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TAR Veneto – Sez. I – sentenza 8 aprile 2014, n. 487 – Pres. Amoroso – Est. Rovis – x c. Comune y Responsabilità della pubblica amministrazione - Danno da comportamento - Violazione dell’affidamento e dei canoni di buona fede e correttezza ex art. 1337 c.c. - Responsabilità precontrattuale - Sussiste Nell’ambito di un procedimento di evidenza pubblica preordinato alla selezione del contraente, la responsabilità precontrattuale dell’amministrazione deve ritenersi sempre configurabile quando il fine pubblico venga attuato attraverso un comportamento obiettivamente lesivo dei doveri di lealtà, sicché anche nel caso di assenza di provvedimenti illegittimi può scaturire l’obbligo di risarcire il danno nel caso di affidamento suscitato da un comportamento contrario ai canoni comportamentali legalmente sanciti. (Omissis) considerato che oggetto della presente controversia è il ristoro della lesione della posizione soggettiva inerente l’affidamento ingenerato nel privato circa l’osservanza da parte della Pubblica amministrazione del dovere di comportarsi secondo buona fede in un procedimento in cui il privato stesso era rimasto coinvolto: la ricorrente chiede, in particolare, il risarcimento del danno da responsabilità precontrattuale per non avere il Comune portato a conclusione la procedura avviata nel 2008 con la pubblicazione di un avviso inerente ad un intervento di riqualificazione di un’area del litorale del lago di Garda e del relativo parcheggio da realizzarsi con il sistema della «finanza di progetto», relativamente al quale l’impresa aveva presentato la «proposta»; che tale questione rientra pacificamente nella giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 133, I comma, lett. «e», sub 1) del DLgs n. 104/2010; che, quanto alla tutelabilità della pretesa ai fini risarcitori, l’assenza di atti illegittimi non elimina il profilo relativo alla valutazione del comportamento dell’Amministrazione con riguardo al rispetto dei canoni di buona fede e correttezza (da intendersi in senso oggettivo) nell’ambito di un procedimento di evidenza pubblica preordinato alla selezione del contraente: la responsabilità precontrattuale deve, infatti, ritenersi sempre configurabile quando il fine pubblico venga attuato attraverso un comportamento obiettivamente lesivo dei doveri di lealtà, sicché anche nel caso di assenza di provvedimenti illegittimi può scaturire l’obbligo di risarcire il danno nel caso di affidamento suscitato da un comportamento contrario ai canoni comportamentali legalmente sanciti; che sussiste la responsabilità precontrattuale ex art. 1337 e 1338 c.c. di un ente locale che abbia 140 GIURISPRUDENZA improvvisamente ed immotivatamente interrotto il procedimento in corso relativo alla prima fase di una procedura di «project financing», nel caso – come quello di specie – in cui l’inerzia sia consistita anche nella omissione di qualsivoglia spiegazione alla ditta interessata sulle ragioni dell’improvviso abbandono del procedimento stesso, nonostante le ripetute richieste di chiarimenti da parte della ditta interessata che aveva depositato il progetto ai fini della declaratoria di pubblico interesse; che, a tal proposito, è affatto inconferente la sentenza CdS, III, 20.3.2014 n. 1365 depositata dall’Amministrazione, atteso che la procedura di finanza di progetto ivi considerata era espressamente subordinata alla «formale, propedeutica autorizzazione alla realizzazione dell’opera», autorizzazione che non è stata rilasciata dalla Regione (Campania) per contrasto con la disciplina pianificatoria a livello regionale in materia di rete ospedaliera: in quel caso si era verificato, cioè, un evento impeditivo alla prosecuzione della procedura di «project financing» rappresentato dal mancato realizzarsi della condizione sospensiva cui era legata l’acquisizione di efficacia delle delibere che avevano approvato la procedura stessa, e che era perfettamente nota ai concorrenti; che la domanda di risarcimento del danno proposta dall’odierna ricorrente è tempestiva sia in relazione al disposto di cui all’art. 30, IV comma c.p.a. (il termine per la proposizione della domanda di risarcimento non decorre, infatti, fino a quando persista il comportamento inadempiente, e nel caso di specie l’Amministrazione non ha ancora ritenuto consumato il proprio potere provvedimentale: cfr. la DGC 3.6.2013 n. 88 e la nota 3.9.2013 del Comune), sia, comunque, in considerazione della natura extracontrattuale del pregiudizio di cui si chiede il ristoro; che, quanto all’elemento psicologico dell’illecito precontrattuale, la Corte di giustizia ha reputato incompatibile con l’ordinamento comunitario la normativa nazionale che subordini il diritto ad ottenere il risarcimento al carattere colpevole del comportamento della PA (sent. 30.9.2010, C-314/ 09), configurando invece in modo affatto oggettivo la responsabilità dell’Amministrazione; che, però, affinché sussista la responsabilità per «culpa in contrahendo» a carico della Pubblica amministrazione occorre, da un lato che il comportamento tenuto dalla P.A. risulti contrastante con le regole di correttezza e di buona fede di cui all’art. 1337 c.c. e, dall’altro, che lo stesso comportamento abbia ingenerato un danno effettivo in capo al soggetto che chiede il risarcimento; che, nella specie, è pacifica la responsabilità dell’Amministrazione per avere immotivatamente receduto dalla procedura, atteso che l’interruzione del procedimento ad evidenza pubblica si qualifica come violazione della legge (art. 1337 c.c.) che impone alle parti di comportarsi secondo buona fede e correttezza nelle trattative, cagionando, conseguentemente, l’ingiusto sacrificio dell’affidamento ingenerato nella ricorrente dal pubblicato avviso di procedura, così integrando una responsabilità di tipo precontrattuale; che – in disparte la considerazione che la clausola contenuta nell’avviso di project financing in esame, secondo cui «in nessuna delle ipotesi... i promotori avranno titolo a richiedere al Comune indennizzi o rimborsi di sorta», riguarda esclusivamente le «ipotesi soprammenzionate» di ritenuta non fattibilità della proposta sotto il profilo tecnico, economico o del pubblico interesse (ipotesi, queste, non ricorrenti nel caso di specie) – deve considerarsi nulla, ai sensi dell’art. 1355 c.c. (che prevede il divieto di inserire condizioni meramente potestative), un’eventuale clausola secondo cui la presentazione della proposta non vincola in alcun modo l’Amministrazione, nemmeno sotto il profilo della responsabilità precontrattuale ex art. 1337 c.c.; che il risarcimento del danno per responsabilità precontrattuale, la cui dimostrazione spetta alla parte lesa (in linea con l’inquadramento di tale responsabilità nell’ambito della responsabilità aquiliana), riguarda il solo interesse negativo, ossia le spese inutilmente sostenute in previsione della conclusione del procedimento e le perdite sofferte per non aver usufruito di ulteriori occasioni contrattuali, mentre non sono risarcibili il mancato utile correlato all’eventuale aggiudicazione ed il danno curriculare, in quanto assolutamente ipotetici (si era, infatti, nemmeno conclusa la prima fase della procedura con la declaratoria, del tutto eventuale, di rispondenza al pubblico interesse di una delle proposte presentate); che, dunque, ai fini della prova del danno l’istante deve assolvere l’obbligo di allegare e provare i QUESTIONI TEORICO-PRATICHE IN TEMA DI RESPONSABILITÀ PRECONTRATTUALE 141 fatti posti a fondamento della domanda, dovendosi escludere la liquidazione equitativa di cui all’art. 1226 c.c., che presuppone l’impossibilità di dimostrare l’ammontare del pregiudizio subito; che, pertanto, in ordine alla quantificazione del danno ritiene il Collegio che nella specie debba farsi applicazione del disposto di cui all’art. 34, IV comma del c.p.a. che consente al giudice, in caso di condanna pecuniaria, di stabilire i criteri in base ai quali il debitore deve proporre a favore del creditore il pagamento di una somma entro un congruo termine; che, dunque, nel liquidare il pregiudizio patito dall’odierna ricorrente l’Amministrazione dovrà attenersi nel prosieguo alle seguenti regole d’azione: a) entro il termine di novanta giorni (decorrente dalla comunicazione in via amministrativa della presente decisione o dalla notificazione, ove anteriore) il Comune di Torri del Benaco provvederà a proporre alla ricorrente il pagamento di una somma a corrispettivo del danno, danno relativamente al quale parte ricorrente dovrà fornire in maniera rigorosa ogni utile elemento per la sua determinazione, escludendosi – come si è detto – una liquidazione equitativa: in particolare, il lucro cessante conseguente alla «perdita di altre occasioni lavorative» potrà essere risarcito se e in quanto l’impresa documenterà di non aver potuto utilizzare mezzi e maestranze, lasciati disponibili, per l’espletamento di altri lavori (qualora tale dimostrazione non possa essere offerta è da ritenere, infatti, che l’impresa abbia ragionevolmente riutilizzato mezzi e manodopera per lo svolgimento di altre attività: va da sé, invero, che l’imprenditore, in quanto soggetto che esercita professionalmente una attività economica organizzata finalizzata alla produzione di utili, normalmente non rimane inerte, ma si procura prestazioni contrattuali alternative dalla cui esecuzione trae utili). In sede di quantificazione del danno, pertanto, spetterà all’impresa dimostrare, anche mediante l’esibizione all’Amministrazione di libri contabili e di proposte di contratto, di non aver eseguito, nel periodo che l’avrebbe vista impegnata nella redazione del progetto, altre attività lucrative incompatibili con quella per la cui mancata prosecuzione chiede il risarcimento del danno (cfr., in termini, CdS, IV, 7.9.2010 n. 6485; VI, 21.9.2010 n. 7004; TAR Veneto, I, 5.3.2014 n. 303; 8.11.2011 n. 1663); b) ove non sia raggiunto alcun accordo nel termine sopra indicato, parte ricorrente potrà chiedere all’intestato Tribunale l’esecuzione della presente sentenza per l’adozione delle misure consequenziali; che, dunque, per le suesposte considerazioni il ricorso va accolto, e l’Amministrazione condannata al pagamento di quanto dovuto a titolo di risarcimento del danno, da liquidarsi nei limiti, con le modalità e nei termini di cui sopra; che le spese processuali seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo; (Omissis) ANCORA SU TALUNE QUESTIONI TEORICO-PRATICHE IN TEMA DI RESPONSABILITÀ PRECONTRATTUALE DELLA P.A. 1. La breve pronuncia del Tar Veneto suscita interesse per diverse ragioni, e in primo luogo perché celebra una sorta di anniversario. Proprio dieci anni prima, infatti, lo stesso Tar aveva statuito su di una fattispecie simile a quella affrontata anche in quest’ultimo caso (1), sperimentando un ap- ( 1 ) Cfr. Tar Veneto, Sez. I, 3 marzo 2004, n. 479, in Il Diritto della Regione, 2004, 144 ss., con nota di A. Simonati, La responsabilità «paracontrattuale» dell’amministrazione in una recente decisione del TAR Veneto: profili problematici. 142 GIURISPRUDENZA proccio ricostruttivo che in quel preciso momento si stava affacciando pure nella giurisprudenza del Consiglio di Stato (2) e che andava, altresì, espandendosi oltre la materia degli appalti (3). Certo, in quel lontano precedente veneto, i termini della controversia e della motivata soluzione che vi fu apprestata non erano del tutto coincidenti a quelli della causa qui richiamata. Tuttavia, anche in quell’ipotesi si trattava di rimproverare ad una pubblica amministrazione locale il fatto di aver tenuto un comportamento complessivamente scorretto, dapprima avendo ingenerato in un soggetto privato l’affidamento a che una determinata procedura sarebbe stata portata a compimento, quindi interrompendo l’iter preordinato alla definizione compiuta del rapporto e alla conseguente attività esecutiva. Ed anche in quella circostanza il giudice non aveva attribuito un rilievo determinante al fatto che gli unici atti adottati dall’amministrazione fossero del tutto legittimi. Ad essere difforme, però, è la giustificazione dell’esito cui il giudice era giunto. Per il Tar Veneto, in quell’occasione l’amministrazione era incorsa in una forma di «responsabilità da contatto», il cui pregiudizio, se sussistente, andava riguardato applicando analogicamente la disciplina comune della responsabilità precontrattuale, e pertanto nei limiti del cd. «interesse negativo». Inoltre, sempre per il Tar, l’ampiezza del danno concretamente risarcibile doveva valutarsi in via equitativa e se ne doveva escludere la sussistenza laddove si verificasse che la buona fede dell’interlocutore privato era venuta meno in quanto riferibile a comportamenti di cui era verosimile ritenere che esso ne avesse accettato il rischio. Ciò perché, si diceva, la buona fede è oggettiva e biunivoca: vale per l’amministrazione, ma vale anche per il privato. Nella pronuncia qui riprodotta – pur risolvendosi in una condanna per l’amministrazione, e pur ribadendosi che una cosa è l’illegittimità dell’azione provvedimentale, altra cosa è l’illiceità del contegno effettivamente tenuto dall’ente – l’epilogo della vicenda è un po’ diverso: a) il Tar non ricorre più al modello della «responsabilità da contatto», ma applica direttamente l’art. 1337 c.c.; b) si nega espressamente il ricorso alla valutazione equitativa di cui all’art. 1226 c.c. e ci si avvale dei poteri un tempo previsti nell’art. 35, comma 2, del d.lgs. ( 2 ) V., ad esempio, Cons. Stato, Sez. IV, 19 marzo 2003, n. 1457, in Foro amm. – CDS, 2003, 918 ss. ( 3 ) Abbracciando, segnatamente, la materia urbanistico-edilizia: v. Tar Lombardia, Sez. II, 2 ottobre 2003, n. 4503, in Dir. proc. amm., 2004, 527 ss., cui sia consentito rinviare anche per il commento in quella sede disponibile (544 ss.): F. Cortese, Ancora sulla responsabilità della p.a.: prove tecniche di giudizio ed ipotesi ricostruttive. QUESTIONI TEORICO-PRATICHE IN TEMA DI RESPONSABILITÀ PRECONTRATTUALE 143 n. 80/1998 (4) per tutti i casi di giurisdizione esclusiva e oggi generalizzati ex art. 34, comma 4, c.p.a. (5). Le innovazioni, in generale, vanno senz’altro salutate con favore. Da un lato, si abbandona l’utilizzo di una categoria concettuale assai debole e discutibile, specialmente con riferimento a fattispecie che si danno in contesti volti alla costituzione di un vincolo negoziale tout court, e si ribadisce la natura in ogni modo extracontrattuale del modello precontrattuale (6). Dall’altro, si evita il potenziale inganno della valutazione equitativa, che nelle cause in cui si discute di responsabilità civile dell’amministrazione rappresenta sovente il passepartout per la liquidazione di un indennizzo mascherato e, con ciò, per l’affermazione di una riparazione monetaria di carattere indebitamente forfettario. Restano aperte, però, alcune questioni, che proprio il profilo da ultimo segnalato invita a considerare. 2. Se per il Tar la valutazione equitativa non è accessibile, in quanto «presuppone l’impossibilità di dimostrare l’ammontare del pregiudizio subito», e «ai fini della prova del danno l’istante deve assolvere l’obbligo di allegare e provare i fatti posti a fondamento della domanda», allora non si comprende la ragione della materiale rimessione in termini, in punto istruttorio, che il collegio, avvalendosi dei poteri ex art. 34, comma 4, c.p.a., ha stabilito a favore del ricorrente. Il rinvio, in questo senso, è esplicito, visto che nella motivazione si chiarisce senza ombra di dubbio che la proposta di pagamento che l’amministrazione è chiamata a formulare a favore del privato debba avvenire sulla base di «ogni utile elemento» che «parte ricorrente dovrà fornire in maniera rigorosa (...), escludendosi – come si è detto – una liquidazione equitativa». Ma è possibile che quei poteri possano arrivare a tanto? Non sarebbe, forse, preferibile accedere ad una lettura che imponga che la fase istruttoria sul danno – ( 4 ) Che così disponeva: «Nei casi previsti dal comma 1 [ossia, nei casi in cui intenda condannare la p.a. al risarcimento del danno ingiusto, Nda], il giudice amministrativo può stabilire i criteri in base ai quali l’amministrazione pubblica o il gestore del pubblico servizio devono proporre a favore dell’avente titolo il pagamento di una somma entro un congruo termine. Se le parti non giungono ad un accordo, col ricorso previsto dall’articolo 27, primo comma, n. 4, del testo unico approvato col regio decreto 26 giugno 1924, n. 1054 [i.e., con il giudizio d’ottemperanza, Nda], può essere chiesta la determinazione della somma dovuta». ( 5 ) Che così recita: «In caso di condanna pecuniaria, il giudice può, in mancanza di opposizione delle parti, stabilire i criteri in base ai quali il debitore deve proporre a favore del creditore il pagamento di una somma entro un congruo termine. Se le parti non giungono ad un accordo, ovvero non adempiono agli obblighi derivanti dall’accordo concluso, con il ricorso previsto dal Titolo I del Libro IV [e quindi con il giudizio di ottemperanza, Nda], possono essere chiesti la determinazione della somma dovuta ovvero l’adempimento degli obblighi ineseguiti». ( 6 ) Nonostante la nota e – tutto sommato, recente – oscillazione nel senso opposto del Supremo Collegio: v., ad esempio, Cass. civ., Sez. I, 20 dicembre 2011, n. 27648, in Resp. civ. prev., 2012, 1944. 144 GIURISPRUDENZA anche quella eventualmente perseguibile d’ufficio, sulla base di un qualche «principio di prova» (7) – resti nella cornice processuale e lì contribuisca a determinare la sussistenza o meno della responsabilità? Del resto, se in giudizio si accerta che il danno c’è, allora questo si deve risarcire, nei limiti in cui è stato provato; se manca la prova, il danno non c’è, non essendoci, di conseguenza, alcuna responsabilità. Dinanzi a queste criticità, la sensazione è che ci si trovi ancora in mezzo al guado, sia pur dieci anni dopo, e sia pur avendo acquisito, nel frattempo, qualche chiarimento e qualche certezza in più. Il punto che – sotto traccia – rimane ancora aperto è sempre il medesimo: come apprezzare e come misurare l’interesse che venga concretamente considerato meritevole di tutela risarcitoria al cospetto di scorrettezze comportamentali della p.a.? Il modus operandi del Tar Veneto impone il richiamo di un paragone suggestivo e forse improprio, ma in fondo rivelatore. L’impressione, cioè, è che si sia in presenza non solo di un bene della vita a sé stante – cosa che di fatto si può dare ormai per acquisita, visto che nell’interpretazione corrente le sue sorti non sono connesse a quelle del sindacato sulla legittimità dell’esercizio del potere pubblico – ma anche di un bene la cui doverosa garanzia emerge nei casi in cui un soggetto si comporti in modo comunque illecito, perché ne va di un bene costituzionalmente rilevante. È in quest’ottica che può essere utile rammentare un’assonanza, precisamente quella con il tenore delle argomentazioni spese a suo tempo dalla Corte costituzionale nella celebre pronuncia (n. 641/1987 (8)) in cui per la prima volta si era occupata del danno ambientale e della speciale fattispecie risarcitoria di cui all’art. 18 della legge n. 349/1986 (oggi non più in vigore). In quel frangente, e per ciò che naturalmente interessa, la Corte aveva predicato l’esistenza, nell’ordinamento, di beni che, pur essendo suscettibili di valutazione patrimoniale, sono svincolati da una dimensione immediatamente appropriativa, ma possono comunque essere annoverati tra gli interessi, di primario e assoluto rilievo costituzionale, la cui lesione può condurre ad un risarcimento ex art. 2043 c.c. (9). Sulla base di questo inquadramento, poi, la Corte di cassazione, progressivamente, e sempre in relazione al danno ambientale, era arrivata a sostenere che la lesione di un interesse di quella tipologia (i.e. di primario e assoluto rilievo costitu( 7 ) E sempre che sia ammissibile in controversie puramente risarcitorie, acquisizione che, nella giurisprudenza decisamente prevalente, è generalmente negata. Cfr., ex multis, Tar Toscana, Sez. II, 30 maggio 2014, n. 937, in www.giustizia-amministrativa.it; Tar Puglia, Bari, Sez. I, 14 maggio 2014, n. 607, ibid.; Cons. Stato, Sez. IV, 10 gennaio 2014, n. 46, in Foro amm.-CDS, 2014, 56. ( 8 ) Corte costituzionale, 30 dicembre 1987, n. 641, in Foro it., 1988, I, 3 ss. ( 9 ) Corte costituzionale, 30 dicembre 1987, n. 641, cit., in particolare, punto 2.2 della motivazione. QUESTIONI TEORICO-PRATICHE IN TEMA DI RESPONSABILITÀ PRECONTRATTUALE 145 zionale) avrebbe potuto risarcirsi, con una ratio quindi parzialmente sanzionatoria, anche indipendentemente dalla prova effettiva di un pregiudizio immediatamente e materialmente apprezzabile, e, come tale, puntualmente dimostrabile in giudizio. Ciò che era sufficiente, per la Suprema Corte, consisteva, quanto meno, nel riscontro della violazione, da parte del danneggiante, delle regole di condotta o dei principi di cautela che l’ordinamento prescrive a garanzia di quell’interesse, e che possono anche ricavarsi direttamente dall’art. 2043 c.c. quale norma primaria: fatto un tale accertamento, il danno esiste comunque, a prescindere dalla prova di cui si è detto (10). Per la sua quantificazione, si ricorreva ai particolari criteri allora positivamente previsti (11), i quali, in questa impostazione, nonostante un richiamo alla valutazione equitativa, parevano per l’appunto presumere, nel loro carattere artificiale (o, meglio, di classica fictio iuris), che fosse inevitabile, quanto al pregiudizio subito, immaginare una forma di misurazione del quantum risarcibile in supplenza degli oneri probatori altrimenti ordinariamente previsti. A che cosa servono, dunque, queste assonanze? Forse che, anche nel caso della responsabilità della p.a. per violazione dei doveri di correttezza e buona fede, si potrebbe intravedere un bene della vita a sé stante, di dimensione costituzionale? Forse che, anche in base alle ripetute ed autorevoli allusioni operate (in altri contesti) dal Consiglio di Stato (12), ci si trova di fronte ad un possibile e ulteriore campo di espansione della già sperimentata categoria (di questi tempi decisamente à la page) dell’abuso del diritto (13), in tal caso perpetrato dalla pubblica amministrazione? Non è forse vero, del resto, che le condotte amministrative legittime che integrano la violazione dell’affidamento potrebbero comunque definirsi abusive perché contrastanti con le molte declinazioni di un generale e trasversale dovere di solidarietà, ricavabile dall’art. 2 Cost.? (14). ( 10 ) V., per tutte, Cass. civ., Sez. I, 1 settembre 1995, n. 9211, in Giur. it., 1996, I, 950 ss. ( 11 ) Sempre all’art. 18 cit., in particolare al comma 6: «Il giudice, ove non sia possibile una precisa quantificazione del danno, ne determina l’ammontare in via equitativa, tenendo comunque conto della gravità della colpa individuale, del costo necessario per il ripristino e del profitto conseguito dal trasgressore in conseguenza del suo comportamento lesivo dei beni ambientali» (corsivi aggiunti). ( 12 ) V. Cons. Stato, Ad. Plen., 23 marzo 2011, n. 3, in Corr. giur., 2011, 988 ss., con nota di F.G. Scoca, Risarcimento del danno e comportamento del danneggiato da provvedimento amministrativo. Ma sia consentito richiamare anche F. Cortese, L’Adunanza Plenaria e il risarcimento degli interessi legittimi, in Giorn. dir. amm., 2011, 962 ss. ( 13 ) A cui proprio il Consiglio di Stato ha fatto riferimento, nella pronuncia di cui alla nt. precedente, per fondare la ratio della disciplina prevista dall’art. 30, comma 3, c.p.a., relativamente al rapporto tra l’esercizio autonomo dell’azione risarcitoria e l’attivazione, da parte del danneggiato, dell’azione costitutiva di annullamento del provvedimento lesivo («Nel determinare il risarcimento il giudice valuta tutte le circostanze di fatto e il comportamento complessivo delle parti e, comunque, esclude il risarcimento dei danni che si sarebbero potuti evitare usando l’ordinaria diligenza, anche attraverso l’esperimento degli strumenti di tutela previsti»). ( 14 ) Il riferimento all’art. 2 Cost. è stato operato proprio dal Consiglio di Stato: v. alle ntt. 12 e 13. Ma 146 GIURISPRUDENZA Il tema è davvero interessante, e certo non è questa la sede per «esploderlo» con l’ampiezza che merita. Ma una cosa è certa: la menzionata assonanza non è soltanto evocativa; coglie nel segno anche dal punto di vista delle evoluzioni positive. In dieci anni, soprattutto circa il quantum risarcibile, il quadro della disciplina applicabile nella tipologia delle controversie qui esaminate è parzialmente cambiato, facendosi, se possibile, ancor più articolato. 3. Difatti, all’interno delle molteplici fattispecie di responsabilità precontrattuale della p.a. nel campo dell’evidenza pubblica, ve ne sono alcune che si qualificano per la presenza di atti legittimi di autotutela, vuoi di revoca, vuoi di annullamento d’ufficio. Per queste fattispecie, il legislatore – rispettivamente, con i commi 1 e 1-bis dell’art. 21-quinquies della legge n. 241/1990 (15), e con il comma 136 dell’art. 1 della legge n. 311/2004 (16) – non ha solo riconosciuto testualmente l’esistenza di un potenziale pregiudizio; nel caso della revoca, ha anche precisato che, se esistente, quel pregiudizio va liquidato in un certo modo. Proprio per la revoca, poi, il dibattito che la giurisprudenza ha animato, per un certo periodo, in ordine alla natura dell’obbligazione di pagamento cui la p.a. revocante è tenuta (trattasi, sostanzialmente, della disciplina speciale della quantificazione di un danno risarcibile ovvero trattasi, come la forma sembra suggerire, si può ricordare, soprattutto, che l’ancoraggio costituzionale in questione era stato proposto, molto tempo prima, anche da autorevole e acuta dottrina, segnatamente per spiegare il diverso regime che avrebbero dovuto conoscere le ipotesi di risarcimento del danno da mancato adempimento, da parte della p.a., di «doveri di protezione» (i.e. obblighi di correttezza): v. A. Romano Tassone, Situazioni giuridiche soggettive (dir. amm.), in Enc. dir., Agg. II, Milano, 1998, in part. 985. Ma v. anche Id., La responsabilità della p.a. tra provvedimento e comportamento (a proposito di un libro recente), reperibile anche on line al seguente indirizzo: http://www.giustizia-amministrativa.it/documentazione/studi_contributi/tassone.htm. Può essere opportuno evidenziare che, in questa lettura, lo scostamento dal modello aquiliano è conclamato. ( 15 ) La seconda parte del comma 1 dell’articolo in questione (così come introdotto dalla l. n. 15/2005 e poi modificato dal nuovo c.p.a.) recita: «Se la revoca comporta pregiudizi in danno dei soggetti direttamente interessati, l’amministrazione ha l’obbligo di provvedere al loro indennizzo». Il comma 1-bis (come inserito in tale articolo dall’art. 13, comma 8, d.l. n. 7/2007, conv. in l. n. 40/2007, e come materialmente riprodotto anche nel successivo comma 1-ter, dapprima inserito dall’art. 13, d.l. n. 112/2008, conv. in l. n. 133/2008, e poi abrogato dall’art. 62, comma 1, del d.l. n. 5/2012, conv. in l. n. 35/2012), precisa: «Ove la revoca di un atto amministrativo ad efficacia durevole o istantanea incida su rapporti negoziali, l’indennizzo liquidato dall’amministrazione agli interessati è parametrato al solo danno emergente e tiene conto sia dell’eventuale conoscenza o conoscibilità da parte dei contraenti della contrarietà dell’atto amministrativo oggetto di revoca all’interesse pubblico, sia dell’eventuale concorso dei contraenti o di altri soggetti all’erronea valutazione della compatibilità di tale atto con l’interesse pubblico». ( 16 ) «Al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari per le amministrazioni pubbliche, può sempre essere disposto l’annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se l’esecuzione degli stessi sia ancora in corso. L’annullamento di cui al primo periodo di provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati deve tenere indenni i privati stessi dall’eventuale pregiudizio patrimoniale derivante, e comunque non può essere adottato oltre tre anni dall’acquisizione di efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia perdurante». QUESTIONI TEORICO-PRATICHE IN TEMA DI RESPONSABILITÀ PRECONTRATTUALE 147 della definizione esclusiva di una forma di autentico indennizzo? (17)), è particolarmente sintomatico della medesima impasse teorico-pratica che si è richiamata con riguardo alla ricostruzione del danno ambientale: sia dal punto di vista dell’esistenza di un interesse del tutto autonomo ed indipendente da riparare, sia dal punto di vista della sua completa riconducibilità (o meno) al novero delle situazioni soggettive risarcibili secondo il consueto paradigma aquiliano anziché a quelle soltanto indennizzabili in quanto esposte ad una legittima «privazione» di parte del proprio «patrimonio giuridico». Ma il dato ancor più interessante è che la giurisprudenza amministrativa, nell’esplorare tutte le articolazioni di questi regimi normativi, ha cercato di evitarne le sovrapposizioni, all’interno di quadro di riferimento nel quale all’affermata coesistenza pratica di diversi istituti (indennizzo e illecito civile) ha dovuto far seguire una visione assai specializzante degli elementi costitutivi della responsabilità precontrattuale (intesa come extracontrattuale), in primis con riguardo agli oneri probatori della parte ricorrente (18). Così è, e lo si è visto, anche nel caso affrontato dal Tar Veneto nella breve sentenza surriprodotta, nella quale, per l’appunto, non solo si superano quegli oneri mediante il ricorso alla procedura di cui all’art. 34, comma 4, c.p.a., ma si accede ad una ricostruzione (del tutto e scopertamente) oggettiva della responsabilità civile della p.a. (19). Questo endemico trascorrere dal tema della quantificazione del danno al problema della sua stessa sussistenza o natura, ovvero, in via ancor preliminare, a quello dell’onere probatorio del ricorrente – che tende ad essere assorbito nella constatazione che, date la compromissione di un certo interesse o, addirittura, la mera assunzione di un determinato comportamento, una lesione dev’esservi senz’altro – dimostra non solo la complessa adattabilità di un unico modello a situazioni che sembrano ben diverse, ma anche la criptica tendenza ad interpretare quel modello in modo variabile e secondo presupposti teorico-generali (come quelli in tema di abuso di diritto) che non necessariamente risultano così rigorosi ( 17 ) Per questa seconda tesi, v., ad esempio, Cons. Stato, Sez. V, 9 ottobre 2010, n. 7334, in Urb. e app., 2011, 814 ss. ( 18 ) Cfr. Cons. Stato, Sez. IV, 7 febbraio 2012, n. 662, in Giorn. dir. amm., 2013, 169 ss.: in questa sentenza il giudice amministrativo ritiene che la violazione dei principi di buona fede e correttezza, che determina la responsabilità precontrattuale in senso proprio sia in re ipsa, quale verificabile nel confronto tra il contegno dell’amministrazione (che, da subito, ha ritardato in modo non legittimo la conclusione formale del negozio) e quello del soggetto privato (che ha sempre e univocamente manifestato «il persistente e forte interesse (...) alla stipulazione ed esecuzione del contratto»). ( 19 ) Sul punto è esplicito questo passaggio: «quanto all’elemento psicologico dell’illecito precontrattuale, la Corte di giustizia ha reputato incompatibile con l’ordinamento comunitario la normativa nazionale che subordini il diritto ad ottenere il risarcimento al carattere colpevole del comportamento della PA (sent. 30.9.2010, C-314/09), configurando invece in modo affatto oggettivo la responsabilità dell’Amministrazione». 148 GIURISPRUDENZA o, meglio, che talvolta (come accade nel caso della responsabilità della p.a. per danno da provvedimento illegittimo) rischiano di scontrarsi con l’auto-sufficienza del diritto positivo sic et sempliciter considerato (20), talaltra (come nei differenti casi qui affrontati) non vengono esplicitamente invocati, e ciò proprio allorché ve ne sarebbe un maggiore e più ragionevole bisogno (21). Fulvio Cortese ( 20 ) Cfr. le osservazioni in F. Cortese, L’Adunanza Plenaria, cit., passim. In breve: quale può essere lo scopo del rinvio all’abuso del diritto in un contesto nel quale il chiaro tenore della disposizione applicabile (v. supra a nt. 13) risolve di per sé il tema del rapporto tra i rimedi potenzialmente esercitabili? ( 21 ) La consapevolezza del collegio giudicante circa la distanza che esiste tra questo genere di fattispecie risarcitorie (da comportamento) e quelle precisamente definite dall’art. 30, comma 3, c.p.a. (in termini di «risarcimento per lesione di interessi legittimi») si palesa anche nel passaggio della motivazione in cui il Tar Veneto sente il bisogno di indicare che il termine per l’esercizio dell’azione risarcitoria è più ampio di quello di centoventi giorni, incorrendo, così, in un «errore-non errore»: la motivazione, infatti, da un lato, richiama la disciplina del termine da osservare in caso di danno da ritardo, cosa che non corrisponde al caso di specie (e che quindi si traduce in un’affermazione scorretta); dall’altro lato, però, e allo stesso tempo, non si può non rilevare che la dottrina – già citata: v. supra a nt. 14 – che aveva ipotizzato un diverso regime di responsabilità da mancato rispetto dei «doveri di protezione» intendeva riferirsi, tra l’altro, anche ai pregiudizi derivanti dall’inerzia della p.a. (sicché la non pertinenza formale del rinvio tradisce una presupposta intuizione sostanziale).