Nuova Oggettività

Ricostruzione del dialogo tra Germania e Italia negli anni venti e trenta del XX secolo attraverso le riviste d'arte, gli eventi espositivi e le riflessioni dei principali artisti e critici partecipi delle esperienze della Metafisica, di Valori Plastici, della Nuova oggettività e del Realismo Magico

Attraverso una campionatura di dipinti, disegni e grafiche della prima metà del Novecento, la mostra offrì alcuni spunti di riflessione circa la rappresentazione del corpo/figura umana, che riflette la concezione antropologico-filosofica dell’uomo, del suo destino e del suo ruolo nei diversi orientamenti culturali e sociali. E’ un percorso tanto stilistico quanto concettuale. Vi si collocano diverse esperienze di “ritorno all’ordine”, ovvero di recupero della grande tradizione pittorica,  dei “primitivi” e del rinascimento, e anche della statuaria antica. L’arte si alimenta così di valori positivi, legati alla storia, alla tecnica e al “mestiere” nell’accezione più nobile, a un’iconografia arcaica ma profondamente “interiorizzata”; rinnovate esperienze danno nuova linfa a una realtà artistica che era stata anch’essa travolta dal conflitto mondiale e, al proprio interno, posta in crisi dal futurismo e dalle avanguardie. E’ un momento di disagio e di transizione, documentato da opere grafiche di Carrà e de Chirico.  Negli anni Venti – Trenta, si sviluppa in variegate tendenze un discorso di affermazione dei destini umani. In mostra, il nucleo storico del Novecento, costituitosi nel ’22 alla Galleria Pesaro di Milano, è rappresentato da un dipinto esemplare di ognuno dei suoi protagonisti: Bucci, Dudreville, il Funi del “realismo magico”, Malerba, Marussig, il “classicista” Oppi, il Sironi dei titanici “costruttori”. Accanto a questo nucleo centrale, si aggregano dipinti e disegni di autori come Borra,  il Reggiani “novecentista”, Marini, Rosai… L’interpretazione metafisica dell’uomo viene rappresentata da opere di Savinio e De Chirico; una lettura in chiave di privato intimismo emerge in un dipinto di de Pisis. Un ritratto a matita di Prampolini del ’32 riferisce sull’evolversi dell’esperienza futurista, mentre a un recupero delle avanguardie tende Severini, qui presente con una delle sue “odalische” dal colore sontuoso. L’ideale percorso per saggi si conclude, ai primi degli anni ’40, con l’opera di Guidi, in cui il processo di depurazione formale esalta quella radice umanistica che, con molteplici varianti e individuali valori, si rinviene alla base della cultura del Novecento.

Il tatuaggio è veramente soltanto un simbolo identificativo di criminali e marinai annoiati? È solo una moda passeggera? Questo segno inciso sulla pelle, oltre ad essere espressione personale, può esserlo anche di un periodo storico, della nostra identità culturale e sociale? Cercherò di rispondere a queste domande analizzando un importante esponente del panorama artistico tedesco, un rappresentante della Nuova oggettività  (Neue Sachlichkeit), che ha reso il tatuaggio protagonista delle sue tele, Otto Griebel.

Tra la seconda metà del XIX Sec. e la prima metà del XX Sec. il corpo tatuato è diventato un’occasione, per artisti e intellettuali, per parlare della decadenza dei costumi, delle ideologie e della società a partire dal concetto di atavismo di Cesare Lombroso.
Conseguentemente il tatuaggio venne sempre più associato alla fascia della popolazione più emarginata, che gli studi positivi etichettarono come soggetti degenerati.
Otto Dix, rappresentante di punta della Nuova Oggettività tedesca (Neue Sachlichkeit), rese la classe proletaria protagonista della sua produzione artistica; il tatuaggio, popolare tra le classi basse, divenne così un elemento centrare delle sue opere, ed assunse una nuova connotazione sovversiva e politica.
Alla luce dell'inedito rapporto tra Otto Dix e il tatuatore di Amburgo Karl Finke, in questo articolo verranno analizzati alcuni dei quadri in cui compaiono soggetti tatuati come “(Der) Matrose Fritz Müller aus Pieschen” (1919), “Fleischrladen” (1920), “Suleika, das tätowierte Wunder” (1920) e “Abschied von Hamburg” (1921).

The essay aims therefore to provide a detailed reconstruction of Meidner's history of reception in Italy from the 1960s to the present day. In 1964 the renowned Germanist Paolo Chiarini translated in his volume Caos e Geometria Meidner's manifesto Anleitung zum Malen von Großstadtbildern; in the same year the magazine “Emporium” reviewed Meidner's exhibition in Darmstadt. In the 1970s, Meidner's works were included in a few important exhibitions, and his drawings were first shown to the Italian public in solo exhibitions in Rome and Milan between 1976 and 1977. Then there was a turning point: only after Jean Clair included Meidner’s self-portrait from 1912 (Hessisches Landesmuseum Darmstadt) in the exhibition Identità e Alterità, that he conceived for the centenary of the Venice Biennale in 1995, did other Italian curators begin to show the works by the German artist in various exhibitions, and Italian scholars have dealt with Meidner's main topics in general essays. Nonetheless my book Ludwig Meidner attraverso degli scritti (2009) remains up to today the only monograph on the artist in Italy.