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contatto col mondo esente dal rischio di contaminazione poiché è ormai divenuto
egli stesso un veicolo di trasmissione del sacro.
Giulia Canedi
Università degli Studi di Siena
Byzantine Orthodoxies. Papers from the Thirty-sixth Spring Symposium of
Byzantine Studies, University of Durham, 23-25 March 2002 (Society for
the Promotion of Byzantine Studies. Publications 12), ed. by Andrew Louth
and Augustine Casiday, Ashgate Variorum, Aldershot 2006, pp. xiv-236
Il titolo suona come un ossimoro. Del resto, non meno provocatorio era quello –
Was Byzantium Orthodox? – del simposio di studi, tenuto tra il 23 e il 25 marzo del
2002 a Durham, i cui atti sono per l’appunto presentati da Byzantine Orthodoxies.
Il volume in oggetto offre – oltre la breve Preface di A. Louth (pp. IX-X), la List
of Abbreviations (p. XI, con spiacevoli errori: Acta Concilium [leggi Conciliorum]
Oecumenicorum, Patrologia [leggi Patrologiae] cursus completus… series graeca
nonché Patrologia [leggi Patrologiae] cursus completus… series latina) e la List of
Illustrations (p. XIII) – sedici lavori. Le pp. 229-236 sono occupate da un indice di
nomi e di cose.
Il primo contributo, Introduction di A. Louth, pp. 1-11, pone le domande relative al tema e fornisce alcune coordinate di lettura per i successivi papers, ripartiti in
tre sezioni. La prima, «Defining orthodoxy» (pp. 13-92), raccoglie cinque articoli, la
seconda, «Orthodoxy in art and liturgy» (pp. 93-164), sei, e la terza, «Orthodoxy and
the other» (pp. 165-214), gli ultimi tre. Fungono da Epilogue le note del compianto
S. Averintsev, Some constant characteristics of Byzantine Orthodoxy, pp. 215-228,
scomparso il 21 febbraio 2004, prima della pubblicazione del volume che a lui è
stato dedicato.
Apre la prima sezione uno scritto di J. B(ehr), The question of Nicene Orthodoxy, pp. 15-25. Intrecciando un fitto dialogo con le posizioni espresse recentemente
da studiosi di area anglosassone, B. sottolinea soprattutto l’importanza dell’esegesi
nel definire le posizioni dei non-Niceni e dei Niceni del IV secolo: «The non-Nicenes (…) insisted on an absolutely univocal exegesis, which applied all scriptural
affirmations in a unitary fashion to one subject, who thus turns out to be a demigod, neither fully divine nor fully human (…). For the Nicenes, on the other hand,
Scripture speaks throughout of Christ, but the Christ of the kerygma, the crucified
and exalted Lord, and so speaks of him in a two-fold fashion, a partitive exegesis:
some things are said of him as God and other things are said of him as man…»
(p. 24). En passant: è ‘Jovian’ l’imperatore romano († 364) destinatario di uno
scritto di Atanasio: il ‘Jovinian’ di B., p. 19, è un lapsus. C. M(acé), Gregory of
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Nazianzus as the authoritative voice of Orthodoxy in the sixth century, pp. 27-34,
nel richiamare un elemento caratteristico dell’Ortodossia – e non solo di essa –, il
cosiddetto ‘appello ai Padri’, si sofferma su una figura importante e paradigmatica: Gregorio Nazianzeno. Passi del Teologo, messi in luce da M., furono utilizzati
nel contesto della seconda crisi origenista: l’auctoritas del Padre era tale che lo si
voleva sempre e comunque tirare dalla propria parte. Anche l’associarlo ad altri
scrittori – ad esempio, Cirillo di Alessandria – va visto secondo una precisa ottica
strumentale. Il contributo è improntato a criteri sanamente filologici (per incidens,
M. rende Phot. bibl., cod. 234, 293a, V, p. 83, linn. 10-12 Henry, Ἀλλὰ πῶς τὸ τοῦ
θεολόγου Γρηγορίου νοητέον καὶ ἄλλων πολλῶν; in modo impreciso: «But how
can it be that Gregory the Theologian and many others had the same opinion?» [p.
33]; si traduca piuttosto: «Ma come si deve interpretare la posizione di Gregorio il
Teologo e di molti altri?»). Non si può dire lo stesso del lavoro di D. Krausmüller,
Theotokos-Diadochos, pp. 35-54, che, dedicando molte pagine a un passo di un testo
agiografico, la Vita di Teodosio composta da Teodoro di Petra, e giocando su ciò che
egli ritiene – ma non lo sono – parechesi, forza indebitamente il testo e giunge a
conclusioni arbitrarie. Di ben altra rilevanza è P. K(arlin)-H(ayter), Methodios and
his synod, pp. 55-74, che indaga su un momento cruciale nella storia di Bisanzio: la
restaurazione dell’ortodossia iconodula dell’843, lo spessore politico-ecclesiastico
che essa ebbe e il ruolo di alcuni protagonisti, in particolare di Metodio e di Teodora, vedova dell’imperatore Teofilo. Di quest’ultima, K.-H., in polemica con Afinogenov, sottolinea, rileggendo le fonti, l’iniziativa sovvertitrice dello status quo e
il ruolo determinante nella scelta di Metodio come nuovo patriarca (si osservi che
potrebbe esserci stato, tra i possibili candidati [cfr. p. 65], anche Michele Sincello:
cfr. Vita Mich. Sync. 25, p. 102, linn. 14 ss. Cunningham). K.-H. riesamina infine
le ragioni della forte opposizione studita a Metodio e i primi passi di quest’ultimo come patriarca. A Procoro Cidone († 1370 ca.), figura di spicco in una certa
fase della crisi esicasta, rivolge l’attenzione N. R(ussell), Prochoros Cydones and the
fourteenth-century understanding of Orthodoxy, pp. 75-91. Lo studioso ricostruisce
puntualmente la fisionomia di questo studioso e polemista, conoscitore di prima
mano della teologia latina, e il ruolo che, come avversario dei Palamiti, svolse fino
al processo che subì nel 1368. In esso Procoro Cidone fu condannato e le sue
dottrine – di cui R. rimarca alcuni squilibri sotto il versante cristologico – furono
confutate in opere di Giovanni Cantacuzeno (dal 1347 al 1354 imperatore col nome
di Giovanni VI) e di Teofane di Nicea.
La seconda sezione è dedicata alla «Orthodoxy in art and liturgy». L. Brubaker,
In the beginning was the Word: Art and orthodoxy at the Councils of Trullo (692)
and Nicaea II (787), pp. 95-101, si occupa dei canoni 73, 82 e 100 del Quinisesto
che hanno attinenza o riflessi sul tema dell’arte posta al servizio dell’ortodossia.
L’articolo si conclude con riflessioni, fin troppo rapide, sul Niceno II. L. James, …
and the Word was with God… What makes art Orthodox?, pp. 103-110, esamina un
passo degli Acta del Niceno II (Mansi XIII, 252) – tratto dalla refutatio dell’horos
del concilio iconoclasta di Hiereia (754) – e, sulla scia di R. Cormack, lo contestualizza nell’ambito della polemica, rileggendolo come semplice asserzione di uno stato
di fatto, non come norma prescrittiva. Non mi sembra qui emergere con chiarezza
che il brano in questione pone definitivamente l’artista sotto l’usbergo dell’auctori-
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tas dei Padri, spesso richiamata in causa come fonte di legittimazione. R. Cormack,
…and the Word was God: Art and Orthodoxy in late Byzantium, pp. 111-120, si
sofferma sull’epoca della crisi esicasta, in cui, per ciò che riguarda il rapporto tra
arte e Ortodossia, non ravvisa un particolare shift col passato. Mette pure sommariamente in luce gli scambi e le reciproche influenze tra Oriente ed Occidente che
si ebbero con i concili di Lione, 1274, e soprattutto di Ferrara-Firenze, 1438-1439.
D. K(otoula), The British Museum Triumph of Orthodoxy icon, pp. 121-128, discute
di una nota icona del tardo XIV sec. – riprodotta nella sovracopertina del volume
e a p. XIV –, delle figure di santi che vi compaiono e del ruolo che vi esercitano.
K. sottolinea l’interesse che la teologia e la chiesa bizantina della seconda metà del
XIV secolo nutrirono per i temi della crisi iconoclastica: è questo lo scenario entro
cui si colloca l’‘icona del Trionfo dell’Ortodossia’. Per A. Lingas, Medieval Byzantine
chant and the sound of Orthodoxy, pp. 131-150, le tradizioni musicali dell’Oriente
bizantino e quelle dell’Occidente latino, fino al XV secolo, operavano ancora su basi
comuni: è una tesi che va contro una communis opinio espressa da studiosi e cultori
di musica dell’Ottocento e del Novecento e influenzata da ragioni ideologiche. Infine, l’Archimandrita Ephrem (Lash), Byzantine hymns of hate, pp. 151-164, passa
in rassegna alcuni inni che presentano espressioni, più o meno elaborate, di odium
theologicum. Una precisazione: a p. 159 nota 29, si parla di κέντων come una
«otherwise unattested Greek word», in riferimento al vescovo monofisita Giacobbe
soprannominato il «Baradeo», cioè «straccione». In realtà, c’è κεντών nel Lex. Suda
κ 1337 (cfr. Lexikon zur Byzantinischen Gräzität, IV, p. 821 s.v. che traduce «zusammengeflicktes Gewand») e κέντρων è ben testimoniato (cfr. LSJ, p. 939 s.v. II
«piece of patch-work, rag»).
La terza e conclusiva sezione, «Orthodoxy and the other» presenta tre contributi, per più aspetti stimolanti. N. de Lange, Can we speak of Jewish Orthodoxy
in Byzantium?, pp. 167-178, focalizzando l’attenzione soprattutto sui secoli dopo
il Mille, esamina le complesse dinamiche intercorrenti tra le principali comunità
giudaiche dell’Impero bizantino, i Karaiti e i Rabbaniti. Pur distinti e spesso in
polemica, «…both agreed too on a range of fundamental beliefs, including a common doctrine of God, man and the world, and a shared view of the character and
destiny of the Jewish people» (p. 175). L’analisi dello scambio epistolare tra Fozio
(al tempo del suo secondo patriarcato) e il vescovo armeno Isaac Mŕut conduce I.
Dorfmann-Lazarev, The Apostolic Foundation Stone: the conception of Orthodoxy
in the controversy between Photius of Constantinople and Isaac Surnamed Mŕut, pp.
179-197, ad interessanti conclusioni: «…Photius maintains a diachronic, collective
and spatial understanding of orthodoxy: it is entrusted to the patriarchs whose sees
are spread throughout Christendom. These patriarchates perpetuate the orthodox
faith across the generations, developing it by means of oecumenical councils. On
the other hand, Isaac affirms the primordial importance of the roots of the Armenian church founded on the ‘Apostolic foundation stone’» (p. 193), radici che gli
Armeni vedevano incarnate nella figura di S. Gregorio Illuminatore. T.M. Kolbaba,
The Orthodoxy of the Latins in the twelfth century, pp. 199-214, sottolinea opportunamente che, spesso, la polemica antilatina aveva obiettivi tutti interni al mondo
ortodosso e intendeva colpire personaggi individuati come «latinofili». A Bisanzio,
almeno sino alla fine dell’XI secolo, nei confronti dei Latini prevalse una posizione
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tutto sommato moderata, ispirata a criteri di oikonomìa. Le cose sarebbero mutate
profondamente col secolo successivo, in connessione con i noti eventi politici e
militari.
Nell’Epilogue del volume S. A(verintsev), Some constant characteristics of Byzantine Orthodoxy, pp. 215-228, sottolinea come vi siano, da un lato, differenze
sotto il profilo dottrinario, dall’altro divergenze che riguardano «the style of gestures, of behaviour, of sacred art, of the rhetoric of hymns and sermons»: ciò che si
assomma nello «special taste, worked out by the centuries of the Orthodox cultural
tradition» (p. 215). Di questo taste e di alcuni suoi elementi – ad esempio, l’icona,
la poesia innografica – A. ci fornisce suggestivi paradigmi. Dell’Ortodossia, dunque,
si possono avere tante e distinte declinazioni, tante «orthodoxies», diverse, sì, ma
pur sempre unificate da un inconfondibile taste. Comprendiamo, a questo punto,
che il titolo Byzantine Orthodoxies è molto meno intrigante di quanto prima facie
appare e non fa che amplificare retoricamente la fin troppo accentuata varietas dei
contenuti offerti dal volume. E se questo si era aperto con i pensosi interrogativi
di A. Louth (p. 2), si chiude invero con una palpitante riaffermazione di valori
ortodossi.
Una nota finale – purtroppo dolente – riguarda l’imperfetta cura editoriale del
volume. Alcuni contributi – in particolare quelli di Macé, Lingas, dell’Archimandrita
Ephrem (Lash) – sono sfigurati da numerosi o numerosissimi errori nelle citazioni
di testi greci. Non mancano errori banali come, ad esempio: p. 28 «Apophtegmata»
(-phth-), p. 107 «acheiropoietai» (-toi), p. 108 nota 18 «De opificio homini» (-nis),
p. 109 nota 21 «Antirrhetii» (-tici), p. 119 «Melissimos» due volte, ma «Melissenos»
recte a p. 120, p. 123 «Theophanes Continuatis» (-tus), p. 126 «Porphypogenitus»
(-phyro-), p. 186 «N. Garoïan», ma «N. Garsoïan» recte alla nota 39 della stessa
pagina.
Carmelo Crimi
Università degli Studi di Catania
Mistici bizantini, a cura di Antonio Rigo, prefazione di Enzo Bianchi, (I
millenni), Einaudi, Torino 2009, pp. 803
In linea con altre imprese di segno analogo, come ad esempio la raccolta sui mistici italiani curati da Carlo Ossola, il millennio Einaudi dedicato ai mistici bizantini
è un’opera unica a livello internazionale, in quanto affidata – di contro ad esempio
alle sezioni sulla mistica bizantina nell’opera La mistica della Città Nuova, in cui
l’impostazione è nella maggior parte dei casi esclusivamente teologica – a un grande
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