Painting and Arts In Lombardy From 15th to 18th Century

La quarta esposizione del ciclo “Brera mai vista” (Milano, Pinacoteca di Brera, sala XXXIV, ottobre - dicembre 2002) ha presentato alcuni dei 61 bellissimi studi ad olio su carta del pittore milanese Francesco Londonio, entrati a far parte del patrimonio artistico dell'Accademia di Belle Arti nel 1836 grazie al lascito del nipote del pittore, Carlo Londonio.
La mostra ha offerto l’occasione di investigare alla luce di fonti e documenti inediti tanto la clientela di Londonio, anche sotto il profilo sociale e culturale, quanto la sua fortuna ottocentesca, ricucendo gli itinerari seguiti dal patrimonio di olii e incisioni lasciato in eredità dall’artista, di cui faceva parte il nucleo pervenuto alla Braidense. 
Dal catalogo emerge uno spaccato di interesse interdisciplinare sulla committenza e il collezionismo milanesi della stagione illuminista, dove Londonio si rivela il fulcro di un vivace crocevia di mercanti, letterati e collezionisti del Grand Tour.
In calce al catalogo si pubblica la prima genealogia della famiglia Londonio, ricostruita interamente sulla base di ricerche d’archivio di prima mano.

NOTA
Il libro ha due autrici: Cristina Geddo e Simonetta Coppa. Sono qui pubblicati solo i capitoli scritti e firmati da Geddo :
- "Intorno a 'Fran.co Londonio pittore'. Nuovi documenti sulla famiglia, l’artista e la sua eredità" (pp. 33-43, figg. 23-32);
- "Tavola geneaologica Londonio" (pp. 45-47).


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Si pubblicano qui le 26 immagini di corredo all'articolo precedente senza filigrana, per consentirne una migliore lettura da parte degli studiosi.
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The enigmatical and wellknown episode of the double portrait of archibishop Archinto - paintings at the Metropolitan Museum of Art in New York and at the Philadelphia Museum of Art - can be considered the most astonishing case of Milanese aristocracy patronage towards Titian. Starting from this famous case study, the investigation deals with the different aspects of acquiring and displaying artworks by masters born during the “Golden Age” of the Most Serene Republic of Venice in the collections of the most important noble families of the Stato di Milano. The connection with the appreciation of this great artists at the Habsburg court of Madrid is evident, but it can be considered as a long lasting and remarkable phenomenon in Lombardy.

Percorrendo sentieri poco battuti, lo studio si concentra su opere, aspetti o artisti sconosciuti o trascurati, ma tutt’altro che insignificanti, nell’ambito della straordinaria produzione pittorica fiorita sulla figura di CARLO BORROMEO tra MILANO e il NOVARESE nel corso dei due secoli successivi alla canonizzazione del 1610.
Dall'osmosi culturale tra le diocesi di Milano e Novara, rette dagli eredi di san Carlo Federico Borromeo e Carlo Bascapè, escono i "San Carlo" dei grandi protagonisti del Seicento lombardo, ma anche opere minori come l’ex pala dell’altare di San Carlo della chiesa di Casalbeltrame, nella Bassa Novarese, offerta in voto dalla comunità per la cessazione della peste del 1630, assegnabile al moncalvesco CARLO CANE, o l’inedita "Visitazione con san Carlo" di collezione privata novarese qui attribuita a GIOVANNI MARIA ARDUINO.
Al novero degli artisti che operano tra i due poli su tematiche di soggetto carliano appartengono lo stesso CERANO e il prete pittore MARCO ANTONIO CALDARONE (1661-1728). Del Cerano si propone il drammatico "San Carlo in meditazione davanti al Cristo morto di Varallo" oggi al Prado, che l'autrice ha per prima identificato nella collezione del marchese de la Hinojosa Juan de Mendoza, governatore spagnolo di Milano negli anni 1612-1616. Al Caldarone, invece, si confermano il "San Carlo che comunica gli appestati" e la "Corona di angioletti" che incornicia il miracoloso "San Carlo" della collegiata di Pallanza (Verbania).
Il nucleo centrale del contributo è imperniato sulla ricostruzione del profilo artistico e biografico di questo pittore poco noto, riemerso grazie ad una minuziosa indagine d'archivio. L'esiguo catalogo del Caldarone, nato a Luino e attivo tra Milano e le sponde piemontese e lombarda del lago Maggiore, è ampliato con l'aggiunta dell'inedita pala della chiesa del Carmine di Luino, dell’"Addolorata" Durini del Castello Sforzesco di Milano e soprattutto dell‘imponente  serie di 41 ritratti dei "Santi arcivescovi di Milano" del Museo Diocesano , donata alla Mensa Arcivescovile il 15 gennaio 1737 dal cardinale Benedetto Erba Odescalchi: Nonostante ripetuti tentativia, la serie del Museo Diocesano non aveva ancora trovato una paternità convincente. L’attribuzione al Caldarone, basata su stringenti connessioni stilistiche e tipologiche con le opere di Pallanza e Maccagno, è corroborata dal rapporto diretto tra il pittore e l’arcivescovo di Milano (in carica negli anni 1714-1736), che nel 1719 nomina il Caldarone mazzeconico del duomo di Milano e nel 1726 lo paga per la perizia di una pala. La commissione dovette essere mediata dall’erudito della Valtravaglia Giuseppe Vagliano, conterraneo del pittore, autore del "Sommario delle vite ed azioni degli Arcivescovi di Milano", edito nel 1715 con dedica all’Odescalchi, principale fonte letteraria della serie degli "Arcivescovi santi".
L’Odescalchi, che si ispirò al modello pastorale del Borromeo, diffuse nei seminari immagini di "San Carlo in meditazione sul crocefisso", come quella di collezione privata qui riconosciuta come prima testimonianza visiva della collaborazione asserita dalle fonti tra ANTONIO LUCINI e ALESSANDRO MAGNASCO, autore del crocefisso. Quest'opera, situabile entro il 1715, segna il passaggio dall’ardente misticismo del Seicento lombardo a un’immagine più composta, che preannuncia secondo l'autrice la “Regolata divozione” di Ludovico Antonio Muratori.
Al Lucini sono qui assegnati altri quattro ritratti della serie di "Vescovi oblati" della Congregazione dei santi Ambrogio e Carlo di Rho oggi all’Ambrosiana, di cui uno firmato "A. Lucino", tutti inclusi tra gli anonimi nel catalogo scientifico della Pinacoteca.


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The book publishes the acts of a colloque held in 2008 about the influence of serial models, as engravings or plaquettes, on art in Lombardy in Mantegna's age. Scholars and curators of museums show very different examples of influences in very different kinds of artistic techniques.

The architectural typology of the gallery in Lombardy during the Spanish and Austrian ages is attested by very different examples, for decoration, structure, function, scarcely investigated except for individual cases. The reference model from the second half of the 16th century is offered by the Museum of Paolo Giovio in Borgovico di Como, of which at least three significant replicas are known in Lombardy: the series of portraits in the Pinacoteca Ambrosiana, founded at the beginning of the 17th century by the cardinal Federico Borromeo, the small “museum” of the Pavese scholar Girolamo Bossi and the great gallery of the Litta castle in Gambolò (Pavia). The latter case is the starting point for a reflection on the forms and functions of the 17th-century gallery in Lombardy, compared to other examples of spaces dedicated to collecting and with other cases of dynastic celebration always linked to the Paolo Giovio’s prototype. In 17th and 18th century the forms of Baroque celebratory rhetoric leave room in favour of scholarly recoveries or refined decorative arrangements, while at the end of the 18th century the patronage will lead to an extreme attempt at the revival of the Paolo Giovio’s Museo in an illuminist key and to a more pronounced sensibility as connoisseurs.

The paper examines the artistic relations between Lombardy and Ligura in Seventeenth and Eighteenth centuries in the field of marble sculpture and wood carving. It analyzes the type of the altar in form of tabernacle, in polychrome marble, and its spread in Lombardy by the Genoese artists "della Nazione lombarda" as Tomaso Orsolino and Tomaso Carlone. It attaches to the workshop of Tomaso Carlone the inedited altar of the sanctuary of Boschetto in Dorno (Pavia). It reports new attributions for Tomaso Orsolino in the cathedral of Pavia (Bishop Sfondrati's bust) and it clarifies the closing stages of the altar of Suffrage in Eighteenth century . Finally it attributes to Giovan Battista Bissone the dramatic wooden Crucifix in the church of Carpignago di Giussago, near the Certosa di Pavia.

Surveys the careers of the marchese Pagani and the painter Paolo Pagani, and studies the relationship between the two; presents evidence from the marchese’s will of 30 April 1706 and other documents concerning his patronage of the painter; also reports on the marchese’s residence in Milan and his collection of over 500 paintings, which included at least eight works by Pagani.

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(ITALIANO)
La monografia sul mecenate milanese Angelo Maria Durini (1725-1796), pubblicata a distanza di un secolo dal saggio di Marchesi (1904), si apre con la genealogia dei conti di Monza e con un ampio capitolo introduttivo dedicato alla famiglia del protagonista.
Di origine comasca, i Durini sono l’emblema della nuova nobiltà che garantì il ricambio del patriziato milanese compiendo la scalata sociale nella Milano spagnola e asburgica grazie alla fortuna accumulata con il commercio di tessuti e il banco. Lo studio ricostruisce l’attività di collezionisti e mecenati dei membri della famiglia nell’arco di quattro generazioni, attribuendole un ruolo fondamentale nella promozione del Barocco e del Barocchetto lombardi. L’iniziativa artistica dei Durini, distribuita tra i poli di Milano e di Monza, feudo Durini dal 1648, si esplica con particolare magnificenza nel palazzo milanese di via Durini – con l’annessa collezione ricca di opere del Seicento lombardo, parzialmente confluita nelle Civiche Raccolte del Castello Sforzesco di Milano –, nella cappella gentilizia della chiesa francescana di Sant’Angelo e nella villa monzese del Mirabello. Tre snodi imprescindibili, qui analizzati compiutamente per la prima volta e collegati ai documenti esumati da un’esplorazione sistematica dell’archivio privato della famiglia.
Eroe carismatico di un’ode di Parini (“La gratitudine”) e dedicatario di innumerevoli rime di Balestrieri, il cardinale Angelo Maria Durini è riscoperto in questa monografia come un protagonista irresistibile della vita politica e culturale di un’Europa in trasformazione. Da Parigi a Malta, da Varsavia ad Avignone, lo studio ripercorre la carriera diplomatica del prelato coronata dal cardinalato (1776) e sancisce il ruolo di primo piano giocato dal suo mecenatismo nella cultura lombarda della matura stagione dei Lumi, alla luce di una messe di fonti documentarie, letterarie e visive.
Durini è l’uomo dei paradossi: in lui convivono l’avversario accanito di Voltaire e Stanislao Augusto, il nunzio ribelle paladino dei patrioti polacchi, il latinista irriducibile e il cultore del dialetto, il mecenate illuminato dei Lumi lombardi e il primo a celebrarli con un moderno pantheon degli "Uomini illustri" contemporanei.
Nelle sue ville di Monza e del lago di Como (Mirabello e Mirabellino, Balbiano e Balbianello), che accolgono le istanze razionaliste e preromantiche del più aggiornato gusto internazionale, il cardinale raduna l’intelligenza e la cultura lombarda, rianimando l’estinta Accademia dei Trasformati e offrendo il suo generoso patrocinio ai poeti Parini e Balestrieri, rappresentanti del nuovo Parnaso milanese in lingua e in dialetto, al latinista Guido Ferrari, esponente di un neoumanesimo gesuita, e perfino al “philosophe” Pietro Verri, caposcuola della fronda laica e radicale dell’“École de Milan”. Il mecenate delle arti appare così complementare al mecenate delle lettere, entrambe espressioni di una personalità impetuosa e ammaliante, capace di comporre vecchio e nuovo senza riuscire incoerente.
Il volume, presentato da Mauro Natale e Juliusz A. Chroscicki, è corredato da quattro Appendici, che radunano un’ampia selezione di testi e documenti inediti, di interesse sia artistico, che storico e letterario. I testi poetici in latino e in milanese sono tradotti in italiano da Felice Milani.
L’Indice dei nomi costituisce uno strumento basilare per la consultazione analitica del testo.

(FRANÇAIS)
Le mécène milanais Angelo Maria Durini, héros irrésistible et charismatique d’une ode célèbre de Parini, est redécouvert dans cette monographie comme un protagoniste de la vie politique et culturelle d’une Europe en pleine transformation. De Paris à Varsovie, le travail reconstitue la carrière diplomatique du prélat couronnée par le cardinalat (1776), et rétablit le rôle de premier plan joué par ce mécène dans la culture lombarde de l’époque des Lumières, à l’aide des sources documentaires, littéraires et visuelles.
Dans ses villas de rêve de Monza et du lac de Côme le cardinal abrite le nouveau parnasse milanais, dominé par Parini et Balestrieri, ainsi que par le latiniste Guido Ferrari et le « philosophe » Pietro Verri. Il est le premier qui les honore avec un moderne panthéon des hommes illustres contemporaines. Le mécène des arts apparaît donc complémentaire au mécène des lettres, mettant en lumière un personnage passionné, à la fois hors de la norme et représentatif de son temps.
Durini est un homme de paradoxes: d’un côté, le conservateur à outrance, le cardinal fastueux et aristocrate, l’adversaire acharné de Voltaire et de Stanislas-Auguste, l’humaniste, l’arcadien latin; de l’autre, le nonce rebelle défenseur des patriotes polonais, l’amateur du dialecte, et finalement le mécène éclairé des Lumières lombardes. Il ne suffit pas d’interpréter ces ambivalences comme le reflet d’une époque de changements : le cardinal Durini nous oblige à remettre en question la vision manichéenne du siècle des Lumières.
Le volume est enrichi de 4 annexes de documents inédits, d’intérêt artistique, historique-diplomatique et littéraire (y figurent des textes de Durini, Balestrieri, Giovio, Verri et Voltaire).

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"LUIGI SCARAMUCCIA: BIOGRAFIA".
Prima voce biografica moderna sul pittore Luigi Scaramuccia detto il Perugino (Perugia, 1616 - Milano, 1680), basata tanto sulle fonti antiche e recenti, quanto sui documenti d’archivio. I nuovi ritrovamenti attestano per la prima volta l’artista a Milano domiciliato in parrocchia di San Nazzaro Maggiore dal 1658 al 1680, la nascita di tre figlie, un rapporto con il noto pittore di prospettive Bernardo Racchetti, rendendo noto anche l'atto morte. Inoltre, si segnalano nuove opere dell'artista registrate  negli inventari di collezioni milanesi del Sei e Settecento.
Pittore di formazione emiliano-romana (allievo di Reni, Lanfranco e Guercino) e amico del Cairo, lo Scaramuccia va considerato uno degli artisti più colti e affascinanti dell’ambiente artistico lombardo. A Milano trascorse  l’ultimo trentennio di vita, inframmezzato da viaggi, operando per la più prestigiosa committenza pubblica e privata italiana e spagnola. 

"LUIGI SCARAMUCCIA: CRISTO FLAGELLATO".
L’"Incoronazione di spine" e la "Flagellazione" collocate nel presbiterio nel santuario della Pietà di Cannobio nell'alto Verbano  – opere ignorate dalla critica e di difficile attribuzione, anche a causa del cattivo stato di conservazione  – sono qui  pubblicate e assegnate a Luigi Scaramuccia per la prima volta, sulla base di un’attenta indagine stilistica che ha dissipato ogni dubbio sulla loro paternità. L’autrice vi individua rimandi non solo ad opere milanesi dello Scaramuccia, ma anche alla ricca e composita cultura figurativa di matrice accademica dell’artista quale emerge dalle sue "Finezze de’ pennelli italiani" (1674), con richiami puntuali al Guercino, al Caravaggio romano, al Ribera napoletano e all'"Incoronazione di spine" del Tiziano oggi  Louvre, ma all'epoca conservata a Milano in Santa Maria delle Grazie.
Al catalogo dello Scaramuccia è aggiunta anche un'altra "Flagellazione", conservata nella chiesa di San Salvatore a Como con attribuzione ai fratelli Recchi, e databile verso il 1668, datazione estesa all'analoga versione di Cannobio. 
Documenti inediti, rintracciati successivamente, hanno convalidato l'attribuzione dell'autrice (vedi D. Gnemmi, "Appunti d’arte per un santuario", in "Bollettino Storico per la Provincia di Novara”, a. LXXXIX, 1998, n. 1, pp. 299-300). I libri mastri della confraternita della Pietà che reggeva il santuario di Cannobio, infatti, registrano pagamenti indirizzati proprio a “Luigi Perugino”, che riceve acconti per l’esecuzione dei due quadroni nel 1657. L’"Incoronazione di spine" è saldata il 18 maggio 1661, mentre la "Flagellazione", alla quale il pittore lavorava nel 1667, è saldata il 16 aprile 1668, a conferma dell'ipotesi cronologica qui avanzata.

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Il contributo analizza le presenze lombarde della galleria di pitture del ministro plenipotenziario di Maria Teresa a Milano, conte Carlo Firmian, politico e diplomatico di rango e uomo di insaziabili curiosità culturali, che ne fanno uno dei grandi collezionisti dell'Europa illuminista. In questo contesto riveste un ruolo di prim'ordine il filone leonardesco, stimolato dal noto Venanzio de Pagave, dominato da una "Leda stante" attribuita dal de Pagave allo stesso Leonardo e qui ipoteticamente identificata con la copia della collezione Johnson del Philadelphia Museum of Art. Firmian possedeva, inoltre, una "Maddalena" attribuita a Luini qui identificata con la bellissima penitente di Giampietrino in collezione padovana, e la famosa "Madonna di Menaggio" di Luini oggi al Louvre, di cui si ricostruisce l'itinerario collezionistico. Tra le opere del Seicento lombardo, si segnalano un'importante allegoria politica del tardo Giulio Cesare Procaccini, "La pace che frena la Guerra" oggi al Louvre, rintracciata nella collezione milanese settecentesca del "Questore Olivazzi", e tre quadri del Cairo barocco. L'''"Artemisia" è approdata alla Pinacoteca Civica di Pavia, mentre il "Tobia e Tobi" è qui identificato con quello commissionato all'artista nel 1657 dai milanesi fratelli Porro.
Appassionato di paesaggi e vedute, Firmian colleziona anche una coppia di fantastiche "Grotte marine con pastori e pescatori", già identificate dall'autrice con i due discussi pendants divisi tra il Museo di Belle Arti di Budapest e una collezione privata. Secondo la tesi qui argomentata, le due "Grotte" Firmian sarebbero state dipinte a Firenze intorno al 1705 da Alessandro Magnasco in collaborazione con il paesista e animalista tedesco attivo a Roma Philipp Peter Roos detto Rosa da Tivoli, e costituirebbero una preziosa testimonianza del soggiorno fiorentino del Roos, finora ignoto agli studi.

NOTA: Nel ben noto catalogo della mostra di Magnasco del 1996, l'autrice ha segnalato il testamento e l’inventario post mortem di Firmian con il "Catalogo delle Pitture, e Sculture" della sua collezione (1782 e '83), sconosciuti agli studi e da lei rintracciati nel fondo Notarile dell'Archivio di Stato di Milano. Questa preziosa scoperta è stata oggetto di una miserabile rapina, compiuta sotto gli occhi di tutti.

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Sulla base degli inventari post mortem del conte Giacomo I Durini (1708) e del figlio Giovan Battista II (1734), scoperti dall’autrice all’Archivio di Stato di Milano e qui pubblicati, è stato possibile identificare un numero considerevole di opere oggi disperse tra musei, in particolare le Raccolte d’Arte del Castello Sforzesco di Milano, e collezioni private. La collezione Durini, stratificata da tre generazioni, era composta principalmente da dipinti di epoca barocca e barocchetta, a cui si affiancava un’importante arazzeria fiamminga. Essa rivela il trend delle collezioni della nobiltà milanese dell’epoca, con una spinta dinamica verso le più innovative tendenze del gusto propria della nuova "nobiltà di denaro" favorita dalla Lombardia spagnola, poiché la famiglia Durini acquistò il feudo di Monza nel 1648. Allo studio della collezione si affianca quello del ruolo rivestito dai Durini come collezionisti e promotori d’arte tra la metà del Seicento e l’inizio del Settecento, visualizzato dalla cappella gentilizia nella chiesa di Sant’Angelo a Milano e dai cicli di affreschi a tema profano del palazzo di Milano, fondato da Giovan Battista I, e della villa Mirabello a Monza di Giuseppe Durini, dove emergono i nomi dei maggiori architetti e artisti milanesi dell’epoca.
Gli inventari sono annotati e pubblicati in appendice, corredati da una genealogia della famiglia Durini, una tavola delle concordanze tra i due inventari, un indice degli artisti inventariati.

AGGIORNAMENTO
Lo studio è stato integrato, ampliato e aggiornato nel capitolo “I Durini mecenati e collezionisti dal Barocco all’età dei Lumi” del volume monografico “Il cardinale Angelo Maria Durini (1725-1796). Un mecenate lombardo nell’Europa dei Lumi fra arte, lettere e diplomazia”, Cinisello Balsamo 2010, pp. 29-91, figg. 2-76, tavv. I-XVIII. 
La genealogia Durini è stata riveduta e ampliata nello stesso volume, pp. 23-28 (vedi sotto). 
Il tema è stato riepilogato e ulteriormente aggiornato nella voce “Durini (famiglia)”, in “Duomo di Monza. Dizionario”, direzione scientifica di R. Cassanelli et alii, Monza 2020, pp. 206-218 (vedi sotto).

ENGLISH
“Collectors and patrons in Milan between the 17th and 18th centuries: the Durini, counts of Monza”.
The inventories of the collection of count Giacomo I Durini (1708) and his son Giovan Battista II (1734), found by the author in the State Archives of Milan, are published here. On their basis, several works now astray in museums and private collections are recognized. The collection mainly included works of masters of the Baroque period and shows the characteristic trends of the collections of the Milanese nobility of that period. The analysis of the collection is accompanied by the study of the role of the Durini family as collectors, the promotion of pictorial cycles in their palace in Milan, and in their villa Mirabello in the park of Monza.

FRANÇAIS
« Collectionneurs et mécènes à Milan entre les XVIIe et XVIIIe siècles : les Durini comtes de Monza ».
A l’appui des inventaires après décès du comte Giacomo I Durini (1708) et de son fils Giovan Battista II (1734) qui sont ici publiés, découverts par l’auteur aux Archives nationales de Milan, il a été possible d’identifier un nombre considérable d’œuvres aujourd’hui dispersées dans des musées , en particulier celui du Château des Sforza à Milan, et collections privées. La collection était essentiellement formée de peintures de la période baroque et baroque tardive et révèle en cela les tendances des collections de la noblesse milanaise à cette époque. L’étude de la collection s’accompagne de celle du rôle de la famille Durini en tant que collectionneurs et de commanditaires de cycles peints dans leur palais de Milan et dans leur villa Mirabello à Monza. Les documents sont publiés en appendice, accompagnés d’une généalogie de la famille Durini, d’une table de concordance entre les deux inventaires, d’une liste des artistes mentionnés dans ces inventaires.

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The paper reconstructs the production of Michele Ferabosco from 1750 to 1773. Ferabosco belongs to the late Baroque season; his production mainly includes devotional works but also secular subjects such as allegorical figures for the Theater of Pavia by Antonio Galli Bibiena. The second part of the article analyses the sculptor Giuseppe Sala, already known for his activity in Pavia and in Lomellina; the master's catalogue is increased with the attribution of works in Piedmont and Switzerland.

The precision with which ancient sources attribute to Camillo Procaccini the paintings originally located in the church of the Milanese College has so far not met with a correspondingly punctual examination of the works and their critical history. The corpus of paintings includes an Annunciation which, unlike the other works (a Birth of the Virgin and a Saint Michael the Archangel), appears to have escaped both ancient and modern contemplation. What emerges from the story of the Guastalla paintings is a real quid pro quo of the printed sources which attribute beyond any doubt the Birth of the Virgin to the “excellent brush of Procaccino”, an ascription remaining identical until well into the 19th century. If for the first two works it is possible to admit they were done in a workshop, or at most are derived from ideas of the master, the Annunciation shows a higher qualitative level diverging from the other paintings and militating in favour of its full authorship. A series of comparisons come to our aid here, since the subject, treated countless times by Camillo, constitutes a wide repertory to draw from.

The Cassinas, wood sculptors, were originally from Cernobbio and had a workshop in Casale Monferrato. The two known exponents were Paolo Felice and Severino Felice. The workshop's activity extended over a large geographical area between Piedmont and Lombardy. The author reconstructs the catalogue of works, which includes the Madonna of the Rosary in Rosasco, Lomellina, signed by Severino Felice. She also points out the 18th-century Madonna in the church of the Madonna dei Sette Dolori in Vigevano, a work of Roman derivation that in a certain way recalls Severino’s works.

La voce ricapitola la storia della famiglia Durini, feudataria di Monza dal 1648 al 1796, dalle origini fino al secolo XIX, prestando particolare attenzione alla strategia politica e culturale che guidò i membri della casata durante il secolo e mezzo della loro signoria.
Riemerge quindi l'alto profilo dei Durini collezionisti e mecenati tra Monza e Milano, che coinvolse non solo la città e il territorio, puntellati da un sistema di residenze urbane e suburbane di grande rilievo architettonico, ma anche il duomo di Monza. A quest'ultimo furono infatti destinati alla fine del Seicento il magnifico quadrone di Sebastiano Ricci raffigurante la "Fondazione della basilica di Monza", che inaugurò il ciclo con le "Storie della regina Teodolinda e della Corona ferrea", e un gran numero di pregiatissime suppellettili e paramenti liturgici.
Il quadrone fu donato nel 1697 da Giacomo II Durini (1647-1707), mentre le preziose oreficerie, di cui sopravvive solo l'Ostensorio di Antonio Grossi del 1688 (Museo e Tesoro del Duomo), sono connesse alla figura di Carlo Francesco I Durini (1634-1694), pio mecenate del duomo e delle chiese monzesi, a cui spetta anche la fondazione del sepolcro Durini (1695) già esistente nella cappella di Teodolinda.
Ai nomi di orefici, intagliatori e ricamatori si affianca il lungo elenco dei pittori milanesi attivi nell'arco di quattro generazioni tanto nelle residenze e nella cappella gentilizia dei Durini quanto nel duomo di Monza, con un parallelismo non casuale. Ritroviamo così le due coppie dominanti di Stefano Montalto - Ercole Procaccini e Legnanino - Castellino, predilette rispettivamente da Gian Battista II Durini (1612-1677) e da suo figlio Giacomo II, con al seguito Carlo Cane, Agostino Santagostino, apprezzato da Carlo Francesco I, Pietro Maggi e Giovan Battista Sassi, favoriti da Gian Battista III (1685-1734), e Francesco Corneliani, prediletto dal cardinal Durini.
Oltre a un'ampia e prestigiosa quadreria, i Durini avevano formato una delle più imponenti arazzerie barocche della Lombardia, distribuita tra i palazzi di Milano e di Monza, per il quale Carlo Francesco I commissionò due serie di arazzi con Storie di Sansone e di Teseo, tessute ad Anversa da Filips Wauters intorno al 1660-75.
Nel secolo successivo, la pratica del collezionismo sarà proseguita da due insigni cardinali e diplomatici della Santa Sede, Carlo Franecsco II (1693-1769), vescovo di Pavia dal 1753, e Angelo Maria III Durini (1725-1796), arcade e poeta latino, mecenate delle lettere e delle arti lombarde dell'età dei Lumi di rilevanza europea.
La voce del "Dizionario del Duomo di Monza" non si limita a riassumere il contenuto della monografia pubblicata nel 2010, ma lo aggiorna, lo integra e lo incrementa con nuovi dati ricavati da documenti o da fonti manoscritte e bibliografiche, dando maggior spazio al contesto storico che fa da sfondo all'ascesa sociale della casata dei conti di Monza, e puntualizzandone i rapporti con la basilica e la città.
Tra i principali ritrovamenti si segnalano la lastra marmorea con lo stemma Durini conservata nel chiostrino del duomo (1695), qui riconosciuta come l'unico frammento del sepolcro di famiglia interrato dal Beltrami alla fine dell'Ottocento, e quattro sontuosi Pontificali donati alla basilica nel 1773 dal cardinale Angelo Maria Durini, identificati nella Biblioteca Capitolare grazie alle epigrafi dedicatorie. Da segnalare anche il testamento dell'arciprete Bosca (12-4-1699), alleato del Durini nella difesa della Corona ferrea in polemica col Muratori.
Un'aggiornata bibliografia selettiva è posta in calce alla voce, corredata da due schede di approfondimento, dedicate alle "Origini della famiglia" e alle "Residenze urbane e periurbane" dei Durini. Dalla prima scheda emerge la figura di Gian Giacomo I Durini (1573-1639), ricchissimo mercante auroserico, banchiere e imprenditore comasco naturalizzato milanese, qui indicato come l'anello di congiunzione tra i Durini e Monza. La seconda rievoca le dimore monzesi di città e di campagna della famiglia, tra cui il demolito castello visconteo, più volte rinnovato dai conti di Monza e infine rimpiazzato da villa Durini, progettata da  Carlo Amati (1814-20), e il distrutto palazzo Durini in piazza del Mercato (ante 1659). 

NOTA *
Nel testo sono stati reinseriti alcuni dati e ritrovamenti importanti, come lo stemma Durini proveniente dal sepolcro, inclusi nell'ultima bozza corretta (14-1-2019), ma non riportati nella versione a stampa.


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Gli studi sulla scultura tra Sei e Settecento in anni recenti hanno affinato una certa sensibilità verso i manufatti in legno policromo, superando gli apriorismi che utilizzavano come termine di valore artistico il materiale con il quale le opere erano realizzate, dal "prezioso" marmo al "vile" legno. In questa prospettiva la Lombardia barocca si è rivelata, più di quanto sinora si pensasse, un territorio di straordinaria ricchezza, al crocevia di percorsi storici sul confine tra Piemonte sabaudo, entroterra ligure, ducato di Milano e baliaggi svizzeri. Ma soprattutto emerge l'impossibilità di separare la produzione del Seicento lombardo esclusivamente sulla base del materiale. La scultura lignea e quella in terracotta policroma condividono istanze estetiche, impiego devozionale e ambizioni di naturalismo. In quest'ultimo settore, quello della terracotta, si trovano attivi scultori quali Dionigi Bussola e Giuseppe Rusnati, due maestri accomunati dall'attività presso la fabbrica del Duomo di Milano ed i sacri molti prealpini, ma anche dalla loro esperienza nell'Urbe, profilando questioni comuni come la circolazione dei modelli del barocco romano, sulla scia della lezione di Gian Lorenzo Bernini ed Alessandro Algardi. Le opere e gli artisti qui indagati appaiono solo ad uno sguardo superficiale eterogenei per modelli, riferimenti culturali, ambiti operativi, quando invece si segnalano per elementi che si possono ritenere collanti di un'esperienza della scultura policroma in legno, in terracotta o in altri materiali, che attraversa quasi per intero due secoli di storia delle arti in Lombardia.

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The decorations that Giovanni Antonio da Pordenone frescoed in the central cupola of Santa Maria di Campagna in Piacenza, Italy (1530–1532) have never been considered in relation to the venerable cult statue they surround. As a pictorial extension of the statue’s charisma, Pordenone’s paintings glorify the statue, but they also provide a complicated response to the object’s claim to divine authenticity. This essay explores how an artist working in an age of religious controversy combined powerfully affective illusionism with the expressive flexibility of arcane ornament to sound out the revelatory potential of human artifice in dialogue with an object of a higher, miraculous order. In doing
so, Pordenone’s decorations not only bolstered and legitimized the desired function of the cult statue, but encouraged a speculative form of religious engagement in pursuit of divine truth and its miraculous manifestation.

The restoration of the Nativity in the church of San Paolo in Gambolò offers the opportunity to confirm the attribution to Dionigi and Cesare Bussola, already proposed by the author in a previous contribution, and to make some considerations on the style and the executive techniques of these artists and, on a larger view, on terracotta sculpture in Baroque Lombardy. Furthermore, the author proposes to attribute to Giuseppe Rusnati, a Dionigi Bussola’s pupil, the terracotta statue of San Siro preserved in the crypt of Pavia Cathedral, hitherto unpublished.

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Primo studio dedicato a questi due disegni precedentemente inediti, ne chiarisce la tecnica esecutiva, la provenienza, i soggetti e l’autore. 
Inventariati come olii su tela, i due ovati risultano invece disegni eseguiti a penna, pennello e inchiostro marrone acquerellato, con lumeggiature a biacca, su carta applicata su tela. Si tratta probabilmente di bozzetti preparatori per medaglioni da soffitto di una dimora privata, appartenenti in origine ad una serie più ampia. Provenienti dalla collezione di Camillo Tanzi, che li donò al Comune di Milano nel 1881, corrispondono con ogni probabilità a due “modelletti” dello Storer descritti nel 1796 nella collezione bergamasca del conte Giacomo Carrara, alienati nel 1835. I soggetti sono qui identificati con l’episodio biblico dei "Fratelli che mostrano al padre Giacobbe la tunica insanguinata di Giuseppe" e con il "Supplizio di Issione" narrato nelle "Metamorfosi" di Ovidio.
Riferiti alla Scuola veneta del Settecento (Vicenzi, 1915), alla Scuola lombarda di metà Seicento (Roberto Longhi, 1916), e allo Storer in particolare (Frangi, com. or. alla Direzione), sono qui confermati a Johann Christoph Storer sulla base di stringenti confronti con l’opera grafica e pittorica dell’artista tedesco. Caratterizzati da richiami al Cerano e da un’estrema scioltezza compositiva di matrice rubensiana, che anticipa il barocchetto di Sebastiano Ricci, i due disegni sono qui situati negli anni della svolta barocca dello Storer, verso il 1646-48, in prossimità degli affreschi di palazzo Durini.

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Primo studio dedicato a un’inedita "Maddalena convertita" di collezione privata, affiorata sul mercato d’arte milanese presso la Porro. Di qualità rilevante ma di attribuzione problematica, l’opera reinterpreta in chiave barocca l’esuberante "Cantante alla spinetta" o "Allegoria della Vanitas" della Pinacoteca del Castello Sforzesco di Milano, qui riconosciuta definitivamente al cremasco Gian Giacomo Barbello (vedi sotto). La "Maddalena Porro", in cui il rapporto con il modello barbellesco accresce le difficoltà del riconoscimento, è attribuita dall’autrice al pittore tedesco Johann Christoph Storer, tra gli artefici della svolta barocca della pittura milanese del Seicento, che dal 1645 ebbe ripetute occasioni di incrociare il Barbello a Bergamo.

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The paper presents a group of unknown sculptures, on the theme of the Crucifix and the Dead Christ, which includes several examples in Vigevano and Lomellina. All of them can be attributed to Giuseppe Antignati, a master whose catalogue has been defined by studies in recent years and is now being further enriched and defined.

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Da queste note succinte, ricavate da fonti e documenti inediti, emergono nomi e notizie di artiste lombarde poco note o trascurate dagli studi.
Nel 1697 l’Accademia di San Luca ammette per la prima volta candidate donne, precedentemente escluse, accogliendo tra i suoi membri le rinomate pittrici di fiori Francesca Volò Smiller e Margherita Volò Caffi dette le Vicenzine, insieme all'oscura pittrice milanese Lucrezia Ferrari, autrice di una pala dispersa già nella demolita chiesa di Santa Maria Fulcorina.
Di Giovanna Durandi, ritrattista e miniatrice operosa a Milano intorno alla metà del Settecento, si conserva invece un ritratto alle II.PP.A.B, pagato all'artista nel 1752. Nel 1740 la Durandi risulta attiva per il conte Giovan Battista III Durini (1685-1734), personaggio libertino e di vedute progressiste, che accoglie tra i primi nella sua quadreria un nucleo di donne pittrici (la stessa Durandi, Margherita Caffi, Teresa Cornara e la celebre veneziana Rosalba Carriera). Tanto questa rarità collezionistica, quanto la presenza nella sua biblioteca di un’opera come "Les Avantages du Sexe ou le Triomphe des Femmes" (Anvers 1698), che sosteneva la tesi della superiorità del genere femminile su quello maschile, segnalano l’emergere e la progressiva affermazione intellettuale delle donne nella società milanese dei primi decenni del Settecento.

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