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In 1938 the regime's popular periodical La Difesa della Razza published the portrait of Saartjie Baartman (a Khoisan woman known to the western world as 'The Hot-tentot Venus') to discourage miscegenation in the empire of Italian East... more
In 1938 the regime's popular periodical La Difesa della Razza published the portrait of Saartjie Baartman (a Khoisan woman known to the western world as 'The Hot-tentot Venus') to discourage miscegenation in the empire of Italian East Africa. But by 1938, Italian public and scientific interest in the Hottentot Venus had long faded away. In addition, readily available photographs of Italo-Eritreans could have been used to show the 'outcome' of miscegenation. Why then did the regime's organ publish a portrait of 'The Hottentot Venus'? This article addresses this question, and explores how Baartman's story could serve the regime's aim of forging a new 'racial consciousness' among Italians. By focusing on the transformation of scientific discourses from the 1850s to the late 1930s, and on their silences, the article illuminates the process through which some of the regime's anthropologists constructed a new, 'made in Italy' story for the Hottentot Venus. Deliberately leaving out all the main issues long debated during the previous century, they turned this figure into an empty icon to support Fascist colonial obsession with the purity and prestige of the Italian race.
This chapter draws from the findings of research conducted from 2008 to 2010 by a group composed of five postgraduate students in political sciences whom I supervised. The aim of the research was to produce an ethnographic study of the... more
This chapter draws from the findings of research conducted from 2008 to 2010 by a group composed of five postgraduate students in political sciences whom I supervised. The aim of the research was to produce an ethnographic study of the local institutions in the city of Ravenna, Italy, in charge of the 'protection and social integration' of refugees and asylum seekers, and to analyse the way the national asylum system functions from an anthropological perspective. In particular, the objective was to understand how national and trans-national policies turned into everyday practices at the local urban level within a specific refugees' reception project, how bureaucratic procedures for refugee status determination affected the lives and needs of asylum seekers, and how local administrative practices addressed issues such as housing, employment, and health. An ethnographic approach was adopted to examine everyday life inside local offices and organizations in charge of what was referred to as the 'reception and integration' process for asylum seekers and refugees-including voluntary organizations.
Quando nel 1986 Marcus e Fischer indicavano nello stesso incipit del loro volume i due compiti specifici dell'antropologia-lo studio di altre forme di vita e la riflessione critica sul noi-un certo rimpatrio dell'antropologia era iniziato... more
Quando nel 1986 Marcus e Fischer indicavano nello stesso incipit del loro volume i due compiti specifici dell'antropologia-lo studio di altre forme di vita e la riflessione critica sul noi-un certo rimpatrio dell'antropologia era iniziato già da qualche tempo: negli anni Trenta del Novecento negli Stati Uniti per l'antropologia urbana e del lavoro, e tra gli anni Quaranta e Cinquanta in Europa, con lo studio di organizzazioni e imprese in Gran Bretagna, e su marginali interni, festività e sacro in Francia e in Italia. 2 Tale ritorno a casa obbliga l'antropologia a ripensare non solo il proprio oggetto e metodo-ad esempio nei termini di una "imbricazio-ne reciproca", come suggerito da Vanessa Maher in questa stessa occasione-ma anche a prendere atto del fatto che la "casa" non è più la stessa, poiché «le culture altre esistono anche a casa propria, sia in forma preesistente, sia in forma nuova» (Simonicca, 2001, p. 238). Questo aspetto compare con sempre maggiore insisten-za nella letteratura antropologica, almeno a partire dagli inizi degli anni Ottanta, sebbene sotto diverse forme e con diverse gradazioni. È nell'enunciato di Geertz sull'alterità che «non si profila sulla riva del mare, ma sull'orlo della pelle» (2001b, p. 93) o, per restare a casa, nell'invito di Remotti (1990) a chiarire anche la natura del noi, o infine nel riconoscimento di Fabietti (1999) sull'attuale impossibilità di distinguere con chiarezza un "qui" ed un "altrove". D'altro canto, Gupta e Fer-guson segnalavano anche i rischi della spazializzazione delle differenze culturali ancora implicita proprio nel testo di Marcus e Fischer, indicando al contrario la necessità di «interrogare, politicamente e storicamente, l'apparente "datità" di un mondo diviso essenzialmente in "noi" ed "altri"» (1992, p. 16); 3 e all'origine del ri-pensamento della relazione tra spazio ed identità proposto dai due autori troviamo i lavori di Liisa Malkki (1995a, 1995b) su richiedenti asilo, diaspora e cittadinanza. Ma il motivo per cui sono partita dall'incipit di Marcus e Fischer è un altro: mi è sembrato interessante che questo sia stato utilizzato in apertura del manuale di Helen Schwartzman (1993) sull'etnografia delle organizzazioni, per indicare nello studio delle istituzioni una delle porte di accesso più promettenti per il rimpatrio dell'antropologia. A patto però che istituzioni ed organizzazioni non siano inda-1 Università di Bologna. 2 Si veda Cannada Bartoli, 2001 per una rassegna critica sul tema e, più recentemente, Sbardella, 2007 per l'antropologia francese e Zinn, 2007 per quella anglosassone. 3 Nella prospettiva proposta dai due autori, il processo politico di costruzione dell'alterità non è riducibile al momento della rappresentazione poiché è già presente nel campo delle relazioni di potere tra gruppi, ossia nelle «radici extra-testuali del problema».
In questo saggio mi concentro sui primi passaggi amministrativi con cui si attiva in Italia la procedura di asilo politico, analizzando l'interazione di tipo burocratico tra richiedenti asilo e soggetti istituzionali che ho potuto... more
In questo saggio mi concentro sui primi passaggi amministrativi con cui si attiva in Italia la procedura di asilo politico, analizzando l'interazione di tipo burocratico tra richiedenti asilo e soggetti istituzionali che ho potuto osservare in un caso di prima richiesta di protezione internazionale. Utilizzando le suggestioni che provengono da recenti studi di etnografia della comunicazione in contesti analoghi in altri paesi europei, mi soffermo sui modi in cui le ripetute azioni di raccolta, traduzione e trascrizione delle storie dei richiedenti asilo da parte di pubblici ufficiali e traduttori durante lo svolgersi della procedura, fun-gono da filtro rispetto alle storie stesse fino a depotenziarle e svuotarle di signi-ficato, funzionando a detrimento della loro stessa coerenza e credibilità. Applying for asylum. Narratives, translation, and textualization This essay deals with the initial administrative steps of a refugee status determination procedure in Italy, by focusing on the bureaucratic interaction between an asylum seeker and institutional subjects I could observe during my fieldwork on international protection's procedures. Drawing from case studies in linguistic anthropology in similar European contexts, I analyze the ways in which processes of interviewing, translating and inscribing asylum seekers' narratives into standard bureaucratic forms by public officers and interpreters, act as powerful filters that empty those stories, eventually weakening their internal coherence and final credibility.
Il nostro è il secolo dei rifugiati. È quasi impossibile percorrere la letteratura sui richiedenti asilo senza imbattersi almeno una volta in questa affermazione, anticipata da Said nelle sue riflessioni sull'esilio. Ma l'esilio di ieri... more
Il nostro è il secolo dei rifugiati. È quasi impossibile percorrere la letteratura sui richiedenti asilo senza imbattersi almeno una volta in questa affermazione, anticipata da Said nelle sue riflessioni sull'esilio. Ma l'esilio di ieri non assomiglia in tutto all'asilo di oggi. Nel processo che porta pochi selezionati individui (apolidi, esuli) ad essere rimpiazzati da masse in movimento (profughi, rifugiati) cambiano non solo le condizioni storiche, ma anche le modalità con cui il fenomeno viene identificato e rappresentato, nonché le politiche di ricezione e gestione dello stesso.
Contraddizioni coloniali e scrittura etnografica La letteratura internazionale che ha concentrato l'analisi sui nessi di diversa natura tra antropologia e colonialismo è oramai molto co-spicua, databile già agli anni Settanta del... more
Contraddizioni coloniali e scrittura etnografica La letteratura internazionale che ha concentrato l'analisi sui nessi di diversa natura tra antropologia e colonialismo è oramai molto co-spicua, databile già agli anni Settanta del Novecento e rivolta a quasi tutte le ex colonie britanniche, francesi, olandesi e, in minor misura, belghe. All'interno di questa vasta letteratura esistono degli indirizzi, o anche semplicemente degli approcci o degli spunti di riflessione, che potrebbero a mio parere essere utilmente applicati al caso italia-no. Quest'ultimo, come è noto, è virtualmente un terreno ancora lar-gamente da esplorare. Negli anni Settanta, quando altrove si iniziava a esplorare il peso del colonialismo sulla disciplina antropologica, Lanternari (1974) af-fermava che-soprattutto per la brevità dell'esperienza coloniale ita-liana, la marginalità del territorio conquistato e il disinteresse del regime fascista verso la disciplina-uno studio dei nessi tra antropolo-gia e colonialismo non sarebbe stato rilevante nel caso italiano. Alcuni lavori degli anni Ottanta hanno comunque mostrato come proprio l'ossessiva attenzione del regime durante il periodo imperiale verso le questioni razziali abbia incentivato studi antropologici sui sudditi co-loniali; o come etnografie applicate venissero prodotte sul territorio coloniale da funzionari e amministratori, per ragioni di dominio 1. Più di recente, alcuni studi di storia sociale hanno focalizzato l'attenzione sul contesto coloniale, sulle relazioni tra cittadini e sudditi, sulle que-stioni di genere e sull'impatto delle leggi razziali per la società colo-nizzata 2. Si è così riempito un vuoto nella storiografia coloniale italia-na-dove i lavori esistenti, pur rilevanti, si concentravano principal-mente nei settori della storia politica o militare-iniziando a rico-struire parti del contesto sociale e culturale del vissuto coloniale 3. Per