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PARTE 3.qxp 03/03/2008 13.06 Pagina 94 Rosanna Gangemi ci sono cose... uvre d'art La première oe it, vo qu'on s ce sont les rêve "Oggetto" è qualcosa che viene gettato dinanzi al nostro cammino, un impenetrabile "qualcosa" col quale collidiamo, scriveva Ernst H. Gombrich nell'introduzione a Il senso dell'ordine. In un tempo in cui tutto è catalogabile, ripetibile, riproducibile, ci si smarrisce facilmente dentro una selva di oggetti, un groviglio Edouard Levé scomposto di elementi eterogenei e spesso incongrui. Di cose, appunto. Ci si districa grazie a quel procedimento della "messa in ordine" che, a livello concettuale, si realizza nel raccogliere e schematizzare. Nella nostra vita di tutti i giorni non facciamo che sistemare e sistematizzare un universo denso di cose, al centro del quale ci poniamo con la nostra fragile, mutevole identità. E lo facciamo seguendo le due coazioni complementari che si originano dall'horror vacui e dall'amor infiniti. Con la "messa in ordine", dividiamo lo spazio in infiniti sottospazi controllabili. Colonizziamo il vuoto e il senso di abisso figlio del nostro stare al mondo con gli oggetti. Con l'amore per la pienezza, accumuliamo, riempiamo i vuoti delle pareti, delle stanze e, con le classificazioni, quelli delle nostre conoscenze. Poi, ad un certo punto, può arrivare qualcuno che non avevamo previsto e la cui portata abbiamo magari sottovalutato e, con gesto leggero e allo stesso tempo profondissimo, può chiederci di rovistare tra i ricordi, attraversare soglie, sfidare schemi, aprire con coraggio i nostri archivi mentali. Per cui, sapete una cosa? Un lavoro formativo come "le cose perse diventano sentimenti" può dirsi provocatorio. La provocazione intellettuale sta innanzitutto nel superamento dei più comuni ossimori. Il superfluo si guarda bene dallo sfidare il necessario, lo incarna. Il suo valore sentimentale supera quello 'd'uso'. L'effimero si rivela indispensabile, e da futile acquista un plusvalore, diventando viatico per segni, tracce, simboli, percezione del sé, conoscenza. D'altrocanto, l'essenza dello stile gotico, diceva Heinrich Wölfflin, si lascia cogliere in una scarpa a punta altrettanto che in una cattedrale... Con questa battuta, il grande storico dell'arte non enunciava solo un principio fondamentale del metodo formale, ma sottolineava vigorosamente l'importanza del triviale e la pertinenza dell'insignificante e del quotidiano. La provocazione metodologica e terminologica sta invece nell'averlo chiamato 'workshop'. Per amore di quella accennata semplificazione che l'uomo necessita per capire e farsi capire, il percorso andava definito in maniera chiara ed inequivocabile, certo, … Ma chi l'ha ideato, chi l'ha presentato, chi vi ha partecipato, chi si è pensato in qualche modo 'docente' e chi 'discente', chi l'ha sostenuto, ma anche solo chi si è trattenuto qualche ora da osservatore partecipante, perfino chi vi ha lanciato solo uno sguardo fugace, tutto ha potuto pensare tranne che si svolgesse un mero laboratorio didattico teorico-pratico. Andiamo per ordine. La cosa, contrazione del latino causa, è ciò che determina gli eventi e le cose stesse. Imparare a tener conto della sua essenza, indagandola con modalità critiche e introspettive, è poter progettare con una marcia in più. Partendo da oggetti d'affezione - fisici e mentali -, gli incontri, che di certo Socrate avrebbe benedetto, si sono rivelati non solo un'incitazione alla creazione artistica attraverso un ripensamento soggettivo delle proprie potenzialità demiurgiche e analitiche, ma vere e proprie sedute di autocoscienza, inviti allo smarrimento tramite la psichedelia dei ricordi, della poesia, dei sogni, dei desideri, delle immagini, delle sensazioni e delle intuizioni, alla scoperta dell'indeterminata dilatazione della propria identità. Il disinvolto superamento di soglie ipertestuali si è specchiato in un graduale ritrovarsi attraverso un personalissimo colligere fragmenta, riconquistando, attraverso e nelle cose, nella solitudine come nella condivisione, un senso di radicamento che solo un proprio ripensato archivio della memoria può offrire. Così, a tanti piccoli grandi artefatti di ogni specie, specularmente alla scoperta della casa-museo Praz e dei testi che ne celebrano il contenuto, è stato consacrato il famoso quarto d'ora warholiano. Tutto questo mentre l'arte maieutica messa in campo dalle tre artiste, in modo certamente diverso ma con comune afflato ideale di fondo, si 'ritorceva' felicemente, forse ancora più imprevedibilmente, contro di loro: difatti, le guide, gradualmente, si sono fatte guidare… Ma questa è un'altra storia. 94