[go: up one dir, main page]

Academia.eduAcademia.edu

Questioni attributive tra Tansillo e Tasso

Questioni attributive tra Tansillo e Tasso. Il‭ ‬manoscritto XXIII.‭ ‬D.‭ ‬12‭ ‬della Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria,‭ ‬dal Percopo Luigi Tansillo,‭ ‬Il canzoniere edito e inedito secondo una copia dell’autografo ed altri manoscritti e stampe,‭ ‬Napoli,‭ ‬Liguori,‭ ‬1996,‭ ‬pp.‭ ‬LXVI-LVIII.‭ ‬in poi siglato M,‭ ‬è uno dei principali testimoni delle‭ ‬Rime del Tansillo,‭ ‬la più estesa raccolta di poesie tansilliane dopo il codice Casella.‭ ‬Erika Milburn ‭ ‬Erika Milburn,‭ ‬Luigi Tansillo and Lyric Poetry in Sixteen century Naples,‭ ‬Leeds,‭ ‬Maney Publishing for the modern Humanities Association,‭ ‬2003,‭ ‬pp.‭ ‬15-16.‭ ‬ha già fatto notare come l’ultima parte del codice contenga componimenti sicuramente spuri o di dubbia attribuzione e Rossano Pestarino Rossano Pestarino,‭ ‬Tansillo e Tasso o della‭ «‬sodezza‭» ‬e altri saggi cinquecenteschi,‭ ‬Pisa,‭ ‬Pacini‭ ‬2007.‭ ‬ha fornito,‭ ‬per alcuni di questi di certa paternità tassiana,‭ ‬una fine analisi critica e preziose considerazioni‭ ‬sulla profonda suggestione‭ “‬meridionale‭” ‬dell’ispirazione del Tasso Rossano Pestarino,‭ ‬cit.,‭ ‬p.‭ ‬105.‭ ‬Si tratta,‭ ‬ove non specificato altrimenti,‭ ‬di Torquato Tasso.‭ ‬o sul fatto che le rime dubbie risultino tematicamente e stilisticamente affini alle prove più significative della lirica napoletana del Cinquecento Rossano Pestarino,‭ ‬cit.,‭ ‬p.‭ ‬226.‭; ‬su questo punto tornerò fra breve,‭ ‬perché se suggestiva e convincente è l’analisi del‭ ‬sonetto Per fuggir la mia morte,‭ ‬alma mia speme del Muzzarelli‭ ‬,‭ ‬forse finito in un manoscritto tansilliano‭ ‬perché copiato in un certo momento dal Tansillo perché gli interessava come modello per eventuali rielaborazioni,‭ ‬le quali sarebbero forse sfociate nel suo sonetto‭ ‬Non potrò star,‭ ‬per quel ch’io sento,‭ ‬guari Rossano Pestarino,‭ ‬cit.,‭ ‬p.‭ ‬230‭; ‬potrebbe darsi dunque,‭ ‬aggiunge Pestarino,‭ ‬lo stesso caso del sonetto di Diego Sandoval de Castro nel manoscritto XIII H‭ ‬49‭ ‬di rime del Tansillo della Biblioteca Nazionale di Napoli.‭ (‬cfr.‭ ‬D.‭ ‬Sandoval di Castro,‭ ‬Rime,‭ ‬a c.‭ ‬di Tobia Raffaele Toscano,‭ ‬Roma,‭ ‬Salerno,‭ ‬1997,‭ ‬pp.‭ ‬15-6‭)‬.,‭ ‬per i componimenti del Tasso è forse possibile una spiegazione più semplice e banale‭; ‬ma andiamo per ordine. I componimenti tassiani di M sono il madrigale‭ ‬Mentre nubi di sdegno e il dialogo amoroso‭ ‬Io qui,‭ ‬Signor,‭ ‬ne vegno,‭ ‬sicuramente del Tasso perché,‭ ‬oltre che pubblicati in stampe coeve senza che l’autore mai li rinnegasse,‭ ‬sono presenti anche in manoscritti autografi,‭ ‬in C‭ (‬entrambi‭) ‬ed E1 ‭ ‬Uso le sigle tradizionali ormai per rime del Tasso a partire dall’edizione del Solerti‭; ‬E1‭ ‬in realtà è in parte autografo e in parte apografo con correzioni autografe‭; ‬il dialogo ha correzioni autografe.‭(‬il dialogo‭)‬.‭ ‬Il sonetto‭ ‬Vorrei,‭ ‬né so di cui,‭ ‬più lamentarmi,‭ ‬che sarà oggetto del mio discorso,‭ ‬è attribuito in M al Tansillo,‭ ‬e al Tasso in altri manoscritti tutt’altro che autorevoli,‭ ‬sicché la questione non si può dirimere con facilità.‭ ‬Occorre poi ricordare che un altro madrigale del Tasso,‭ ‬Caro amoroso neo,‭ ‬circolò al lungo sotto il nome del Tansillo a partire dall’antologia di Cristoforo Zabata del‭ ‬1579 ‭ ‬Scelta di rime di diversi eccellenti poeti di nuovo raccolte‭ ‬e date in luce.‭ ‬Parte seconda.‭ ‬In Genova‭ ‬1579.‭ ‬Dedicatoria di Cristoforo Zabata a Giovanni Durazzo.‭ ‬Il madrigale è nella sezione dedicata al Tansillo‭; ‬ma vi è anche una sezione di rime tassiane correttamente attribuite,‭ ‬tra le quali,‭ ‬ultima,‭ ‬il dialogo‭ ‬Io qui signor ne vegno.‭; ‬e dunque Tansillo e Tasso si disputano un discreto numero di componimenti in totale e si può dire che,‭ ‬salvo errore,‭ ‬la confusione tra Tansillo e Tasso è superiore a quella tra Tansillo e qualsiasi altro poeta settentrionale o meridionale‭; ‬e ciò sarà in parte certamente dovuto ad una certa somiglianza tra i due poeti,‭ ‬sarà stato anche facilitato dalla comunanza dell’esercizio madrigalistico,‭ ‬ma penso che soprattutto sia dovuto principalmente all’abitudine di molti copisti cinquecenteschi di manoscritti antologici di indicare gli autori dei singoli componimenti solo con l’iniziale puntata‭ (‬che,‭ ‬come ognun può vedere,‭ ‬per i due nostri poeti è l’istessa‭); ‬altro non serviva a loro,‭ ‬come promemoria,‭ ‬ma certo complicava le cose,‭ ‬o le facilitava,‭ ‬a chi dai loro manoscritti raccoglieva materiale per altri manoscritti e raccolte,‭ ‬lasciando ampia facoltà di interpretazione a seconda dei gusti e delle necessità.‭ ‬Del resto anche un’indicazione estesa del nome di uno dei due poteva generare equivoci nient’affatto stupefacenti per uno pratico di fenomenologia della copia,‭ ‬quando si pensi che Torquato,‭ ‬prima che la sua fama crescente oscurasse del tutto quella paterna,‭ ‬era chiamato comunemente,‭ ‬anche da molti sconosciuti compilatori di manoscritti antologici cinquecenteschi,‭ ‬Tassino:‭ ‬e da‭ ‬Tassino a‭ ‬Tansillo il passo mi sembra molto breve. Intendo qui occuparmi del sonetto‭ ‬Vorrei né so di cui più lamentarmi‭ ‬,‭ ‬presente in M,‭ ‬da cui lo trasse il Percopo per la sua edizione del‭ ‬Canzoniere del Tansillo Luigi Tansillo,‭ ‬Il canzoniere,‭ ‬cit.‭ (‬son.‭ ‬XXXIII,‭ ‬p.‭ ‬50‭) ‬e dalla copia di questo N,‭ ‬manoscritto‭ ‬15‭ ‬del fondo San Martino della Biblioteca Nazionale di Napoli,‭ ‬che Toscano ritiene poter essere funzionale ad una progettata e non attuata stampa delle Rime del Tansillo per le cure di Giovan Battista Attendolo Cfr.‭ ‬T.‭ ‬R.‭ ‬Toscano,‭ ‬Giovan Battista Attendolo Editore di Luigi Tansillo:‭ ‬dalla‭ ‬princeps delle‭ ‬Lagrime di San Pietro‭ (‬1585‭) ‬al progetto non realizzato di una stampa delle rime,‭ ‬in‭ ‬L’enigma di Galeazzo di Tarsia,‭ ‬altri studi sulla letteratura a Napoli nel Cinquecento,‭ ‬Napoli,‭ ‬Liguori,‭ ‬2004,‭ ‬pp.‭ ‬221-226.‭ ‬; dal manoscritto N il Fiorentino lo prese per la sua edizione delle‭ ‬Poesie liriche Luigi Tansillo,‭ ‬Poesie liriche edite ed inedite,‭ ‬Napoli,‭ ‬Morano,‭ ‬1882.‭ (‬son.‭ ‬CXLVII,‭ ‬p.‭ ‬74‭) ‬vi sono alcune differenze di lezione tra N e M,‭ ‬rilevate dal Percopo,‭ ‬che qui non interessano,‭ ‬essendo N descritto da M.‭ ‬Produco qui il sonetto‭ ‬secondo la lezione del Percopo,‭ ‬che dovrebbe coincidere con quella di M In realtà,‭ ‬come mi ha fatto notare Tobia Toscano,‭ ‬al v.‭ ‬5‭ ‬M legge‭ ‬hor mi scaccia.:‭ (1‭) Vorrei,‭ ‬né so di cui più lamentarmi: di madonna,‭ ‬d'Amore o di me stesso: madonna mi chiamò,‭ ‬Amor fu il messo, ed io,‭ ‬libero,‭ ‬corsi a imprigionarmi. Ella mi scaccia,‭ ‬Amor torna a chiamarmi‭; io sciôrmi non desio,‭ ‬né mi è concesso: e veggio,‭ ‬ahi lasso‭!‬,‭ ‬il mio gran danno espresso‭; né da lei né da lui poss'io ritrarmi. Dunque,‭ ‬debbo biasmar me,‭ ‬lui e lei: lei che a sé mi chiamò per mio dolore, Amor che m'ingannò,‭ ‬me che‭ '‬l credei. Anzi debbo lodar me,‭ ‬lei e Amore: lei che sì bella parve a gli occhi miei, me che la vidi,‭ ‬Amor che m'arse il core. Francesco Torraca Francesco Torraca,‭ ‬Studi di storia letteraria napoletana,‭ ‬pp.‭ ‬224-225‭ ‬fu il primo a mettere in relazione‭ ‬questo sonetto con quello del Sannazaro‭ ‬Lasso,‭ ‬ch’io non so di chi biasmarmi,: ‭(‬2‭) Lasso,‭ ‬ch‭' ‬ïo non so di chi biasmarmi, d'Amor,‭ ‬di me medesmo o di costei, c'avendo libertà persa per lei dovea per suo prigion lieta accettarmi. Ma Amor volse,‭ ‬non lei,‭ ‬ligato farmi‭; anzi‭ '‬l vols'io‭; ‬che pur quest'occhi mei tenni fermi a quel sol,‭ ‬ch'i sacri Dei avria infiammato,‭ ‬e lì volsi ligarmi. Orsù,‭ ‬biasmamo ognun del proprio errore: Amor che mel mostrò,‭ ‬io che‭ '‬l mirai, e lei che fu materia a un tanto ardore. Anzi laudamo ognun:‭ ‬lei ch‭' ‬i suoi rai dignò mostrarmi,‭ ‬e che‭ '‬l permisse Amore, e me che più bel sol non viddi mai sonetto che ora è la Dispersa XXX dell’edizione Mauro Iacopo Sannazaro,‭ ‬Opere volgari,‭ ‬a c.‭ ‬di Alfredo Mauro,‭ ‬Bari,‭ ‬Laterza,‭ ‬1961.,‭ ‬che allora era inedito e che lo studioso trasse direttamente dal Palatino VII‭ ‬720‭ ‬della Biblioteca Nazionale di Firenze‭; ‬dal confronto il Torraca trovò la conferma che il Tansillo era‭ “‬molto studioso del Sannazaro‭”‬,‭ ‬visto che conosceva di lui non solo le stampe ma anche le composizioni che allora correvano manoscritte,‭ ‬e che il Tansillo‭ “‬abbellì in parecchi punti e in altri…rese più artificioso‭” ‬il suo modello.‭ ‬Affermazioni che da allora sono state sempre confermate da studiosi successivi,‭ ‬a partire dal Percopo,‭ ‬il quale,‭ ‬riferendola in calce al sonetto Tansilliano approvava e rilanciava:‭ “‬ma,‭ ‬a mio parere,‭ ‬nell’insieme,‭ ‬superò‭” Luigi Tansillo,‭ ‬Il canzoniere,‭ ‬cit.,‭ ‬p.‭ ‬50.,‭ ‬passando per il Raimondi,‭ ‬che rileva nel Tansillo un ritmo più‭ “‬scandito e concertato‭”‬,‭ ‬dovuto alla‭ “‬nuova orchestrazione della triade Madonna-Amore-me stesso‭” Ezio Raimondi,‭ ‬Il Petrarchismo nell’Italia meridionale,‭ ‬in:‭ ‬A.A.‭ ‬V.V.,‭ ‬Atti del Convegno internazionale sul tema:‭ ‬Premarinismo e pregongorismo,‭ ‬Roma,‭ ‬Accademia Nazionale dei Lincei,‭ ‬1973,‭ ‬p.‭ ‬109n.‭ ‬fino al Pestarino,‭ ‬che è il primo a discutere la questione dell’attribuzione posta dalla Milburn‭ (‬propendendo per il Tansillo‭) ‬e che,‭ ‬continuando sulla stessa linea,‭ ‬nota che Tansillo‭ “‬purifica il sonetto sannazariano da quanto c’era di accessorio rispetto alla contrapposizione primaria‭” ‬e fornisce una chiusa più sonora che contrasta con quella sannazariana,‭ ‬pacata e vocalica.‭ ‬Il sonetto sarebbe del Tansillo per motivi stilistici,‭ ‬dato che il Tasso sarebbe contrario a contrapposizioni così marcate Pestarino,‭ ‬Tansillo e Tasso,‭ ‬cit.,‭ ‬p.‭ ‬234‭; ‬cita la‭ ‬Lezione del Tasso sopra il sonetto del Casa.,‭ ‬e tematici,‭ ‬data la coincidenza con autori poco diffusi‭ ‬al di fuori di Napoli,‭ ‬come Dragonetto Bonifacio,‭ ‬Cariteo e De Jennaro e con il Sannazaro della dispersa‭; ‬tuttavia lo stesso Pestarino si chiede come mai,‭ ‬se il sonetto è veramente del Tansillo,‭ “‬il poeta abbia escluso dal Codice Casella delle proprie rime un esemplare‭ ‬così ben riuscito della sua versificazione‭ […]” ‬e d’altra parte lo studioso aveva fornito con dotta perizia,‭ ‬accanto ad esempi napoletani,‭ ‬anche prove tematicamente molto affini‭ ‬di poeti‭ ‬non meridionali,‭ ‬come l’Ariosto del Furioso,‭ ‬il Cavalier Gandolfo,‭ ‬Giuliano de‭’ ‬Medici,‭ ‬l’Alamanni‭; ‬e ci sarebbe da chiedersi se la dispersa del Sannazaro non avesse prodotto i suoi frutti in qualche modo anche al di fuori del Regno. Il fatto è che la dispersa in questione in realtà era abbastanza diffusa e circolava,‭ ‬a metà Cinquecento,‭ ‬un po‭’ ‬in tutta Italia,‭ ‬anche se adespota.‭ ‬L’idea,‭ ‬sottesa a tutta la tradizione critica a partire dal Torraca,‭ ‬di un Tansillo privato ed esclusivo delibatore di rarità sannazariane è quanto meno da ridimensionare. Il sonetto è presente inanzitutto,‭ ‬come sappiamo,‭ ‬nel‭ ‬dal Palatino VII‭ ‬720‭ ‬della Biblioteca Nazionale di Firenze,‭ ‬dal Mauro nella sua edizione siglato FN4,‭ ‬a c.‭ ‬83b‭; ‬pertiene dunque della prima parte del codice,‭ ‬di mano del copista‭ ‬a secondo il Mauro‭ (‬e‭ ‬b secondo la più razionale denominazione di Cesare Bozzetti‭) Per un’edizione critica del‭ “‬canzoniere‭” ‬del Sannazaro,‭ ‬SFI,‭ ‬LV,‭ ‬1997,‭ ‬p.114-5‭ ‬la parte che contiene rime del Sannazaro e di altri per lo più adespote‭; ‬il sonetto è comunque ivi attribuito al Sannazaro,‭ ‬attribuzione forse non certissima ma nemmeno da mettere in dubbio senza particolari motivi. È‭ ‬ poi‭ ‬presente nel‭ ‬Vaticano Latino‭ ‬5225,‭ ‬manoscritto di metà‭ ‬500‭ ‬che contiene poesie di vari settentrionali‭ (‬Amanio,‭ ‬Trissino,‭ ‬Bandello,‭ ‬Barignano,‭ ‬Molza,‭ ‬Mozzarello‭) ‬e del Sannazaro‭; ‬ma il nostro sonetto non è attribuito.‭ ‬Ho siglato questo manoscritto V‭; nel‭ ‬Panciatichiano‭ ‬164,‭ ‬manoscritto fiorentino di metà‭ ‘‬500‭; ‬a p.‭ ‬246-7‭ ‬vi è una lettera di Pietro Bembo al Duca di Firenze di raccomandazione di Benedetto Varchi datata‭ ‬21‭ ‬marzo del‭ ‬1545‭ (‬Bembo,‭ ‬Lettere,‭ ‬2286‭; ‬ma il testimone non è citato nell’apparato e la data non corrisponde‭)‬.‭ ‬A pp.‭ ‬257-8‭ ‬vi è una lettera del cardinal di Gambera‭ (‬Uberto,‭ ‬protonotario apostolico,‭ ‬fratello della poetessa‭) ‬a sua eccellenza‭ (‬il Duca di Toscana‭) ‬datata di Roma‭ ‬21‭ ‬marzo del‭ ‬1545,‭ ‬in cui si raccomanda il Varchi che è stato messo in prigione dai ministri di Sua Eccellenza.‭ ‬Seguono sonetti del Varchi e del Lasca in morte del Bembo,‭ ‬il tutto nella stessa sezione di una mano calligrafica che va da p.‭ ‬243‭ ‬a p.‭ ‬324‭; ‬dato il contenuto,‭ ‬può darsi che il manoscritto provenga da un qualche funzionario della corte ducale,‭ ‬oppure al Varchi stesso,‭ ‬che però dubito che abbia voluto conservare le prove e i ricordi di una vicenda per lui così scabrosa.‭ ‬Ho indicato questo testimone con la sigla F‭; nel ms.‭ ‬1250‭ ‬della Biblioteca Universitaria di Bologna a,‭ ‬p.‭ ‬105.‭ ‬Della stessa grafia sono le cc.‭ ‬105-107‭ ‬che contengono:‭ Poiché il leggiadro aspetto,‭ ‬altiero‭ ‬e santo‭ (‬terzine‭) Lasso,‭ ‬ch’io non so ben di cui biasmarmi Occhi beati,‭ ‬e tu del ciel discesa‭ ‬(son.‭) Come posso dir io che sì begli occhi‭ (‬ball.‭) Non v’ammirate amanti s’in lei spero‭ (‬madr.‭) Come potrò lontan dal mio bel sole‭ (‬ball.‭)‬ tutti adespoti,‭ ‬e ‭ ‬Alma città,‭ ‬che già tenesti a freno ‭ ‬che reca la dicitura:‭ ‬Canzona del Molza. Probabilmente l’attribuzione esplicita della canzone ha indotto il Frati a pubblicare tutto il gruppo tratto da questo manoscritto‭ (‬tranne il nostro sonetto che era già attribuito al Sannazaro dal Torraca‭) ‬sotto il nome del Molza nelle‭ ‬Rime inedite del Cinquecento ‭ ‬Rime inedite del Cinquecento,‭ ‬ediz.‭ ‬a cura di L.‭ ‬Frati,‭ ‬Bologna,‭ ‬Romagnoli-Dall'Acqua‭ ‬1918.,‭ ‬attribuzione che pare un po‭’ ‬sbrigativa‭; ‬va detto anche che la ballata‭ ‬Come posso dir io che sì begli occhi è‭ ‬attribuita all’Amanio a c.‭ ‬45v del Vat.‭ ‬Lat.‭ ‬5187.‭ ‬Ho siglato questo manoscritto B. Aggiungo che il fatto che la tradizione del sonetto sembri prevalentemente settentrionale e adespota non implica di per sé che questo non sia del Sannazaro:‭ ‬anzi,‭ ‬è destino comune ad altre sue disperse Cfr.‭ ‬Cesare Bozzetti,‭ ‬Un madrigale adespoto ed inedito e una canzone di dubbia attribuzione,‭ ‬in‭ ‬Operosa parva per Gianni Antonini,‭ ‬Verona,‭ ‬Valdonega,‭ ‬1996,‭ ‬p.‭ ‬144‭ ‬e‭ ‬145..‭ ‬Intendo affermare però che il componimento non era diffuso solamente a Napoli,‭ ‬e che i contemporanei potevano anche non sapere che fosse del Sannazaro. Riproduco ora il testo della dispersa del Sannazaro nella lezione di FN4,‭ ‬con in apparato le varianti degli altri testimoni:‭ (‬3‭) Lasso,‭ ‬ch’io non so di chi biasmarmi, D’Amor,‭ ‬di me medesmo o di costei, Ch’havendo libertà persa per lei dovea‭ ‬per suo prigion lieto accettarmi. Ma Amor volse non lei ligato farmi Anzi‭ ‘ ‬l‭ ‬vols’io,‭ ‬che pur quest’occhi mei tenni fermi a quel sol ch’i sacri dei Havria infiammato e llì volsi ligarmi. Horsù biasmamo ognun del propio errore: Amor che mel mostrò,‭ ‬io ch‭’ ‬el mirai, e lei che fu materia a un tanto ardore. Anzi‭ ‬laudamo ognun:‭ ‬lei ch’i suoi rai dignò mostrarmi,‭ ‬e ch’el permisse Amore, E‭ ‬me che più bel sol non viddi mai 1‭ ‬so‭] ‬so ben F B‭ ‬2‭ ‬di me medesmo‭] ‬o di me stesso F‭ ‬3‭ ‬havendo‭] ‬avend’io F‭ ‬persa‭] ‬perso‭ ‬F V‭ ‬4‭ ‬dovea‭] ‬Devria B V F‭ ‬prigion‭] ‬pregion B‭ ‬lieto‭] ‬lieta B V‭ ‬5‭ ‬Ma‭] ‬d.‭ ‬B V‭ ‬Ma…lei‭] ‬Amor non io vore‭ ‬ F‭ ‬ligato‭] ‬legato F‭ ‬6‭ ‬Anzi‭ ‘‬l vols’io,‭ ‬che pur quest‭’] ‬Anzi io,‭ ‬et Amor non‭ ‬,‭ ‬che gli‭ | ‬Anzi io volsi,‭ ‬Amor non,‭ ‬che‭ ‬gl‭’ ‬B V‭ ‬7‭ ‬fermi‭] ‬fissi B‭ ‬fisso V‭ ‬F‭ ‬a‭] ‬in B F‭ ‬dei‭] ‬iddei F‭ ‬8‭ ‬Havria infiammato e llì‭] ‬Infiama,‭ ‬et volontier‭ ‬F Potria infiammar e lì B V‭ ‬ligarmi‭] ‬legarmi B F‭ ‬9‭ ‬Horsù‭] ‬Dunque F‭ ‬biasmamo‭] ‬biasmiamo B‭ ‬propio‭] ‬proprio B V‭ ‬10‭ ‬che‭] ‬chi V‭ ‬el‭] ‬il V‭ ‬11‭ ‬che‭ ] ‬chi‭ ‬V‭ ‬un‭] ‬d.‭ ‬F‭ ‬materia a‭ ] ‬cagion d’un B‭ ‬ragion d’un V‭ ‬tanto‭] ‬tant‭’ ‬F‭ ‬12‭ ‬laudamo‭] ‬lodiamo B F‭ ‬lodamo V‭ ‬ch’i‭] ‬che F V‭ ‬suoi‭] ‬soi B‭ ‬bei F‭ ‬13‭ ‬Dignò‭] ‬Degniò F Degnò B V‭ ‬el‭] ‬il B‭ ‬permisse‭] ‬permise B‭ ‬premesse F‭ ‬14‭ ‬che più bel‭] ‬ch’un più bel‭] ‬F‭ ‬ch’un simil B‭ ‬ch’un sì bel V Non è qui il luogo per discutere quale sia la lezione migliore o la più autentica‭; ‬al v.‭ ‬1,‭ ‬per esempio,‭ ‬la lezione di F e B permette di evitare la dieresi di‭ ‬io,‭ ‬che può apparire forse un po‭’ ‬duretta,‭ ‬ma può essere anche un’integrazione di uno o più copisti cinquecenteschi indipendenti tra loro.‭ ‬Per quello che attiene al nostro discorso,‭ ‬che è il confronto tra questo sonetto e quello attribuibile al Tansillo,‭ ‬faccio notare che la lezione di F al v.‭ ‬9,‭ ‬il molto più loico e conclusivo‭ ‬Dunque è più vicino alla rielaborazione tansilliana o pseudo tansilliana di quanto non sia la lezione di Fn4,‭ ‬e che quindi nulla ci obbliga a ritenere che proprio il Magliabechiano sia stato la fonte del Tansillo o di chiunque sia l’autore del sonetto‭ ‬Vorrei,‭ ‬né so di cui più lamentarmi. Ed ora veniamo al sonetto che si disputa tra il Tansillo e il Tasso.‭ ‬Riassumendo A dire il vero un esauriente riassunto della questione è già presente in Pestarino,‭ ‬Tansillo e Tasso,‭ ‬cit.,‭ ‬p.‭ ‬226‭ ‬n.‭ ‬Lo ripeto qui per comodità di esposizione.,‭ ‬solo M attribuisce il sonetto al Tansillo,‭ ‬mentre al Tasso viene attribuito da due manoscritti:‭ il‭ ‬Palatino‭ ‬224,‭ ‬miscellaneo,‭ ‬confezionato dal Serassi,‭ ‬che però,‭ ‬contrariamente al solito,‭ ‬non indica la provenienza del contenuto.‭ ‬Il sonetto è assieme ad altri componimenti‭ ‬,‭ ‬nessuno dei quali è una poesia sicuramente attribuibile al Tasso:‭ Tu godi il sol ch’agli occhi miei s’asconde‭ (‬1‭) Vorrei né so di chi più lamentarmi‭ (‬2‭) Che‭ ‬rete è questa ov’io son colto,‭ ‬Amore‭?‬ (3‭) Donna,‭ ‬crediate,‭ ‬che chi col pensiero‭ ‬ (4‭) Un inferno angoscioso è la mia vita‭ (‬5‭) Una donna vid’io che in grembo avendo‭ (‬6‭) Il testimone venne schedato dal Solerti nel primo volume delle‭ ‬Rime del Tasso,‭ ‬sotto la sigla P3‭; ‬il sonetto però non compare nell’edizione critica solertiana,‭ ‬rimasta incompiuta,‭ ‬né in quella del Maier che ne è,‭ ‬per quanto riguarda i testi una riproduzione e un completamento sulla base del materiale inedito preparato dal Solerti Cfr.‭ ‬la Nota ai testi in T.‭ ‬Tasso,‭ ‬Opere,‭ ‬a c.‭ ‬di Bruno Maier,‭ ‬Milano,‭ ‬Rizzoli‭ ‬1963,‭ ‬I p.‭ ‬1153.‭ (‬che evidentemente intendeva comprendere il nostro sonetto nelle rime di dubbia attribuzione‭)‬,‭ ‬né in altre edizioni successive. Il manoscritto MM‭ ‬693‭ ‬della Biblioteca Civica‭ “‬Angelo Mai‭” ‬di Bergamo,‭ ‬che contiene,‭ ‬tra gli altri,‭ ‬tutti i sei componimenti.‭ ‬Il sonetto in questione è replicato due volte,‭ ‬a c.‭ ‬67‭ ‬v.‭ ‬e‭ ‬74v.‭ Vercingetorige Martignone V.‭ ‬Martignone,‭ ‬Catalogo dei manoscritti delle‭ ‬Rime di Torquato Tasso,‭ ‬Centro di Studi Tassiani,‭ ‬Bergamo,‭ ‬2004,‭ ‬pp.‭ ‬30-31.‭ ‬ha schedato il manoscritto con la sigla H3‭ (‬era sconosciuto al Solerti‭) ‬ha segnato il nostro sonetto con l’asterisco proprio delle rime dubbie e ha indicato,‭ ‬per tre delle rime del gruppo di sei,‭ ‬altre attribuzioni:‭ ‬Guarini‭ (‬1‭)‬,‭ ‬Anguillara‭ (‬3‭) ‬e Fortunio Spira‭ (‬5‭); ‬insomma,‭ ‬la tradizione serassiana e‭ “‬bergamasca‭” ‬che attribuisce il sonetto al Tasso è altrettanto infida della tradizione‭ “‬napoletana‭” (‬rappresentata dal solo M‭) ‬che attribuisce il sonetto al Tansillo.‭ ‬E d’altronde a questo punto si può dire che il dilemma può non essere affatto tale:‭ ‬non è da credere che se si riesce ad escludere che il sonetto sia del Tasso allora lo si può attribuire al Tansillo o viceversa,‭ ‬che ci si debba schierare col Serassi o col compilatore di M,‭ ‬con Bergamo o Napoli.‭ Vi è un altro testimone:‭ ‬il manoscritto è adespoto nel ms.‭ ‬O.91.Q mss sez.‭ ‬II‭ ‬90‭ ‬della bib.‭ ‬Labronica di Livorno.‭ ‬Si tratta di un manoscritto della seconda metà del Cinquecento,‭ ‬composito,‭ ‬di diverse mani,‭ ‬riconducibile all’attività,‭ ‬agli interessi e al circolo di Giovan Girolamo Acquaviva Duca d’Atri.‭ ‬E‭’ ‬stato studiato dal Giraldi Raffaele Girardi,‭ ‬Esperimenti satirici e burleschi alla corte di Giovan Girolamo Acquaviva‭ (‬con un’appendice di inediti‭)‬,‭ ‬in‭ “‬Giornale Storico della Lingua Italiana‭”‬,‭ ‬CLXXIV,‭ ‬1997,‭ ‬pp.‭ ‬385-417.‭ ‬per quanto riguarda le satire in sdruccioli che contiene.‭ ‬Il nostro sonetto è a c.‭ ‬59,‭ ‬nella prima parte del manoscritto,‭ ‬di una stessa mano calligrafica,‭ ‬che contiene qualche prosa per lo più di carattere militare e molte rime di autori non identificati,‭ ‬dello stesso Giovan Girolamo Acquaviva,‭ ‬di Berardino Rota,‭ ‬Scipione Ammirato‭ (‬la satira in sdruccioli‭ ‬Oportuno signor Alfonso Cambio‭) ‬e il sonetto‭ ‬Cura,‭ ‬che di timor ti nutri e pasci di Giovanni della Casa.‭ ‬Tutti i componimenti sono adespoti.‭ ‬Questa parte del manoscritto è databile‭ ‬post luglio‭ ‬1563,‭ ‬che è la data esplicita della satira dell’Ammirato,‭ ‬e non mi pare che possa essere troppo più recente‭; ‬anzi,‭ ‬per quanto è possibile sapere,‭ ‬il materiale ivi contenuto databile è di qualche anno più antico:‭ ‬le rime del Rota vi compaiono‭ ‬in una redazione più antica di quella testimoniata dalle stampe Rota,‭ ‬Rime,‭ ‬p.‭ ‬674.‭ ‬.‭ ‬Insomma,‭ ‬un contesto,‭ ‬geografico e cronologico,‭ ‬incompatibile con Torquato Tasso,‭ ‬molto meno con Luigi Tansillo. Il nostro sonetto reca nel manoscritto livornese importanti differenze di lezione,‭ ‬soprattutto nelle terzine.‭ ‬Lo riproduco qui di seguito,‭ ‬con un apparato di varianti degli altri testimoni,‭ ‬fornendo una piccola legenda per le sigle dei manoscritti: M‭ = ‬ms.‭ ‬XXIII.‭ ‬D.‭ ‬12‭ ‬della Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria‭ (‬testo Percopo‭)‬. H3‭=‬ ms.‭ ‬MM‭ ‬693‭ ‬della Biblioteca Civica‭ “‬Angelo Mai‭” ‬di Bergamo.‭ ‬Se vi sono differenze,‭ ‬si indica con H3a la lezione di‭ ‬c.‭ ‬67v.‭ ‬e H3b la lezione di‭ ‬74v. P‭ = ‬ms.‭ ‬Palatino‭ ‬224‭ ‬della Biblioteca Nazionale di Firenze. Vorrei non so di cui più lamentarmi, Di Madonna,‭ ‬d’Amor o di me stesso: Madonna mi chiamò,‭ ‬Amor fu il messo Ed io,‭ ‬libero,‭ ‬corsi a impregionarmi. Ella hor mi scaccia,‭ ‬Amor torna a chiamarmi‭; Io scior mi vorrei,‭ ‬né m’è concesso, Et veggio,‭ ‬ahi lasso,‭ ‬il mio gran danno espresso: Né da lui né da lei posso ritrarmi. Dunque debbo biasmar me,‭ ‬lei e Amore: Lei che a sé mi chiamò per mio dolore, Amor che m’ingannò,‭ ‬me che‭ ‘‬l credei, Anzi debbo lodar me,‭ ‬lei e Amore: Me che la viddi,‭ ‬Amor che m’arse il core, Lei che sì bella apparve agli occhi miei. 1‭ ‬non‭] ‬né M H3‭ ‬P‭ ‬cui‭] ‬chi H3b P‭ ‬2‭ ‬Amor‭] ‬Amore M‭ ‬H3‭ ‬4‭ ‬impregionarmi‭] ‬imprigionarmi‭ ‬M‭ ‬H3‭ ‬P‭ ‬5‭ ‬hor‭] ‬d.‭ ‬M H3‭ ‬P‭ ‬chiamarmi‭] ‬pregarmi‭ ‬H3‭ ‬P‭ ‬6‭ ‬scior mi‭] ‬sciormene H3‭ ‬P‭ ‬vorrei‭ ] ‬non desio M‭ ‬6‭ ‬concesso‭] ‬permesso‭ ‬H3b P‭ ‬7‭ ‬danno‭] ‬male H3‭ ‬P‭ ‬8‭ ‬Né da lui,né da lei posso‭] ‬Né da lei né da lui poss’io M‭ ‬9‭ ‬lei e Amore‭] ‬lui e lei‭ ‬M H3‭ ‬P‭ ‬11‭ ‬Amor‭] ‬E lui H3‭ ‬P‭ ‬13‭ ‬Me…core‭] ‬Lei che sì bella parve a gli occhi miei‭ ‬M H3‭ ‬(apparve H3a‭ ‬ apparse H3b P‭) ‬14‭ ‬Lei…miei‭] ‬Me che la viddi,‭ ‬Amor che m’arse il core M H3‭ ‬(vidi H3a‭) Le differenze sostanziali sono nelle terzine,‭ ‬e sulle terzine principalmente dovremo soffermarci.‭ ‬Ma giova notare che la variante al v.‭ ‬6‭ ‬rende il testo livornese‭ ‬più perspicuo che in M:‭ ‬la lezione di M‭ ‬(scior mi non desio‭) ‬sembrerebbe il tentativo di sanare l’ipometria‭ ‬della lezione del livornese,‭ ‬ma,‭ ‬se rende la lezione più accettabile all’orecchio,‭ ‬e richiama superficialmente il‭ ‬topos tritissimo del carcere d’Amore dolce‭ ‬e gradito,‭ ‬in realtà non si accorda col senso del contesto,‭ ‬che tratta del mutamento dell’intenzione del poeta,‭ ‬che appunto prima,‭ ‬chiamato dalla donna,‭ ‬corse ad imprigionarsi volontariamente,‭ ‬ed ora che questa lo scaccia vorrebbe invece liberarsi‭ (‬scior mi vorrei‭)‬,‭ ‬ma Amore glielo impedisce.‭ ‬L’ipometria‭ ‬sarebbe risolvibile supponendo una dieresi d’eccezione in cesura:‭ ‬vorrei,‭ ‬in fine di emistichio,‭ ‬si comporterebbe come in fine di verso Cfr.‭ ‬A.‭ ‬Menichetti,‭ ‬Metrica italiana.‭ ‬Fondamenti metrici,‭ ‬prosodia,‭ ‬rima,‭ ‬Padova,‭ ‬Antenore,‭ ‬1993,‭ ‬p.‭ ‬243,‭ ‬e sarebbe da scandirsi in tre sillabe‭ (‬d’altra parte,‭ ‬altrettanto eccezionale sarebbe la dialefe in cesura del v.‭ ‬3‭)‬ ; espediente inaccettabile,‭ ‬a metà Cinquecento,‭ ‬per rimatori della perizia di un Tansillo o di un Tasso.‭ ‬Pienamente accettabile,‭ ‬per senso e prosodia,‭ ‬la lezione di H3‭ ‬P‭; ‬ma potrebbe‭ ‬essere frutto di una correzione,‭ ‬più felice di quella che si ritrova in M.‭ ‬Il fatto è che i testimoni che attribuiscono il testo a‭ ‬Tansillo o a Tasso hanno una sospetta tendenza alla regolarizzazione formale e retorica‭ (‬che potrebbe essere avvenuta anche gradualmente,‭ ‬di copia in copia‭)‬ dovuta forse alla cultura dei diversi copisti o la fatto stesso che il testo debba far parte di un’alta tradizione poetica ormai consolidata:‭ ‬si veda anche la variante al v.‭ ‬2‭ ‬di M e H3‭ (‬contro P‭) ‬Amore‭ ‬che riduce la dialefe d’eccezione‭ (‬ma sconvolge il ritmo del verso‭) ‬e la lezione del v.‭ ‬11‭ ‬di P H3‭ (‬contro M‭)‬,‭ ‬E lui,‭ ‬che permette una migliore correlazione con‭ ‬lui e lei della fine del v.‭ ‬9‭ ‬nella lezione di H3‭ ‬M P. E veniamo ora alle terzine.‭ ‬La lezione del manoscritto labronico è completamente diversa da quella degli altri testimoni.‭ ‬Diverso lo schema metrico,‭ ‬CCD CCD,‭ ‬piuttosto raro e monotono con quelle rime baciate ripetute,‭ ‬sconcertante la rima identica al v.‭ ‬9.‭ ‬E‭’ ‬vero che può essere frutto di un errore di copista,‭ ‬attratto dal simile finale del v.‭ ‬12‭; ‬ma l’identità può essere retoricismo cosciente,‭ ‬per voluta simmetria di argomentazione nelle terzine,‭ ‬laddove la variante di M H3‭ ‬P‭ (‬variante che naturalmente si porta dietro tutta l’organizzazione metrico-sintattica delle terzine‭) ‬ha solo il pregio di eliminare la rima identica:‭ ‬per il resto non mi pare un buon guadagno l’affollarsi cacofonico dei monosillabi tonici alla fine del v.‭ ‬12‭ ‬con accenti di‭ ‬6a,‭ ‬7a,‭ ‬8a.‭ ‬Si noti inoltre che la struttura del testo labronico,‭ ‬che io tenderei a considerare l’originale,‭ ‬punta il sonetto a gravitare,‭ ‬come già nel modello sannazariano,‭ ‬verso il complimento finale del v.‭ ‬14‭ (‬E‭ ‬me che più bel sol non viddi mai‭ | ‬Lei che sì bella apparve agli occhi miei‭) ‬insieme‭ ‬pointe epigrammatica e suprema galanteria,‭ ‬un pezzo di‭ ‬buona‭ ‬vecchia scuola cortigiana. Insomma la lezione del manoscritto di Livorno ha una sua coerenza interna retorica e stilistica,‭ ‬nel solco di una tradizione cortigiana di repertorio che ha le radici nel Quattrocento ma che continuava ancora nel pieno Cinquecento.‭ ‬Ma un’applicazione così ingenua,‭ ‬così poco scaltrita,‭ ‬ancora così rigidamente didascalica delle vecchie pratiche della sonetteria e strambotteria cortigiane si fa fatica ad attribuirla sia al Tansillo che al Tasso:‭ ‬in questo senso è un passo indietro anche rispetto al modello sannazariano,‭ ‬e mi perdoni il Torraca,‭ ‬che certamente non pensava ben più di un secolo fa di poter suscitare ora questo mio sproloquio.‭ ‬Intendiamoci,‭ ‬le figure di ripetizione su concetti e parole chiave sono stilemi tansilliani tipici‭ (‬riprese,‭ ‬capfinidad,‭ ‬duplicationes,‭ ‬concatenazioni,‭ ‬polittoti‭) ‬che segnano una certa distanza dalla retorica alta petrarchesca,‭ ‬come ha bene mostrato Andrea Afribo ‭ ‬A.‭ ‬Afribo,‭ ‬La ripetizione ed altro in‭ ‬Luigi Tansillo,‭ ‬«Rivista di Letteratura Italiana‭»‬,‭ ‬12‭ (‬1994‭)‬,‭ ‬pp.‭ ‬43-77.‭; ‬tuttavia nulla di così‭ ‬oltranzistico e brutale‭ ‬si può rinvenire nell’ampio e ragionato regesto di ripetizioni tansilliane proposto dallo studioso‭ ‬.‭ ‬E anche pensando che il testo di M,‭ ‬H3‭ ‬e P sia frutto di correzioni d’autore e non della tradizione,‭ ‬resta che il punto di partenza,‭ ‬testimoniato,‭ ‬a mio parere,‭ ‬appunto dalla redazione livornese,‭ ‬non è compatibile con quello che sappiamo della carriera poetica dei due grandi‭; ‬oltre al fatto che né l’uno né l’altro sarebbero potuti approdare,‭ ‬dopo lungo tormento,‭ ‬alla faticosa mediocrità ritmica del v.‭ ‬12. L’autore del sonetto è probabilmente un buon dilettante del medio Cinquecento,‭ ‬molto ingegnoso ma non abbastanza‭ ‬a la page dal punto di vista metrico e retorico,‭ ‬oppure programmaticamente ed ostinatamente arcaicizzante‭; ‬probabilmente,‭ ‬ma non necessariamente,‭ ‬napoletano‭; ‬forse un amico del Duca d’Atri.‭ ‬Di più non mi sembra di poter dire.