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LE CARTE E I DISCEPOLI STUDI IN ONORE DI CLAUDIO GRIGGIO A CURA DI FABIANA DI BRAZZÀ ILVANO CALIARO ROBERTO NORBEDO RENZO RABBONI MATTEO VENIER FORUM Griggio.indb 3 18/04/2016 11.34.00 TRACCE ITINERARI DI RICERCA La collana ‘Tracce. Itinerari di ricerca’ si propone di valorizzare i risultati delle attività scientifiche svolte nei diversi campi della ricerca universitaria (area umanistica e della formazione, area economico-giuridica, area scientifica, area medica). Rivolta prevalentemente alla diffusione di studi condotti nell’ambito dell’Università di Udine, guarda con attenzione anche ad altri centri di ricerca, italiani e internazionali. Il comitato scientifico è quello della casa editrice. Università degli studi di Udine Area umanistica e della formazione Griggio.indb 1 18/04/2016 11.34.00 La presente pubblicazione è stata realizzata con il sostegno di e la collaborazione di Università degli studi di Udine Dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale Dipartimento di Lingue e letterature, comunicazione, formazione e società Eurotech In copertina Particolare del dipinto La difesa di Brescia di Jacopo Robusti detto Il Tintoretto, Palazzo Ducale, Venezia © Fondazione Musei Civici di Venezia Progetto grafico di copertina cdm associati, Udine Stampa Press Up srl, Ladispoli (Rm) © FORUM 2016 Editrice Universitaria Udinese srl Via Palladio, 8 – 33100 Udine Tel. 0432 26001 / Fax 0432 296756 www.forumeditrice.it ISBN 978-88-8420-917-7 Griggio.indb 2 18/04/2016 11.34.00 Le carte e i discepoli : studi in onore di Claudio Griggio / a cura di Fabiana di Brazzà, Ilvano Caliaro, Roberto Norbedo, Renzo Rabboni, Matteo Venier. Udine : Forum, 2016. (Tracce : itinerari di ricerca) ISBN 978-88-8420-917-7 1. Letteratura italiana – Scritti in onore 2. Griggio, Claudio – Opere – Bibliografia I. Di Brazzà, Fabiana II. Caliaro, Ilvano III. Norbedo, Roberto IV. Rabboni, Renzo V. Venier, Matteo VI. Griggio, Claudio 850.9 (WebDewey 2016) – LETTERATURA ITALIANA. Storia e critica Scheda catalografica a cura del Sistema bibliotecario dell’Università degli studi di Udine Griggio.indb 4 18/04/2016 11.34.00 UN VOLUTTUOSO DESSERT DI ERMOLAO BARBARO: POSTILLE AUTOGRAFE AL VAT. BARB. GR. 214* Fabio Vendruscolo È sfuggita ai redattori del Repertorium der griechischen Kopisten1 la presenza, nei margini del codice Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Barb. gr. 214 (scolii a Teocrito), di una mano ben nota e cara al dedicatario di queste pagine, come già al suo maestro Vittore Branca, nonché inevitabilmente, dopo tanti anni di sodalizio udinese, anche a chi scrive. Fu certo perché contagiato dalla tenace dedizione di Claudio Griggio ai Barbaro, se mi incuriosii sùbito imbattendomi, ormai parecchi anni fa, in un codice greco, Napoli, Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III, II D 19 ([Manuel Moschopulus], Sylloge vocum Atticarum), appartenuto alla biblioteca di Aulo Giano Parrasio, su cui Caterina Tristano per prima segnalava gli ex libris di altri due possessori, tal Victor Falchonius e, appunto, Francesco Barbaro.2 Indagando, da una parte emerse la vicenda di Vittorio Falconio (più noto in seguito come Vettor Fausto), che, allievo e collaboratore del Parrasio a Venezia nel 1509-1511, fu da questi derubato di molti libri, fra cui almeno una decina di manoscritti greci che lui stesso elenca in una lettera inviata a Iacopo Sannazaro, a Napoli, dove l’umanista calabrese era riparato.3 E seguendo i percorsi Ringrazio Michele Bandini, Stefano Martinelli Tempesta, Antonio Rollo per i consigli e i controlli autoptici effettuati, rispettivamente, alla Biblioteca Vaticana, all’Ambrosiana, alla Bibliothèque Nationale de France, David Speranzi per l’expertise paleografica di cui a nota 43, Maria Rosa Formentin per la descrizione e le immagini del Neap. III D 35, che mi ha generosamente fornito. 1 Repertorium der griechischen Kopisten 800-1600, III. Handschriften aus Bibliotheken Roms mit dem Vatikan. A. Verzeichins der Kopisten, erstellt von E. Gamillscheg unter Mitarbeit von D. Harlfinger und P. Eleuteri, Wien, Verlag der Österreichischen Akademie der Wissenschaften, 1997. 2 C. Tristano, La biblioteca di un umanista calabrese: Aulo Giano Parrasio, Manziana, Vecchiarelli, [1988], p. 258. 3 L. Gualdo Rosa, Un decennio avventuroso nella biografia del Parrasio (1509-1519): alcune precisazioni e qualche interrogativo, in Parrhasiana III. «Tocchi da huomini dotti». Codici e * Griggio.indb 175 18/04/2016 11.34.11 176 Fabio Vendruscolo del ricco lascito parrasiano, in parte disperso, ma documentato da un ben noto inventario e già attentamente indagato,4 fu facile ritrovare, dopo il Neap. II D 19, buona parte degli altri codici elencati da Falconio.5 Dietro l’altro ex libris, si profilava invece la biblioteca quattrocentesca di Francesco ed Ermolao Barbaro, della quale pure esiste, com’è noto, un inventario, anepigrafo, identificato da Aubrey Diller nel 1963.6 E fu presto chiaro che in esso si potevano riconoscere non solo il Neap. II D 19, ma anche, con buona sicurezza, altri manoscritti greci Falconio-Parrasio.7 Falconio offriva cioè una nuova ‘pista’ per il reperimento di libri Barbaro, che andava ad aggiungersi a quelle scoperte e seguite da Diller (Germain de Brie, Giovan Battista Postumo de Leoni), confermando che, già nei primi anni del Cinquecento, morto Ermolao nel 1493, dalla biblioteca veneziana dei Barbaro uscivano lotti di importanti codici greci, finendo fra l’altro in mano a giovani studenti presumibilmente squattrinati.8 La possibilità di individuare per questa via altri codici Barbaro, parve una buona ragione per insistere nella ricerca anche di quelli risultati meno facili da reperire, fra i libri elencati da Falconio. Perché la biblioteca Barbaro, non d’apparato, ché anzi vi abbondavano libri descritti come mutili o malconci, meno ampia per esempio di quella coeva di Pico della Mirandola (che passerà a Domenico Grimani),9 era però una raccolta importante, «crocevia fondamentale» – come si esprime lo stesso Griggio in un recentissimo contributo – «nella storia della rinastampati con postille di umanisti. Atti del III seminario di studi (Roma, 27-28 settembre 2002), a cura di G. Abbamonte, L. Gualdo Rosa e L. Munzi, «AION. Annali dell’Università degli Studi di Napoli ‘L’Orientale’. Sezione filologico-letteraria», XXVII (2005), pp. 2536; F. Vendruscolo, Dall’ignoto Falconio all’immortal Fausto, ivi, pp. 37-50. 4 Oltre a C. Tristano, La biblioteca cit., M. Manfredini, L’inventario della biblioteca del Parrasio, «Rendiconti dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti di Napoli», LX (1985-1986), pp. 133-201; D. Gutiérrez, La biblioteca di san Giovanni a Carbonara di Napoli, «Analecta Augustiniana», XXIX (1966), pp. 59-212. 5 F. Vendruscolo, Dall’ignoto Falconio cit., pp. 38, 49. 6 A. Diller, The Library of Francesco and Ermolao Barbaro, «Italia medioevale e umanistica», VI (1963), pp. 253-262 (= Studies in Greek Manuscript Tradition, Amsterdam, Hakkert, 1983, pp. 427-437); ora, anche F. Vendruscolo, Per la biblioteca di Francesco ed Ermolao Barbaro: cinquant’anni dopo, in Griechisch-byzantinische Handschriftenforschung. Traditionen, Entwicklungen, neue Wege, hrsg. von Chr. Brockmann, D. Harlfinger, S. Valente, Berlin, de Gruyter, in c.d.s. 7 F. Vendruscolo, L’Alcibiade di Francesco Barbaro, in Filologia, papirologia, storia dei testi. Giornate di studio in onore di A. Carlini (Udine, 9-10 dicembre 2005), a cura di G. Arrighetti e M. Tulli, Pisa-Roma, Fabrizio Serra Editore, 2008, pp. 111-129: 119, nota 2. 8 Per le possibili circostanze di queste fuoruscite, F. Vendruscolo, Per la biblioteca cit. 9 Per la quale, P. Kibre, The Library of Pico della Mirandola, New York, Columbia University Press, 1936; A. Diller, H. D. Saffrey e L. G. Westerink, Bibliotheca Graeca Manuscripta Cardinalis Dominici Grimani (1461-1523), s.l., Edizioni della Laguna, [2003]. Griggio.indb 176 18/04/2016 11.34.11 Un voluttuoso dessert di Ermolao Barbaro 177 scita della classicità all’alba dell’Umanesimo».10 Una raccolta interessante storicamente anche perché rispecchiava gli interessi, le occupazioni, l’intera esperienza intellettuale di una famiglia protagonista dell’umanesimo veneziano e italiano. Accanto ai libri sacri e religiosi e ai classici latini, essa raccoglieva i testi universitari di diritto e di filosofia serviti a tre generazioni di Barbaro, incluso Ermolao il Vecchio, vescovo di Verona, conservava gli strumenti e i prodotti dei precocissimi studi di greco di Francesco, che riportavano a Guarino e indirettamente a Crisolora, e quelli della filologia già strenua e militante di fine Quattrocento in cui si distinse Ermolao.11 Come hanno mostrato, oltre a Griggio, Antonio Rollo, Niccolò Zorzi e altri, ogni codice Barbaro ritrovato può restituirci nuova preziosa documentazione, tasselli di alto interesse storico-culturale, paleografico, filologico.12 Ora, fra i codici trafugati a Falconio, quello da lui descritto nella lettera a Sannazaro come «in Theocritum commentaria», con promettente corrispondenza nella «Expositio quedam in theocritum» della biblioteca Barbaro (n. 1691 Kibre, nella classe «quinterni desligati», da cui sembrano per lo più provenire i libri di Falconio),13 non trovava invece riscontro tra i parrasiani già rintracciati da C. Griggio, Appunti sulla ricezione classica in Poliziano ed Ermolao Barbaro, in Le lezioni di Vittore Branca. Atti del Convegno internazionale di studi (Padova-Venezia, 7-8 maggio 2013), a cura di C. De Michelis e G. Pizzamiglio, Firenze, Olschki, 2014, pp. 35-42: 39. 11 Per una presentazione generale della biblioteca Barbaro, soprattutto M. Zorzi, I Barbaro e i libri, in Una famiglia veneziana nella storia: i Barbaro. Atti del convegno di studi (Venezia, 4-6 novembre 1993), a cura di M. Marangoni, M. Pastore Stocchi, Venezia, Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, 1996, pp. 363-396; P. Eleuteri, Libri greci a Venezia nel primo Umanesimo, in I luoghi dello scrivere da Francesco Petrarca all’età moderna. Atti del Convegno internazionale di studio dell’Associazione Italiana dei Paleografi e Diplomatisti (Arezzo, 8-11 ottobre 2003), a cura di C. Tristano, M. Calleri e L. Magionami, Spoleto, Fondazione Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 2006, pp 69-84: 75-79; F. Vendruscolo, Per la biblioteca cit. 12 C. Griggio, Senofonte, Guarino, Francesco ed Ermolao Barbaro, Alberti, «Filologia e critica», XXXI (2006), pp. 161-176; Id., Il codice Marciano gr. IV 53: un Aristotele di Crisolora, Roberto de’ Rossi, Francesco ed Ermolao Barbaro, in Suave mari magno… Studi offerti dai colleghi udinesi a Ernesto Berti, a cura di C. Griggio, F. Vendruscolo, Udine, Forum, 2008, pp. 141-149; A. Rollo, Preistoria di un Aristotele della biblioteca dei Barbaro, «Studi medievali e umanistici», II (2004), pp. 329-333; Id., Codici greci di Guarino Veronese, ivi, pp. 333-337; Id., Dalla biblioteca di Guarino a quella di Francesco Barbaro, «Studi medievali e umanistici», III (2005), pp. 9-28; Id., Per la storia del Plutarco Ambrosiano (C 126 inf.), in Parallela minora. Traduzione latina di Guarino Veronese, a cura di F. Bonanno, Messina, Centro interdipartimentale di studi umanistici, 2008, pp. 95-129: 107-128; N. Zorzi, Un feltrino nel circolo di Ermolao Barbaro: il notaio Tommaso Zanetelli, alias Didymus Zenoteles, copista di codici greci (c. 1450-1514), in Bellunesi e Feltrini tra Umanesimo e Rinascimento. Filologia, erudizione e biblioteche. Atti del Convegno di Belluno (4 aprile 2003), a cura di P. Pellegrini, Roma-Padova, Antenore, 2008, pp. 43-106; F. Vendruscolo, L’Alcibiade cit. 13 Ivi, p. 119, nota 2. 10 Griggio.indb 177 18/04/2016 11.34.11 178 Fabio Vendruscolo Tristano e Manfredini. Ma, successivamente alle ricerche di questi studiosi, il ben noto ex libris «Antonii Seripandi ex Iani Parrhasii testamento» era stato segnalato, benché eraso e quasi invisibile, in alcuni ulteriori codici barberiniani della Biblioteca Vaticana.14 Tra questi figurava appunto un agile volume cartaceo (24 fogli), contenente gli scholia vetera a Teocrito e due carmina figurata.15 Per avere conferma dell’identificazione è bastato aprirlo e constatarvi la presenza, nei marginalia, non solo delle mani di Parrasio16 e di Vittorio Falconio (che, in una nota, cita fra l’altro gli Adagia di Erasmo, stampati da Aldo nel 1508),17 ma anche Codices Barberiniani Graeci, II. Codices 164-281 recensuit I. Mogenet, enarrationes complevit I. Leroy, addenda et indices curavit P. Canart, In Bibliotheca Vaticana, 1989, in part. pp. 55-56; L. Ferreri, I codici parrasiani della Biblioteca Vaticana, con particolare riguardo al Barberiniano greco 194, appartenuto a Giano Lascaris, Parrhasiana II. Atti del II seminario di studi su manoscritti medievali e umanistici della Biblioteca Nazionale di Napoli (Napoli, 20-21 ottobre 2000), a cura di G. Abbamonte, L. Gualdo Rosa e L. Munzi, «AION. Annali dell’Istituto Universitario Orientale di Napoli. Sezione filologico-letteraria», XXIV (2002), pp. 189-223; F. Vendruscolo, Codici greci del Parrasio e di San Giovanni a Carbonara nel fondo Barberini della Vaticana, in Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae, XII, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, 2005, pp. 511-524. 15 La provenienza parrasiana, in questo caso, era in verità già stata scoperta da C. Gallavotti, Intorno ai mss. di Giorgio Trivisia e di Giorgio Alessandro, «AION. Annali dell’Istituto Universitario Orientale di Napoli. Sezione filologico-letteraria», II-III (1980-1981), pp. 2-24: 7. 16 Di mano di Parrasio sono solo due notabilia latini a f. 22r (inizio del commento a Id. 17) e la nota «lege Athen. pag. 280» alla fine del codice (f. 24v); un’approfondita discussione sulle citazioni di Parrasio da Ateneo, che utilizzano, come questa, un misterioso numero di ‘pag.’, in Aulo Giano Parrasio, De rebus per epistolam quaesitis (Vat. Lat. 5233, ff. 1r-53r), Introduzione, testo critico e commento filologico a cura di L. Ferreri, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2012, pp. 113-118 (e in part. 116, nota 25), dove è vagliata (e per ora non confermata) anche la possibilità che esse facciano riferimento all’esemplare di Ateneo appartenuto a Ermolao Barbaro, del quale ci resta solo la prima parte (libri I-IX) nel Par. gr. 3056; qui peraltro è anche possibile che il rinvio sia alla pagina 280 dell’Aldina (1514), ossia ad Athen. 14, 67, passo che trova letterale riscontro negli Scholia in Theocr. 1, 147b (= Barb. gr. 214, f. 5v, dove il punto è evidenziato da un marginale di Ermolao). 17 A f. 20v, in margine a Scholia in Theocr. 14, 48-49a (pp. 302-303 Wendel), Falconio scrive «Cir<c>u(m)|feru(n)|tur haec car|mina sub| hac forma| in| e|ra|sm|i| p(ro)|ver|biis» e sotto riporta i sette versi in greco dell’oracolo come stampati in Chil. II 1, 79 («Megarenses, neque tertii, neque quarti», pp. 116-117 dell’Aldina), dove Erasmo rimanda in effetti anche agli scolii a Teocrito («Qui scripsit commentariolos in Theocritum, refert hoc epigramma paulo diversius…»). A Falconio, che sembra aver studiato l’intero codice, attribuisco inoltre i notabilia in inchiostro nero e rosso (alternati) a ff. 1r-2r, 9v-10r, i numeri in greco all’inizio del commento a ciascun idillio e le note latine a ff. 5v, 14r, 18v (che rilevano l’ordine diverso degli scolii rispetto a quello canonico degli Idilli: 1,7, 3-13, 2, 14…) e a f. 16r («deest decimu(m)»), qualche manicula (ff. 2r, 6r, 23v) o sottolineatura riferite a preesistenti marginalia di Ermolao (vd. subito sotto, nel testo), infine, con qualche dubbio, le iniziali in rosso, di forma elaborata, in tutto il codice e i due titoli ύ e 14 Griggio.indb 178 18/04/2016 11.34.11 Un voluttuoso dessert di Ermolao Barbaro 179 dell’inconfondibile «character minutissimus» di Ermolao Barbaro.18 La carta, del resto, presenta una filigrana accostata dal catalogo a Arbalète 746 Briquet, ma più esattamente identica ad Arbalète 31 Harlfinger, rilevata in due manoscritti:19 1. Par. gr. 2939, Demostene, copiato in parte da Nikolaos Blastos, che sottoscrive il 13 agosto 1484, e recante postille autografe di Ermolao Barbaro;20 2. Neap. III D 35, Aristotele, Metafisica, con il commento di Alessandro d’Afrodisia,21 realizzato su commissione di Ermolao Barbaro (come risulta dalla subscriptio), da diversi copisti, fra cui un certo Antonios Markoutzas, che sottoscrive il 28 ottobre <1484>(?)22 e di nuovo, se non erro, sia pur con un ruolo marginale, Nikolaos Blastos.23 E anche la grafia del Barb. gr. 214 mostra notevoli analogie con quelle di Antonios Markoutzas e di uno dei copisti (ff. 222v-241v) del Par. gr. 2939, anche se è necessaria cautela sulla possibilità di una doppia identificazione.24 ΠÉ Ε ί apposti ai due carmina figurata copiati da Ermolao a f. 24v (tav. 2; vd. sotto, nel testo). 18 La definizione è del suo fido segretario, Tommaso Zanetelli; cfr. N. Zorzi, Un feltrino nel circolo di Ermolao Barbaro cit., p. 70. A nessuna delle tre mani citate mi sembrano attribuibili, a parte alcune minime annotazioni, le parole ί ἰ ύ accanto al titolo ύ a f. 24v. Per l’identificazione di una ulteriore mano, che introduce poche, ma importanti postille, vd. sotto, p. 184. 19 D. e J. Harlfinger, Wasserzeichen aus griechischen Handschriften, Berlin, Mielke, 1974, I. 20 N. Zorzi, Un feltrino nel circolo di Ermolao Barbaro cit., p. 66; V. Chatzopoulou, Zacharie Calliergis et Alde Manuce: éléments d’une étude à l’occasion de la découverte d’un nouveau manuscrit-modèle de l’édition aldine de Sophocle (a. 1502), in The Legacy of Bernard de Montfaucon: Three Hundred Years of Studies on Greek Handwriting, Proceedings of the Seventh International Colloquium of Greek Palaeography (Madrid-Salamanca, 15-20 September 2008), a cura di A. Bravo García, I. Pérez Martín, Turnhout, Brepols, 2010, pp. 197-207: 201-202. Vd. poi nota 24. 21 Descrizione ora in M. R. Formentin, Catalogus codicum Graecorum Bibliothecae Nationalis Neapolitanae, III, Roma, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, 2015, pp. 165-166. 22 F. 362v έ ῶ ό ίω ἀ ὸ ἐ ῦἀ ω ί ῦ ά. ῦ ὐ ά ὶἐ ω ά ὺ ἀ άω ά ω […] ἐ ώ ῶ ό ίω ἐ ὶ ὀ ω ίω ´, ἐ ἡ έ ά ὶὅ έ ῆ ῦ (sic omnia). L’anno, come si vede, non è indicato; 1484 è dedotto dall’identità della filigrana rispetto al manoscritto precedente (e risulta coerente con quanto sotto, p. 184), implica però, si noti, di ammettere un errore del copista, perché il 28 ottobre 1484 era giovedì non mercoledì (era mercoledì nel 1478 e 1489). Per altre datazioni proposte per questo manoscritto, N. Zorzi, Un feltrino nel circolo di Ermolao Barbaro cit., pp. 65-66 e nota 84 (ma la presenza della mano di Ermolao nei margini mi è invece segnalata da Antonio Rollo per litteras: p.e. f. 14r). 23 Riscontro la sua mano ai ff. 259-262 (tav. 2c); l’identificazione mi è confermata da Rollo, che l’aveva già effettuata per suo conto. Analogamente uno dei copisti principali del Neap. III D 35 risulta attivo anche in un altro codice di provenienza Barbaro, Neap. III D 29, come notato da D. Harlfinger, Die Textgeschichte der pseudo-aristotelischen Schrift Περὶ ἀτό ω γρα ῶ , Amsterdam, Hakkert, 1971, p. 420, nota 38. 24 Tav. 2a e 2b e, per il Par. 2939, A. Cataldi Palau, Gian Francesco d’Asola e la tipografia Griggio.indb 179 18/04/2016 11.34.11 180 Fabio Vendruscolo Commissionato quindi probabilmente anch’esso da Ermolao nello stesso periodo, il Barb. gr. 214 è apografo dell’attuale Milano, Biblioteca Ambrosiana, A 155 sup., vergato da Georgios Tribizias e a sua volta derivato, come altri quattro codici contenenti il testo di Teocrito (la cosiddetta ‘familia Perusina’) tutti di mano di questo copista, dal ben noto Ambr. C 222 inf. (K), del XII secolo.25 Questa moltiplicazione di apografi avvenne, probabilmente verso il 1480, a Venezia, dove Tribizias esercitava il suo ministero di sacerdote della comunità greca, e dove visse e operò a lungo, fino al 1483, prima di trasferirsi a Pavia e poi a Milano, il possessore di K, l’umanista Giorgio Merula (14301494), maestro e amico di Ermolao.26 Una, sia pur cursoria, analisi delle postille di Ermolao nel Barb. gr. 214, oltre a consentire di precisare la datazione del codice, offrirà, anche in questo caso, spunti interessanti per il filologo, che meriteranno di essere ulteriormente approfonditi. Note dell’umanista si rilevano, ai ff. 1v-8v del codice, in margine agli scolii all’epigramma proemiale di Artemidoro e agli Idilli 1 (Thyrsis) e 7 (Thalysia), primi due nella sequenza degli scholia vetera.27 Oltre a registrare a margine aldina. La vita, le edizioni, la biblioteca dell’Asolano, Genova, Sagep, 1988, p. 768, tav. 45 (f. 230v, ivi per una svista assegnato a Nikolaos Blastos); l’intero codice è ora disponibile sul sito Gallica della BNF; malgrado alcune differenze, l’identificazione almeno tra Barb. gr. 214 e Neap. III E 35 mi sembra abbastanza probabile. Per l’attribuzione, poi smentita, del Barb. gr. 214 allo stesso copista (all’epoca ancora anonimo) della cosiddetta ‘familia Perusina’ dei codici teocritei (sùbito sotto, nel testo), Theocritus, quique feruntur bucolici Graeci, C. Gallavotti recensuit, Romae, Typis Publicae Officinae Polygraphicae, 1955, p. LXXV. 25 Per i rapporti stemmatici, Scholia in Theocritum vetera edidit C. Wendel, Lipsiae, Teubner 1916, VII-VIII, e C. Gallavotti, Intorno ai mss. cit., pp. 6-7 e nota 6.; S. Strodel, Zur Überlieferung und zum Verständnis der hellenistichen Technopaignien, Frankfurt am Main - Berlin Bern - Bruxelles - New York - Oxford - Wien, Lang, 2002, pp. 20-21, 38, 109, 111-112, 123-124 (stemma) fa discendere sia Barb. gr. 214 (S37) che Ambr. A 155 sup. (S12) direttamente da K, ma anche nei pur brevissimi carmina figurata sembrano emergere alcune significative innovazioni comuni ai soli S37 e S12 (p. 112). Sui codici teocritei di Tribizias, cfr. C. Gallavotti, Intorno ai mss. cit., pp. 2-5 e ora V. Liakou-Kropp, Georgios Tribizias. Ein griechischer Schreiber kretischer Herkunft im 15. Jh., Dissertation, Hamburg, Universität, 2002. 26 Per i rapporti fra Tribizias e Merula cfr., da ultimo, S. Martinelli Tempesta, Per un repertorio dei copisti greci in Ambrosiana, in Miscellanea Graecolatina, I, a cura di F. Gallo, MilanoRoma, Bulzoni, 2013, 101-153: 110-111, 134-135, con bibliografia. Sulle vicende precedenti di K, cfr. C. M. Mazzucchi, Per la storia del codice Ambrosiano C 222 inf. in età umanistica, in L’antiche e le moderne carte. Studi in memoria di Giuseppe Billanovich, a cura di A. Manfredi, C. M. Monti, Roma-Padova, Antenore, 2007, pp. 419-431. Un codice copiato da Tribizias e appartenuto, a quanto credo (Vendruscolo, L’Alcibiade cit., p. 119, nota 2), a Ermolao, è il Neap. III E 34 (Achmet, Onirocriticon); Liakou-Kropp, Georgios Tribizias cit., pp. 154-155. 27 Cfr. sopra, nota 17. Griggio.indb 180 18/04/2016 11.34.12 Un voluttuoso dessert di Ermolao Barbaro 181 notabilia (persone e luoghi, nomi di animali e piante, cui, come è noto, era particolarmente interessato, termini rari) e brevi osservazioni (anche in latino),28 egli sembra aver collazionato il testo, assai corrotto, con quello di un altro testimone, da cui riporta a margine varie integrazioni testuali.29 Infine, il dotto interviene, almeno occasionalmente, con proprie correzioni, una delle quali è recepita a testo anche da Wendel, pur ignaro, ovviamente, della sua paternità.30 Ma l’intervento più vistoso di Ermolao si osserva alla fine del manoscritto, in corrispondenza dei due carmina figurata, Ali e Scure, opera probabilmente di Simias di Rodi, ma spesso attribuiti a Teocrito. In queste virtuosistiche composizioni alessandrine, di cui ci sono giunti sei esempi (oltre ai due citati, l’Uovo, sempre di Simias, l’Ara di Dosiadas e quella di Besantinos, la Syrinx, di solito riconosciuta a Teocrito), i versi hanno lunghezza disuguale, spesso progressivamente crescente o calante, in modo da ‘disegnare’ sulla pagina, se opportunamente disposti, il ‘profilo’ dell’oggetto evocato dal titolo.31 P.e. f. 2v, ad 1, 5/6 d, p. 33, 13 Wendel ( ὴ [sc. ] ή ω ῖ ῖ): «caro virginis | caprae»; f. 3v, ad 1, 26 [e], p. 38, 2-5 Wendel: « έ pullus | pro atro» (l’aggettivo greco è di uso poetico, molto raro); ad 1, [47 a], p. 46, 3-5 Wendel ( ῶ : ἀ ὸ ῦ < ό > .): «hinc pupula q(uas)i puella| Na(m) et populus [sic] p(ro) puero| legitur apud catullu(m)» (cfr. Catull. 56, 5); ivi, p. 46, 8-10 Wendel (ἢ ὰ ὸ ί ω): «hinc pueri tonsi» (il riferimento è forse a Iuv. 11, 149); ad 1, [48 b], p. 47, 4 Wendel ( ό ): «interordinium | interlimitiumque» (la prima è parola rarissima, attestata in Columella nel senso richiesto di ‘spazio tra due filari di alberi’, il secondo termine, ancora più raro, è impiegato a mio sapere solo dallo stesso Ermolao nella traduzione di Temistio, stampata nel 1481); f. 8v ad 7, 157 c, p. 115, 12 Wendel ( ή ω ): «hi(n)c cereale papaver» (cfr. Verg. Georg. 1, 121). 29 Utilizzando il segno di richiamo./.; ff. 2r, 5v (nel mg. inferiore aggiunge anche lo scolio a 1, 134, p. 73, 1-2 Wendel ἐ ῖ .), 7r, 8r, 8v. A f. 6r, dove 78, 1-4 Wendel è nel testo erroneamente trasposto a p. 77, 6 Wendel, Ermolao percepisce l’incongruenza e ipotizza (senza però cogliere nel segno, né evidentemente trovare aiuto nell’esemplare di collazione): « ῦ ῦ ώ ἰ ί ί ». 30 Ad 1, 127, p. 71, 11 Wendel: «ἄ scripsi ex Apogr. Barb., cf. sch. 64a: ἄ KG: ἤ cett.»); qui peraltro il Barb. gr. 214 ha già ἄ , il contributo di Ermolao consiste nella facile correzione in ἄ attuata mediante un s.v. (f. 5v, r. 8). 31 Su questo genere poetico, da ultimo, Ch. Luz, Das Rätsel der griechischen Figurengedichte, «Museum Helveticum», LXV (2008), pp. 22-33; Ead., Technopaignia. Formspiele in der griechischen Dichtung, Leiden-Boston, Brill, 2010 (la studiosa interpreta i componimenti come enigmi, originariamente privi di titolo, nei quali il lettore avrebbe dovuto individuare gli indizi metrici e contenutistici per riuscire da solo a disporre correttamente i versi e riconoscere la figura); bibliografia anche in L. Di Gregorio, Sui frammenti di Simia di Rodi, poeta alessandrino, «Aevum», LXXXII (2008), pp. 51-117: 71-72, nota 149. In particolare per la storia e la tradizione testuale, U. Ernst, Carmen figuratum: Geschichte des Figurengedichts von den antiken Ursprüngen bis zum Ausgang des Mittelalters, Köln-Weimar-Wien, Böhlau, 1991, pp. 54-94, e soprattutto S. Strodel, Zur Überlieferung cit. 28 Griggio.indb 181 18/04/2016 11.34.12 182 Fabio Vendruscolo Nel Barb. gr. 214, Scure e Ali si trovano trascritti dal copista, rispettivamente a f. 23v e f. 24v, in assetti anomali e arbitrari, senza riguardo alla divisione in versi: la Scure riempie un cerchio (con i versi in ordine scorretto), le Ali delineano una figura simmetrica ad asse centrale, costituita da rettangoli di larghezza disuguale sovrapposti.32 Ermolao, giustamente insoddisfatto, ha dapprima lavorato sul testo del copista, se sono sue le ‘parentesi quadre’, che a f. 24r, nelle Ali, indicano le giuste interruzioni di verso. Poi, annotato in margine alle due versioni anomale (con lievi varianti nella seconda) « ᾶ ὅ ὸὀ ὸ ἐ έ ῦ ί » (‘è tutto sbagliato; guarda la versione corretta alla fine del libro’), ha riscritto di proprio pugno entrambi i componimenti, in ordine inverso, sull’ultima pagina del codice (f. 24v), ripristinando le ‘figure’ appropriate (tav. 2).33 È probabile che per fare ciò egli potesse ancora avvalersi del citato Ambr. A 155 sup., copiato, come detto, in quegli anni a Venezia da Georgios Tribizias e antigrafo del suo codice: in esso infatti la Scure si presenta in una forma spiccatamente simile a quella datale dall’umanista, e in particolare con il ‘manico’ disposto in verticale, anziché in orizzontale, come ancora nell’Ambr. C 222 inf. (K).34 Il dato testuale è pienamente compatibile con questa derivazione: i due testimoni concordano regolarmente, in un caso condividendo, a quanto pare, essi soli una lezione peculiare di un certo interesse: Alae v. 9: ᾽ἄ si legge solo in Ambr. A 155 sup. e Barb. gr. 214, sia nella prima versione che nella seconda (Ermolao), e nell’edizione di Kallierges; su questa base hanno congetturato ὐ ᾽Ἄ Wilamowitz (recepito da Gallavotti), ἠ ᾽ Ἄ Si vedano le riproduzioni ivi, p. 364, Abb. 15 e p. 358, Abb. 9, cfr. p. 38. I sorprendenti layout del Barb. gr. 214 (anche gli scolii alle Ali sono disposti secondo la stessa figura), che sembrano da addebitare al copista (nel modello, Ambr. A 155 sup., i carmina si presentano in forma corretta; cfr. per es. S. Strodel, Zur Überlieferung cit., p. 360, Abb. 11) potrebbero quasi far pensare che egli volesse conformarsi a due altri carmina figurata, rispettivamente l’Uovo (ivi, pp. 365-367, Abb. 16-18) e l’Altare (ivi, pp. 377-383, Abb. 28-34); si ricordi, del resto, che i titoli delle composizioni non sono del copista, ma aggiunti da una mano successiva (sopra, nota 17). S. Strodel, Zur Überlieferung cit., p. 109 spiega invece l’assetto delle Ali come «eine freie Versanordnung als symmetrisches Flügelpaar […], die offensichtlich dem Bedürfnis nach mehr bildlicher Veranschaulichung bei den sonst schwer verständlichen Technopaignien entgegenkommt». 33 Accurata descrizione già in C. Gallavotti, Intorno ai mss. cit., pp. 7-8. 34 S. Strodel, Zur Überlieferung cit., p. 360, Abb. 11, e p. 70: «In K selbst ist das Beil noch liegend dargestellt»; per una curiosa svista C. Gallavotti, Intorno ai mss. cit., p. 8 afferma che in Barb. gr. 214 il «lettore» responsabile della seconda redazione dei carmina figurata (quello che ora sappiamo essere Ermolao Barbaro) «ha disposto la figura della Scure con il manubrio orizzontale» e ne inferisce che avesse utilizzato K o una copia identica, piuttosto che l’Ambr. A 155 sup. Per l’utilizzo da parte di Ermolao di un esemplare di collazione testualmente simile al codice stesso, cfr. sopra, nota 29. 32 Griggio.indb 182 18/04/2016 11.34.12 183 Un voluttuoso dessert di Ermolao Barbaro Powell, Ἀ έ Edmonds; gli altri manoscritti teocritei hanno ᾽ἀέ (così revera Ambr. C 222 inf.); ᾽ἀέ Anth. (alii alia edd.). ’ἄ Il Barb. gr. 214, inoltre, presenta nella Scure una innovazione singolare, che è anch’essa lezione interessante, messa in valore da alcuni editori: Securis ‘manubrium’: si legge in luogo di di K e Ambr. A 155 sup. (questo verso è omesso nella prima versione, di mano del copista, del Barb. gr. 214),35 lezione che introduce un verbo (i.e. , da ἵ ω, nel senso di ‘collocò’, ‘dedicò’?) apparentemente richiesto dalla sintassi; (sic) è posto a testo da Kallierges, Stephanus ne ricaverà prima υτξ ᾖ (da ᾄ ω). Ora, entrambe queste lezioni si trovano negli apparati critici attribuite all’edizione romana di Zacharias Kallierges del 1516.36 Esse invece, come si vede, figurano in realtà insieme già nel Barb. gr. 214, dove la seconda potrebbe risultare da una congettura di Ermolao Barbaro. Ciò sembra confermare quanto ipotizzato già da Carl Wendel con riferimento agli scholia vetera di Teocrito, ossia che il Barb. gr. 214 sia stato tra le fonti utilizzate da Kallierges.37 Del resto la sua presenza a Roma a quell’epoca è pienamente compatibile con quanto ora sappiamo della storia del codice; esso era infatti dal 1511 nelle mani del Parrasio, che si stabilì a Roma nel marzo 1515 e può quindi averlo messo temporaneamente a disposizione dell’editore.38 Ma il testo della Scure, nel Barb. gr. 214, presenta anche una serie di correzioni e varianti supra lineam (vd. tav. 2), recanti lezioni talora uniche e certo congetturali, che trovano sistematicamente riscontro nell’edizione romana del 1516 (e in parte nella coeva Giuntina). Silvia Strodel, che ne ha segnalate alcune, le attribuisce alla stessa mano che ha scritto il testo del ί e 39 le ritiene ricavate dall’edizione stessa. Ciò si rivelerebbe ora comunque imSulla fotografia ingrandita, la lezione del Barb. gr. 214 appare in realtà esito di correzione, probabilmente da ; non è escluso che essa sia stata effettuata da Ermolao, come mi conferma Michele Bandini (si veda l’epsylon finale coricato), di cui sarebbe però l’unico intervento critico; altrimenti andrà assimilata alle altre correzioni e varianti di altra mano di cui poco sotto, nel testo. Un si legge anche, isolato, scritto in verticale (come già nel ‘manubrium’ della Scure), presso il margine inferiore del foglio. 36 Su questa edizione e la coeva Giuntina, C. Gallavotti, in Theocritus, quique feruntur cit., pp. 308-318; S. Strodel, Zur Überlieferung cit., pp. 289, 303. 37 Scholia in Theocritum cit., p. XXIV; C. Gallavotti, Intorno ai mss. cit., p. 7. 38 Per la data dell’arrivo a Roma di Parrasio, C. Tristano, La biblioteca cit., pp. 12-13 e nota 13. Invece secondo C. Gallavotti, Intorno ai mss. cit., p. 8 – ma l’ipotesi non è più compatibile, credo, con l’individuazione dell’itinerario Falconio-Parrasio – «il Calliergi […] avrà trovato a Venezia o a Padova il codice Barberino, prima di trasferirsi a Roma con la tipografia». 39 S. Strodel, Zur Überlieferung cit., p. 112. 35 Griggio.indb 183 18/04/2016 11.34.12 184 Fabio Vendruscolo possibile, essendo il testo scritto dalla mano di Ermolao Barbaro, morto nel 1493. E in realtà è più probabile che le correzioni e varianti preesistessero nel codice e siano passate da questo all’edizione, insieme alle lezioni di prima mano ᾽ἄ κ (?) di cui sopra, e non viceversa.40 Detto ciò, peraltro, la grafia di tali interventi, pur assimilandosi abilmente a quella minuta di Ermolao, è in realtà diversa.41 Come cercherò di mostrare altrove, si tratta probabilmente della mano di Marco Musuro, del cui lavorio filologico su Teocrito, risalente soprattutto al primo decennio del Cinquecento e in gran parte noto solo indirettamente,42 il Barb. gr. 214 avrebbe pertanto avventurosamente conservato un’altra minima testimonianza autografa.43 Tornando a Ermolao, è affascinante scoprire che del suo piccolo exploit grafico e filologico sui carmina figurata, testimoniatoci dall’ultimo foglio del Barb. gr. 214, o almeno dalla loro lettura, anche l’epistolario dell’umanista conserva un puntuale (e compiaciuto) ricordo. Che ci permette, fra l’altro, di confermare e precisare la datazione del manoscritto, ipotizzata finora su base codicologica, almeno mediante un terminus ante quem. Nella lettera inviata all’amico e collaboratore Galeazzo ‘Pontico’ Facino da Padova il 25 giugno 1484 («VII cal. quintiles MCCCCLXXXIIII»)44 si legge infatti, nell’edizione Branca: Cupierunt hic boni quidam iuvenes ut poetas eis graecos temporibus succissivis meis praelegerem: satisfecimus. Nunc in Demosthene delectamur, nunc in Theocrito conquiescimus: quoius ‘bipennis’ et ‘fidicula’ sive malis ‘pinnula’ vice bellariorum a prandio nobis hodie lecta sunt admirabili voluptate, nisi litterae tuae supervenissent quasi Abydenorum epiphorema. Quor enim protinus non reposcam a te? qui molestissimo unius epistolae negligentis interventu suavissimum Le correzioni non dovrebbero d’altronde neppure essere state introdotte nel codice da Kallierges o per sua iniziativa in vista dell’edizione, se è vero che alcune di esse implicano il ricorso a un altro esemplare e Kallierges afferma di avere avuto a disposizione, per Ali e Scure, un solo codice (f. IVr, « ὸ ί έ , ὸ ύ , ὶ ὸἑ ῆ ὸἄ ἐ ῆ [è l’Altare di Dosiadas], ὴ ύ ἀ ί , ὐ ἠ ή ά ἐ ῶ . ό ὶ ω έ . ὰ ὶ ό ῶ ἀ ά ω ῦ · ἅ ά ἐ ά ῖ ἦ ῶ , ἢ ἐᾶ ἰ ή ῖ »). 41 Si notino per es. (tav. 2), nelle lezioni supra versum ο post correctionem, il ny (ὃ , ῦ , ὁ ή , ὸ ) e il sigma finale (ἐ ) in forme che Ermolao non utilizza. 42 Ora, sull’intera questione, L. Ferreri, Le Théocrite de l’humaniste Marcus Musurus. Avec l’édition critique des Idylles XXIV-XXVII de Théocrite, Turnhout, Brepols, 2014. 43 Ringrazio David Speranzi per l’autorevole expertise paleografica; si veda ora F. Vendruscolo, Postille ritrovate di Musuro alla Scure pseudo-teocritea, in corso di stampa. 44 Ermolao Barbaro, Epistolae, Orationes et Carmina, edizione critica a cura di V. Branca, I, Firenze, ‘Bibliopolis’, 1943, pp. 55-56 (n. XL). Sul destinatario, N. Zorzi, Un feltrino nel circolo di Ermolao Barbaro cit., pp. 53-54. 40 Griggio.indb 184 18/04/2016 11.34.12 Un voluttuoso dessert di Ermolao Barbaro 185 Fig. 1a. Città del Vaticano, BAV, Barb. gr. 214, f. 10r (copista: <Antonios Markoutzas>?). © 2016 Biblioteca Apostolica Vaticana. Su gentile concessione, ogni diritto riservato. Fig. 1b. Napoli, Biblioteca Nazionale V.E. III, III E 35, f. 263r (copista: Antonios Markoutzas). Fig. 1c. Napoli, Biblioteca Nazionale V.E. III, III E 35, f. 259r (copista: <Nikolaos Blastos>). Griggio.indb 185 18/04/2016 11.34.13 186 Fabio Vendruscolo Fig. 2. Città del Vaticano, BAV, Barb. gr. 214, f. 24v (copista: <Ermolao Barbaro>; aggiunte e note: <Vittorio Falconio>, <Aulo Giano parrasio>, <Marco Musuro>). © 2016 Biblioteca Apostolica Vaticana. Su gentile concessione, ogni diritto riservato. Griggio.indb 186 18/04/2016 11.34.14 Un voluttuoso dessert di Ermolao Barbaro 187 facetissimi poetae sensum et solidissimam voluptatem vel prorsus intercepisti vel certe coinquinasti. fidicula corr. Branca: filicula cod. Dopo le saporite portate demosteniche45 – scrive l’umanista scherzando – ci siamo rinfrancati, docente e allievi, leggendo ‘a mo’ di dessert’ («vice bellariorum») i due carmina figurata di Teocrito… se non fosse giunta l’importuna tua lettera (scritta con un po’ troppi errori, par di capire dal seguito) a rovinarci il piacere.46 Sia permesso osservare, come ultima ciliegina sul mio, spero gradito, dessert per l’amico Claudio, e senza minimamente voler mancare di rispetto al suo illustre maestro, che, nella lettera, al posto di filicula o fidicula (come corregge Branca: ‘piccola cetra’?), anche alla luce del titolo greco Π ύ ,47 bisogna certo scrivere alicula, o forse, più esattamente, Alicula.48 Si ricordi che 13 agosto 1484 è datato il manoscritto demostenico di Ermolao, Par. gr. 2939; sopra, p. 179. 46 L’espressione «Abydenorum epiphorema» fa riferimento a Athen. 14, 47. 16 (641A), dove è ricordata come proverbiale: il ‘dessert di Abido’ era, a quanto pare, una sorpresa amara finale, come le tasse e i dazi imposti dalla città situata sullo stretto dei Dardanelli (ma altri hanno spiegazioni diverse). 47 A rigore, il titolo del componimento mancava all’epoca nel Barb. gr. 214 (sopra, nota 17), ma si ricavava comunque dallo scolio. 48 Questa lettera di Ermolao è conservata nel codice Lucca, Biblioteca Statale (olim Governativa), cod. 1415 (Barbaro, Epistolae cit., pp. XVII-XVIII). 45 Griggio.indb 187 18/04/2016 11.34.14