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In this essay, based on an ethnographic research conducted between 2014 and 2016 among adult unemployed people from the peripheries of Turin, I put into dialogue the stories collected during fieldwork with the insights offered by Josh... more
In this essay, based on an ethnographic research conducted between 2014 and 2016 among adult unemployed people from the peripheries of Turin, I put into dialogue the stories collected during fieldwork with the insights offered by Josh Kline’s artistic work and the main concepts of the anthropology of unemployment. My research confirms the hypotheses advanced by Katherine Newman and Serge Paugam: for my interlocutors in Turin, the loss and the lack of work mean, besides economic difficulties, a social de-valorisation as well. Therefore, their subsistence strategies can only partially solve their problems, entailing instead the risk of jeopardizing even further their status and identity.
Review article of James G. Carrier, ed, After the crisis: Anthropological thought, neoliberalism and the aftermath, London and New York, Routledge, 2016, pp. 196; Susana Narotzky, Victoria Goddard, eds, Work and livelihoods: History,... more
Review article of James G. Carrier, ed, After the crisis: Anthropological thought, neoliberalism and the aftermath, London and New York, Routledge, 2016, pp. 196; Susana Narotzky, Victoria Goddard, eds, Work and livelihoods: History, ethnography and models in times of crisis, London and New York, Routledge, 2017, pp. 224.
E alla natura artigianale dell’antropologia culturale – una questione di stile autoriale e di cura che richiede tempi diversi da quelli ormai dominanti anche nell’accademia – che mi ha fatto subito pensare il libro curato da Susana... more
E alla natura artigianale dell’antropologia culturale – una questione di stile autoriale e di cura che richiede tempi diversi da quelli ormai dominanti anche nell’accademia – che mi ha fatto subito pensare il libro curato da Susana Narotzky. Fin dal tema centrale, lo studio delle risposte dal basso e delle pratiche di sussistenza in relazione alle politiche di austerita neoliberiste nei paesi sud europei, si puo notare infatti il segno personale della curatrice, da tempo una delle principali interpreti di un approccio neomarxista all’antropologia economica.
Abstract: In this article I offer a reading, inspired by the embodiment paradigm, the theory of practice and the ‘anthropopoietical’ perspective, of some Islamic rites observed during my fieldwork in Morocco. My main thesis is that these... more
Abstract: In this article I offer a reading, inspired by the embodiment paradigm, the theory of practice and the ‘anthropopoietical’ perspective, of some Islamic rites observed during my fieldwork in Morocco. My main thesis is that these religious and secular rituals should be seen first and foremost as ‘anthropopoietical’ rites, ritual practices through which the society tries to impose its own model of humanity on its members to mould their habitus. To this end, I survey different analyses of ritual in Morocco and compare them with more general theories of embodiment, of habitus, and of ‘anthropopoiesis’.
Looking at Southern Italy, two main kinds of discourses are encountered, which I will call the ‘familistic view’ and the ‘Meridionalistic view’, opposite in character but both based on a culturalist bias. Both perspectives undervalue the... more
Looking at Southern Italy, two main kinds of discourses are encountered, which I will call the ‘familistic view’ and the ‘Meridionalistic view’, opposite in character but both based on a culturalist bias. Both perspectives undervalue the structural dimensions of the social life of the South of Italy, offering a partial and somewhat abstract picture emphasizing the socio-cultural differences of this region in contrast to the North and in so doing exoticising it. In my paper, I present some results of my ethnographic research in a little semi-rural town in the province of Salerno, on the Amalfi Coast. I propose a different perspective focusing on the role of strong family and kinship ties in the social life of the village, and on the symbolic construction of community at work in the numerous religious and secular festivals of the town. My thesis is that both familism and community life are mainly collective responses to social and economic instability, that far from being a distinguis...
The aim of this article is to show the deep affinity between non-western ideas of the person and antiindividualistic philosophical ideas through a re-reading of some central texts about the anthropology of the person. African concepts of... more
The aim of this article is to show the deep affinity between non-western ideas of the person and antiindividualistic philosophical ideas through a re-reading of some central texts about the anthropology of the person. African concepts of the person, as described by Fortes, Augé and Riesman, have indeed a remarkable consonance with the intersubjective philosophy of Charles Taylor and Axel Honneth. Even more, a significant affinity can be detected between the Melanesian ideas of the person – what Marilyn Strathern called "dividual" – and the notion of transindividual emerging from an anthropological reading of Marx. The common emphasis on social relations as constitutive of the human is the ground permitting the encounter between these two conceptions. The author of this article suggests that the anthropology of the person offers a precious archive of alternative visions of the human reality, which, in dialogue with the idea of transindividuality, could promote the reprise o...
Partendo dalle mie ricerche sul campo tra i disoccupati torinesi, in questo saggio intendo riflettere criticamente sul concetto di “sofferenza sociale” in riferimento all’esperienza della perdita del lavoro nell’epoca della... more
Partendo dalle mie ricerche sul campo tra i disoccupati torinesi, in questo saggio intendo riflettere criticamente sul concetto di “sofferenza sociale” in riferimento all’esperienza della perdita del lavoro nell’epoca della governamentalità neoliberista. Nella prima parte dell’articolo vengono discusse le potenzialità critiche ed emancipative del concetto – sulla linea dei lavori di Bourdieu, Farmer, Dardot e Laval e Fischer – così come i suoi limiti, evidenziati da studiosi come Ehrenberg, Fassin e Molé. Il caso etnografico presentato nella parte centrale del saggio, dedicato alla presentazione di un servizio di ascolto psicologico per i disoccupati, dimostra quanto i dubbi rispetto al concetto di sofferenza sociale siano fondati: l’idea che la perdita del lavoro generi depressione e malessere psichico finisce per tradursi infatti in una medicalizzazione individualizzante del problema. Nato per denunciare i mali del presente capitalista, il concetto di sofferenza sociale, focalizzandosi sui sintomi più che sulle cause, rischia di favorire quelle letture neo-liberiste della disoccupazione che convertono un problema sociale in una difficoltà personale, depoliticizzandolo.
In questo saggio, basato su una ricerca etnografica condotta tra i disoccupati adulti delle periferie torinesi tra il 2014 e il 2016, intendo far dialogare le storie e le testimonianze raccolte sul terreno con le suggestioni fornite dal... more
In questo saggio, basato su una ricerca etnografica condotta tra i disoccupati adulti delle periferie torinesi tra il 2014 e il 2016, intendo far dialogare le storie e le testimonianze raccolte sul terreno con le suggestioni fornite dal lavoro artistico di Josh Kline e con i principali risultati dell'antropologia della disoccupazione. Le mie ricerche confermano sostanzialmente le ipotesi teoriche di Katherine Newman e Serge Paugam: per i miei interlocutori to-rinesi, la perdita e la mancanza di lavoro si configurano come un processo di squalificazione sociale oltre che come un tracollo economico. Di conseguen-za, le strategie di sussistenza da loro elaborate possono risolvere la situazione solo parzialmente, rischiando invece di compromettere ulteriormente il loro status e la loro identità. Parole chiave: Disoccupazione; squalificazione sociale; antropologia della disoccupazione; Torino Nel novembre del 2016, mentre stavo concludendo le mie indagini sull'e-sperienza della disoccupazione tra gli abitanti delle periferie di Torino, la Fondazione Sandretto Re Rebaudengo ha ospitato un'installazione signifi-cativamente intitolata "Unemployment". L'installazione di Josh Kline, arti-sta e curatore newyorkese che da anni riflette sugli effetti del capitalismo e dell'impatto della tecnologia sulla vita personale, si sviluppa in tre stanze. Nella prima, quasi buia, delle sfere di plastica sospese al soffitto contengono una serie di quelle scatole che normalmente sono usate, soprattutto negli uffici americani, per sgomberare la propria scrivania quando si è licenziati. Tuttavia, in questo caso, i contenitori sono pieni non di cancelleria, bensì di effetti personali-vestiti, giocattoli, fotografie-di ex impiegati, i cui nomi sono riportati sulle etichette delle scatole, incontrati da Kline nel corso delle sue ricerche per preparare l'opera. Nella seconda sala, la luce al neon è insieme fredda e accecante, straniante come i manichini iperrealistici-modellati sui volti, anche in questo caso, *1
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Carlo Capello AI MARGINI DEL LAVORO ombre corte | etnografie Un'antropologia della disoccupazione a Torino AI MARGINI DEL LAVORO Se la disoccupazione-uno dei principali problemi del nostro tempo-è spes-so al centro del dibattito... more
Carlo Capello AI MARGINI DEL LAVORO ombre corte | etnografie Un'antropologia della disoccupazione a Torino AI MARGINI DEL LAVORO Se la disoccupazione-uno dei principali problemi del nostro tempo-è spes-so al centro del dibattito pubblico, dei disoccupati si parla invece molto poco. E quando lo si fa, a prevalere è una rappresentazione che tende ad accusarli delle loro stesse difficoltà , a colpevolizzarli e a renderli invisibili. In opposizione a questo rappresentazione, il libro, che si basa su una prolun-gata ricerca sul campo a Torino, intende ridare voce ai disoccupati per com-prendere che cosa significa perdere il lavoro al tempo della deindustrializza-zione e della stagnazione economica globale. Dalle storie e dalle testimonian-ze qui raccolte, la figura del disoccupato si delinea, antropologicamente, come "liminale"-priva di status e di riconoscimento sociale oltre che di reddito, in attesa e alla ricerca di qualcosa, un vero lavoro, che sembra sempre più difficile da trovare. La condizione dei disoccupati si configura così come l'em-blema della Torino post-fordista-anch'essa priva di status e bloccata nell'at-tesa-e come l'incarnazione più piena delle contraddizioni del tardo capita-lismo neoliberista. Contro con ogni riduttiva lettura individualista del fenomeno, le parole e le storie delle persone incontrate sul campo ci ricordano che la disoccupazione è un vero "dramma sociale". Queste pagine sono un tentativo di narrare que-sto dramma e di afferrarne, grazie agli strumenti di un'antropologia critica e militante, tanto le dimensioni politico-economiche quanto quelle relazionali e simboliche. CARLO CAPELLO è Professore Associato di Antropologia culturale presso il Dipartimento di Filosofia e Scienze dell'Educazione dell'Università di Torino. Dopo essersi occupato di mi-grazioni transnazionali e delle concezioni culturali di persona, si dedica da alcuni anni a una lettura antropologica del capitalismo contemporaneo. Tra le sue pubblicazioni: Antro-pologia della persona (FrancoAngeli, 2016) e Torino. Un profilo etnografico (curato con Gio-vanni Semi, Meltemi, 2018).
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