I lavori di Mauro Biglino, molto seguiti da un lato e altrettanto vituperati o trattati con sufficenza dall'altro, devo dire che non mi lasciano indifferente. Tuttavia, non intendo qui entrare nel merito di singole conclusioni o...
moreI lavori di Mauro Biglino, molto seguiti da un lato e altrettanto vituperati o trattati con sufficenza dall'altro, devo dire che non mi lasciano indifferente. Tuttavia, non intendo qui entrare nel merito di singole conclusioni o posizioni, ma, piuttosto, provare a leggere in profondità il suo approccio epistemologico. Non contesterò, quindi, le sue idee e conclusioni ma, piuttosto, il suo metodo, la forma del suo approccio operativo e conoscitivo nei confronti dei testi. Vorrei anche sottolineare che, a mio avviso, per quello che può valere, le conclusioni di Biglino sono da tenere sul tavolo insieme a tutte le altre, come lo stesso studioso spesso sottolinea: sono, insomma, pienamente legittime, nella libertà dell'approccio ai testi, al pari delle altre, culturalmente parlando. Un antico detto rabbinico ci ricorda che, alla domanda sui sensi delle Scritture, la risposta non può che essere questa: "sono tanti quanti gli uomini che vi si impegnano nella lettura e nello studio". Questa affermazione, se letta nel suo giusto contesto, non è assolutamente una esaltazione del relativismo come noi oggi lo intendiamo, ma, al contrario, una profonda presa di coscienza della responsabilità etica dell'uomo e dello studioso, sia esso un religioso o un laico. Ad un primo livello credo che questo detto potrebbe essere accettato anche dallo stesso Biglino-ma non fino in fondo. Secondo il mio punto di vista, infatti, la pratica epistemologica dello studioso in questione non è così radicale come potrebbe sembrare: ci sono alcuni paradossi che occorre provare a chiarire. Biglino sostiene, giustamente, che il testo biblico è il risultato di infinite manipolazioni, contraddizioni e interpolazioni più o meno interessate; che la lingua che possiamo leggere oggi è sicuramente molto distante da quella parlata o usata nei secoli in cui si svolsero i fatti narrati, ecc.-cosa che qualsiasi studente di teologia sa già al primo anno di corsi. Inoltre, data l'estrema variabilità del testo, egli dice di affidarsi a quello masoretico, come fanno la maggior parte dei traduttori biblici: questa fissazione testuale, come sappiamo, relativamente molto tarda, inserisce la vocalizzazione nello scritto per cercare di fissare i significati alle radici consonantiche ebraiche. Biglino, quindi, e giustamente, sostiene che già a questo livello l'arbitrarietà dei significati è estremamente aleatoria e riduttiva e che, non a caso, molte linee interpretative di esegesi ebraica si permettono lo stesso di variare la vocalizzazione. In definitiva, ci dice lo studioso, si lavora ad una sorta di filologia impossibile, che non potrà mai arrivare alle ipsissima verba e alla sicurezza filologica di un testo. E anche questo è scontato, non solamente per i dati a nostra disposizione oggi, ma anche per le diverse modalità culturali con cui un testo veniva percepito e vissuto nei periodi storici lontani dal nostro. Di fronte a tutta questa aleatorietà, realissima, Biglino sceglie di fermarsi al testo masoretico. Bene, niente di nuovo. Dopo tutte queste premesse, però, lo studioso ci dice che il suo lavoro riguarda una lettura letterale della fissazione masoretica, che andrebbe contro ad ogni sovrapposizione di tipo teologico, simbolico e allegorico, per arrivare a