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ARTE A partire dagli anni Novanta, Dylan ha aggiunto un altro tassello al suo sconfinato universo artistico dedicandosi professionalmente a una carriera, stavolta pittorica, che lo ha portato a esibire le sue collezioni in molte gallerie prestigiose. Questa scelta ha stupito il grande pubblico, ma non i cultori e i fan più attenti. Dylan disegna da sempre, gli schizzi e le caricature a margine dei suoi autografi sono lì a dimostralo. Tra questi, ce n’è uno più illuminante degli altri, in grado di rivelare molto del suo primo approccio all’arte. Si tratta della sua copia dell’autobiografia Bound for Glory di Woody Guthrie, abbandonata per decenni in un cassetto a casa dei McKenzie e ora in possesso di un noto collezionista. Questa gemma (a chi ha la fortuna di vederla) riserva una miniera di spunti: liste di canzoni, appunti, commenti e riflessioni, puntualmente accompagnati da disegni, spesso ispirati al testo stesso (che a sua volta contiene disegni e schizzi di Guthrie). Guthrie di sé diceva “io canto quello che vedo”, Dylan invece disegna quel che vede, nel senso più profondo del termine. La pittura per lui però è anche altro, è soprattutto una forma di meditazione – come lo è del resto la musica –, un modo per connettersi con le Muse. Così Dylan compone, lo ha ribadito lui stesso più volte. Ha dunque ragione da vendere John Elderfield quando afferma che non si può separare il Dylan pittore dal Dylan cantautore. La pittura, sempre secondo il critico americano, non è che “l’altra faccia della medaglia”1. 1 J. Elderfield, Across the Borderline, in Bob Dylan. The Brazil Series. With Contribution by John Elderfield, Kasper Monrad, ed. by S. Bjerhof, Copenhagen, Statens