e 1260 potevano far parte di apprestamenti antistanti l’edificio (tettoia?). Il piano di cantiere, 1374/70, alla quota assoluta di m 116,30 s.l.m., che si data in base ai frammenti ceramici tra il IV e il III secolo a.C., era interessato da sei piccolissimi buchi per palo riempiti da limo sabbioso di colore giallo. Il riempimento della traccia in negativo lunga m 15 sopra descritta, 1361, ha restituito frammenti ceramici databili al periodo LT B1 (seconda metà del IV secolo a.C.). Più a sud delle impronte in negativo sopra descritte, il paleosuolo US 303 era tagliato da una piccola trincea, 236, forse pertinente alla parete perimetrale sud dell’edificio ligneo, che in questo caso consentirebbe di definire la larghezza dell’edificio, di m 8. Il paleosuolo 303 era coperto dallo strato di limo sabbioso 228, interpretabile come livello di accrescimento, che ha restituito reperti del periodo G. III A3 e un frammento di terra cruda probabilmente pertinente all’elevato dell’edificio, di dimensioni troppo ridotte per poter stabilire se era riferibile a un mattone o a incannucciato16. Verso nord ovest si trovava una buca circolare, forse asportazione di pozzo, 1195, che tagliava il terreno sterile ed era riempita da strati di sabbia con ghiaia, ciottoli e carboni, 1183, databile in base ai reperti al periodo LT B. Nell’area a ovest (lotto 2) sono stati individuati elementi strutturali che suggeriscono la presenza di almeno una fase di costruzioni in legno (B). Verso il limite sud ovest dello scavo erano tre piccole trincee parallele orientate in senso nord ovest-sud est, 750, 752, 760. Il riempimento di 750, 749 conteneva ceramica del periodo G. III A3 e LT B. Una quarta piccola trincea, 756, aveva andamento ortogonale alle precedenti. I riempimenti, di sabbia marrone grigiastro scuro, erano 16) Si veda il contributo di ROTTOLI in questo volume. 44 Fig. 8: Impronta in neg ativo della parete nord dell’edificio A (1362) (foto Archivio SAL). Fig. 9: Impronta in negativo della parete nord dell’edificio A (1390) (foto Archivio SAL). privi di reperti. Anche queste tracce in negativo, come le trincee nella parte a est dello scavo, sono interpretabili come resti di pareti di legno, o a graticcio in legno e terra, poggianti su travi orizzontali. Le pareti realizzate con queste tecniche non potevano avere vita molto lunga; è quindi probabile che i resti, molto lacunosi a causa di interventi posteriori, siano pertinenti a fasi diverse. Non erano conservati livelli d’uso, ma il piano di cantiere 757, tagliato da un buco per palo, alla quota assoluta di m 116,30 s.l.m., ha restituito ceramica del periodo LT B (375-250 a.C.), ed è quindi coevo a 1374/70, che si trovava alla stessa quota, individuato presso l’edificio a est del lotto 3, tagliato dalle trincee US 1393-1318. I resti, molto frammentari per interventi posteriori, sembrano riconducibili ad un abitato databile fra la metà del IV e la metà del III secolo a.C. e sono quindi pertinenti alla prima fase di vita dell’oppidum celtico. Tracce di costruzioni dello stesso tipo, con buchi di palo e solchi per travi orizzontali su cui poggiavano le pareti, sono state individuate a Milano nello scavo della Biblioteca Ambrosiana17. Una datazione precisa delle strutture in negativo evidenziate nella sala sottofedericiana della Biblioteca Ambrosiana, di alcune delle quali si può supporre un analogo inquadramento cronologico nell’ambito dei periodi G. III A3-LT B, sarà però possibile solo dopo l’analisi e la seriazione dei materiali rinvenuti. Molto vasta è ormai la bibliografia sulle tipologie edilizie in legno e terra, diffuse in tutta Europa in epoca protostorica18, alcune delle quali hanno avuto una lunga persistenza, fino al periodo romano e oltre. Nel caso di via Moneta, le tecniche edilizie compatibili con le impronte rimaste sul terreno dopo l’asportazione dei pali e delle travi orizzontali, costituite da buchi di palo e da solchi di una larghezza massima di cm 30, possono essere ricondotte a due tipologie. Si tratta sia di quella basata sull’uso esclusivo del legno19, con assi di legno per le pareti, poggianti su travi alloggiate orizzontalmente nel terreno fissate da montanti verticali infissi nelle travi, sia di quella a graticcio, l’opus craticium descritto da Vitruvio20 , caratterizzata dall’uso di un’intelaiatura lignea poggiante su travi orizzontali, su cui si applicava uno spesso strato di argilla mista a paglia. La base 17) CERESA MORI 2010, pp. 96-97. al contributo di ROTTOLI in questo volume. 18) Da Architecture de terre et de bois , AUDOUZEBUCHSENSCHUTZ 1989, ROTTOLI 1996, fino ai più recenti: Architecture protohistorique; DE CHAZELLES 2003; CRESNAR 2007; ANTONINI 2011; MAGUER-ROBERT 2013; CROCE et Al. 2014. Per un approfondimento rinvio 19) Sulle diverse tipologie degli edifici in legno e in legno e terra si veda: RE NAR 2007. 20) Per un confronto tra i dati archeologici e le opere di Vitruvio, Var rone e Ca tone: DE CHAZELLES 2003. 45 Fig. 10: Sintesi dei dati cronologici della fase IB. delle pareti era costituita, in entrambi i casi, da travi dormienti con la funzione di isolare le pareti dall’umidità21. Il frammento di terra cruda proveniente dall’US 228, livello di accrescimento relativo all’edificio A,22 sembra indicare l’utilizzo di tecniche in legno e terra. Sulle caratteristiche dell’edificio A, dato che non se ne può ricostruire la lunghezza totale, ma solo la larghezza, di circa m 8, e non sono conservate le tracce dei supporti lignei della copertura, si possono solo fare delle ipotesi. La sua planimetria sembra piuttosto semplice, rettangolare con suddivisioni interne, del tipo diffuso nel nord Italia tra IX e IV secolo a.C., documentato a Padova 23, Este24, Oderzo25 e al Forcello di Bagnolo S. Vito26. La messa in opera di pareti in torchis su travi orizzontali è molto diffusa in Gallia, dove questa tipologia risulta in alcuni siti prevalente dal I secolo a.C.27 ed il suo uso è stato attribuito da molti studiosi all’influenza mediterranea28. Assente in questo contesto è l’uso di tegole, che compare in Italia centrale probabilmente per influenza etrusca già dalla fine del VI secolo a.C.29. Ciò fa supporre che tra il IV e il III secolo a.C. le coperture di questo tipo di edifici a Mediolanum fossero ancora in legno, terra e paglia. Il fossato. Nella parte settentrionale dello scavo il paleosuolo era alla quota di m 116,55 s.l.m. Il primo strato antropizzato era 456/91 (fig. 11), direttamente a contatto con il paleosuolo, costituito da una matrice di limo mediamente sabbioso di colore grigio scuro e di consistenza soffice, con frammenti di carbone, ossa animali, concotto e frammenti ceramici. Lo strato si estendeva solo per m 2×1,60, perché tagliato da interventi posteriori. La ceramica pertinente al periodo LT B1/ B2 e una dracma padana d’argento30 ne collocano la datazione tra la fine del IV e l’inizio del III secolo a.C. Lo strato era anche tagliato da un buco di palo, US 455/91. Il fossato 457/91 (figg. 11 e 12) aveva una profondità massima di m 1,70. Più ad ovest è stato individuato un tratto del suo lato sud, della lunghezza di m 2,20, non riconosciuto al momento dello scavo, durante l’esecuzione di un saggio (B) per la posa di sottoservizi nel 199031. La sua larghezza complessiva era di circa m 2,50. La parte rimasta del lato nord, quella meglio conservata, presentava una pendenza di 55°, che aumentava fino a 70° verso il fondo, formando una canaletta con le pareti rastremate, larga da cm 25 a cm 45 e profonda cm 45, con il fondo a sezione leggermente arrotondata. A circa metà della parete nord era un allineamento di tre piccoli buchi di palo paralleli alla sponda del fossato, sul cui fondo non c’erano evidenti tracce di sedimentazione, 21) Esempi di tali tecniche edilizie in Slovenia in RE NAR 2007, tipi 2 e 3, pp. 327-330; a Milano sono documentate nello scavo della stazione Missori: BLOCKLEY-CAPORUSSO 1991, pp. 272-273. 26) DE MARINIS 1986, pp. 150-156. 27) VITALI-ZWALD 1998, p. 38; B ARRAL-GASTONVAXELAIRE 2011, pp. 100-103; MA GUER-ROBERT 2013, p. 250. 22) ROTTOLI in questo volume. 28) DE CHAZELLES 2003, p. 24. 23) GAMBA-GAMBACURTA-SAINATI 2005, pp. 67-68, 72; PIRAZZINI 2005, p. 104. 29) MALNATI 1999,p. 179. 24) GAMBACURTA 2015, p. 85 30) Si veda ARSLAN in questo volume. 25) GAMBACURTA 2015, p. 84. 31) WHITE 1990. 46 Fig. 11: Planimetria dello strato 456/91 e del fossato 457/91 (dis. R. Mella Pariani). 47 Fig. 12: Sezione nord-sud del fossato 457/91(disegno M. Motto). come se esso fosse stato mantenuto molto pulito durante l’uso. La buca 458/91/450/91 (fig. 11) ha restituito reperti pertinenti al periodo LT B1 (IV secolo a.C.). Nella parte sud del cantiere erano presenti suoli agrari privi di reperti, 420/91 e 461/91, che coprivano il paleosuolo 421/91. In questo settore, gli interventi legati allo scavo del fossato, che costituiva una netta linea di demarcazione tra una parte nord non indagata e una parte abitata a sud, sembrano aver cancellato ogni evidenza relativa ai contesti del V secolo a.C. (fase IA), documentati nelle zone sud est e sud ovest dello scavo. Tale fase appariva qui attestata solo da reperti ceramici residuali relativi al periodo Golasecca III. Fossati con caratteristiche simili a quelle sopra descritte, con o senza palizzate lignee al loro interno, sono molto frequenti in Gallia, dove vengono ascritti a quattro principali categorie: fossati drenanti, fossati destinati alla delimitazione dello spazio in un abitato, fossati di recinzione di aree funerarie o di aree cultuali32. L’uso di fossati per delimitare santuari ed aree cultuali è ampiamente documentato in Gallia33. Nei santuari, che cominciano a diffondersi dal III secolo a.C.34, il fossato aveva la funzione di delimitare le aree consacrate alla divinità conferendo loro inviolabilità. La tipologia di fossato con sezione a V documentata in via Moneta vi è assai largamente rappresentata. Cito, ad esempio, il fossato del periodo LT D, con palizzata, di dimensioni analoghe a quello di via Moneta, individuato a Lyon, Verbe-Incarné35, e quello rinvenuto a Aix-en-Provence, Terrain Coq36. 32) MALRAIN 2006, pp. 55-63. 33) Si veda un’ampia e approfondita rassegna in ARCELINBRUNEAUX et Al. 2003, pp. 1-268. 34) ARCELIN-BRUNEAUX et Al. 2003, p. 19 ss. 48 35) Anche questo fossato non presentava tracce di sedimentazione: ARCELIN-BRUNEAUX et Al. 2003, pp. 156-157; FICHTL 2013-b, p. 437. 36) ARCELIN-BRUNEAUX et Al. 2003, pp. 220-221, fig. 128:c; FICHTL 2013-b, p. 441 lo ritiene invece un limite di proprietà. Fig. 13: Lato nor d del fossato e strati di riempimento (foto Ar chivio SAL). Un’altra funzione del fossato consiste nel materializzare uno spazio all’interno di un abitato, indicandone l’appartenenza ad una persona o ad un gruppo. Per trovare confronti con il fossato di via Moneta nello stesso orizzonte cronologico del III-II secolo a.C., è necessario fare riferimento agli abitati “aperti”, privi di fortificazioni, che sono stati recentemente indagati in molte regioni della Gallia e sono da riferirsi ad un periodo cronologico precedente la comparsa degli oppida 37 . L’uso di fossati come limiti di proprietà si generalizza in alcune zone della Gallia nel periodo medio La Tène, in concomitanza con l’adozione di maglie catastali strutturate. Tale funzione può associarsi a quella drenante. Fossati utilizzati come limiti di proprietà sono stati individuati in alcuni abitati “aperti”38, che si sono trasformati in oppida dopo la metà del II secolo a.C. Ad esempio, nel sito di Longueil-Sainte-Marie “Le Vivier des Grès” nella valle dell’Oise è emersa una rete organizzata di fossati; un altro fossato simile a quelli di via Moneta circondava un’area quadrangolare con edifici rurali a Val de Reuil in Normandia39; la presenza di fossati interni agli abitati è stata riscontrata anche a Nanterre e a Saint-Gence40. In Italia due fossati, con funzione rispettivamente di delimitazione e drenante, sono documentati nella necropoli di Casalecchio di Reno (BO)41 e nella necropoli di Dormelletto (NO),42 entrambi con caratteristiche simili a quello di via Moneta. A Brescia in uno scavo effettuato nell’area meridionale di piazza Duomo è stato rinvenuto un fossato riempito con abbondante materiale ceramico databile al II secolo a.C.43. Più calzante risulta il confronto con i livelli protostorici di Padova, città con problematiche 37) Si vedano: NOUVEL 2009; BARRAL 2011; BARRALNOUVEL 2012; FICHTL 2013-a. Per una sintesi delle ricerche sugli oppida ed il loro rapporto con gli abitati aperti: FICHTL 2012. affidata a palizzate, talora a portici: FICHTL 2013-a, pp. 1-6. 40) FICHTL 2013-a, pp. 11-12. 41) ORTALLI 1995, pp. 213-216. 38) MALRAIN 2000, pp. 179-195; IDEM 2006, pp. 55-63. 42) DEODATO 2009, pp. 24-26. 39) MALRAIN 2000, p. 56; MOREAU-GRANIER 2011, pp. 34-38, fig. 8. Nell’abitato di Manching all’inizio del II secolo a.C. la strutturazione degli isolati di forma regolare è invece 43) ROSSI 1999, p. 94. Purtroppo non sono precisate la tipologia e la datazione del f ossato. 49 vicine a quelle milanesi per l’altezza della falda in antico e la frequente necessità di opere di bonifica. Sono documentati, con continuità per tutta l’età del Ferro, fossati maggiori e minori che disegnano una rete a maglie larghe, in cui si inseriscono in modo coerente gli isolati44. Si possono citare i fossati rinvenuti, già a partire dalla prima età del Ferro, negli scavi di piazza Castello 845, via S. Fermo46, Riviera Ruzante Questura 47, via M. Cesarotti 1048, via degli Zabarella49. Per concludere, sembra da scartare, almeno per il momento, l’ipotesi di un utilizzo del manufatto come delimitazione di un’area di culto, a sostegno della quale l’indagine archeologica, che non ha interessato l’area a nord del fossato, non ha fornito elementi. Il fossato di via Moneta può invece essere ascritto con ogni probabilità alla categoria dei fossati utilizzati come limite di proprietà, funzionali all’organizzazione degli spazi dell’oppidum e a volte anche realizzati a scopo drenante, come quelli documentati in Gallia che ho citato sopra. Le dimensioni dello scavo non consentono di precisare se il fossato di via Moneta fiancheggiasse un tracciato stradale o svolgesse da solo la funzione di limite di proprietà. In ogni caso, la presenza, nella fase successiva50, di una strada in ghiaia con lo stesso orientamento, a poca distanza da esso a sud, sembra confermare l’interpretazione sopra esposta, in cui la funzione di delimitazione di uno spazio interno all’oppidum si associa a quella di organizzazione di una maglia urbana tramite una rete di fossati. Il confronto con altri siti suggerisce quindi l’ipotesi che già la Mediolanum del III secolo a.C. presentasse un embrione di ordinata pianificazione urbana, poi sviluppata nelle fasi successive, in cui i fossati svolgevano un ruolo importante. Fase II (fig. 21, tav. 3 fuori testo) Come nella precedente, anche in questa fase (fig. 14) la stratigrafia era molto lacunosa e frammentaria a causa di interventi più recenti. Ciò non ha però impedito di individuare frequenti attestazioni di attività di lavorazione del ferro e di leghe di rame, attività già presenti nel sito nella fase precedente (IV-III secolo a.C.), ma su una superficie limitata, mentre a partire dal II secolo vengono impiantati atelier metallurgici su un’area molto vasta. Si presenta qui un panorama complessivo della stratigrafia, rinviando al contributo di Costanza Cucini per un approfondimento su tali atelier, sulla loro distribuzione, articolazione funzionale e evoluzione nel corso del tempo. La caratteristica più saliente del deposito archeologico relativo a questa fase è un continuo alternarsi di sottili piani d’uso e di livelli di frequentazione e preparazione, che sembrano indicare attività di rifacimento, reiterate a brevi intervalli di tempo, di strutture realizzate in materiali deperibili che necessitavano di continui risarcimenti. Tracce di insediamento con strutture in legno e focolari. Nella parte est del lotto 1 il deposito archeologico era pesantemente compromesso da interventi posteriori. Rimanevano soltanto cinque isole di stratigrafia fisicamente separate tra loro, tre delle quali vengono descritte separatamente per mancanza di collegamenti sicuri tra di esse. La stratigrafia dell’isola C, in cui in particolare lo strato 188, riempimento della buca 231, era contaminato da intrusioni moderne, non risultava affidabile. Isola A. Si tratta di una piccola isola di stratigrafia di circa m 1,20×0,60, che non permetteva nessuna interpretazione certa. Tutti gli strati erano caratterizzati da una matrice di limo sabbioso. Lo strato più basso, 256, privo di reperti, di colore grigio con numerosi frammenti di carbone e qualche ciottolo, era coperto dal livello d’uso 241 (fig. 15), marrone chiaro con le stesse caratteristiche del precedente, dello spessore massimo di cm 10. Sulla sua superficie era il resto di un probabile focolare, 237A, costituito da una lente di argilla cotta, di forma circolare, coperta da 44) GAMBA-GAMBACURTA-RUTA SERAFINI-BALISTA 2005, p. 25. RUTA SERAFINI 2015, p. 78. Manca purtroppo la descrizione della tipologia dei fossati. 47) PIRAZZINI 2005, pp. 91-94, fig. 107. 45) PIRAZZINI 2005, pp. 80-82. 49) PIRAZZINI 2005, pp. 48-52. 46) BALISTA 2005, pp. 83-84. 50) Vedi infra. 50 48) SAINATI 2005, p. 97. Fig. 14: Sezione nord ovest-sud est del lotto 3 (disegno B. Howes). 51 un piccolo strato di limo sabbioso grigio con abbondanti carboni. Lo strato 241 era coperto da 232, grigio marrone con ghiaia media, di funzione incerta, tagliato dalla buca 208/229, anche questa di incerta funzione, il cui riempimento ha restituito frammenti di anfore Lamboglia 2 (fine II secolo a.C.-30/20 a.C.). Isola B. Lo strato 226/266 della fase IA era coperto da 257, livello di accrescimento databile alla prima metà del I secolo a.C. in base ai reperti, ed era tagliato da due trincee ortogonali tra loro, a sezione rettangolare con pareti verticali e fondo piatto: 252 e 255, con orientamento rispettivamente est ovest e nord sud, probabili tracce in negativo di una struttura in legno non altrimenti documentata. Il loro riempimento, 251, composto da limo marrone con chiazze di limo grigio, carboni e frammenti di malta, ha restituito reperti ceramici riferibili al periodo La Tène D1 (prima metà del I secolo a.C.). Le trincee erano coperte da un livello d’uso di ghiaia media in matrice limosa molto compatta, 246, databile al periodo La Tène. Lo strato 257 era interessato da tre buche di difficile interpretazione e coperto dallo strato 207, databile al LT D. Lo strato 176, riempimento della buca 177, che tagliava lo strato 226, ha restituito frammenti di anfore Lamboglia 2, databili tra la fine del II secolo a.C. e il 30/20 a.C., e ceramica comune dello stesso periodo. Isola D. La fase era documentata da una serie di buche di scarico di materiale bruciato, concotto, carbone, ceramica e rifiuti organici. Tra queste si segnalano la buca 71/70, con ceramica comune della metà del I secolo a.C., ceramica a vernice nera del secondo e terzo quarto del I secolo a.C., anfore Dressel 2-4 (seconda metà I secolo a.C.) e una probabile moneta celtica Leuci di zecca incerta, e le buche 218-217, 194-195 con ceramica comune LT D1, databili al I secolo a.C. Lo strato 194, riempimento di 195, conteneva anche ceramica a vernice nera della prima metà del I secolo a.C. e anfore Lamboglia 2 e Dressel 1 (ultimo terzo del II secolo a.C.). Il riempimento 194C della stessa buca conteneva un vago ricavato da vertebra di pesce e uno stilo in osso (I secolo a.C.), il riempimento 194B un bicchiere di forma Marabini III (I secolo a.C.). Isola E. Il paleosuolo 303 era tagliato da una piccola buca, 306, il cui riempimento era privo di reperti, coperta da un livello d’uso, US 301, composto da sabbia limosa marrone grigiastra, con inclusioni di ghiaia media e carbone, databile al I secolo a.C., che conteneva un fondo di tegame a vernice rossa interna (I secolo a.C.). Sulla superficie era la traccia di un piccolo focolare, costituita da una zona bruciata di forma circolare rosso mattone con abbondanti carboni. Sopra si è depositato un livello di accrescimento, 294, che conteneva reperti residuali del periodo LT C2 (180-120 a.C.), costituito da sabbia debolmente limosa di colore grigiastro con carboni, ciottoli e frammenti di laterizi. Esso era tagliato dalla buca 287/282, databile in base ai reperti alla seconda metà del I secolo a.C. Al di sopra veniva steso lo strato 274, un livello d’uso in ghiaia entro matrice di sabbia fine limosa di colore giallo con macchie carboniose. Lo strato era tagliato da un piccolo buco di palo e dalla buca 267/276, il cui riempimento ha restituito materiale ceramico databile al periodo LT D e ceramica a vernice nera della prima metà del I secolo a.C. Più a est lo strato 286 della fase IB era coperto da un livello d’uso, 277, composto da limo sabbioso giallo con noduli e patine di ferro ossidato, scarsi ciottoli e carboni. Era probabilmente uguale a 243, che copriva lo strato 274. Sopra lo strato 243 poggiava un muretto, 253, costituito da un filare di ciottoli accostati senza legante, largo cm 60 e lungo almeno cm 60. I ciottoli presentavano segni di fuoco sul lato est. Doveva trattarsi probabilmente di un resto di sostegno di una trave di legno orizzontale, pertinente ad un muro in tecnica a graticcio. A ovest del muro era lo strato 210, di limo marrone grigiastro con chiazze di limo giallo, probabilmente in fase con 247=239, strato di limo scuro che si appoggiava al muretto 253 verso ovest. Su 210 si depositavano due piani di calpestio, 209 e 204, rispettivamente in limo sabbioso giallastro e in ghiaia, che venivano coperti da un terzo livello d’uso, 189, di analoga matrice, di colore grigiastro. Lo strato 210 ha restituito reperti riferibili al I secolo a.C., tra cui ceramica a vernice nera. Lo strato 247 era coperto dal livello d’uso di area aperta 230, di limo giallo compatto. Lo strato di ghiaia 174, probabile livello d’uso di area aperta, copriva il muro 253 e lo strato 230, ed è databile al I secolo a.C. Lo strato presentava tracce di un piccolo focolare, 97. Come si è visto, le isole stratigrafiche D ed E poggiavano direttamente sullo sterile. Ciò fa 52 Fig. 15: Livello d’uso 241 con r esto di focolare 237A (foto Archivio SAL). Fig. 16: Pavimento o piano di lavorazione 521 (f oto Archivio SAL). supporre che l’intervento di ristrutturazione effettuato in quest’area tra la fine del II e il I secolo a.C. abbia cancellato ogni traccia dell’insediamento più antico pertinente sia al periodo G. III A (V secolo a.C.), sia al periodo LT B (IV-III secolo a.C.). Si tratta di un fenomeno diffuso in Italia settentrionale, registrato ad esempio a Brescia51 e in altri centri della Cisalpina orientale, dove i lavori di riassetto dei centri indigeni, nella fase di adeguamento ai modelli urbanistici romani, hanno pesantemente compromesso o del tutto cancellato le testimonianze più antiche52. Tracce di attività metallurgiche a sud ovest. Nella parte est del lotto 1 sono state individuate testimonianze di attività per la lavorazione del ferro, nella stessa zona in cui esse erano già state riconosciute nella fase precedente. La serie di buche di scarico della fase I era coperta dallo strato 520, di sabbia limosa grigio scuro con grumi giallastri, con abbondanti frammenti di carbone e cenere. Esso ha restituito reperti ceramici del periodo LT C/D (250-120 a.C.). Lo strato presentava una pendenza da est verso ovest dovuta a una buca sottostante, 550, e una concentrazione di ciottoli nella zona nord per regolarizzare l’area sopra la buca. La buca 550/549, che tagliava lo strato 586 (fase IB), e il cui riempimento era composto da cinque strati, conteneva un frammento di armilla in vetro databile al LT C2. Lo strato 520 era coperto da 521 (fig. 16), pavimento o piano di lavorazione molto compatto di limo giallo oro, che ha restituito un frammento del periodo LT C/D, ed era tagliato da una serie di piccoli buchi di palo, interpretabili come tracce di una struttura leggera, forse orientata in senso nord est-sud ovest. La grossa buca 540/541, di cm 80 di diametro, interpretata dagli scavatori come buco di palo ma forse riferibile ad un alloggiamento di un ceppo per incudine, conteneva materiale residuale del periodo G. III A. Lo strato era coperto dal livello 515, di frequentazione/accrescimento con ciottoli e abbondanti noduli di ferro ossidato, rari carboni e scorie di ferro, che era databile probabilmente al periodo LT D1. Lo strato 545 era tagliato dalla trincea 510/512, orientata in senso nord ovest-sud est, con pareti subverticali e fondo piatto, databile al I secolo a.C., probabile traccia in negativo di una trave orizzontale che tagliava anche lo strato 520. Lo strato 545 era inoltre tagliato da un buco di palo di forma subcircolare, con pareti leggermente inclinate verso il fondo, con riempimento in ghiaia in matrice limosa giallastra. Lo strato 515, la trincea e il buco di palo erano coperti dallo strato 506, livello di frequentazione in limo sabbioso grigio scuro con abbondanti frammenti di carbone, che conteneva materiale ceramico residuale. Esso era interessato dalla presenza di due focolari, 477 e 479, resti di attività metallurgiche. 51) ROSSI 1998, pp. 88-95. 52) CERESA MORI 2001, p. 365, nota 18 con bibliografia. 53 Il focolare 477, di cm 40×70, aveva forma approssimativamente circolare ed era costituito da abbondanti frammenti di laterizi in matrice di limo bruciato. Dal focolare 479, di cm 40×60, distante dal primo cm 90, quindi destinato ad un’attività metallurgica complementare al precedente, provengono anfore Dressel 1 e Lamboglia 2 riferibili al I secolo a.C. La parte ovest di 515 era coperta da un livello d’uso, 509, che conteneva materiale residuale del periodo G. III A3, a sua volta coperto dal livello di frequentazione 509A, che presentava sulla superficie un piano d’uso ricco di carboni, 480, con intorno uno strato di dispersione con ceneri e carboni in cui erano tagliati due piccoli buchi di palo. Al di sopra di esso viene impiantato un terzo focolare, 504, costituito da limo rubefatto, distante circa cm 80 dal focolare 479. Essi erano coperti da un nuovo livello d’uso 493, di ghiaia media in matrice sabbiosa giallastra, spesso circa cm 10, che presentava all’estremità est i resti di un altro piccolo focolare costituito da concotto coperto da un sottile strato di carbone. Lo strato 493 conteneva frammenti ceramici ridepositati del LT C (250-120 a.C.). Costruzioni in legno (I secolo a.C.) e tracce di attività metallurgiche. Zone nord ovest e est. A nord della stratigrafia sopra descritta, nel lotto 2 era un’altra piccola trincea, 848, orientata nord ovest-sud est. Il suo riempimento, 847, di sabbia e ghiaia fine di colore marrone verdastro, conteneva ceramica del periodo LT D1. A est di 848 erano due grandi buchi per palo disposti, con la trincea 848, secondo un allineamento nord ovest-sud est. Il primo, 856, era di forma quadrata, di cm 80 di lato; il suo riempimento, 855, conteneva ceramica a vernice nera della prima metà del I secolo a.C. e ceramica comune del I secolo a.C. Il secondo, 845, era di forma semicircolare con diametro di cm 60. Vari altri buchi di palo, la cui distribuzione non era significativa, erano coperti da una serie di strati di ghiaia fine con qualche frammento di carbone, tra cui lo strato 744, forse un livello d’uso, è databile al periodo LT C. Nella zona a nord est del lotto 3 la stratigrafia conservata (fig. 14) era caratterizzata da livelli di spessore maggiore, che presentavano tracce di attività per la lavorazione del ferro e di leghe a base di rame. Due strati erano composti da sabbia e ghiaia di colore marrone: il piano di calpestio dell’atelier, 1354, che conteneva ceramica LT C e ceramica a vernice nera della prima metà del I secolo a.C., e il soprastante livello di accrescimento 1341 (fig. 17), che conteneva la parte inferiore di un’anfora infissa verticalmente e riempita di concotto, cenere, carboni, che presentava al suo interno una piccola concrezione costituita principalmente da ferro. Lo strato ha restituito un altro frammento di anfora della stessa tipologia, con all’interno una concrezione costituita da ferro e leghe di rame. L’anfora53 aveva un uso secondario probabilmente come contenitore di acqua o sabbia usate per la lavorazione dei metalli. Nel piano d’uso erano scavati nove piccoli buchi di palo, cinque dei quali avevano andamento subcircolare ed erano forse riferibili ad un tramezzo interno. Ugualmente riferibili alle attività metallurgiche sembrano i due strati successivi, sempre a matrice sabbiosa con abbondanti carboni, 1322, che ha restituito ceramica del periodo LT D2 (50-30 a.C.), un bicchiere a pareti sottili (II-I secolo a.C.), un bracciale in vetro porpora del periodo LT D, scorie di ferro e scarti di lavorazione del bronzo, e 1307, livello di accrescimento con ceramica del periodo LT D2 (70/60-30 a.C.) e un bicchiere a pareti sottili del II-I secolo a.C., abbondanti carboni, scorie di ferro e scarti di bronzo. Esso era coperto da un piano di calpestio con la stessa matrice, 1300. Si registrava un’alternanza di livelli di calpestio e livelli di frequentazione quasi totalmente privi di reperti. Nell’angolo sud est del lotto si trovava un blocco lungo e stretto di stratigrafia ben conservata che sembrava pertinente a pavimenti, livelli di frequentazione e strutture in legno. Lo strato 1359=1360=1365=1367=1403 era uno scarico di materiali a matrice sabbioso-ghiaiosa con inclusioni carboniose, che copriva in parte lo strato 1366=1368, piano d’uso a matrice sabbiosa di colore giallo. Esso era coperto da uno strato di limo sabbioso grigio nerastro con carboni, 1357=1358=1398, probabile livello di frequentazione databile al LT C, a sua volta coperto da un altro livello di calpestio di sabbia limosa, 1349=1352=1353=1394=1397. Lo strato 1349 ha restituito reperti del periodo LT D. In questo strato erano tagliate due trincee: 1387/1391, orientata nord est-sud ovest, databile alla seconda metà del I secolo a.C., e 1330/1331, con lo stesso 53) Si veda CATTANEO-DOBREVA in questo v olume. 54 Fig. 17: Livello di accrescimento 1341 con anfora inf issa verticalmente (foto Archivio SAL). Fig. 18: Muretto 1313 e r esto di focolare di forgia 1311 (foto Archivio SAL). orientamento, che la tagliava e che ha restituito ceramica del periodo LT D2. Il riempimento di 1387/1391 conteneva ceramica a vernice nera della prima metà del I secolo a.C. e ceramica comune del periodo LT D2. Il livello di calpestio 1349=1397 era a sua volta coperto dallo strato di frequentazione 1348=1351=1386. Il pavimento 1378 che lo copriva, compatto in ghiaia in matrice sabbiosa giallastra, era coperto dal livello di accrescimento carbonioso 1346, in cui veniva scavata la piccola trincea 1329/1326, orientata come le precedenti, di forma ovoidale, che ha restituito ceramica del periodo LT D2 (seconda metà del I secolo a.C.), carboni, scorie, ugelli, chiodi di ferro e scarti di bronzo, interpretabile come focolare di forgia. Al di sopra di questi strati venivano realizzati i pavimenti 1323 e 1316, molto simili, di sabbia limosa e ghiaia. Lo strato 1323 era tagliato da una struttura formata da due corsi di ciottoli senza legante, 1313 (figg. 18 e 14), di cm 60×45, alta cm 18, e molto simile alle due strutture in ciottoli evidenziate nel lotto I, 253 e 519, probabili sostegni di travi orizzontali, con le quali sembrava essere in fase. Il pavimento 1323 era anche tagliato, a ridosso del muretto 1313, dalla buca ovoidale 1311/1308, interpretabile come focolare di forgia, il cui riempimento, 1308, conteneva, oltre a materiali di distruzione delle sue pareti e della sua copertura, un bicchiere Marabini I (II-I secolo a.C.), anfore Dressel 1 e Lamboglia 2, ceramica comune LT D2, ed è quindi databile alla seconda metà del I secolo a.C. La buca situata a ridosso del muretto 1313, US 1306/1302, scavata probabilmente dopo il disuso della forgia 1311, conteneva una moneta di Roma repubblicana della zecca di Roma, databile a partire dal 215 a.C., un bicchiere di forma Marabini III, ceramica a vernice nera del II secolo a.C., polvere di scorie e strati di cenere, e si data al I secolo a.C. Il suo riempimento era uno scarico di un focolare di forgia non conservato. Tracce di attività metallurgiche nella zona est. La zona nord del lotto 3 era interessata da una serie di buche intersecantisi, probabilmente fosse di scarico con carboni e scorie, da connettersi con attività metallurgiche, inquadrabili, in base ai materiali che hanno restituito, nell’ambito del I secolo a.C. Una buca circolare con pareti verticali, 1182/1186, profonda cm 90 e di m 3,50 di diametro, interpretabile come asportazione di un pozzo, copriva la fossa di costruzione circolare dello stesso pozzo, non sappiamo se in legno o in laterizi, 1188/1189. La buca era stata riempita con lo strato 1182, costituito da materiale bruciato e scorie con ceramica a vernice nera della prima metà del I secolo a.C. La parte superficiale del riempimento, 1182A, al limite sud est, era un’area subcircolare di terra bruciata rossa circondata da terra bruciata marrone, interpretabile come focolare di forgia, posto sopra uno scarico di materiale di forge precedenti. Sopra il riempimento 1182 si individuavano quattro buchi di palo di funzione incerta. Nel settore sud-est del lotto 3 si individuava il taglio per l’asportazione di un secondo pozzo, 1148/1151, di forma circolare, profondo m 1,75, il cui riempimento conteneva bicchieri del 55 I secolo a.C., anfore Lamboglia 2 della prima metà del I secolo a.C., vernice nera del secondo e terzo quarto del I secolo a.C., ceramica comune LT D1 (125-75/50), sotto il quale era il taglio di forma quadrata per la costruzione del pozzo, 1177/1176, probabilmente ligneo, collocabile nell’ambito del I secolo a.C. Esso tagliava la buca 1196/1187, il cui riempimento conteneva uno stilo in osso (I secolo a.C.), bicchieri a pareti sottili del I secolo a.C. e vernice nera del secondo e terzo quarto del I secolo a.C. Le buche tagliavano il terreno sterile fino ad una quota di m 114,50 s.l.m. e al di sopra di esse veniva individuata un’altra grossa buca rettangolare, 1147 (m 2,40×1,60×0,90 di profondità), che presentava una sequenza di riempimenti, caratterizzati da una matrice sabbiosa. Il più antico, 1145, che ha restituito ceramica a vernice nera della prima metà del I secolo a.C., anfore Lamboglia 2 e Dressel 1 e ceramica comune LT D1, era composto da più strati di sabbia carboniosa gialla con abbondanti scorie di ferro e scarti della lavorazione del bronzo; lo copriva 1139, strato marrone grigiastro con lenti di carbone, laterizi, scorie e scarti della lavorazione del bronzo e del ferro, ceramica LT D1 (125-75/50 a.C.) e vernice nera del secondo e terzo quarto del I secolo a.C., databile al I secolo a.C., coperto a sua volta da 1135, che ha restituito, oltre alla ceramica riferibile al LT D1, anfore Lamboglia 2 e Dressel 1, vernice nera della prima metà del I secolo a.C., una staffa di fibula di schema medio La Tène (II-prima metà del I secolo a.C.) e una scoria con parte di parete del focolare. Si trattava chiaramente di uno scarico di rifiuti di attività legate alla lavorazione dei metalli, tra cui particolarmente significative sono le scorie a calotta presenti nello strato 1145, sigillato con materiale più pulito. La datazione dello scarico si colloca nella prima metà del I secolo a.C. per la presenza di anfore e ceramica a vernice nera con questa cronologia negli strati 1135, 1139, 1145. Il riempimento della buca 1135 era tagliato da un piccolo fondo di forgia, 1137, di circa cm 50 di diametro, che segnala una ripresa delle attività metallurgiche nello stesso sito dove erano state scaricate le scorie di precedenti forge. Doveva trattarsi di una fornace di riscaldo per lavori di fucina tagliata nel terreno, contenente i residui del suo uso coperti da materiale proveniente dalla sua stessa distruzione, databile, in base alla ceramica comune che ha restituito, alla prima metà del I secolo a.C. Lo strato 1208 (fig. 19), che copriva e circondava la fornace, composto da sabbia sciolta verde con limo bruciato e carboni, conteneva due anfore Dressel 1 poste orizzontalmente e segate longitudinalmente per essere utilizzate come contenitori di acqua o sabbia nell’ambito delle lavorazioni metallurgiche effettuate nel focolare 1137. Tracce di frequentazione e struttura in legno nella zona nord ovest. Nella parte nord ovest del lotto 4 rimanevano due isole di stratigrafia: la prima, nell’estremo angolo nord del lotto, aveva un’estensione massima di circa 10 mq, ma è stata indagata, per ragioni tecniche, solo con un saggio di circa 3 mq. Il saggio ha evidenziato la presenza di alcuni livelli di frequentazione/ accrescimento, uno dei quali, 2038, è databile al periodo LT C; lo strato 2022 di sabbia limosa con qualche ciottolo, di funzione incerta, che ha restituito un frammento di ceramica a vernice nera della prima metà I secolo a.C. e ceramica comune LT C/D, era anch’esso databile tra la fine del II e la metà del I secolo a.C. La seconda isola di stratigrafia si trovava al limite sud ovest dello scavo. È stato identificato un livello d’uso, 2017, di ghiaia in matrice di sabbia, su cui era un piccolo focolare costituito da una lente di limo sabbioso cotto. Nella parte est era una serie di sottili livelli d’uso molto tagliati ed irregolari, il primo dei quali, 2016, che conteneva ceramica a vernice nera, in limo sabbioso con abbondanti carboni e qualche frammento di laterizio, è databile al I secolo a.C. Nella parte centrale è documentata una serie di strati per lo più a matrice limosa con ghiaia in percentuale variabile, estremamente lacunosi, con buchi per palo, impronte e buche irregolari, privi di informazioni utili sulla loro funzione, con riempimenti databili al I secolo a.C. tra cui si segnalano lo strato 2013, che conteneva una moneta di Roma repubblicana (Vittoriato suberato della Zecca di Roma, dal 213-212 a.C.)54 e ceramica a vernice nera del secondo/terzo quarto del I secolo a.C., lo strato 2064, che ha restituito ceramica comune del periodo LT D2 e anfore ovoidali adriatiche (metà II secolo a.C.-età augustea) e lo strato 1996, che conteneva ceramica a 54) Si veda il contributo di ARSLAN in questo volume. 56 Fig. 19: Strato 1208 con anfore segate (foto Archivio SAL). Fig. 20: Mur etto 1944 (foto Archivio SAL). vernice nera del II e prima metà del I secolo a.C., ceramica comune del periodo LT D1, anfore Lamboglia 2, uno stilo in osso del I secolo a.C., una fibula LT C2 (175-120 a.C.) e un bicchiere di forma Marabini I-III. Una fase di distruzione o abbandono di attività era rappresentata su gran parte dell’area da una serie di livelli di limo molto sabbioso, grigiastro, a volte arancione per l’azione del fuoco, con ghiaia e abbondanti carboni: 2021=2043=2031=1991=1939. Gli strati 2043, 2031 e 1991 contenevano ceramica a vernice nera del I secolo a.C. Lo strato 2021 ha restituito ceramica a pareti sottili del I secolo a.C., ceramica comune della fine del I secolo a.C. e conteneva scorie anche di grandi dimensioni. La concentrazione di laterizi sopra lo strato 2021, 2021A suggerisce la presenza di un focolare di forgia. Le evidenze erano modeste, i buchi per palo irregolarmente distribuiti. Si trattava probabilmente di un’area aperta, o di un’area coperta in cui non sono state individuate le strutture che la delimitavano, che attesta l’ultima fase di attività metallurgiche nella zona indagata. Nella zona nord ovest, sopra una serie di buche e strati di scarso significato, tra cui 1958 e 1963 contenevano ceramica a vernice nera riferibile al II secolo a.C., era un focolare di forma subrettangolare, 1942/1943, di cm 96×123, una buca con fondo leggermente concavo, delimitato da un muretto ad angolo in laterizi frammentari, ciottoli e grossi pezzi ceramici legati da limo argilloso giallo, 1944 (fig. 20), che conteneva frammenti di anfore Lamboglia 2 (prima metà del I secolo a.C.) con incrostazioni metalliche. Al muretto era probabilmente connesso un breve tratto di livello d’uso in limo argilloso giallo, 1947, in cui era scavato il focolare, che copriva lo strato 1963. La datazione di queste strutture alla prima metà del I secolo a.C. è suggerita anche da una moneta celtica padana insubre della zecca di Milano della seconda metà del II secolo a.C., rinvenuta nello strato 1963. Il riempimento del focolare 1943 conteneva scorie metalliche in matrice di limo sabbioso con carboni e un bicchiere a pareti sottili di forma Marabini I-III (II-I secolo a.C.). A sud ovest del muretto 1944 il livello di distruzione 1939 era tagliato da un’altra buca, 1929/1928, di notevoli dimensioni, il cui riempimento ha restituito uno stilo in osso, databile al I secolo a.C. Una terza buca, 1948/1949, conteneva materiale combusto e bicchieri di forma Marabini I-III del II-I secolo a.C. La buca quadrangolare 1905/1906 conteneva ossa animali e ceramica del periodo LT D. Gli strati soprastanti erano sottili livelli d’uso limo-sabbiosi gialli di consistenza compatta, forse piano di calpestio di un edificio di cui non si sono recuperate tracce di strutture. Lo strato 1896 conteneva scorie ed è interpretabile come livello d’uso delle forge. Le buche 1921/1920 e 1964/ 1965 sono databili al I secolo a.C. Il riempimento 1964B conteneva una fibula di schema medio La Tène (II secolo a.C.), un bicchiere a pareti sottili di forma Marabini I-III del II-I secolo a.C., 57 anfore Lamboglia 2, ceramica a vernice nera della prima metà del I secolo a.C. e ceramica comune La Tène D. Sopra lo strato 1964 era una serie di strati, 1877, 1838 e 1879, che hanno restituito scorie di ferro e di bronzo. Area orientale. La fase era qui rappresentata da una serie di livelli d’uso non connessi con evidenze strutturali; poteva quindi trattarsi di una zona esterna priva di costruzioni. Una buca, 1795, isolata verso il limite nord dello scavo, tagliava il paleosuolo. Essa aveva forma subrettangolare, aveva probabilmente la funzione primaria di cava di sabbia sterile, era profonda m 1 e il suo riempimento, 1792A e B, era costituito da limo marrone nerastro con ciottoli che mostravano i segni del fuoco. Il riempimento era riferibile ad uno scarico di materiale bruciato, proveniente da un incendio, ed era databile al periodo LT D. La buca era sigillata da uno strato di sabbia gialla compatta, 1794. A nord ovest della buca era una piccola isola di stratigrafia costituita da una sequenza di sottili livelli d’uso privi di reperti. L’ultimo era tagliato da una piccola buca, 1791/ 1790, il cui riempimento, di limo sabbioso marrone grigiastro con carboni, ha restituito materiale ceramico del periodo La Tène. La sequenza di livelli d’uso era coperta da uno strato molto omogeneo e ricco di materiale organico, 1783, dello spessore di cm 30/35; verso est gli strati 1760 e 1612, con le stesse caratteristiche, coprivano direttamente il paleosuolo. Poteva trattarsi di un livello di accrescimento, che ha restituito materiale ceramico del periodo LT C1, un bracciale di vetro blu LT C1 (280-180/175 a.C.) e ceramica a vernice nera della seconda metà del III-II secolo a.C., e si data quindi al periodo LT C. Questo livello era coperto verso est da una serie di livelli d’uso. Il primo, 1727, databile alla fine del I secolo a.C., ha restituito un’anfora Lamboglia 2, materiale ceramico La Tène e a vernice rossa interna ed era composto da abbondanti ghiaie e ciottoli che facevano pensare al piano di calpestio di un’area esterna. Esso era a sua volta coperto da un altro livello con le stesse caratteristiche, 1707, che conteneva ceramica a vernice nera e anfore Lamboglia 2. A ovest proseguiva con lo strato 1759. Un ulteriore livello d’uso in ciottoli, 1649, databile al I secolo a.C., copriva lo strato 1707 nella parte centrale e a sud. Probabilmente si trattava anche in questo caso di un livello d’uso di area aperta con abbondanti ciottoli. La parte nord di 1707 era coperta dallo strato 1686, composto da sabbia limosa, laterizi, carboni, che ha restituito bicchieri a pareti sottili del I secolo a.C. Come si vede da quanto esposto sopra, l’area doveva essere interessata in questo periodo da una serie di atelier per la lavorazione del ferro e di leghe di rame, organizzati in un quartiere. Con tutte le cautele dovute alla lacunosità dei ritrovamenti, anche in base alla frequente attestazione di piccoli focolari a breve distanza l’uno dall’altro sembra ragionevole supporre che il quartiere si estendesse su tutta la superficie dello scavo in un arco cronologico compreso tra la prima metà del I secolo a.C. e l’età augustea55. Abbandono e riempimento del fossato. Strada glareata. In questa fase si registra una radicale trasformazione dell’assetto del sito. Il fossato è colmato dal riempimento 444/91 (figg. 12-13), di limo poco sabbioso omogeneo, mediamente compatto, di colore marrone scuro, che sembrava essere stato depositato in un periodo piuttosto breve. Sul fondo del fossato non c’erano evidenti tracce di sedimentazione, come se fosse stato aperto per un periodo di tempo relativamente breve, o fosse stato mantenuto pulito durante l’uso. Il materiale rinvenuto nel riempimento, ceramica comune LT C1, LT C2 e a vernice nera della fine del II-inizio del I secolo a.C., e un frammento di maschera fittile del I secolo a.C., suggerisce per il disuso e riempimento del fossato una datazione tra il II e l’inizio del I secolo a.C. Nella zona nord del sito, successivamente al riempimento del fossato, si deposita uno strato di livellamento, 408/91 a est e 439/91 a ovest. Lo strato 408/91 era a matrice di limo sabbioso bruno giallastro con chiazze di sabbia giallastra di consistenza mediamente compatta. Lo strato 439/91, di limo misto a sabbia fine di colore grigiastro con pochi ciottoli e chiazze color ruggine, con ceramica comune LT B2-C1, era una preparazione per il piano di calpestio 389/91, un livello pavimentale di limo sabbioso giallastro che copriva lo strato 408/91. Il piano di calpestio presentava 55) Si veda il contributo di CUCINI in questo volume. 58 Fig. 21: Sintesi dei dati cronologici della fase II. 59 Fig. 22: Piano stradale in ghiaia 442 (f oto Ar chivio SAL). in superficie tracce di piccoli focolari costituiti da zone di bruciato rosso-arancione con addensamento di carboni. Lo strato 439/91 era tagliato da un’impronta in negativo riferibile ad una trave orizzontale, pertinente ad un edificio in legno probabilmente connesso al piano d’uso 389/91. Si trattava di una trincea, 388/91, con andamento nord nord-ovest sud sud-est, visibile per cm 65 e larga cm 40, che verso nord ovest proseguiva oltre il limite del cantiere. La costruzione conservava lo stesso orientamento seguito dal fossato della fase precedente. Il taglio US 388/91 sembra collegarsi con un piccolo buco di palo, 393/91-392/91, che tagliava il piano d’uso 389/ 91. Appena a sud del taglio 388/91, cioè all’esterno dell’edificio, è uno strato di carbone e ceneri, 433/91, probabile scarico di materiale combusto forse proveniente da focolari domestici, databile al I secolo a.C., in base alla ceramica a vernice nera che ha restituito. Anche la parte meridionale dell’area ha subito una radicale trasformazione. L’area aperta, forse ad uso agricolo, costituita dagli strati 420 e 461 della fase precedente, è stata coperta da un acciottolato, 419 e 453, a quota m 116,85/116,90 s.l.m. Nell’angolo sud ovest era un altro strato di ghiaia e ciottoli spianati, 442 (fig. 22) con scorie, equivalente agli strati 419 e 453, che proseguiva oltre i limiti dello scavo. Lo strato, a quota 116,99/117,10 s.l.m., era tagliato a metà da un intervento recente ed era intaccato da tagli posteriori anche a nord e a est (fig. 23). Verso sud est il livello di ghiaia proseguiva con gli strati 1110/1171, in matrice sabbiosa, di consistenza dura, contenenti scaglie di laterizi e carboni, e 1304, con le stesse caratteristiche, che conteneva scorie metalliche. Doveva trattarsi di un’area aperta, che, anche se non è stato possibile individuarne i limiti, sembra verosimile interpretare come una strada. Questa strada glareata rappresenta probabilmente il tracciato più antico, in ghiaia, di quella che sarà la strada lastricata romana della fase V (I secolo d.C.), il cui percorso verrà poi ricalcato, con asse variato di circa 10° verso sud, dall’attuale via Moneta. Mancava purtroppo completamente il limite nord dell’acciottolato, e non è quindi stato possibile stabilire quale fosse il rapporto tra la strada e l’edificio sopra descritto. La strada riprendeva l’orientamento nord ovest-sud est del fossato della fase precedente. Successivamente si assiste al rifacimento del piano d’uso 384/91 nella parte settentrionale del sito e ad un graduale accumularsi di detriti e terra sopra l’acciottolato a sud (452/91, 419/91, 60 Fig. 23: Piano stradale in ghiaia 442 (disegno M. Motto). 432/91). Lo strato, di limo sabbioso marrone giallastro presentava verso nord una zona di bruciato riferibile ad un piccolo focolare. Nella parte meridionale dello scavo, sopra l’acciottolato stradale, si è depositato uno strato di limo scuro spesso cm 2-5, 418/91, 432/91, 452/91, interpretabile come graduale accumulo di fango durante il periodo d’uso della strada glareata. Lo strato 432/91 ha restituito frammenti di anfore Lamboglia 2. 61 Il quadro che emerge con evidenza da quanto sopra esposto mostra, nonostante la frammentarietà dei dati, l’intensificarsi del processo di romanizzazione in corso a Mediolanum tra il II e il I secolo a.C. In questa fase si registra un salto di qualità nel moltiplicarsi degli indicatori che segnano il definitivo ingresso dell’oppidum nella sfera romana quali monete romane56, anfore, ceramica a vernice nera e a pareti sottili, coroplastica e stili in osso. Per quanto riguarda le anfore e le ceramiche di importazione, un ruolo importante nello smistamento dei flussi commerciali di vino e di olio, e di altre merci di importazione dall’area adriatica, era svolto da Aquileia e dalle colonie di Piacenza e Cremona, che avevano una funzione di mediazione tra mondo celtico transpadano e modo romano.57 L’accelerazione del processo di romanizzazione, con i relativi interventi sull’assetto idrografico e viario, non può non essere messa in relazione con le circostanze storiche, la sconfitta degli Insubri nel 194 a.C. ad opera di Publio Cornelio Flacco, i foedera con i Romani e i maggiori contatti commerciali e culturali con le vicine colonie romane di Cremona e Piacenza58. I vincitori rispettarono l’indipendenza del territorio insubre favorendo lo sviluppo di una classe dirigente filoromana che ebbe un ruolo importante nell’assorbimento dei modelli centro-italici. Il quadro relativo alla penetrazione di tali modelli risulta però a Milano non omogeneo e diversificato a seconda degli ambiti interessati da tale processo. Un caso di precoce acquisizione è testimoniato, nel campo dell’edilizia pubblica, dai capitelli corinzio-italici pertinenti probabilmente ad un edificio sacro di proporzioni ragguardevoli, rinvenuti in via Bocchetto, a poca distanza da via Moneta, datati tra gli ultimi decenni del II e la prima metà del I secolo a.C. La realizzazione di tale edificio, situato non lontano dalla zona in cui sorgerà la piazza del foro, è attribuibile però non a potenti personaggi della classe dirigente locale, ma più verosimilmente a mercatores o imprenditori italici, o rappresentanti di una potente famiglia aristocratica con interessi in Gallia Cisalpina59. È nota anche dalle fonti storiche la presenza di negotiatores e imprenditori centro-italici, attirati in Cisalpina alla fine del II secolo a.C. dalle possibilità di sfruttamento delle risorse di questo ricco territorio, come T(itus) Utius V(ibi)f(ilius) e la figlia Utia, proprietari del tesoro in argento rinvenuto ad Arcisate presso Como60 o il Meteli citato in un’iscrizione da Carcegna sul lago d’Orta61. I capitelli da via Bocchetto erano realizzati in pietra di Vicenza, materiale di cui costituiscono la prima attestazione, con un altro capitello corinzio italico di semicolonna dello stesso periodo, rinvenuto nell’abside di Santa Tecla62. Nella stessa pietra di Vicenza erano i resti di monumento funerario a dado rinvenuti in via Fratelli Gabba63, e i frammenti di cornice circolare pertinenti ad un monumento funerario in forma di tholos su podio provenienti da via Bigli 64, che documentano come nel campo funerario la tendenza all’autocelebrazione della classe dirigente trovasse espressione nel corso del I secolo a. C. in forme monumentali di derivazione centro-italica. L’uso frequente della pietra di Vicenza in questi monumenti suggerisce la presenza a Milano di maestranze di origine veneta, forse provenienti da Aquileia, centro con cui esistevano contatti commerciali attestati dalle anfore Lamboglia 2, largamente rappresentate nei contesti milanesi. Questa colonia, che tra 56) Sulla penetrazione delle monete romane a Mediolanum dopo la sconfitta del 194 a.C. si vedano il contributo di ARSLAN in questo volume e ARSLAN 2015. il contributo di CASINI-TIZZONI in questo volume. 57) SAVELLI 2015 con bibliografia. Il consumo di vino di Rodi a Mediolanum è documentato da due framm. di anfore rodie rinvenuti i n via Valpetr osa e via Rugabella: CERESA MORI 1992-93, pp. 130-131; BRUNO-BOCCHIO 1991, p. 274. 63) CERESA MORI 2000, pp. 85-86; SACCHI 2003, pp. 118120. Più antica ancora del monumento di via Fratelli Gabba è la stele funeraria in serizzo ghiandone dei Brocci, rinvenuta recentemente in via dell’Arcivescovado, datata alla fine del II secolo a.C., che si rifà alla tradizione locale: FEDELI-SARTORI 2015. Dalla stessa area di via Fratelli Gabba provengono probabilmente resti di altri due monumenti funerari conservati a Sir mione, su uno dei quali: F. SACCHI, in Brixia, p. 269. Il ritrovamento è stato ripreso in considerazione da Giuliana Cavalieri Manasse, che ringrazio per aver mi anticipato i risultati del suo lavoro. La studiosa colloca i tre monumenti funerari negli anni immediatamente successivi al 49 a.C.: CAVALIERI MANASSE c.s. 58) Nella vasta letteratura su questi argomenti indico a titolo di esempio: LURASCHI 1986, TORELLI 1998, BANDELLI 2007, SOMMELLA 2015. 59) SACCHI 2012, pp. 43-53. 60) SACCHI 2012, p. 53 nota 91. 61) SACCHI 2012, p. 50 note 61 e 62. Sulle presenze imprenditoriali centro-italiche in Cisalpina si veda anche 62 62) SACCHI 2012, pp. 52-53. 64) SACCHI 2003, pp. 77-84. la fine del II e il I secolo a.C. era un punto di riferimento in Cisalpina per l’alto livello socioeconomio e culturale, era sicuramente in grado di fornire artigiani specializzati ai cantieri milanesi65. La datazione dei capitelli da via Bocchetto tra gli ultimi decenni del II e il I secolo a.C. mostra che già prima della concessione del diritto latino ai centri urbani dell’Italia settentrionale nell’89 a.C. si era avviato il processo di assorbimento di modelli culturali romani. Questa ipotesi sembra confermata dai risultati dello scavo di via Moneta, che permettono di collocare l’inizio degli interventi di riassetto dell’oppidum tra la fine del II e l’inizio del I secolo a.C. I rocchi di imoscapo di colonne doriche in pietra Molera rinvenuti nel palazzo dell’Arcivescovado, databili tra l’età repubblicana e l’età augustea, testimoniano l’esistenza di un altro edificio pubblico66. Un ulteriore indizio circa l’esistenza di edifici pubblici monumentali in questo periodo è fornito dalla decorazione parietale. Si possono infatti segnalare alcune rare attestazioni milanesi di decorazione parietale di primo stile (prima metà-metà del I secolo a.C.): un piccolo nucleo di frammenti di intonaci provenienti dallo scavo di via Gorani, decorati con motivo di bugne aggettanti imitanti finte brecce marmoree o con decorazione a rilievo su sfondo monocromo67, probabilmente attribuibili ad un edificio pubblico. Allo stesso primo stile appartiene un piccolo gruppo di frammenti con campiture monocrome con profili in aggetto, incorniciate da fasce in tinte a contrasto, dallo scavo di piazza Duomo per la Metropolitana Milanese, linea 3 68. La città doveva attraversare in questo periodo una fase di sviluppo economico e di intensa attività edilizia. Essa si espande infatti fino a raggiungere la superficie di 80 ettari e si circonda di una cerchia di mura69. In questo stesso periodo, la radicale trasformazione operata in via Moneta, in cui la delimitazione di proprietà rappresentata dal fossato viene sostituita da una strada in ghiaia con lo stesso andamento, testimonia un’attività di ristrutturazione urbana che ha probabilmente interessato molte zone della città. Gli interventi di riassetto si collocano intorno alla metà del secolo, momento in cui, per interessamento di Cesare, viene concessa a Mediolanum la cittadinanza romana. È verosimile, anche in base alle fonti storiche70, che in questo stesso periodo i notabili della città avessero provveduto a trasformare le loro dimore adeguandole ai modelli romani, ma di tali interventi nel campo dell’edilizia privata, intorno alla metà del I secolo a.C., non si è ancora riscontrata alcuna traccia a Milano. Il cambiamento sopra descritto non sembra invece incidere nel campo dell’edilizia privata di carattere più modesto, documentata nel quartiere artigianale venuto in luce in via Moneta, come in altri siti della zona centrale della città, di cui si è parlato: via S. Maria Fulcorina, via S. Maria Podone, via S. Maria alla Porta, via Santa Margherita. Il quartiere di artigiani del metallo di via Moneta, pur rivelando un’intensa attività, si sviluppa mantenendosi nell’ambito delle tecniche tradizionali in materiali deperibili. Mostrano continuità con le fasi di V-III secolo a.C. i pochi resti conservati, pertinenti a costruzioni in terra cruda sostenute da un graticcio costituito da legni squadrati o canne, come risulta anche dalle analisi effettuate sui campioni di terra cruda prelevati71. Le novità sono rappresentate dall’uso, documentato da tre piccoli lacerti di fondazioni, di muretti in ciottoli privi di legante, probabilmente come sostegni dei muri in terra. Questa tecnica, prescritta dagli autori latini per limitare la risalita dell’umidità nei muri, è ampiamente attestata in Europa centrale e Italia72. La presenza di frammenti laterizi sembra indicare l’adozione di mattoni e tegole anche a Mediolanum nel I secolo a.C., con 65) SACCHI 2012, pp. 48-49. 66) SACCHI 2012, pp. 54-55. datazione sono piuttosto scarsi. Penso sia preferibile rinviare la discussione, in attesa di nuove indagini sul terreno. 67) MARIANI-PAGANI 2012, pp. 42-43, nota 13, figg. 4-5. 70) Plutarco ricorda l’ospitalità offerta a Cesare a Mediolanum da Valerius Leon: Plut., Caes. 17, 9-10. 68) PAGANI 2000, pp. 246-247, figg. 2-8. Ring razio Car la Pagani per le infor mazioni che mi ha gentilmente fornito. 71) Si veda il contributo di ROTTOLI in questo volume. 69) Probabilmente in epoca cesariana: CERESA MORI 1986-b, pp. 237-240, datazione condivisa da CAVALIERI MANASSE c.s. Furio Sacchi propende invece per una datazione in età augustea: SACCHI 2012, pp. 57-61. Al momento i dati stratigrafici per precisare meglio tale 72) Catone, De agricultura, XVIII, 14, 4; DE CHAZELLES 2003, p. 8; ANTONINI 2011, pp. 168-170; RE NAR 2007, p. 30, fig. 14; DE CHAZELLES-ROUX 2005, p. 345, fig. 2; BARRAL-GASTON-VAXELAIRE 2011, p. 102; MALNATI 1999, p. 17. 63 notevole ritardo rispetto ai centri della Cisalpina orientale. Gli scarsi resti non permettono però di stabilire in che misura fossero utilizzati, certamente ancora in associazione con le tecniche tradizionali in materiali deperibili. La realizzazione di una strada glareata nel I secolo a.C., che segue il tracciato del fossato del III secolo a.C., mostra inoltre come gli assi dell’organizzazione spaziale di epoca protostorica costituiti da fossati e strade siano all’origine della nuova pianificazione urbana della colonia latina, che ne mantiene l’impostazione e l’orientamento73. Anna Ceresa Mori Già Soprintendenza Archeologica della Lombardia Via del Caravaggio 1 I-20144 Milano anna.ceresamori@alice.it Summary The excavation. In the years 1986-1991 an area of 1200 square metres was archaeologically investigated in via Moneta during the building works for the Milan branch of Banca d’Italia This volume offers the results of the study of the phases IA, IB and II, related to the protohistoric period, to the birth of the settlement around the middle of the 5th century BC, to the oppidum (4th and 3rd century BC) and finally to the period of the Romanization when we can observe the transformation of the Celtic oppidum into a Roman municipium. The choice of dedicating a whole volume to the earliest phases of the settlement is due to the large amount of finds from the excavation. Under the basements of the modern buildings an archaeological stratigraphy of about 2 m was preserved. Because of the frequent rebuildings during later periods large parts of its layers were missing. The remains of the strata belonging to phase IA were few: small patches of living floors and layers showing accr etion due to continuous human presence with irregular ly spaced post-holes. They seemed to f ollow a NW-SE direction, all the following building phases in this district of Mediolanum ha ve kept this same positioning. These remains are dated to the period Golasecca IIIA2-A3, between the middle of the 5th century BC and the beginning of the 4th century. The remains of two wood and wattle and doubt b uildings, A and B, were disco vered to the E and W of the building site (lots 3 and 2), but only the negative imprints of their beams were preserved. The remains to the E belonged to a rectangular wood framed building with its wall lying on horizontal beams and they can be dated to the La Téne B period. The remains in lot 2 belong to the same period, they are more fragmentary and probably there were various building phases. A V shaped ditc h was the norther n border of the settlement. It ran NW-SE and it w as built during the 3rd century BC. Probably it was par t of a grid formed by ditc hes and streets, a first embryo of the settlement planning. Phase II (2 nd-1st century BC): there were very poor remains of packed dirt floors, which were made over and over again, post-holes and rare parts of dry stone walls, probably the bases of the horizontal beams supporting the wood framed walls. These structures belonged to some metallurgical ateliers which covered a large area of the excavation, as shown by numerous forge hearths and by a large amount of iron and copper alloy slags found in garbage pits. This area has been interpreted as the metal workers district. There is little evidence which shows that it existed already in phase IB, while in this phase it had a strong development, possibly thanks to favourable economic circumstances during which the settlement was able to achieve an area of 80 ha. A grit covered street, which follows the layout of the ditch belonging to the previous phase, shows that some urban rearrangements were already under way before the oppidum became a Roman municipium. This happened in a period when the infiltration of Roman cultural models became more intense via the not far away colonies of Piacenza and Cremona and with the support of a pro-roman local ruling class. 73) Il fenomeno è stato frequentemente osservato nei centri veneti: TIRELLI 1999, GAMBA-GAMBACURTARUTA SERAFINI-BALISTA 2005, pp. 23-31. 64 Riferimenti bibliografici ANTONINI A. 2011 Mediolanum: un primo sguardo alle murature con elementi lignei, in M.V. ANTICO GALLIN A.-L. CASTELLETTI-S. MOTELLA DE CARO et Al. (a c. di), Archeologia del legno. Uso, tecnologia, continuità in una ricer ca pluridisciplinare, Milano, pp. 163-196. ARCELIN P.-BRUNEAUX J.L. et Al. 2003 Cultes et sanctuaires en France à l’âge du Fer, in Gallia, 60, pp. 1-268. Architectures de terre et de bois 1985 J. 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