ETRUSCHI : LA QUESTIONE DELLE ORIGINI.
“ La conoscenza è il fondamento della critica.” (Arnaldo Momigliano, storico)
Come preambolo è essenziale sottolineare come il concetto stesso di formazione etnica e culturale
sia un assunto che presta il fianco a numerose critiche; esso è infatti una semplice astrazione che
non ha per nulla riscontro nel campo degli studi storici.
Solo in ambito giuridico e politico possiamo parlare di sistemi che si formano, decadono e
scompaiono. I popoli e le civiltà, con le loro lingue e i loro elementi culturali ed artistici, di norma
non scompaiono ma si trasformano incessantemente.
Quindi il divenire storico non è frazionabile,è un continuum che si evolve quotidianamente anche se
in maniera impercettibile.
Ecco dunque che lo studio dell’origine del popolo e della civiltà etrusca si riduce ad un mero, ma
suggestivo, problema storico e cronologico all’interno del quale, allo stato attuale delle conoscenze,
è notevolmente complicato dare corpo a dei fenomeni tanto complessi che portarono ad una
trasformazione etnica e culturale molto profonda nella nostra penisola tra il XIV ed i XIII secolo
a.C. Tuttavia non ci si può esimere dall’affrontare l’argomento in quanto l’enorme mole di dati oggi
esistenti consente, se non altro, di vagliare coerentemente i vari aspetti del problema.
Se lo chiedevano gli antichi, e se lo sono chiesto anche i più grandi archeologi e studiosi del
Novecento: da dove provenivano gli Etruschi? Dall’Oriente? Oppure erano invece autoctoni?
A ben guardare anche gli antichi non avevano idee chiare in proposito. Per Erodoto (I, 94) i
“Tirreni” venivano dall’ Asia Minore; per Ellanico di Lesbo (Dioniso I, 28) erano da identificarsi
con il misterioso popolo dei Pelasgi. Virgilio li chiama invece “Lidi”, infine Dionigi d’Alicarnasso
(Antichità romane, 26 – 30 )è certo che fossero “genti d’Italia”. Ad aggiungersi a queste autorevoli
fonti non ultima è la recente teoria elaborata dal Prof. Torroni, Direttore del Laboratorio di Genetica
dell’ Università di Pavia, imperniata sullo studio del DNA mitocondriale delle moderne genti
dell’Etruria (alto Lazio e bassa Toscana) confrontato con quello di oltre 15.000 persone provenienti
da 55 popolazioni dell’ Eurasia occidentale, tra cui 7 italiane. In base ai dati ottenuti i ricercatori
hanno concluso che gli Etruschi sono sicuramente di origine mediorientale e che giunsero sulle
nostre coste per via mare. Ulteriore conferma dell’origine Anatolica degli etruschi viene data anche
dalla Società Europea di Genetica Umana che ha recentemente reso pubblici i risultati di specifiche
ricerche condotte dall’Università di Torino e Piacenza, e pubblicate dalla rivista Proceeding of the
Royal Society, in cui un equipe di studiosi ha accertato che sia il DNA maschile che quello
femminile degli abitanti dell’isola greca di Lemnos è simile per il 60% a quello degli attuali abitanti
di Murlo, Tarquinia e Volterra.
Indiscutibilmente la nascita della nazione etrusca fu il frutto della convergenza di più elementi che
andarono a fondersi in un periodo di tempo relativamente breve determinando in breve quell’osmosi
culturale con le popolazioni autoctone e che diede origine ad una facies culturale unica nel suo
genere il cui ethnos finale fu il frutto di una lunga trasformazione avvenuta all’interno di una
popolazione sostanzialmente autoctona ma aperta a continui apporti etnici alloctoni che diedero vita
ad un fenomeno di formazione etnica e culturale che sfocerà poi nella genesi dell’ ethnos etrusco
nella seconda metà del secondo millennio a.C. ( 1500 – 1000 a.C. ).
Appare chiaro, quindi, che l’origine degli Etruschi non deve intendersi come un grande
sommovimento culturale provocato da immigrazioni di popoli di vasta portata, ma piuttosto come
un continuo immettersi di nuove e fattive presenze etniche esterne all’area tirrenica quivi immigrati.
Partendo da questo doveroso presupposto, per addentrarci in questa spinosa questione non possiamo
non iniziare col citare un’importante scoperta avvenuta nel 1885 in un luogo molto distante
dall’Etruria. Durante gli scavi nella località di Kaminia, sull’isola di Lemno, nell’Egeo, fu ritrovata
una stele funeraria di un uomo del luogo che presentava una lunga iscrizione in una lingua che gli
studiosi non esitarono a certificare come strettamente legata all’etrusco. Solo dopo molto tempo
l’importante scoperta,però, ci si rese conto che la stele, con la sua particolare iscrizione, poteva
1
essere la prova di un flusso migratorio che portò popoli dell’area egeo-anatolica sulle sponde
tirreniche.
Ad esempio nel 1947 il Pallottino notava che : ” … il motivo della provenienza degli Etruschi
dall’oriente è legato ad una trasmigrazione marittima di una frazione del popolo lidio “ e con ciò si
dava per certo che il popolo etrusco fosse nato dalla fusione di elementi etnici diversi .
La teoria della provenienza orientale si basa esclusivamente sulla testimonianza di Erodono il quale
afferma che attorno al 1250 a.C. i mitici Tarconte e Tirreno partirono dal regno di Lidia, afflitto da
una devastante carestia, per dirigersi verso le coste occidentali dell’Italia.
All’epoca dei fatti il regno di Lidia non esisteva con tale nome, che gli fu dato in epoca classica
appunto, ma la regione era conosciuta con il toponimo di Arzawa il quale identificava uno dei tanti
stati satelliti anatolici dell’immenso impero ittita.
In un documento ittita, recuperato negli scavi della città di Hattusa, del XIII secolo a.C. si fa
esplicito riferimento di una gravissima carestia che avrebbe interessato i territori di Shea, Mira,
Pitassa e Arzawa ed in tale circostanza il re dei Rasena di Arzawa, Madduwattas, decise che una
parte della popolazione doveva abbandonare il regno per via mare tramite una potente flotta. Siamo
intorno al 1250 e l’originale versione ittita combacia perfettamente con quella più tarda di Erodoto.
Quindi abbiamo già una precisa testimonianza di un esodo significativo di un popolo, quello dei
Rasena, che si diresse verso un area del Mediterraneo occidentale.
Contemporaneamente a questi avvenimenti in un'altra regione, posta a nord delle isole Egee e delle
coste dell’Asia Minore, più precisamente sulle sponde del Mar Nero, venne interessata dalla
possente spinta espansionistica degli Achei che, al termine di devastanti anni di guerre, indussero il
popolo dei Tursha ad una migrazione di massa, anch’esso per via mare.
Da questi violenti mutamenti socio-politici venne a crearsi la leggenda dei popoli del mare, citati
con terrore dalle fonti egiziane, i quali, nella loro marcia di avvicinamento al bacino del
Mediterraneo, operarono frequenti saccheggi lasciando così un segno indelebile del loro passaggio.
Considerando tutto ciò comincia a prendere forma la probabilità che sulle coste tirreniche, poco
dopo la seconda metà del XIII secolo a.C., oltre alle etnie autoctone, vi fosse la marcata presenza di
altri due ceppi etnici non indoeuropei , i Rasena anatolici ed i Tursha caucasici, con tratti culturali
affini, ma non simili, che, più o meno forzatamente, dovettero convivere nella medesima area
geografica individuata in quella fascia costiera del Mar Tirreno che va dall’ Arno al Tevere.
L’inevitabile contatto con etnie locali, nella fattispecie quella Umbra, indoeuropea, che già
all‘epoca aveva dato vita ad un diffuso fenomeno culturale ampiamente accertato nell’Alto Lazio
con il nome di Civiltà appenninica, diede origine ad infiltrazioni che servirono a preparare un
nuovo sostrato etnico che in un lasso di tempo relativamente breve avrebbe dato vita ad una nuova
Facies culturale comunemente conosciuta come Protovillanoviano ( 1200 – 1000 a.C. ).
E’ proprio fra il XII secolo ed il X che si riscontra un vasto fenomeno di riassetto del territorio
tirrenico caratterizzato da un dinamico sinecismo demografico inusuale fino a quel momento.
Soprattutto le vallate dei fiumi Albegna, Marta e Fiora acquisirono, in questo periodo,
un’importanza eccezionale; qui la presenza di luoghi inaccessibili, facilmente difendibili,
contribuirono allo sviluppo di comunità con una concentrazione di popolazione altrove sconosciuta.
Il nuovo tipo di abitato, posto quasi sempre su di un pianoro tufaceo alla confluenza di due fiumi, è
il frutto di un agglomerarsi di distinti gruppi etnici caratterizzati da peculiarità culturali proprie che
risulteranno essere il veicolo primario del rapido sviluppo socio-economico dell’area in questione.
Alla luce di questi dati, il Protovillanoviano, quindi, appare come un unicum rispetto ad altre aree
della Penisola che può spiegarsi solamente se si accetta l’idea di notevoli contributi culturali
apportati da fattori esterni all’area mediterranea.
A questo proposito anche M. Torelli che : “… le presenze protovillanoviane in area tosco-laziale
sono imponenti e significative soprattutto nella zona corrispondente alla futura Etruria
Meridionale.” L’impressione che si ricava, quindi, dalla capillarità degli insediamenti e dalla
omogeneità culturale della prima fase Villanoviana è quella di un gigantesco processo di
2
colonizzazione avviato già da diverse generazioni e che finì per sommergere le culture circostanti
meno forti e compatte.
Questo straordinario fenomeno ebbe, dati alla mano, il suo epicentro in quel territorio gravitante fra
Tarquinia, Vulci e Cerveteri dal quale, poi, iniziò il suo irradiamento verso l’interno della Penisola
dove si sostituì ad contesti culturali diversissimi fra loro e, pertanto, senza continuità storica.
D'altronde la presenza massiccia di ceramica micenea ed egea sia nelle necropoli che negli abitati di
questo periodo sembra confermare una feconda penetrazione di genti orientali che velocizza la
trasformazione culturale locale. Una presenza di certo non sporadica ma intima e duratura.
A questo proposito lo studioso Bosch Gimpera faceva notare che “… nella fase iniziale del
Villanoviano la ceramica di tipo egeo-anatolica arcaica appare molto diffusa solamente in Etruria.
La classe ceramica delle Schnabelkannen, ad esempio, si trova esclusivamente nelle necropoli ad
ovest dell’ Appennino, cioè nell’Etruria propriamente detta: Nel bolognese non ci sono
Schnabelkannen!” Come a dire che nelle necropoli villanoviane del litorale tirrenico vi era una
particolare concentrazione di una tipica ceramica rinvenibile solo in ambito anatolico ed egeo.
Ciò significa, ovviamente, che la cultura Villanoviana presente in Emilia è chiaramente posteriore a
quella Laziale; anzi , essa è il frutto diretto dell’espansione economica e culturale messa in atto
dalle comunità tirreniche ormai pienamente trasformate dall’originario influsso arrivato dal mare.
La prima ondata migratoria, probabilmente, fu operata dai Tursha che ebbero quindi il merito di
avviare la fase di passaggio fra le due culture soprattutto con l’introduzione del rito incineratorio e
del vaso biconico e con l’importante apporto nello sviluppo della tradizione bronzistica tirrenica
come potrebbe essere testimoniato da bronzi ed armi di ascendenza caucasica.
Appena dopo giunsero i Rasena dell’Arzawa che con i loro apporti etnici e culturali diedero vita al
Villanoviano vero e proprio non escludendo, da ultimo, l’introduzione della lingua etrusca così
come la conosciamo.
Quello che, di primo acchitto, può sembrare un fenomeno che ha interessato un ampio arco
cronologico, è invece da ricondurre dentro i limiti di poche generazioni : dalla prima ondata
migratoria fino al nascere della cultura Villanoviana è ragionevole pensare che siano trascorsi poco
più di 150 anni ( dal 1200 al 1000 circa ).
Ovviamente tutto ciò che non può essere provato desta sempre amletici dubbi che, nel nostro caso,
possono essere ragionevolmente fugati prendendo in esame un sito archeologico di fondamentale
importanza per la civiltà etrusca: la città di Tarquinia, l’etrusca Tarkna, o la greca Kyrniéta,
comunque sia, la città di Tarconte, l’eroe eponimo della storia etrusca.
In questo sito sono state portate alla luce immense necropoli ad ampio spettro cronologico, famosa è
la necropoli di Monterozzi, più vicina all’odierno abitato, ma di notevole interesse sono anche altre
ritrovate sui poggi circostanti l’antica città etrusca ubicata sul Pian della Civita.
I dati emersi dalle campagne di scavo dicono chiaramente che, nel periodo tardo Villanoviano,
erano in auge, a Tarquinia, due riti funerari diversi fra loro nonostante le sepolture fossero
assolutamente coeve.
Nella necropoli di Monterozzi era in uso il rito inumatorio, nelle altre necropoli poco distanti veniva
invece praticata l’incinerazione.
La differenza non è di poco conto perché la scelta implica divergenti visioni religiose della morte e
dell’oltretomba e se consideriamo che l’incinerazione è tipica delle genti ariane mentre
l’inumazione lo era di quelle mediterranee, possiamo senza dubbio affermare che in quel periodo
(900 a.c. ) sui colli di Tarquinia ancora convivevano, mantenendoinalterati i propri usi e costumi
sociali, le due etnie colonizzatrici di quei lidi, i Tursha ed i Rasena!
Con l’inizio della fase Orientalizzante le differenze scompaiono del tutto segno evidente che la
lunga fase di formazione del popolo etrusco è giunta al suo termine naturale: l’adozione della
scrittura è lo spartiacque storico di questo complesso processo culturale che ha portato i brandelli di
due popoli lontani e diversi ad unirsi per creare una civiltà per certi versi unica ed inimitabile.
3
Una civiltà che, quindi, non può definirsi autoctona, almeno nella sua fase embrionale, ma che lo è
divenuta grazie alla perfetta osmosi che le due etnie alloctone hanno saputo creare interagendo con
equilibrio con il tessuto culturale già presente in Etruria.
L’origine stessa del nome “Etruschi” affonda le sue radici nell’antica migrazione orientale. Se,
infatti, i Latini li indicavano come “Tusci” e gli Umbri con il termine “Turskum”, la derivazione
dal nome “Tursha” appare quanto mai emblematica.
Gli Etruschi, d’altro canto, chiamavano se stessi con il termine “Rasenna” o “Rasna” dall’ovvia
discendenza etimologica dal nome dei Rasena anatolici.
L’unica spiegazione per questa leggera divergenza appare spiegabile da un semplice fattore
cronologico: la seconda ondata migratoria fu, come già detto, operata dai Rasena ed essendo forse
più cospicua di quella attuata dai Tursha tempo prima, in poco tempo finì, in qualche modo, per
assorbire e sostituire l’incipit precedente, imprimendo di fatto la svolta definitiva a quel nuovo
processo di formazione culturale già in atto e sostituendo anche il nome identificativo della nuova
comunità che con il passare dei secoli divenne sempre più prospera espandendosi in quasi tutta la
Penisola dando luogo ad una raffinata civiltà.
Concludendo non possiamo fare a meno di citare di nuovo il Pallottino il quale ebbe a dire : “ La
nascita di un ethnos è un fenomeno complesso e nel caso degli Etruschi entrarono in gioco sia
elementi orientali, sia continentali che indigeni “.
A ben guardare questo, forse, spiega il difetto all’origine del dibattito : parlare di provenienza
anziché di formazione di un popolo il quale è un processo lento che non può aver avuto luogo che
nell’ Etruria stessa, a prescindere da influenze più o meno marcate che indubbiamente facilitarono
l’accrescimento culturale di quella che sarà poi una grande civiltà.
Una civiltà madre di altre civiltà e verso la quale abbiamo tutti un grosso debito di riconoscenza.
RICCARDO FIORETTI
La stele di Lemno: le iscrizioni sono in una lingua affine all’etrusco.
4