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n. 55 giugno 2022 n. 55 giugno 2022 ATTIVITÀ ECONOMICHE ETNICAMENTE CONNOTATE E CITTÀ Formazione e dinamiche recenti nel comparto Sarpi-Canonica-Bramante a Milano Ethnic diversity in economic activities and the city. Recent emergence and developments in the Sarpi-Canonica-Bramante district in Milan Mario Paris DOI: 10.30682/sef5522l Abstract L’obiettivo del presente contributo è quello di esplorare la natura e la caratterizzazione dell’offerta di attività economiche urbane etnicamente connotate e quali siano le dinamiche evolutive in atto, con l’intento di definire alcune questioni emergenti e proporle all’agenda dei decisori pubblici come tema da trattare negli strumenti di governo del territorio. A partire dall’analisi delle posizioni ricorrenti nel dibattito internazionale sul tema, si approfondisce il caso del comparto Sarpi-Canonica-Bramante a Milano, caratterizzato da un’offerta di attività economiche urbane di matrice cinese. Lo studio del processo di formazione e consolidamento di questo sistema – che si configura come un laboratorio di integrazione culturale, funzionale ed economica – permette di riflettere sul ruolo che queste attività possono avere nel configurare ed abitare gli spazi pubblici della città post-pandemica. The aim of the present paper is to explore the nature and characterisation of ethnic diversity in urban economic activities available today and the ongoing development of these establishments. In doing so, we may identify some emerging issues and have policymakers add them to their agenda as topics of discussion for local government strategies. After reviewing the recurring positions in the international debate on the subject, this paper explores the case of the Sarpi-Canonica-Bramante area in Milan, which is characterised by a unique range of economic activities of Chinese origin. We then study how this system started, strengthened and how it has become a workshop for cultural, functional and economic integration. This analysis allows us to reflect on the role these businesses may play in shaping and inhabiting the public spaces of the post-pandemic urban context. Keywords: attività economiche etnicamente connotate, Milano, Chinatown, post-Covid 19, spazio pubblico, governo del territorio. Ethnically representative economic activities, Milan, Chinatown, post-Covid 19, public space, territorial government. Mario Paris è ricercatore e docente nel campo della pianificazione urbana e territoriale presso l’Università degli Studi di Bergamo. Tramite il suo lavoro ha approfondito il contributo delle attività economiche alla trasformazione e alla rigenerazione della città consolidata e allo sviluppo di nuove forme di centralità nelle regioni urbane europee a densità ed intensità variabile. Mario Paris is a researcher and professor in the fields of urban and regional planning at Università di Bergamo. His work has explored the contribution of economic activities to the transformation and regeneration of the notion of “consolidated city” and to the development of new forms of centrality in European urban regions of varying density and intensity. © Mario Paris, 2022 / Doi: 10.30682/sef5522l Questo articolo è pubblicato in oa sotto licenza CC BY 4.0 121 n. 55 giugno 2022 Introduzione Dalla fine del secolo scorso, si è sviluppato un filone di ricerca nel campo della sociologia (Tabboni 1990) sul ruolo assunto dall’imprenditoria straniera in Italia. L’interesse è dovuto alla consistenza significativa e non più limitata a specifici ambiti geografici o a specifici target di consumatori assunta da questa tipologia di attività in molti settori delle economie occidentali (Ambrosini 1995). Il tema è cresciuto ulteriormente, tanto che nel 2021 le imprese e aziende a conduzione straniera in Italia risultavano essere più di 600.000, coprendo una quota del 10,2% del totale (Dati: Osservatorio sull’inclusione socioeconomica e finanziaria delle imprese gestite da migranti - Rapporto 2021). Questo consolidamento ha progressivamente portato al coinvolgimento nel dibattito nel campo della pianificazione territoriale di contributi transdisciplinari (fra i più recenti, e solo a titolo di esempio: Barberis et al. 2022; De Vidovich, Bovo 2021; Jones et al. 2019; Çağlar, Glick Schiller 2018, Hyra 2018) e generato un campo di studio specifico, quello dell’ethnic o minority business. Chi lo pratica, si occupa di studiare e classificare le ragioni che portano allo sviluppo di attività lavorative autonome da parte di stranieri, così come di definire gli ambiti maggiormente interessati da queste iniziative e gli impatti che l’aumento della consistenza di queste attività possono avere sul tessuto economico e sociale del contesto in cui si inseriscono. Negli ultimi anni, il consolidarsi ed il distribuirsi di queste attività fuori dalle tradizionali enclave dove i migranti sono fortemente radicati, ha portato ad un loro diffondersi nel mercato, con un conseguente e progressivo presidio degli ambienti urbani e fenomeni di sostituzioni di attività economiche urbane tradizionali (attività commerciali, esercizi per la somministrazione di alimenti e bevande, artigianato alimentare, ecc.). Questo aumento della consistenza e della varietà dell’offerta le ha rese maggiormente visibili ed ha portato alla necessità di sviluppare un dibattito sulla qualità dei beni e dei servizi che le attività economiche urbane etnicamente connotate sono in grado di offrire. Pertanto, il tema si è imposto sia nell’agenda dei ricercatori che in quella dei decisori pubblici. In aggiunta, è emerso durante la recente crisi pandemica legata al Covid-19 che queste attività hanno svolto un ruolo di servizio e supporto agli abitanti delle città. In molti casi, la cittadinanza ha usufruito della rete delle attività etnicamente connotate come servizio di prossimità per l’accesso a beni di prima necessità. In altri, i riders – che nella maggioranza dei casi, sono stranieri – si sono occupati della fase di consegna dei beni acquistati, magari acquistati proprio in esercizi commerciali di questa tipologia. Oggi, superata la fase più severa delle misure restrittive e delle regole di distanziamento sociale, tali attività sono rimaste come forma di presidio e ritengo meritino di essere rimesse al centro di una riflessione che si interroghi (i.) su quali siano gli impatti della loro presenza nello spazio della città e di quali forme di integrazione siano in atto fra attività etnicamente connotate e no, e (ii.) su quali siano gli scenari evolutivi possibili legati alle pratiche di consumo dopo la crisi sanitaria. L’obiettivo del presente contributo è pertanto quello di identificare quale sia la caratterizzazione dell’offerta e quali siano le dinamiche evolutive in atto, con l’intento di definire alcune questioni emergenti e proporle all’agenda dei decisori pubblici come tema da trattare negli strumenti di governo del territorio. Per rispondere alle domande di ricerca evidenziate e raggiungere gli obiettivi preposti, si propone una prima sezione dedicata alla definizione del tema e all’individuazione dei principali temi emergenti nel dibattito interdisciplinare su di esso. A seguire, è stato presentato il caso del comparto Sarpi-Canonica-Bramante a Milano, caratterizzato da un’offerta di attività economiche urbane di matrice cinese. Lo studio del processo di formazione e consolidamento di questo sistema e un focus sulle recenti evoluzioni permetteranno di mettere in luce come le attività economiche etnicamente connotate dentro le città siano dei laboratori di integrazione culturale, funzionale e del sistema d’offerta. Nelle conclusioni si rimarca il ruolo potenziale di queste reti presenti nelle città che, quando sono oggetto di attenzione e politiche dedicate e non stereotipate, non minano ma, al contrario, concorrono a creare identità locale, a consolidare l’attrattività dei contesti in cui si insediano e a rafforzare l’attrattività, l’inclusività e la varietà sociale e culturale di questi ambiti urbani. 122 Storia e Futuro / DOI: 10.30682/sef5522l n. 55 giugno 2022 Le attività economiche etnicamente connotate Diversi autori hanno messo in luce che non esiste in letteratura una univoca definizione di cosa siano le attività economiche etnicamente connotate e l’obiettivo di questa sezione è quello di chiarire quale sia l’oggetto dello studio presentato. Nella locuzione rientrano tutte le attività che hanno una tematizzazione dell’assortimento di beni e servizi o dell’offerta di esperienze che offrono legata a specifici caratteri, con riferimento ad ambiti geografici determinati. Pertanto, sono raggruppate in un’unica categoria sia attività che richiamano l’origine o la connotazione etnica della loro offerta indipendentemente dal settore economico di appartenenza. Sono comunemente definiti come attività economiche etnicamente connotate i punti vendita che offrono beni e servizi riconducibili a produzioni tipiche o legate a identità culturali di qualche tipo. In origine, non solo la gestione ma anche la clientela di queste attività apparteneva alla stessa comunità o radice culturale, così come spesso la rete dei fornitori ed i capitali investiti per l’avvio dell’attività (EC 2008). Pertanto, sono ascrivibili a questa categoria un ampio spettro di attività economiche urbane: negozi (tappeti “orientali”, macellerie “islamiche”, ecc.), attività di somministrazione (ristoranti sushi, cucina etnica), artigianali (kebab, falafel ma anche parrucchieri e centri estetici, centri massaggi thai, ecc.) e del terziario direzionale (money transfer, ecc.) che, in origine, si rivolgevano a comunità etniche e che oggi sono frequentate da una clientela più ampia e trasversale. In aggiunta, sono considerate tali anche le attività che non fanno menzione a specifici riferimenti culturali, ma dove l’origine o la nazionalità degli imprenditori – ma anche dei gestori o dipendenti – è straniera e che lavorano nel libero mercato, più o meno integrate nel sistema d’offerta di attività economiche del territorio. Nel Rapporto 2021 dell’osservatorio sull’inclusione socioeconomica e finanziaria delle imprese gestite da migranti si sottolinea anche come questo tipo di imprenditoria si sia spesso sviluppata in aree urbane o periurbane, dove la presenza di imprese italiane era in contrazione. La possibilità di acquisto o locazione di spazi situati ai piani terra – ancorché in contesti abbandonati, degradati o sottoutilizzati – è legata alla relativa accessibilità dei valori immobiliari che risultano un evidente incentivo all’insediamento di imprese tendenzialmente dalla bassa redditività e che necessitano di bassi costi fissi per essere sostenibili. Il risultato è una trasformazione del sistema d’offerta di attività economiche insediato negli ambiti più densi e consolidati delle città e dove l’imprenditoria migrante ha assunto un ruolo rilevante, con una tendenza all’integrazione con le attività tradizionali presenti. La presenza di queste attività ha contribuito a processi di riattivazione, riqualificazione o trasformazione socioeconomica, spesso creando nuovi hub settoriali o zone a forte caratterizzazione multietnica. Il profilo di molti contesti urbani/semi-urbani è cambiato molto: ad esempio quartieri con più alta concentrazione di ristoranti etnici, di negozi specializzati in servizi per la popolazione immigrata, negozi di commercio al dettaglio, laboratori di diversa dimensione, se non anche magazzini o grandi magazzini che hanno soppiantato la concorrenza locale. Contestualmente, la crescente presenza di imprese straniere concentrate in settori e luoghi definiti spesso origina il bisogno di servizi accessori o funzionali al processo di insediamento (intermediazione immobiliare, rafforzamento di servizi di fornitura, spedizione, commercio, o attività socioculturali). Dove manchino spazi fisici a basso costo da poter occupare può risultare più improbabile che si insedino imprese di migranti (Oss. sull’inclusione socioeconomica e finanziaria delle imprese gestite da migranti – Rapporto 2021, p. 82). Come riconosciuto da Ambrosini e Boccagni (2004), la diffusione trasversale e pervasiva di queste attività nelle realtà locali è un fenomeno composito e sfaccettato, in cui non mancano le ombre e gli effetti indesiderabili, che vanno dalla banalizzazione dell’offerta alla mercificazione di alcuni ambiti della città (Aytar, Rath 2012) fino al contributo al processo di gentrificazione delle realtà locali (Sakizlioğlu, Lees Storia e Futuro / DOI: 10.30682/sef5522l 123 n. 55 giugno 2022 2020; Hubbard 2018).Tale tema deve essere studiato ed approfondito per evitare che questi ultimi aspetti nascondano i caratteri di un contributo che tali attività forniscono – o potrebbero fornire – all’interno delle città, contribuendo alla sua diversità ed alla capacità di accogliere le differenze ed un’offerta non omologata alle richieste del mercato di massa. Pertanto, è necessario superare i preconcetti e le retoriche che spesso accompagnano questo tipo di attività (marginalità, degrado, fragilità del sistema d’offerta, sicurezza) per capire che si tratta di iniziative imprenditoriali che si inseriscono in un contesto di mercato non più di nicchia (Peraldi 2002), che evolve costantemente – anche se non sempre innova – e dove le attività etniche soddisfano a una serie di richieste da parte dei consumatori. Infatti, in uno scenario in cui la digitalizzazione dei consumi e la competizione fra formati e modalità di acquisto si intensificano e si fanno sempre più integrate, le attività economiche etnicamente connotate riescono ancora a soddisfare una quota della domanda di prodotti e servizi personalizzati, di lunghi orari di apertura e di grande flessibilità ed integrazione nelle prestazioni e nell’assortimento di merceologie offerte (Ambrosini, Boccagni 2004, p. 11). Inoltre, la nazionalità degli imprenditori o degli operatori oggi è una variabile ancor più labile da valutare per connotare il campione di attività coinvolte in questo tipo di studi. Infatti, non è sempre vero che le attività economiche etnicamente connotate siano legate solo a imprenditori di recente immigrazione. Iniziative sviluppate da questi si sommano a realtà in cui le seconde o terze generazioni – spesso con cittadinanza italiana e livelli di integrazione elevati – sono coinvolte nella gestione delle attività economiche che colonizzano gli ambiti urbani. Questi aspetti, presi nel loro complesso, servono a colmare solo parzialmente la distanza fra una realtà complessa e variegata e gli strumenti interpretativi e critici che l’accademia ha saputo definire nel tempo. Pertanto, stante una letteratura consolidata fatta di letture quantitative del fenomeno (report, osservatori, dossier) ed approfondimenti legati alle ragioni di sviluppo di queste attività, pochi studi documentano gli impatti della presenza di attività etnicamente connotate sui sistemi economici locali, o del loro ruolo nell’offerta di attività economiche urbane. Pertanto, si è ritenuto necessario focalizzare l’attenzione su di un quartiere in cui le dinamiche descritte si sono consolidate nel tempo – il sistema Sarpi-Canonica-Bramante – a Milano e provare ad evidenziare al suo interno una serie di temi emergenti che le letture consolidate non riescono ad intercettare e di questioni aperte legate alle prospettive post-pandemiche. L’area Sarpi-Canonica-Bramante a Milano ed il sistema delle attività etnicamente connotate Le ragioni della scelta dell’ambito su cui sviluppare lo studio presentato attraverso questo contributo sono molteplici e riguardano sia aspetti di tipo quali-quantitativo, sia questioni di opportunità. Si tratta di un’area multietnica consolidata, considerata la Chinatown di Milano, in cui il processo di insediamento di imprenditoria migrante è maturo. L’attuale assetto dell’area è frutto della sovrapposizione di ondate diverse e ha dato origine ad un sistema d’offerta aggregato in cui coesistono imprenditoria italiana e straniera – prevalentemente cinese – e dove le diverse iniziative imprenditoriali coprono settori diversi (commercio, artigianato alimentare e di servizio alla persona, esercizi di somministrazione di alimenti e bevande, terziario direzionale, ecc.) e che si configura come un sistema d’offerta continuo ed integrato. Al tempo stesso, si tratta di un quartiere che può essere considerato un laboratorio di interazione fra comunità cinese (che comprende migranti recenti, ma anche di seconda o terza generazione) e comunità italiana. Infatti, a fronte di una popolazione di quasi 30.000 abitanti, solo il 16,7% ha origine straniera (Dati: Comune di Milano, 2019) mentre è molto alta la quota di attività etnicamente connotate sul totale del sistema d’offerta. 124 Storia e Futuro / DOI: 10.30682/sef5522l n. 55 giugno 2022 Questo ambito è stato selezionato anche per la sua localizzazione strategica, in frangia al centro storico del capoluogo lombardo, e su di uno degli assi radiali storici della città, che ne ha decretato da sempre un ruolo importante per l’approvvigionamento e fattori di vantaggio competitivo che hanno favorito la presenza di attività produttive e infrastrutture di supporto alla vita della città. La configurazione spaziale di questo quartiere è l’esito di un progressivo adattamento dell’impianto tracciato dal Piano Beruto (1889) alle esigenze ed alle pratiche dell’abitare contemporanee. Al suo interno permane una notevole qualità del paesaggio urbano, frutto anche di un investimento mirato al disegno dello spazio pubblico – non particolarmente consistente in termini quantitativi, ma molto vissuto – e all’attivazione di strategie di street design da parte del Comune di Milano. Si tratta di un quartiere residenziale vivo nel contesto della città, dove la terziarizzazione che ha investito l’area più centrale non si è manifestata in modo radicale e dove l’alta densità abitativa (16.462 ab./km2) rappresenta un primo bacino di prossimità notevole per le attività economiche presenti, al quale si sommano i turisti ed i city users che si recano nell’area in funzione della sua attrattività e dell’offerta di attrattive commerciali, culturali e di intrattenimento presenti. Dal punto di vista delle ragioni di opportunità, l’area nel tempo è stata oggetto di studi e ricerche sviluppati sia dall’autore (Paris, Fang 2020) sia di altri esperti (Bruzzese, Tamini 2014; Tamini 2009) e gruppi di ricerca consolidati (tra i quali emerge il Laboratorio Urb&Com del Politecnico di Milano)1. La possibilità di disporre di un così ampio ventaglio di documenti che hanno fotografato l’evoluzione del quartiere e del sistema delle attività economiche in esso insediate ha reso possibile una lettura diacronica che ha supportato gli approfondimenti sviluppati nelle sezioni successive. Inoltre, la conoscenza del luogo ha permesso anche di riflettere criticamente sul ruolo che le associazioni presenti nell’area e che riuniscono abitanti e commercianti sia cinesi che italiani hanno avuto nel tempo. Si tratta di un quartiere con una identità, consolidata ma dinamica, e grazie ad essa anche il gruppo Paolo Sarpi Social Street2 (che conta oltre 20.000 iscritti sui social network) è divenuto un riferimento per la comunità insediata, tanto che anch’esso è stato oggetto di osservazione e monitoraggio e, grazie a questa operazione, è stato possibile approfondire le dinamiche intervenute durante la fase più severa del lockdown del 2020. Infine, è un quartiere su cui sono state attivate nel tempo politiche attive tese a migliorare la coesistenza fra attività commerciali ed economiche e residenti, ma anche fra comunità cinese ed italiana, con interventi che hanno riguardato la pedonalizzazione di via Paolo Sarpi e, più in generale, il disegno e l’assetto dello spazio pubblico, la gestione del traffico e la regolamentazione dell’uso delle aree di sosta e di carico e scarico, coinvolgendo anche attività di mediazione culturale e la costruzione di tavoli di confronto. Insieme a queste azioni, si possono ricordare anche alcune progettualità ed attrattori (Fabbrica del vapore come ambito di proprietà comunale trasformato in spazio culturale ed espositivo, ADI Design Museum, rifacimento del piazzale antistante il cimitero monumentale, Fondazione Feltrinelli, ecc.) che sono stati attivati/riattivati nell’ultimo decennio nell’area o in frangia ad essa. Questa nuova dotazione di servizi e spazi culturali e per l’intrattenimento ha rafforzato l’attrattività dell’area, e contribuito all’entrata di questo quartiere nel circuito turistico della città. Sviluppo di un sistema integrato di attività economiche urbane, non un’enclave Il fenomeno dell’immigrazione cinese a Milano non è recente, al contrario, inizia verso la fine degli anni Venti, quando una folta colonia originaria del distretto del Qingtian e dedita alla produzione e trasformazione della seta si stabilì nell’area compresa tra il capoluogo e la città di Como. In questo modo essi passarono dall’abituale commercio di piccoli oggetti importati alla lavorazione, produzione e vendita di cravatte di seta e altri prodotti tessili. Col passare del tempo i migranti rafforzarono la loro presenza nel territorio aprendo nuovi negozi e preferendo impiegare nella produzione la manovalanza Storia e Futuro / DOI: 10.30682/sef5522l 125 n. 55 giugno 2022 locale. A poco a poco si insediarono in maniera più stabile, richiamando familiari e consanguinei dalla Cina ma anche da altri paesi europei (Francia e Olanda soprattutto), ed offrendo lavoro, supporto e una rete sociale particolarmente strutturata. Dopo la seconda guerra mondiale, essi ampliarono l’offerta dei loro negozi, nei quali oltre a vendere producevano abiti, accessori e piccoli manufatti. Come ricordano Balducci et al. (2006) questa prima generazione di immigrati cinesi la misura del successo di queste attività sta nel fatto che dopo pochi anni dall’arrivo, molti migranti cinesi avevano l’opportunità di rendersi indipendenti dalle reti dei parenti o “Tongxiang” (letteralmente, “compaesano”) per cui iniziavano a lavorare e aprire rapidamente un proprio negozio. Essi costruirono un’affiatata comunità etnica, tenuti insieme da legami di fiducia e da una rete di prestiti reciproci che ha offerto a tutti la possibilità di avviare un business in proprio, di solito senza alcun interesse. Si tratta di un modello di solidarietà etnica che si è esaurito nei primi anni Ottanta, anche – ma non solo – a causa della diversa zona di origine dei nuovi flussi di migranti, provenienti dal distretto dello Zhejiang e che ha assunto strategie di insediamento ed imprenditoriali diverse. Si è detto che il profilo di accessibilità e la riconosciuta identità di questo quartiere sono due componenti che hanno avuto un ruolo importante nel processo di attrazione e sviluppo dell’imprenditoria migrante e in particolare nella prima fase di quella cinese a Milano. Nel periodo precedentemente descritto (anni Trenta-Ottanta) un piccolo gruppo si insediò nell’area compresa fra via Canonica e via Paolo Sarpi. Si trattava di uno spazio popolare vicino al centro, caratterizzato dalla presenza di laboratori, piccoli spazi produttivi ed artigianali al piede degli edifici, nel retro dei quali trovavano posto anche le residenze dei lavoratori. In questo tessuto i migranti si insediarono e iniziarono le loro attività di vendita e produzione, spesso impiegando manovalanza femminile e, in alcuni casi, costruendo nuove famiglie miste. Questa doppia condizione accelerò da un lato il processo di integrazione e sedimentazione della comunità e dall’altro permise la costruzione di una struttura economica in cui le componenti italiana e cinese coesistevano ed interagivano. I negozi cinesi, crescendo in numero e specializzandosi, attraevano altri imprenditori – questa volta locali – che fornivano materie prime, accessori e gli strumenti produttivi. Si tratta di una situazione diversa rispetto ad altri luoghi dell’immigrazione, dove si è sviluppata una seconda generazione italo-cinese particolarmente integrata e profondamente “milanese”. Progressivamente, alcuni elementi di questa comunità, ormai cresciuta, hanno iniziato a lasciare la Lombardia e ad insediarsi in altre grandi città (Roma, Bologna, Firenze, ecc.). Questa condizione è radicalmente cambiata con il 1979 e le riforme che hanno portato alla creazione dell’economia socialista di mercato, che ha portato alla apertura verso l’estero e una crescente internazionalizzazione della Cina. Questo cambiamento ha determinato una fuoriuscita di nuovi flussi migratori e all’arrivo di nuove presenze all’interno di quella che veniva considerata ormai la Chinatown milanese. Durante tutto questo processo nel quartiere si sono sviluppate nuove forme imprenditoriali che hanno gradatamente ma radicalmente cambiato il carattere del luogo e la sua identità socioeconomica. Divenuto sempre più parte del sistema degli spazi centrali di una città in forte espansione, il quartiere ha subito un profondo processo di evoluzione. Le trasformazioni sociali e la progressiva sostituzione della popolazione hanno portato al recupero ed al rinnovamento del parco edilizio, così come al progressivo spostamento degli spazi produttivi ed artigianali verso quartieri più lontani dal centro, così come delle residenze dei lavoratori ad essi legati. Sono invece rimasti gli spazi del commercio e della vendita ai piani terra così come gli spazi artigianali che progressivamente sono stati acquisiti e riconvertiti a rivendite di beni e servizi dedicate ad una clientela prettamente cinese (attività di videonoleggio, librerie con testi in lingua originale, negozi di alimentari tipici… ma anche attività del terziario direzionale come agenzie immobiliari, società editoriali, studi grafici e fotografici, trasferimento di denaro e agenzie viaggi specializzate gestite da cinesi e con una clientela prettamente cinese. Si è configurato in questo periodo un processo di attrazione di operatori che potevano approfittare di una solida massa critica di potenziali clienti – rappresentati sia dalla comunità locale che da tutti gli utenti/fruitori delle attività esistenti attratti anche da contesti non 126 Storia e Futuro / DOI: 10.30682/sef5522l n. 55 giugno 2022 Fig. 1: addensamento sarpi/Canonica/Bramante: Localizzazione (elaborazione M. Paris su base openstreetMap Contributors, 2021). spazialmente prossimi – e, grazie a questo aspetto, è cresciuto il numero delle attività, punti vendita e laboratori presenti. Questo atteggiamento aggressivo degli imprenditori, la loro disponibilità a pagare alte cifre per acquisire i piani terra, unito ad un calo nella redditività dei negozi gestiti da italiani (dovuto alla competizione d’offerta con la GDO a scala urban, ecc.) ha portato ad un progressivo sbilanciamento dell’offerta del quartiere, che ha smarrito il carattere integrato. Secondo Piccolo (2013) il processo di sostituzione di una parte degli imprenditori italiani con quelli migranti ha favorito un cambiamento del tessuto commerciale e l’apertura di numerose attività di importazione vendita all’ingrosso di merci prodotte in Cina, dovuta anche alla riforma che ha investito il settore commerciale in Italia legata al D.Lgs 114/98. La pervasività e la portata di questo fenomeno sono tali per cui progressivamente anche i marchi della GDO alla fine degli anni Novanta hanno abbandonato la zona. È a partire da questo momento che sono emersi i problemi: l’inadeguatezza di un tessuto urbano storico, minuto, allo svolgimento delle attività di carico e scarico delle merci, ha determinato problemi di viabilità e conflitti sugli usi dello spazio pubblico che rappresentano un problema sia per i residenti italiani che per i commercianti cinesi. (Briata 2013, p. 311) Questo processo, che fra le altre cose ha fatto emergere un conflitto interno alla comunità cinese, che ha visto coinvolti i migranti storicamente insediati e quelli arrivati nelle ondate più recenti ed ha determinato una risposta pubblica legata agli strumenti di regolazione del traffico che sono stati usati come leva per Storia e Futuro / DOI: 10.30682/sef5522l 127 n. 55 giugno 2022 scoraggiare l’apertura di nuove attività di questo tipo. Nel 2008 l’istituzione di una Ztl ha aperto il passo ad una stagione di politiche attive per l’area. Da un lato, il lavoro di concertazione sviluppato nei tavoli istituzionali con le comunità presenti e le associazioni di categoria ha portato alla costruzione di un centro commerciale all’ingrosso (esempio unico in regione) destinato ad accogliere le attività in uscita dal quartiere nel comune di Agrate Brianza. La struttura (Centro Ingrosso Cina) si configura come piattaforma, dotata di 56.000 m2 di superficie di vendita, accoglie oltre 400 attività commerciali, 600 posti auto, ed è localizzata in prossimità del sistema autostradale. Tale soluzione, più adeguata dal punto di vista dell’accessibilità e meglio organizzata dal punto di vista logistico ha comportato un progressivo trasferimento delle attività all’ingrosso dal quartiere ed una parallela riconfigurazione dell’offerta di beni e servizi all’interno del quartiere che sembra avere effetti positivi anche sulla qualità del sistema d’offerta. A questo ha contribuito in modo radicale anche la pedonalizzazione dell’area, completata nel 2011, e la sua trasformazione in “Isola ambientale” come ulteriore step di una politica tesa all’attrazione di attività di commercio al dettaglio di qualità. Questo intervento, supportato anche dall’introduzione di regole per l’uso dello spazio pubblico da parte dei commercianti e delle attività economiche, ha avuto l’obiettivo di superare la fase conflittuale e prevenire gli usi impropri delle aree di sosta e degli spazi pubblici che erano una delle ragioni di conflittualità fra popolazione ed operatori nel quartiere. Al contempo, la costituzione del Distretto Urbano del Commercio “Sarpi” finanziato dalla Regione Lombardia e dal Comune di Milano sembra essere una delle possibili leve per l’attuazione di politiche pubbliche di cooperazione e promozione dell’area a partire dalle funzioni commerciali come elemento qualificante. Fig. 2: regole per l’uso e la gestione dello spazio pubblico per l’isola ambientale sarpi (Comune di Milano, 2014). 128 Storia e Futuro / DOI: 10.30682/sef5522l n. 55 giugno 2022 Geografie dell’offerta: sostituzione, conflittualità e saturazione commerciale dell’ingrosso Spiegare il risultato della trasformazione recente del sistema commerciale di via Paolo Sarpi comporta sempre un notevole rischio di scadere nella semplificazione, poiché il processo è stato influenzato da una serie di fattori molto diversi che, ognuno a suo modo, ha contribuito alla costruzione della complessità di questo spazio. Una buona approssimazione può essere data dalla descrizione dei tre caratteri principali di questo addensamento. Fig. 3: regole per l’uso e la gestione dello spazio pubblico per l’isola ambientale sarpi (elaborazione M. Paris su dati Comune di Milano, 2018). In primo luogo, si tratta di uno spazio marcato dalla presenza di un tessuto commerciale basato sulla presenza di esercizi di vicinato. L’insediamento al piede degli edifici degli anni Venti e Trenta del quartiere non lascia molti spazi disponibili per le medie e grandi superfici, tanto che la GDO è tornata da poco a presidiare questo brano di città. A questo ricco tessuto si affiancano numerose attività del terziario commerciale, fra cui spiccano le funzioni del direzionale/commerciale (agenzie, banche, servizi, uffici per il disbrigo pratiche ed assistenza fiscale) e laboratori artigianali. Ma questo luogo è anche profondamente segnato dalla presenza dell’imprenditoria migrante che si è manifestata sia nella diffusione delle attività legate all’imprenditoria migrante e a quelle del commercio all’ingrosso. Una larga fetta degli esercizi di vicinato e delle altre attività del terziario commerciale dell’area è gestita da appartenenti alla comunità cinese (seconda e terza generazione). Storia e Futuro / DOI: 10.30682/sef5522l 129 n. 55 giugno 2022 Il confronto fra la geografia delle insegne cinesi rispetto a quelle italiane racconta di una concentrazione sull’asse principale, e con una maggiore intensità verso via Canonica di questi punti vendita. La caratteristica innovativa è che le attività propongono un assortimento non più orientato alla sola comunità etnica, ma che abbraccia tutte le merceologie (alimentare e non alimentare) e in molti casi legato alle imprese tradizionali che sono state rilevate. In particolare, si nota come oltre alle attività commerciali, siano passati di mano anche molti esercizi della somministrazione di alimenti e bevande e dell’artigianato alimentare che, insieme alle nuove aperture spesso avvenute in sostituzione delle attività all’ingrosso, offrono prodotti ed alimenti legati ad entrambe le culture gastronomiche. Il processo recente parla di un’offerta che si evolve ulteriormente e vede un deciso cambio di strategia commerciale da parte di alcuni imprenditori cinesi che hanno deciso di puntare sulla qualità dei loro prodotti. Così sia i negozi che i bar/ristoranti attraggono clienti non più solo in funzione della leva/ prezzi e dell’economicità dei beni venduti, ma anche grazie al design o alla cura dei dettagli dei prodotti che, di conseguenza, si rivolgono ad un target più alto. In questo senso va letta anche l’apertura del “The Oriental Mall”, aggregato commerciale su cinque livelli che ha sostituito un punto vendita OVS sull’asse pedonale di via Sarpi e è il frutto di un investimento guidato da diverse famiglie italo-cinesi già insediate da tempo nell’area. Il Kathay food è una media superficie di vendita alimentare sita in via Canonica specializzata in prodotti etnici, con oltre 10.000 referenze in stock. A poca distanza – in via Alfieri – la recente acquisizione di un palazzo dismesso del Pio Albergo Trivulzio sembra anticipare la nuova apertura di un complesso commerciale in cui ad attività di vendita si affiancheranno esercizi di somministrazione ed un ristorante di sushi legato alla catena Omakase Sushiyaki, il cui chef è Katsu San già insignito di due stelle Michelin in patria. Un altro esempio è “Ravioleria Sarpi”, attività di artigianato alimentare legata alla produzione e alla vendita di prodotti di pasta fresca sia per l’asporto che per il consumo sul posto fondata da H. Zhou, di nazionalità cinese ma insediatosi a Milano fin dagli anni Novanta. Attestato sull’asse di via Paolo Sarpi, il laboratorio assembla materie prime di qualità e di provenienza italiana (spesso fornite dalla vicina macelleria, riconosciuta come “storica attività” dalla Regione Lombardia)3 attraverso tecniche tradizionali cinesi e rappresenta un laboratorio di integrazione fra le diverse culture gastronomiche presenti nell’area. I nuovi migranti sono arrivati in una situazione in cui era già saturo il mercato di nicchia dei ristoranti e della produzione e vendita di manufatti, così che molti hanno optato per la compravendita di merci a basso costo importate dalla Cina che, da qui, rifornivano i dettaglianti e i commercianti dei mercati di tutta Italia. Così l’area, specialmente nelle strade perpendicolari alla via Sarpi si è progressivamente riempita di queste imprese che all’inizio servivano come base di rifornimento per gli altri commercianti cinesi ma che, progressivamente, è divenuta un punto di riferimento per venditori ambulanti provenienti da tutta la regione sia migranti che locali. Così si è configurato all’interno dell’area un comparto funzionale che si è localizzato in un ambito precedentemente non presidiato dall’imprenditoria cinese. Questo fenomeno ha rappresentato un tema di conflitto con gli abitanti del quartiere tanto che Balducci et al. (2006) riconoscono che si è trattato di uno dei fenomeni che ha dato visibilità a quest’area come luogo di vendita e scambio perché in modo repentino ha messo in crisi l’equilibrio – delicato ma duraturo – sul quale si reggeva il quartiere. In parallelo a queste trasformazioni, la presenza della nuova sede della Fondazione Feltrinelli lungo l’asse di via Pasubio ha rappresentato un ulteriore spinta al cambio di vocazione della testa di via Sarpi. L’edificio progettato dallo studio svizzero Herzog e De Meuron ricopre il ruolo di cerniera fra quest’area ed il vicino addensamento di attività del sistema Brera/Corso Como/Porta Nuova. Come riconosciuto da Bruzzese e Tamini (2014, p. 114) “Il mix funzionale prevede un’ampia area verde pubblica, una libreria e punti vendita specializzati, esercizi di somministrazione e un centro internazionale di studi e di ricerca sui temi della storia sociale, economica e politica aperto non solo alla consultazione pubblica ma anche alla produzione, alla fruizione e all’ospitalità di eventi culturali, mostre, performance, proiezioni e reading”. 130 Storia e Futuro / DOI: 10.30682/sef5522l n. 55 giugno 2022 Fig. 4: l’ambito sarpi/Canonica/Bramante e la relazione con altri quartieri centrali di Milano (elaborazione M. Paris, 2022). Storia e Futuro / DOI: 10.30682/sef5522l 131 n. 55 giugno 2022 Un laboratorio per riflettere sull’uso dello spazio pubblico dopo la crisi sanitaria? Nell’addensamento commerciale di Paolo Sarpi la presenza di attività economiche etnicamente connotate e della comunità cinese sono stati due catalizzatori per una serie di dinamiche di trasformazione. Queste hanno mostrato come la relazione fra attività e spazio pubblico possa generare situazioni di conflitto ma anche come attraverso azioni di governo del territorio e politiche attive sia possibile provare a superare le criticità e, attraverso l’interazione fra le diverse componenti in gioco, costruire e ricostruire un’identità di quartiere forte e riconoscibile. Grazie ad essa è quindi possibile lavorare sulla qualità dell’offerta, sulla capacità di stimolare un’attitudine al servizio ed al supporto della comunità locale da parte delle attività economiche e di cura del contesto da parte degli operatori e dei consumatori. Queste traiettorie di lavoro, già definite e in atto nell’arco dell’ultimo decennio, sono state messe alla prova durante la crisi sanitaria legata al Covid-19 e nel processo di progressivo ritorno ad una nuova normalità. Grazie ad uno studio sviluppato dall’autore in collaborazione con Y. Fang4, è stato possibile identificare alcuni fenomeni emergenti che potrebbero rappresentare altrettante prospettive per apprendere da quanto successo ed utilizzare alcuni degli apprendimenti e applicare alcuni degli apprendimenti per lavorare sull’assetto e l’uso dello spazio pubblico. Gli autori hanno definito come “transizioni” queste prospettive. La prima è legata alla capacità di usare gli spazi pubblici e gli arredi presenti nello spazio pubblico in modo innovativo, affinché questi non siano attrezzature monofunzionali chiamate solo ad attivarsi in momenti specifici della giornata o della settimana, ma possano essere diversamente utili nell’arco del tempo. L’esempio è stato quello dei dehor delle attività localizzate lungo via Sarpi. A fronte dell’assenza di utilizzatori durante la fase di chiusura delle attività durante il lockdown (marzo-maggio 2020), questi spazi hanno ospitato diverse iniziative (luogo di donazione e scambio, spazio di ricovero, riparo per homeless, ecc.). In futuro, la capacità di riuso temporaneo ed integrato di spazi ed attrezzature condivise sarà una di quelle prestazioni cui saranno chiamati gli spazi pubblici e questi usi dovranno essere già pensati in fase di ideazione e realizzazione. La seconda transizione è legata alla coscienza che la linea di demarcazione fra attività svolte nello spazio pubblico e in quello privato si è fatta più labile e che i balconi e gli altri spazi privati ad uso collettivo (androni, cortili, spazi condominiali) possono essere visti come luoghi entro cui esperire una socialità diversa, in cui dimensione privata e pubblica sono integrate. Anche in questo caso, il progetto di questi spazi e le regole definite per la loro gestione dovranno comprendere in futuro le necessità emerse durante il periodo pandemico. L’uso di questi ambiti a privacy ed intimità variabile potrà coinvolgere anche le attività commerciali e potrà aprire possibilità di nuovi format e/o formule dove la dimensione privata ma condivisa del consumo potrebbe essere un valore aggiunto dell’offerta. La terza transizione è connessa alla precedente ma riporta al centro il tema dello spazio pubblico. Questo prima della pandemia era una piattaforma entro cui avevano luogo pratiche di consumo e d’uso dello spazio di massa (eventi e manifestazioni ma anche forme di abitare lo spazio pubblico che davano luogo ad assembramenti). A valle delle regole di distanziamento sociale, è emerso che gli stessi spazi permettono altri tipi di pratiche, adattate alle nuove esigenze sanitare, dove le attività sono localizzate ed individuali o di piccoli gruppi. Questa nuova attenzione richiede un approfondimento sul tema del disegno e dell’assetto dello spazio pubblico e del suo arredamento, ma anche rispetto al tipo di attività ed eventi che si predispongono al suo interno e che dovranno considerare queste possibilità e dare luogo ad una forma – diversa ma ugualmente necessaria – di “vita pubblica”. Lo studio sviluppato ha permesso di identificare queste prospettive, studiando la capacità di adattamento del quartiere sia nella sua dimensione fisica (usi dello spazio, forme dell’abitare, ecc.) sia attraverso la smaterializzazione di alcune di queste pratiche che si sono trasferite nella dimensione digitale, attraverso il canale di Sarpi Social Street. Entrambe queste dimensioni – quella fisica e quella digitale – saranno ugualmente importanti nella fase 132 Storia e Futuro / DOI: 10.30682/sef5522l n. 55 giugno 2022 di ritorno alla nuova normalità e sarà necessario che sia agli attori pubblici che agli operatori delle attività economiche e, fra di esse, quelle etniche. Entrambi devono prendere coscienza della rilevanza del ruolo di queste ultime nel processo evolutivo poiché, come è stato evidenziato, durante la fase più acuta della pandemia si sono dimostrate attività capaci di offrire servizio, supporto e presidio alla comunità del quartiere e, più in generale, alla platea degli abitanti e dei city user di questo quadrante della città. Conclusioni A valle dello studio del caso del sistema Sarpi-Canonica-Bramante è possibile evidenziare alcuni caratteri peculiari e non scontati riguardo alle attività economiche etnicamente connotate e sul loro ruolo all’interno delle città per poter superare la retorica – spesso stereotipata – che ha accompagnato il dibattito su di esse. In primo luogo, è necessario riconoscere che queste sono ormai una realtà dentro i sistemi urbani. Questa tipologia di imprese ha acquisito visibilità e non è più relegata solo a determinati ambiti o enclave. Le attività economiche etnicamente connotate sono distribuite all’interno dei tessuti densi delle aree urbane e, spesso, recitano un ruolo rilevante nel sistema dell’offerta, rappresentano una quota consistente delle attività complessive e non si limitano ad offrire servizi marginali o destinati solo a specifiche comunità. Al contrario, operano nel mercato e sono spesso considerate un’alternativa all’offerta consolidata o, a volte, sono l’unico referente per soddisfare le necessità dei consumatori. Inoltre, si presentano sotto diverse forme. A volte queste attività configurano reti polverizzate attraverso cui offrono un servizio di prossimità nelle aree residenziali e si distribuiscono in modo puntiforme. Altre volte, costituiscono aggregazioni lineari (come, ad esempio, in Paolo Sarpi) o si distribuiscono in un’area definita, con rilevanti influenze sull’identità del quartiere o del contesto in cui si inseriscono. Tutte queste rappresentano forme diverse di presidio del territorio e possono essere oggetto di riflessione da parte dei decisori pubblici e degli operatori, in modo da cogliere le potenzialità e riflettere sulle possibili criticità connesse (impoverimento della varietà dell’offerta, sbilanciamento verso specifici settori, rischio di conflitti fra comunità, ecc.) Pertanto, è necessario accostarsi ad esse con la volontà di capirne la natura e le dinamiche evolutive (specializzazione, qualità ed integrazione dell’offerta, servizio, risposta a forme specifiche di domanda, ecc.) senza rimanere vincolati a categorie interpretative ormai datate e poco rispondenti alla realtà dei fatti. Al tempo stesso, a valle di questo processo di conoscenza e riconoscimento del ruolo delle attività etnicamente connotate dentro le città, è necessario che queste ultime entrino come tema nell’agenda del decisore pubblico che può prevedere forme di programmazione (regolamenti e normative) ma che dovrebbe anche provare a lavorare sulla qualità dell’offerta proposta in un’ottica di collaborazione e servizio all’interno dei quartieri in cui queste attività si localizzano. Il loro consolidamento – anche in forma di sistema – può contribuire alla configurazione o ri-configurazione di identità specifiche all’interno delle città e può essere motore di attrattività e visibilità di alcuni ambiti specifici proprio a partire dalla specializzazione e dall’unicità dell’offerta di alcune di queste attività. In quest’ottica, i quartieri maggiormente segnati dalla presenza di attività economiche etnicamente connotate assumono oggi il ruolo di laboratori di integrazione, sia di tipo culturale che funzionale e possono essere spazi dove emergono sistemi d’offerta di beni, servizi ed esperienze maggiormente integrati ed inclusivi, anche nella prospettiva dell’adattamento alle nuove esigenze sanitarie (attività individuali, distanziamento sociale, coprifuoco). Storia e Futuro / DOI: 10.30682/sef5522l 133 n. 55 giugno 2022 Note 1 2 3 4 Lo sviluppo dell’addensamento Sarpi/Canonica/Bramante è stato approfondito grazie alla consultazione di materiali e testi scritti, curati e messi a disposizione dal prof. Luca Tamini, coordinatore del Laboratorio Urb&Com del Politecnico di Milano di cui l’autore è stato membro dal 2007 al 2021. A partire dai lavori di questo laboratorio e anche grazie ai lavori degli studenti dei corsi tenuti dal coordinatore all’interno della Scuola di AUIC del Politecnico di Milano, è possibile ricostruire il processo evolutivo del quartiere e del suo assetto commerciale. https://www.facebook.com/groups/PaoloSarpiQuartierediMilanoItalia/. Il percorso di riconoscimento dei Negozi e Locali Storici del Commercio in Lombardia avviene in attuazione della D.G.R. 20 gennaio 2009 n. 8/8886 e prevede l’iscrizione nel Registro Regionale dei Luoghi Storici del Commercio delle attività attraverso tre distinti livelli: i “Negozi storici di rilievo regionale”, i “Negozi storici di rilievo locale” e, appunto, i “Negozi di storica attività”. Maggiori informazioni sono disponibili al sito web: http://www.negozistoricilombardia.it/. La ricerca è stata inizialmente sviluppata da Ying Fang nell’ambito della sua tesi di laurea magistrale al Politecnico di Milano, intitolata “Managing Sociable Street in the New Normal” (a.a. 2019/2020) con il supporto dell’autore in qualità di relatore. A partire dai dati e dai materiali prodotti, è stato possibile approfondire i temi e sviluppare una più dettagliata osservazione delle dinamiche in corso, fino a produrre uno studio originale sull’area, i cui esiti sono pubblicati in Paris, Fang (2021). 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