NOTIZIE
ARCHEOLOGICHE
BERGOMENSI
23
2015
ISSN: 1127-2155
Periodico di archeologia del Civico Museo Archeologico di Bergamo
fondato da Stefania Casini
I testi sono stati sottoposti a revisione paritaria.
La responsabilità di quanto riportato nel testo, nonché di eventuali er rori e omissioni,
rimane esclusivamente degli Autori.
Autorizzazione del Tribunale di Bergamo, n. 32 del 27.11.1993
Direttore responsabile: Stefania Casini
Tutti i diritti riservati Comune di Berg amo, Museo Archeologico
Sede: Civico Museo Ar cheologico di Bergamo, piazza Cittadella 9, 24129 Bergamo
Proprietà: Comune di Bergamo
Stampato da: Grafo s.r.l., Palazzago, Bergamo
2
Lo scavo di via Moneta a Milano (1986-1991).
Protostoria e romanizzazione
a cura di
ANNA CERESA MORI
con la collaborazione di
CARLA PAGANI
3
Lo scavo di via Moneta a Milano (1986-1991).
Protostoria e romanizzazione
Coordinamento scientifico
Anna Ceresa Mori
Coordinamento redazionale
Stefania Casini
Direzione dello scavo archeologico
Anna Ceresa Mori
Esecuzione dello scavo archeologico
Società Lombarda di Archeologia
Fotografie
Luciano Caldera, Luigi Monopoli (SAL); Società Lombarda di Archeologia
Riordino e sistemazione dei materiali
Annalisa Majorano (Società Lombarda di Archeologia)
Disegni dei reperti
Remo Rachini; Autori dei testi
Rilievi
Società Lombarda di Archeologia
Elaborazioni grafiche
Michela Ruffa; Società Lombarda di Archeologia
Montaggio tavole grafiche
Roberta Cavalli, Carla Pagani (Società Lombarda di Archeologia)
Restauro dei reperti
Annalisa Gaparetto (SAL); Lori Nistri
Revisione dei testi
Ilaria Piccolini
L’elaborazione e l’informatizzazione dei dati di scavo e lo studio dei reperti sono stati finanziati dalla
Banca d’Italia e dal Ministero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo.
4
SOMMARIO
Presentazione
Filippo M. Gambari
p.
7
Premessa
Anna Ceresa Mori
»
9
Il quadro storico
Alberto Barzanò
»
11
Lo scavo
Anna Ceresa Mori
»
37
Via Moneta: analisi culturale delle fasi preromane
Stefania Casini - Marco Tizzoni
»
69
La produzione ceramica preromana: analisi delle forme
Stefania Casini - Marco Tizzoni
»
177
La ceramica attica
Claudia Lambrugo
»
267
La ceramica a vernice nera
Lilia Palmieri
»
273
Le lucerne
Marina Ricci
»
291
La ceramica a pareti sottili
Sara Masseroli
»
301
Le anfore
Patrizia Cattaneo - Diana Dobreva
»
309
I kalathoi iberici e gli pseudo-kalathoi
Stefania Casini - Marco Tizzoni
»
329
Gli ornamenti metallici di età preromana
Marta Rapi
»
339
Instrumenta e recipienti di bronzo
Marina Castoldi
»
345
La coroplastica
Rosanina Invernizzi
»
351
Le armille di vetro
Marta Rapi
»
357
Le monete
Ermanno A. Arslan
»
363
5
Gli ossi lavorati
Chiara Bianchi
» 377
Il quartiere celtico degli artigiani del metallo di Mediolanum
Costanza Cucini
» 387
Analisi di manufatti e scarti metallici di epoca celtica
Costanza Cucini - Maria Pia Riccardi
» 451
Le tecniche edilizie
Mauro Rottoli
» 461
6
Recent findings
Besides the dice and the small
lamp,
a ceramic cup
was recovered from the Via
Moneta site
It appeared to have been dipped
in rose varnish and stamped
with a scene
of satyrs at grape harvest
and bore the name
Perennius Bargates
Alan Jones
(da Long after Hannibal had
passed with elephants,
New York, Paris, Turin 1995)
Premessa
Lo scavo di via Moneta (1986-91) è uno scavo “storico” per Milano: la prima parte (1986-87) è durata
quasi un anno, durata record per uno scavo archeologico dell’epoca, e vi hanno partecipato molti archeologi che erano
allora all’inizio di una lunga e promettente carriera. Esso ha in un certo senso avviato, con gli scavi per la linea 3
della Metropolitana Milanese, un’intensa stagione di attività di tutela preventiva sulla città e inaugurato una lunga
serie di scavi archeologici, alcuni dei quali altrettanto interessanti e di durata anche superiore a questo. L’importanza
dei risultati, per la storia delle origini della città e per la comprensione delle dinamiche di trasformazione da centro
indigeno a municipio romano, era emersa fin da subito, e quindi la necessità della loro pubblicazione. Per questo la
Banca d’Italia, che già aveva sostenuto gli oneri dell’intervento di scavo, aveva erogato un cospicuo finanziamento.
Il lavoro per l’edizione dello scavo è iniziato una ventina di anni fa e ci si è subito resi conto che se ne erano
sottovalutate le difficoltà. A quel tempo la Soprintendenza mancava degli strumenti per la gestione di una simile
quantità di reperti. I problemi erano dovuti sia alla enorme massa di materiale recuperato, sia alla difficile gestione,
oltre che dei reperti, delle migliaia di dati stratigrafici (allora l’informatica non era sviluppata come oggi), sia al fatto
che, nella seconda metà degli anni Ottanta, la Soprintendenza, che aveva sede a Palazzo Reale, non possedeva
magazzini. Il materiale fu depositato temporaneamente presso le Civiche Raccolte Archeologiche del Castello Sforzesco,
per essere trasferito in seguito in parte nei magazzini della nuova sede della Soprintendenza in via De Amicis e in
parte ancora in nuovi magazzini comunali. La particolare complessità della stratigrafia di questo scavo, così
lacunosa e frammentaria, richiedeva inoltre la massima concentrazione per poter affrontare i numerosi interrogativi
posti dalla sua lettura e interpretazione. La conoscenza della ceramica protostorica non era ancora abbastanza
avanzata da consentire un’agevole comprensione della stratigrafia alla luce dei dati cronologici forniti dai reperti.
La volontà di perseguire l’obiettivo della pubblicazione di via Moneta non è tuttavia mai venuta meno nel corso
degli anni, ma si è anche scontrata, oltre che con le difficoltà intrinseche al lavoro, con le esigenze sempre più pressanti
della tutela archeologica dell’area milanese, che assorbivano totalmente tempo e energie mie e dei miei collaboratori.
Sono perciò molto grata al gruppo di studiosi specialisti nei vari settori che nel corso di questi anni hanno
continuato a credere in questo lavoro e con cui non si è mai interrotto un dialogo costante su Milano e la sua storia.
Il loro interesse, entusiasmo, tenacia e determinazione hanno permesso a tutti noi di non cedere allo scoraggiamento
e di portare finalmente, anche se tardivamente, a termine l’opera, o almeno una parte di essa. Si è scelto infatti di
limitare per il momento la pubblicazione alle prime tre fasi, tra la protostoria e la romanizzazione, perché la ricerca
su di esse, che ha dato risultati di gran lunga superiori a quanto ci si attendeva all’inizio, soprattutto nello studio
della ceramica protostorica e della metallurgia, ha assunto proporzioni molto più ampie di quanto era stato
preventivato. Il metodo adottato, che è consistito principalmente in un continuo confronto tra i risultati dello studio
dei materiali e l’analisi della stratigrafia, condotto capillarmente, unità per unità, ha consentito di mettere a fuoco la
cronologia delle attestazioni di attività nell’area e quindi il processo di graduale passaggio dall’oppidum al
municipio romano.
9
Fig. 1: I par tecipanti allo scavo nella primavera del 1987.
Desidero ringraziare in primo luogo gli operatori della Società Lombarda di Archeologia che hanno partecipato
allo scavo, troppo numerosi perché possa ricordarli singolarmente, i responsabili di settore Brian Howes, Carla
Pagani e Nicholas White per la qualità del loro lavoro, Annalisa Majorano, sempre solerte e insostituibile nel
riordino e prima classificazione dei materiali, Roberta Cavalli per le planimetrie di fase, Remo Rachini per i disegni
dei reperti. La mia gratitudine va inoltre a tutti gli studiosi che hanno collaborato al lavoro nel corso degli anni,
abbandonandolo per vari motivi prima della sua conclusione, e a quelli che hanno approfondito aspetti non contemplati
da questa prima pubblicazione. Ricordo in particolare Michela Ruffa, Chiara Niccoli e Cristina Longhi, che
hanno curato l’informatizzazione dei dati.
Un sentito ringraziamento va alla Banca d’Italia, con cui il rapporto è sempre stato improntato alla massima
cordialità e collaborazione, che ha finanziato gli interventi di scavo, l’elaborazione dei dati e lo studio dei reperti, in
particolare all’allora direttore dott. Noto, al dott. Licciardi e al geom. Cinquini. Un grazie di cuore al direttore dei
lavori ing. Urbano Pierini e all’impresa Castelli.
Ringrazio inoltre Donatella Caporusso e il personale delle Civiche Raccolte Archeologiche, dove è ancora
depositata una parte del materiale, tutto il personale della Soprintendenza, in particolare i fotografi Luciano
Caldera e Luigi Monopoli e la restauratrice Annalisa Gasparetto. Sono riconoscente al funzionario responsabile
per Milano, dott.ssa Annamaria Fedeli, per la disponibilità con cui ha agevolato il nostro lavoro. Ringrazio infine
Stefania Casini, direttore responsabile della rivista Notizie Archeologiche Bergomensi, che ha curato la redazione
del volume, e l’Assessorato alla Cultura del Comune di Bergamo.
ANNA CERESA MORI
10
Notizie Archeologiche Bergomensi, 23, 2015, pp. 37-67
ISSN: 1127-2155
Lo scavo
Anna Ceresa Mori
In un’area di mq. 1200, rimasta libera in seguito ai bombardamenti della seconda guerra
mondiale, si è svolto nel 1986-87, grazie al generoso finanziamento della Banca d’Italia, uno scavo
archeologico preventivo, in occasione della realizzazione dell’ampliamento della sede della banca,
in via Moneta. L’indagine è proseguita nel 1990-91, in occasione della realizzazione di sottoservizi
e di un tunnel di collegamento sotto il sedime stradale di via Moneta1 (figg. 1-2).
La zona è a poca distanza da quella del foro della città romana, compresa tra le piazze S.
Sepolcro e Pio XI, indagata tra il 1990 e il 1992 in occasione dei lavori di restauro della Biblioteca
Ambrosiana, nelle cui cantine sono emerse alcune porzioni del lastricato della piazza forense.
Nell’area della vecchia sede della Banca d’Italia erano venuti in luce nel 1908 i resti di un vasto
edificio a pianta rettangolare in cui il De Marchi riconobbe la Zecca romana, l’opulens moneta di
Ausonio, a cui fa riferimento anche il toponimo della via Moneta, che si collega ai nomi delle chiese di
origine medievale di S. Mattia e S. Martino alla Moneta2. I dati archeologici recuperati in passato in
questa zona, pertinenti sia al periodo protostorico, sia al periodo romano, erano molto frammentari,
perché derivanti da rinvenimenti fortuiti effettuati in occasione di lavori edilizi o per sottoservizi.
Altre indagini archeologiche stratigrafiche estensive, condotte dalla Soprintendenza in occasione
di opere edilizie a partire dagli anni ’80 del 1900, hanno interessato questa zona centrale della città
romana e si sono svolte, oltre che in via Moneta e nella Biblioteca Ambrosiana, in via S. Maria alla
Porta3, via S. Maria Fulcorina4, via Valpetrosa5 e via S. Maria Podone6, via Santa Margherita7. Esse
hanno consentito di individuare per il periodo romano una sequenza di fasi edilizie che iniziano
con il I secolo a.C., all’epoca in cui Mediolanum era colonia di diritto latino, conferito alla città
nell’89 a.C. con la lex Pompeia, e proseguono poi per tutta l’epoca tardorepubblicana e imperiale
fino alla caduta dell’Impero. Per il periodo protostorico, i rinvenimenti erano sporadici e privi di
contesto. La novità assoluta dello scavo di via Moneta consiste nell’individuazione, per la prima
volta a Milano, di una sequenza di livelli di insediamento che si distribuiscono in un arco di tempo
compreso tra il periodo Golasecca III A (V secolo a.C.-inizio IV secolo a.C.) e i periodi La Tène
B1, B2 e C1 (IV-inizio II secolo a.C.), documentando una continuità insediativa nell’area dal V
secolo a.C. al periodo della romanizzazione.
Ciò ha consentito di proiettare le origini della città su un orizzonte molto più antico di quanto fosse
prima noto, di stabilire importanti punti di riferimento per la ceramica comune protostorica, di
inserire i vecchi rinvenimenti in un quadro cronologico più preciso e di meglio interpretarne la natura.
In via Moneta, le cantine degli edifici distrutti dalla guerra avevano asportato su tutta l’area del
cantiere una parte consistente del deposito archeologico, fino alla profondità di circa m 3-3,50 dal
piano stradale; la stratigrafia era inoltre stata pesantemente compromessa da numerose cisterne e
ghiacciaie realizzate in epoca medievale e moderna. Il deposito archeologico conservato tra il
pavimento delle cantine e il terreno sterile aveva quindi uno spessore di circa m 2 e in esso era
compressa tutta la sequenza delle fasi edilizie sviluppatesi tra l’epoca protostorica e quella attuale.
1) CERESA MORI et Al. 1987; CERESA MORI-WHITE
1990 e 1991.
4) CAZORZI-CERESA MORI-PAGANI-VALLE 1985.
5) CERESA MORI 1992-93.
2) Si veda CERESA MORI 2010, con bibliografia precedente.
6) CERESA MORI-SALSAROLA 1987.
3) CERESA MORI 1986-a.
7) JORIO 1985.
37
Da ciò derivava una stratigrafia “a macchia di leopardo”, molto lacunosa e di difficile
interpretazione, anche a causa del reimpiego dei materiali edilizi, prassi adottata sistematicamente
a Milano. Le evidenze relative alle prime fasi di occupazione dell’area erano costituite quasi
esclusivamente da impronte in negativo. La stratigrafia era caratterizzata da depositi sottili, che
documentavano reiterati interventi di ripristino, coerenti con l’utilizzo di legno e terra per le
costruzioni, materiali deperibili che richiedevano frequenti rifacimenti8, con effetti negativi dal
punto di vista della leggibilità della sequenza stratigrafica. Per la realizzazione delle piante di fase si
è dovuto per questo motivo fare una scelta, puntando sugli strati che si ritenevano più significativi,
nell’impossibilità di rendere in una planimetria generale il continuo alternarsi a brevi intervalli di
tempo di piani d’uso e livelli di frequentazione e accrescimento.
Altra peculiarità di questo scavo, per le ragioni esposte sopra, è costituita dalla grande quantità
di materiale ceramico recuperato, con un’elevata percentuale di residualità; ciò vale in particolare
per la ceramica comune, di cui lo scavo ha restituito una quantità considerevole, a fronte dell’esiguità
delle evidenze strutturali rilevate.
Lo scavo è stato suddiviso in quattro lotti, pari al 74,6% dell’intera area del cantiere (fig. 3).
Nella zona della rampa di accesso, per esigenze tecniche, si è rinunciato allo scavo archeologico,
anche in considerazione del fatto che era una zona molto dissestata da interventi recenti e ci si è
limitati ad un controllo dello scavo effettuato con mezzo meccanico.
La scelta di dedicare il primo volume alle sole prime tre fasi documentate nello scavo è dovuta
alla grande quantità di ceramica recuperata, soprattutto ceramica comune. Si è privilegiato il criterio
di ricostruire i contesti di scavo, non tralasciando di presentare, accanto ai reperti in giacitura
primaria, anche materiali residuali provenienti da strati più recenti, ma verosimilmente riconducibili
alle fasi protostoriche. Si deve infatti alle specifiche caratteristiche della stratigrafia urbana, in cui si
registra un’altissima percentuale di strati ridepositati a causa di continui interventi di scavo,
riempimento, recupero materiali edilizi, livellamento, nuova edificazione, se molti materiali pertinenti
alle fasi più antiche sono stati recuperati in giacitura secondaria. In tale contesto anche tali reperti
acquistano grande importanza, perché in alcuni casi possono segnalare fasi di vita della città non
altrimenti attestate. La fase IB (IV-III secolo a.C.) al momento dello scavo era stata identificata
solo in minima parte e sembrava documentata quasi esclusivamente da reperti residuali9. Un’analisi
più approfondita dei materiali, condotta successivamente, ne ha definito meglio la consistenza e la
cronologia e ha così consentito di individuare e datare con maggiore precisione le evidenze ad essi
connesse.
Fase IA (fig. 4, tav. 1 fuori testo)
Le evidenze pertinenti a questa fase10 (fig. 4), individuate nei lotti 1, 3 e 4, sono molto modeste,
costituite da piccoli lembi di piani d’uso e livelli di frequentazione-accrescimento, che presentavano
buchi di palo irregolarmente disposti. La lacunosità dei resti conservati non consente di formulare
ipotesi sulla destinazione dell’area. La datazione degli strati e dei riempimenti è basata principalmente
sulla ceramica comune recuperata, che consente un inquadramento della fase nel periodo Golasecca
III A (V-inizi IV secolo a.C.).
Sopra il terreno sterile era presente ovunque uno strato, 304, testimonianza di un antico suolo
evoluto su ghiaie fluviali e in seguito in parte asportato. Esso era coperto dallo strato 303, composto
da sabbia poco limosa di colore marrone grigiastro scuro con ghiaia media, chiazze d’argilla e
noduli di ferro.
Nel paleosuolo 965, uguale a 303, situato nella parte sud est dello scavo (lotto 1), era tagliata
8) Si stima di una ventina d’anni la durata massima del
legno per le costruzioni: BERNARD 2005, p. 20; BARRALGASTON-VAXELAIRE 2011, p. 100.
par la di distruzione quasi totale dei contesti di IV-III secolo
a.C. In realtà la distruzione era solo parziale, come si evince
dalla presente relazione, che si basa sui risultati dell’analisi
di tutto il ma teriale ceramico.
9) Per le prime interpretazioni della stratigrafia in questo
senso, quando la f ase di IV-III secolo a.C. non era stata
ancora completamente riconosciuta, si veda, ad esempio:
CERESA MORI 2001, pp. 369-370. In tale contributo si
10) La relazione degli scavi è stata redatta da Brian Howes,
Carla Pagani e Nicholas White della Società Lombarda di
Archeologia.
38
Fig. 1: Milano, via Moneta: ubicazione degli scavi. La linea bianca indica l’area degli scavi.
una serie di otto piccoli buchi di palo (590, 596, 954, 960, 958, 598, 956, 964) allineati in senso
nord est-sud ovest, profondi in media cm 12, riempiti da uno strato di sabbia limosa di colore
marrone grigiastro con molti carboni e piccoli ciottoli. Lo strato 965 era coperto da due livelli di
frequentazione sovrapposti: 587 e 574, con caratteristiche molto simili, a matrice sabbiosa e limosa
con abbondanti patine e noduli di ferro ossidato e frammenti di carbone. Entrambi gli strati sono
databili, in base ai reperti ceramici, al periodo G. III A2 (seconda metà V secolo a.C.). I riempimenti
dei buchi di palo avevano caratteristiche molto simili allo strato 587, interpretabile come livello di
frequentazione nel quale probabilmente erano stati scavati i buchi di palo, e quindi ad essi
contemporaneo. I buchi di palo, per la scarsa profondità e le ridotte dimensioni, sembrano riferibili
ad una struttura leggera. Simile a 574 era lo strato 557, visibile a est per un’estensione di m 12 est
ovest per m 3,50 nord sud. Gli strati 574 e 557 potevano avere lo scopo di impedire i ristagni
d’acqua, in un’area interessata da cospicui innalzamenti della falda, e presentavano resti di focolari
molto vicini tra di loro, che sembrano riconducibili ad un’area di lavoro a cielo aperto, data la
39
mancanza di evidenti strutture. Essi venivano
coperti dallo strato 568, composto anch’esso
da sabbia limosa giallo oro con grumi grigiastri
e abbondanti noduli di ferro, che conteneva
materiale ceramico databile al periodo G. III A2.
Nel lotto 3, situato a nord del lotto 1, è
stato individuato il paleosuolo 1248, uguale a
965, alla quota assoluta di m 115,95, di limo
molto sabbioso marrone con abbondanti
ciottoli, coperto dagli strati 1238 e 1258. Lo
strato 1238, costituito da ciottoli in matrice
limo-sabbiosa nocciola con evidenti tracce di
ossidazione, è databile al periodo G. III A2.
Esso era coperto da 1216, uno strato di
livellamento-preparazione per il successivo
piano d’uso 1269. Lo strato, a matrice limoFig. 2: Veduta del cantiere (f oto Archivio SAL).
sabbiosa grigio-marrone con carboni sparsi e
grumi d’argilla gialla, si data al periodo
Golasecca III A2 (seconda metà V secolo a.C.). Esso ha restituito un frammento di argilla cruda11
proveniente da una struttura in terra. Il piano d’uso 1269, in limo sabbioso grigio marrone con
abbondanti carboni, frammenti ossei e frammenti ceramici databili al periodo G. III A2, era alla
quota assoluta di m 116,06. Esso ha anche restituito una fibula in bronzo tipo Certosa del V
secolo a.C.
A sud ovest di 1269, un’area di paleosuolo dello spessore di circa cm 10, composta da sabbia
debolmente limosa con pochi ciottoli (1340, 1416), era interessata da una serie di piccoli buchi per
palo (1328, 1334, 1335, 1336, 1337), il più grande dei quali era di forma circolare con diametro di
cm 20. Doveva trattarsi di una struttura leggera di forma e uso non ricostruibili. Il paleosuolo 13401416 era coperto da una serie di strati composti da sabbia limosa poco compatta di colore grigiomarrone con chiazze di limo giallo, frammenti di carbone e ciottoli, tra cui 1324, riferibile al periodo
G. III A2, tagliato da un piccolo buco di palo circolare. Anche lo strato 1415, livello d’uso che copriva
il paleosuolo, ha restituito reperti del periodo G. III A2 ed era tagliato da un piccolo buco di palo.
Nel lotto 4, situato a nord ovest, le evidenze più antiche erano costituite da due buchi di palo
circolari, 2071/2072 e 2024/2025, i cui riempimenti erano privi di reperti, che tagliavano uno
strato di limo sabbioso giallo, compatto, 2062, uguale a 2018 (quota m 116,50 s.l.m.) spesso circa
cm 10. Gli strati che li coprivano, per lo più a matrice limosa con ghiaia in percentuale variabile,
si presentavano estremamente lacunosi. Le evidenze, buchi per pali, impronte, buche irregolari,
erano di difficile interpretazione. Lo strato 2068 ha restituito ceramica databile al periodo G. III
A3 (fine V-inizio IV secolo a.C.)
L’unico livello insediativo finora noto a Milano, coevo a quelli descritti sopra, è stato
documentato nell’angolo sud ovest del cortile principale di Palazzo Reale12. Materiali riferibili al
periodo Golasecca III A in giacitura secondaria provengono invece da molte zone della città. La
carta di distribuzione dei reperti dell’età del Ferro ha consentito di delineare una mappa del sito di
Mediolanum in tale periodo, che occupava la zona centrale della città attuale compresa tra piazza
Duomo, via Meravigli, via Gorani e via Valpetrosa e raggiungeva, in base alle attuali conoscenze,
un’estensione di circa 17 ettari (fig. 5).
Nel cortile di Palazzo Reale è stata individuata, alla quota di m 114,90, una piccola fornace per
ceramica di forma circolare con al centro un piano forato in argilla. Il livello è databile, come
quelli di via Moneta, al periodo G. III A e sembra attestare la presenza di un’area destinata ad
attività produttive. La differenza di circa un metro tra le quote assolute dei due siti mostra che
l’area centrale dell’insediamento golasecchiano, corrispondente alla zona di via Moneta e della
Biblioteca Ambrosiana, dove in epoca romana sarebbe sorta la piazza del foro, era in posizione
11) Si veda ROTTOLI in questo volume.
40
12) JORIO 1987, pp. 132-133.
Fig. 3: Milano. Via Moneta. Le aree inda gate nel 1986-87, 1990 e 1991 (disegno B. Howes).
41
Fig. 4: Sintesi dei dati cronologici della fase IA.
lievemente più elevata rispetto alla parte restante dell’abitato. Un dato interessante offerto dalle
evidenze di via Moneta è il fatto che i buchi di palo rinvenuti nel lotto 3 erano allineati in senso
nord-ovest/sud-est, e sembravano quindi indicare, già nel periodo più antico dell’insediamento,
un orientamento che appare costante in tutte le successive fasi edilizie di questo settore di Mediolanum13,
dal periodo dell’oppidum a quello del municipio romano. Esso infatti è proprio delle strutture della
fase IB (IV-III secolo a.C.) e sarà in seguito rispettato dall’assetto urbanistico della città romana.
Fase IB (fig. 10, tav. 2 fuori testo)
In questo periodo, le impronte in negativo di costruzioni in legno con lembi di livelli interpretabili
come piani di cantiere, depositatisi nel corso della realizzazione degli edifici, risultano relativamente
più consistenti rispetto alla fase precedente, e sono concentrate nella parte sud ovest e nord est
dello scavo (lotti 2 e 3). È stato possibile individuare resti di due edifici (A e B) in legno e terra
cruda, e tracce di attività di lavorazione del ferro e del bronzo, documentate da buche di scarico
all’estremità sud dell’area14.
Di particolare importanza è il fatto che questa fase costituisce, allo stato attuale, un unicum per
Milano: è cioè l’unica testimonianza finora nota nella città di un abitato riferibile ai periodi G. III
A3-La Tène B/C1 (IV-III secolo a.C.).
L’area abitata era delimitata a nord da un fossato con sezione a V e orientamento nord ovest-sud
est. Oltre alla ceramica comune, elementi di datazione sono offerti da alcune fibule e una moneta15.
Nel lotto 1 era presente un numero considerevole di buche di scarico molto disturbate da
interventi posteriori. La buca 589/588 (fig. 6), che tagliava lo strato 574 della fase precedente, era
di forma circolare e il suo riempimento composto da tre strati, 588A, B e C, ha restituito scorie
metalliche. La buca era coperta dallo strato 586, di sabbia limosa con ciottoli, piccoli frammenti
di carbone e scorie metalliche. L’area risultava quindi interessata da buche di scarico con residui di
attività metallurgiche. Verso est era lo strato 545, sulla superficie del quale era una serie di piccoli
focolari rappresentati da chiazze di limo giallastro con segni del fuoco, frammenti di concotto e
abbondanti carboni. Il più grande, 544, aveva una dimensione massima in senso est ovest di cm
90. All’estremità est del lotto il paleosuolo 303 era tagliato da un buco di palo, 290/291, il cui
riempimento ha restituito reperti del periodo G. III A3. Esso era probabilmente in fase con lo
strato di frequentazione-accrescimento 286, che copriva il paleosuolo ed è databile al periodo La
Tène B o C.
13) Lo stesso orientamento caratterizza le impronte di
travi e di pali lignei rinvenuti sotto la Biblioteca
Ambrosiana.
42
14) Si veda il contributo di CUCINI in questo volume.
15) Si vedano i contributi di RAPI e ARSLAN in questo
volume.
Fig. 5: Car ta di distribuzione dei ritrovamenti della Milano pr eromana (disegno M. Ruffa).
Nei settori settentrionali del lotto 3 il livello d’uso 1269 (fase IA) era coperto dallo strato 1173,
a matrice sabbiosa marrone con concrezioni ferrose, privo di reperti datanti, probabilmente
riferibile ad un’area aperta, ed era coperto dagli strati 1217, 1237, 1244, 1172. Nello strato 1244
era tagliata una grossa buca riempita da una serie di strati, il più alto dei quali, 1239, costituito da
limo sabbioso grigio giallastro con chiazze arancioni, indizi della presenza di residui di focolare
gettati nella buca, è databile al periodo LT B. Vi erano tracce di strutture lignee leggere, costituite
da una piccola trincea a fondo arrotondato, orientata nord est-sud ovest, 1303, che tagliava la
buca 1268, e da due piccole trincee ortogonali tra loro, con lo stesso orientamento di 1303, che
tagliavano lo strato 1213, molto compatto, sabbioso e limoso con abbondanti inclusioni di ghiaia
fine, patine e noduli di ferro ossidato, databile al periodo LT B. Le trincee erano riempite dallo
strato 1214, di limo sabbioso grigio chiaro, databile allo stesso periodo.
Nel settore meridionale del lotto 3 a nord il paleosuolo 1344, uguale a 1340, 1248 e 1416, era
coperto da uno strato giallo ocra di consistenza sciolta con ciottoli, 1220, in cui erano scavati due
buchi per palo, 1221/1224, che ha restituito reperti del periodo LT B1, e 1225/1223, il cui
riempimento era privo di reperti. Essi facevano parte di una struttura non identificabile,
probabilmente da collegarsi ad uno strato di argilla cotta di colore arancio-giallastro, 1212, ricca
di carboni, ossa combuste e frammenti ceramici databili al periodo LT B1 (375/310 a.C.). Lo
strato di bruciato si può interpretare come un focolare della struttura a cui erano pertinenti i buchi
di palo. Al focolare fa pensare la presenza di uno strato di ciottoli di forma subcircolare. Al di
sopra di queste evidenze, e in parte anche all’interno dei buchi di palo, era lo strato 1197, di limo
sabbioso compatto con lenti di cenere e abbondanti carboni, forse livello di accrescimento,
caratterizzato dalla stessa matrice argillosa del piano bruciato, in cui si sono individuati due livelli,
1197A e 1197B, che hanno restituito ceramiche del periodo LT B1. Lo strato 1197A (fig. 7) era
tagliato da una piccola traccia in negativo orientata nord ovest-sud est, profonda pochi centimetri,
1191/1194. La presenza nel suo riempimento di residui di ossa combuste e resti ferrosi faceva
pensare ad una canaletta, in cui lo scorrimento di acqua poteva aver prodotto l’ossidazione del
ferro. I reperti ceramici indicano per la canaletta una datazione al periodo LT B1.
43
Fig. 6: La buca 589/588 (foto Archivio SAL).
Fig. 7: Il livello di accrescimento 1197A con la canaletta 1191/1194 (foto Ar chivio SAL).
Edifici in legno a est e ovest. Nella zona est del lotto 3 si individuava una serie di strati di
limo sabbioso giallo, tra cui il solo strato 1206, un probabile livello d’uso, ha restituito reperti
databili al periodo LT B1 (375-310 a.C.) Lo strato copriva un probabile piano di calpestio in
ciottoli, 1373, che conteneva ceramica del periodo LT B. Esso era tagliato da dodici buchi di palo
e una piccola trincea, 1411/1410, impronte in negativo pertinenti a un grande edificio in legno
orientato in senso nord ovest-sud est. Erano conservati cinque tratti, 1318, 1339, 1362 (fig. 8),
1390 (fig. 9), 1393, di un solco lungo m 15, largo cm 15/30 e profondo cm 50, traccia in negativo
della parete perimetrale nord dell’edificio, che doveva essere costituita da elementi orizzontali e
verticali in legno regolarmente assemblati e messi in opera. Le trincee 1411 e 1333, perpendicolari
alla parete perimetrale nord, e il piccolo tratto di una terza trincea, 1372, erano verosimilmente
resti delle pareti divisorie interne dell’edificio. I buchi di palo presenti negli strati 1206 e 1260
potevano far parte di apprestamenti antistanti l’edificio (tettoia?). Il piano di cantiere, 1374/70,
alla quota assoluta di m 116,30 s.l.m., che si data in base ai frammenti ceramici tra il IV e il III
secolo a.C., era interessato da sei piccolissimi buchi per palo riempiti da limo sabbioso di colore
giallo. Il riempimento della traccia in negativo lunga m 15 sopra descritta, 1361, ha restituito
frammenti ceramici databili al periodo LT B1 (seconda metà del IV secolo a.C.). Più a sud delle
impronte in negativo sopra descritte, il paleosuolo US 303 era tagliato da una piccola trincea, 236,
forse pertinente alla parete perimetrale sud dell’edificio ligneo, che in questo caso consentirebbe di
definire la larghezza dell’edificio, di m 8. Il paleosuolo 303 era coperto dallo strato di limo sabbioso
228, interpretabile come livello di accrescimento, che ha restituito reperti del periodo G. III A3 e
un frammento di terra cruda probabilmente pertinente all’elevato dell’edificio, di dimensioni troppo
ridotte per poter stabilire se era riferibile a un mattone o a incannucciato16. Verso nord ovest si
trovava una buca circolare, forse asportazione di pozzo, 1195, che tagliava il terreno sterile ed era
riempita da strati di sabbia con ghiaia, ciottoli e carboni, 1183, databile in base ai reperti al periodo
LT B.
Nell’area a ovest (lotto 2) sono stati individuati elementi strutturali che suggeriscono la presenza
di almeno una fase di costruzioni in legno (B). Verso il limite sud ovest dello scavo erano tre
piccole trincee parallele orientate in senso nord ovest-sud est, 750, 752, 760. Il riempimento di
750, 749 conteneva ceramica del periodo G. III A3 e LT B. Una quarta piccola trincea, 756, aveva
andamento ortogonale alle precedenti. I riempimenti, di sabbia marrone grigiastro scuro, erano
16) Si veda il contributo di ROTTOLI in questo volume.
44
Fig. 8: Impronta in neg ativo della parete nord dell’edificio A (1362) (foto Archivio SAL).
Fig. 9: Impronta in negativo della parete nord dell’edificio A (1390) (foto Archivio SAL).
privi di reperti. Anche queste tracce in negativo, come le trincee nella parte a est dello scavo, sono
interpretabili come resti di pareti di legno, o a graticcio in legno e terra, poggianti su travi orizzontali.
Le pareti realizzate con queste tecniche non potevano avere vita molto lunga; è quindi probabile
che i resti, molto lacunosi a causa di interventi posteriori, siano pertinenti a fasi diverse. Non erano
conservati livelli d’uso, ma il piano di cantiere 757, tagliato da un buco per palo, alla quota assoluta
di m 116,30 s.l.m., ha restituito ceramica del periodo LT B (375-250 a.C.), ed è quindi coevo a
1374/70, che si trovava alla stessa quota, individuato presso l’edificio a est del lotto 3, tagliato
dalle trincee US 1393-1318.
I resti, molto frammentari per interventi posteriori, sembrano riconducibili ad un abitato
databile fra la metà del IV e la metà del III secolo a.C. e sono quindi pertinenti alla prima fase di
vita dell’oppidum celtico. Tracce di costruzioni dello stesso tipo, con buchi di palo e solchi per travi
orizzontali su cui poggiavano le pareti, sono state individuate a Milano nello scavo della Biblioteca
Ambrosiana17. Una datazione precisa delle strutture in negativo evidenziate nella sala sottofedericiana
della Biblioteca Ambrosiana, di alcune delle quali si può supporre un analogo inquadramento
cronologico nell’ambito dei periodi G. III A3-LT B, sarà però possibile solo dopo l’analisi e la
seriazione dei materiali rinvenuti.
Molto vasta è ormai la bibliografia sulle tipologie edilizie in legno e terra, diffuse in tutta
Europa in epoca protostorica18, alcune delle quali hanno avuto una lunga persistenza, fino al
periodo romano e oltre. Nel caso di via Moneta, le tecniche edilizie compatibili con le impronte
rimaste sul terreno dopo l’asportazione dei pali e delle travi orizzontali, costituite da buchi di palo
e da solchi di una larghezza massima di cm 30, possono essere ricondotte a due tipologie. Si tratta
sia di quella basata sull’uso esclusivo del legno19, con assi di legno per le pareti, poggianti su travi
alloggiate orizzontalmente nel terreno fissate da montanti verticali infissi nelle travi, sia di quella a
graticcio, l’opus craticium descritto da Vitruvio20 , caratterizzata dall’uso di un’intelaiatura lignea
poggiante su travi orizzontali, su cui si applicava uno spesso strato di argilla mista a paglia. La base
17) CERESA MORI 2010, pp. 96-97.
al contributo di ROTTOLI in questo volume.
18) Da Architecture de terre et de bois , AUDOUZEBUCHSENSCHUTZ 1989, ROTTOLI 1996, fino ai più
recenti: Architecture protohistorique; DE CHAZELLES 2003;
CRESNAR 2007; ANTONINI 2011; MAGUER-ROBERT
2013; CROCE et Al. 2014. Per un approfondimento rinvio
19) Sulle diverse tipologie degli edifici in legno e in legno
e terra si veda: RE NAR 2007.
20) Per un confronto tra i dati archeologici e le opere di
Vitruvio, Var rone e Ca tone: DE CHAZELLES 2003.
45
Fig. 10: Sintesi dei dati cronologici della fase IB.
delle pareti era costituita, in entrambi i casi, da travi dormienti con la funzione di isolare le pareti
dall’umidità21. Il frammento di terra cruda proveniente dall’US 228, livello di accrescimento relativo
all’edificio A,22 sembra indicare l’utilizzo di tecniche in legno e terra. Sulle caratteristiche dell’edificio
A, dato che non se ne può ricostruire la lunghezza totale, ma solo la larghezza, di circa m 8, e non
sono conservate le tracce dei supporti lignei della copertura, si possono solo fare delle ipotesi. La
sua planimetria sembra piuttosto semplice, rettangolare con suddivisioni interne, del tipo diffuso
nel nord Italia tra IX e IV secolo a.C., documentato a Padova 23, Este24, Oderzo25 e al Forcello di
Bagnolo S. Vito26.
La messa in opera di pareti in torchis su travi orizzontali è molto diffusa in Gallia, dove questa
tipologia risulta in alcuni siti prevalente dal I secolo a.C.27 ed il suo uso è stato attribuito da molti
studiosi all’influenza mediterranea28. Assente in questo contesto è l’uso di tegole, che compare in
Italia centrale probabilmente per influenza etrusca già dalla fine del VI secolo a.C.29. Ciò fa supporre
che tra il IV e il III secolo a.C. le coperture di questo tipo di edifici a Mediolanum fossero ancora in
legno, terra e paglia.
Il fossato. Nella parte settentrionale dello scavo il paleosuolo era alla quota di m 116,55 s.l.m.
Il primo strato antropizzato era 456/91 (fig. 11), direttamente a contatto con il paleosuolo, costituito
da una matrice di limo mediamente sabbioso di colore grigio scuro e di consistenza soffice, con
frammenti di carbone, ossa animali, concotto e frammenti ceramici. Lo strato si estendeva solo
per m 2×1,60, perché tagliato da interventi posteriori. La ceramica pertinente al periodo LT B1/
B2 e una dracma padana d’argento30 ne collocano la datazione tra la fine del IV e l’inizio del III
secolo a.C. Lo strato era anche tagliato da un buco di palo, US 455/91. Il fossato 457/91 (figg.
11 e 12) aveva una profondità massima di m 1,70. Più ad ovest è stato individuato un tratto del
suo lato sud, della lunghezza di m 2,20, non riconosciuto al momento dello scavo, durante
l’esecuzione di un saggio (B) per la posa di sottoservizi nel 199031. La sua larghezza complessiva
era di circa m 2,50. La parte rimasta del lato nord, quella meglio conservata, presentava una
pendenza di 55°, che aumentava fino a 70° verso il fondo, formando una canaletta con le pareti
rastremate, larga da cm 25 a cm 45 e profonda cm 45, con il fondo a sezione leggermente
arrotondata. A circa metà della parete nord era un allineamento di tre piccoli buchi di palo
paralleli alla sponda del fossato, sul cui fondo non c’erano evidenti tracce di sedimentazione,
21) Esempi di tali tecniche edilizie in Slovenia in RE NAR
2007, tipi 2 e 3, pp. 327-330; a Milano sono documentate nello
scavo della stazione Missori: BLOCKLEY-CAPORUSSO
1991, pp. 272-273.
26) DE MARINIS 1986, pp. 150-156.
27) VITALI-ZWALD 1998, p. 38; B ARRAL-GASTONVAXELAIRE 2011, pp. 100-103; MA GUER-ROBERT 2013,
p. 250.
22) ROTTOLI in questo volume.
28) DE CHAZELLES 2003, p. 24.
23) GAMBA-GAMBACURTA-SAINATI 2005, pp. 67-68,
72; PIRAZZINI 2005, p. 104.
29) MALNATI 1999,p. 179.
24) GAMBACURTA 2015, p. 85
30) Si veda ARSLAN in questo volume.
25) GAMBACURTA 2015, p. 84.
31) WHITE 1990.
46
Fig. 11: Planimetria dello strato 456/91 e del fossato 457/91 (dis. R. Mella Pariani).
47
Fig. 12: Sezione nord-sud del fossato 457/91(disegno M. Motto).
come se esso fosse stato mantenuto molto pulito durante l’uso. La buca 458/91/450/91 (fig. 11)
ha restituito reperti pertinenti al periodo LT B1 (IV secolo a.C.). Nella parte sud del cantiere erano
presenti suoli agrari privi di reperti, 420/91 e 461/91, che coprivano il paleosuolo 421/91.
In questo settore, gli interventi legati allo scavo del fossato, che costituiva una netta linea di
demarcazione tra una parte nord non indagata e una parte abitata a sud, sembrano aver cancellato
ogni evidenza relativa ai contesti del V secolo a.C. (fase IA), documentati nelle zone sud est e sud
ovest dello scavo. Tale fase appariva qui attestata solo da reperti ceramici residuali relativi al
periodo Golasecca III.
Fossati con caratteristiche simili a quelle sopra descritte, con o senza palizzate lignee al loro
interno, sono molto frequenti in Gallia, dove vengono ascritti a quattro principali categorie: fossati
drenanti, fossati destinati alla delimitazione dello spazio in un abitato, fossati di recinzione di aree
funerarie o di aree cultuali32. L’uso di fossati per delimitare santuari ed aree cultuali è ampiamente
documentato in Gallia33. Nei santuari, che cominciano a diffondersi dal III secolo a.C.34, il fossato
aveva la funzione di delimitare le aree consacrate alla divinità conferendo loro inviolabilità. La
tipologia di fossato con sezione a V documentata in via Moneta vi è assai largamente rappresentata.
Cito, ad esempio, il fossato del periodo LT D, con palizzata, di dimensioni analoghe a quello di via
Moneta, individuato a Lyon, Verbe-Incarné35, e quello rinvenuto a Aix-en-Provence, Terrain Coq36.
32) MALRAIN 2006, pp. 55-63.
33) Si veda un’ampia e approfondita rassegna in ARCELINBRUNEAUX et Al. 2003, pp. 1-268.
34) ARCELIN-BRUNEAUX et Al. 2003, p. 19 ss.
48
35) Anche questo fossato non presentava tracce di
sedimentazione: ARCELIN-BRUNEAUX et Al. 2003, pp.
156-157; FICHTL 2013-b, p. 437.
36) ARCELIN-BRUNEAUX et Al. 2003, pp. 220-221, fig. 128:c;
FICHTL 2013-b, p. 441 lo ritiene invece un limite di proprietà.
Fig. 13: Lato nor d del fossato e strati di riempimento (foto Ar chivio SAL).
Un’altra funzione del fossato consiste nel materializzare uno spazio all’interno di un abitato,
indicandone l’appartenenza ad una persona o ad un gruppo. Per trovare confronti con il fossato
di via Moneta nello stesso orizzonte cronologico del III-II secolo a.C., è necessario fare riferimento
agli abitati “aperti”, privi di fortificazioni, che sono stati recentemente indagati in molte regioni
della Gallia e sono da riferirsi ad un periodo cronologico precedente la comparsa degli oppida 37 .
L’uso di fossati come limiti di proprietà si generalizza in alcune zone della Gallia nel periodo
medio La Tène, in concomitanza con l’adozione di maglie catastali strutturate. Tale funzione può
associarsi a quella drenante. Fossati utilizzati come limiti di proprietà sono stati individuati in alcuni
abitati “aperti”38, che si sono trasformati in oppida dopo la metà del II secolo a.C. Ad esempio, nel
sito di Longueil-Sainte-Marie “Le Vivier des Grès” nella valle dell’Oise è emersa una rete organizzata
di fossati; un altro fossato simile a quelli di via Moneta circondava un’area quadrangolare con
edifici rurali a Val de Reuil in Normandia39; la presenza di fossati interni agli abitati è stata riscontrata
anche a Nanterre e a Saint-Gence40.
In Italia due fossati, con funzione rispettivamente di delimitazione e drenante, sono documentati
nella necropoli di Casalecchio di Reno (BO)41 e nella necropoli di Dormelletto (NO),42 entrambi
con caratteristiche simili a quello di via Moneta. A Brescia in uno scavo effettuato nell’area meridionale
di piazza Duomo è stato rinvenuto un fossato riempito con abbondante materiale ceramico
databile al II secolo a.C.43.
Più calzante risulta il confronto con i livelli protostorici di Padova, città con problematiche
37) Si vedano: NOUVEL 2009; BARRAL 2011; BARRALNOUVEL 2012; FICHTL 2013-a. Per una sintesi delle
ricerche sugli oppida ed il loro rapporto con gli abitati
aperti: FICHTL 2012.
affidata a palizzate, talora a portici: FICHTL 2013-a, pp. 1-6.
40) FICHTL 2013-a, pp. 11-12.
41) ORTALLI 1995, pp. 213-216.
38) MALRAIN 2000, pp. 179-195; IDEM 2006, pp. 55-63.
42) DEODATO 2009, pp. 24-26.
39) MALRAIN 2000, p. 56; MOREAU-GRANIER 2011, pp.
34-38, fig. 8. Nell’abitato di Manching all’inizio del II secolo
a.C. la strutturazione degli isolati di forma regolare è invece
43) ROSSI 1999, p. 94. Purtroppo non sono precisate la
tipologia e la datazione del f ossato.
49
vicine a quelle milanesi per l’altezza della falda in antico e la frequente necessità di opere di bonifica.
Sono documentati, con continuità per tutta l’età del Ferro, fossati maggiori e minori che disegnano
una rete a maglie larghe, in cui si inseriscono in modo coerente gli isolati44. Si possono citare i fossati rinvenuti,
già a partire dalla prima età del Ferro, negli scavi di piazza Castello 845, via S. Fermo46, Riviera
Ruzante Questura 47, via M. Cesarotti 1048, via degli Zabarella49.
Per concludere, sembra da scartare, almeno per il momento, l’ipotesi di un utilizzo del manufatto
come delimitazione di un’area di culto, a sostegno della quale l’indagine archeologica, che non ha
interessato l’area a nord del fossato, non ha fornito elementi.
Il fossato di via Moneta può invece essere ascritto con ogni probabilità alla categoria dei
fossati utilizzati come limite di proprietà, funzionali all’organizzazione degli spazi dell’oppidum e a
volte anche realizzati a scopo drenante, come quelli documentati in Gallia che ho citato sopra. Le
dimensioni dello scavo non consentono di precisare se il fossato di via Moneta fiancheggiasse un
tracciato stradale o svolgesse da solo la funzione di limite di proprietà.
In ogni caso, la presenza, nella fase successiva50, di una strada in ghiaia con lo stesso orientamento,
a poca distanza da esso a sud, sembra confermare l’interpretazione sopra esposta, in cui la funzione
di delimitazione di uno spazio interno all’oppidum si associa a quella di organizzazione di una maglia
urbana tramite una rete di fossati. Il confronto con altri siti suggerisce quindi l’ipotesi che già la
Mediolanum del III secolo a.C. presentasse un embrione di ordinata pianificazione urbana, poi
sviluppata nelle fasi successive, in cui i fossati svolgevano un ruolo importante.
Fase II (fig. 21, tav. 3 fuori testo)
Come nella precedente, anche in questa fase (fig. 14) la stratigrafia era molto lacunosa e frammentaria
a causa di interventi più recenti. Ciò non ha però impedito di individuare frequenti attestazioni di
attività di lavorazione del ferro e di leghe di rame, attività già presenti nel sito nella fase precedente
(IV-III secolo a.C.), ma su una superficie limitata, mentre a partire dal II secolo vengono impiantati
atelier metallurgici su un’area molto vasta. Si presenta qui un panorama complessivo della stratigrafia,
rinviando al contributo di Costanza Cucini per un approfondimento su tali atelier, sulla loro
distribuzione, articolazione funzionale e evoluzione nel corso del tempo.
La caratteristica più saliente del deposito archeologico relativo a questa fase è un continuo
alternarsi di sottili piani d’uso e di livelli di frequentazione e preparazione, che sembrano indicare
attività di rifacimento, reiterate a brevi intervalli di tempo, di strutture realizzate in materiali deperibili
che necessitavano di continui risarcimenti.
Tracce di insediamento con strutture in legno e focolari. Nella parte est del lotto 1 il
deposito archeologico era pesantemente compromesso da interventi posteriori. Rimanevano
soltanto cinque isole di stratigrafia fisicamente separate tra loro, tre delle quali vengono descritte
separatamente per mancanza di collegamenti sicuri tra di esse. La stratigrafia dell’isola C, in cui in
particolare lo strato 188, riempimento della buca 231, era contaminato da intrusioni moderne,
non risultava affidabile.
Isola A. Si tratta di una piccola isola di stratigrafia di circa m 1,20×0,60, che non permetteva
nessuna interpretazione certa. Tutti gli strati erano caratterizzati da una matrice di limo sabbioso.
Lo strato più basso, 256, privo di reperti, di colore grigio con numerosi frammenti di carbone e
qualche ciottolo, era coperto dal livello d’uso 241 (fig. 15), marrone chiaro con le stesse
caratteristiche del precedente, dello spessore massimo di cm 10. Sulla sua superficie era il resto di
un probabile focolare, 237A, costituito da una lente di argilla cotta, di forma circolare, coperta da
44) GAMBA-GAMBACURTA-RUTA SERAFINI-BALISTA
2005, p. 25. RUTA SERAFINI 2015, p. 78. Manca purtroppo
la descrizione della tipologia dei fossati.
47) PIRAZZINI 2005, pp. 91-94, fig. 107.
45) PIRAZZINI 2005, pp. 80-82.
49) PIRAZZINI 2005, pp. 48-52.
46) BALISTA 2005, pp. 83-84.
50) Vedi infra.
50
48) SAINATI 2005, p. 97.
Fig. 14: Sezione nord ovest-sud est del lotto 3 (disegno B. Howes).
51
un piccolo strato di limo sabbioso grigio con abbondanti carboni. Lo strato 241 era coperto da
232, grigio marrone con ghiaia media, di funzione incerta, tagliato dalla buca 208/229, anche
questa di incerta funzione, il cui riempimento ha restituito frammenti di anfore Lamboglia 2 (fine
II secolo a.C.-30/20 a.C.).
Isola B. Lo strato 226/266 della fase IA era coperto da 257, livello di accrescimento databile
alla prima metà del I secolo a.C. in base ai reperti, ed era tagliato da due trincee ortogonali tra
loro, a sezione rettangolare con pareti verticali e fondo piatto: 252 e 255, con orientamento
rispettivamente est ovest e nord sud, probabili tracce in negativo di una struttura in legno non
altrimenti documentata. Il loro riempimento, 251, composto da limo marrone con chiazze di
limo grigio, carboni e frammenti di malta, ha restituito reperti ceramici riferibili al periodo La
Tène D1 (prima metà del I secolo a.C.). Le trincee erano coperte da un livello d’uso di ghiaia
media in matrice limosa molto compatta, 246, databile al periodo La Tène. Lo strato 257 era
interessato da tre buche di difficile interpretazione e coperto dallo strato 207, databile al LT D.
Lo strato 176, riempimento della buca 177, che tagliava lo strato 226, ha restituito frammenti
di anfore Lamboglia 2, databili tra la fine del II secolo a.C. e il 30/20 a.C., e ceramica comune
dello stesso periodo.
Isola D. La fase era documentata da una serie di buche di scarico di materiale bruciato, concotto,
carbone, ceramica e rifiuti organici. Tra queste si segnalano la buca 71/70, con ceramica comune
della metà del I secolo a.C., ceramica a vernice nera del secondo e terzo quarto del I secolo a.C.,
anfore Dressel 2-4 (seconda metà I secolo a.C.) e una probabile moneta celtica Leuci di zecca
incerta, e le buche 218-217, 194-195 con ceramica comune LT D1, databili al I secolo a.C. Lo
strato 194, riempimento di 195, conteneva anche ceramica a vernice nera della prima metà del
I secolo a.C. e anfore Lamboglia 2 e Dressel 1 (ultimo terzo del II secolo a.C.). Il riempimento
194C della stessa buca conteneva un vago ricavato da vertebra di pesce e uno stilo in osso
(I secolo a.C.), il riempimento 194B un bicchiere di forma Marabini III (I secolo a.C.).
Isola E. Il paleosuolo 303 era tagliato da una piccola buca, 306, il cui riempimento era privo di
reperti, coperta da un livello d’uso, US 301, composto da sabbia limosa marrone grigiastra, con
inclusioni di ghiaia media e carbone, databile al I secolo a.C., che conteneva un fondo di tegame
a vernice rossa interna (I secolo a.C.). Sulla superficie era la traccia di un piccolo focolare, costituita
da una zona bruciata di forma circolare rosso mattone con abbondanti carboni. Sopra si è depositato
un livello di accrescimento, 294, che conteneva reperti residuali del periodo LT C2 (180-120 a.C.),
costituito da sabbia debolmente limosa di colore grigiastro con carboni, ciottoli e frammenti di
laterizi. Esso era tagliato dalla buca 287/282, databile in base ai reperti alla seconda metà del
I secolo a.C. Al di sopra veniva steso lo strato 274, un livello d’uso in ghiaia entro matrice di
sabbia fine limosa di colore giallo con macchie carboniose. Lo strato era tagliato da un piccolo
buco di palo e dalla buca 267/276, il cui riempimento ha restituito materiale ceramico databile al
periodo LT D e ceramica a vernice nera della prima metà del I secolo a.C. Più a est lo strato 286
della fase IB era coperto da un livello d’uso, 277, composto da limo sabbioso giallo con noduli e
patine di ferro ossidato, scarsi ciottoli e carboni. Era probabilmente uguale a 243, che copriva lo
strato 274. Sopra lo strato 243 poggiava un muretto, 253, costituito da un filare di ciottoli accostati
senza legante, largo cm 60 e lungo almeno cm 60. I ciottoli presentavano segni di fuoco sul lato
est. Doveva trattarsi probabilmente di un resto di sostegno di una trave di legno orizzontale,
pertinente ad un muro in tecnica a graticcio. A ovest del muro era lo strato 210, di limo marrone
grigiastro con chiazze di limo giallo, probabilmente in fase con 247=239, strato di limo scuro che
si appoggiava al muretto 253 verso ovest. Su 210 si depositavano due piani di calpestio, 209 e
204, rispettivamente in limo sabbioso giallastro e in ghiaia, che venivano coperti da un terzo livello
d’uso, 189, di analoga matrice, di colore grigiastro. Lo strato 210 ha restituito reperti riferibili al I
secolo a.C., tra cui ceramica a vernice nera.
Lo strato 247 era coperto dal livello d’uso di area aperta 230, di limo giallo compatto. Lo
strato di ghiaia 174, probabile livello d’uso di area aperta, copriva il muro 253 e lo strato 230, ed
è databile al I secolo a.C. Lo strato presentava tracce di un piccolo focolare, 97.
Come si è visto, le isole stratigrafiche D ed E poggiavano direttamente sullo sterile. Ciò fa
52
Fig. 15: Livello d’uso 241 con r esto di focolare 237A (foto Archivio SAL).
Fig. 16: Pavimento o piano di lavorazione 521 (f oto Archivio SAL).
supporre che l’intervento di ristrutturazione effettuato in quest’area tra la fine del II e il I secolo
a.C. abbia cancellato ogni traccia dell’insediamento più antico pertinente sia al periodo G. III A (V
secolo a.C.), sia al periodo LT B (IV-III secolo a.C.). Si tratta di un fenomeno diffuso in Italia
settentrionale, registrato ad esempio a Brescia51 e in altri centri della Cisalpina orientale, dove i
lavori di riassetto dei centri indigeni, nella fase di adeguamento ai modelli urbanistici romani,
hanno pesantemente compromesso o del tutto cancellato le testimonianze più antiche52.
Tracce di attività metallurgiche a sud ovest. Nella parte est del lotto 1 sono state individuate
testimonianze di attività per la lavorazione del ferro, nella stessa zona in cui esse erano già state
riconosciute nella fase precedente. La serie di buche di scarico della fase I era coperta dallo strato
520, di sabbia limosa grigio scuro con grumi giallastri, con abbondanti frammenti di carbone e
cenere. Esso ha restituito reperti ceramici del periodo LT C/D (250-120 a.C.). Lo strato presentava
una pendenza da est verso ovest dovuta a una buca sottostante, 550, e una concentrazione di
ciottoli nella zona nord per regolarizzare l’area sopra la buca. La buca 550/549, che tagliava lo
strato 586 (fase IB), e il cui riempimento era composto da cinque strati, conteneva un frammento
di armilla in vetro databile al LT C2. Lo strato 520 era coperto da 521 (fig. 16), pavimento o
piano di lavorazione molto compatto di limo giallo oro, che ha restituito un frammento del
periodo LT C/D, ed era tagliato da una serie di piccoli buchi di palo, interpretabili come tracce di
una struttura leggera, forse orientata in senso nord est-sud ovest. La grossa buca 540/541, di cm
80 di diametro, interpretata dagli scavatori come buco di palo ma forse riferibile ad un
alloggiamento di un ceppo per incudine, conteneva materiale residuale del periodo G. III A. Lo
strato era coperto dal livello 515, di frequentazione/accrescimento con ciottoli e abbondanti noduli
di ferro ossidato, rari carboni e scorie di ferro, che era databile probabilmente al periodo LT D1.
Lo strato 545 era tagliato dalla trincea 510/512, orientata in senso nord ovest-sud est, con
pareti subverticali e fondo piatto, databile al I secolo a.C., probabile traccia in negativo di una
trave orizzontale che tagliava anche lo strato 520. Lo strato 545 era inoltre tagliato da un buco di
palo di forma subcircolare, con pareti leggermente inclinate verso il fondo, con riempimento in
ghiaia in matrice limosa giallastra. Lo strato 515, la trincea e il buco di palo erano coperti dallo
strato 506, livello di frequentazione in limo sabbioso grigio scuro con abbondanti frammenti di
carbone, che conteneva materiale ceramico residuale. Esso era interessato dalla presenza di due
focolari, 477 e 479, resti di attività metallurgiche.
51) ROSSI 1998, pp. 88-95.
52) CERESA MORI 2001, p. 365, nota 18 con bibliografia.
53
Il focolare 477, di cm 40×70, aveva forma approssimativamente circolare ed era costituito da
abbondanti frammenti di laterizi in matrice di limo bruciato. Dal focolare 479, di cm 40×60,
distante dal primo cm 90, quindi destinato ad un’attività metallurgica complementare al precedente,
provengono anfore Dressel 1 e Lamboglia 2 riferibili al I secolo a.C. La parte ovest di 515 era
coperta da un livello d’uso, 509, che conteneva materiale residuale del periodo G. III A3, a sua
volta coperto dal livello di frequentazione 509A, che presentava sulla superficie un piano d’uso
ricco di carboni, 480, con intorno uno strato di dispersione con ceneri e carboni in cui erano
tagliati due piccoli buchi di palo. Al di sopra di esso viene impiantato un terzo focolare, 504,
costituito da limo rubefatto, distante circa cm 80 dal focolare 479. Essi erano coperti da un nuovo
livello d’uso 493, di ghiaia media in matrice sabbiosa giallastra, spesso circa cm 10, che presentava
all’estremità est i resti di un altro piccolo focolare costituito da concotto coperto da un sottile
strato di carbone. Lo strato 493 conteneva frammenti ceramici ridepositati del LT C (250-120 a.C.).
Costruzioni in legno (I secolo a.C.) e tracce di attività metallurgiche. Zone nord
ovest e est. A nord della stratigrafia sopra descritta, nel lotto 2 era un’altra piccola trincea, 848,
orientata nord ovest-sud est. Il suo riempimento, 847, di sabbia e ghiaia fine di colore marrone
verdastro, conteneva ceramica del periodo LT D1. A est di 848 erano due grandi buchi per palo
disposti, con la trincea 848, secondo un allineamento nord ovest-sud est. Il primo, 856, era di
forma quadrata, di cm 80 di lato; il suo riempimento, 855, conteneva ceramica a vernice nera
della prima metà del I secolo a.C. e ceramica comune del I secolo a.C. Il secondo, 845, era di
forma semicircolare con diametro di cm 60. Vari altri buchi di palo, la cui distribuzione non era
significativa, erano coperti da una serie di strati di ghiaia fine con qualche frammento di carbone,
tra cui lo strato 744, forse un livello d’uso, è databile al periodo LT C.
Nella zona a nord est del lotto 3 la stratigrafia conservata (fig. 14) era caratterizzata da livelli di
spessore maggiore, che presentavano tracce di attività per la lavorazione del ferro e di leghe a
base di rame. Due strati erano composti da sabbia e ghiaia di colore marrone: il piano di calpestio
dell’atelier, 1354, che conteneva ceramica LT C e ceramica a vernice nera della prima metà del
I secolo a.C., e il soprastante livello di accrescimento 1341 (fig. 17), che conteneva la parte inferiore
di un’anfora infissa verticalmente e riempita di concotto, cenere, carboni, che presentava al suo
interno una piccola concrezione costituita principalmente da ferro. Lo strato ha restituito un altro
frammento di anfora della stessa tipologia, con all’interno una concrezione costituita da ferro e
leghe di rame. L’anfora53 aveva un uso secondario probabilmente come contenitore di acqua o
sabbia usate per la lavorazione dei metalli. Nel piano d’uso erano scavati nove piccoli buchi di
palo, cinque dei quali avevano andamento subcircolare ed erano forse riferibili ad un tramezzo
interno.
Ugualmente riferibili alle attività metallurgiche sembrano i due strati successivi, sempre a matrice
sabbiosa con abbondanti carboni, 1322, che ha restituito ceramica del periodo LT D2 (50-30
a.C.), un bicchiere a pareti sottili (II-I secolo a.C.), un bracciale in vetro porpora del periodo LT
D, scorie di ferro e scarti di lavorazione del bronzo, e 1307, livello di accrescimento con ceramica
del periodo LT D2 (70/60-30 a.C.) e un bicchiere a pareti sottili del II-I secolo a.C., abbondanti
carboni, scorie di ferro e scarti di bronzo. Esso era coperto da un piano di calpestio con la stessa
matrice, 1300.
Si registrava un’alternanza di livelli di calpestio e livelli di frequentazione quasi totalmente privi
di reperti. Nell’angolo sud est del lotto si trovava un blocco lungo e stretto di stratigrafia ben
conservata che sembrava pertinente a pavimenti, livelli di frequentazione e strutture in legno. Lo
strato 1359=1360=1365=1367=1403 era uno scarico di materiali a matrice sabbioso-ghiaiosa
con inclusioni carboniose, che copriva in parte lo strato 1366=1368, piano d’uso a matrice sabbiosa
di colore giallo. Esso era coperto da uno strato di limo sabbioso grigio nerastro con carboni,
1357=1358=1398, probabile livello di frequentazione databile al LT C, a sua volta coperto da un
altro livello di calpestio di sabbia limosa, 1349=1352=1353=1394=1397. Lo strato 1349 ha
restituito reperti del periodo LT D. In questo strato erano tagliate due trincee: 1387/1391, orientata
nord est-sud ovest, databile alla seconda metà del I secolo a.C., e 1330/1331, con lo stesso
53) Si veda CATTANEO-DOBREVA in questo v olume.
54
Fig. 17: Livello di accrescimento 1341 con anfora inf issa verticalmente (foto Archivio SAL).
Fig. 18: Muretto 1313 e r esto di focolare di forgia 1311 (foto Archivio SAL).
orientamento, che la tagliava e che ha restituito ceramica del periodo LT D2. Il riempimento di
1387/1391 conteneva ceramica a vernice nera della prima metà del I secolo a.C. e ceramica
comune del periodo LT D2. Il livello di calpestio 1349=1397 era a sua volta coperto dallo strato
di frequentazione 1348=1351=1386. Il pavimento 1378 che lo copriva, compatto in ghiaia in
matrice sabbiosa giallastra, era coperto dal livello di accrescimento carbonioso 1346, in cui veniva
scavata la piccola trincea 1329/1326, orientata come le precedenti, di forma ovoidale, che ha
restituito ceramica del periodo LT D2 (seconda metà del I secolo a.C.), carboni, scorie, ugelli,
chiodi di ferro e scarti di bronzo, interpretabile come focolare di forgia. Al di sopra di questi strati
venivano realizzati i pavimenti 1323 e 1316, molto simili, di sabbia limosa e ghiaia. Lo strato 1323
era tagliato da una struttura formata da due corsi di ciottoli senza legante, 1313 (figg. 18 e 14), di
cm 60×45, alta cm 18, e molto simile alle due strutture in ciottoli evidenziate nel lotto I, 253 e 519,
probabili sostegni di travi orizzontali, con le quali sembrava essere in fase. Il pavimento 1323 era
anche tagliato, a ridosso del muretto 1313, dalla buca ovoidale 1311/1308, interpretabile come
focolare di forgia, il cui riempimento, 1308, conteneva, oltre a materiali di distruzione delle sue
pareti e della sua copertura, un bicchiere Marabini I (II-I secolo a.C.), anfore Dressel 1 e Lamboglia
2, ceramica comune LT D2, ed è quindi databile alla seconda metà del I secolo a.C. La buca
situata a ridosso del muretto 1313, US 1306/1302, scavata probabilmente dopo il disuso della
forgia 1311, conteneva una moneta di Roma repubblicana della zecca di Roma, databile a partire
dal 215 a.C., un bicchiere di forma Marabini III, ceramica a vernice nera del II secolo a.C.,
polvere di scorie e strati di cenere, e si data al I secolo a.C. Il suo riempimento era uno scarico di
un focolare di forgia non conservato.
Tracce di attività metallurgiche nella zona est. La zona nord del lotto 3 era interessata da
una serie di buche intersecantisi, probabilmente fosse di scarico con carboni e scorie, da connettersi
con attività metallurgiche, inquadrabili, in base ai materiali che hanno restituito, nell’ambito del
I secolo a.C. Una buca circolare con pareti verticali, 1182/1186, profonda cm 90 e di m 3,50 di
diametro, interpretabile come asportazione di un pozzo, copriva la fossa di costruzione circolare
dello stesso pozzo, non sappiamo se in legno o in laterizi, 1188/1189. La buca era stata riempita
con lo strato 1182, costituito da materiale bruciato e scorie con ceramica a vernice nera della
prima metà del I secolo a.C. La parte superficiale del riempimento, 1182A, al limite sud est, era
un’area subcircolare di terra bruciata rossa circondata da terra bruciata marrone, interpretabile
come focolare di forgia, posto sopra uno scarico di materiale di forge precedenti. Sopra il
riempimento 1182 si individuavano quattro buchi di palo di funzione incerta.
Nel settore sud-est del lotto 3 si individuava il taglio per l’asportazione di un secondo pozzo,
1148/1151, di forma circolare, profondo m 1,75, il cui riempimento conteneva bicchieri del
55
I secolo a.C., anfore Lamboglia 2 della prima metà del I secolo a.C., vernice nera del secondo e
terzo quarto del I secolo a.C., ceramica comune LT D1 (125-75/50), sotto il quale era il taglio di
forma quadrata per la costruzione del pozzo, 1177/1176, probabilmente ligneo, collocabile
nell’ambito del I secolo a.C. Esso tagliava la buca 1196/1187, il cui riempimento conteneva uno
stilo in osso (I secolo a.C.), bicchieri a pareti sottili del I secolo a.C. e vernice nera del secondo e
terzo quarto del I secolo a.C.
Le buche tagliavano il terreno sterile fino ad una quota di m 114,50 s.l.m. e al di sopra di esse
veniva individuata un’altra grossa buca rettangolare, 1147 (m 2,40×1,60×0,90 di profondità), che
presentava una sequenza di riempimenti, caratterizzati da una matrice sabbiosa. Il più antico, 1145,
che ha restituito ceramica a vernice nera della prima metà del I secolo a.C., anfore Lamboglia 2 e
Dressel 1 e ceramica comune LT D1, era composto da più strati di sabbia carboniosa gialla con
abbondanti scorie di ferro e scarti della lavorazione del bronzo; lo copriva 1139, strato marrone
grigiastro con lenti di carbone, laterizi, scorie e scarti della lavorazione del bronzo e del ferro,
ceramica LT D1 (125-75/50 a.C.) e vernice nera del secondo e terzo quarto del I secolo a.C.,
databile al I secolo a.C., coperto a sua volta da 1135, che ha restituito, oltre alla ceramica riferibile
al LT D1, anfore Lamboglia 2 e Dressel 1, vernice nera della prima metà del I secolo a.C., una
staffa di fibula di schema medio La Tène (II-prima metà del I secolo a.C.) e una scoria con parte
di parete del focolare. Si trattava chiaramente di uno scarico di rifiuti di attività legate alla lavorazione
dei metalli, tra cui particolarmente significative sono le scorie a calotta presenti nello strato 1145,
sigillato con materiale più pulito. La datazione dello scarico si colloca nella prima metà del I
secolo a.C. per la presenza di anfore e ceramica a vernice nera con questa cronologia negli strati
1135, 1139, 1145. Il riempimento della buca 1135 era tagliato da un piccolo fondo di forgia,
1137, di circa cm 50 di diametro, che segnala una ripresa delle attività metallurgiche nello stesso
sito dove erano state scaricate le scorie di precedenti forge. Doveva trattarsi di una fornace di
riscaldo per lavori di fucina tagliata nel terreno, contenente i residui del suo uso coperti da materiale
proveniente dalla sua stessa distruzione, databile, in base alla ceramica comune che ha restituito,
alla prima metà del I secolo a.C. Lo strato 1208 (fig. 19), che copriva e circondava la fornace,
composto da sabbia sciolta verde con limo bruciato e carboni, conteneva due anfore Dressel 1
poste orizzontalmente e segate longitudinalmente per essere utilizzate come contenitori di acqua o
sabbia nell’ambito delle lavorazioni metallurgiche effettuate nel focolare 1137.
Tracce di frequentazione e struttura in legno nella zona nord ovest. Nella parte nord
ovest del lotto 4 rimanevano due isole di stratigrafia: la prima, nell’estremo angolo nord del lotto,
aveva un’estensione massima di circa 10 mq, ma è stata indagata, per ragioni tecniche, solo con un
saggio di circa 3 mq. Il saggio ha evidenziato la presenza di alcuni livelli di frequentazione/
accrescimento, uno dei quali, 2038, è databile al periodo LT C; lo strato 2022 di sabbia limosa con
qualche ciottolo, di funzione incerta, che ha restituito un frammento di ceramica a vernice nera
della prima metà I secolo a.C. e ceramica comune LT C/D, era anch’esso databile tra la fine del
II e la metà del I secolo a.C.
La seconda isola di stratigrafia si trovava al limite sud ovest dello scavo. È stato identificato un
livello d’uso, 2017, di ghiaia in matrice di sabbia, su cui era un piccolo focolare costituito da una
lente di limo sabbioso cotto. Nella parte est era una serie di sottili livelli d’uso molto tagliati ed
irregolari, il primo dei quali, 2016, che conteneva ceramica a vernice nera, in limo sabbioso con
abbondanti carboni e qualche frammento di laterizio, è databile al I secolo a.C.
Nella parte centrale è documentata una serie di strati per lo più a matrice limosa con ghiaia in
percentuale variabile, estremamente lacunosi, con buchi per palo, impronte e buche irregolari,
privi di informazioni utili sulla loro funzione, con riempimenti databili al I secolo a.C. tra cui si
segnalano lo strato 2013, che conteneva una moneta di Roma repubblicana (Vittoriato suberato
della Zecca di Roma, dal 213-212 a.C.)54 e ceramica a vernice nera del secondo/terzo quarto del
I secolo a.C., lo strato 2064, che ha restituito ceramica comune del periodo LT D2 e anfore
ovoidali adriatiche (metà II secolo a.C.-età augustea) e lo strato 1996, che conteneva ceramica a
54) Si veda il contributo di ARSLAN in questo volume.
56
Fig. 19: Strato 1208 con anfore segate (foto Archivio SAL).
Fig. 20: Mur etto 1944 (foto Archivio SAL).
vernice nera del II e prima metà del I secolo a.C., ceramica comune del periodo LT D1, anfore
Lamboglia 2, uno stilo in osso del I secolo a.C., una fibula LT C2 (175-120 a.C.) e un bicchiere di
forma Marabini I-III.
Una fase di distruzione o abbandono di attività era rappresentata su gran parte dell’area da una
serie di livelli di limo molto sabbioso, grigiastro, a volte arancione per l’azione del fuoco, con
ghiaia e abbondanti carboni: 2021=2043=2031=1991=1939. Gli strati 2043, 2031 e 1991
contenevano ceramica a vernice nera del I secolo a.C. Lo strato 2021 ha restituito ceramica a
pareti sottili del I secolo a.C., ceramica comune della fine del I secolo a.C. e conteneva scorie
anche di grandi dimensioni. La concentrazione di laterizi sopra lo strato 2021, 2021A suggerisce
la presenza di un focolare di forgia. Le evidenze erano modeste, i buchi per palo irregolarmente
distribuiti. Si trattava probabilmente di un’area aperta, o di un’area coperta in cui non sono state
individuate le strutture che la delimitavano, che attesta l’ultima fase di attività metallurgiche nella
zona indagata.
Nella zona nord ovest, sopra una serie di buche e strati di scarso significato, tra cui 1958 e 1963
contenevano ceramica a vernice nera riferibile al II secolo a.C., era un focolare di forma
subrettangolare, 1942/1943, di cm 96×123, una buca con fondo leggermente concavo, delimitato
da un muretto ad angolo in laterizi frammentari, ciottoli e grossi pezzi ceramici legati da limo
argilloso giallo, 1944 (fig. 20), che conteneva frammenti di anfore Lamboglia 2 (prima metà del I
secolo a.C.) con incrostazioni metalliche. Al muretto era probabilmente connesso un breve tratto
di livello d’uso in limo argilloso giallo, 1947, in cui era scavato il focolare, che copriva lo strato
1963. La datazione di queste strutture alla prima metà del I secolo a.C. è suggerita anche da una
moneta celtica padana insubre della zecca di Milano della seconda metà del II secolo a.C., rinvenuta
nello strato 1963.
Il riempimento del focolare 1943 conteneva scorie metalliche in matrice di limo sabbioso con
carboni e un bicchiere a pareti sottili di forma Marabini I-III (II-I secolo a.C.). A sud ovest del
muretto 1944 il livello di distruzione 1939 era tagliato da un’altra buca, 1929/1928, di notevoli
dimensioni, il cui riempimento ha restituito uno stilo in osso, databile al I secolo a.C. Una terza
buca, 1948/1949, conteneva materiale combusto e bicchieri di forma Marabini I-III del II-I
secolo a.C. La buca quadrangolare 1905/1906 conteneva ossa animali e ceramica del periodo LT
D. Gli strati soprastanti erano sottili livelli d’uso limo-sabbiosi gialli di consistenza compatta, forse
piano di calpestio di un edificio di cui non si sono recuperate tracce di strutture. Lo strato 1896
conteneva scorie ed è interpretabile come livello d’uso delle forge. Le buche 1921/1920 e 1964/
1965 sono databili al I secolo a.C. Il riempimento 1964B conteneva una fibula di schema medio
La Tène (II secolo a.C.), un bicchiere a pareti sottili di forma Marabini I-III del II-I secolo a.C.,
57
anfore Lamboglia 2, ceramica a vernice nera della prima metà del I secolo a.C. e ceramica comune
La Tène D. Sopra lo strato 1964 era una serie di strati, 1877, 1838 e 1879, che hanno restituito
scorie di ferro e di bronzo.
Area orientale. La fase era qui rappresentata da una serie di livelli d’uso non connessi con
evidenze strutturali; poteva quindi trattarsi di una zona esterna priva di costruzioni. Una buca,
1795, isolata verso il limite nord dello scavo, tagliava il paleosuolo. Essa aveva forma subrettangolare, aveva probabilmente la funzione primaria di cava di sabbia sterile, era profonda m 1
e il suo riempimento, 1792A e B, era costituito da limo marrone nerastro con ciottoli che mostravano
i segni del fuoco. Il riempimento era riferibile ad uno scarico di materiale bruciato, proveniente da
un incendio, ed era databile al periodo LT D. La buca era sigillata da uno strato di sabbia gialla
compatta, 1794. A nord ovest della buca era una piccola isola di stratigrafia costituita da una
sequenza di sottili livelli d’uso privi di reperti. L’ultimo era tagliato da una piccola buca, 1791/
1790, il cui riempimento, di limo sabbioso marrone grigiastro con carboni, ha restituito materiale
ceramico del periodo La Tène. La sequenza di livelli d’uso era coperta da uno strato molto
omogeneo e ricco di materiale organico, 1783, dello spessore di cm 30/35; verso est gli strati
1760 e 1612, con le stesse caratteristiche, coprivano direttamente il paleosuolo. Poteva trattarsi di
un livello di accrescimento, che ha restituito materiale ceramico del periodo LT C1, un bracciale di
vetro blu LT C1 (280-180/175 a.C.) e ceramica a vernice nera della seconda metà del III-II
secolo a.C., e si data quindi al periodo LT C.
Questo livello era coperto verso est da una serie di livelli d’uso. Il primo, 1727, databile alla
fine del I secolo a.C., ha restituito un’anfora Lamboglia 2, materiale ceramico La Tène e a vernice
rossa interna ed era composto da abbondanti ghiaie e ciottoli che facevano pensare al piano di
calpestio di un’area esterna. Esso era a sua volta coperto da un altro livello con le stesse caratteristiche,
1707, che conteneva ceramica a vernice nera e anfore Lamboglia 2. A ovest proseguiva con lo
strato 1759. Un ulteriore livello d’uso in ciottoli, 1649, databile al I secolo a.C., copriva lo strato
1707 nella parte centrale e a sud. Probabilmente si trattava anche in questo caso di un livello d’uso
di area aperta con abbondanti ciottoli. La parte nord di 1707 era coperta dallo strato 1686, composto
da sabbia limosa, laterizi, carboni, che ha restituito bicchieri a pareti sottili del I secolo a.C.
Come si vede da quanto esposto sopra, l’area doveva essere interessata in questo periodo da
una serie di atelier per la lavorazione del ferro e di leghe di rame, organizzati in un quartiere. Con
tutte le cautele dovute alla lacunosità dei ritrovamenti, anche in base alla frequente attestazione di
piccoli focolari a breve distanza l’uno dall’altro sembra ragionevole supporre che il quartiere si
estendesse su tutta la superficie dello scavo in un arco cronologico compreso tra la prima metà
del I secolo a.C. e l’età augustea55.
Abbandono e riempimento del fossato. Strada glareata. In questa fase si registra una
radicale trasformazione dell’assetto del sito. Il fossato è colmato dal riempimento 444/91 (figg.
12-13), di limo poco sabbioso omogeneo, mediamente compatto, di colore marrone scuro, che
sembrava essere stato depositato in un periodo piuttosto breve. Sul fondo del fossato non c’erano
evidenti tracce di sedimentazione, come se fosse stato aperto per un periodo di tempo relativamente
breve, o fosse stato mantenuto pulito durante l’uso. Il materiale rinvenuto nel riempimento, ceramica
comune LT C1, LT C2 e a vernice nera della fine del II-inizio del I secolo a.C., e un frammento
di maschera fittile del I secolo a.C., suggerisce per il disuso e riempimento del fossato una datazione
tra il II e l’inizio del I secolo a.C.
Nella zona nord del sito, successivamente al riempimento del fossato, si deposita uno strato di
livellamento, 408/91 a est e 439/91 a ovest. Lo strato 408/91 era a matrice di limo sabbioso
bruno giallastro con chiazze di sabbia giallastra di consistenza mediamente compatta. Lo strato
439/91, di limo misto a sabbia fine di colore grigiastro con pochi ciottoli e chiazze color ruggine,
con ceramica comune LT B2-C1, era una preparazione per il piano di calpestio 389/91, un livello
pavimentale di limo sabbioso giallastro che copriva lo strato 408/91. Il piano di calpestio presentava
55) Si veda il contributo di CUCINI in questo volume.
58
Fig. 21: Sintesi dei dati cronologici della fase II.
59
Fig. 22: Piano stradale in ghiaia 442 (f oto Ar chivio SAL).
in superficie tracce di piccoli focolari costituiti da zone di bruciato rosso-arancione con
addensamento di carboni. Lo strato 439/91 era tagliato da un’impronta in negativo riferibile ad
una trave orizzontale, pertinente ad un edificio in legno probabilmente connesso al piano d’uso
389/91. Si trattava di una trincea, 388/91, con andamento nord nord-ovest sud sud-est, visibile
per cm 65 e larga cm 40, che verso nord ovest proseguiva oltre il limite del cantiere. La costruzione
conservava lo stesso orientamento seguito dal fossato della fase precedente. Il taglio US 388/91
sembra collegarsi con un piccolo buco di palo, 393/91-392/91, che tagliava il piano d’uso 389/
91. Appena a sud del taglio 388/91, cioè all’esterno dell’edificio, è uno strato di carbone e ceneri,
433/91, probabile scarico di materiale combusto forse proveniente da focolari domestici, databile
al I secolo a.C., in base alla ceramica a vernice nera che ha restituito.
Anche la parte meridionale dell’area ha subito una radicale trasformazione. L’area aperta,
forse ad uso agricolo, costituita dagli strati 420 e 461 della fase precedente, è stata coperta da
un acciottolato, 419 e 453, a quota m 116,85/116,90 s.l.m. Nell’angolo sud ovest era un altro
strato di ghiaia e ciottoli spianati, 442 (fig. 22) con scorie, equivalente agli strati 419 e 453, che
proseguiva oltre i limiti dello scavo. Lo strato, a quota 116,99/117,10 s.l.m., era tagliato a metà da
un intervento recente ed era intaccato da tagli posteriori anche a nord e a est (fig. 23). Verso sud
est il livello di ghiaia proseguiva con gli strati 1110/1171, in matrice sabbiosa, di consistenza dura,
contenenti scaglie di laterizi e carboni, e 1304, con le stesse caratteristiche, che conteneva scorie
metalliche.
Doveva trattarsi di un’area aperta, che, anche se non è stato possibile individuarne i limiti,
sembra verosimile interpretare come una strada. Questa strada glareata rappresenta probabilmente
il tracciato più antico, in ghiaia, di quella che sarà la strada lastricata romana della fase V (I secolo
d.C.), il cui percorso verrà poi ricalcato, con asse variato di circa 10° verso sud, dall’attuale via
Moneta. Mancava purtroppo completamente il limite nord dell’acciottolato, e non è quindi stato
possibile stabilire quale fosse il rapporto tra la strada e l’edificio sopra descritto. La strada riprendeva
l’orientamento nord ovest-sud est del fossato della fase precedente.
Successivamente si assiste al rifacimento del piano d’uso 384/91 nella parte settentrionale del
sito e ad un graduale accumularsi di detriti e terra sopra l’acciottolato a sud (452/91, 419/91,
60
Fig. 23: Piano stradale in ghiaia 442 (disegno M. Motto).
432/91). Lo strato, di limo sabbioso marrone giallastro presentava verso nord una zona di bruciato
riferibile ad un piccolo focolare.
Nella parte meridionale dello scavo, sopra l’acciottolato stradale, si è depositato uno strato di
limo scuro spesso cm 2-5, 418/91, 432/91, 452/91, interpretabile come graduale accumulo di
fango durante il periodo d’uso della strada glareata. Lo strato 432/91 ha restituito frammenti di
anfore Lamboglia 2.
61
Il quadro che emerge con evidenza da quanto sopra esposto mostra, nonostante la
frammentarietà dei dati, l’intensificarsi del processo di romanizzazione in corso a Mediolanum tra il
II e il I secolo a.C. In questa fase si registra un salto di qualità nel moltiplicarsi degli indicatori che
segnano il definitivo ingresso dell’oppidum nella sfera romana quali monete romane56, anfore, ceramica
a vernice nera e a pareti sottili, coroplastica e stili in osso. Per quanto riguarda le anfore e le
ceramiche di importazione, un ruolo importante nello smistamento dei flussi commerciali di vino
e di olio, e di altre merci di importazione dall’area adriatica, era svolto da Aquileia e dalle colonie
di Piacenza e Cremona, che avevano una funzione di mediazione tra mondo celtico transpadano
e modo romano.57
L’accelerazione del processo di romanizzazione, con i relativi interventi sull’assetto idrografico
e viario, non può non essere messa in relazione con le circostanze storiche, la sconfitta degli
Insubri nel 194 a.C. ad opera di Publio Cornelio Flacco, i foedera con i Romani e i maggiori
contatti commerciali e culturali con le vicine colonie romane di Cremona e Piacenza58. I vincitori
rispettarono l’indipendenza del territorio insubre favorendo lo sviluppo di una classe dirigente
filoromana che ebbe un ruolo importante nell’assorbimento dei modelli centro-italici. Il quadro
relativo alla penetrazione di tali modelli risulta però a Milano non omogeneo e diversificato a
seconda degli ambiti interessati da tale processo.
Un caso di precoce acquisizione è testimoniato, nel campo dell’edilizia pubblica, dai capitelli
corinzio-italici pertinenti probabilmente ad un edificio sacro di proporzioni ragguardevoli, rinvenuti
in via Bocchetto, a poca distanza da via Moneta, datati tra gli ultimi decenni del II e la prima metà
del I secolo a.C. La realizzazione di tale edificio, situato non lontano dalla zona in cui sorgerà la
piazza del foro, è attribuibile però non a potenti personaggi della classe dirigente locale, ma più
verosimilmente a mercatores o imprenditori italici, o rappresentanti di una potente famiglia aristocratica
con interessi in Gallia Cisalpina59. È nota anche dalle fonti storiche la presenza di negotiatores e
imprenditori centro-italici, attirati in Cisalpina alla fine del II secolo a.C. dalle possibilità di
sfruttamento delle risorse di questo ricco territorio, come T(itus) Utius V(ibi)f(ilius) e la figlia Utia,
proprietari del tesoro in argento rinvenuto ad Arcisate presso Como60 o il Meteli citato in un’iscrizione
da Carcegna sul lago d’Orta61.
I capitelli da via Bocchetto erano realizzati in pietra di Vicenza, materiale di cui costituiscono la
prima attestazione, con un altro capitello corinzio italico di semicolonna dello stesso periodo,
rinvenuto nell’abside di Santa Tecla62. Nella stessa pietra di Vicenza erano i resti di monumento
funerario a dado rinvenuti in via Fratelli Gabba63, e i frammenti di cornice circolare pertinenti ad
un monumento funerario in forma di tholos su podio provenienti da via Bigli 64, che documentano
come nel campo funerario la tendenza all’autocelebrazione della classe dirigente trovasse espressione
nel corso del I secolo a. C. in forme monumentali di derivazione centro-italica. L’uso frequente
della pietra di Vicenza in questi monumenti suggerisce la presenza a Milano di maestranze di
origine veneta, forse provenienti da Aquileia, centro con cui esistevano contatti commerciali attestati
dalle anfore Lamboglia 2, largamente rappresentate nei contesti milanesi. Questa colonia, che tra
56) Sulla penetrazione delle monete romane a Mediolanum
dopo la sconfitta del 194 a.C. si vedano il contributo di
ARSLAN in questo volume e ARSLAN 2015.
il contributo di CASINI-TIZZONI in questo volume.
57) SAVELLI 2015 con bibliografia. Il consumo di vino di
Rodi a Mediolanum è documentato da due framm. di anfore
rodie rinvenuti i n via Valpetr osa e via Rugabella: CERESA
MORI 1992-93, pp. 130-131; BRUNO-BOCCHIO 1991, p. 274.
63) CERESA MORI 2000, pp. 85-86; SACCHI 2003, pp. 118120. Più antica ancora del monumento di via Fratelli Gabba
è la stele funeraria in serizzo ghiandone dei Brocci,
rinvenuta recentemente in via dell’Arcivescovado, datata
alla fine del II secolo a.C., che si rifà alla tradizione locale:
FEDELI-SARTORI 2015. Dalla stessa area di via Fratelli Gabba
provengono probabilmente resti di altri due monumenti
funerari conservati a Sir mione, su uno dei quali: F. SACCHI,
in Brixia, p. 269. Il ritrovamento è stato ripreso in
considerazione da Giuliana Cavalieri Manasse, che ringrazio
per aver mi anticipato i risultati del suo lavoro. La studiosa
colloca i tre monumenti funerari negli anni immediatamente
successivi al 49 a.C.: CAVALIERI MANASSE c.s.
58) Nella vasta letteratura su questi argomenti indico a
titolo di esempio: LURASCHI 1986, TORELLI 1998,
BANDELLI 2007, SOMMELLA 2015.
59) SACCHI 2012, pp. 43-53.
60) SACCHI 2012, p. 53 nota 91.
61) SACCHI 2012, p. 50 note 61 e 62. Sulle presenze
imprenditoriali centro-italiche in Cisalpina si veda anche
62
62) SACCHI 2012, pp. 52-53.
64) SACCHI 2003, pp. 77-84.
la fine del II e il I secolo a.C. era un punto di riferimento in Cisalpina per l’alto livello socioeconomio e culturale, era sicuramente in grado di fornire artigiani specializzati ai cantieri milanesi65.
La datazione dei capitelli da via Bocchetto tra gli ultimi decenni del II e il I secolo a.C. mostra
che già prima della concessione del diritto latino ai centri urbani dell’Italia settentrionale nell’89
a.C. si era avviato il processo di assorbimento di modelli culturali romani. Questa ipotesi sembra
confermata dai risultati dello scavo di via Moneta, che permettono di collocare l’inizio degli
interventi di riassetto dell’oppidum tra la fine del II e l’inizio del I secolo a.C.
I rocchi di imoscapo di colonne doriche in pietra Molera rinvenuti nel palazzo dell’Arcivescovado,
databili tra l’età repubblicana e l’età augustea, testimoniano l’esistenza di un altro edificio pubblico66.
Un ulteriore indizio circa l’esistenza di edifici pubblici monumentali in questo periodo è fornito
dalla decorazione parietale. Si possono infatti segnalare alcune rare attestazioni milanesi di
decorazione parietale di primo stile (prima metà-metà del I secolo a.C.): un piccolo nucleo di
frammenti di intonaci provenienti dallo scavo di via Gorani, decorati con motivo di bugne aggettanti
imitanti finte brecce marmoree o con decorazione a rilievo su sfondo monocromo67, probabilmente
attribuibili ad un edificio pubblico. Allo stesso primo stile appartiene un piccolo gruppo di
frammenti con campiture monocrome con profili in aggetto, incorniciate da fasce in tinte a
contrasto, dallo scavo di piazza Duomo per la Metropolitana Milanese, linea 3 68.
La città doveva attraversare in questo periodo una fase di sviluppo economico e di intensa
attività edilizia. Essa si espande infatti fino a raggiungere la superficie di 80 ettari e si circonda di
una cerchia di mura69. In questo stesso periodo, la radicale trasformazione operata in via Moneta,
in cui la delimitazione di proprietà rappresentata dal fossato viene sostituita da una strada in ghiaia
con lo stesso andamento, testimonia un’attività di ristrutturazione urbana che ha probabilmente
interessato molte zone della città.
Gli interventi di riassetto si collocano intorno alla metà del secolo, momento in cui, per
interessamento di Cesare, viene concessa a Mediolanum la cittadinanza romana. È verosimile, anche
in base alle fonti storiche70, che in questo stesso periodo i notabili della città avessero provveduto
a trasformare le loro dimore adeguandole ai modelli romani, ma di tali interventi nel campo
dell’edilizia privata, intorno alla metà del I secolo a.C., non si è ancora riscontrata alcuna traccia a
Milano.
Il cambiamento sopra descritto non sembra invece incidere nel campo dell’edilizia privata di
carattere più modesto, documentata nel quartiere artigianale venuto in luce in via Moneta, come in
altri siti della zona centrale della città, di cui si è parlato: via S. Maria Fulcorina, via S. Maria
Podone, via S. Maria alla Porta, via Santa Margherita. Il quartiere di artigiani del metallo di via
Moneta, pur rivelando un’intensa attività, si sviluppa mantenendosi nell’ambito delle tecniche
tradizionali in materiali deperibili.
Mostrano continuità con le fasi di V-III secolo a.C. i pochi resti conservati, pertinenti a costruzioni
in terra cruda sostenute da un graticcio costituito da legni squadrati o canne, come risulta anche
dalle analisi effettuate sui campioni di terra cruda prelevati71. Le novità sono rappresentate dall’uso,
documentato da tre piccoli lacerti di fondazioni, di muretti in ciottoli privi di legante, probabilmente
come sostegni dei muri in terra. Questa tecnica, prescritta dagli autori latini per limitare la risalita
dell’umidità nei muri, è ampiamente attestata in Europa centrale e Italia72. La presenza di frammenti
laterizi sembra indicare l’adozione di mattoni e tegole anche a Mediolanum nel I secolo a.C., con
65) SACCHI 2012, pp. 48-49.
66) SACCHI 2012, pp. 54-55.
datazione sono piuttosto scarsi. Penso sia preferibile
rinviare la discussione, in attesa di nuove indagini sul
terreno.
67) MARIANI-PAGANI 2012, pp. 42-43, nota 13, figg. 4-5.
70) Plutarco ricorda l’ospitalità offerta a Cesare a Mediolanum
da Valerius Leon: Plut., Caes. 17, 9-10.
68) PAGANI 2000, pp. 246-247, figg. 2-8. Ring razio Car la
Pagani per le infor mazioni che mi ha gentilmente fornito.
71) Si veda il contributo di ROTTOLI in questo volume.
69) Probabilmente in epoca cesariana: CERESA MORI
1986-b, pp. 237-240, datazione condivisa da CAVALIERI
MANASSE c.s. Furio Sacchi propende invece per una
datazione in età augustea: SACCHI 2012, pp. 57-61. Al
momento i dati stratigrafici per precisare meglio tale
72) Catone, De agricultura, XVIII, 14, 4; DE CHAZELLES
2003, p. 8; ANTONINI 2011, pp. 168-170; RE NAR 2007,
p. 30, fig. 14; DE CHAZELLES-ROUX 2005, p. 345, fig. 2;
BARRAL-GASTON-VAXELAIRE 2011, p. 102; MALNATI
1999, p. 17.
63
notevole ritardo rispetto ai centri della Cisalpina orientale. Gli scarsi resti non permettono però di
stabilire in che misura fossero utilizzati, certamente ancora in associazione con le tecniche tradizionali
in materiali deperibili.
La realizzazione di una strada glareata nel I secolo a.C., che segue il tracciato del fossato del III
secolo a.C., mostra inoltre come gli assi dell’organizzazione spaziale di epoca protostorica costituiti
da fossati e strade siano all’origine della nuova pianificazione urbana della colonia latina, che ne
mantiene l’impostazione e l’orientamento73.
Anna Ceresa Mori
Già Soprintendenza Archeologica della Lombardia
Via del Caravaggio 1
I-20144 Milano
anna.ceresamori@alice.it
Summary
The excavation. In the years 1986-1991 an area of 1200 square metres was archaeologically investigated in via
Moneta during the building works for the Milan branch of Banca d’Italia
This volume offers the results of the study of the phases IA, IB and II, related to the protohistoric period, to the
birth of the settlement around the middle of the 5th century BC, to the oppidum (4th and 3rd century BC) and finally to
the period of the Romanization when we can observe the transformation of the Celtic oppidum into a Roman
municipium. The choice of dedicating a whole volume to the earliest phases of the settlement is due to the large
amount of finds from the excavation.
Under the basements of the modern buildings an archaeological stratigraphy of about 2 m was preserved. Because
of the frequent rebuildings during later periods large parts of its layers were missing.
The remains of the strata belonging to phase IA were few: small patches of living floors and layers showing
accr etion due to continuous human presence with irregular ly spaced post-holes. They seemed to f ollow a NW-SE
direction, all the following building phases in this district of Mediolanum ha ve kept this same positioning. These
remains are dated to the period Golasecca IIIA2-A3, between the middle of the 5th century BC and the beginning of
the 4th century.
The remains of two wood and wattle and doubt b uildings, A and B, were disco vered to the E and W of the
building site (lots 3 and 2), but only the negative imprints of their beams were preserved. The remains to the E
belonged to a rectangular wood framed building with its wall lying on horizontal beams and they can be dated to the
La Téne B period. The remains in lot 2 belong to the same period, they are more fragmentary and probably there were
various building phases.
A V shaped ditc h was the norther n border of the settlement. It ran NW-SE and it w as built during the 3rd century
BC. Probably it was par t of a grid formed by ditc hes and streets, a first embryo of the settlement planning.
Phase II (2 nd-1st century BC): there were very poor remains of packed dirt floors, which were made over and over
again, post-holes and rare parts of dry stone walls, probably the bases of the horizontal beams supporting the wood
framed walls. These structures belonged to some metallurgical ateliers which covered a large area of the excavation,
as shown by numerous forge hearths and by a large amount of iron and copper alloy slags found in garbage pits. This
area has been interpreted as the metal workers district. There is little evidence which shows that it existed already in
phase IB, while in this phase it had a strong development, possibly thanks to favourable economic circumstances
during which the settlement was able to achieve an area of 80 ha. A grit covered street, which follows the layout of
the ditch belonging to the previous phase, shows that some urban rearrangements were already under way before the
oppidum became a Roman municipium. This happened in a period when the infiltration of Roman cultural models
became more intense via the not far away colonies of Piacenza and Cremona and with the support of a pro-roman
local ruling class.
73) Il fenomeno è stato frequentemente osservato nei
centri veneti: TIRELLI 1999, GAMBA-GAMBACURTARUTA SERAFINI-BALISTA 2005, pp. 23-31.
64
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Abbreviazioni
AAAd
NAB
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Antichità Alto Adriatiche, Aquileia
Notizie Archeologiche Bergomensi, Bergamo
Notiziario della Soprintendenza Archeologia della Lombardia, Milano
Rassegna di studi del Civico Museo Ar cheologico e del Ci vico Gabinetto Numismatico di Milano,
Milano
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