Triennale Di Milano

Si pone in rilievo il ruolo di una rivista di disegno industriale, oggi design, nella storia dell'italiano contemporaneo. Fondata dall'architetto Alberto Rosselli nel 1954, la pubblicazione trimestrale e poi bimestrale, «Stile industria», accompagnerà per nove anni la crescita della società italiana del "boom" economico, dando una forma testuale e linguistica al dibattito intorno all’estetica della produzione in serie, e toccando nel contempo un insieme di fenomeni e processi riguardanti diversi strati della popolazione coinvolti nella produzione e nel consumo dei beni. La nuova realtà produttiva, che ha profondamente modificato la vita della società italiana condizionando a partire dagli anni Cinquanta gli usi e i costumi della quotidianità, ha trovato nella disciplina del design una delle manifestazioni più evidenti. Alla sua fisionomia di materia e tecnica e artistica corrispondeva appieno l’impostazione del periodico guidato da Rosselli. E così, nella scrittura "del" e "sul" design, le parole antiche, "forma" e "formale", "funzione", acquistano una nuova accezione circoscritta al lavoro del designer. All’epoca poco frequenti nella lingua d’uso, i termini che le affiancano, "funzionale" e "funzionalità", dal linguaggio tecnologico passeranno rapidamente in quello del commercio e della pubblicità, per fissarsi stabilmente nel lessico di settori diversi. A questi si aggiungono "efficienza" ed "estetica", l’antico "creativo" con il valore del tutto nuovo di ‘dotato di fantasia e inventiva’ e la neoformazione "creatività".

Nel panorama storico e artistico del dopoguerra italiano, il nome dell’artista milanese Umberto Milani (1912-1969) è stato spesso associato all’Espressionismo astratto e all’arte Informale.
Nel 1961, lo storico d’arte Francesco Arcangeli presentando una selezione di dipinti dell’artista proponeva per primo il paragone con Pollock. Il critico Francesco Porzio in risposta a questa definizione spiega nel catalogo della mostra antologica del 1979, a 10 anni dalla scomparsa di Milani, come l’artista sia agli antipodi dell’action painting: “assume cioè l’informale ex abrupto”. Nelle stesse parole di Palma Bucarelli, la quale si è occupata nel 1964 del trasferimento alla collezione della Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma (oggi La Galleria Nazionale) di due sculture in bronzo, entrambe esposte nella sala personale a lui dedicata nella XXXI Biennale del 1962 dopo il conseguimento del premio per la scultura,  descrive lo scultore come tra i “più sensibili alle suggestioni della poetica informale”.
Sebbene queste due definizioni, quella di Arcangeli e di Porzio, facciano riferimento alle pitture dell’artista, l’attività di Milani è nota alla storia per le opere scultoree.
Formatosi nella scuola milanese d’arti applicate del Castello Sforzesco, Milani inizia approdando al Primordialismo, per poi concentrarsi tra gli anni Trenta e Quaranta, in una ricerca plastica delle forme che lo vedrà abbracciare prima il cubismo, poi il costruttivismo fino ad arrivare alla scultura astratta.
Il confronto con l’Espressionismo Astratto risulta improprio per Milani a causa dell’assenza di contatti con gli artisti nordamericani; si attestano invece collaborazioni e scambi tra il ’54 e il ’55 con i gruppi alle origini dell’Informale (E. Crispolti, 1971): il MAC, i Nuclearisti, il Groupe Espace di André Bloc e la rivista parigina «Phases», diretta da Edouard Jaguer. Un ulteriore confronto con Lucio Fontana, con il quale condivide gli ambienti espositivi della Triennale del 1951, definisce l’opera scultorea di Milani in una più ampia concezione “spaziale”. Le installazioni ambientali delle successive Triennali, del ’54 e ’57, chiariscono nuovamente e definitivamente l’attività di Milani nel quadro dell’eclettismo critico dell’arte Informale.

Il testo pubblicato all'interno del libro "Italia 60/70
Una stagione dell’architettura" (a cura di M. Biraghi, G. Lo Ricco, S. Micheli, M. Viganò) ricostruisce il ruolo assunto dalla Triennale di Milano all'interno della cultura architettonica italiana degli anni Sessanta e Settanta.

Несмотря на то что искусство и архитектура 1920-1930-х гг., а в особенности «тоталитарное искус-ство» давно изучаются и как особое социально-культурное явление, и как собственно эстетический феномен, вопрос о контактах между двумя странами остается все еще малоизученным и часто сво-дится к выявлению схожих черт и тенденций в искусстве различных «режимов», сформировавшихся в странах Европы после Первой мировой войны. Задачами исследования являются выявление роли архи-тектуры в истории становления и сближения двух самых молодых европейских тоталитарных систем ХХ в.-фашизма и большевизма, демонстрация наличия контактов, их обстоятельств и специфики, проанализировать восприятие архитектуры СССР в Италии и взаимное влияние их архитектуры и ар-хитектурной полемики, а также обозначить масштаб взаимодействия программно противополож-ных и идеологически «враждующих» политических систем. Материалом исследования послужили ита-льянские и советские архитектурные журналы и газеты 1920-1940-х гг., каталоги выставок тех лет, мемуары путешественников, а также документы из российских и итальянских архивов. Ключевые слова: советская архитектура, архитектура авангарда, Италия, СССР, международные отношения, международные выставки, Россия и Запад. A. G. Vyazemtseva SOVIET ARCHITECTURE IN ITALY AND ITALIAN ARCHITECTURE IN USSR IN 1920-1930S: EXHIBITIONS, PUBLICATIONS, PROJECTS Even though the art and architecture between two wars, and in particular, those, developed under dictatorship, have been studied for a long time as a social, cultural and esthetic phenomenon, the question of the direct collaboration between Italian and Russian and Soviet art and architecture is still not sufficiently explored. In fact, the researches dedicated to the "totalitarian art" are mostly focused on the similarity of ideological targets, artistic languages and administration strategies. This article has the task to bring the light to the role of architecture in the process of rapprochement of two youngest totalitarian systems in Europe-fascist in Italy and Bolshevik in Russia-USSR, showing the interactions, peculiarities, through the analysis of the perception of the Soviet architecture in Italy and vice versa. It shows that this underexplored period was in fact a period of vivid mutual interest of two cultures that was a fruit of sincere curiosity of architects and professionals from both sides. Moreover, it investigates the importance of mutual influence of two culture, divided by political controversies. The present research is based on the documents from Italian and Russian archives, Soviet and Italian magazines, newspapers of the 1920-1930s, exhibition catalogues and travelers' memories.

Text in Italian and in English.
Attraverso un cospicuo nucleo di documenti, in gran parte inediti, conservati presso l'archivio del Museum Jorn di Silkeborg, il saggio mira a ricostruire e ad approfondire le ragioni del rapporto conflittuale tra l'artista danese Asger Jorn e l'architetto svizzero Max Bill, un rapporto cui fanno da sfondo la peculiare lettura di Jorn del pensiero architettonico di Le Corbusier e le profonde affinità elettive, qui per la prima volta analizzate, tra il corpus teorico e il modus operandi dell'artista danese e di Lucio Fontana.

The 15th edition of the Triennale di Milano, of which the artist Remo Brindisi was nominated chairman, was inaugurated in 1973. The project of the set up of Palazzo dell'Arte's foyer was entrusted to Milan based architect and designer Nanda Vigo, who was also involved – in the same period - in the construction of the Brindisi’s museum - house in Lido di Spina, a seaside spot near Comacchio (Ferrara).
This building was design for serving two purposes, hosting the painter's contemporary art collection and becoming a holiday home for his family. The presentation of this project, the relationship with the project of Nanda Vigo for the Triennale and its contextualization in the debate of the time, offer the opportunity to deal with themes that are still relevant today.

Carlo Mollino (1906-73) ha sempre mostrato un atteggiamento ambiguo nei confronti delle tecniche e dei processi di industrializzazione e standardizzazione dell'edilizia. Ciononostante, negli anni a cavallo della Seconda Guerra Mondiale, in alcuni progetti straordinari ha avuto l'occasione di riflettere sull'ambiente domestico quale guscio, monade, unità indivisibile che si realizza attraverso la progettazione e modificazione di mini-moduli, che possono dar luogo a configurazioni sempre diverse, tutt'altro che monotone.

Il 6 marzo del 1965 si inaugura in Palazzo Strozzi a Firenze l’esposizione di architettura La Casa abitata, promossa da un comitato nazionale sotto la direzione di Giovanni Michelucci, affiancato da Tommaso Ferraris, allora segretario della Giunta esecutiva della Triennale di Milano.

Alcuni dei protagonisti più significativi in ambito italiano – Luigi Moretti, i fratelli Castiglioni, Marco Zanuso e un giovane Vittorio Gregotti – sono posti a confronto con l’eccentricità della “scuola toscana”, rappresentata dagli allievi più brillanti dello stesso Michelucci. Concentrandosi sul decennio ’55 – ‘65, la tesi indaga le premesse e ricostruisce il dibattito sull’abitazione, rilevando tra le proposte più innovative e concrete, quella della Cellula per una casa minima, presentata da Leonardo Savioli. 

Savioli (1917-1982), allora all'apice della carriera, presenta a scala reale il progetto di una cellula prefabbricata, parzialmente componibile secondo la volontà dell’utente, grazie a un abaco di elementi architettonici mobili nei quali è integrato anche l’arredo. La cellula è ripetibile in serie all’interno della struttura di un organismo edilizio, che fa parte di un più grande progetto alla scala urbana. Con questo allestimento, Savioli dà il suo contributo al dibattito su urbanistica, architettura e oggetti di design industriale, indicando la disciplina dell'architettura come primario strumento di realizzazione della casa per l'uomo.

In 1951, on the occasion of the conference Divina Proporzione, organized during the 9th Milan Triennale, Giedion symbolically suggested: “breaking down the walls that prevent sounds from mixing freely to form an orchestra”. Held in a city still damaged by war, the symposium translated the need for intellectual and material reconstruction, suggesting the contamination of knowledge as a possible solution. At a time when architecture had to formulate a new proportion, structured to measure modern man, a “revolution in the art of exhibiting” was taking shape. Between the museum revolution and the reconsideration of the interior space, the combination of architects, artists, museum directors, and curators showed up in memorable exhibition solutions that marked the history of the exhibition design. Some of these collaborations, such as the one between Nanda Vigo and Lucio Fontana, outlined new design, conceptual and exhibition parameters. The article studies some of these collaborations within the socio-cultural framework of the time, questioning the artist/architect relationship as a critical device for interrogating new forms of historical re-reading and writing.

Centro di produzione culturale, luogo di incontro delle arti, di elaborazione ed esposizione del nuovo nel settore del progetto, la Triennale di Milano vive, all’indomani della Seconda Guerra Mondiale e dopo la stagione delle mostre della propaganda fascista, un capitolo significativo della sua storia, fatto di bilanci e proposte, slanci in avanti e momenti di ripensamento, che aprirà la strada verso quell’appropriazione dei linguaggi e significati dell’atto espositivo proprio del settore del progetto e  soprattutto di quello delle arti visive a partire dalla fine degli anni Cinquanta. In questo senso l’analisi delle mostre e degli allestimenti espositivi realizzati alla Triennale nell’arco cronologico che comprende la VIII, la IX e la X edizione (1947-1954) attraverso i documenti, in gran parte inediti, conservati nell’Archivio Storico della Triennale, permette di rintracciare gli snodi progettuali, le dinamiche, i metodi di lavoro e i problemi critici con cui gli intellettuali, i progettisti e gli artisti alla guida dell’ente milanese sono chiamati a confrontarsi.

Il contributo si pone come obiettivo la ricostruzione della donazione di ceramiche artistiche promossa dalla Fondazione Augusto Richard. La scoperta di numerosi documenti d’archivio ha permesso di far luce sulle provenienze e sulle datazioni di gran parte dei capolavori ceramici del Novecento, scelti durante le Triennali di Arti Decorative e Industriali, che sono entrati a far parte delle Civiche Raccolte di Arte Applicata del Castello Sforzesco di Milano come donazione di questa misteriosa Fondazione. Attraverso il confronto  delle informazioni, contenute nei vari registri dell’Archivio dei Musei del Castello, sono state riscoperte opere credute disperse, come un pregiato vaso in celadon, firmato da Gio Ponti.
Grazie a questo studio è stato possibile anche formulare delle nuove ipotesi sul luogo di conservazione delle ceramiche moderne, appartenenti alle Civiche Raccolte di Arte Applicata, durante gli anni Trenta del Novecento.

The essay aims to reconstruct the donation of the artistic ceramics, promoted by the Augusto Richard Foundation. The discovery of numerous archival documents revealed the provenances and dating of the twentieth-century ceramic masterpieces, selected during the Triennali of Decorative and Industrial Art, which have become part of the Civic Collection of Applied Art of Castello Sforzesco in Milan as a donation from this mysterious Foundation. Thanks to a detailed comparison of the information, preserved in the various registers of the Civic Art Collections Archive of the Castello Sforzesco Museums, some ceramics, believed lost, have been rediscovered, such as a prized celadon vase, designed by Gio Ponti.
Through this study it was also possible to formulate some new hypotheses about the place of preservation of modern ceramics during the 1930s.

La idealización de los valores del mundo rural, como contraposición a los problemas generados por la ciudad industrializada de comienzos del siglo, fue uno de los ejes de pensamiento fundamentales en el ventennio fascista (1922-1944). 1 En la primera década de gobierno, Mussolini volcó sus esfuerzos en imponer su dominio, convencer a las masas, mejorar determinadas infraestructuras, reformar instituciones y, sobre todo, eliminar todo tipo de disidencia. 2 Tras años de actividad política impulsiva y sin guías claras, a finales de la década de los 20 los ejes de actuación comenzaron a ordenarse. Entre los puntos clave que se definieron, a partir del Discorso dell'Ascensione en 1927, 3 destacó la creación de una nuova civiltà. Una elección ideológica que tuvo como referentes teóricos a Oswald Sprengler 4 y Gustave Le Bon, 5 entre otros, y que se fue reflejando progresivamente en las políticas del régimen durante la siguiente década.

At the Triennale di Milano in 1936, the architect Giuseppe Pagano curated the exhibition “Architettura rurale nel bacino del Mediterraneo” together with Werner Daniel. Pagano delved into this proposal through theoretical articles, mainly from his position as director of Casabella magazine, as well as with his own photography and architectural projects. He developed an idea of rural architecture as a community work, done by anonymous heroes as a reflection of the honesty and truth that the soil provides. He presented it as a first-rate aesthetic and rational exercise, connecting it directly with the functionalism of the most advanced architects of the Modern Movement, going beyond Mussolini's pre-established ideas. This paper recognizes the most revealing proposals of Pagano's praise of the rural and puts them in relation to government policies and to other recognitions of the rural architecture. Thus, it will be related to contemporary proposals developed by Josep Lluís Sert from Spain, and with those made in the following decades in such relevant exhibitions as “Architettura spontanea” curated by Giancarlo De Carlo and “Architecture without Architects” directed by Bernard Rudofsky

The paper scrutinizes the effects of 1968 student protests on architectural education and epistemology within the European and American contexts. It shows how the concepts of urban renewal and ‘nuova dimensione’ were progressively abandoned, shedding light on the differences of how the “real” was treated in the American and the Italian context and on the impact that the student protests had on the models of urban evolution.
Even if urban renewal discourse was still presiding in the United States, a group of students coming from the Department of City Planning of Yale University’s School of Art and Architecture, reacted against the extensive redevelopment of New Haven in the 1950s and 1960s, marshalling a critique of their university’s role in this top-down reconstruction. This response of Yale students is interpreted as a rejection of the dominance of the notion of “urban renewal”, which had a protagonist role within the north-American context of the mid- and late-sixties. The rejection of the very basis of urban renewal is related to the conviction that it was incompatible with any kind of socially effective architecture and urban design approach. Within such an ambiguous context, where the problem of urban conditions was protagonist, in 1968, Robert Venturi and Denise Scott Brown started teaching at Yale School of Art and Architecture a seminar titled “Learning from Las Vegas”.
In Italy, a network of significant events extending from the fight between the police and the students outside at Valle Giulia in Rome to the students’ occupation of the 15th Triennale di Milano in 1968, and “Utopia e/o Rivoluzione” at the Politecnico di Torino in 1969, triggered the rejection of the concept of ‘nuova dimensione’  in favor of the rediscovery of reality’s immediacy, the ‘locus’ and the civic dimension of the architects’ role. The objective is to demonstrate the complexity of the reorientations that took place in both contexts, taking into consideration, not only the student protests, but also other significant episodes, such as the Civil Rights Act of 1968 and the Vietnam War protests. Special attention is paid to the impact of these episodes on the understanding of architects’ task and the curriculum of the schools of architecture. Special attention is paid to the six weeks student protests at Columbia University and the intention to respond to the fulfilment of needs related to the welfare of the society as a whole and the responsibility to provide equal housing opportunities and equal access to public amenities regardless of race, religion, or national origin.

Milano si prepara all’Expo. La sovraesposizione mediatica a cui da mesi è sottoposta ha riportato all’ordine del giorno il problema della sua identità. Come presentarsi al mondo? Quale faccia mostrare? Quale idea di città? Ciò che è diventata riflette la sua vera anima? Costruita sull’assunto che «il cambiamento è virtù che in alcuni passaggi l’ha resa grande», la mostra appena conclusa “Milano Mai Vista” (Triennale, 27 gennaio – 22 febbraio 2015), presentata come «indagine sull’inconscio architettonico e urbanistico di Milano, capace di far affiorare un “rimosso” pieno di opportunità e di offrirlo alla reinterpretazione con gli occhi del presente e le richieste del futuro», ha cercato – pioniera tra le iniziative culturali – di dare una risposta ai quesiti iniziali riflettendo sulle trasformazioni della città, reali o immaginate.

FROM THE EDITORS:

"UNIVERSITAS / UNIVERSITIES
Architecture Schools in the World
23 June — 12 September 2016

Over the last two centuries, the building designed to house Schools of Architecture have often been driven by a specific ambition, beyond the customary aim of providing facilities adequate for their functions: the desire to teach a lesson of architecture through their own image and spatial organization. From the historic Bauakademie of Schinkel in Berlin to the recent Abedian School of Architecture by CRAB in Gold Coast, Australia, by way of the Crown Hall by Mies van der Rohe in Chicago and the FAUP by Álvaro Siza in Porto, to name just a few, what clearly emerges is the intention to instruct through the construction of a school.

A teaching that finds precise correspondences and concrete materializations in the spaces of higher education linked to the architectural disciplines: design ateliers, model making workshops, exhibition spaces. The correspondence between buildings and educational programs, a source of pride for Mies van der Rohe in the case of the IIT campus, may not make the architecture of schools actually “speak,” as Ledoux intended, but it certainly makes it eloquent.

XXI Triennale International Exhibition Milan 2016

2 April — 12 September

21st Century.
Design After Design

Universitas / Universities.
Architecture Schools in the World

Marco Biraghi
Orsina Simona Pierini

21st Century.
Design After Design"

Triennale di Milano e Triennale Design Museum aprono uno spazio dedicato al design alla Reggia di Monza, Lavazza mostra il suo calendario 2015 firmato McCurry, Terna annuncia i vincitori della sesta edizione del suo Premio, AEM mette in mostra la sua energia, la XIII settimana della Cultura d’Impresa presenta il suo programma, Campari si affida alla street art, ADI dedica il suo Compasso d’Oro alle tematiche dell’Expo.

Con le postcards settimanali dal mondo. Intesa Sanpaolo rende il pubblico delle sue Gallerie milanesi Curator for a Day, le Imprese maestre in textile design in mostra alla Triennale, Fondazione Furla trasferisce il suo Premio a Milano, KME espone il rame nelle sue molteplici applicazioni, le aziende che hanno fatto la storia della comunicazione in un festival ad hoc a Camogli, la nuova maison Hermes a Shanghai, il Prix del Gruppo Pictet espone i finalisti della sua quinta edizione, al via le candidature per il premio di Terna Spa.

Since the end of 1950s Pietro Derossi  has kept an approach to architecture which can be defined practical and theoretical, material and mental, concrete and abstract. His ability in penetrating the architectural matter was born exactly from this attitude, consequently he adheres constantly to reality and is capable of calling it into question continuously.
In this volume his essays have been gathered up for the first time; he deals with the most concrete themes of the architect, his relationship with customers, the urban context, the materiality of the building, the confrontation with the fruitioners. For this, these writings are addressed to everyone who loves architecture and considers it as something complex, stratified, intimately contradictory.
Derossi has designed residential buildings, private houses, offices and schools; he has put into relation art and space in settings-up of exhibitions and museums, he has also designed restaurants, discos and many objects. In his work, Pietro Derossi has always dialogued with the hermeneuthical philosophy but he has never idealised anything, neither thoughts nor buildings. On the contrary, he resorts to irony, both in his designs and writings and looks at things from a different point of view, trying to overthrow or at least innovate their meaning. It is exactly through this device that  Derossi is able to transmit to the reader the most precious object, his enthusiasm for the architecture.
The book tells the story of his life-long experience and is a sort of non conventional anti-dogmatic guide full of ideas, to teach architects the difficult job of designing. It is not by chance that  architecture rhymes with adventure, as stated by the author in the title itself.

Milano si prepara all’Expo. La sovraesposizione mediatica a cui da mesi è sottoposta ha riportato all’ordine del giorno il problema della sua identità. Come presentarsi al mondo? Quale faccia mostrare? Quale idea di città? Ciò che è diventata riflette la sua vera anima? Costruita sull’assunto che «il cambiamento è virtù che in alcuni passaggi l’ha resa grande», la mostra appena conclusa “Milano Mai Vista” (Triennale, 27 gennaio – 22 febbraio 2015), presentata come «indagine sull’inconscio architettonico e urbanistico di Milano, capace di far affiorare un “rimosso” pieno di opportunità e di offrirlo alla reinterpretazione con gli occhi del presente e le richieste del futuro», ha cercato – pioniera tra le iniziative culturali – di dare una risposta ai quesiti iniziali riflettendo sulle trasformazioni della città, reali o immaginate.

The XIII Triennale, inaugurated in Milan in 1964 and dedicated to the theme of “free time”, staged a pitiless criticism of the human condition in the capitalist system. The exhibition focuses on «the discussion on the quality of our “leisure”, in its historical formation and stratification».
The attempt is to show its visitors the deception of leisure and denounce the bad habits which tie free time to the cultural industry, and it centers specifically on the imposition, through the creation of myths, of a mode of production based on standardization, with the ensuing transformation of each user into a consumer and of leisure into merchandise.
Although the issue is primarily sociological, it is a subject of deep relevance and already a field of experimentation in architecture. Time freed from work needs structures and specific spaces, and it acquires from the start the same socially standardizing nature as the two main categories of modern anthropological discourse: work life and home life.
Since Cedric Price's Fun Palace (1960-65), a proper «mechanized homo ludens sanctuary», architects begin to explore - often critically - the potential of the leisure machine at a time when leisure is becoming one of the most powerful market drivers in developed capitalist societies.
1966 is the year in which the rising radical thinking starts focusing primarily on this issue: Andrea Branzi graduates with a project for an amusement park in Prato; after the success of the Piper club in Rome, in the same year Pietro Derossi takes on the design of its Turin and Rimini counterparts; 1966 is also the year in which Massimo Morozzi designs the cultural center inside the Emperor's Castle in Prato. One year later Superstudio, with Toraldo di Francia, imagines a «machine for holidays» in Tropea, an "artificial paradise" where a regulated microclimate is kept by controlling the natural elements.
The radical research on the topic of leisure time continues for several years, showing the central importance of the issue even within the Marxist readings that articulate their criticism around free time as time of consumption, and comes to maturity in the early Seventies in Ettore Sottsass’ The Planet as Festival.
Though in such speculations, leisure was again conceived as another kind of productive activity, its times and places still kept their specificity, as being clearly separated from times and places of actual production - the so-called “working hours” and “work places”.
Can we still talk today about «free time» as clearly separated from labour? Can these two functions still be associated to specific spatial configurations? As the time devoted to production seems to acquire more flexibility, its new “liquid” state is harder to contain in defined hours and in specific places. Work begins to surface in places of leisure, and vice-versa. Places like the Rolex Learning Center or the Google Campus seem to promote a new kind of “free space”, and a new conception of free time, that are worth being investigated. The debate opened by the XIII Triennale echoes to the present day, asking for its actualisation.

Buildings and urban construction are understood in this paper as representations of the city. Their meanings, however, are often invisible, positing unrealized urban visions, which are both imbedded in and which call up chains of associations expressing desires and fears. Narratives of what the city should be often contain the rejection of the existing urban situation. Understanding architectural objects as potential underscores their imaginary nature. Freud, for example, uses the Roman ruins in Civilization and its Discontents (1929) as a means to imagine stages of history. Yet, meanings of the new can also be covered over and layered. Milan is a city with fragments of the new, which once projected an ideal urban space into the future. The potentiality of Milan’s postwar urban objects is analyzed in relationship to narratives of the city and insertion is framed as an imagining into the city.