LE CARTE E I DISCEPOLI
STUDI IN ONORE
DI CLAUDIO GRIGGIO
A CURA DI
FABIANA DI BRAZZÀ
ILVANO CALIARO
ROBERTO NORBEDO
RENZO RABBONI
MATTEO VENIER
FORUM
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TRACCE
ITINERARI DI RICERCA
La collana ‘Tracce. Itinerari di ricerca’ si
propone di valorizzare i risultati delle attività scientifiche svolte nei diversi campi della
ricerca universitaria (area umanistica e
della formazione, area economico-giuridica,
area scientifica, area medica). Rivolta prevalentemente alla diffusione di studi condotti nell’ambito dell’Università di Udine,
guarda con attenzione anche ad altri centri
di ricerca, italiani e internazionali.
Il comitato scientifico è quello della casa
editrice.
Università degli studi di Udine
Area umanistica e della formazione
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La presente pubblicazione è stata realizzata con il sostegno di
e la collaborazione di
Università degli studi di Udine
Dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale
Dipartimento di Lingue e letterature, comunicazione, formazione e società
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Particolare del dipinto La difesa di Brescia di Jacopo Robusti
detto Il Tintoretto, Palazzo Ducale, Venezia
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Tel. 0432 26001 / Fax 0432 296756
www.forumeditrice.it
ISBN 978-88-8420-917-7
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Le carte e i discepoli : studi in onore di Claudio Griggio / a cura di Fabiana di Brazzà, Ilvano Caliaro,
Roberto Norbedo, Renzo Rabboni, Matteo Venier. Udine : Forum, 2016.
(Tracce : itinerari di ricerca)
ISBN 978-88-8420-917-7
1. Letteratura italiana – Scritti in onore
2. Griggio, Claudio – Opere – Bibliografia
I. Di Brazzà, Fabiana II. Caliaro, Ilvano III. Norbedo, Roberto IV. Rabboni, Renzo V. Venier,
Matteo VI. Griggio, Claudio
850.9 (WebDewey 2016) – LETTERATURA ITALIANA. Storia e critica
Scheda catalografica a cura del Sistema bibliotecario dell’Università degli studi di Udine
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UN VOLUTTUOSO DESSERT DI ERMOLAO BARBARO:
POSTILLE AUTOGRAFE AL VAT. BARB. GR. 214*
Fabio Vendruscolo
È sfuggita ai redattori del Repertorium der griechischen Kopisten1 la presenza,
nei margini del codice Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb.
gr. 214 (scolii a Teocrito), di una mano ben nota e cara al dedicatario di queste
pagine, come già al suo maestro Vittore Branca, nonché inevitabilmente, dopo
tanti anni di sodalizio udinese, anche a chi scrive.
Fu certo perché contagiato dalla tenace dedizione di Claudio Griggio ai Barbaro, se mi incuriosii sùbito imbattendomi, ormai parecchi anni fa, in un codice
greco, Napoli, Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III, II D 19 ([Manuel
Moschopulus], Sylloge vocum Atticarum), appartenuto alla biblioteca di Aulo
Giano Parrasio, su cui Caterina Tristano per prima segnalava gli ex libris di altri
due possessori, tal Victor Falchonius e, appunto, Francesco Barbaro.2
Indagando, da una parte emerse la vicenda di Vittorio Falconio (più noto in
seguito come Vettor Fausto), che, allievo e collaboratore del Parrasio a Venezia
nel 1509-1511, fu da questi derubato di molti libri, fra cui almeno una decina
di manoscritti greci che lui stesso elenca in una lettera inviata a Iacopo Sannazaro, a Napoli, dove l’umanista calabrese era riparato.3 E seguendo i percorsi
Ringrazio Michele Bandini, Stefano Martinelli Tempesta, Antonio Rollo per i consigli e i
controlli autoptici effettuati, rispettivamente, alla Biblioteca Vaticana, all’Ambrosiana, alla
Bibliothèque Nationale de France, David Speranzi per l’expertise paleografica di cui a nota
43, Maria Rosa Formentin per la descrizione e le immagini del Neap. III D 35, che mi ha
generosamente fornito.
1
Repertorium der griechischen Kopisten 800-1600, III. Handschriften aus Bibliotheken
Roms mit dem Vatikan. A. Verzeichins der Kopisten, erstellt von E. Gamillscheg unter Mitarbeit von D. Harlfinger und P. Eleuteri, Wien, Verlag der Österreichischen Akademie der
Wissenschaften, 1997.
2
C. Tristano, La biblioteca di un umanista calabrese: Aulo Giano Parrasio, Manziana, Vecchiarelli, [1988], p. 258.
3
L. Gualdo Rosa, Un decennio avventuroso nella biografia del Parrasio (1509-1519): alcune
precisazioni e qualche interrogativo, in Parrhasiana III. «Tocchi da huomini dotti». Codici e
*
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Fabio Vendruscolo
del ricco lascito parrasiano, in parte disperso, ma documentato da un ben noto
inventario e già attentamente indagato,4 fu facile ritrovare, dopo il Neap. II D
19, buona parte degli altri codici elencati da Falconio.5
Dietro l’altro ex libris, si profilava invece la biblioteca quattrocentesca di
Francesco ed Ermolao Barbaro, della quale pure esiste, com’è noto, un inventario, anepigrafo, identificato da Aubrey Diller nel 1963.6 E fu presto chiaro
che in esso si potevano riconoscere non solo il Neap. II D 19, ma anche, con
buona sicurezza, altri manoscritti greci Falconio-Parrasio.7 Falconio offriva
cioè una nuova ‘pista’ per il reperimento di libri Barbaro, che andava ad aggiungersi a quelle scoperte e seguite da Diller (Germain de Brie, Giovan Battista Postumo de Leoni), confermando che, già nei primi anni del Cinquecento, morto Ermolao nel 1493, dalla biblioteca veneziana dei Barbaro uscivano
lotti di importanti codici greci, finendo fra l’altro in mano a giovani studenti
presumibilmente squattrinati.8
La possibilità di individuare per questa via altri codici Barbaro, parve una
buona ragione per insistere nella ricerca anche di quelli risultati meno facili da
reperire, fra i libri elencati da Falconio. Perché la biblioteca Barbaro, non d’apparato, ché anzi vi abbondavano libri descritti come mutili o malconci, meno ampia
per esempio di quella coeva di Pico della Mirandola (che passerà a Domenico
Grimani),9 era però una raccolta importante, «crocevia fondamentale» – come si
esprime lo stesso Griggio in un recentissimo contributo – «nella storia della rinastampati con postille di umanisti. Atti del III seminario di studi (Roma, 27-28 settembre
2002), a cura di G. Abbamonte, L. Gualdo Rosa e L. Munzi, «AION. Annali dell’Università degli Studi di Napoli ‘L’Orientale’. Sezione filologico-letteraria», XXVII (2005), pp. 2536; F. Vendruscolo, Dall’ignoto Falconio all’immortal Fausto, ivi, pp. 37-50.
4
Oltre a C. Tristano, La biblioteca cit., M. Manfredini, L’inventario della biblioteca del
Parrasio, «Rendiconti dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti di Napoli», LX
(1985-1986), pp. 133-201; D. Gutiérrez, La biblioteca di san Giovanni a Carbonara di Napoli, «Analecta Augustiniana», XXIX (1966), pp. 59-212.
5
F. Vendruscolo, Dall’ignoto Falconio cit., pp. 38, 49.
6
A. Diller, The Library of Francesco and Ermolao Barbaro, «Italia medioevale e umanistica», VI
(1963), pp. 253-262 (= Studies in Greek Manuscript Tradition, Amsterdam, Hakkert, 1983, pp.
427-437); ora, anche F. Vendruscolo, Per la biblioteca di Francesco ed Ermolao Barbaro: cinquant’anni dopo, in Griechisch-byzantinische Handschriftenforschung. Traditionen, Entwicklungen, neue Wege, hrsg. von Chr. Brockmann, D. Harlfinger, S. Valente, Berlin, de Gruyter, in c.d.s.
7
F. Vendruscolo, L’Alcibiade di Francesco Barbaro, in Filologia, papirologia, storia dei testi.
Giornate di studio in onore di A. Carlini (Udine, 9-10 dicembre 2005), a cura di G. Arrighetti e M. Tulli, Pisa-Roma, Fabrizio Serra Editore, 2008, pp. 111-129: 119, nota 2.
8
Per le possibili circostanze di queste fuoruscite, F. Vendruscolo, Per la biblioteca cit.
9
Per la quale, P. Kibre, The Library of Pico della Mirandola, New York, Columbia University Press, 1936; A. Diller, H. D. Saffrey e L. G. Westerink, Bibliotheca Graeca Manuscripta
Cardinalis Dominici Grimani (1461-1523), s.l., Edizioni della Laguna, [2003].
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scita della classicità all’alba dell’Umanesimo».10 Una raccolta interessante storicamente anche perché rispecchiava gli interessi, le occupazioni, l’intera esperienza
intellettuale di una famiglia protagonista dell’umanesimo veneziano e italiano.
Accanto ai libri sacri e religiosi e ai classici latini, essa raccoglieva i testi universitari di diritto e di filosofia serviti a tre generazioni di Barbaro, incluso Ermolao il
Vecchio, vescovo di Verona, conservava gli strumenti e i prodotti dei precocissimi
studi di greco di Francesco, che riportavano a Guarino e indirettamente a Crisolora, e quelli della filologia già strenua e militante di fine Quattrocento in cui si
distinse Ermolao.11 Come hanno mostrato, oltre a Griggio, Antonio Rollo, Niccolò Zorzi e altri, ogni codice Barbaro ritrovato può restituirci nuova preziosa documentazione, tasselli di alto interesse storico-culturale, paleografico, filologico.12
Ora, fra i codici trafugati a Falconio, quello da lui descritto nella lettera a
Sannazaro come «in Theocritum commentaria», con promettente corrispondenza nella «Expositio quedam in theocritum» della biblioteca Barbaro (n. 1691
Kibre, nella classe «quinterni desligati», da cui sembrano per lo più provenire i
libri di Falconio),13 non trovava invece riscontro tra i parrasiani già rintracciati da
C. Griggio, Appunti sulla ricezione classica in Poliziano ed Ermolao Barbaro, in Le lezioni
di Vittore Branca. Atti del Convegno internazionale di studi (Padova-Venezia, 7-8 maggio
2013), a cura di C. De Michelis e G. Pizzamiglio, Firenze, Olschki, 2014, pp. 35-42: 39.
11
Per una presentazione generale della biblioteca Barbaro, soprattutto M. Zorzi, I Barbaro e i
libri, in Una famiglia veneziana nella storia: i Barbaro. Atti del convegno di studi (Venezia, 4-6
novembre 1993), a cura di M. Marangoni, M. Pastore Stocchi, Venezia, Istituto Veneto di
Scienze, Lettere ed Arti, 1996, pp. 363-396; P. Eleuteri, Libri greci a Venezia nel primo Umanesimo, in I luoghi dello scrivere da Francesco Petrarca all’età moderna. Atti del Convegno internazionale di studio dell’Associazione Italiana dei Paleografi e Diplomatisti (Arezzo, 8-11 ottobre
2003), a cura di C. Tristano, M. Calleri e L. Magionami, Spoleto, Fondazione Centro Italiano
di Studi sull’Alto Medioevo, 2006, pp 69-84: 75-79; F. Vendruscolo, Per la biblioteca cit.
12
C. Griggio, Senofonte, Guarino, Francesco ed Ermolao Barbaro, Alberti, «Filologia e critica», XXXI (2006), pp. 161-176; Id., Il codice Marciano gr. IV 53: un Aristotele di Crisolora,
Roberto de’ Rossi, Francesco ed Ermolao Barbaro, in Suave mari magno… Studi offerti dai
colleghi udinesi a Ernesto Berti, a cura di C. Griggio, F. Vendruscolo, Udine, Forum, 2008,
pp. 141-149; A. Rollo, Preistoria di un Aristotele della biblioteca dei Barbaro, «Studi medievali e umanistici», II (2004), pp. 329-333; Id., Codici greci di Guarino Veronese, ivi, pp.
333-337; Id., Dalla biblioteca di Guarino a quella di Francesco Barbaro, «Studi medievali e
umanistici», III (2005), pp. 9-28; Id., Per la storia del Plutarco Ambrosiano (C 126 inf.), in
Parallela minora. Traduzione latina di Guarino Veronese, a cura di F. Bonanno, Messina,
Centro interdipartimentale di studi umanistici, 2008, pp. 95-129: 107-128; N. Zorzi, Un
feltrino nel circolo di Ermolao Barbaro: il notaio Tommaso Zanetelli, alias Didymus Zenoteles, copista di codici greci (c. 1450-1514), in Bellunesi e Feltrini tra Umanesimo e Rinascimento. Filologia, erudizione e biblioteche. Atti del Convegno di Belluno (4 aprile 2003), a cura
di P. Pellegrini, Roma-Padova, Antenore, 2008, pp. 43-106; F. Vendruscolo, L’Alcibiade cit.
13
Ivi, p. 119, nota 2.
10
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Tristano e Manfredini. Ma, successivamente alle ricerche di questi studiosi, il ben
noto ex libris «Antonii Seripandi ex Iani Parrhasii testamento» era stato segnalato, benché eraso e quasi invisibile, in alcuni ulteriori codici barberiniani della
Biblioteca Vaticana.14 Tra questi figurava appunto un agile volume cartaceo (24
fogli), contenente gli scholia vetera a Teocrito e due carmina figurata.15 Per avere
conferma dell’identificazione è bastato aprirlo e constatarvi la presenza, nei marginalia, non solo delle mani di Parrasio16 e di Vittorio Falconio (che, in una nota,
cita fra l’altro gli Adagia di Erasmo, stampati da Aldo nel 1508),17 ma anche
Codices Barberiniani Graeci, II. Codices 164-281 recensuit I. Mogenet, enarrationes complevit I. Leroy, addenda et indices curavit P. Canart, In Bibliotheca Vaticana, 1989, in part.
pp. 55-56; L. Ferreri, I codici parrasiani della Biblioteca Vaticana, con particolare riguardo al
Barberiniano greco 194, appartenuto a Giano Lascaris, Parrhasiana II. Atti del II seminario
di studi su manoscritti medievali e umanistici della Biblioteca Nazionale di Napoli (Napoli,
20-21 ottobre 2000), a cura di G. Abbamonte, L. Gualdo Rosa e L. Munzi, «AION. Annali dell’Istituto Universitario Orientale di Napoli. Sezione filologico-letteraria», XXIV (2002),
pp. 189-223; F. Vendruscolo, Codici greci del Parrasio e di San Giovanni a Carbonara nel
fondo Barberini della Vaticana, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XII, Città
del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 2005, pp. 511-524.
15
La provenienza parrasiana, in questo caso, era in verità già stata scoperta da C. Gallavotti,
Intorno ai mss. di Giorgio Trivisia e di Giorgio Alessandro, «AION. Annali dell’Istituto Universitario Orientale di Napoli. Sezione filologico-letteraria», II-III (1980-1981), pp. 2-24: 7.
16
Di mano di Parrasio sono solo due notabilia latini a f. 22r (inizio del commento a Id. 17)
e la nota «lege Athen. pag. 280» alla fine del codice (f. 24v); un’approfondita discussione
sulle citazioni di Parrasio da Ateneo, che utilizzano, come questa, un misterioso numero di
‘pag.’, in Aulo Giano Parrasio, De rebus per epistolam quaesitis (Vat. Lat. 5233, ff. 1r-53r),
Introduzione, testo critico e commento filologico a cura di L. Ferreri, Roma, Edizioni di
Storia e Letteratura, 2012, pp. 113-118 (e in part. 116, nota 25), dove è vagliata (e per ora
non confermata) anche la possibilità che esse facciano riferimento all’esemplare di Ateneo
appartenuto a Ermolao Barbaro, del quale ci resta solo la prima parte (libri I-IX) nel Par.
gr. 3056; qui peraltro è anche possibile che il rinvio sia alla pagina 280 dell’Aldina (1514),
ossia ad Athen. 14, 67, passo che trova letterale riscontro negli Scholia in Theocr. 1, 147b (=
Barb. gr. 214, f. 5v, dove il punto è evidenziato da un marginale di Ermolao).
17
A f. 20v, in margine a Scholia in Theocr. 14, 48-49a (pp. 302-303 Wendel), Falconio
scrive «Cir<c>u(m)|feru(n)|tur haec car|mina sub| hac forma| in| e|ra|sm|i| p(ro)|ver|biis» e
sotto riporta i sette versi in greco dell’oracolo come stampati in Chil. II 1, 79 («Megarenses, neque tertii, neque quarti», pp. 116-117 dell’Aldina), dove Erasmo rimanda in effetti
anche agli scolii a Teocrito («Qui scripsit commentariolos in Theocritum, refert hoc epigramma paulo diversius…»). A Falconio, che sembra aver studiato l’intero codice, attribuisco inoltre i notabilia in inchiostro nero e rosso (alternati) a ff. 1r-2r, 9v-10r, i numeri in
greco all’inizio del commento a ciascun idillio e le note latine a ff. 5v, 14r, 18v (che rilevano l’ordine diverso degli scolii rispetto a quello canonico degli Idilli: 1,7, 3-13, 2, 14…) e
a f. 16r («deest decimu(m)»), qualche manicula (ff. 2r, 6r, 23v) o sottolineatura riferite a
preesistenti marginalia di Ermolao (vd. subito sotto, nel testo), infine, con qualche dubbio,
le iniziali in rosso, di forma elaborata, in tutto il codice e i due titoli
ύ
e
14
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dell’inconfondibile «character minutissimus» di Ermolao Barbaro.18 La carta, del
resto, presenta una filigrana accostata dal catalogo a Arbalète 746 Briquet, ma più
esattamente identica ad Arbalète 31 Harlfinger, rilevata in due manoscritti:19
1. Par. gr. 2939, Demostene, copiato in parte da Nikolaos Blastos, che sottoscrive il 13 agosto 1484, e recante postille autografe di Ermolao Barbaro;20
2. Neap. III D 35, Aristotele, Metafisica, con il commento di Alessandro
d’Afrodisia,21 realizzato su commissione di Ermolao Barbaro (come risulta
dalla subscriptio), da diversi copisti, fra cui un certo Antonios Markoutzas,
che sottoscrive il 28 ottobre <1484>(?)22 e di nuovo, se non erro, sia pur con
un ruolo marginale, Nikolaos Blastos.23
E anche la grafia del Barb. gr. 214 mostra notevoli analogie con quelle di
Antonios Markoutzas e di uno dei copisti (ff. 222v-241v) del Par. gr. 2939,
anche se è necessaria cautela sulla possibilità di una doppia identificazione.24
ΠÉ Ε
ί
apposti ai due carmina figurata copiati da Ermolao a f. 24v (tav. 2;
vd. sotto, nel testo).
18
La definizione è del suo fido segretario, Tommaso Zanetelli; cfr. N. Zorzi, Un feltrino nel
circolo di Ermolao Barbaro cit., p. 70. A nessuna delle tre mani citate mi sembrano attribuibili, a parte alcune minime annotazioni, le parole
ί
ἰ ύ
accanto al titolo
ύ
a f. 24v. Per l’identificazione di una ulteriore mano, che introduce poche, ma
importanti postille, vd. sotto, p. 184.
19
D. e J. Harlfinger, Wasserzeichen aus griechischen Handschriften, Berlin, Mielke, 1974, I.
20
N. Zorzi, Un feltrino nel circolo di Ermolao Barbaro cit., p. 66; V. Chatzopoulou, Zacharie
Calliergis et Alde Manuce: éléments d’une étude à l’occasion de la découverte d’un nouveau manuscrit-modèle de l’édition aldine de Sophocle (a. 1502), in The Legacy of Bernard de Montfaucon:
Three Hundred Years of Studies on Greek Handwriting, Proceedings of the Seventh International
Colloquium of Greek Palaeography (Madrid-Salamanca, 15-20 September 2008), a cura di A.
Bravo García, I. Pérez Martín, Turnhout, Brepols, 2010, pp. 197-207: 201-202. Vd. poi nota 24.
21
Descrizione ora in M. R. Formentin, Catalogus codicum Graecorum Bibliothecae Nationalis Neapolitanae, III, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 2015, pp. 165-166.
22
F. 362v έ
ῶ
ό
ίω ἀ
ὸ ἐ ῦἀ ω ί
ῦ
ά.
ῦ ὐ
ά
ὶἐ
ω ά
ὺ ἀ
άω ά
ω […] ἐ
ώ
ῶ
ό
ίω ἐ
ὶ ὀ ω ίω
´, ἐ ἡ έ
ά
ὶὅ
έ
ῆ
ῦ (sic omnia). L’anno, come si vede, non è indicato; 1484 è dedotto dall’identità della filigrana rispetto al manoscritto precedente (e risulta coerente con quanto sotto, p. 184), implica
però, si noti, di ammettere un errore del copista, perché il 28 ottobre 1484 era giovedì non mercoledì (era mercoledì nel 1478 e 1489). Per altre datazioni proposte per questo manoscritto, N.
Zorzi, Un feltrino nel circolo di Ermolao Barbaro cit., pp. 65-66 e nota 84 (ma la presenza della
mano di Ermolao nei margini mi è invece segnalata da Antonio Rollo per litteras: p.e. f. 14r).
23
Riscontro la sua mano ai ff. 259-262 (tav. 2c); l’identificazione mi è confermata da Rollo,
che l’aveva già effettuata per suo conto. Analogamente uno dei copisti principali del Neap.
III D 35 risulta attivo anche in un altro codice di provenienza Barbaro, Neap. III D 29,
come notato da D. Harlfinger, Die Textgeschichte der pseudo-aristotelischen Schrift Περὶ
ἀτό ω γρα ῶ , Amsterdam, Hakkert, 1971, p. 420, nota 38.
24
Tav. 2a e 2b e, per il Par. 2939, A. Cataldi Palau, Gian Francesco d’Asola e la tipografia
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Commissionato quindi probabilmente anch’esso da Ermolao nello stesso
periodo, il Barb. gr. 214 è apografo dell’attuale Milano, Biblioteca Ambrosiana,
A 155 sup., vergato da Georgios Tribizias e a sua volta derivato, come altri
quattro codici contenenti il testo di Teocrito (la cosiddetta ‘familia Perusina’)
tutti di mano di questo copista, dal ben noto Ambr. C 222 inf. (K), del XII
secolo.25 Questa moltiplicazione di apografi avvenne, probabilmente verso il
1480, a Venezia, dove Tribizias esercitava il suo ministero di sacerdote della
comunità greca, e dove visse e operò a lungo, fino al 1483, prima di trasferirsi
a Pavia e poi a Milano, il possessore di K, l’umanista Giorgio Merula (14301494), maestro e amico di Ermolao.26
Una, sia pur cursoria, analisi delle postille di Ermolao nel Barb. gr. 214, oltre
a consentire di precisare la datazione del codice, offrirà, anche in questo caso,
spunti interessanti per il filologo, che meriteranno di essere ulteriormente approfonditi.
Note dell’umanista si rilevano, ai ff. 1v-8v del codice, in margine agli scolii
all’epigramma proemiale di Artemidoro e agli Idilli 1 (Thyrsis) e 7 (Thalysia),
primi due nella sequenza degli scholia vetera.27 Oltre a registrare a margine
aldina. La vita, le edizioni, la biblioteca dell’Asolano, Genova, Sagep, 1988, p. 768, tav. 45 (f.
230v, ivi per una svista assegnato a Nikolaos Blastos); l’intero codice è ora disponibile sul
sito Gallica della BNF; malgrado alcune differenze, l’identificazione almeno tra Barb. gr.
214 e Neap. III E 35 mi sembra abbastanza probabile. Per l’attribuzione, poi smentita, del
Barb. gr. 214 allo stesso copista (all’epoca ancora anonimo) della cosiddetta ‘familia Perusina’ dei codici teocritei (sùbito sotto, nel testo), Theocritus, quique feruntur bucolici Graeci, C. Gallavotti recensuit, Romae, Typis Publicae Officinae Polygraphicae, 1955, p. LXXV.
25
Per i rapporti stemmatici, Scholia in Theocritum vetera edidit C. Wendel, Lipsiae, Teubner
1916, VII-VIII, e C. Gallavotti, Intorno ai mss. cit., pp. 6-7 e nota 6.; S. Strodel, Zur Überlieferung und zum Verständnis der hellenistichen Technopaignien, Frankfurt am Main - Berlin Bern - Bruxelles - New York - Oxford - Wien, Lang, 2002, pp. 20-21, 38, 109, 111-112,
123-124 (stemma) fa discendere sia Barb. gr. 214 (S37) che Ambr. A 155 sup. (S12) direttamente da K, ma anche nei pur brevissimi carmina figurata sembrano emergere alcune significative innovazioni comuni ai soli S37 e S12 (p. 112). Sui codici teocritei di Tribizias, cfr. C.
Gallavotti, Intorno ai mss. cit., pp. 2-5 e ora V. Liakou-Kropp, Georgios Tribizias. Ein griechischer Schreiber kretischer Herkunft im 15. Jh., Dissertation, Hamburg, Universität, 2002.
26
Per i rapporti fra Tribizias e Merula cfr., da ultimo, S. Martinelli Tempesta, Per un repertorio dei copisti greci in Ambrosiana, in Miscellanea Graecolatina, I, a cura di F. Gallo, MilanoRoma, Bulzoni, 2013, 101-153: 110-111, 134-135, con bibliografia. Sulle vicende precedenti
di K, cfr. C. M. Mazzucchi, Per la storia del codice Ambrosiano C 222 inf. in età umanistica, in
L’antiche e le moderne carte. Studi in memoria di Giuseppe Billanovich, a cura di A. Manfredi,
C. M. Monti, Roma-Padova, Antenore, 2007, pp. 419-431. Un codice copiato da Tribizias e
appartenuto, a quanto credo (Vendruscolo, L’Alcibiade cit., p. 119, nota 2), a Ermolao, è il
Neap. III E 34 (Achmet, Onirocriticon); Liakou-Kropp, Georgios Tribizias cit., pp. 154-155.
27
Cfr. sopra, nota 17.
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Un voluttuoso dessert di Ermolao Barbaro
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notabilia (persone e luoghi, nomi di animali e piante, cui, come è noto, era
particolarmente interessato, termini rari) e brevi osservazioni (anche in latino),28
egli sembra aver collazionato il testo, assai corrotto, con quello di un altro testimone, da cui riporta a margine varie integrazioni testuali.29 Infine, il dotto
interviene, almeno occasionalmente, con proprie correzioni, una delle quali è
recepita a testo anche da Wendel, pur ignaro, ovviamente, della sua paternità.30
Ma l’intervento più vistoso di Ermolao si osserva alla fine del manoscritto,
in corrispondenza dei due carmina figurata, Ali e Scure, opera probabilmente
di Simias di Rodi, ma spesso attribuiti a Teocrito.
In queste virtuosistiche composizioni alessandrine, di cui ci sono giunti sei
esempi (oltre ai due citati, l’Uovo, sempre di Simias, l’Ara di Dosiadas e quella
di Besantinos, la Syrinx, di solito riconosciuta a Teocrito), i versi hanno lunghezza disuguale, spesso progressivamente crescente o calante, in modo da
‘disegnare’ sulla pagina, se opportunamente disposti, il ‘profilo’ dell’oggetto
evocato dal titolo.31
P.e. f. 2v, ad 1, 5/6 d, p. 33, 13 Wendel ( ὴ [sc.
] ή ω
ῖ
ῖ): «caro virginis | caprae»; f. 3v, ad 1, 26 [e], p. 38, 2-5 Wendel: « έ
pullus | pro atro» (l’aggettivo
greco è di uso poetico, molto raro); ad 1, [47 a], p. 46, 3-5 Wendel ( ῶ : ἀ ὸ ῦ < ό >
.): «hinc pupula q(uas)i puella| Na(m) et populus [sic] p(ro) puero| legitur apud catullu(m)»
(cfr. Catull. 56, 5); ivi, p. 46, 8-10 Wendel (ἢ
ὰ ὸ ί ω): «hinc pueri tonsi» (il riferimento
è forse a Iuv. 11, 149); ad 1, [48 b], p. 47, 4 Wendel (
ό
): «interordinium | interlimitiumque» (la prima è parola rarissima, attestata in Columella nel senso richiesto di ‘spazio tra due
filari di alberi’, il secondo termine, ancora più raro, è impiegato a mio sapere solo dallo stesso
Ermolao nella traduzione di Temistio, stampata nel 1481); f. 8v ad 7, 157 c, p. 115, 12 Wendel
( ή ω
): «hi(n)c cereale papaver» (cfr. Verg. Georg. 1, 121).
29
Utilizzando il segno di richiamo./.; ff. 2r, 5v (nel mg. inferiore aggiunge anche lo scolio a
1, 134, p. 73, 1-2 Wendel ἐ ῖ
.), 7r, 8r, 8v. A f. 6r, dove 78, 1-4 Wendel è nel testo
erroneamente trasposto a p. 77, 6 Wendel, Ermolao percepisce l’incongruenza e ipotizza
(senza però cogliere nel segno, né evidentemente trovare aiuto nell’esemplare di collazione):
« ῦ
ῦ ώ
ἰ
ί
ί
».
30
Ad 1, 127, p. 71, 11 Wendel: «ἄ
scripsi ex Apogr. Barb., cf. sch. 64a: ἄ
KG: ἤ
cett.»); qui peraltro il Barb. gr. 214 ha già ἄ
, il contributo di Ermolao
consiste nella facile correzione in ἄ
attuata mediante un s.v. (f. 5v, r. 8).
31
Su questo genere poetico, da ultimo, Ch. Luz, Das Rätsel der griechischen Figurengedichte, «Museum Helveticum», LXV (2008), pp. 22-33; Ead., Technopaignia. Formspiele in der
griechischen Dichtung, Leiden-Boston, Brill, 2010 (la studiosa interpreta i componimenti
come enigmi, originariamente privi di titolo, nei quali il lettore avrebbe dovuto individuare
gli indizi metrici e contenutistici per riuscire da solo a disporre correttamente i versi e riconoscere la figura); bibliografia anche in L. Di Gregorio, Sui frammenti di Simia di Rodi,
poeta alessandrino, «Aevum», LXXXII (2008), pp. 51-117: 71-72, nota 149. In particolare
per la storia e la tradizione testuale, U. Ernst, Carmen figuratum: Geschichte des Figurengedichts von den antiken Ursprüngen bis zum Ausgang des Mittelalters, Köln-Weimar-Wien,
Böhlau, 1991, pp. 54-94, e soprattutto S. Strodel, Zur Überlieferung cit.
28
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Nel Barb. gr. 214, Scure e Ali si trovano trascritti dal copista, rispettivamente a
f. 23v e f. 24v, in assetti anomali e arbitrari, senza riguardo alla divisione in versi:
la Scure riempie un cerchio (con i versi in ordine scorretto), le Ali delineano una
figura simmetrica ad asse centrale, costituita da rettangoli di larghezza disuguale
sovrapposti.32 Ermolao, giustamente insoddisfatto, ha dapprima lavorato sul testo
del copista, se sono sue le ‘parentesi quadre’, che a f. 24r, nelle Ali, indicano le
giuste interruzioni di verso. Poi, annotato in margine alle due versioni anomale
(con lievi varianti nella seconda) «
ᾶ ὅ
ὸὀ ὸ ἐ έ
ῦ
ί » (‘è tutto sbagliato; guarda la versione corretta alla fine del libro’), ha
riscritto di proprio pugno entrambi i componimenti, in ordine inverso, sull’ultima
pagina del codice (f. 24v), ripristinando le ‘figure’ appropriate (tav. 2).33
È probabile che per fare ciò egli potesse ancora avvalersi del citato Ambr. A
155 sup., copiato, come detto, in quegli anni a Venezia da Georgios Tribizias e
antigrafo del suo codice: in esso infatti la Scure si presenta in una forma spiccatamente simile a quella datale dall’umanista, e in particolare con il ‘manico’ disposto in verticale, anziché in orizzontale, come ancora nell’Ambr. C 222 inf. (K).34
Il dato testuale è pienamente compatibile con questa derivazione: i due testimoni concordano regolarmente, in un caso condividendo, a quanto pare,
essi soli una lezione peculiare di un certo interesse:
Alae v. 9: ᾽ἄ
si legge solo in Ambr. A 155 sup. e Barb. gr. 214, sia nella prima
versione che nella seconda (Ermolao), e nell’edizione di Kallierges; su questa base
hanno congetturato ὐ ᾽Ἄ
Wilamowitz (recepito da Gallavotti), ἠ ᾽ Ἄ
Si vedano le riproduzioni ivi, p. 364, Abb. 15 e p. 358, Abb. 9, cfr. p. 38. I sorprendenti
layout del Barb. gr. 214 (anche gli scolii alle Ali sono disposti secondo la stessa figura), che
sembrano da addebitare al copista (nel modello, Ambr. A 155 sup., i carmina si presentano
in forma corretta; cfr. per es. S. Strodel, Zur Überlieferung cit., p. 360, Abb. 11) potrebbero
quasi far pensare che egli volesse conformarsi a due altri carmina figurata, rispettivamente
l’Uovo (ivi, pp. 365-367, Abb. 16-18) e l’Altare (ivi, pp. 377-383, Abb. 28-34); si ricordi, del
resto, che i titoli delle composizioni non sono del copista, ma aggiunti da una mano successiva (sopra, nota 17). S. Strodel, Zur Überlieferung cit., p. 109 spiega invece l’assetto delle
Ali come «eine freie Versanordnung als symmetrisches Flügelpaar […], die offensichtlich
dem Bedürfnis nach mehr bildlicher Veranschaulichung bei den sonst schwer verständlichen Technopaignien entgegenkommt».
33
Accurata descrizione già in C. Gallavotti, Intorno ai mss. cit., pp. 7-8.
34
S. Strodel, Zur Überlieferung cit., p. 360, Abb. 11, e p. 70: «In K selbst ist das Beil noch
liegend dargestellt»; per una curiosa svista C. Gallavotti, Intorno ai mss. cit., p. 8 afferma
che in Barb. gr. 214 il «lettore» responsabile della seconda redazione dei carmina figurata
(quello che ora sappiamo essere Ermolao Barbaro) «ha disposto la figura della Scure con il
manubrio orizzontale» e ne inferisce che avesse utilizzato K o una copia identica, piuttosto
che l’Ambr. A 155 sup. Per l’utilizzo da parte di Ermolao di un esemplare di collazione
testualmente simile al codice stesso, cfr. sopra, nota 29.
32
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Powell, Ἀ έ
Edmonds; gli altri manoscritti teocritei hanno ᾽ἀέ
(così revera Ambr. C 222 inf.); ᾽ἀέ
Anth. (alii alia edd.).
’ἄ
Il Barb. gr. 214, inoltre, presenta nella Scure una innovazione singolare, che
è anch’essa lezione interessante, messa in valore da alcuni editori:
Securis ‘manubrium’: si legge
in luogo di
di K e Ambr. A 155 sup. (questo
verso è omesso nella prima versione, di mano del copista, del Barb. gr. 214),35 lezione che introduce un verbo (i.e.
, da ἵ ω, nel senso di ‘collocò’, ‘dedicò’?) apparentemente richiesto dalla sintassi;
(sic) è posto a testo da Kallierges, Stephanus ne ricaverà prima
υτξ ᾖ (da ᾄ ω).
Ora, entrambe queste lezioni si trovano negli apparati critici attribuite
all’edizione romana di Zacharias Kallierges del 1516.36 Esse invece, come si
vede, figurano in realtà insieme già nel Barb. gr. 214, dove la seconda potrebbe
risultare da una congettura di Ermolao Barbaro. Ciò sembra confermare quanto ipotizzato già da Carl Wendel con riferimento agli scholia vetera di Teocrito,
ossia che il Barb. gr. 214 sia stato tra le fonti utilizzate da Kallierges.37 Del resto
la sua presenza a Roma a quell’epoca è pienamente compatibile con quanto ora
sappiamo della storia del codice; esso era infatti dal 1511 nelle mani del Parrasio, che si stabilì a Roma nel marzo 1515 e può quindi averlo messo temporaneamente a disposizione dell’editore.38
Ma il testo della Scure, nel Barb. gr. 214, presenta anche una serie di correzioni e varianti supra lineam (vd. tav. 2), recanti lezioni talora uniche e certo
congetturali, che trovano sistematicamente riscontro nell’edizione romana del
1516 (e in parte nella coeva Giuntina). Silvia Strodel, che ne ha segnalate alcune, le attribuisce alla stessa mano che ha scritto il testo del
ί
e
39
le ritiene ricavate dall’edizione stessa. Ciò si rivelerebbe ora comunque imSulla fotografia ingrandita, la lezione del Barb. gr. 214 appare in realtà esito di correzione, probabilmente da
; non è escluso che essa sia stata effettuata da Ermolao, come mi
conferma Michele Bandini (si veda l’epsylon finale coricato), di cui sarebbe però l’unico
intervento critico; altrimenti andrà assimilata alle altre correzioni e varianti di altra mano di
cui poco sotto, nel testo. Un
si legge anche, isolato, scritto in verticale (come già nel
‘manubrium’ della Scure), presso il margine inferiore del foglio.
36
Su questa edizione e la coeva Giuntina, C. Gallavotti, in Theocritus, quique feruntur cit.,
pp. 308-318; S. Strodel, Zur Überlieferung cit., pp. 289, 303.
37
Scholia in Theocritum cit., p. XXIV; C. Gallavotti, Intorno ai mss. cit., p. 7.
38
Per la data dell’arrivo a Roma di Parrasio, C. Tristano, La biblioteca cit., pp. 12-13 e nota
13. Invece secondo C. Gallavotti, Intorno ai mss. cit., p. 8 – ma l’ipotesi non è più compatibile, credo, con l’individuazione dell’itinerario Falconio-Parrasio – «il Calliergi […] avrà trovato a Venezia o a Padova il codice Barberino, prima di trasferirsi a Roma con la tipografia».
39
S. Strodel, Zur Überlieferung cit., p. 112.
35
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possibile, essendo il testo scritto dalla mano di Ermolao Barbaro, morto nel
1493. E in realtà è più probabile che le correzioni e varianti preesistessero nel
codice e siano passate da questo all’edizione, insieme alle lezioni di prima mano
᾽ἄ
κ
(?) di cui sopra, e non viceversa.40
Detto ciò, peraltro, la grafia di tali interventi, pur assimilandosi abilmente a
quella minuta di Ermolao, è in realtà diversa.41 Come cercherò di mostrare altrove, si tratta probabilmente della mano di Marco Musuro, del cui lavorio filologico su Teocrito, risalente soprattutto al primo decennio del Cinquecento e
in gran parte noto solo indirettamente,42 il Barb. gr. 214 avrebbe pertanto avventurosamente conservato un’altra minima testimonianza autografa.43
Tornando a Ermolao, è affascinante scoprire che del suo piccolo exploit grafico e filologico sui carmina figurata, testimoniatoci dall’ultimo foglio del Barb.
gr. 214, o almeno dalla loro lettura, anche l’epistolario dell’umanista conserva un
puntuale (e compiaciuto) ricordo. Che ci permette, fra l’altro, di confermare e
precisare la datazione del manoscritto, ipotizzata finora su base codicologica,
almeno mediante un terminus ante quem. Nella lettera inviata all’amico e collaboratore Galeazzo ‘Pontico’ Facino da Padova il 25 giugno 1484 («VII cal. quintiles MCCCCLXXXIIII»)44 si legge infatti, nell’edizione Branca:
Cupierunt hic boni quidam iuvenes ut poetas eis graecos temporibus succissivis
meis praelegerem: satisfecimus. Nunc in Demosthene delectamur, nunc in Theocrito conquiescimus: quoius ‘bipennis’ et ‘fidicula’ sive malis ‘pinnula’ vice bellariorum a prandio nobis hodie lecta sunt admirabili voluptate, nisi litterae tuae
supervenissent quasi Abydenorum epiphorema. Quor enim protinus non reposcam a te? qui molestissimo unius epistolae negligentis interventu suavissimum
Le correzioni non dovrebbero d’altronde neppure essere state introdotte nel codice da Kallierges o per sua iniziativa in vista dell’edizione, se è vero che alcune di esse implicano il ricorso
a un altro esemplare e Kallierges afferma di avere avuto a disposizione, per Ali e Scure, un solo
codice (f. IVr, « ὸ
ί
έ
, ὸ
ύ
, ὶ ὸἑ ῆ ὸἄ
ἐ
ῆ
[è l’Altare di Dosiadas], ὴ
ύ
ἀ ί
, ὐ ἠ
ή
ά
ἐ
ῶ . ό
ὶ
ω έ .
ὰ
ὶ ό
ῶ ἀ
ά ω
ῦ
· ἅ
ά
ἐ
ά
ῖ
ἦ
ῶ , ἢ ἐᾶ
ἰ
ή
ῖ »).
41
Si notino per es. (tav. 2), nelle lezioni supra versum ο post correctionem, il ny (ὃ , ῦ ,
ὁ ή
, ὸ ) e il sigma finale (ἐ ) in forme che Ermolao non utilizza.
42
Ora, sull’intera questione, L. Ferreri, Le Théocrite de l’humaniste Marcus Musurus. Avec
l’édition critique des Idylles XXIV-XXVII de Théocrite, Turnhout, Brepols, 2014.
43
Ringrazio David Speranzi per l’autorevole expertise paleografica; si veda ora F. Vendruscolo, Postille ritrovate di Musuro alla Scure pseudo-teocritea, in corso di stampa.
44
Ermolao Barbaro, Epistolae, Orationes et Carmina, edizione critica a cura di V. Branca,
I, Firenze, ‘Bibliopolis’, 1943, pp. 55-56 (n. XL). Sul destinatario, N. Zorzi, Un feltrino nel
circolo di Ermolao Barbaro cit., pp. 53-54.
40
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Fig. 1a. Città del Vaticano, BAV, Barb. gr. 214, f. 10r (copista: <Antonios Markoutzas>?). © 2016
Biblioteca Apostolica Vaticana. Su gentile concessione, ogni diritto riservato.
Fig. 1b. Napoli, Biblioteca Nazionale V.E. III, III E 35, f. 263r (copista: Antonios Markoutzas).
Fig. 1c. Napoli, Biblioteca Nazionale V.E. III, III E 35, f. 259r (copista: <Nikolaos Blastos>).
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Fig. 2. Città del Vaticano, BAV, Barb. gr. 214, f. 24v (copista: <Ermolao Barbaro>; aggiunte e
note: <Vittorio Falconio>, <Aulo Giano parrasio>, <Marco Musuro>). © 2016 Biblioteca
Apostolica Vaticana. Su gentile concessione, ogni diritto riservato.
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facetissimi poetae sensum et solidissimam voluptatem vel prorsus intercepisti vel
certe coinquinasti.
fidicula corr. Branca: filicula cod.
Dopo le saporite portate demosteniche45 – scrive l’umanista scherzando – ci
siamo rinfrancati, docente e allievi, leggendo ‘a mo’ di dessert’ («vice bellariorum») i due carmina figurata di Teocrito… se non fosse giunta l’importuna tua
lettera (scritta con un po’ troppi errori, par di capire dal seguito) a rovinarci il
piacere.46
Sia permesso osservare, come ultima ciliegina sul mio, spero gradito, dessert
per l’amico Claudio, e senza minimamente voler mancare di rispetto al suo illustre maestro, che, nella lettera, al posto di filicula o fidicula (come corregge
Branca: ‘piccola cetra’?), anche alla luce del titolo greco Π
ύ
,47 bisogna
certo scrivere alicula, o forse, più esattamente, Alicula.48
Si ricordi che 13 agosto 1484 è datato il manoscritto demostenico di Ermolao, Par. gr.
2939; sopra, p. 179.
46
L’espressione «Abydenorum epiphorema» fa riferimento a Athen. 14, 47. 16 (641A),
dove è ricordata come proverbiale: il ‘dessert di Abido’ era, a quanto pare, una sorpresa
amara finale, come le tasse e i dazi imposti dalla città situata sullo stretto dei Dardanelli (ma
altri hanno spiegazioni diverse).
47
A rigore, il titolo del componimento mancava all’epoca nel Barb. gr. 214 (sopra, nota 17),
ma si ricavava comunque dallo scolio.
48
Questa lettera di Ermolao è conservata nel codice Lucca, Biblioteca Statale (olim Governativa), cod. 1415 (Barbaro, Epistolae cit., pp. XVII-XVIII).
45
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