SOMMARIO, A. XLVIII, N.123, 2018
Fabio Andreassi, Il ruolo dei disastri naturali e dell’azione
pubblica nella destrutturazione dell’immaginario collettivo
della città
Rosaria Battarra, Carmela Gargiulo, Rosa Anna la Rocca,
Laura Russo, L’applicazione del paradigma smart city in
Italia. Luci ed ombre delle sperimentazioni nelle città
metropolitane
Francesco Gastaldi, Federico Camerin, Verso un censimento
delle aree militari in Veneto
Mario Paris, Antonio Casella, Quale cooperazione
intercomunale fuori dalle città metropolitane? Il percorso di
riconoscimento dell’IPA veronese come laboratorio per il
governo dell’area vasta
Anna Richiedei, Anna Frascarolo, Evoluzioni di un piano di
recupero: quartiere gentrificato o multiculturale? Il caso del
Carmine a Brescia
Dino Borri, Domenico Camarda, Nicola Schingaro, Maria
Rosaria Stufano Melone, Percorsi cognitivi dello spazio per il
supporto decisionale: alcune note a partire da casi di studio
Maurizio Carta, Barbara Lino, Marilena Orlando, Innovazione
sociale e creatività. Nuovi scenari di sviluppo per il territorio
sicano
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Quale cooperazione intercomunale fuori dalle
città metropolitane? Il percorso
di riconoscimento dell’IPA Veronese come
laboratorio per il governo dell’area vasta1
Mario Paris* e Antonio Casella**
Il paper affronta il tema della governance di scala vasta e delle forme di cooperazione
fra Comuni negli ambiti al di fuori delle città metropolitane. Le riflessioni si
misurano sulle questioni del cosiddetto “rescaling of formal planning activities”
presenti in diverse normative nazionali e sono sviluppate a partire dai temi emersi
nel percorso di definizione di un partenariato tra soggetti pubblici e privati nel
Veronese che opera ad una scala intermedia fra quella municipale e regionale.
Parole chiave: Metropolizzazione; Governance metropolitana; Cooperazione
intercomunale; Regione Veneto; Intesa Programmatica d’Area (IPA)
Which intermunicipal cooperation without città metropolitane? The process of
recognition of IPA Veronese as testing ground for the governance of the
intermediate scale.
The aim of this paper is exploring the intermunicipal governance through volunteer
cooperation for those areas which are marked by mature metropolisation processes
without a recognition by specific bodies or institutions (as città metropolitane in
Italy). Focusing on the case of the IPA Veronese – a peculiar figure which involved
public bodies and private companies in local government – we reflect about the
intermediate scale and its role as role of testing ground for innovations in
governance.
Key-words: Metropolisation processes; Metropolitan governance; Intermunicipal
cooperation; Veneto Region; Intesa Programmatica d’Area (IPA)
Introduzione
Questo contributo si inserisce tra le riflessioni svolte all’interno della
disciplina della pianificazione territoriale negli ultimi quindici anni in merito
alle riforme istituzionali necessarie per poter comprendere e incidere sulle
dinamiche spaziali contemporanee (Pugalis e Townsend, 2013; Healey,
2010; 2007; Bobbio, 2002). Si tratta di un campo di studi in cui è diventato
necessario ripensare gli spazi d’azione per planners, policy-maker e tecnici,
1
Inviato il 11 lug. 2016; nella forma rivista il 1 lug. 2017; accettato il 20 nov. 2017.
Urb&Com Lab., DAStU – Politecnico di Milano. mario.paris@polimi.it
** Istituto Commercio Servizi – ICS. info@istitutocommercioservizi.org
Il presente saggio è frutto del lavoro congiunto dei due autori, che insieme hanno redatto
l’introduzione e le conclusioni. A. Casella ha curato il § 1, mentre M. Paris i § 2 e 3.
*
76
anche attraverso la definizione di ambiti sub-regionali discreti (Fernàndez e
Rubiera, 2012; Gualini, 2001; Bielli e La Bella, 1982) utili a governare le
scale intermedie e non istituzionali delle dinamiche territoriali correnti
(Brenner, 2003). L’obiettivo di queste operazioni, dovrebbe essere quello di
raccordare processi in corso e forme di governance, recuperando la relazione
fra istituzione e territorio (Balducci e al., 2017a). La nostra ricerca, ancorata
al contesto italiano, riconosce la presenza di un buon numero di studi sui temi
della gestione dei servizi, della razionalizzazione delle risorse e
dell’amministrazione delle funzioni fondamentali a scala metropolitana (fra
gli altri: Balducci e al., 2017b; Perulli, 2014; Vandelli, 2014 e 2012; Marotta
e Pastena, 2013; Balducci e al. 2011; Ferrari e Galeone, 2010; Hulst e Van
Montfort, 2007). Al contempo, evidenzia la relativa scarsità di riflessioni
rispetto alle domande manifestate da Comuni, Enti Locali e forze sociali
sulla necessità di orientamento e governance alla scala inter-municipale fuori
dal contesto delle città metropolitane.
Sulla scorta di questo quadro teorico, in questo contributo siamo partiti
da alcune pratiche recenti legate al tema della gestione dell’intercomunalità
(Messina, 2011) e alla necessità di ripensare forme di governo dell’area vasta
che supportino la costruzione di scenari strategici e visioni condivise oltre
alla gestione amministrativa delle competenze, soprattutto negli ambiti delle
città medie. In molti casi la richiesta da parte degli enti e degli attori
economici è quella di far assumere all’area vasta il ruolo di laboratorio di
innovazione nel governo del territorio, orientato alla creazione di sviluppo
territoriale sostenibile e promozione di complementarietà fra asset socioeconomici locali, così come tracciato nelle recenti politiche di coesione
territoriale dell’Unione Europea, introdotte dalla European Spatial
Development Perspective del 1999 e riconfermate con il Trattato di Libsona
(Meijers, 2012). Il campo d’analisi di questo contributo è il contesto italiano
dove questa esigenza è ancor più marcata poiché l’attuale assetto
istituzionale, non prevede figure specifiche su questi temi, salvo per quella
delle città metropolitane previste dalla legge n. 56/2014 (Legge Delrio). Per
questa ragione, come segnalato da Corò e Dalla Torre (2016), in ambito
nazionale la sperimentazione di forme di innovazione fuori dagli ambiti
riconosciuti come città metropolitane deve ricorrere a processi pragmatici,
che possano includere anche il contributo delle istituzioni economiche, per
capire il potenziale e i rischi connessi alle pratiche cooperative (Servillo e
Lingua, 2014) e/o interattive (Torfing e al., 2012). L’utilizzo di queste
pratiche come prove di innovazione potrebbe portare, a nostro giudizio, a
sperimentare forme diverse di governance territoriale, più vicine alla scala e
alla condizione contemporanea dei fenomeni territoriali, e più efficaci
nell’intervenire su di essi.
Obiettivi. L’obiettivo di questo studio non è, quindi, quello di proporre
una riflessione esaustiva sul tema della riforma della governance territoriale
77
in Europa, né tantomeno di semplificare il ricco dibattito che negli ultimi
anni si è sviluppato su questo argomento (fra gli altri: Knieling e
Othengrafen, 2015; Reimer e al., 2014; Glassom e Marshall, 2010; Healey,
2010). Più semplicemente, ci proponiamo di verificare quale sia il potenziale
di un approccio alternativo alle forme istituzionali di governo dell’area vasta
per quei territori non riconosciuti come parti di città metropolitane ma che
necessitano di strumenti di coordinamento su temi e problemi condivisi a
livello locale. Per farlo, proponiamo la lettura critica di un’esperienza
recente, quella della costituzione dell’IPA Veronese2 e l’identificazione di
temi di riflessione utili alla definizione di nuove forme di governance
territoriale. Si tratta di un percorso sviluppato con l’individuazione di alcune
tematiche centrali nelle pratiche legate alla pianificazione strategica (fra gli
altri: Balducci e al., 2011; Hartman e al., 2011; Albrechts, 2004) e al regional
design (Balz e Zonneveld, 2015). In questo approccio le capacità di
identificare attori, esplorare spazi di dialogo e definire le condizioni di
interazione sono attività che hanno lo stesso peso delle azioni e i risultati che
derivano dall’incontro degli agenti attivi sui territori. Al tempo stesso, questi
sono stati adattati alla scala inter-comunale in un contesto di
metropolizzazione matura. Nell’ambito del lavoro, la volontà di cooperare
manifestata “dal basso” da parte di alcuni attori pubblici locali (sia politici,
sia tecnici) si è concretizzata in una proposta orientata all’innovazione delle
forme di governance sovracomunale e alle modalità di costruzione e
implementazione dei progetti a questa scala.
Metodologia. La riflessione proposta muove da un’esperienza di ricerca
applicata, realizzata attraverso il ricorso a due distinte tipologie di analisi. La
prima, comparativo-descrittiva, utilizzata per analizzare le più diffuse forme
istituzionali di governo dell’area vasta in ambito italiano e per approfondire
gli aspetti strategici delle diverse opzioni valutandone opportunità e limiti.
Una volta individuata la forma dei patti territoriali come uno degli assetti in
grado di favorire la costruzione di governance territoriali flessibili e
operative, ci siamo concentrati sullo studio di un caso specifico attraverso
una seconda tipologia di analisi-osservazione empirica dei processi di
costruzione e sviluppo dell’esperienza dell’Intesa Programmatica d’Area
Veronese, della quale sono stati messi in evidenza opportunità e rischi, così
da arricchire e supportare la riflessione sulle forme di governance attraverso
la definizione di alcuni temi emergenti.
2 Gli autori di questo articolo, membri dell’Istituto Commercio e Servizi, hanno
partecipato al percorso di costituzione dell’IPA Veronese quali consulenti dei Comuni di
Verona e Valeggio sul Mincio (VR). Attraverso la loro ricerca, hanno supportato la segreteria
tecnica dell’IPA Veronese e fornito materiali utili alla redazione dei documenti richiesti dalla
Regione Veneto. Le riflessioni riportate in questo articolo sono state elaborate durante lo
svolgimento di questa esperienza e si inseriscono all’interno di un più ampio programma di
ricerca applicata sulle forme di governance territoriale sia in Italia sia all’estero.
78
Struttura. L’articolo, dopo una breve riflessione introduttiva (1.) sulla
necessità di ripensare le forme di governo dell’area vasta con il supporto
della scala intercomunale, si focalizza sulla figura veneta delle Intese
Programmatica d’Area e, in particolare, ricostruisce il percorso di
riconoscimento dell’IPA Veronese (2.). Il nostro lavoro di ricerca è
un’operazione di esplorazione critica di questa esperienza (3.), nelle cui
conclusioni (4.) si discute dell’efficacia di questo tipo di figure nel governo
dell’area vasta, fuori dalle cornici istituzionali previste nell’ordinamento
italiano.
1. La cooperazione intercomunale come forma di governo
dell’area vasta
Nel libro verde sulla coesione territoriale la Commissione Europea (2008;
3) riconosce che l’approccio integrato e la cooperazione multilivello sono
fattori decisivi per superare le sfide territoriali correnti. Fra di esse,
particolare rilievo sembrano assumere per gli ambiti non metropolitani, la
promozione delle relazioni fra le città e il loro ambito di influenza, della
gestione integrata dei sistemi legati a questi ambiti geografici allargati
(patrimoni culturali, reti, mercato del lavoro…), della competitività regionale
e del miglior sfruttamento del loro potenziale paesaggistico e ambientale.
Questo documento, insieme ad altri ad esso legati, come la Leipzig Charter
on Sustainable European Cities (2007) e la Territorial agenda of the
European Union 2020 (Council of Ministers responsible for Spatial Planning
and Territorial Development, 2011) hanno imposto all’attenzione dei governi
nazionali la necessità di ripensare le modalità e le forme di governo del
territorio, con l’obiettivo di gestire le dinamiche spaziali e pensare allo
sviluppo, gettando ponti fra efficienza economica, coesione sociale ed
equilibrio ecologico, ponendo il tema della sostenibilità al centro
dell’elaborazione politica (Barca, 2009).
In un territorio eterogeneo e fortemente diversificato come quello
europeo, quest’esigenza si è tradotta anche nella ricerca di forme di
governance legate a scale di riferimento alternative a quelle istituzionali, che
permettessero di comprendere e influenzare le dinamiche socio-economiche
e spaziali in atto. Come ha riconosciuto Tubertini (2014), lo spostamento
verso una scala sub-regionale di governance è servito a supportare lo
sviluppo locale attraverso la sperimentazione di un modello diverso di ente
intermedio, che dovrebbe favorire un governo del territorio più coerente e
armonico, secondo una visione non più competitiva, ma di raccordo fra
amministrazioni locali ed enti di coordinamento. In presenza di poli urbani
rilevanti, il principio è stato quello di definire delle entità (come le
métropoles in Francia…) che avrebbero dovuto superare la rigidità dei
confini municipali e assumere un ruolo più incisivo rispetto a quello delle
province. Per questo, in Italia alle Città Metropolitane (L. 56/2014) sono
79
state affidate funzioni legate alla pianificazione strategica e generale, alla
pianificazione urbanistica e allo sviluppo economico. In parallelo, come
riportato in uno studio del Censis (2013), la realtà attuale del paese è lontana
rispetto a quella descritta dalla mera suddivisione fra Province e Città
metropolitane, specie in aree o regioni urbane, estese ma non incentrate su
un grande capoluogo - come ad esempio Brescia, la Sicilia sud-orientale,
Padova… - che sfuggono a questa logica bipartita. In questi contesti, la
diffusione territoriale di materiali urbani come popolazioni, imprese,
infrastrutture e servizi (Infussi, 2011) rimanda a un quadro spaziale più ricco
e articolato, che richiede la definizione di una scala intermedia fra Comune
e Regione in grado di rappresentare la ‘giusta distanza’ per leggere necessità
e potenziale dello spazio, governare i fenomeni e dare una possibilità di
sviluppo delle periferie e degli ambiti dinamici delle frange urbane e rurali.
Per questo, la configurazione istituzionale prevista all’interno della
riforma, così come risultata allo stato attuale a valle anche del referendum
costituzionale del 2016, è subito apparsa “sfuocata e giunta fuori tempo
massimo” (Balducci e al., 2017c, p. 23), incapace di leggere le nuove
condizioni territoriali in cui la distribuzione spaziale dei fenomeni urbani non
corrisponde a quella delle istituzioni deputate a governarli. Le criticità
riconosciute nell’assetto istituzionale attuale sono ancor più marcate negli
ambiti non identificati come “città metropolitane” dove la dimensione
transcalare e pervasiva delle “nuove questioni urbane” (Balducci e al.,
2017d; Brenner e Schmid, 2015; Fedeli, 2011) non è considerata e rimane
ancorata ai confini amministrativi dei comuni o delle regioni e dove le
province sono enti di secondo livello senza effettiva capacità di incidere su
questi temi.
L’ipotesi di lavoro iniziale entro cui si muove questo nostro contributo è
che il governo dell’area vasta fuori da queste istituzioni sia possibile solo
attraverso il ricorso a una serie di pratiche e/o figure che integrino i livelli
istituzionali esistenti e rappresentino una discontinuità rispetto allo status
quo, con l’obiettivo di rendere più efficiente ed efficace la gestione ordinaria
del territorio e, al tempo stesso, di permettere la costruzione di interventi
orientati al suo sviluppo.
Non si tratta di un approccio originale all’interno della pianificazione,
tanto che gli Enti Locali sono già dotati di strumenti che permettono loro di
cooperare con livelli diversi di coinvolgimento e durabilità nel tempo. Un
quadro interpretativo dei tipi di intercomunalità praticati in Italia è stato
elaborato da Fedele e Moini (2006).
Senza entrare nel merito di ognuna delle tipologie presentate, sembra
importante ricordare, come ha fatto Vinci (2011), che fin dagli anni Novanta
sono stati sperimentati con intensità diversi “strumenti di programmazione
locale fondati su partnership tra soggetti pubblici portatori di competenze
eterogenee e soggetti rappresentativi a vario titolo di interessi privati ma
comunque territoriali” con risultati sullo sviluppo economico e sociale che
80
sono stati valutati in termini prevalentemente negativi o, comunque, non
esenti da rischi. Si tratta di esperienze attraverso le quali sono state istituite
strutture e forme organizzative ad hoc (uffici speciali, agenzie locali...) per
la gestione dei programmi e una moltiplicazione di centri di potere - e voci
di spesa - nel governo delle politiche di sviluppo “che ha inevitabili effetti
sull’efficacia dei processi decisionali e rende complessa la ricomposizione
di risorse e visioni comuni per lo sviluppo territoriale” (Vinci, 2011).
Figura 1 - Tipi di intecomunalità (elaborazione autori su Fedele e Moini, 2006, p.
81)
Lo schema della figura 1 invita a individuare tra gli strumenti che
possiamo definire “dell’intercomunalità” quello più efficace per raggiungere
uno specifico obiettivo. Se l’obiettivo per un territorio è migliorare
l’efficienza dei servizi erogati dai Comuni, la convenzione può rappresentare
lo strumento che è preferibile utilizzare poiché focalizza l’attenzione sul
servizio. L’Unione di Comuni, invece, può rappresentare l’esito finale di un
processo che abbia visto un gruppo di Comuni sperimentare per alcuni anni
con successo e in accordo più convenzioni per la gestione dei servizi. Nella
realtà stiamo invece assistendo a una forte spinta verso la creazione di Unioni
tra Comuni ai quali manca una preliminare esperienza di gestione di più
convenzioni, con il risultato che questo tipo di unioni che difettano di un
solido training alla cooperazione non di rado si dissolvono dopo pochi anni
di esperienza.
Se, invece, l’obiettivo di un territorio è costruire uno strumento per
formulare/programmare politiche, quali in particolare quelle di sviluppo
81
territoriale, allora la figura 1 ci invita a puntare la nostra attenzione sui
quadranti superiori (D e C) e in particolare sui patti territoriali, che sono
esperienze di collaborazione nelle quali prevalgono forme di interazione
scarsamente strutturate dal punto di vista formale e che trovano un
significativo collante negli obiettivi di policy che si intendono raggiungere.
Si tratta di strumenti articolati attorno ad un accordo di programma o più
frequentemente a un protocollo d’intesa, con il quale si definisce la
collaborazione tra diversi attori politico-istituzionali (Comuni e altri enti
pubblici), soggetti rappresentanti di imprese e lavoratori, associazioni
sociali, civili e di rappresentanza di interessi presenti in un determinato
contesto locale per la formulazione di concreti programmi di sviluppo
economico (Fedele e Moini, 2006, p. 85). Esempi di questo tipo di pratiche
sono i patti territoriali e le varianti o evoluzioni di essi; strumenti per loro
natura inclusivi, basati su un partenariato con composizioni e flessibilità
diverse, che al tempo stesso riconoscono la centralità degli enti locali, e
consentono quindi di concentrare l’attenzione su limiti e potenzialità di un
“territorio” in quanto tale, ponendosi più di altri come strumenti che possono
favorire i processi di sviluppo locale (Vino, 1998).
I patti territoriali sono una risorsa efficace per lavorare sulla governance
territoriale che si integra meglio di altre con la strumentazione urbanistica
esistente. Essi possono convivere parallelamente a forme stabili di
cooperazione (come le unioni o le fusioni di Comuni) e, a differenza di altri
tipi di intercomunalità, sono flessibili e adattabili dato che permettono la
definizione di progetti specifici basati su collaborazioni orientate alle
tematiche centrali dello sviluppo urbano sostenibile. Così come sottolineato
da Vinci (2011), questi documenti impongono agli stati membri e, di
conseguenza, alle loro autorità regionali di qualificare la propria azione
strutturante dei territori privilegiando:
- l’incremento della capacità di indirizzo strategico dei territori regionali che
coinvolge la definizione di obiettivi e campi d’azione, anche mutuati dal
livello nazionale e comunitario. Questo scenario rappresenta la base per
attivare i processi di negoziazione e cooperazione con le reti locali
necessarie al montaggio delle politiche integrate per la rigenerazione
economica, la qualificazione dei sistemi urbani, lo sviluppo sostenibile;
- la necessità di supportare la progettualità delle realtà locali attraverso
processi di valutazione selettiva tali da permettere la costruzione di azioni
solide e sostenibili da convogliare nei processi di sviluppo regionale e
interregionale, catalizzando risorse e sforzi organizzativi su un numero
più limitato di obiettivi e territori.
Si tratta di richieste che spesso rimangono inevase anche a causa degli
attuali assetti istituzionali e rispetto alle quali è possibile cercare forme
innovative di azione, ad una scala che trascenda i confini amministrativi
attuali e che lavori con riferimento all’area vasta. Per confermare questa
ipotesi, si è scelto di presentare un caso di studio nelle pagine successive, che
82
permette di mettere in luce caratteri innovativi, potenzialità e rischi connessi
a queste pratiche. In questo senso, il percorso di riconoscimento dell’Intesa
Programmatica d’Area veronese ha rappresentato un laboratorio di
sperimentazione per le politiche pubbliche del territorio (Vino, 2012) e per
le interazioni fra attori diversi alla scala inter-comunale.
2. L’IPA Veronese
Fin dagli anni Ottanta la Regione Veneto ha predisposto strumenti di
pianificazione e programmazione sovracomunale che presentano
configurazioni e sistemi operativi diversi, articolati in funzione degli
obiettivi da perseguire. La pianificazione dello sviluppo economico di area
vasta o semplicemente di aree sovracomunali si è sviluppata grazie allo
strumento dell’Intesa Programmatica d’Area (IPA). Questa figura, versione
evoluta dei patti territoriali, è stata introdotta nell’ordinamento regionale
veneto nel 2001 con l’art. 25 della L.R. 35 allo scopo di attivare “metodi di
co-decisione con cui formulare proposte politiche con l'obiettivo di incidere
non solo sulla programmazione regionale ma anche su quella degli stessi
Comuni coinvolti, vincolando su base volontaria le politiche e gli strumenti
di programmazione dei soggetti agli obiettivi e alle strategie comuni”3. Con
la successiva Deliberazione della Giunta Regionale 2796/2006 sono state
precisate le modalità per l’istituzione delle IPA mediante un processo
bottom-up e il successivo riconoscimento della Regione, passando attraverso
la costituzione di partenariati composti da soggetti pubblici e privati che, in
forma associata, operano per contribuire allo sviluppo del proprio territorio
attraverso la definizione di accordi e la formulazione di proposte finalizzate
allo sviluppo economico-sociale di ambiti sub-regionali.
Questi principi hanno attuato e, di fatto, anticipato le istanze proposte
dalla Leipzig Charter dove si spingevano gli stati membri dell’UE a
promuovere le strutture più opportune per garantire uno sviluppo urbano
integrato e ad implementare forme di governance efficaci per raggiungere
una organizzazione territoriale equilibrata e policentrica.
La flessibilità nella costruzione del partenariato, la possibilità di orientare
la sua azione verso obiettivi specifici e la capacità di risposta alle istanze
della programmazione europea mostrano la natura evidentemente diversa
delle IPA rispetto agli enti e strumenti a livello intermedio – in primo luogo
Province e Unioni di Comuni - e si inseriscono in un sistema più ampio di
figure e/o soggetti istituzionali creati con finalità, procedure e strumenti
specifici.
Dopo una prima stagione (2001-2004) nella quale i patti territoriali
generalisti (18 in Veneto) avevano maturato “ope legis” le condizioni
3 Regione Veneto, DGR n. 3517 del 06 novembre 2007. Programmazione decentrata Riconoscimento Intese Programmatiche d'Area (IPA). (Art. 25 l.r. 35/2001; DGR 2796/2006).
83
necessarie per essere considerati tali, la Regione Veneto ha riconosciuto altre
3 IPA nel 2005-2007, 3 nel 2008, 2 nel 2009, 2 nel 2010 e nel 2012 fino a un
totale di 24 IPA attualmente attive sul territorio regionale4.
Nel biennio 2013-2014, in un ambito della Provincia di Verona (la “fascia
centrale” attraversata dall’autostrada A4) dove non era stata attivata
un’Intesa Programmatica d’Area, la volontà di confronto espressa da
amministratori e tecnici ha rappresentato una spinta a riflettere sulle
opportunità legate a questa forma di cooperazione. Rispetto alle altre
esperienze pattizie, l’IPA permette di mettere a sistema progetti e risorse e
di disporre di uno strumento “leggero” e al tempo stesso efficace con il quale
affrontare i temi dello sviluppo urbano sostenibile dell’area. Inoltre, politici
e tecnici locali avevano espresso la necessità di disporre di un riferimento di
area vasta in grado di orientare le politiche e le azioni degli enti locali nel
campo dello sviluppo del territorio. Al tempo stesso, segnalavano il bisogno
di dotarsi di strumenti interpretativi, politici e finanziari per affrontare le
sfide cui è sottoposta l’area vasta di riferimento.
Tra le esigenze manifestate da più soggetti, segnaliamo anche il bisogno
di innovare i processi di governance attraverso cui supportare i Comuni e i
partner aderenti nella definizione degli obiettivi strategici, delle politiche
condivise e delle azioni da attuare sul territorio alla scala vasta.
L’ambito interessato all’IPA Veronese coincide con il territorio di 14
Comuni (Bussolengo, Buttapietra, Castel d’Azzano, Castelnuovo del Garda,
Lazise, Pastrengo, Pescantina, San Martino Buon Albergo, San Pietro in
Cariano, Sommacampagna, Sona, Valeggio sul Mincio, Verona, Zevio),
occupa una superficie di 632,23 km2 (3,5% sul totale della superficie della
Regione Veneto) dove sono localizzati 419.675 abitanti (8,5% della sua
popolazione).
La scelta di lavorare su questo specifico spazio è legata a criteri di natura
spaziale e politica. Il territorio in esame è caratterizzato da alcuni fattori
insediativi peculiari che lo rendono uno spazio dotato di un’identità specifica
all’interno della fascia centrale della provincia di Verona. Tra questi fattori
segnaliamo: (i.) un’alta densità abitativa5 e di unità locali d’impresa6, (ii.)
una marcata vocazione legata ai servizi e al turismo e (iii.) una dimensione
4
Il totale non corrisponde alla somma delle IPA riconosciute perché alcune di esse
hanno subito processi di accorpamento, trasformazione e/o scioglimento.
5 Nell’ambito dell’IPA Veronese la densità abitativa è pari a 664,8 ab./km2, valore più
che doppio rispetto alla media regionale (268 ab./km2), a quella provinciale (293 ab./km2) e
a quello della fascia centrale della Provincia di Verona (432 ab./km2), ambito che
rappresenta il contesto territoriale dell’IPA stessa.
6 Il dato di 52.240 unità locali presenti nel registro delle imprese per i comuni appartenenti
all’IPA (Dati: Camera di Commercio, 2014) ben rappresenta l’eccezionale densità di imprese
all’interno dell’IPA (82,66 UL/km2), tanto più se si considera questo dato in relazione alla
media italiana (23,9 UL/km2), quella della Regione Veneto (32,28 UL/km2), quella della
Provincia di Verona (37,08 UL/km2).
84
produttiva legata all’agricoltura7, alla manifattura e all’agro-alimentare che
contribuisce ad attivare un paesaggio urbano-rurale complesso.
Figura 2 - L’Area Vasta Veronese e l’ambito dell’IPA Veronese
Questa identità specifica, assieme alla volontà politica espressa
trasversalmente dagli amministratori di confrontarsi con le esternalità legate
a dinamiche e fattori che influenzano lo sviluppo attuale e futuro di
quest’area, fra cui il turismo, le infrastrutture AV/AC dei corridoi europei, la
presenza di uno stock immobiliare – anche pubblico – da recuperare e/o
riattivare… sono divenute le ragioni per provare a costituire un tavolo di
partenariato configurato come IPA.
È stato pertanto condotto un lavoro di analisi territoriale mediante il quale
è stato possibile esplorare la condizione di un’area nella quale la morfologia,
le condizioni economiche e sociali, le evoluzioni storico-culturali e politiche,
hanno dato luogo a uno spazio articolato. Quest’ultimo è ricco di potenzialità
legate alla solidità dei sistemi produttivi ed economici presenti, ma anche di
contraddizioni, dove la mancanza di coordinamento e l’assenza di una
visione territoriale condivisa hanno generato squilibri e differenze sia
spaziali che economico-sociali. Dal punto di vista metodologico, si è trattato
di raccontare attraverso la produzione di uno specifico “spatial knowledge”
7 I dati raccolti dalle Camere di commercio (2014) permettono di osservare che rispetto
alla media regionale, per cui solo il 4,1% degli addetti era impiegato nel settore
dell’agricoltura, nell’ambito dell’IPA il valore è quasi doppio (8,01%) e superiore anche alla
media registrata considerando tutti i comuni della fascia centrale della provincia di Verona
(5,1%).
85
(Paris, 2017) questa condizione di urbanizzazione complementare,
frammentaria e allargata (Fregolent e Vettoretto, 2017).
In questo tipo di contesto, la figura dell’IPA permette di definire alcune
strategie di azione che rispondono alle priorità definite nell’agenda
territoriale europea8 e che non sarebbero perseguibili attraverso l’azione
delle istituzioni ora operanti nell’area. In particolare, ci si riferisce alla
necessità di promuovere sviluppo territoriale attraverso la costruzione di
relazioni integrate e multilivello fra città e spazi rurali, e alla capacità di
adattare le istituzioni alle realtà locali. Per questo, la scelta di lavorare con
uno spazio di dimensioni relativamente contenute rispetto al totale dei 52
Comuni della fascia centrale della provincia di Verona, rappresenta
un’opportunità che permette di mettere alla prova i protocolli definiti per il
funzionamento dell’IPA, di valutarne l’efficacia e misurarne gli impatti, con
la possibilità di estendere successivamente l’area di azione. Inoltre la
presenza di un numero limitato di attori che, pur legati a diversi orientamenti
e approcci politici e tecnici, mostrano una forte motivazione a collaborare,
consente di testare i meccanismi di rappresentanza disperdendo la minor
quantità possibile di energie.
In parallelo, la figura dell’IPA permette di lavorare sugli aspetti di
governance, testando meccanismi di coordinamento territoriale, di
democrazia interna e rappresentatività, di interazione collaborativa fra
partner privati e attori pubblici e l’efficacia di potenziali processi di scaling
up dei protocolli9 implementati (Lingua, 2017). Per questo, la presenza di un
limitato numero di attori accresce in termini relativi il peso demografico e
politico della città di Verona e rispetto a ciò, la scelta iniziale non preclude
la possibilità di un allargamento. Infatti, la futura inclusione di nuovi Comuni
e attori privati nel partenariato potrà essere valutata nel medio periodo, anche
in funzione dell’impatto di queste scelte sugli obiettivi generali, sulla
capacità di produrre scenari condivisi e sull’interesse manifestato dai
candidati interessati a entrare nell’IPA Veronese.
Nei paragrafi successivi la ricostruzione del percorso finora effettuato
nell’ambito del riconoscimento dell’IPA e degli obiettivi preposti serve ad
approfondire aspetti metodologici e procedurali del processo ma, allo stesso
tempo, a focalizzare quegli elementi che possono essere considerati come
innovativi per il governo dell’area vasta.
2.1. Il processo di riconoscimento per fasi
8 Cfr. Territorial agenda of the European Union 2020, III Territorial Priorities for the
Development of the European Union.
9 Cfr. Territorial agenda of the European Union 2020, IV. Making EU territorial
cohesion a reality - "The governance and implementation mechanisms".
86
Nei documenti prodotti per costituire e attivare l’IPA Veronese, è
descritto l’iter di definizione dell’ambito territoriale interessato e dei suoi
obiettivi come un processo di “riconoscimento” che deve essere effettuato a
due livelli.
Il primo livello di riconoscimento interessa gli abitanti, gli amministratori
e i tecnici che vivono e si muovono in quest’ambito e che faticano a pensare
ai Comuni dell’area come a parti di un sistema territoriale integrato. Questa
difficoltà, dal punto di vista delle istituzioni e della componente politica del
partenariato, è dovuta a una tradizionale ritrosia di alcuni componenti a
collaborare in un sistema in cui la città di Verona assume un ruolo di capofila,
tanto che in altri due tentativi precedenti (2004 e 2012) non si erano create
le condizioni per la costituzione di un’Intesa Programmatica d’Area nello
stesso ambito. Dal punto di vista degli abitanti e delle imprese, è in atto un
lento ma costante processo di integrazione fra pratiche e processi locali, che
stanno portando a una progressiva collaborazione degli attori su alcuni temi
quali l’esplorazione rispetto a una possibile istituzioni di un Unione di
Comuni in una parte dell’ambito, la condivisione di esperienze tra più
Comuni sui servizi di informazione turistica.
Il secondo livello di riconoscimento riguarda gli organi regionali, che
devono riconoscere la costituzione di quest’entità validandone atti costitutivi
e documenti programmatici. In questo caso si tratta di un percorso segnato
da almeno tre momenti distinti, marcati da un progressivo avvicinamento
all’ambito spaziale di lavoro, degli obiettivi e dei progetti previsti per l’IPA
Veronese.
La prima fase, corrispondente alla seconda metà del 2014, è legata
all’avvio delle operazioni. In questo periodo, le frequenti relazioni sia
tecniche, sia politiche avviate da alcuni Comuni dell’area, in particolare
quelli di Verona e Valeggio sul Mincio, hanno reso evidente il potenziale
legato alla costruzione sia di un tavolo di confronto e discussione rispetto ad
alcuni temi settoriali (infrastrutture, turismo, agricoltura) sia di uno spazio di
costruzione di una cornice strategica entro cui inquadrare le singole azioni.
Per questa ragione, tecnici e politici hanno individuato l’IPA come lo
strumento collaborativo adatto a rispondere alle esigenze di un territorio
ricco di risorse, patrimonio e capitale sociale ma poco abituato a cooperare
sia nell’ambito delle pratiche amministrative, sia per quanto riguarda la
prefigurazione di scenari di opportunità. Questa prima fase ha portato nel
gennaio 2015 alla costituzione dell’IPA in forza di un partenariato cui
partecipano i rappresentanti dei 14 Comuni interessati, della Camera di
Commercio di Verona, del Dipartimento di Informatica dell’Università degli
Studi di Verona e di alcune Associazioni di rappresentanza delle imprese del
territorio. Questo impegno si è concretizzato nella presentazione alla
Regione del Documento programmatico d’area intitolato “Analisi del
territorio dell’Area Vasta Veronese. Quattro assi strategici, un unico campo
87
d’azione” e del Protocollo d’intesa10 che regola il partenariato, definito
“tavolo di concertazione”11, che i partner hanno approvato, corredato di
regolamento interno. In quest’ultimo, è riconosciuto il ruolo di pivot e
coordinatore dell’IPA a una segreteria tecnica, composta da funzionari in
servizio e da alcuni esperti chiamati a supportarne i lavori.
La seconda fase, apertasi in seguito alle osservazioni pervenute dalla
Regione Veneto, riguarda la costruzione di una strategia di sviluppo
sostenibile per l’area dell’IPA. In questo caso, anche seguendo le indicazioni
provenienti dalla Sezione Affari generali e FAS-FSC della Regione, si è reso
necessario concretizzare i principi indicati nel Documento programmatico
d’area, arrivando alla definizione di una visione comune per il territorio.
Questo ha portato alla successiva individuazione di un sistema di obiettivi
settoriali, ma interconnessi, da raggiungere attraverso azioni puntuali.
Per questo si è resa necessaria la comprensione della realtà spaziale
contingente, delle tendenze economiche e delle declinazioni locali di alcuni
orientamenti provenienti da una pluralità di ambienti, culture e contesti, quali
la politica locale e regionale, la finanza, il contesto normativo. In questo
modo è stato possibile leggere in modo consapevole gli effetti di alcuni
processi contemporanei in atto nell’area (quali la metropolizzazione del
territorio, la globalizzazione e de-localizzazione di attività economiche, lo
spopolamento di alcune aree e la densificazione di altre…) e provare a
governarne le esternalità. Allo stesso tempo, è necessario portare all’interno
della strategia per l’IPA Veronese le necessità e le istanze locali che pur
partendo “dal basso” e dal quotidiano possono divenire la chiave di alcuni
asset futuri di questo territorio, come la capacità attrattiva, lo sviluppo socioeconomico sostenibile e la qualità della vita. La presentazione del documento
“Verso una strategia di sviluppo economico sostenibile dell’Area Vasta
Veronese” dell’ottobre 2015 manifesta un passo importante per l’IPA,
poiché è un importante frutto di questo percorso.
La riflessione prodotta dalla Regione Veneto dopo la ricezione di questo
documento ha aperto la terza fase del lavoro, nella quale è stata presentata
una nuova versione del Documento Programmatico d’Area in cui è stato
approfondito il lavoro di conoscenza sul territorio dei 14 Comuni che
compongono l’IPA Veronese, compiendo uno sforzo significativo nella
raccolta e costruzione di un catalogo con un centinaio di programmi/progetti
in corso, un’analisi orientata delle necessità comuni e una valutazione delle
opportunità presenti. Ciò ha permesso di puntare con maggior forza
10 Questi tre documenti sono considerati elementi necessari alla costituzione di una IPA
ai sensi della DGR 2796 del 12 settembre 2006 della Regione Veneto.
11 Il tavolo di concertazione, così come espresso nel Regolamento interno sottoscritto
dagli aderenti e presieduto dal Sindaco pro-tempore (o da un suo delegato) del Comune
capofila di Verona, è composto dai rappresentanti dei soggetti pubblici e privati (in forma
associata) che decidono di sottoscrivere il Protocollo di intesa per la costituzione dell’IPA
Veronese.
88
sull’innovazione nei processi progettuali attraverso la creazione di una
“centrale dei progetti” quale carattere distintivo dell’Intesa.
2.2. La centrale dei progetti dell’IPA Veronese come protocollo innovativo
L’obiettivo dell’IPA Veronese non è la costruzione di una lista degli
interventi auspicati dai singoli membri, con il rischio che la concertazione e
la co-progettazione siano relegate alla fase di esercizio più che orientare le
scelte politiche e tecniche dei partner nel medio periodo. Il rischio di
un’operazione del genere è la trasformazione dell’Intesa in un ulteriore
livello amministrativo di raccordo: ciò la svuoterebbe di quella agile carica
dinamizzatrice che ne caratterizza lo spirito. L’IPA Veronese, nelle
intenzioni dei suoi promotori, dovrebbe, al contrario, rappresentare la
risposta ad alcune delle necessità del territorio che si manifestano in una
domanda di supporto dal punto di vista strategico e, per alcuni aspetti,
gestionale che i Comuni aderenti – ma anche le Associazioni di
rappresentanza delle imprese – si trovano a dover affrontare nel quotidiano
svolgimento delle loro funzioni. È anche questo il motivo per cui il carattere
distintivo dell’IPA Veronese è che non si costituisce attorno ad un progetto
o un fine specifico ma con riferimento a un territorio che individua caratteri,
problematiche e potenzialità comuni e attorno alle quali vuole lavorare con
protocolli strutturati per l’implementazione delle progettualità locali. Queste
progettualità dovrebbero essere definite nel tempo e con continuità tra gli
attori locali in relazione alle risorse finanziarie e umane, ai bisogni e alle
opportunità all’interno del tavolo di concertazione.
Segue questo metodo anche la creazione di un dispositivo all’interno
dell’Intesa – la centrale dei progetti – che dovrebbe servire a raccogliere e
implementare i progetti proposti dai singoli partner attraverso la condivisione
di risorse sia tecniche sia finanziarie, e che permetta di costruire azioni solide
ed efficaci come risposta a bisogni e necessità condivise.
Figura 3 – Lo schema di funzionamento della centrale dei progetti dell’IPA Veronese
89
Il portfolio dei progetti dell’Intesa, costantemente aggiornato grazie al
lavoro della segreteria tecnica, permette di costruire un insieme di azioni,
marcate da gradi diversi di sviluppo e attuabilità, atte a materializzare gli
scenari e le strategie definite all’interno del tavolo di partenariato. In questo
modo la cooperazione fra i partner si articola attorno a proposte concrete cui
possono aderire in modo volontario e in funzione delle singole necessità. In
particolare, evidenziamo che per ciascun progetto promosso dall’Intesa si
hanno delle aggregazioni diverse in relazione alle tematiche, alle sub-aree,
agli interessi dei componenti stessi dell’IPA. Si tratta, in questo caso, di una
scelta consapevole, che punta a privilegiare la costituzione di gruppi coesi e
motivati all’interno dell’IPA, evitando di imporre costi organizzativi,
economici e di coinvolgimento ad attori non interessati direttamente ad ogni
singolo progetto. Le proposte dovrebbero poi essere perfezionate e
raggiungere un grado di definizione sempre maggiore (anche dal punto di
vista del livello di progettazione e del finanziamento) e tradursi in azioni
concrete, seguendo un processo incrementale che può trarre vantaggio dalle
opportunità offerte dalla programmazione regionale ma che articola gli
interventi all’interno di una propria specifica agenda strategica.
Questa impostazione organizzativa dell’IPA Veronese ha delle ricadute
dirette anche sulla definizione delle risorse (finanziarie e organizzative)
necessarie per l'attuazione e la gestione a livello locale dei programmi della
stessa Intesa e sulle modalità di cooperazione tra i soggetti che partecipano
al partenariato. Il vero obiettivo è quello di fornire uno spazio di confronto e
costruzione di scenari strategici e orizzonti di senso entro cui orientare le
politiche, i programmi e le azioni dei singoli componenti. La sfida è riuscire
a mettere a sistema esigenze e potenzialità locali e di costruire un
meccanismo che garantisca in egual maniera supporto e libertà all’azione dei
singoli Comuni, che orienti e cerchi di indirizzare le azioni degli attori privati
nel territorio, ma che riesca anche a riunire gli sforzi individuali per
raggiungere obiettivi comuni nel campo dell’economia, dell’ambiente e della
90
governance, con influenze dirette sulla qualità della vita degli abitanti
dell’area.
3. La cooperazione intercomunale come laboratorio: temi
emergenti, apprendimenti e rischi
La scala intercomunale è, come afferma un recente rapporto di ricerca del
Censis (2013), la dimensione dove si esprimono le dinamiche più interessanti
per quanto concerne i processi lavorativi, la mobilità, lo studio, la
produzione, l’attrattività turistica.
Figura 4 – Presenze turistiche nell’ambito dell’IPA Veronese (Dati: Camera di commercio
Verona, 2014)
Gli ambiti infra-regionali da questa definiti contengono le realtà reticolari
dei processi produttivi, delle pratiche dell’abitare e delle filiere dei consumi
di beni, servizi ed esperienze che caratterizzano la società contemporanea.
Esse sono, dunque, il livello istituzionale più adeguato per interpretare le
complesse dinamiche e organizzare gli esiti spaziali di queste realtà. A questa
scala, strategie e immagini per il territorio devono tener conto delle esigenze
e dalle potenzialità locali, così come dei diversi ruoli che i singoli
stakeholders coinvolti possono apportare. I tentativi recenti di attivazione di
forme di intercomunalità aperti e coerenti con le istanze europee,
implementati sia a livello statale che regionale, tendono a configurarsi come
processi complessi e la loro osservazione permette di indagare questa realtà
come laboratorio di forme innovative di governance.
91
Si è detto che il duplice percorso di riconoscimento dell’Intesa
Programmatica d’Area Veronese - da parte sia della Regione Veneto sia dei
suoi abitanti - è ancora in corso. Al tempo stesso, quest’esperienza ha
permesso l’acquisizione di alcuni apprendimenti e, guardando al percorso
compiuto finora, si può riflettere sulle opportunità e i rischi legati alla
cooperazione inter-comunale al di fuori delle città metropolitane, assumendo
una prospettiva critica rispetto ad alcune tendenze emergenti e moduli
procedurali.
In particolare, segnaliamo:
- il superamento delle contingenze amministrative nelle necessità dei
Comuni e degli Enti Locali anche in ambiti dove la gerarchia urbana non
è descrivibile solo attraverso la logica centro-periferia. Gli attori pubblici
coinvolti nel governo locale richiedono maggiori risorse e/o maggiori
libertà nel loro utilizzo, ma non solo. Spesso attendono che gli enti di scala
sovraordinata forniscano un set di proposte, di orientamenti, di linee guida
che diventino una road map per le strategie e le azioni locali - che poi
svilupperanno autonomamente - e che oggi mancano. In questo senso le
IPA e in generale le figure di governo dell’area vasta dovrebbero servire ad
evidenziare programmi e risorse, che possono divenire la base per
immaginari e scenari, ma anche per la creazione dei sistemi e delle reti
necessari a rendere concrete queste visioni. Al tempo stesso, l’attenzione
per gli aspetti strategici e di orientamento non deve però allontanare il focus
dalla dimensione delle realtà del territorio e/o dalla costruzione di azioni
specifiche, onde evitare il rischio della “concertazione vuota” (CNEL,
1997) attraverso cui le interazioni fra Enti Locali e attori privati non
producono proposte concrete e risultano incapaci di attirare finanziamenti;
- la necessità di un coinvolgimento “modulare” degli Enti Locali e degli
stakeholders nei processi di collaborazione. I soggetti che fanno parte del
governo dell’area vasta mediante patti territoriali chiedono di essere
coinvolti in modo flessibile e volontario nelle azioni programmate, con la
possibilità di discutere e decidere di partecipare ad azioni e progetti
specifici, anche in funzione di momenti e opportunità contingenti. Si tratta
di un approccio in cui le iniziative possono essere promosse dal basso,
estendendo ad altri quanto elaborato da uno specifico Comune, ma anche
dall’alto, grazie alla possibilità di declinare sul territorio le istanze
regionali, nazionali o comunitarie. Viene così valorizzata la volontarietà
dei singoli membri nella partecipazione, come ad esempio nella costruzione
di programmi e politiche attive senza per questo essere costretti ad entrare
in azioni o interventi che non suscitano l’interesse di un singolo partner o
esulano, magari solo temporaneamente, dalle loro possibilità. Nel caso di
studio presentato, questo è possibile grazie al doppio canale su cui lavora
l’Intesa, che se da un lato si occupa di fornire strumenti e progettualità a
breve o medio termine, dall’altro costruisce scenari e visioni su cui le
singole azioni trovano coerenza e che costituiscono l’intelaiatura su cui le
92
amministrazioni pubbliche locali possono lavorare con affondi e interventi.
Al tempo stesso il ruolo di raccordo dell’agire in partenariato è utile per
evitare il rischio di conflitti istituzionali originati da sovrapposizioni di
competenze fra enti di natura diversa e/o dal rischio di esclusione
connaturato a queste figure di cooperazione, che potrebbero originare
dispersione di risorse e inefficienze nello sviluppo di azioni specifiche (cfr.
DIPE, 2015). In sintesi, questo schema di governance dell’area vasta
definisce una modalità flessibile di partenariato tra gli attori, che risulta
essere particolarmente efficace nel regolare i rapporti tra pubblico e
privato;
- l’interesse verso tematiche specifiche mostrato da un panel di attori anche
istituzionalmente diversi (enti locali, rappresentanze di categoria, imprese).
Nel caso dell’IPA Veronese, si nota come i temi del turismo,
dell’agricoltura, della gestione dei rifiuti e quella del patrimonio edilizio
esistente raccolgono diversi tipi di progettualità (ma anche di domande e di
pressioni) che solo una visione sovraordinata può cercare di mettere a
sistema e di strutturare entro un’idea di territorio coerente. Il rischio, in
questo caso, è legato sia alla capacità di definire ambiti territoriali discreti
attraverso chiavi interpretative legate a fattori diversi (geografici, socioeconomici…) o a processi selettivi, sia alla capacità di individuare ambiti
d’azione trasversali e specifici, che possano essere influenzati da politiche
e azioni sviluppate alla scala intercomunale. Per questo le letture territoriali
proposte nei documenti legati al riconoscimento dell’Intesa, definiscono un
ambito concreto (il territorio dei 14 Comuni aderenti) e uno scenario più
ampio (52 Comuni della fascia centrale della Provincia di Verona) dove
alcune delle dinamiche analizzate trovano una definizione più compiuta e
diffusa. La definizione dello spazio di azione dipende quindi da fattori sia
territoriali sia politici (opportunità, volontà dei singoli, apertura ai processi
collaborativi). Entrambi questi aspetti devono essere esplorati e
rappresentano un’incognita per l’efficacia e la possibile implementazione
dei processi cooperativi;
- i tempi di riconoscimento delle diverse forme di cooperazione
intercomunale da parte delle istituzioni e da parte dei loro abitanti sono
diversi rispetto a quelli, più lenti, necessari alla loro implementazione da
parte dei partner. L’esperienza dell’IPA Veronese mostra come un percorso
di questo tipo si muova almeno con due diverse velocità, che sono legate
alle dinamiche politiche e amministrative da un lato e alla domanda di
strumenti e azioni dall’altra. Per questo, diversi segnali mostrano la
necessità - e la potenziale efficacia - della presenza di un tavolo di
orientamento per i progetti e gli interventi dentro e fuori dall’area dell’IPA
Veronese. Questo aspetto dimostra come la realtà del territorio e delle sue
necessità anticipi, e in parte superi, le esigenze istituzionali, imponendo una
riflessione sulla necessità di adattare alcune figure regionali già esistenti a
nuove istanze degli Enti Locali. In parallelo, è necessario riflettere sui
93
rischi che questi processi volontari nati per iniziative “dal basso” che
aggregano soggetti diversi corrono nella generazione di partenariati
“monchi” (CNEL, 1997: 12), marcati dall’assenza di uno o più soggetti
rilevanti per un territorio a causa di circostanze contingenti o di
opportunità. Questa possibilità ricorre anche nel caso di studio, con
l’attuale assenza del Comune di Villafranca di Verona all’IPA Veronese,
che ha deciso di non aderire al tavolo di concertazione nella sua prima fase
di sviluppo. La mancanza di un referente così importante per il sistema
logistico e infrastrutturale limita l’efficacia e la portata delle riflessioni sul
sistema dell’accessibilità e le sfide poste dal futuro completamento dei due
corridoi AV/AC all’ambito territoriale dell’IPA.
Tracciato questo primo quadro, si può dire che le forme di
intercomunalità fuori dalle città metropolitane e in particolare le forme di
governo mediante patti territoriali si configurano come tavoli per la
discussione fra gli attori che in questo modo superano gli approcci e i
tentativi che spesso caratterizzano l’operato degli Enti Locali, che
disperdono energie e risorse finanziarie, umane e tecniche con progetti legati
ad attività contingenti (abbattimento dei costi) o estemporanee
(“inseguimento” di bandi regionali ed europei). È importante ricordare che
nel caso dei patti si tratta di forme di governance di tipo “federativo” e di uno
spazio di mediazione che si rivolge a un territorio complesso e variegato, nel
quale si coordinano idee e interventi, pensati e promossi in modo condiviso
e che “trovano spazio” attraverso geometrie variabili. La partnership
composta da soggetti pubblici e privati, pensata come nel caso approfondito
in questo articolo, si configura come soggetto pivot endogeno con un ruolo
di servizio sia verso le comunità locali sia verso gli altri stakeholders. In
questo senso i vari attori possono recitare la parte di soggetti trainanti per
specifici progetti e ricoprire, quindi, il ruolo di animatori territoriali e agenti
di sviluppo e allo stesso tempo trarre vantaggio dalla loro conoscenza del
luogo e dalla loro appartenenza ad una specifica policy community.
4. Conclusioni
Questo articolo nasce dall’esigenza di riflettere nell’ambito degli studi
regionali in qualità di pianificatori territoriali e ricercatori, sulla capacità
delle forme di intercomunalità attualmente più diffuse di supportare la
costruzione di quadri strategici e di scenario degli enti pubblici locali. Sulla
scorta di quanto proposto da Balducci e Bertolini (2007), abbiamo scelto di
farlo riflettendo “con le pratiche”, presentando il caso del percorso di
riconoscimento dell’IPA Veronese, in cui siamo stati chiamati a collaborare
in qualità di esperti. I paragrafi precedenti contengono un confronto dal quale
emerge la possibilità che su tutto il territorio e non soltanto nelle aree urbane
di rango elevato sia presente un livello intermedio tra Provincia e Comune
94
nel quale gli attori (istituzionali e non) possano interagire e far scaturire
nuove esigenze e nuove opportunità di crescita e di sviluppo per i cittadini.
Più nello specifico, dalle nostre ricerche sul campo è emerso che a un
livello intermedio di intercomunalità – che nel nostro caso è l’area centrale
della provincia di Verona – possono essere attivati due strumenti:
a) la creazione e il funzionamento di un patto territoriale (nel nostro caso
l’IPA Veronese) di area vasta finalizzato al raggiungimento di specifici e
definiti obiettivi condivisi di sviluppo economico del territorio, senza che
ciò sia accompagnato da un parallelo assetto istituzionale o da strutture
amministrative permanenti;
b) l’attivazione di convenzioni per la gestione congiunta di funzioni
amministrative tra più Comuni in alcune sub-aree omogenee dell’area
vasta.
Questi due strumenti possono operare contemporaneamente, poiché il
patto territoriale è focalizzato sulle funzioni dei quadranti superiori della
figura 1, mentre le convenzioni sono focalizzate sulle funzioni dei quadranti
inferiori, vale a dire sull’erogazione di servizi.
Il patto territoriale, rappresentato nel nostro caso dall’IPA Veronese, si
configura, quindi, come un tavolo di lavoro volontario sui temi dello
sviluppo economico sostenibile per un’area vasta di medie dimensioni,
all’interno della quale è auspicabile che sorgano almeno quattro o cinque
sub-aree in corrispondenza delle quali i rispettivi Comuni intraprendano un
processo che - in funzione delle necessità e delle potenzialità locali e delle
occasioni puntuali - porti alla costruzione di forme di collaborazione sempre
più strette, rappresentate prevalentemente da convenzioni per la gestione di
servizi. I temi delle modalità di cooperazione, dell’integrazione fra gli aspetti
pratico-amministrativi e quelli strategici, così come il monitoraggio
dell’efficacia delle azioni intraprese, rimangono questioni aperte, così come
sono da approfondire per l’ambito italiano le modalità di coinvolgimento e
di rappresentanza degli stakeholders privati all’interno del tavolo di
concertazione e i problemi di potere, democrazia ed equità di questo
strumento di governance del territorio.
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