Thesis Chapters by Giulia Calabrò
Il progetto di ricerca è focalizzato sulla comunità di mercanti genovesi attivi in Inghilterra, e... more Il progetto di ricerca è focalizzato sulla comunità di mercanti genovesi attivi in Inghilterra, e in particolare a
Londra, negli anni tra il 1458-1466; tale periodo, infatti, segnò una crisi nelle relazioni commerciali tra il
regno di Enrico VI ed Edoardo IV e gli operatori commerciali liguri, scoppiata in seguito ad alcuni atti di
pirateria messi in atto al largo di Malta da Giuliano Gattilusio, corsaro legato alla città ligure. Obiettivo del
progetto è ricostruire il contesto storico in cui i mercanti genovesi si trovarono a operare, il funzionamento
della loro massaria e la rete di rapporti che avevano costruito con i loro interlocutori inglesi. Oltre a ciò,
grazie allo studio di fonti primarie genovesi, milanesi e inglesi, è stato ricostruito il macrocontesto storicoeconomico dell'Inghilterra della Guerra delle due rose in cui i massari genovesi si trovarono a operare. Vista
la rilevanza di alcuni di questi documenti ai fini della ricerca (fonti diplomatiche, amministrative e
finanziarie), inoltre, all'interno dell'elaborato vi è anche la loro trascrizione completa e/o il regesto, che, si
ritiene, potranno essere utili per l'avvio di futuri percorsi di studio.
Bookmarks Related papers MentionsView impact
I rapporti diplomatici tra il ducato di Milano e la repubblica di Venezia furono particolarmente ... more I rapporti diplomatici tra il ducato di Milano e la repubblica di Venezia furono particolarmente vivaci nella seconda metà del Quattrocento. Viste vicinanza geografica e rilevanza politica della Serenissima, il duca milanese Galeazzo Maria Sforza decise di inviare nel 1473 un ambasciatore ufficiale in Laguna, Leonardo Botta. Questa ambasceria, durata 7 anni, si distinse per essere stata una delle più lunghe e fruttuose, sia per Milano che per la scomoda, ma potente vicina Venezia.
Durante questi anni presso la Serenissima, l’oratore inviò numerosissime lettere al suo signore, con l’intento di informarlo riguardo tutto quello che avveniva a Venezia, allora la porta verso l’Oriente.
Il mio lavoro, partito dalla trascrizione di 121 missive inedite, inviate da Botta al duca, e conservate nell’Archivio di Stato di Milano, vuole fornire uno spaccato della realtà e della vita veneziana viste con gli occhi e descritte con le parole di un perspicace ambasciatore lombardo del tempo. Oltre ai contenuti, estremamente vari, lo studio si sofferma anche sulla cifra, sulla grafia e sulla lingua usate da Botta, con lo scopo di presentare un quadro completo della fonte esaminata.
Gli argomenti trattati sono, si diceva, molti: i Turchi, pericolosi invasori da est che assediano la cittadella di Scutari, l’Ungheria e la Persia, potenziali alleate per Venezia, ma anche le altre realtà italiane, Firenze, Roma, Napoli, Ferrara, con le quali la Serenissima e Milano volevano, ognuna per ragioni distinte, giungere ad un accordo generale, e infine i dissidi personali dello Sforza col celeberrimo condottiero Bartolomeo Colleoni, suddito di San Marco.
Le lettere studiate coprono un arco temporale da aprile a giugno 1474: arricchisce il lavoro una riflessione sugli sviluppi futuri che avranno la scoperta e l’edizione dei restanti dispacci di Botta.
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Conference Presentations by Giulia Calabrò
VII Ciclo di studi medievali, 2021
In ogni manuale di didattica che si rispetti è più volte affermato che non c’è apprendimento sign... more In ogni manuale di didattica che si rispetti è più volte affermato che non c’è apprendimento significativo nei discenti senza il
loro coinvolgimento cognitivo ed emotivo. Il docente, e nel nostro caso quello di storia, è chiamato, dunque, ad attivare la
motivazione attraverso il piacere ad apprendere e a sollecitare le capacità degli alunni, mettendoli alla prova. Obiettivi questi
difficili da raggiungere, che prevedono da parte dell’insegnante la capacità di progettare un’attività da svolgere quanto più
reale e significativa possibile, progettata per veicolare ben definiti contenuti curricolari e avendo chiari gli obiettivi formativi.
Si tratta, dunque, di problematizzare un tema, delinearne i contorni e fornire prospettive per analizzarlo. Alla luce di tali
richieste, complesse e stringenti, si propone, con questo intervento, un’unità di apprendimento, volta a fornire un’occasione
didattica significativa per gli alunni, che non si limiti alla mera e arida trasmissione di conoscenze e abilità disciplinari, ma
tenda alla formazione integrale della persona, sviluppando competenze (trasversali e disciplinari) attraverso l’utilizzo di una
didattica laboratoriale. Oggetto dell’”ua” che sarà qui raccontata è un macro argomento affrontato nelle classi terze delle
scuole secondarie di secondo grado: la guerra dei Cent’anni. Si tratta, infatti, di un conflitto la cui estensione geografica e
soprattutto temporale può mettere in difficoltà sia l’alunno che l’insegnante. Il percorso qui previsto conterrà tutte le
componenti di una “ua”: prerequisiti, conoscenze, abilità e competenze da raggiungere, strumenti impiegati, metodologie
didattiche suggerite (tradizionali e innovative), tempi impiegati e modalità di organizzazione dell’attività didattica. Infine, si
fornirà anche qualche suggerimento sulle modalità di valutazione della classe una volta completato il percorso didattico,
prevedendo anche delle attività di recupero in itinere per gli alunni che in sede di valutazione avranno messo in luce qualche
difficoltà nella costruzione delle competenze.
Bookmarks Related papers MentionsView impact
La Corona d'Aragona e l'Italia - Atti del XX Congresso di Storia della Corona d’Aragona Roma-Napoli, 4-8 ottobre 2017, 2020
I rapporti tra la repubblica di Venezia e il regno di Napoli durante il regno di Ferrante d’Arag... more I rapporti tra la repubblica di Venezia e il regno di Napoli durante il regno di Ferrante d’Aragona (1458-1494) non furono mai positivi. Una piccola eccezione si registrò negli anni dal 1470 al 1473, quando la minaccia dei Turchi a est aveva contribuito a far convergere alcuni obiettivi politici delle due potenze italiane. L’apice della concordia tra Venezia e Napoli fu raggiunto nel 1471, quando fu stipulato un accordo di carattere difensivo tra le due, finalizzato alla lotta comune contro la Sublime Porta.
Improvvisamente e in maniera piuttosto brusca, però, l’alleanza si spezzò nel 1473; la causa di ciò fu l’insorgere di una nuova rivalità tra Ferrante e Venezia, stavolta divampata in seguito a quella che venne poi definita la “Questione di Cipro”.
Nel 1464 la regina dell’isola, Carlotta di Lusignano, era stata detronizzata dal fratellastro, Giacomo II, che, una volta cinta la corona, si affrettò a ricercare alleati per consolidare il proprio status. Trovò in primis la Serenissima, che, vista la posizione di Cipro, baluardo d’Occidente rivolto verso l’Oriente, propose a Giacomo II un matrimonio veneziano, in modo da vincolare a sé l’isola.
Nel 1472, dopo lunghe trattative, Caterina Corner, appartenente a una delle famiglie più in vista del patriziato veneziano, divenne regina di Cipro. Il successo della repubblica di San Marco non poté che scontentare Ferrante, timoroso della crescita di autorità dei Veneziani nel Mediterraneo orientale. Il malcontento fu causato anche dal fatto che, prima di concludere le proprie nozze con la veneziana, Giacomo II si era rivolto a Napoli e aveva considerato l’idea di prendere una moglie aragonese.
Dal momento che Giacomo II, a causa della detronizzazione di Carlotta, era di fatto un usurpatore, una sua successione non sarebbe stata priva di contese: proprio in quest’ottica, il sovrano aragonese si impegnò per organizzare le nozze di una figlia di Giacomo, Carlotta, e un suo figlio naturale, Alfonso; in questo modo voleva creare una linea dinastica parallela e rivale a quella veneziana, alla quale appoggiarsi per rivendicare il trono di Cipro in caso di morte prematura del sovrano.
E questo fu quanto accadde a luglio del 1473, quando Giacomo II venne a morte e, in mancanza di sue disposizioni testamentarie chiare, scoppiò il caos nell’isola.
La “Questione di Cipro” si trascinò con fasi alterne, congiure, assassini e minacce da una e dall’altra parte fino ai primi mesi del 1474, quando l’isola era ormai in mano ai Veneziani.
Mentre le cronache veneziane, a partire da quella di Domenico Malipiero, narrano con dovizia di particolari il succedersi degli avvenimenti sull’isola cipriota, le principali opere cronachistiche napoletane li tacciono; se questo sia causato dal fallimento della politica aragonese non è dato sapere. Ad ogni modo è napoletana la figura protagonista di questa questione, il re Ferrante d’Aragona. Contrapposto alla pluralità di soggetti dai quali sono formate le istituzioni veneziane, il sovrano aragonese è il vero fautore dell’iniziale successo e poi della definitiva sconfitta di Napoli nella corsa al possesso di Cipro.
Da tre diverse fonti diplomatiche quattrocentesche è possibile ricostruire la memoria della figura di Ferrante in questa circostanza: dai dispacci di Leonardo Botta, oratore sforzesco a Venezia, da quelli di Francesco Maletta, collega di Botta operante a Napoli e da quelli di Zaccaria Barbaro, ambasciatore veneziano alla corte aragonese.
Tramite le lettere di ognuno di loro è giunto fino a noi un ricordo peculiare del sovrano, nato dalle esperienze personali dei tre ambasciatori e dal loro rapporto, più o meno diretto, con la corte aragonese durante i fatti del 1473; infatti, se Maletta, vista la sua qualità di residente a Napoli, ebbe modo più volte di dialogare direttamente con Ferrante, cosa che fece anche Barbaro, la memoria di Ferrante che traspare dai dispacci di Botta, che risiedeva presso la rivale Venezia, rimase sempre astratta e indiretta, poiché filtrata dalle testimonianze che l’oratore riceveva in Laguna o dalle lettere del suo signore, il duca di Milano.
Accompagnata dal constante riferimento alle cronache veneziane, questa vuole essere la ricostruzione delle memorie, talvolta discordanti tra loro, che questi diplomatici hanno lasciato del sovrano di Napoli, grande protagonista della “Questione di Cipro”.
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Ancora su poteri, relazioni, guerra nel regno di Ferrante d' Aragona Studi sulle corrispondenze diplomatiche II, 2020
La "questione della bastia", controversia regionale tra Modena e Bologna originatasi nel 1471 sul... more La "questione della bastia", controversia regionale tra Modena e Bologna originatasi nel 1471 sulle rive del fiume Panaro, divenne ben presto di rilevanza nazionale. I suoi principali protagonisti furono Ferrante d'Aragona e Galeazzo Maria Sforza; attraverso le fonti diplomatiche in questo lavoro si studiano ruolo e atteggiamento del sovrano aragonese in una controversia che lo vide muoversi al di fuori del Regno.
Bookmarks Related papers MentionsView impact
V Ciclo di studi medievali - atti del convegno, 2019
Bookmarks Related papers MentionsView impact
La "Questione di Cipro" del 1473: la memoria della rottura dei rapporti tra Napoli e Venezia nelle fonti diplomatiche , 2017
I rapporti tra la repubblica di Venezia e il regno di Napoli durante il regno di Ferrante d’Arago... more I rapporti tra la repubblica di Venezia e il regno di Napoli durante il regno di Ferrante d’Aragona (1458-1494) non furono mai positivi. Una piccola eccezione si registrò negli anni dal 1470 al 1473, quando la minaccia dei Turchi a est aveva contribuito a far convergere alcuni obiettivi politici delle due potenze italiane. L’apice della concordia tra Venezia e Napoli fu raggiunto nel 1471, quando fu stipulato un accordo di carattere difensivo tra le due, finalizzato alla lotta comune contro la Sublime Porta.
Improvvisamente e in maniera piuttosto brusca, però, l’alleanza si spezzò nel 1473; la causa di ciò fu l’insorgere di una nuova rivalità tra Ferrante e Venezia, stavolta divampata in seguito a quella che venne poi definita la “Questione di Cipro”.
Nel 1464 la regina dell’isola, Carlotta di Lusignano, era stata detronizzata dal fratellastro, Giacomo II, che, una volta cinta la corona, si affrettò a ricercare alleati per consolidare il proprio status. Trovò in primis la Serenissima, che, vista la posizione di Cipro, baluardo d’Occidente rivolto verso l’Oriente, propose a Giacomo II un matrimonio veneziano, in modo da vincolare a sé l’isola.
Nel 1472, dopo lunghe trattative, Caterina Corner, appartenente a una delle famiglie più in vista del patriziato veneziano, divenne regina di Cipro. Il successo della repubblica di San Marco non poté che scontentare Ferrante, timoroso della crescita di autorità dei Veneziani nel Mediterraneo orientale. Il malcontento fu causato anche dal fatto che, prima di concludere le proprie nozze con la veneziana, Giacomo II si era rivolto a Napoli e aveva considerato l’idea di prendere una moglie aragonese.
Dal momento che Giacomo II, a causa della detronizzazione di Carlotta, era di fatto un usurpatore una sua successione non sarebbe stata priva di contese: proprio in quest’ottica, il sovrano aragonese si impegnò per organizzare le nozze di una figlia di Giacomo, Carlotta, e un suo figlio naturale, Alfonso; in questo modo voleva creare una linea dinastica parallela e rivale a quella veneziana, alla quale appoggiarsi per rivendicare il trono di Cipro in caso di morte prematura del sovrano.
E questo fu quanto accadde a luglio del 1473, quando Giacomo II venne a morte e, in mancanza di sue disposizioni testamentarie chiare, scoppiò il caos nell’isola.
La “Questione di Cipro” si trascinò con fasi alterne, congiure, assassini e minacce da una e dall’altra parte fino ai primi mesi del 1474, quando l’isola era ormai in mano ai Veneziani.
Mentre le cronache veneziane, a partire da quella di Domenico Malipiero, narrano con dovizia di particolari il succedersi degli avvenimenti sull’isola cipriota, le principali opere cronachistiche napoletane li tacciono; se questo sia causato dal fallimento della politica aragonese non è dato sapere. Ad ogni modo è napoletana la figura protagonista di questa questione, il re Ferrante d’Aragona. Contrapposto alla pluralità di soggetti dai quali sono formate le istituzioni veneziane, il sovrano aragonese è il vero fautore dell’iniziale successo e poi della definitiva sconfitta di Napoli nella corsa al possesso di Cipro.
Tre sono le principali fonti diplomatiche quattrocentesche attraverso cui è possibile ricostruire la memoria della figura di Ferrante in questa circostanza: i dispacci di Leonardo Botta, oratore sforzesco a Venezia, quelli di Francesco Maletta, collega di Botta operante a Napoli e quelli di Zaccaria Barbaro, ambasciatore veneziano alla corte aragonese.
Dalle lettere di ognuno di loro è giunto fino a noi un ricordo peculiare del sovrano, nato dalle esperienze personali dei tre ambasciatori e dal loro rapporto, più o meno diretto, con la corte aragonese durante i fatti del 1473; infatti, se Maletta, vista la sua qualità di residente a Napoli, ebbe modo più volte di dialogare direttamente con Ferrante, cosa che fece anche Barbaro, la memoria di Ferrante che traspare dai dispacci di Botta, che risiedeva presso la rivale Venezia, rimase sempre astratta e indiretta, poiché filtrata dalle testimonianze che l’oratore riceveva in Laguna o dalle lettere del suo signore, il duca di Milano.
Accompagnata dal constante riferimento alle cronache veneziane, questa vuole essere la ricostruzione delle memorie, talvolta discordanti tra loro, che questi diplomatici hanno lasciato del sovrano di Napoli, grande protagonista della “Questione di Cipro”.
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Bookmarks Related papers MentionsView impact
I rapporti diplomatici tra il ducato di Milano e la repubblica di Venezia furono particolarmente ... more I rapporti diplomatici tra il ducato di Milano e la repubblica di Venezia furono particolarmente vivaci nella seconda metà del Quattrocento. Viste vicinanza geografica e rilevanza politica della Serenissima, il duca milanese Galeazzo Maria Sforza decise di inviare nel 1473 un ambasciatore ufficiale in Laguna, Leonardo Botta. Questa ambasceria, durata 7 anni, si distinse per essere stata una delle più lunghe e fruttuose, sia per Milano che per la scomoda, ma potente vicina Venezia.
Durante questi anni presso la Serenissima, l’oratore inviò numerosissime lettere al suo signore, con l’intento di informarlo riguardo tutto quello che avveniva a Venezia, allora la porta verso l’Oriente.
Il mio lavoro, partito dalla trascrizione di 121 missive inedite, inviate da Botta al duca, e conservate nell’Archivio di Stato di Milano, vuole fornire uno spaccato della realtà e della vita veneziana viste con gli occhi e descritte con le parole di un perspicace ambasciatore lombardo del tempo. Oltre ai contenuti, estremamente vari, lo studio si sofferma anche sulla cifra, sulla grafia e sulla lingua usate da Botta, con lo scopo di presentare un quadro completo della fonte esaminata.
Gli argomenti trattati sono, si diceva, molti: ecco comparire nelle lettere i Turchi, pericolosi invasori da est che assediano la cittadella di Scutari, l’Ungheria e la Persia, potenziali alleate per Venezia, ma anche le altre realtà italiane, Firenze, Roma, Napoli, Ferrara, con le quali la Serenissima e Milano volevano, ognuna per ragioni distinte, giungere ad un accordo generale, e infine i dissidi personali dello Sforza col celeberrimo condottiero Bartolomeo Colleoni, suddito di San Marco.
Le lettere studiate coprono un arco temporale da aprile a giugno 1474.
Bookmarks Related papers MentionsView impact
by NUME Gruppo di Ricerca sul Medioevo Latino, Furio Cappelli, leonardo marchetti, Giovanni Collamati, Francesco Calò, Alberto Sanna, Davide Del Gusto, Gaetana Liuzzi, Giulia Calabrò, Maria Paola Bulla, Omar Khalaf, Mila Bondi, Marcello Bolpagni, Valeria Danesi, Roberto Del Monte, and Giulia Guerini
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Books by Giulia Calabrò
by NUME Gruppo di Ricerca sul Medioevo Latino, Vito Ricci, Furio Cappelli, Giovanni Collamati, Francesco Calò, Alberto Sanna, Davide Del Gusto, Nicolò Maria Fracasso, Marcello Bolpagni, Giulia Calabrò, Maria Paola Bulla, and Roberto Del Monte
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Book Reviews by Giulia Calabrò
Archivio storico italiano, 2022
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Nuova Rivista Storica, 2022
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Nuova Rivista Storica, 2020
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Nuova Rivista Storica, 2019
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Papers by Giulia Calabrò
Confini e sconfinamenti , 2022
Bookmarks Related papers MentionsView impact
in A. RUSSO, F. SENATORE, F. STORTI (edd.), Ancora su poteri, relazioni, guerra nel regno di Ferrante dʼAragona. Studi sulle corrispondenze diplomatiche II,, 2020
Bookmarks Related papers MentionsView impact
VI Ciclo di Studi Medievali, Atti del Convegno, 8-9 giugno 2020, 2020
Nel Quattrocento l’Inghilterra dei Plantageneti era uno tra i paesi europei più xenofobi dell’epo... more Nel Quattrocento l’Inghilterra dei Plantageneti era uno tra i paesi europei più xenofobi dell’epoca; nonostante ciò, per tutto
il secolo, i mercanti italiani continuarono tenacemente a praticare la loro attività anche in un contesto così difficile. Tra
questi, la presenza più forte era quella dei Genovesi, le cui carracks, come le fonti d’Oltremanica definivano le loro navi di
notevoli dimensioni, si avventuravano in acque oceaniche fino alle coste inglesi a partire dal XIII secolo. Nella prima metà
del XV secolo, però, il sentimento xenofobo, nutrito da un sempre più crescente nazionalismo, dilagò fra la classe mercantile
londinese, rendendo l’attività commerciale dei Genovesi ancora più difficile. L’akmè di questo clima di tensione e
competizione si ebbe dal 1457, anno in cui Robert Sturmy, mercante di Bristol, tentò, con una spedizione di due navi dirette
in Oriente, di spezzare il monopolio che gli Italiani avevano sul commercio inglese col bacino orientale del mar Mediterraneo;
le navi di Sturmy furono assaltate e catturate da pirati all’epoca ritenuti legati alla Superba e questo episodio alimentò la
campagna anti-genovese che già l’atteggiamento xenofobo di cui sopra aveva contribuito a diffondere nel paese di Enrico VI.
La crisi che si aprì nel 1458 e si trascinò per circa 8 anni segnò una nuova fase dei rapporti diplomatici e commerciali
anglo-genovesi. Come si evolsero questi ultimi in tali difficili contingenze e quali furono le risposte della Superba alla politica
anti-italiana messa in atto dalla corona britannica? Come cambiò la presenza genovese sulla piazza inglese, in riferimento
soprattutto a Londra, Southampton e Sandwich, i tre principali centri frequentati dagli Italiani? Scopo di questo lavoro è
quello di cercare di dare risposte a queste domande, che ancora oggi costituiscono un problema storiografico che limita la
nostra conoscenza della storia tardomedievale della Superba.
Bookmarks Related papers MentionsView impact
Uploads
Thesis Chapters by Giulia Calabrò
Londra, negli anni tra il 1458-1466; tale periodo, infatti, segnò una crisi nelle relazioni commerciali tra il
regno di Enrico VI ed Edoardo IV e gli operatori commerciali liguri, scoppiata in seguito ad alcuni atti di
pirateria messi in atto al largo di Malta da Giuliano Gattilusio, corsaro legato alla città ligure. Obiettivo del
progetto è ricostruire il contesto storico in cui i mercanti genovesi si trovarono a operare, il funzionamento
della loro massaria e la rete di rapporti che avevano costruito con i loro interlocutori inglesi. Oltre a ciò,
grazie allo studio di fonti primarie genovesi, milanesi e inglesi, è stato ricostruito il macrocontesto storicoeconomico dell'Inghilterra della Guerra delle due rose in cui i massari genovesi si trovarono a operare. Vista
la rilevanza di alcuni di questi documenti ai fini della ricerca (fonti diplomatiche, amministrative e
finanziarie), inoltre, all'interno dell'elaborato vi è anche la loro trascrizione completa e/o il regesto, che, si
ritiene, potranno essere utili per l'avvio di futuri percorsi di studio.
Durante questi anni presso la Serenissima, l’oratore inviò numerosissime lettere al suo signore, con l’intento di informarlo riguardo tutto quello che avveniva a Venezia, allora la porta verso l’Oriente.
Il mio lavoro, partito dalla trascrizione di 121 missive inedite, inviate da Botta al duca, e conservate nell’Archivio di Stato di Milano, vuole fornire uno spaccato della realtà e della vita veneziana viste con gli occhi e descritte con le parole di un perspicace ambasciatore lombardo del tempo. Oltre ai contenuti, estremamente vari, lo studio si sofferma anche sulla cifra, sulla grafia e sulla lingua usate da Botta, con lo scopo di presentare un quadro completo della fonte esaminata.
Gli argomenti trattati sono, si diceva, molti: i Turchi, pericolosi invasori da est che assediano la cittadella di Scutari, l’Ungheria e la Persia, potenziali alleate per Venezia, ma anche le altre realtà italiane, Firenze, Roma, Napoli, Ferrara, con le quali la Serenissima e Milano volevano, ognuna per ragioni distinte, giungere ad un accordo generale, e infine i dissidi personali dello Sforza col celeberrimo condottiero Bartolomeo Colleoni, suddito di San Marco.
Le lettere studiate coprono un arco temporale da aprile a giugno 1474: arricchisce il lavoro una riflessione sugli sviluppi futuri che avranno la scoperta e l’edizione dei restanti dispacci di Botta.
Conference Presentations by Giulia Calabrò
loro coinvolgimento cognitivo ed emotivo. Il docente, e nel nostro caso quello di storia, è chiamato, dunque, ad attivare la
motivazione attraverso il piacere ad apprendere e a sollecitare le capacità degli alunni, mettendoli alla prova. Obiettivi questi
difficili da raggiungere, che prevedono da parte dell’insegnante la capacità di progettare un’attività da svolgere quanto più
reale e significativa possibile, progettata per veicolare ben definiti contenuti curricolari e avendo chiari gli obiettivi formativi.
Si tratta, dunque, di problematizzare un tema, delinearne i contorni e fornire prospettive per analizzarlo. Alla luce di tali
richieste, complesse e stringenti, si propone, con questo intervento, un’unità di apprendimento, volta a fornire un’occasione
didattica significativa per gli alunni, che non si limiti alla mera e arida trasmissione di conoscenze e abilità disciplinari, ma
tenda alla formazione integrale della persona, sviluppando competenze (trasversali e disciplinari) attraverso l’utilizzo di una
didattica laboratoriale. Oggetto dell’”ua” che sarà qui raccontata è un macro argomento affrontato nelle classi terze delle
scuole secondarie di secondo grado: la guerra dei Cent’anni. Si tratta, infatti, di un conflitto la cui estensione geografica e
soprattutto temporale può mettere in difficoltà sia l’alunno che l’insegnante. Il percorso qui previsto conterrà tutte le
componenti di una “ua”: prerequisiti, conoscenze, abilità e competenze da raggiungere, strumenti impiegati, metodologie
didattiche suggerite (tradizionali e innovative), tempi impiegati e modalità di organizzazione dell’attività didattica. Infine, si
fornirà anche qualche suggerimento sulle modalità di valutazione della classe una volta completato il percorso didattico,
prevedendo anche delle attività di recupero in itinere per gli alunni che in sede di valutazione avranno messo in luce qualche
difficoltà nella costruzione delle competenze.
Improvvisamente e in maniera piuttosto brusca, però, l’alleanza si spezzò nel 1473; la causa di ciò fu l’insorgere di una nuova rivalità tra Ferrante e Venezia, stavolta divampata in seguito a quella che venne poi definita la “Questione di Cipro”.
Nel 1464 la regina dell’isola, Carlotta di Lusignano, era stata detronizzata dal fratellastro, Giacomo II, che, una volta cinta la corona, si affrettò a ricercare alleati per consolidare il proprio status. Trovò in primis la Serenissima, che, vista la posizione di Cipro, baluardo d’Occidente rivolto verso l’Oriente, propose a Giacomo II un matrimonio veneziano, in modo da vincolare a sé l’isola.
Nel 1472, dopo lunghe trattative, Caterina Corner, appartenente a una delle famiglie più in vista del patriziato veneziano, divenne regina di Cipro. Il successo della repubblica di San Marco non poté che scontentare Ferrante, timoroso della crescita di autorità dei Veneziani nel Mediterraneo orientale. Il malcontento fu causato anche dal fatto che, prima di concludere le proprie nozze con la veneziana, Giacomo II si era rivolto a Napoli e aveva considerato l’idea di prendere una moglie aragonese.
Dal momento che Giacomo II, a causa della detronizzazione di Carlotta, era di fatto un usurpatore, una sua successione non sarebbe stata priva di contese: proprio in quest’ottica, il sovrano aragonese si impegnò per organizzare le nozze di una figlia di Giacomo, Carlotta, e un suo figlio naturale, Alfonso; in questo modo voleva creare una linea dinastica parallela e rivale a quella veneziana, alla quale appoggiarsi per rivendicare il trono di Cipro in caso di morte prematura del sovrano.
E questo fu quanto accadde a luglio del 1473, quando Giacomo II venne a morte e, in mancanza di sue disposizioni testamentarie chiare, scoppiò il caos nell’isola.
La “Questione di Cipro” si trascinò con fasi alterne, congiure, assassini e minacce da una e dall’altra parte fino ai primi mesi del 1474, quando l’isola era ormai in mano ai Veneziani.
Mentre le cronache veneziane, a partire da quella di Domenico Malipiero, narrano con dovizia di particolari il succedersi degli avvenimenti sull’isola cipriota, le principali opere cronachistiche napoletane li tacciono; se questo sia causato dal fallimento della politica aragonese non è dato sapere. Ad ogni modo è napoletana la figura protagonista di questa questione, il re Ferrante d’Aragona. Contrapposto alla pluralità di soggetti dai quali sono formate le istituzioni veneziane, il sovrano aragonese è il vero fautore dell’iniziale successo e poi della definitiva sconfitta di Napoli nella corsa al possesso di Cipro.
Da tre diverse fonti diplomatiche quattrocentesche è possibile ricostruire la memoria della figura di Ferrante in questa circostanza: dai dispacci di Leonardo Botta, oratore sforzesco a Venezia, da quelli di Francesco Maletta, collega di Botta operante a Napoli e da quelli di Zaccaria Barbaro, ambasciatore veneziano alla corte aragonese.
Tramite le lettere di ognuno di loro è giunto fino a noi un ricordo peculiare del sovrano, nato dalle esperienze personali dei tre ambasciatori e dal loro rapporto, più o meno diretto, con la corte aragonese durante i fatti del 1473; infatti, se Maletta, vista la sua qualità di residente a Napoli, ebbe modo più volte di dialogare direttamente con Ferrante, cosa che fece anche Barbaro, la memoria di Ferrante che traspare dai dispacci di Botta, che risiedeva presso la rivale Venezia, rimase sempre astratta e indiretta, poiché filtrata dalle testimonianze che l’oratore riceveva in Laguna o dalle lettere del suo signore, il duca di Milano.
Accompagnata dal constante riferimento alle cronache veneziane, questa vuole essere la ricostruzione delle memorie, talvolta discordanti tra loro, che questi diplomatici hanno lasciato del sovrano di Napoli, grande protagonista della “Questione di Cipro”.
Improvvisamente e in maniera piuttosto brusca, però, l’alleanza si spezzò nel 1473; la causa di ciò fu l’insorgere di una nuova rivalità tra Ferrante e Venezia, stavolta divampata in seguito a quella che venne poi definita la “Questione di Cipro”.
Nel 1464 la regina dell’isola, Carlotta di Lusignano, era stata detronizzata dal fratellastro, Giacomo II, che, una volta cinta la corona, si affrettò a ricercare alleati per consolidare il proprio status. Trovò in primis la Serenissima, che, vista la posizione di Cipro, baluardo d’Occidente rivolto verso l’Oriente, propose a Giacomo II un matrimonio veneziano, in modo da vincolare a sé l’isola.
Nel 1472, dopo lunghe trattative, Caterina Corner, appartenente a una delle famiglie più in vista del patriziato veneziano, divenne regina di Cipro. Il successo della repubblica di San Marco non poté che scontentare Ferrante, timoroso della crescita di autorità dei Veneziani nel Mediterraneo orientale. Il malcontento fu causato anche dal fatto che, prima di concludere le proprie nozze con la veneziana, Giacomo II si era rivolto a Napoli e aveva considerato l’idea di prendere una moglie aragonese.
Dal momento che Giacomo II, a causa della detronizzazione di Carlotta, era di fatto un usurpatore una sua successione non sarebbe stata priva di contese: proprio in quest’ottica, il sovrano aragonese si impegnò per organizzare le nozze di una figlia di Giacomo, Carlotta, e un suo figlio naturale, Alfonso; in questo modo voleva creare una linea dinastica parallela e rivale a quella veneziana, alla quale appoggiarsi per rivendicare il trono di Cipro in caso di morte prematura del sovrano.
E questo fu quanto accadde a luglio del 1473, quando Giacomo II venne a morte e, in mancanza di sue disposizioni testamentarie chiare, scoppiò il caos nell’isola.
La “Questione di Cipro” si trascinò con fasi alterne, congiure, assassini e minacce da una e dall’altra parte fino ai primi mesi del 1474, quando l’isola era ormai in mano ai Veneziani.
Mentre le cronache veneziane, a partire da quella di Domenico Malipiero, narrano con dovizia di particolari il succedersi degli avvenimenti sull’isola cipriota, le principali opere cronachistiche napoletane li tacciono; se questo sia causato dal fallimento della politica aragonese non è dato sapere. Ad ogni modo è napoletana la figura protagonista di questa questione, il re Ferrante d’Aragona. Contrapposto alla pluralità di soggetti dai quali sono formate le istituzioni veneziane, il sovrano aragonese è il vero fautore dell’iniziale successo e poi della definitiva sconfitta di Napoli nella corsa al possesso di Cipro.
Tre sono le principali fonti diplomatiche quattrocentesche attraverso cui è possibile ricostruire la memoria della figura di Ferrante in questa circostanza: i dispacci di Leonardo Botta, oratore sforzesco a Venezia, quelli di Francesco Maletta, collega di Botta operante a Napoli e quelli di Zaccaria Barbaro, ambasciatore veneziano alla corte aragonese.
Dalle lettere di ognuno di loro è giunto fino a noi un ricordo peculiare del sovrano, nato dalle esperienze personali dei tre ambasciatori e dal loro rapporto, più o meno diretto, con la corte aragonese durante i fatti del 1473; infatti, se Maletta, vista la sua qualità di residente a Napoli, ebbe modo più volte di dialogare direttamente con Ferrante, cosa che fece anche Barbaro, la memoria di Ferrante che traspare dai dispacci di Botta, che risiedeva presso la rivale Venezia, rimase sempre astratta e indiretta, poiché filtrata dalle testimonianze che l’oratore riceveva in Laguna o dalle lettere del suo signore, il duca di Milano.
Accompagnata dal constante riferimento alle cronache veneziane, questa vuole essere la ricostruzione delle memorie, talvolta discordanti tra loro, che questi diplomatici hanno lasciato del sovrano di Napoli, grande protagonista della “Questione di Cipro”.
Durante questi anni presso la Serenissima, l’oratore inviò numerosissime lettere al suo signore, con l’intento di informarlo riguardo tutto quello che avveniva a Venezia, allora la porta verso l’Oriente.
Il mio lavoro, partito dalla trascrizione di 121 missive inedite, inviate da Botta al duca, e conservate nell’Archivio di Stato di Milano, vuole fornire uno spaccato della realtà e della vita veneziana viste con gli occhi e descritte con le parole di un perspicace ambasciatore lombardo del tempo. Oltre ai contenuti, estremamente vari, lo studio si sofferma anche sulla cifra, sulla grafia e sulla lingua usate da Botta, con lo scopo di presentare un quadro completo della fonte esaminata.
Gli argomenti trattati sono, si diceva, molti: ecco comparire nelle lettere i Turchi, pericolosi invasori da est che assediano la cittadella di Scutari, l’Ungheria e la Persia, potenziali alleate per Venezia, ma anche le altre realtà italiane, Firenze, Roma, Napoli, Ferrara, con le quali la Serenissima e Milano volevano, ognuna per ragioni distinte, giungere ad un accordo generale, e infine i dissidi personali dello Sforza col celeberrimo condottiero Bartolomeo Colleoni, suddito di San Marco.
Le lettere studiate coprono un arco temporale da aprile a giugno 1474.
Books by Giulia Calabrò
Book Reviews by Giulia Calabrò
Papers by Giulia Calabrò
il secolo, i mercanti italiani continuarono tenacemente a praticare la loro attività anche in un contesto così difficile. Tra
questi, la presenza più forte era quella dei Genovesi, le cui carracks, come le fonti d’Oltremanica definivano le loro navi di
notevoli dimensioni, si avventuravano in acque oceaniche fino alle coste inglesi a partire dal XIII secolo. Nella prima metà
del XV secolo, però, il sentimento xenofobo, nutrito da un sempre più crescente nazionalismo, dilagò fra la classe mercantile
londinese, rendendo l’attività commerciale dei Genovesi ancora più difficile. L’akmè di questo clima di tensione e
competizione si ebbe dal 1457, anno in cui Robert Sturmy, mercante di Bristol, tentò, con una spedizione di due navi dirette
in Oriente, di spezzare il monopolio che gli Italiani avevano sul commercio inglese col bacino orientale del mar Mediterraneo;
le navi di Sturmy furono assaltate e catturate da pirati all’epoca ritenuti legati alla Superba e questo episodio alimentò la
campagna anti-genovese che già l’atteggiamento xenofobo di cui sopra aveva contribuito a diffondere nel paese di Enrico VI.
La crisi che si aprì nel 1458 e si trascinò per circa 8 anni segnò una nuova fase dei rapporti diplomatici e commerciali
anglo-genovesi. Come si evolsero questi ultimi in tali difficili contingenze e quali furono le risposte della Superba alla politica
anti-italiana messa in atto dalla corona britannica? Come cambiò la presenza genovese sulla piazza inglese, in riferimento
soprattutto a Londra, Southampton e Sandwich, i tre principali centri frequentati dagli Italiani? Scopo di questo lavoro è
quello di cercare di dare risposte a queste domande, che ancora oggi costituiscono un problema storiografico che limita la
nostra conoscenza della storia tardomedievale della Superba.
Londra, negli anni tra il 1458-1466; tale periodo, infatti, segnò una crisi nelle relazioni commerciali tra il
regno di Enrico VI ed Edoardo IV e gli operatori commerciali liguri, scoppiata in seguito ad alcuni atti di
pirateria messi in atto al largo di Malta da Giuliano Gattilusio, corsaro legato alla città ligure. Obiettivo del
progetto è ricostruire il contesto storico in cui i mercanti genovesi si trovarono a operare, il funzionamento
della loro massaria e la rete di rapporti che avevano costruito con i loro interlocutori inglesi. Oltre a ciò,
grazie allo studio di fonti primarie genovesi, milanesi e inglesi, è stato ricostruito il macrocontesto storicoeconomico dell'Inghilterra della Guerra delle due rose in cui i massari genovesi si trovarono a operare. Vista
la rilevanza di alcuni di questi documenti ai fini della ricerca (fonti diplomatiche, amministrative e
finanziarie), inoltre, all'interno dell'elaborato vi è anche la loro trascrizione completa e/o il regesto, che, si
ritiene, potranno essere utili per l'avvio di futuri percorsi di studio.
Durante questi anni presso la Serenissima, l’oratore inviò numerosissime lettere al suo signore, con l’intento di informarlo riguardo tutto quello che avveniva a Venezia, allora la porta verso l’Oriente.
Il mio lavoro, partito dalla trascrizione di 121 missive inedite, inviate da Botta al duca, e conservate nell’Archivio di Stato di Milano, vuole fornire uno spaccato della realtà e della vita veneziana viste con gli occhi e descritte con le parole di un perspicace ambasciatore lombardo del tempo. Oltre ai contenuti, estremamente vari, lo studio si sofferma anche sulla cifra, sulla grafia e sulla lingua usate da Botta, con lo scopo di presentare un quadro completo della fonte esaminata.
Gli argomenti trattati sono, si diceva, molti: i Turchi, pericolosi invasori da est che assediano la cittadella di Scutari, l’Ungheria e la Persia, potenziali alleate per Venezia, ma anche le altre realtà italiane, Firenze, Roma, Napoli, Ferrara, con le quali la Serenissima e Milano volevano, ognuna per ragioni distinte, giungere ad un accordo generale, e infine i dissidi personali dello Sforza col celeberrimo condottiero Bartolomeo Colleoni, suddito di San Marco.
Le lettere studiate coprono un arco temporale da aprile a giugno 1474: arricchisce il lavoro una riflessione sugli sviluppi futuri che avranno la scoperta e l’edizione dei restanti dispacci di Botta.
loro coinvolgimento cognitivo ed emotivo. Il docente, e nel nostro caso quello di storia, è chiamato, dunque, ad attivare la
motivazione attraverso il piacere ad apprendere e a sollecitare le capacità degli alunni, mettendoli alla prova. Obiettivi questi
difficili da raggiungere, che prevedono da parte dell’insegnante la capacità di progettare un’attività da svolgere quanto più
reale e significativa possibile, progettata per veicolare ben definiti contenuti curricolari e avendo chiari gli obiettivi formativi.
Si tratta, dunque, di problematizzare un tema, delinearne i contorni e fornire prospettive per analizzarlo. Alla luce di tali
richieste, complesse e stringenti, si propone, con questo intervento, un’unità di apprendimento, volta a fornire un’occasione
didattica significativa per gli alunni, che non si limiti alla mera e arida trasmissione di conoscenze e abilità disciplinari, ma
tenda alla formazione integrale della persona, sviluppando competenze (trasversali e disciplinari) attraverso l’utilizzo di una
didattica laboratoriale. Oggetto dell’”ua” che sarà qui raccontata è un macro argomento affrontato nelle classi terze delle
scuole secondarie di secondo grado: la guerra dei Cent’anni. Si tratta, infatti, di un conflitto la cui estensione geografica e
soprattutto temporale può mettere in difficoltà sia l’alunno che l’insegnante. Il percorso qui previsto conterrà tutte le
componenti di una “ua”: prerequisiti, conoscenze, abilità e competenze da raggiungere, strumenti impiegati, metodologie
didattiche suggerite (tradizionali e innovative), tempi impiegati e modalità di organizzazione dell’attività didattica. Infine, si
fornirà anche qualche suggerimento sulle modalità di valutazione della classe una volta completato il percorso didattico,
prevedendo anche delle attività di recupero in itinere per gli alunni che in sede di valutazione avranno messo in luce qualche
difficoltà nella costruzione delle competenze.
Improvvisamente e in maniera piuttosto brusca, però, l’alleanza si spezzò nel 1473; la causa di ciò fu l’insorgere di una nuova rivalità tra Ferrante e Venezia, stavolta divampata in seguito a quella che venne poi definita la “Questione di Cipro”.
Nel 1464 la regina dell’isola, Carlotta di Lusignano, era stata detronizzata dal fratellastro, Giacomo II, che, una volta cinta la corona, si affrettò a ricercare alleati per consolidare il proprio status. Trovò in primis la Serenissima, che, vista la posizione di Cipro, baluardo d’Occidente rivolto verso l’Oriente, propose a Giacomo II un matrimonio veneziano, in modo da vincolare a sé l’isola.
Nel 1472, dopo lunghe trattative, Caterina Corner, appartenente a una delle famiglie più in vista del patriziato veneziano, divenne regina di Cipro. Il successo della repubblica di San Marco non poté che scontentare Ferrante, timoroso della crescita di autorità dei Veneziani nel Mediterraneo orientale. Il malcontento fu causato anche dal fatto che, prima di concludere le proprie nozze con la veneziana, Giacomo II si era rivolto a Napoli e aveva considerato l’idea di prendere una moglie aragonese.
Dal momento che Giacomo II, a causa della detronizzazione di Carlotta, era di fatto un usurpatore, una sua successione non sarebbe stata priva di contese: proprio in quest’ottica, il sovrano aragonese si impegnò per organizzare le nozze di una figlia di Giacomo, Carlotta, e un suo figlio naturale, Alfonso; in questo modo voleva creare una linea dinastica parallela e rivale a quella veneziana, alla quale appoggiarsi per rivendicare il trono di Cipro in caso di morte prematura del sovrano.
E questo fu quanto accadde a luglio del 1473, quando Giacomo II venne a morte e, in mancanza di sue disposizioni testamentarie chiare, scoppiò il caos nell’isola.
La “Questione di Cipro” si trascinò con fasi alterne, congiure, assassini e minacce da una e dall’altra parte fino ai primi mesi del 1474, quando l’isola era ormai in mano ai Veneziani.
Mentre le cronache veneziane, a partire da quella di Domenico Malipiero, narrano con dovizia di particolari il succedersi degli avvenimenti sull’isola cipriota, le principali opere cronachistiche napoletane li tacciono; se questo sia causato dal fallimento della politica aragonese non è dato sapere. Ad ogni modo è napoletana la figura protagonista di questa questione, il re Ferrante d’Aragona. Contrapposto alla pluralità di soggetti dai quali sono formate le istituzioni veneziane, il sovrano aragonese è il vero fautore dell’iniziale successo e poi della definitiva sconfitta di Napoli nella corsa al possesso di Cipro.
Da tre diverse fonti diplomatiche quattrocentesche è possibile ricostruire la memoria della figura di Ferrante in questa circostanza: dai dispacci di Leonardo Botta, oratore sforzesco a Venezia, da quelli di Francesco Maletta, collega di Botta operante a Napoli e da quelli di Zaccaria Barbaro, ambasciatore veneziano alla corte aragonese.
Tramite le lettere di ognuno di loro è giunto fino a noi un ricordo peculiare del sovrano, nato dalle esperienze personali dei tre ambasciatori e dal loro rapporto, più o meno diretto, con la corte aragonese durante i fatti del 1473; infatti, se Maletta, vista la sua qualità di residente a Napoli, ebbe modo più volte di dialogare direttamente con Ferrante, cosa che fece anche Barbaro, la memoria di Ferrante che traspare dai dispacci di Botta, che risiedeva presso la rivale Venezia, rimase sempre astratta e indiretta, poiché filtrata dalle testimonianze che l’oratore riceveva in Laguna o dalle lettere del suo signore, il duca di Milano.
Accompagnata dal constante riferimento alle cronache veneziane, questa vuole essere la ricostruzione delle memorie, talvolta discordanti tra loro, che questi diplomatici hanno lasciato del sovrano di Napoli, grande protagonista della “Questione di Cipro”.
Improvvisamente e in maniera piuttosto brusca, però, l’alleanza si spezzò nel 1473; la causa di ciò fu l’insorgere di una nuova rivalità tra Ferrante e Venezia, stavolta divampata in seguito a quella che venne poi definita la “Questione di Cipro”.
Nel 1464 la regina dell’isola, Carlotta di Lusignano, era stata detronizzata dal fratellastro, Giacomo II, che, una volta cinta la corona, si affrettò a ricercare alleati per consolidare il proprio status. Trovò in primis la Serenissima, che, vista la posizione di Cipro, baluardo d’Occidente rivolto verso l’Oriente, propose a Giacomo II un matrimonio veneziano, in modo da vincolare a sé l’isola.
Nel 1472, dopo lunghe trattative, Caterina Corner, appartenente a una delle famiglie più in vista del patriziato veneziano, divenne regina di Cipro. Il successo della repubblica di San Marco non poté che scontentare Ferrante, timoroso della crescita di autorità dei Veneziani nel Mediterraneo orientale. Il malcontento fu causato anche dal fatto che, prima di concludere le proprie nozze con la veneziana, Giacomo II si era rivolto a Napoli e aveva considerato l’idea di prendere una moglie aragonese.
Dal momento che Giacomo II, a causa della detronizzazione di Carlotta, era di fatto un usurpatore una sua successione non sarebbe stata priva di contese: proprio in quest’ottica, il sovrano aragonese si impegnò per organizzare le nozze di una figlia di Giacomo, Carlotta, e un suo figlio naturale, Alfonso; in questo modo voleva creare una linea dinastica parallela e rivale a quella veneziana, alla quale appoggiarsi per rivendicare il trono di Cipro in caso di morte prematura del sovrano.
E questo fu quanto accadde a luglio del 1473, quando Giacomo II venne a morte e, in mancanza di sue disposizioni testamentarie chiare, scoppiò il caos nell’isola.
La “Questione di Cipro” si trascinò con fasi alterne, congiure, assassini e minacce da una e dall’altra parte fino ai primi mesi del 1474, quando l’isola era ormai in mano ai Veneziani.
Mentre le cronache veneziane, a partire da quella di Domenico Malipiero, narrano con dovizia di particolari il succedersi degli avvenimenti sull’isola cipriota, le principali opere cronachistiche napoletane li tacciono; se questo sia causato dal fallimento della politica aragonese non è dato sapere. Ad ogni modo è napoletana la figura protagonista di questa questione, il re Ferrante d’Aragona. Contrapposto alla pluralità di soggetti dai quali sono formate le istituzioni veneziane, il sovrano aragonese è il vero fautore dell’iniziale successo e poi della definitiva sconfitta di Napoli nella corsa al possesso di Cipro.
Tre sono le principali fonti diplomatiche quattrocentesche attraverso cui è possibile ricostruire la memoria della figura di Ferrante in questa circostanza: i dispacci di Leonardo Botta, oratore sforzesco a Venezia, quelli di Francesco Maletta, collega di Botta operante a Napoli e quelli di Zaccaria Barbaro, ambasciatore veneziano alla corte aragonese.
Dalle lettere di ognuno di loro è giunto fino a noi un ricordo peculiare del sovrano, nato dalle esperienze personali dei tre ambasciatori e dal loro rapporto, più o meno diretto, con la corte aragonese durante i fatti del 1473; infatti, se Maletta, vista la sua qualità di residente a Napoli, ebbe modo più volte di dialogare direttamente con Ferrante, cosa che fece anche Barbaro, la memoria di Ferrante che traspare dai dispacci di Botta, che risiedeva presso la rivale Venezia, rimase sempre astratta e indiretta, poiché filtrata dalle testimonianze che l’oratore riceveva in Laguna o dalle lettere del suo signore, il duca di Milano.
Accompagnata dal constante riferimento alle cronache veneziane, questa vuole essere la ricostruzione delle memorie, talvolta discordanti tra loro, che questi diplomatici hanno lasciato del sovrano di Napoli, grande protagonista della “Questione di Cipro”.
Durante questi anni presso la Serenissima, l’oratore inviò numerosissime lettere al suo signore, con l’intento di informarlo riguardo tutto quello che avveniva a Venezia, allora la porta verso l’Oriente.
Il mio lavoro, partito dalla trascrizione di 121 missive inedite, inviate da Botta al duca, e conservate nell’Archivio di Stato di Milano, vuole fornire uno spaccato della realtà e della vita veneziana viste con gli occhi e descritte con le parole di un perspicace ambasciatore lombardo del tempo. Oltre ai contenuti, estremamente vari, lo studio si sofferma anche sulla cifra, sulla grafia e sulla lingua usate da Botta, con lo scopo di presentare un quadro completo della fonte esaminata.
Gli argomenti trattati sono, si diceva, molti: ecco comparire nelle lettere i Turchi, pericolosi invasori da est che assediano la cittadella di Scutari, l’Ungheria e la Persia, potenziali alleate per Venezia, ma anche le altre realtà italiane, Firenze, Roma, Napoli, Ferrara, con le quali la Serenissima e Milano volevano, ognuna per ragioni distinte, giungere ad un accordo generale, e infine i dissidi personali dello Sforza col celeberrimo condottiero Bartolomeo Colleoni, suddito di San Marco.
Le lettere studiate coprono un arco temporale da aprile a giugno 1474.
il secolo, i mercanti italiani continuarono tenacemente a praticare la loro attività anche in un contesto così difficile. Tra
questi, la presenza più forte era quella dei Genovesi, le cui carracks, come le fonti d’Oltremanica definivano le loro navi di
notevoli dimensioni, si avventuravano in acque oceaniche fino alle coste inglesi a partire dal XIII secolo. Nella prima metà
del XV secolo, però, il sentimento xenofobo, nutrito da un sempre più crescente nazionalismo, dilagò fra la classe mercantile
londinese, rendendo l’attività commerciale dei Genovesi ancora più difficile. L’akmè di questo clima di tensione e
competizione si ebbe dal 1457, anno in cui Robert Sturmy, mercante di Bristol, tentò, con una spedizione di due navi dirette
in Oriente, di spezzare il monopolio che gli Italiani avevano sul commercio inglese col bacino orientale del mar Mediterraneo;
le navi di Sturmy furono assaltate e catturate da pirati all’epoca ritenuti legati alla Superba e questo episodio alimentò la
campagna anti-genovese che già l’atteggiamento xenofobo di cui sopra aveva contribuito a diffondere nel paese di Enrico VI.
La crisi che si aprì nel 1458 e si trascinò per circa 8 anni segnò una nuova fase dei rapporti diplomatici e commerciali
anglo-genovesi. Come si evolsero questi ultimi in tali difficili contingenze e quali furono le risposte della Superba alla politica
anti-italiana messa in atto dalla corona britannica? Come cambiò la presenza genovese sulla piazza inglese, in riferimento
soprattutto a Londra, Southampton e Sandwich, i tre principali centri frequentati dagli Italiani? Scopo di questo lavoro è
quello di cercare di dare risposte a queste domande, che ancora oggi costituiscono un problema storiografico che limita la
nostra conoscenza della storia tardomedievale della Superba.
Volume disponibile qui:
https://www.nuovomedioevo.it/attivita-2/1466-2/
Iniziativa realizzata nell’ambito del progetto PRIN 2017 ‘LOC-GLOB. The local connectivity in an age of global intensification: infrastructural networks, production and trading areas in late-medieval Italy (1280-1500)’.