Per offrire una panoramica su questo lavoro penso sia necessario partire dalla chiave di lettura utilizzata nell’analisi delle opere dei tre autori presi in esame, ossia Luigi Meneghello, Andrea Zanzotto e Mario Rigoni Stern. La corrente...
morePer offrire una panoramica su questo lavoro penso sia necessario partire dalla chiave di lettura utilizzata nell’analisi delle opere dei tre autori presi in esame, ossia Luigi Meneghello, Andrea Zanzotto e Mario Rigoni Stern. La corrente critica a cui mi sono accostato durante il lavoro di tesi è
quella dell’ecocriticism o ecologia letteraria, disciplina accademica nata intorno alla metà degli anni Ottanta negli Stati Uniti (poi sviluppatasi con più energia negli anni Novanta), che si occupa di studiare le relazioni occorrenti tra natura e cultura nei testi letterari, unendo due discipline
apparentemente lontanissime come letteratura ed ecologia. È importante capire che essa mira ad uno scopo anzitutto etico e funzionale (questione sottolineata già nella premessa) poiché mira ad
educare e sensibilizzare il pubblico sulle questioni ecologiche in toto (“azione del mondo sul testo e azione del testo sul mondo”).
Chiarito questo punto possiamo ora passare alla tesi.
Oggetti di studio della mia tesi sono il paesaggio e il dialetto veneto nelle opere di Luigi Meneghello, Mario Rigoni Stern e Andrea Zanzotto, tre autori veneti (un asiaghese, un solighese e un maladense) che hanno vissuto il passaggio, più generalmente italiano, da una società rurale e più vicina alle tempistiche naturali ad una società moderna venutasi a sviluppare dal boom economico degli anni Sessanta in poi. Proprio su questo passaggio, traumatico sotto molti aspetti, si fonda il senso di
denuncia o di volontà di preservazione, diciamo pure di sostenibilità, sia naturale che linguistica, di questi tre autori.
La tesi parte da una introduzione divisa tra una premessa, in cui ho spiegato come si sarebbe strutturato poi il lavoro, e una panoramica sulla metodologia, ovvero “ecologia e letteratura”, in cui
ho voluto chiarire il senso della chiave critica utilizzata. Ho poi diviso il corpo centrale dell’opera in due macrosezioni: “Paesaggio” e “Lingua”, di cui la prima suddivisa a sua volta in tre sottocapitoli:
1.1 L’Altipiano di Mario Rigoni Stern
1.2 La biosfera di Luigi Meneghello: tra Malo e l’Ortigara.
1.3 I paesaggi primi di Andrea Zanzotto
Per quanto riguarda la sezione sulla lingua intitolata “La memoria nella lingua: il dialetto veneto in Luigi Meneghello, Mario Rigoni Stern e Andrea Zanzotto” ho voluto condensare tutto in unico capitolo poiché quello che i tre autori cercano di evocare, utilizzando o parlando del dialetto natìo,
è un mondo perduto (quello appunto rurale) che poteva vantare ancora una biodiversità culturale oramai inghiottita dalla uniformizzazione mondiale capitalista che ha portato ad un impoverimento
o appiattimento generale delle identità locali. C’è una bella metafora che ho utilizzato anche nella tesi utile a comprendere bene il tutto: se si pensa ai dialetti italiani come alberi, allora sarà facile intuire l’importanza delle loro radici plurisecolari al fine di tenere saldo il terreno identitario e
culturale della penisola. Trovano così senso il dialetto infantile di Meneghello; il perduto cimbro simbolo di una cultura intera ormai perduta di Mario Rigoni Stern e, infine, il veneto originario di Zanzotto.