dizionario
biografico
degli italiani
istituto della
enciclopedia italiana
fondata da giovanni treccani
roma
©
PROPRIETÀ ARTISTICA E LETTERARIA RISERVATA
ISTITUTO DELLA ENCICLOPEDIA ITALIANA
FONDATA DA GIOVANNI TRECCANI S.p.A.
2018
ISBN 978-88-12-00032-6
Stampato in Italia - Printed in Italy
Stamperia Artistica Nazionale S.p.A. - Trofarello (Torino)
2018
XCIII
SISTO V - STAMMATI
Il volume è stato chiuso in redazione nel mese di novembre 2018.
SOGRAFI
personalità coinvolte sulla carta nel tentativo
golpista ne fossero realmente al corrente o avessero aderito a esso. Avallando con ciò il sospetto
di una personalità adusa, negli ultimi anni della
sua vita e probabilmente in conseguenza delle
disavventure politico-giudiziarie di cui fu protagonista, all’esagerazione se non alla millanteria vera e propria.
Gli ultimi suoi impegni, sempre sul versante politico ed editoriale, furono la direzione delle riviste Politica militare e Strategia globale e la fondazione del Centro di
studi strategici intestato all’esponente liberale Manlio Brosio. Dopo la caduta del
muro di Berlino e il cambiamento di clima
politico-culturale, che non rese più giustificata sul piano storico l’equiparazione
meccanica dell’anticomunismo a posizioni
reazionarie e antidemocratiche, ottenne
una parziale riabilitazione pubblica, culminata con il riconoscimento tributatogli
nel novembre del 1990 dal presidente della
Repubblica Francesco Cossiga, durante
un viaggio ufficiale a Torino, per i suoi
meriti come comandante partigiano e
combattente per la causa della libertà.
Morì per un attacco di cuore il 5 agosto
2000.
Opere. La Franchi. Storia di un’organizzazione partigiana, Bologna 1996; La storia, la
politica, le istituzioni. Considerazioni sull’antifascismo, sulla storiografia contemporanea e
sulle riforme costituzionali, Soveria Mannelli
1999; Testamento di un anticomunista. Dalla resistenza al golpe bianco, Milano 2000 (con A.
Cazzullo).
Fonti e Bibl.: L. Garibaldi, L’altro italiano.
E. S.: sessant’anni di antifascismo e di anticomunismo, Milano 1992.
ALESSANDRO CAMPI
SOGRAFI, Antonio Simon. – Nacque
a Padova il 29 luglio 1759, figlio di Giovanni, medico e docente dell’ateneo padovano, e di Antonia Stefanelli, fratello minore di Pietro, cattedratico di ostetricia.
Nel nuovo secolo latinizzò volentieri il
secondo nome in Simeone.
Compiuti gli studi umanistici presso i
gesuiti, si laureò in giurisprudenza; nell’Università di Padova fu allievo di Melchiorre Cesarotti, cui dedicò poi in memoriam l’Elogium Melchioris Cesarotti Patavini (Padova 1810). A metà degli anni Ottanta il padre lo indirizzò alla professione
legale in Venezia, introducendolo presso un
avvocato affermato; nella capitale Sografi
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trovò terreno fertile per coltivare la spiccata
vocazione teatrale manifestata fin dalla giovinezza, soprattutto in qualità di attore (recitando nella Morte di Cesare e nel Maometto di Voltaire in traduzione cesarottiana), e nutrita con uno studio attento e aggiornato delle tecniche drammatiche. Abbandonata la pratica forense, fu ammesso
nella Società filodrammatica veneziana,
dove entrò in contatto con Alessandro Pepoli, Giovanni Pindemonte, Francesco Albergati Capacelli e altri drammaturghi.
La sua ferace carriera trentennale s’avviò nel segno della poesia per musica, con
i versi della cantata Deucalione e Pirra, intonata da Ferdinando Bertoni, eseguita il
30 settembre 1786 a Venezia per inaugurare il Casino d’Orfeo a S. Benedetto. L’attitudine per la poesia cantata fu confermata
dall’esordio come librettista, il 27 giugno
1789 al teatro Nuovo di Vicenza, con il
dramma Giovanna d’Arco o sia La pulcella
d’Orléans, musica di Gaetano Andreozzi.
I libretti di Sografi, legati ai modelli di
Pietro Metastasio e di Carlo Goldoni anche quando inclinino al gusto neogotico e
preromantico, riproposero in genere impianti convenzionali, animati tuttavia da
un linguaggio a tratti flessibile e sentimentale, che presagiva taluni stilemi librettistici di primo Ottocento. I maggiori pregi
si riconoscono nei lavori di derivazione cesarottiana, sia per soggetti come La morte
di Semiramide intonata da Giovanni Battista Borghi (Milano, teatro alla Scala, carnevale 1791), tragedia per musica – tra le
prime legate alla versione della Sémiramis
di Voltaire anziché alla Semiramide riconosciuta metastasiana (cfr. Questa, 1989, pp.
205-228) – sia per il lessico, le immagini e
alcune articolate costruzioni metriche dei
pezzi chiusi. Per Sografi, del resto, la vivace attività librettistica dei primi anni fu un
buon mezzo di apprendistato drammatico,
e presto la sua fama, legata soprattutto alle
commedie, sospinse nettamente in secondo piano i suoi drammi per musica, sebbene non smise mai di scriverne.
Ebbero sorte fortunata La morte di Cleopatra,
tragedia (musica di Sebastiano Nasolini; Vicenza, teatro Nuovo, giugno 1791); I bagni
d’Abano o sia La forza delle prime impressioni,
commedia di dieci personaggi (Giuseppe Antonio Capuzzi; Venezia, teatro S. Benedetto,
carnevale 1794), diversa dall’omonimo dramma
SOGRAFI
per musica goldoniano; La morte di Mitridate,
tragedia (Nasolini; Vicenza, teatro Nuovo, estate
1796); Gli Orazi e i Curiazi, tragedia (Domenico
Cimarosa; Venezia, teatro La Fenice, carnevale
1797); Il trionfo di Clelia, «nuovo dramma» (rispetto all’omonimo di Metastasio; Sebastiano
Nasolini; Milano, teatro alla Scala, carnevale
1799); Edipo a Colono (Antonio Zingarelli; Venezia, teatro La Fenice, carnevale 1803); La distruzione di Gerusalemme, dramma sacro (Pietro
Guglielmi; Palermo, teatro di S. Cecilia, 1802);
e Le Danaidi romane, dramma (Stefano Pavesi;
Venezia, teatro La Fenice, autunno 1816).
Come commediografo Sografi debuttò
nel 1793, con L’amor platonico e L’anglomania d’Italia. A queste due farse seguì, il
30 ottobre 1794, la prima commedia, il
Verter (da cui fu tratta una farsa con musica di Vincenzo Pucitta, Venezia primavera 1802). Il romanzo epistolare di Johann
Wolfgang von Goethe fu illuministicamente contaminato con il Fido amico goldoniano
e con il Fils naturel di Denis Diderot, uno
stravolgimento a tratti addirittura scherzoso – lieto fine e niente suicidio – che ha il sapore della «consapevole protesta di un giovane intellettuale dei Lumi» (Themelly,
2014, p. 17), contrariato dal realismo dello
Sturm und Drang goethiano. Nondimeno,
e forse proprio per questa esigenza correttiva, la commedia appare estremamente
eterogenea, giustapponendo elementi vecchi e nuovi, e non senza incoerenze, in un
impianto tradizionale vitalizzato dalla
componente preromantica. Del resto, la
scrittura di Sografi, eclettica, si tradusse in
una produzione molteplice e composita,
anche plurilinguistica, finalizzata al consumo immediato e spesso contraddittoria
nei temi e negli esiti, essendo concepita per
il pronto successo di sala. Pur ammettendo
un suo «progetto moderato e equilibrato»,
«lontano da qualsiasi estremismo culturale
o politico» e legato al «programma riformatore dei Lumi» e alla «fiducia nell’umanitarismo settecentesco e nell’idea di un irreversibile progresso» (Themelly, 2014, p.
66), resta evidente, nel percorso creativo di
Sografi, l’incontro, problematico, di tradizione e novità, complicato dal facile adattamento a condizioni e temi diversi e talvolta contraddittori. Queste caratteristiche,
peraltro, fanno sì che gli oltre cento lavori
drammatici dell’autore costituiscano un
ideale campionario delle tendenze e dei gusti teatrali tra fine Sette e inizio Ottocento.
Nello stesso 1794 Sografi presentò i suoi
testi migliori, Olivo e Pasquale e Le convenienze teatrali. Nel primo, una commedia
che gli diede definitiva celebrità, l’adesione
al modello goldoniano generò una pièce di
squisita freschezza, incentrata sul contrasto
tra gli opposti caratteri di due fratelli. Le
convenienze s’inseriscono invece nel filone
delle satire sul teatro musicale. Tra tanti
esempi di settecentesche commedie metateatrali, fra cui il goldoniano L’impresario
delle Smirne, la farsa si rifà direttamente al
Teatro alla moda di Benedetto Marcello, come dichiarano già le Notizie storico-critiche
pubblicate a margine della prima edizione (Teatro moderno applaudito, XXXVI,
Venezia 1799: «Ebbe per guida il gran Benedetto Marcello» e «con aggiunte ridusse
in dialogo la materia prima; e ne diede una
farsa graziosissima, che piacque e piacerà
sempre»; cfr. A. Sografi, Le Convenienze e
le Inconvenienze, a cura di G. Malipiero,
con una nota bibliografica di C. De Michelis, Firenze 1972, p. 115). Nel 1800
l’autore riprese il tema nelle Inconvenienze
teatrali, pièce meno equilibrata dell’altra,
edita solo nel 1816.
Durante i mesi della municipalità provvisoria veneziana, nel 1797, il drammaturgo scrisse cinque lavori patriottici, che
spiccano nel panorama del teatro ‘giacobino’ italiano: Il matrimonio democratico ossia
Il flagello de’ feudatari, L’ex-marchese della
Tomboletta a Parigi, Venzel, La rivoluzione a Venezia e La giornata di San Michele
(gli ultimi due non andarono in scena).
Stride con questi testi, apertamente legati
all’ideologia rivoluzionaria, la rapida composizione, tramontata la democrazia, di Alberto I l’Austriaco: andato in scena nel gennaio del 1798 nel teatro di S. Angelo, è uno
dei primi drammi che celebrino i nuovi signori di Venezia, sia pur mediante un
Asburgo eletto imperatore cinque secoli
prima. Nel trattare il soggetto medievale,
svolto tra il sentimentale e lo spettacoloso,
Sografi fu certo mosso da ragioni di opportunità, così come in seguito seppe prontamente adattarsi tanto al regime napoleonico quanto al ritorno di Francesco I; ma recenti contributi critici hanno ravvisata, con
particolare attenzione all’ambiente culturale veneto e alla personale formazione
dell’autore, la tenuta – a onta della variabilità di scrittura – di «una consapevole
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SOGRAFI
volontà pragmatica, volta a realizzare, pur
nel mutare dei tempi, degli interpreti e
delle circostanze, un possibile programma
ritenuto ottimale» (Themelly, 2014, p. 11;
Themelly, 2015). Tale programma sarebbe consistito in una moderata adesione agli
ideali del 1789 che escludeva però le derive
radicali e giacobine ed esaltava i diritti
dell’individuo contro l’autoritarismo,
nell’ottica di un dinamismo sociale basato
sul merito. In questa prospettiva, anche i
testi giacobini del 1797, pur considerati
dalla critica frutti convenzionali dell’adesione alle convenienze del momento e al
mutato gusto degli spettatori, si rivelano,
al pari e più di diversi lavori precedenti,
coerenti con il programma riformatore di
Sografi.
Altrettanto può dirsi della citata «tragedia per musica», Gli Orazi e i Curiazi, un
soggetto storico di tema guerresco, scritto
l’anno prima della municipalità provvisoria (Libretti d’opera italiani dal Seicento al
Novecento, a cura di P. Fabbri, Milano
1997, pp. 961-1002). L’opera, tra le più significative del periodo rivoluzionario, ebbe duraturo, straordinario successo sia
nella versione di Domenico Cimarosa sia,
a partire dal 1798, in quella di Marco Portogallo (Marcos António Portugal). Vi si è
voluto notare un uso superficiale di temi e
immagini patriottiche e democratiche, con
personaggi umanizzati, preromantici, tormentati e dolenti, lontani dal classico granitico eroismo della fonte, l’Horace di
Pierre Corneille: non a caso il romantico
Salvadore Cammarano la prese a modello
per i suoi Orazi e Curiazi, intonati da Saverio Mercadante (Napoli 1846). Peraltro
anche Gli Orazi appaiono allineati al progetto culturale di Sografi, evidente soprattutto nella brusca conclusione, un «finale
evitato» che comprime in un complesso tableau vivant «la confusione, allegrezza e costernazione de’ vari personaggi», sottolineando la sia pur discorde complementarità
tra dimensione pubblico-politica e interiorità, virtù civile e sentimento, ed esaltando
il bene comune al pari dell’esperienza individuale e dell’autodeterminazione.
Dissolta la Repubblica, Sografi tornò a
risiedere a Padova, ma frequentò spesso
Venezia. Nella città natale riunì un gruppo
di giovani in una società filodrammatica e
animò la vita teatrale cittadina. Sul finire
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del secolo si legò all’attrice Anna Fiorilli
Pellandi, che fu poi l’interprete e ispiratrice di molti lavori composti dal commediografo ai primi del secolo.
Disinteressato alla stampa dei propri testi,
Sografi fece un’eccezione per l’Ortensia, un’ambiziosa commedia storica di argomento romano,
messa in scena nel 1809. Preceduta da un volume introduttivo (1808), l’opera apparve tra il
1811 e il 1815 in cinque tomi, con traduzione
latina a fronte e gran quantità di note erudite.
Portando in scena le matrone che nel 42 a.C. si
opposero ai triumviri, l’autore credette d’avviare
un nuovo tipo di commedia, che superasse i temi quotidiani e i personaggi di ceto umile e
medio per elevarsi, con esattezza storica, ai fasti
del tragico; ma l’opera, monocorde e ingessata,
non ottenne il successo sperato.
Morì a Padova il 4 gennaio 1818, in seguito a grave malattia. Era all’apice della
fama teatrale.
Al momento della morte solo una piccola
parte della sua produzione era stata pubblicata.
Il commediografo, che d’abitudine consegnava
l’unico esemplare manoscritto dei propri lavori
al capocomico di turno per cavarne le parti, nominò erede delle proprie carte l’amico Giacomo
Bonfio, pregandolo di pubblicare solo i lavori
degni di lode ed escludere quelli che risentivano
della frettolosa genesi, sicché solo una trentina
di essi è oggi conosciuta, mentre di alcune scritture di sicuro interesse è noto il solo titolo.
Con il tempo il nome e l’opera di Sografi
furono quasi del tutto dimenticati, nonostante l’edizione in raccolta di alcune pièces
(Commedie, Bologna 1827; Commedie scelte,
Torino 1829; Commedie, Milano 1831) e le
riscritture operistiche. Gaetano Donizetti,
che nella composizione teatrale aveva esordito musicando un Pigmalione (1816; prima rappresentazione Bergamo 1960) tratto
dalla «scena drammatica» di Sografi ispirata
a Jean-Jacques Rousseau (già musicata da
Giambattista Cimador nel 1790 e da Bonifazio Asioli nel 1796), nel 1827 compose
per i teatri buffi di Roma e Napoli due opere desunte da sue fortunate commedie: Olivo e Pasquale – il librettista Jacopo Ferretti
dichiarò nella prefazione d’essersi basato
sulla «più celebre commedia di Simone Sografi» aggiungendovi un «colpo di scena
immaginato dal medesimo illustre poeta
nel dramma Il più bel giorno della Vestfalia»
(edito nel 1817) – e Le convenienze ed inconvenienze teatrali, libretto adespoto ma, credibilmente, di Domenico Gilardoni.
SOLA
Fonti e Bibl.: G. Vedova, S., S.A., in Biografia degli scrittori padovani, II, Padova 1836, pp.
292-298 (dichiara di aver utilizzate molte notizie
fornite da G. Bonfio, che peraltro ripubblica il testo come proprio nei suoi Cenni biografici di A.S.,
Padova 1854); L. Bigoni, S.A. S. commediografo
padovano del secolo XVIII, Venezia 1894; B. Brunelli, Un commediografo dimenticato: S.A. S., in
Rivista italiana del dramma, I (1937), 2, pp. 171188; C. De Michelis, A. S. S. e la tradizione goldoniana, in Id., Letterati e lettori nel Settecento veneziano, Firenze 1979, pp. 203-224; D. Goldin, La
vera fenice. Librettisti e libretti tra Sette e Ottocento, Torino 1985, pp. 53-56; C. Questa, Semiramide redenta, Urbino 1989, ad ind.; S. Romagnoli,
La parabola teatrale del patriotta A.S. S., in Teatro
in Europa, 1989, n. 5, pp. 58-65; N. Mangini, Parabola di un commediografo “giacobino”: A.S. S.
(con il testo inedito de “La giornata di San Michele”), in Risorgimento veneto, 1990, n. 6, pp. 2193; G. Morelli - E. Surian, Come nacque e come
morì il patriottismo romano nell’opera veneziana,
in Opera & Libretto, I, Firenze 1990, pp. 101135; P. Fabbri, Una partitura in cerca d’autore: il
fantomatico “Verter” attribuito a Mayr, in “Figaro
là, Figaro qua”. Gedenkschrift Leopold M. Kantner
(1932-2004), a cura di M. Jahn - A. Pachovsky,
Wien 2006, pp. 245-252; P. Themelly, Il teatro
di A.S. S. tra cultura dell’Illuminismo e suggestioni
della Rivoluzione, in Eurostudium3w, 2014, n. 33,
pp. 3-67; Id., «Amor supera tutto». Il valore politico
dei sentimenti nel teatro di A.S. S., in Eurostudium3w,
2015, n. 37, pp. 3-107; S. Tatti, Poeti per musica.
I librettisti e la letteratura, Alessandria 2016, ad
indicem.
EMANUELE D’ANGELO
SOLA, Amalia (Amalia Marucchi Nizzoli). – Nacque a Livorno il 21 luglio 1805,
figlia di Giacomo fu Francesco Sola di Torino e di Orsola Marucchi fu Giuseppe
Mancuso di Moncalieri (L. Gabrielli,
Amalia Nizzoli..., 1999, p. 58). I genitori
si erano recati in Toscana in seguito all’occupazione francese del Piemonte. Amalia
usò sempre il cognome della madre oltre a
quello del marito e così figura anche nel dizionario delle Poetesse e scrittrici italiane
(M. Bandini Buti, II, Roma 1942, p. 79) e
nella raccolta del conte Leopoldo Ferri Biblioteca femminile italiana (Padova 1842).
A tredici anni, nel 1819, si imbarcò con
la sua famiglia per Alessandria in Egitto,
per raggiungere un parente della madre,
Filiberto Marucchi, che ricopriva ad Assiut l’incarico di medico privato presso il
gran contabile del regno di Mehemed-Ali.
Negli otto mesi che trascorse in questa città, Amalia imparò da autodidatta a parlare
l’arabo e altre lingue, come il latino e il
francese (L. Gabrielli, Amalia Nizzoli...,
cit.). Acquisì un bagaglio importante per
la sua formazione di scrittrice attraverso i
libri della biblioteca di Marucchi, che
chiamò affettuosamente zio nelle sue Memorie (A. Nizzoli, Memorie sull´Egitto.
Specialmente sui costumi delle donne orientali e gli harem, scritte durante il suo soggiorno in quel paese dal 1819 al 1828, a cura di
M. Arriaga, Bari 2002). In questo periodo
rifiutò la proposta di matrimonio di un
commerciante smirniota, Paolo D’Andrea,
che l’aveva ufficialmente chiesta in sposa
ai genitori, adducendo come ragione del
diniego la differenza di età con il pretendente, già sulla cinquantina.
Successivamente il gran contabile si trasferì al Cairo e la famiglia Marucchi si spostò al suo seguito. Lo zio, appassionato di
archeologia, favorì il matrimonio di Amalia con Giuseppe Nizzoli, collezionista e
studioso di arte egizia, archeologo e mercante d’arte, per il quale Amalia realizzò
numerose scoperte, i cui reperti furono
raccolti in seguito nel Museo civico di Bologna (Pernigotti, 1991, p. 23). Così, nel
1820 si celebrarono nella cattedrale dell’Assunta del Cairo le nozze per procura,
poiché lo sposo non poteva abbandonare il
suo posto di cancelliere del consolato
d’Austria ad Alessandria. Dopo il matrimonio, Amalia raggiunse il marito e il loro
matrimonio venne sancito in una chiesa
cattolica parrocchiale. I coniugi Nizzoli si
trasferirono al Cairo, dove abitarono presso il palazzo del Gran Tesoriere. Trascorso un anno, a Giuseppe Nizzoli fu consigliato un periodo in Italia, per motivi di salute, racconta Amalia nelle sue Memorie,
anche se altri sostengono per problemi nei
resoconti (Daris, 2005). Nel 1822, sbarcarono a Livorno assieme a una nutrita collezione di 1400 oggetti antichi, ritrovati
negli scavi che Nizzoli aveva intrapreso a
Menfi, grazie alla sua immunità consolare
e a un permesso del pascià. Questi reperti
vennero venduti al granduca Leopoldo II
di Toscana, e oggi possono essere ammirati nel Museo archeologico di Firenze.
Durante la quarantena al porto di Livorno nacque Elisa, la loro prima figlia. In
questo soggiorno italiano si diressero prima a Firenze per le trattative della vendita
della collezione egiziana al granduca, poi a
Milano dove restarono fino al 1824.
Nel 1825, ritornati nuovamente in Egitto,
Amalia frequentò al Cairo tanto gli ambienti
occidentali quanto quelli arabi della corte
del monarca Muhammad Ali (1805-1845),
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