Mattia Baiutti
Protocollo di valutazione
Intercultura
Comprendere, problematizzare e valutare
la mobilità studentesca internazionale
Education
TS
14
Edizioni ETS
Education
14
M-PED/01 – Generale e sociale
A peer-reviewed book series in social pedagogy, theories of education,
didactics, special educative needs, history of education, children’s
literature, teacher training, adult education, gender education, intercultural pedagogy and didactics, training and career guidance, new
technologies, experimental education.
Directors: Fabrizio Manuel Sirignano (Università degli Studi Suor
Orsola Benincasa, Napoli), Maria Teresa Trisciuzzi (Libera Università
di Bolzano), Tamara Zappaterra (Università degli Studi di Firenze),
Andrea Traverso (Università degli Studi di Genova)
International Scientific Committee: Enricomaria Corbi (Università degli
Studi Suor Orsola Benincasa, Napoli), Liliana Dozza (Libera Università
di Bolzano), Dolores Limón Dominguez (Universidad de Sevilla),
Fernando López Noguero (Universidad Pablo de Olavide, Sevilla),
Anna Ascenzi (Università degli Studi di Macerata), Antonella Cagnolati
(Università degli Studi di Foggia), Hans-Heino Ewers (Johann Wolfgang
Goethe-Universität, Frankfurt am Main), José Luis Hernández Huerta
(Università di Valladolid), Serenella Besio (Università della Valle
d'Aosta), Berta Martini (Università degli Studi di Urbino), Claire
E. White (Wheelock College, Boston, MA), Francisca Gonzalez Gil
(Universidad de Salamanca), Teresa Grange (Università della Valle
d’Aosta), Pierpaolo Limone (Università degli Studi di Foggia), Jarmo
Viteli (University of Tampere, Finland), Monica Fantin (Universitade
Federal de Santa Catarina, Brazil)
Mattia Baiutti
Protocollo di valutazione
Intercultura
Comprendere, problematizzare e valutare
la mobilità studentesca internazionale
Edizioni ETS
www.edizioniets.com
Questo libro è distribuito anche in formato digitale
con licenza Creative Commons:
Con il sostegno della Fondazione Intercultura
per il dialogo tra le culture e gli scambi giovanili internazionali Onlus
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Promozione
PDE PROMOZIONE SRL
via Zago 2/2 - 40128 Bologna
ISBN 978-884675589-6
Ai volontari e alle volontarie dell’associazione Intercultura
che ogni giorno tessono i fili dell’amicizia e della pace
Rahrawān rā khastagi-ye-rāh nīst
ishq ham rāh ast-u-ham khud-manzil ast
Non si stanchino mai coloro che seguono questo sentiero,
perché esso è al contempo meta e cammino
Poeta persiano citato da Raimon Pannikar in Pace e disarmo culturale
Indice
Presentazione
Anselmo Roberto Paolone
13
Introduzione
17
Parte Prima
COMPRENDERE E PROBLEMATIZZARE
LA MOBILITÀ STUDENTESCA E LA SUA VALUTAZIONE
21
Capitolo Primo
LA MOBILITÀ STUDENTESCA ALL’INTERNO DEL PROCESSO
DI INTERNAZIONALIZZAZIONE DELLA SCUOLA
23
1. Internazionalizzazione della scuola
1.1. Rischi e domande aperte
2. Comprendere la mobilità studentesca internazionale
2.1. Cenni storici
2.2. Definire e problematizzare la mobilità studentesca
internazionale
2.2.1. Variabili dei programmi
2.2.2. Valore educativo della mobilità studentesca
2.2.3. Preconcetti e miti attorno alla mobilità studentesca
2.3. Ricerche
2.4. Numeri della mobilità studentesca internazionale
2.5. La normativa italiana ed europea
23
28
31
31
33
33
35
37
39
44
46
Capitolo Secondo
LA COMPETENZA INTERCULTURALE E LA SFIDA VALUTATIVA
53
1. Concettualizzare pedagogicamente la competenza
interculturale
53
10
Protocollo di valutazione Intercultura
1.1. Elementi chiave del costrutto di competenza
1.2. Competenza interculturale: definizioni, modelli e criticità
1.3. Politiche educative attorno al concetto di competenza
interculturale
2. Valutare la competenza interculturale
2.1. Modello elaborato da Castoldi
54
55
64
67
71
Parte Seconda
GUIDA OPERATIVA CONTESTUALIZZATA
PER VALUTARE LA COMPETENZA INTERCULTURALE
75
Capitolo Terzo
L’ELABORAZIONE DEL PROTOCOLLO DI VALUTAZIONE INTERCULTURA
77
1. Il modello Protocollo di valutazione Intercultura
2. Diari di bordo
3. Linee guida per la presentazione (studente) e griglie
di osservazione della presentazione guidata (insegnante)
4. Prove di realtà
5. Scheda per la raccolta di osservazioni proprie e di terzi
6. Altro materiale
7. Rubrica valutativa
81
83
83
84
84
Capitolo Quarto
METODOLOGIA DELLA RICERCA
89
1. Partecipanti
1.1. Formazione insegnanti
2. Raccolta dati
2.1. Diari di bordo
2.2. Linee guida per la presentazione (studente) e griglia
di osservazione della presentazione guidata (insegnante),
prove di realtà, scheda per la raccolta di osservazioni
proprie e di terzi
2.3. Rubrica valutativa
2.4. Diario dell’Assegnista di ricerca
3. Analisi dei dati
4. Presentazione dei risultati
5. Etica della ricerca
77
80
89
93
93
94
96
97
100
100
102
103
Indice
11
Capitolo Quinto
L’USO DEL PROTOCOLLO DI VALUTAZIONE INTERCULTURA:
LA PROSPETTIVA DEI DOCENTI
105
1. Diari di bordo
2. Linee guida per la presentazione (studente) e griglia
di osservazione della presentazione guidata (insegnante)
3. Prove di realtà
4. Scheda per la raccolta di osservazioni proprie e di terzi
5. Rubrica valutativa
105
108
114
116
118
Conclusioni
A SCUOLA DI CITTADINANZA INTERCULTURALE
121
1. Considerazioni e direzioni future
1.1. Implicazioni per la ricerca accademica
1.2. Implicazioni per la scuola
1.3. Implicazioni per il Ministero
2. Verso una cittadinanza interculturale:
suggestioni pedagogiche
121
121
123
124
Allegati
127
Allegato 1
DIARI DI BORDO
129
Allegato 2
LINEE GUIDE PER LA PRESENTAZIONE (STUDENTE)
133
Allegato 3
GRIGLIE DI OSSERVAZIONE DELLA PRESENTAZIONE GUIDATA
(INSEGNANTE)
125
135
Allegato 4
PROVE DI REALTÀ (ESEMPIO)
140
Allegato 5
SCHEDA PER LA RACCOLTA DI OSSERVAZIONI PROPRIE E DI TERZI
149
Allegato 6
RUBRICA VALUTATIVA
150
Bibliografia
155
Ringraziamenti
La mia più sincera gratitudine va alla Fondazione Intercultura che
ha promosso e sostenuto la ricerca alla base del presente volume, e
a tutta l’associazione Intercultura. In particolare desidero esprimere
profonda riconoscenza a Roberto Ruffino. Desidero anche ringraziare Elisabetta Bellavitis, Flaminia Bizzarri, Sabrina Brunetti, Annamaria D’Alberti, Emanuela Di Chiara Stanca, Roberto Ferrero, Andrea
Franzoi, Paola Frongia, Ilaria Gardin, Anna Gomarasca, Mila Montanaro, Renata Montesanti, Maria Teresa Oreste, Violetta Valentino.
Desidero ringraziare per il supporto scientifico Anselmo R. Paolone. Sono poi sentitamente grato per il proficuo e continuo confronto
a Roberto Albarea, Joana Almeida, Martyn Barrett, Mike Byram e i
colleghi di Cultnet, Carlo Macale, Darla Deardorff, Sara Ganassin,
Anna Granata, Marta Milani, Aluisi Tosolini, Luisa Zinant e Davide
Zoletto.
Questo volume non sarebbe stato possibile senza la presenza, la
passione e la determinazione di tutti i docenti che hanno partecipato
alla ricerca Protocollo di valutazione Intercultura e dei loro studenti.
Oltre a loro, un ruolo fondamentale lo ha ricoperto l’illustre gruppo
internazionale di esperti (si veda p. 92) che ha generosamente fornito
commenti per migliorare la rubrica valutativa. A tutti loro va la mia
profonda riconoscenza.
Desidero inoltre ringraziare tutte le scuole e le associazioni che
hanno ospitato le varie attività in presenza della ricerca.
Desidero esprimere la mia gratitudine alle due colleghe che hanno
svolto la back-translation della rubrica valutativa.
Un sentito ringraziamento va a coloro che hanno letto e commentato le prime bozze di questo volume.
Infine, desidero ringraziare la casa editrice ETS di Pisa e i Direttori della collana Education per la fiducia accordatami.
Presentazione
Nell’Italia odierna, l’internazionalizzazione dell’istruzione non
costituisce più un fenomeno circoscritto, legato principalmente alle
università e a istituzioni dai connotati elitari, ma riguarda ormai
scuole di ogni tipo, ordine e grado.
In particolare le scuole secondarie sono sempre più coinvolte
negli scambi studenteschi internazionali, ed il presente volume di
Mattia Baiutti, dedicato ad alcuni importanti aspetti di questo argomento, vuole costituire un contributo teorico-pratico allo sviluppo
della ricerca sull’internazionalizzazione della scuola, e di una ormai
improcrastinabile cultura della mobilità studentesca.
Di fatto, questo libro è il pendant e la continuazione di una ricerca
già pubblicata dall’autore (Baiutti, 2017), sotto lo stimolo della nuova e crescente importanza dei soggiorni di studio all’estero, che già
da qualche tempo comporta per il sistema scolastico italiano maggior
coinvolgimento e responsabilità, laddove una nuova legislazione lo
chiama a valutare obiettivamente e concretamente le acquisizioni fatte all’estero dai returnees.
Le nuove regole prevedono che, con riferimento agli studenti
rientrati dall’estero, i consigli di classe italiani valutino e valorizzino
non solo le competenze disciplinari, ma anche quelle trasversali.
Allora, nel suo precedente lavoro, Baiutti ha studiato cosa valutare, addivenendo alla definizione di indicatori della competenza interculturale, specifici per la mobilità studentesca (Baiutti, 2017, 2018a).
In questo libro invece Baiutti procede oltre mostrando, principalmente attraverso gli esiti di una sperimentazione di strumenti valutativi e di una connessa ricerca empirica, come valutare tale competenza. In tal senso egli fornisce in primo luogo una serie di chiarimenti
teoretici ‘di base’, volti a facilitare e auspicare ulteriori studi di tipo
interculturale sulla mobilità studentesca, e ad aprire la strada ad altre
ricerche in tale ambito; ma l’aspetto più importante è che nella seconda parte del volume egli mostra come questi contributi teoretici
14
Protocollo di valutazione Intercultura
possano essere trasformati in una concreta prassi valutativa. Infatti
egli presenta la ricerca empirica qualitativa ‘Protocollo di valutazione
Intercultura’ che ha svolto nell’arco di due anni presso l’Università
degli Studi di Udine, mirante a individuare e sperimentare gli strumenti per valutare e valorizzare la competenza interculturale degli
studenti che hanno partecipato a un programma annuale di mobilità
studentesca internazionale nella secondaria di secondo grado. Per
raggiungere lo scopo, Baiutti ha elaborato un modello di valutazione
denominato ‘Protocollo di valutazione Intercultura’ nell’ambito di
un progetto pilota che ha coinvolto oltre cento docenti italiani e i
relativi studenti recatisi all’estero con i programmi di Intercultura. Il
monitoraggio del progetto pilota ha infine permesso di correggere e
mettere a punto il modello originario, grazie alla collaborazione dei
docenti stessi e al contributo di un gruppo internazionale di esperti.
Questa ricerca è dunque il frutto di un incontro concreto tra il mondo dei docenti della scuola secondaria (su cui si è ricercato, e grazie
alle cui opinioni si è ‘messo a punto’ il Protocollo) e gli studiosi (il
ricercatore e gli ‘esperti’ che hanno fornito consulenze), al fine di
fornire al mondo della scuola degli strumenti essenziali per far fronte
alle nuove sfide della mobilità studentesca.
Il presente volume costituisce dunque uno strumento insostituibile per tutti coloro che vogliano approfondire il tema della valutazione degli apprendimenti degli studenti delle scuole secondarie superiori nei soggiorni di studio all’estero. Come l’autore nota nell’introduzione del volume e nel capitolo conclusivo, se da un lato questo
argomento è piuttosto trascurato nel panorama attuale delle ricerche
pedagogiche legate ai vari temi della globalizzazione, dall’altro qualora esso venga seriamente affrontato (come nella presente ricerca)
apre il vaso di pandora di alcune tematiche interculturali trascurate
o sottostudiate. Almeno in Italia, infatti, l’attenzione della maggior
parte dei ricercatori in pedagogia interculturale sembra rivolgersi ai
temi legati all’immigrazione, spesso vissuti come la principale emergenza, alla quale bisogna fare fronte mobilitando quante più risorse
sia possibile.
In realtà, le sfide legate al tema dell’alterità in educazione sono
molte di più e assai varie, e quelle connesse alla mobilità studentesca
internazionale – benché trascurate – sono tra le più importanti, anche per il livello e la complessità dei problemi teoretici che esse pongono alla ricerca e, conseguentemente, all’attività degli educatori impegnati a diverso titolo in tale ambito. Ma la loro importanza è anche
legata al fatto che, favorendo lo sviluppo degli scambi studenteschi
Presentazione
15
internazionali, porterebbero alla scuola italiana nuovi fermenti. A
questo proposito Baiutti segnala che, laddove in genere gli operatori
scolastici tendono a credere che gli scambi abbiano risvolti positivi
esclusivamente sugli individui che ne usufruiscono, se invece fossero
opportunamente valorizzati potrebbero portare dei benefici generali,
contribuendo a quella modernizzazione dell’istruzione in senso interculturale che sarebbe necessaria per far fronte a varie sfide educative
dei nostri tempi oltre che, segnatamente, per contribuire all’implementazione di importanti politiche europee (come ad esempio quella
sulla libera circolazione del lavoro). A questi e ad altri sviluppi la
ricerca di Mattia Baiutti porta un valido contributo, e il suo volume
costituisce un punto di riferimento per i professionisti della scuola,
gli studiosi e gli studenti di materie pedagogiche.
Anselmo Roberto Paolone
Università degli Studi di Udine
Introduzione
In occasione del Convegno Mobilità studentesca internazionale
per il successo formativo, tenutosi a Frascati nell’ottobre del 2001,
Giorgio Rembado – allora presidente nazionale di ANP (Associazione Nazionale Dirigenti Pubblici e Alte Professionalità della Scuola, già
Associazione Nazionale Presidi) – affermò:
uno dei momenti maggiormente critici degli scambi studenteschi era costituito dal momento del rientro in classe. Sappiamo tutti perché questo ha rappresentato e rappresenta tuttora un momento di estrema difficoltà: perché la
rigidità dei piani di studio ha fatto assumere come unico metro di giudizio la
quantità di conoscenze acquisite e quindi ha posto gli istituti scolastici, i consigli
di classe, i docenti e le scuole di fronte alla necessità o alla volontà, all’intenzione
di verificare quanto di queste conoscenze si era perso, quanto era possibile riacquisire al rientro nel vecchio istituto scolastico (Rembado, 2002, p. 26).
A distanza di più di quindici anni da tale affermazione, la valutazione formale degli apprendimenti degli studenti1 che hanno partecipato
a un anno all’estero rimane una sfida per la scuola italiana. Sebbene
si siano compiuti alcuni passi avanti a livello normativo, inserendo le
competenze trasversali fra gli obiettivi da considerare in sede valutativa, permane uno scollamento fra l’aspetto delle pratiche e quello
teorico e normativo, così come messo in evidenza da alcune ricerche
empiriche (Baiutti, 2017; Bandinu, 2012; Fornasari & Schino, 2018;
Paolone, 2010).
Preso atto di ciò, in una precedente ricerca si era indagato cosa valutare e si erano proposti degli indicatori della competenza interculturale specifici per la mobilità studentesca (Baiutti, 2017, 2018a). In
1
Ogni qualvolta nel testo si utilizzano termini al maschile, come ad esempio nel caso
di studente o alunno (sia al singolare che al plurale), ci si riferisce indistintamente a uomini e
donne. La scelta di non specificare ogni volta il genere, ad esempio studente e studentessa, e di
lasciare, quindi, solo il genere maschile (ma si sarebbe potuto usare indifferentemente anche
il genere femminile) è determinata esclusivamente da una maggiore fluidità di lettura. Non si
è quindi acriticamente seguita la regola grammaticale, ma si è fatta una scelta ponderata.
18
Protocollo di valutazione Intercultura
modo complementare a tale studio, nel presente volume si affronta
l’annosa questione del come valutare tale competenza. Per far ciò si
è ritenuto cruciale affiancare all’elaborazione e alla sperimentazione
di alcuni strumenti valutativi una riflessione più ampia che consenta
di comprendere criticamente l’articolata cornice che il tema della
valutazione degli apprendimenti interculturali connesso alla mobilità
incrocia. Pertanto, nel capitolo primo, dopo aver delineato un possibile perimetro semantico dell’internazionalizzazione della scuola,
si considera uno degli aspetti salienti di essa: la mobilità studentesca
internazionale. Quest’ultima viene indagata e problematizzata da varie prospettive: quella storica, quella pedagogica e quella normativa.
Nel capitolo secondo ci si sofferma sugli obiettivi attesi dalla mobilità studentesca e su come valutarli. Partendo dalla letteratura del
settore, secondo la quale la cifra pedagogica degli scambi giovanili è
quella di educare studenti competenti interculturalmente, si discute
il costrutto di ‘competenza interculturale’ e si presenta un modello
che consente una valutazione di esso.
Nella seconda parte del volume si propone un raccordo fra la
teoria e la pratica presentando la ricerca empirica Protocollo di valutazione Intercultura svoltasi fra l’agosto 2016 e il luglio 2018 presso il
Dipartimento di Lingue e Letterature, Comunicazione, Formazione
e Società (DILL) dell’Università degli Studi di Udine (Responsabile
scientifico: A. R. Paolone; Assegnista di ricerca2: M. Baiutti) con il
sostegno della Fondazione Intercultura3. Nello specifico, lo studio
empirico desiderava rispondere alla seguente domanda di ricerca:
quali possono essere gli strumenti – all’interno del contesto della scuola secondaria di II grado – per valutare e valorizzare la competenza
interculturale degli studenti che hanno partecipato a un programma
annuale di mobilità studentesca individuale internazionale?
Per rispondere a tale interrogativo, sulla base della cornice teoretica e del contesto di riferimento, è stato elaborato un modello di
Da ora Assegnista.
La Fondazione Intercultura per il dialogo tra le culture e gli scambi giovanili internazionali Onlus (http://www.fondazioneintercultura.org/) nasce nel 2007 da una costola dell’associazione Intercultura. Essa svolge ricerche in collaborazione con i maggiori Atenei italiani
ed esteri, tiene convegni e produce pubblicazioni nel settore dell’educazione interculturale.
Opera per favorire l’internazionalizzazione della scuola italiana fornendo esempi di buone
pratiche e sessioni di formazione sulla gestione degli scambi (è Ente accreditato per la formazione del personale della scuola presso il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della
Ricerca - MIUR). Inoltre, offre borse di studio per favorire la mobilità studentesca internazionale di giovani meritevoli provenienti da famiglie non abbienti. Il MIUR e il Ministero
degli Affari Esteri aderiscono alla Fondazione Intercultura e ne sostengono le attività.
2
3
Introduzione
19
valutazione denominato Protocollo di valutazione Intercultura4 che
viene presentato nel capitolo terzo. Tale modello è stato oggetto di
un progetto pilota che ha coinvolto 113 docenti di quasi ogni parte
d’Italia, che avevano uno studente all’estero con un programma annuale organizzato dall’associazione Intercultura5 nell’anno scolastico
2016/2017. Essi, dopo aver utilizzato i vari strumenti del Protocollo
Intercultura, hanno fornito commenti che hanno permesso di rivedere il modello di partenza. Inoltre, per uno degli strumenti – la rubrica valutativa – è stato anche consultato un gruppo internazionale di
29 esperti. L’impianto metodologico della ricerca è stato sostanzialmente qualitativo e viene dettagliato nel capitolo quarto.
Nel capitolo quinto si presentano alcuni risultati della ricerca:
quelli connessi all’opinione dei docenti rispetto all’uso dei vari strumenti del Protocollo Intercultura. Questi possono essere un’utile guida per la sua futura applicazione.
Nel capitolo conclusivo si tirano le somme del percorso di ricerca
presentando alcune implicazioni sia per la ricerca accademica che
per il contesto della scuola e del Ministero. Si offrono, inoltre, alcune
suggestioni pedagogiche concernenti l’orizzonte di senso dell’intero
volume: la cittadinanza interculturale.
Infine, negli allegati si riportano gli strumenti così come delineatisi dopo la loro revisione basata sull’analisi dei dati della ricerca
empirica.
Si auspica che questo volume possa essere un contributo teoricopratico per sviluppare da una parte nuova ricerca sull’internazionalizzazione della scuola e dall’altra una cultura della mobilità studentesca di qualità.
Nota al testo
La parte della ricerca Protocollo di valutazione Intercultura concernente i
‘diari di bordo’ è stata oggetto di una precedente pubblicazione:
Baiutti, M., & Paolone, A.R. (2018). Il valore pedagogico interculturale del
diario di bordo durante la mobilità studentesca internazionale individuale: La prospettiva degli insegnanti. Encyclopaideia - Journal of Phenomenology and Education, 22 (52), 55-72.
Da ora Protocollo Intercultura.
Intercultura (https://www.intercultura.it/) è un’associazione di volontariato fondata
nel 1955 che promuove, organizza e sostiene scambi ed esperienze interculturali, inviando
oltre 2000 studenti delle scuole secondarie di II grado a vivere e studiare all’estero ed accoglie in Italia 1000 giovani che provengono da 64 Paesi. È il partner italiano di AFS Intercultural Programs e dell’EFIL (European Federation for Intercultural Learning).
4
5
Parte Prima
Comprendere e problematizzare
la mobilità studentesca
e la sua valutazione
Capitolo Primo
La mobilità studentesca all’interno
del processo di internazionalizzazione
della scuola
Il termine ‘internazionalizzazione’ trova sempre maggiore cittadinanza nei documenti della scuola e in quelli ministeriali. A tale presenza, tuttavia, non corrisponde necessariamente un’adeguata riflessione su cosa si possa intendere con esso. Come affermano de Wit e
Hunter (2015), «‘internazionalizzazione’ è divenuto un termine generico che comprende una pluralità di dimensioni, elementi, approcci e attività» (p. 45) e, pertanto, è alquanto ambiguo1 (Cambridge &
Thompson, 2004). Risulta cruciale, quindi, comprendere e problematizzare lo sfondo teorico di tale concetto. In questo capitolo, dopo
averne delineato un possibile perimetro semantico nella sua aggettivazione educativa all’interno del contesto scolastico, si considera uno
degli aspetti salienti di esso, ovverosia la mobilità studentesca.
1. Internazionalizzazione della scuola
Il quadro teorico sull’internazionalizzazione dell’educazione appare oggi alquanto articolato, poliedrico e in continua evoluzione.
Yemini (2017) sostiene che «the discourse on internationalization
is one of the most complex and multifaceted discourses within contemporary education» (p. 171). Alcuni autori (de Wit, Gacel-Avila,
Jones, & Jooste, 2017; Jones & de Wit, 2012) parlano oggi della
‘globalizzazione dell’internazionalizzazione’ riferendosi con ciò, non
tanto alla diffusione dell’internazionalizzazione, quanto al fatto che
essa «become a global topic of interest» (Jones & de Wit, 2012, p.
35). Nella ricerca accademica, infatti, alle concettualizzazioni più
tradizionali si stanno affiancando nuove voci e nuovi contesti che
propongono inediti modelli e paradigmi (de Wit et al., 2017). Nel
1
Per comprendere l’evoluzione della terminologia connessa all’‘internazionalizzazione dell’educazione’ si veda, fra gli altri, Knight (2008).
24
Protocollo di valutazione Intercultura
presente paragrafo si desidera argomentare che una di queste voci
potrebbe essere quella della scuola che finora è rimasta relegata in
uno spazio periferico della discussione.
Che cosa significa internazionalizzazione? Da un punto di vista teoretico, una delle definizioni più influenti nella letteratura accademica
è quella proposta da Knight (2004) secondo la quale l’internazionalizzazione è il «processo di integrazione di una dimensione internazionale, interculturale o globale nell’ambito delle finalità, delle funzioni
o dell’erogazione dell’istruzione post-secondaria» (Knight, 2004, p.
11, tr. it. de Wit, 2012, p. 117). Un’evoluzione di questa definizione
è quella proposta da de Wit, Hunter, Howard e Egron-Polak (2015)
secondo i quali l’internazionalizzazione è «il processo intenzionale di
integrazione di una dimensione internazionale, interculturale o globale nell’ambito delle finalità, delle funzioni e dell’erogazione dell’istruzione post-secondaria, allo scopo di innalzare il livello qualitativo
dell’istruzione e della ricerca per tutti gli studenti e il personale e apportare un contributo significativo alla società»2 (p. 29).
Alcuni autori (ad es., Larsen, 2016; Yemini, 2015, 2017) hanno
messo in evidenza alcune criticità di tale concettualizzazione. Quella
di particolare interesse per il presente volume è che la «Knight’s definition limits the process to higher education and does not address
the education system at the school level or at earlier stages» (Yemini,
2015, p. 20). L’assenza della dimensione scolastica nelle definizioni
di internazionalizzazione è probabilmente spiegabile con il fatto che,
come sostenuto da diversi autori (Baiutti, 2017, 2018a; de Wit, 2015;
de Wit et al., 2017; Dvir & Yemini, 2017; Egekvist, Lyngdorf, & Du,
2017; Hattingh, 2016; Yemini, 2012, 2017), la maggior parte della
teorizzazione concernente l’internazionalizzazione dell’educazione si
è focalizzata quasi esclusivamente sul livello universitario creando e
rafforzando un rapporto d’identità per il quale l’internazionalizzazione dell’educazione corrisponde all’internazionalizzazione dell’università. Tuttavia, «following rapid changes due to increasing globalization, technological advancements and demographic transformations,
the role and function of internationalization at the school level has
varied and evolved, alongside the constantly changing nature of internationalization in higher education systems» (Yemini, 2017, p. 8).
Una definizione che prende in considerazione esplicitamente l’ambito scolastico è quella proposta da Heidemann (1999, cit. in Egekvist
et al., 2017) secondo la quale l’internazionalizzazione è «the trans2
Enfasi nel testo.
La mobilità studentesca
25
formation process that takes place when transnational cooperation
has clout at school» (p. 21). Basandosi su questa definizione e quella
di Knight, Egekvist (2018) ha proposto di definire l’internazionalizzazione a livello scolastico come «a transformation process in the
school involving the implementation of international, intercultural,
and global dimensions in the teaching and organization of the school
to accommodate the possibilities and challenges for school education
at the present and in the future due to globalization» (p. 37).
Sebbene quest’ultima definizione abbia il merito di prendere in
considerazione la scuola, vi sono alcuni elementi di criticità. Uno
dei possibili limiti è che essa si focalizza esclusivamente sull’aspetto
dell’insegnamento e dell’organizzazione della scuola. Così facendo
sembra escludere alcune attività di internazionalizzazione, come la
mobilità studentesca, che rappresentano una parte fondamentale di
essa. Un’altra criticità potrebbe essere che l’autrice rimane alquanto
vaga quando parla degli obiettivi e delle finalità dell’internazionalizzazione della scuola. Preso atto dei rischi legati all’internazionalizzazione dell’educazione (si veda § 1.1 in questo capitolo) risulta
alquanto importante riuscire a includere nella sua definizione un
orizzonte di senso. Tuttavia, va notato che questa operazione è complessa giacché l’internazionalizzazione trova diverse declinazioni e
risponde a diverse logiche e, quindi, a diverse finalità. Di seguito si
cerca di delineare alcune possibilità.
Come si è già visto, de Wit et al. (2015) sostengono che l’internazionalizzazione dell’università ha una finalità interna, ovverosia
«innalzare il livello qualitativo dell’istruzione e della ricerca» e una
esterna, ovverosia «apportare un contributo significativo alla società»3
(p. 29). In questo senso l’internazionalizzazione non deve essere considerata come un traguardo in sé, bensì un mezzo di miglioramento
sia dell’università che della società (de Wit & Hunter, 2015; EgronPolak & Marmolejo, 2017). Altri autori (Gacel-Ávila, 2005; Yemini,
2015, 2017) ritengono che l’internazionalizzazione sia un paradigma
della cittadinanza globale in quanto dovrebbe sviluppare un senso di
responsabilità politica, la difesa dei principi democratici e la partecipazione al cambiamento sociale. Hudzik (2011, 2015) sostiene che
l’internazionalizzazione modella i valori e l’ethos delle istituzioni.
Preso atto di ciò, e basandosi sulle definizioni di Knight (2004),
de Wit, Hunter, Howard e Egron-Polak (2015), Heidemann (1999,
cit. in Egekvist et al., 2017) e Egekvist (2018), in questo volume l’in3
Enfasi nel testo.
26
Protocollo di valutazione Intercultura
ternazionalizzazione della scuola è compresa come il processo intenzionale e trasformativo di inclusione delle dimensioni internazionale,
interculturale e globale all’interno della scuola nella sua globalità allo
scopo di innalzare il livello qualitativo dell’istruzione per tutti gli studenti, i docenti e il personale e apportare un contributo significativo
alla società. Si ritiene importante specificare che questa definizione
è riferita all’internazionalizzazione della scuola e quindi, non va
confusa con una definizione del concetto più ampio di internazionalizzazione dell’educazione in quanto una tale definizione dovrebbe
riuscire a tenere insieme tutti i gradi di educazione4.
Nella letteratura accademica concernente l’internazionalizzazione
dell’educazione, oltre a discussioni connesse alla definizione, sono
rintracciabili anche diverse piste di analisi (de Wit & Hunter, 2015).
Una delle più diffuse, e in costante evoluzione, è quella che suddivide l’internazionalizzazione dell’università in due categorie: l’‘internazionalizzazione nel proprio paese’ (internationalization at home) e
l’‘internazionalizzazione all’estero’ (internationalization abroad/crossborder) (de Wit & Hunter, 2015; Knight, 2012). Queste due categorie sono da intendersi analiticamente separate, ma intrinsecamente
connesse e interdipendenti (Knight, 2012).
Con il termine ‘internazionalizzazione nel proprio paese’ si può
generalmente intendere l’inclusione delle dimensioni internazionale,
interculturale e globale nel curricolo formale e informale dell’università (Almeida, Robson, Morosini, & Baranzeli, 2018; Beelen & Jones,
2015; de Wit & Hunter, 2015; Knight, 2012; Robson, Almeida, &
Schartner, 2018). Attorno a questo concetto si stanno sviluppando
ricerche5 che interessano non solo gli accademici ma anche i politici
e gli amministratori. La ratio di questo aspetto dell’internazionalizzazione è che gli studenti che non hanno vissuto un’esperienza all’estero siano comunque messi nelle condizioni di sviluppare quelle competenze, come quella interculturale, e quelle prospettive, come quella
internazionale, tendenzialmente attese quali effetto dell’esperienza di
mobilità. Esempi di attività connesse a questa categoria sono l’internazionalizzazione del curricolo e dell’insegnamento, la promozione
4
Un tentativo, in questo senso, potrebbe essere rappresentato dalla definizione avanzata da Yemini (2015, si veda anche 2017) secondo la quale l’internazionalizzazione dell’educazione è «the process of encouraging integration of multicultrual, multilingual, and
global dimensions within the education system, with the aim of instilling in learners a sense
of global citizenship» (p. 21).
5
Si veda ad esempio il progetto di ricerca Internationalisation at Home: Approaches
and Tools (ATIAH) (https://research.ncl.ac.uk/atiah/).
La mobilità studentesca
27
di incontri fra studenti stranieri e persone del luogo, club di lingue.
Con il termine ‘internazionalizzazione all’estero’6, invece, ci si riferisce alla mobilità delle persone, in particolare studenti e insegnanti,
dei programmi e dei progetti (de Wit & Hunter, 2015; Knight, 2012).
Le due categorie sopra delineate sono rintracciabili anche a livello
scolastico. Le ricerche dell’Osservatorio Nazionale sull’Internazionalizzazione delle Scuole e la Mobilità Studentesca7 sostengono che l’indice
medio di internazionalizzazione della scuola secondaria di II grado in
Italia, che può assumere un valore da 0 a 100, è passato da 37 punti
nel 2009 (anno in cui è stato creato l’Osservatorio) a 42 punti nel
2016. Ciò significa che sono aumentate le attività di internazionalizzazione. Andando a indagare l’indice si nota rapidamente che in esso
sono presenti attività appartenenti alla categoria ‘internazionalizzazione nel proprio paese’, ad esempio l’utilizzo del CLIL (Apprendimento integrato di lingua e contenuto) e l’insegnamento di lingue straniere, e attività connesse alla categoria ‘internazionalizzazione all’estero’
come la mobilità studentesca e la mobilità dei docenti.
Le attività di internazionalizzazione non sono presenti solo a livello di scuola secondaria di II grado, ma sono rintracciabili anche negli
altri gradi di scuole e anch’esse possono essere suddivise nelle due
categorie che si stanno considerando. Leggendo l’offerta formativa
di quegli istituti comprensivi che mirano a internazionalizzarsi sono
facilmente individuabili pratiche di ‘internazionalizzazione nel proprio paese’ come l’internazionalizzazione del curricolo e i laboratori
per l’educazione alla pace, e attività di ‘internazionalizzazione all’estero’ come la mobilità degli insegnanti.
Preso atto di questa realtà, si ritiene opportuno sostenere che le due
categorie ‘internazionalizzazione nel proprio paese’ e ‘internazionalizzazione all’estero’, concettualizzate originariamente all’interno dell’internazionalizzazione dell’università, siano estendibili anche al campo
dell’internazionalizzazione della scuola (si veda Figura 1). A una simile
conclusione sembra giungere anche Egekvist (2018) nell’analisi delle
pratiche di internazionalizzazione della scuola danese. Sarebbe inte6
Va notato che con il termine ‘internazionalizzazione all’estero’ si è tradotto sia il
concetto di educational abroad che quello di cross-border education. Tuttavia, fra queste
espressioni, sebbene a volte usate come sinonimi, vi sono delle differenze (Knight, 2008,
2012, 2014).
7
L’Osservatorio Nazionale sull’Internazionalizzazione delle Scuole e la Mobilità Studentesca (http://www.scuoleinternazionali.org/), da ora Osservatorio, nasce nel 2009 con
lo scopo di favorire, promuovere e documentare l’internazionalizzazione delle scuole e la
mobilità studentesca. Il MIUR e ANP aderiscono all’iniziativa.
28
Protocollo di valutazione Intercultura
ressante comprendere se tali categorizzazioni siano applicabili anche
ai gradi di educazione successivi a quelli della scuola e dell’università.
Figura 1. Processo di internazionalizzazione dell’educazione
In conclusione, poiché «national education systems are […] tangling with how best to ‘internationalise’ the school level experience
of their youth» (Hayden, 2011, p. 12), è auspicabile che nell’ambito
della ricerca sull’internazionalizzazione dell’educazione venga posta
attenzione anche al contesto scolastico. In questo modo si colmerebbe un vuoto di ricerca (Baiutti, 2017, 2018a) – ovverosia quello connesso all’internazionalizzazione della scuola8 – e si fornirebbe nuova
linfa concettuale ed empirica al dibattito contemporaneo e futuro
connesso all’internazionalizzazione dell’educazione.
1.1. Rischi e domande aperte
Nell’ambito dell’internazionalizzazione dell’educazione è in atto una profonda riflessione su quali siano i rischi e le conseguenze
negative ad essa collegati. All’interno dell’internazionalizzazione
dell’università, uno di essi è la commercializzazione dell’educazione
(ad es., Brandenburg & De Wit, 2011; Hudzik, 2015; IAU, 2012;
Kim, 2009; Knight, 2012). Secondo questa prospettiva lo sviluppo
8
Si desidera esplicitare che in questo volume con l’espressione ‘internazionalizzazione della scuola’ non ci si riferisce esclusivamente, come tradizionalmente è stato fatto
(Yemini, 2012), alle scuole internazionali (ad es., Bates, 2010; Hayden, 2006, 2011; Hayden
& Thompson, 2008; Lauder, 2015), al Baccellierato Internazionale (ad es., Bunnell, 2008,
2016), alle elite schools (ad es., Lee & Wright, 2015; Rizvi, 2017) o alle scuole europee (ad
es., Gray, Scott, & Mehisto, 2018), ma si considera tutte le tipologie e gradi di scuole.
La mobilità studentesca
29
dell’internazionalizzazione nelle università è spiegabile all’interno di
un’agenda economica neoliberista che si allinea all’idea di «academic
‘marketplace’» (Kim, 2009, p. 397). In questo caso vengono messi al
centro gli outputs, ovverosia i risultati quantitativi, come ad esempio
il numero di studenti internazionali che si riesce a reclutare, alle volte anche con pratiche di dubbia eticità (IAU, 2012), invece che gli
obiettivi educativi raggiunti (outcomes).
Altri rischi sono l’omologazione a un unico modello di educazione
(Hudzik, 2015; Knight, 2012); l’acritica adozione in contesti diversi
di ‘buone pratiche’ o presunte tali; il neo-colonialismo mediante,
ad esempio, la crescita di filiali universitarie in altri Paesi (branchcampus)9 (Hudzik, 2015; IAU, 2012); l’asimmetria delle relazioni di
potere fra le istituzioni (IAU, 2012).
Preso atto di ciò, l’International Association of Universities (IAU,
2012) afferma che: «as higher education has in some respects become a global ‘industry’, so has internationalization of higher education become, in some quarters, a competition in which commercial
and other interests sometimes overshadow higher education’s fundamental academic mission and values» (p. 3). Sulla stessa lunghezza
d’onda, Knight (2012) nota che c’è stato un passaggio da un’internazionalizzazione che si basava sulla cooperazione e lo scambio a una
che sembra maggiormente guidata da competizione, interessi individuali ed economici, e logiche di potere come i ranking mondiali.
Alcuni di questi rischi e conseguenze negative dell’internazionalizzazione dell’università sono rintracciabili anche a livello scolastico.
Ad esempio, l’idea che dietro alla ‘retorica dell’internazionalizzazione’ (Rizvi, 2017) vi siano logiche economiche, soprattutto per quanto
concerne la mobilità studentesca, è evidente. Questa affermazione
si basa sul fatto che negli ultimi anni in Italia si sono diffuse agenzie commerciali che vendono pacchetti di esperienze scolastiche,
linguistiche o di alternanza scuola lavoro all’estero che spesso non
prevedono un’adeguata selezione degli studenti che si basi sulla loro maturità, non prevedono una formazione prima, durante e dopo
l’esperienza, né altri aspetti che rendono un programma di mobilità
un progetto educativo. In questo modo, tali agenzie, oltre ad offrire
programmi di dubbia qualità10, riducono la mobilità studentesca a
un bene di consumo o a un «educational tourism» (Twombly, SaPer approfondire questo fenomeno si veda Knight (2014).
Per i parametri della qualità della mobilità si veda la Carta europea di qualità per la
mobilità (UE, 2006b).
9
10
30
Protocollo di valutazione Intercultura
lisbury, Tumanut, & Klute, 2012, p. 24). Una delle idee sottese a
questa logica è che, come un turista può comprarsi un souvenir, uno
studente possa comprarsi la competenza interculturale e linguistica
semplicemente partecipando a un soggiorno di studio all’estero.
Questo approccio snatura il concetto proprio di mobilità studentesca, che nasce come un progetto squisitamente educativo (si veda
§ 2.2.2 in questo capitolo) e con nobili valori (Chinzari & Ruffino,
2014), svilendolo a prodotto commerciale.
Va notato, inoltre, che i processi di internazionalizzazione dell’educazione non sono neutri e pertanto la loro «dark side» (Hudzik, 2015,
p. 10) implica un dilemma pedagogico e valoriale: quali sono i valori
che dovrebbero (o devono) guidare l’internazionalizzazione dell’educazione? Questo interrogativo dovrebbe obbligare tutti a ripensare l’internazionalizzazione (de Wit, 2012; Egron-Polak & Hudson, 2014); de
Wit e Brandeburg (cit. in de Wit, 2012) sollecitano a
un riorientamento [dell’internazionalizzazione] verso i risultati e gli influssi, lontano da un approccio basato meramente sul rapporto di causa ed
effetto. Anziché perdersi in considerazioni volte esclusivamente a enfatizzare
il numero di studenti che vanno all’estero e l’accoglienza degli studenti internazionali che pagano la retta, o il numero di corsi di inglese e l’astratta
dichiarazione di trasformare gli studenti in cittadini del mondo, desideriamo
concentrarci sui risultati dell’apprendimento (p. 6).
Questa esortazione, sebbene con i dovuti adattamenti, dovrebbe
guidare anche la riflessione sull’internazionalizzazione della scuola.
Ad esempio, non è difficile leggere nei Piani Triennali dell’Offerta
Formativa (PTOF) delle scuole una voce dedicata alla promozione
della mobilità studentesca internazionale; nel Rapporto di Autovalutazione (RAV) tale voce si traduce tendenzialmente nel numero di
studenti che hanno partecipato a un programma all’estero, ma nessuna o assai scarsa attenzione viene dedicata a perfezionare nel proprio
istituto un adeguato protocollo di valutazione della competenza
interculturale acquisita dagli studenti coinvolti. Con questa affermazione non si vuole sostenere che i numeri non siano importanti, ma
che essi sono solo parte, e neanche la più importante, dell’internazionalizzazione della scuola. Sulla base di queste e di altre riflessioni,
il presente volume cerca di porre attenzione agli obiettivi educativi
attesi della mobilità studentesca internazionale individuale offrendo
uno strumento che consenta di valutare la competenza interculturale
basandosi su evidenze. Per fare ciò, però, è cruciale comprendere e
problematizzare il fenomeno in quanto tale.
La mobilità studentesca
31
2. Comprendere la mobilità studentesca internazionale
Come precedentemente argomentato, la mobilità internazionale
è uno dei tasselli del mosaico dell’internazionalizzazione all’estero.
Sebbene nel contesto scolastico possa interessare diversi attori (ad
es., insegnanti, personale), in questa sede si analizza esclusivamente
la mobilità degli studenti, essendo questo il target della ricerca del
presente volume (si veda Figura 2).
Figura 2. Mobilità studentesca all’interno del processo di internazionalizzazione della scuola
2.1. Cenni storici
È possibile far risalire i primi programmi estivi di mobilità internazionale di giovani adolescenti agli anni Trenta del secolo scorso11.
Tuttavia, sarà solo a partire dalla fine della Seconda Guerra Mondiale
che la mobilità studentesca scolastica inizierà a diffondersi. Di seguito
si riportano le tappe più importanti dello sviluppo di questo fenomeno seguendo la ricostruzione storica di Ruffino (1981a, 2006, 2012)12.
A livello governativo, nel 1948 la Gran Bretagna inaugura il Central Bureau for Educational Visits and Exchanges, ovverosia un centro
https://www.experiment.org/about-the-experiment/history-mission/
Per una ricostruzione storica connessa all’internazionalizzazzione della scuola si
veda Dolby e Rahman (2008) e Sylvester (2015).
11
12
32
Protocollo di valutazione Intercultura
per i viaggi d’istruzione e gli scambi culturali; nel 1963 la Francia e
la Germania istituiscono l’Ufficio Franco-tedesco della Gioventù;
nel 1983 durante il vertice del G7 di Williamsburg viene istituito un
programma di scambio giovanile che coinvolge la Francia, la Germania, l’Italia, la Gran Bretagna, il Giappone, il Canada e gli Stati Uniti
(Ruffino, 2006, 2012).
A livello locale vengono promossi alcuni scambi educativi in particolare con progetti bilaterali e multilaterali (Ruffino, 2006, 2012).
A livello di organizzazioni intergovernative, diverse sono le azioni
da menzionare. Nel 1951 l’UNESCO istituisce un programma di
finanziamenti per viaggi giovanili e scolastici denominato Travel and
Grants Scheme for Youth and Student Leaders. Nel 1953 nasce il Sistema di Scuole Associate all’UNESCO per promuovere la comprensione
internazionale e la mobilità di persone e di programmi. Nel 1987 l’UNESCO e Intercultura organizzano a Roma l’incontro mondiale sugli
scambi giovanili alla presenza di rappresentanti di governi e organizzazioni non governative (Ruffino, 2006, 2012; UNESCO, 1987).
Per quanto concerne l’Unione europea, essa è un importante attore
sia nella promozione che nella facilitazione dei programmi di mobilità
giovanile. Degno di nota è il programma Comenius che all’interno del
Lifelong Learning Programme prevedeva la mobilità di alunni, futuri
insegnanti e personale docente, partenariati, progetti e reti multilaterali e iniziative come l’e-Twinning. Questo programma, che riguardava
tutti i gradi di scuole, ha de facto contribuito all’internazionalizzazione
della scuola (Gordon, 2001; Yemini, 2017). Oggi, il programma Comenius è stato incorporato nel più ampio progetto Erasmus Plus.
Anche il Consiglio d’Europa ha svolto un ruolo decisivo nella promozione della mobilità studentesca. Solo per ricordare un esempio
si può citare il progetto pilota ESSSE (European Secondary School
Student Exchange) che si è svolto fra il 1997 e il 2001 (Ruffino, 2012).
Inizialmente, la motivazione alla base della mobilità giovanile era
principalmente quella di acquisire competenze linguistiche e la tipologia di programmi più diffusa era quella di gruppo (Ruffino, 2006,
2012). I programmi di mobilità studentesca internazionale individuale, oggetto di questo volume, vennero principalmente ideati da alcune organizzazioni non governative quali AFS Intercultural Programs,
EFIL (European Federation for Intercultural Learning), Experiment
in International Living, Youth for Understanding, Rotary International e International Christian Youth Exchange (Ruffino, 2006, 2012).
Successivamente, nel 1983, al vertice del G7 di Williamsburg nacquero anche delle agenzie commerciali con lo scopo di organizzare
La mobilità studentesca
33
programmi di mobilità studentesca in particolare in Paesi anglofoni
(Ruffino, 2006, 2012).
La mobilità studentesca ha continuato a diffondersi e oggi è un
fenomeno sempre più complesso da diversi punti di vista. Nel prossimo paragrafo si cerca di definire e problematizzare tale fenomeno
all’interno della scuola secondaria di II grado.
2.2. Definire e problematizzare la mobilità studentesca internazionale
Oggi, viaggiare è un’esperienza che fa parte della vita di molti giovani. Tuttavia, la mobilità studentesca è una tipologia di viaggio che
ha caratteristiche specifiche. In letteratura (ad es., Almeida, in corso
di pubblicazione; Forum on Education Abroad, 2011) è possibile
rintracciare alcune definizioni di mobilità studentesca che riguardano
però, principalmente, l’ambito universitario. In questo volume, la mobilità studentesca internazionale della scuola secondaria di II grado è
intesa come un insieme di programmi educativi che prevedono la mobilità fisica internazionale temporanea di uno o più studenti. Questa
definizione considera alcuni degli aspetti costitutivi della mobilità studentesca13 e di seguito se ne prendono in considerazione i principali.
2.2.1. Variabili dei programmi
Il primo elemento che la definizione mette in luce è che la mobilità studentesca corrisponde a un insieme di programmi educativi in
quanto l’etichetta ‘mobilità studentesca internazionale’ ne contiene
diverse tipologie. Nel 1987, durante il Meeting of Governmental and
Non Governmental Officials Responsible for Programmes of Youth
Exchange (UNESCO, 1987) sono stati individuati quattro approcci
per analizzare la varietà dei programmi offerti: (i) la modalità dello
scambio (ad es., scambi scolastici, scambi universitari, scambi linguistici, gemellaggi, scambi fra organizzazioni religiose), (ii) i tipi di
programmi (ad es., individuali, di gruppo), (iii) gli organizzatori dei
programmi (ad es., organizzazioni non governative, organizzazioni
governative, organizzazioni regionali); (iv) la lunghezza dello scambio (ad es., settimanale, mensile, trimestrale, semestrale, annuale).
Basandosi su questi e altri approcci, come quelli sviluppati nella
13
Nel presente volume, quando si usa l’espressione ‘mobilità studentesca’ si fa sempre
e solo riferimento alla ‘mobilità studentesca internazionale’. Pertanto, non ci si riferisce ad
altri aspetti, come ad esempio la dispersione scolastica o il cambiamento di istituto, che alle
volte vengono indicati con la medesima dicitura.
34
Protocollo di valutazione Intercultura
letteratura concernente la mobilità studentesca universitaria (ad es.,
Almeida, in corso di pubblicazione; Engle & Engle, 2003; Forum
on Education Abroad, 2011), si propone di seguito una possibile
categorizzazione per agevolare la comprensione dei programmi di
mobilità studentesca nella scuola secondaria di II grado:
– Lunghezza del programma. Questa categoria prevede diverse tipologie di programmi che possono essere denominate (i) specificando il tempo, ad esempio ‘programma bimestrale’, ‘programma semestrale’, ‘programma annuale’, oppure (ii) mediante la
lunghezza della durata, ovverosia ‘programma di breve termine’,
‘programma di lungo termine’14 (e affini come ‘soggiorno breve’,
‘soggiorno lungo’). Nel primo caso è opportuno specificare che
l’aggettivazione non corrisponde esattamente al tempo indicato:
ad esempio il ‘programma trimestrale’ presuppone che lo studente stia all’estero indicativamente tre mesi ma non necessariamente
tre mesi. Inoltre, quando si parla di ‘programma annuale’ o ‘semestrale’ tendenzialmente si fa riferimento al calendario scolastico e
non al calendario solare. Per quanto riguarda la seconda modalità,
è attualmente arbitrario cosa si debba intendere con ‘breve’ e con
‘lungo’ termine15. In ogni caso, la mobilità studentesca nella scuola secondaria di II grado è sempre temporanea (non superiore a un
anno), così come sottolineato dalla definizione proposta.
– Programma individuale vs programma di gruppo16. Come indicato
dalla denominazione i programmi individuali sono quelli che
prevedono la mobilità di un singolo studente. I programmi di
gruppo, invece, sono quelli che prevedono la presenza di più di
un alunno e possono essere suddivisi in almeno tre gruppi: (i)
programmi di classe (tutta la classe oppure parte della classe), (ii)
programmi in cui il gruppo è interclasse, ovverosia composto da
studenti di classi diversi, ma dello stesso istituto oppure (iii) studenti di diversi istituti. Essi possono prevedere una reciprocità (ad
esempio il gemellaggio) oppure no.
– Programma scolastico vs programma linguistico. Il programma
scolastico prevede che lo studente o gli studenti frequentino una
14
Sebbene più rara, alle volte viene usata anche l’espressione ‘programma di medio
termine’.
15
Tale discrezionalità è sottolineata anche da Almeida (in corso di pubblicazione) per
la dimensione universitaria.
16
Questo aspetto è enfatizzato nella definizione proposta quando si afferma che la
mobilità studentesca è la mobilità di uno o più studenti.
La mobilità studentesca
35
scuola del Paese ospitante, mentre un programma linguistico
prevede che lo studente o gli studenti frequentino un corso di
lingua all’estero. Va sottolineato che un programma scolastico
spesso prevede dei corsi linguistici, formali o informali, per gli
studenti.
– Alloggio. Tendenzialmente gli studenti possono essere ospitati da
una famiglia che abita nel Paese ospitante oppure in un campus (o
simili). È bene sottolineare che con ‘famiglia’ in questo contesto
ci si riferisce alla vasta gamma che questo termine può indicare
come, ad esempio, famiglia monoparentale, famiglia allargata, famiglia omogenitoriale.
– Modalità organizzativa. La mobilità studentesca può essere organizzata (i) a titolo privato dalla famiglia dello studente, (ii) mediante
un’associazione senza fine di lucro, (iii) mediante un’agenzia commerciale, (iv) direttamente dalla scuola. A queste si affiancano tutte
le proposte dei programmi promossi da organismi come l’Unione
europea: si pensi, ad esempio, ai programmi dell’Erasmus Plus.
Questo elenco di variabili non ha la pretesa di essere esaustivo17,
ma desidera essere un contributo a dirimere la complessità del fenomeno analizzato in questo volume. È opportuno sottolineare che le
categorie elencate hanno una natura analitica e descrittiva (Twombly
et al., 2012), pertanto, se usate singolarmente, non indicano accuratamente l’interezza di un programma. In altre parole, quando si
dice che uno studente ‘partecipa a un programma trimestrale’ si sta
specificando uno soltanto degli aspetti del programma: non si sa, ad
esempio, se lo studente vive in famiglia o in campus, se frequenta
una scuola o solo un corso di lingua, se è da solo o con altri compagni. Per tale motivo sarebbe più opportuno combinare le diverse
variabili dei programmi poiché, sebbene l’operazione possa risultare
più macchinosa, consentirebbe una maggiore precisione.
2.2.2. Valore educativo della mobilità studentesca
Un’altra caratteristica cruciale che la definizione mette in luce è
che la mobilità studentesca è da concettualizzare come un programma che ha un valore educativo.
17
Vi sono anche altre variabili, afferenti maggiormente alla sfera della qualità del programma, come ad esempio la selezione degli studenti in base alla loro maturità, la presenza
di percorsi di formazione prima, durante e dopo l’esperienza, che per motivi di spazio non
sono state prese in considerazione in questa categorizzazione.
36
Protocollo di valutazione Intercultura
Gli studenti che scelgono18 di partecipare a un programma di
mobilità studentesca si muovono fisicamente da un Paese a un altro
(per questo nella definizione si parla di mobilità fisica19 internazionale) trovandosi immersi in una realtà – non simulata – che li mette
nelle condizioni di vivere in uno status quotidiano di minoranza20
(Ruffino, 2017) dove nulla, o quasi, è familiare: «habitual ways
of thinking, feeling, and behaving do not function as expected in
the host culture» (Savicki, 2008, p. 74). Gli studenti escono intenzionalmente dalla propria comfort zone e si espongono a vivere
un’esperienza diretta di alterità (Baiutti & Paolone, 2018), «si inseriscono […] in una società diversa non come turisti o residenti
temporanei, ma come ‘figli adottativi’ che si immergono entro le
due istituzioni fondamentali di ogni società moderna: la famiglia
e la scuola» (Granata, 2018, p. 152). Questa esperienza coinvolge
lo studente nella sua totalità, ovverosia nelle sue risorse cognitive,
affettive, emotive, relazionali. Pertanto, se l’‘educazione’ è intesa
come l’«azione che favorisce lo sviluppo integrale del soggettopersona, dal punto di vista fisico, corporeo, motorio e sensoriale,
intellettuale, sociale, morale e affettivo-emotivo, verso la piena
coscienza di sé e il pieno dominio di sé, e verso la rispondenza reciproca alle esigenze della comunicazione e cooperazione sociale,
nella partecipazione ai valori» (Albarea, 2014, p. 9; si veda anche
Laeng, 1989) allora è affermabile che la mobilità studentesca è a
tutti gli effetti un progetto educativo.
All’interno della riflessione pedagogica, la mobilità studentesca
rientra principalmente nell’educazione esperienziale, affettiva, trasformativa (Passarelli & Kolb, 2012; Savicki, 2008) e quella internazionale (Deardorff, de Wit, Heyl, & Adams, 2012). La sua cifra pedagogica è il «learning by doing» (Visalberghi, 1995, cit. in Chinzari
& Ruffino, 2014; Hansel & Grove, 1985). Secondo il glossario del
Forum on Education Abroad (2011)
18
La mobilità studentesca così come è intesa in questo volume è il frutto di una scelta
dello studente e della famiglia. Pertanto, questo tipo di mobilità non va confusa con la
mobilità di studenti i quali sono costretti, per vari motivi (ad es., climatici, di sicurezza,
economici), ad abbandonare il proprio Paese d’origine.
19
In questa volume si prende in considerazione solo la mobilità che prevede un movimento fisico. Tuttavia, preso atto dello sviluppo delle tecnologie, recentemene si è iniziato
a parlare anche di ‘mobilità virtuale’. Per una prospettiva critica sul rapporto tecnologie e
mobilità studentesca si veda Fondazione Intercultura (2013).
20
Questo è vero soprattutto per i programmi individuali. Nel caso dei programmi di
gruppo, questa sensazione è meno percepita in quanto si è in un altro Paese ma, tendenzialmente, assieme a compagni di classe e insegnanti del proprio Paese.
La mobilità studentesca
37
this term [learning by doing], which traces its origins to the works of John
Dewey, encompasses a vast array of approaches to learning inside and outside the classroom that complement more conventional instruction. Methods
may include research, field trips or seminars, laboratory work, fieldwork or
observation, as well as immersion in workplace settings, such as internships,
volunteering, teaching, and paid jobs. Giving structure to the learning experience through observation, reflection and analysis is often seen as an essential
element of experiential education (p. 17).
Il progetto educativo della mobilità studentesca incrocia fra loro almeno quattro aspetti21: quello internazionale, quello interculturale, quello linguistico e quello disciplinare 22. Da un punto di
vista di obiettivi educativi, infatti, gli studenti che partecipano a
un programma scolastico all’estero non si limitano ad apprendere
competenze disciplinari e linguistiche, sebbene queste siano ampiamente apprezzabili; rifacendosi alle parole di Delors (1996, tr. it.
1997), si potrebbe dire che un programma di mobilità studentesca
internazionale consente di «imparare a conoscere, cioè acquisire gli
strumenti della comprensione; imparare a fare, in modo tale da essere capaci di agire creativamente nel proprio ambiente; imparare a
vivere insieme, in modo da partecipare e collaborare con gli altri in
tutte le attività umane; imparare ad essere, un progresso essenziale,
che deriva dai tre precedenti»23 (p. 79). In questo volume questi
obiettivi educativi vengono sintetizzati nel termine ‘competenza interculturale’ oggetto del secondo capitolo.
2.2.3. Preconcetti e miti attorno alla mobilità studentesca
A causa di una certa retorica (Rizvi, 2017) attorno alla mobilità
studentesca internazionale si sono sviluppati diversi preconcetti e
miti, alcuni dei quali sono presi in considerazione di seguito.
Uno dei preconcetti più diffusi è l’idea che vi sia un rapporto di
causa-effetto fra l’andare all’estero e lo sviluppo della competenza
21
I quattro aspetti sono presenti solo nel caso lo studente frequenti un programma
scolastico. Se l’alunno partecipa a un programma linguistico l’aspetto disciplinare non è
presente, almeno che la lingua studiata non sia una lingua curricolare nella scuola frequentata in Italia.
22
È discutibile se l’aspetto linguistico sia contenuto all’interno di quello disciplinare.
Tuttavia, in questa sede, si è deciso di separarli per almeno un motivo: le lingue imparate
dagli studenti spesso possono non essere curricolari nella scuola italiana (si pensi ad esempio all’islandese).
23
Enfasi nel testo.
38
Protocollo di valutazione Intercultura
interculturale24. Tuttavia, l’essere in un altro Paese comporta semplicemente una prossimità fisica, l’abitare una soglia25, ma non corrisponde automaticamente al suo attraversamento, cioè all’andare incontro all’alterità con i suoi possibili rischi, all’interazione, all’incontro interculturale, al mettersi in gioco, al porsi domande sull’ovvio
(Baiutti, 2017), al raggiungimento degli obiettivi educativi attesi. La
messa in discussione di tale preconcetto (Twombly et al., 2012; Vande Berg, Paige, & Hemming Lou, 2012a) implica la necessità di predisporre pratiche di sostegno e accompagnamento dello studente che
partecipa a un programma di mobilità studentesca nel suo processo
di apprendimento interculturale. Allo stesso tempo risulta molto
importante valutare gli obiettivi attesi perché «the beneficial effects
of study abroad participation on intercultural competence and other
proclaimed outcomes, while generally positive, are less clear in some
cases may be more a popular narrative than an empirically grounded
claim» (Twombly et al., 2012, p. 67). Il Protocollo Intercultura cerca
di combinare queste due esigenze in quanto, oltre ad essere uno strumento valutativo, consente l’accompagnamento e la valorizzazione
dello studente in quanto esso stesso è strumento educativo (Baiutti
& Paolone, 2018).
Un mito della mobilità studentesca è che essa corrisponda a una
vacanza o a un’attività ludica svolta all’estero. Come si è già visto e
argomentato, la mobilità studentesca, se adeguatamente organizzata,
è un vero e proprio progetto educativo che coinvolge l’alunno nella
sua globalità. Inoltre, dalla narrazione degli stessi studenti (ad es.,
Baiutti, 2017, 2018a, in corso di pubblicazione; Bandinu, 2012; Granata, 2015, 2018; Roverselli & Paolone, 2013; Sclavi, 2009) si evince
che questa esperienza non è sempre gradevole: alle volte è dolorosa,
scomoda, passa attraverso lo shock culturale (Paolone, 2010, 2013),
richiede un grande sforzo di adattamento e resilienza.
Un altro mito da sfatare è quello secondo il quale a partire siano
solo i figli di famiglie benestanti: nel caso dell’associazione Intercultura, grazie alla presenza di borse di studio26 la selezione viene
fatta in base alla motivazione, alla maturità e al merito. Così intesa,
24
Questa idea si fondava principalmente sull’ipotesi del contatto legata agli studi sulla
natura del pregiudizio di Godon Allport (Twombly et al., 2012).
25
L’espressione ‘abitare una soglia’ richiama alcune suggestioni filosofiche proposte da
Rovatti (2007).
26
Nel 2018 gli studenti partiti con un programma scolastico organizzato dall’associazione Intercultura erano 2225 di cui 1700 (76,4%) hanna beneficiato di una borsa di studio
parziale o totale (https://www.intercultura.it/).
La mobilità studentesca
39
la selezione è cruciale perché se gli studenti non sono sufficientemente preparati a gestire lo shock culturale vi è la possibilità che
l’esperienza non consegua gli obiettivi educativi attesi. Il rischio
che vi sia un’esclusione per motivi economici, tuttavia, è reale:
come si è già discusso, si sta assistendo a una crescita di agenzie
commerciali che, non prevedendo significative borse di studio,
escludono i figli delle famiglie che non hanno i mezzi per finanziare una tale esperienza.
2.3. Ricerche
Ricerche nell’ambito della mobilità studentesca a livello scolastico
sono rintracciabili già a partire dagli anni Ottanta. Ad esempio, lo
studio di Ruffino (1981b) analizza quindici casi di scambi giovanili
europei evidenziando aspetti, come quelli storici, che rappresentano
un bagaglio imprescindibile per comprendere la mobilità studentesca contemporanea. Un altro studio è quello condotto da Grove
(1984) sulle famiglie che ospitano uno studente che partecipa a un
programma di 10 mesi organizzato da AFS. I risultati indicano che
alcuni dei fattori che influiscono maggiormente nella buona riuscita
dell’esperienza familiare sono: la relazione con i fratelli ospitanti,
il desiderio dello studente ospitato di partecipare alle attività di famiglia, il non telefonare troppo frequentemente a casa. Altri studi
significativi sono quelli condotti da Hansel e Grove (1985, 1986)
e da Hansel (1988) che documentano il miglioramento in alcune
caratteristiche personali, come la consapevolezza internazionale e il
pensiero critico, degli studenti che hanno partecipato a un programma di studio all’estero con AFS rispetto a coloro che non vi hanno
partecipato.
Tuttavia, è solo negli ultimi anni, grazie in particolare alla Fondazione Intercultura, che la mobilità studentesca internazionale a
livello scolastico è stata oggetto di diverse ricerche scientifiche,
sebbene ancora in numero decisamente inferiore rispetto al livello
universitario. In letteratura sono rintracciabili varie piste di analisi
(si veda Tabella 1).
40
Protocollo di valutazione Intercultura
Tabella 1. Piste di ricerca sulla mobilità studentesca internazionale nella
scuola
Piste di ricerca Argomenti
Scuola
Atteggiamento scuola
Atteggiamento scuola
ospitante
Apprendimenti Apprendimenti trasversali
e interculturali
Valutazione degli
apprendimenti
interculturali
Impatto a lungo termine
Famiglia
Adattamento
e identità
Famiglia ospitante
Famiglia inviante
Adattamento, stress
e resilienza
Identità
Narrazione
Narrazione dell’esperienza
all’estero
Stime
Stime degli studenti
che partecipano
a programmi di mobilità
studentesca
Alcuni studi
- Osservatorio (indagine del
2009, 2010, 2011, 2012)
- Palomba, Paolone, Roverselli,
Niceforo e Cappa (2010)
- Fornasari e Schino (2018)
- Fornasari, Schino e Spotti
(2010)
- Hattingh, Kettle e Brownlee
(2017)
- Hansel e Grove (1985)
- Hammer (2005)
- Roverselli e Paolone (2012,
2013)
- Fornasari et al. (2010)
- Baiutti (2014/2015, 2016,
2017, 2018a, 2018b)
- Baiutti (2017, 2018a)
- Baiutti e Paolone (2018)
- Hansel e Chen (2008)
- Hansel (2008)
- Osservatorio (indagine del
2016)
- Castiglioni (2012)
- Falcon Campos (2018)
- Geeraert (2012)
- Geeraert e Demoulin (2013)
- Geeraert e Demoulin (2013)
- Greischel, Noack e Neyer
(2018)
- Sclavi (2009)
- Bandinu (2012)
- Granata (2015)
- Osservatorio (indagini del
2009, 2011, 2014, 2016)
La mobilità studentesca
41
Una pista è quella che indaga l’atteggiamento della scuola nei
confronti della mobilità studentesca. A questo gruppo appartiene
la ricerca curata da Palomba, Paolone, Roverselli, Niceforo e Cappa
(2010) che si focalizza sul ruolo e sull’atteggiamento dei docenti delle scuole secondaria di II grado rispetto alla mobilità studentesca di
lunga durata. Tra i principali risultati di questa ricerca vi è l’idea che
l’atteggiamento degli insegnanti sia influenzato dalle caratteristiche
personali e dalla ‘cultura’ di ogni singolo istituto. Inoltre, emerge anche il fatto che l’eventuale atteggiamento diffidente di alcuni docenti
dipenderebbe, fra varie cause, anche da un prolungato esercizio
della professione. Questo studio trova seguiti nella ricerca di Fornasari e Schino (2018) che esplora dettagliatamente le motivazioni,
gli atteggiamenti, i comportamenti e i vissuti di Dirigenti scolastici e
docenti rispetto ai programmi di mobilità studentesca offerti dall’associazione Intercultura. Fra i diversi risultati che emergono dallo
studio, uno, particolarmente significativo per questo volume, è che
i docenti dichiarano di voler avere degli indicatori e dei modelli per
valutare la competenza interculturale, nonché essere adeguatamente
formati su di essi in quanto, attualmente, per valutare gli studenti
rientrati da un programma all’estero continuano a utilizzare un approccio docimologico tradizionale che percepiscono come insufficiente e inadeguato.
A questa pista appartengono anche le ricerche connesse all’atteggiamento messo in atto dalla scuola ospitante. In questa categoria
si inserisce lo studio a cura di Fornasari, Schino e Spotti (2010) che
esplora le opportunità e le buone pratiche rispetto alla presenza
di alunni di Intercultura nelle scuole dell’Emilia Romagna e della
Puglia. In generale è emerso che la presenza di alunni stranieri di
Intercultura ha effetti positivi sugli studenti internazionali stessi, sul
gruppo classe e, più in generale, sulla scuola. Un’altra ricerca che
appartiene a questa categoria è quella di Hattingh, Kettle e Brownlee
(2017) che analizza la prospettiva degli insegnanti nell’accoglienza e
nella ‘gestione’ degli studenti internazionali in una scuola secondaria
australiana. Dall’analisi dei dati emerge, fra gli altri, che i docenti
non si sentono preparati ad accogliere tali studenti.
Una seconda pista è quella che si focalizza sugli apprendimenti
degli studenti che partecipano a un programma di mobilità studentesca e la loro valutazione. Questa pista include la ricerca di Hammer
(2005) che ha coinvolto circa 2100 studenti frequentanti scuole secondarie di II grado in nove Paesi di cui 1500 avevano partecipato
a un programma annuale con AFS mentre i restanti 600 erano il
42
Protocollo di valutazione Intercultura
gruppo di controllo. Oltre agli studenti, nella ricerca sono state coinvolte anche le famiglie di provenienza e le famiglie ospitanti. Complessivamente i risultati dello studio evidenziano che i programmi
all’estero producono un effetto positivo, come quello di aumentare il
livello di competenza interculturale, e che tale effetto permane anche
dopo il rientro a casa. Appartiene a questa pista anche lo studio a
cura di Roverselli e Paolone (2012, 2013) che rilegge le acquisizioni
degli studenti che partecipano a un periodo di studio all’estero nella
prospettiva delle competenze chiave europee. Questa pubblicazione
trova uno sviluppo nella ricerca di Baiutti (2017, 2018a) che esplora
una competenza trasversale specifica: la competenza interculturale.
In particolare, lo studio di Baiutti ha individuato alcuni indicatori
della competenza interculturale utili, all’interno della cornice formale della scuola, per valutare e valorizzare gli studenti al loro rientro.
Il presente studio, Protocollo di valutazione Intercultura, è la naturale
prosecuzione della precedente ricerca.
Sempre in questa categoria si possono inserire le ricerche connesse all’impatto di lunga durata che un periodo all’estero ha sui partecipanti. A questo gruppo appartengono gli studi condotti da Hansel
e Chen (2008) e da Hansel (2008) in cui viene svolta una comparazione fra studenti che sono andati all’estero con un programma di
AFS e un gruppo di controllo composto da pari che non vi hanno
partecipato, a venticinque anni di distanza dall’esperienza stessa.
Da tali studi emerge che, a differenza dei loro coetanei, gli studenti
che in passato hanno partecipato a un progetto di mobilità studentesca parlano fluentemente almeno un’altra lingua, tendono ad avere
più facilmente amicizie interculturali, non sono ansiosi in ambienti
internazionali e cercano dei lavori che implichino contatti con altri
contesti culturali. Inoltre, incoraggiano i propri figli a interagire con
persone aventi background culturali diversi e a partecipare a progetti
di mobilità poiché sono convinti che l’incontro con altre culture sia
un valore aggiunto.
Un’altra pista si concentra sulle famiglie, sia ospitanti che invianti,
che rappresentano un altro attore della mobilità studentesca. Una
ricerca di questo gruppo è quella svolta da Castiglioni (2012) che
investiga l’apprendimento interculturale delle famiglie ospitanti. Un
altro studio è quello di Falcon Campos (2018) che indaga l’esperienza all’estero dal punto di vista delle famiglie invianti. La ricerca
coinvolge 26 genitori e ciò che emerge è che la mobilità studentesca
dei figli comporta un beneficio a diversi livelli: per loro, per l’intera
famiglia, ma anche per la comunità. Tuttavia, lo studio rileva anche
La mobilità studentesca
43
alcune criticità prima, durante e dopo l’esperienza, come ad esempio
la poca comunicazione con i figli, e sistematizza le modalità con cui i
genitori cercano di gestirle.
Un’altra pista è quella connessa all’adattamento e allo sviluppo
dell’identità. Un contributo significativo in questo senso è la ricerca
longitudinale di Geeraert e Demoulin (2013) che si focalizza sullo
stress connesso al periodo di adattamento di un gruppo di studenti belgi che hanno partecipato a un programma annuale di AFS
nell’anno scolastico 2010/2011. Dai dati emerge che, mentre sono
all’estero, gli studenti di AFS riportano un livello di stress più basso
rispetto al periodo antecedente alla partenza. Questo risultato trova
probabilmente giustificazione nella crescita personale e nella resilienza dello studente. Allo stesso tempo, emerge un graduale aumento
dell’autostima dei partecipanti al programma annuale rispetto al
gruppo di controllo. Questa ricerca è parte di uno studio più ampio
(Geeraert, 2012) che ha coinvolto 2478 studenti di 46 Paesi iscritti
a un programma annuale offerto da AFS e un gruppo di controllo
composto da 578 pari. Il gruppo di ricerca ha preso in considerazione diversi aspetti della mobilità studentesca come, ad esempio, la
motivazione, l’influenza sull’identità, l’apprendimento della lingua,
lo sviluppo di competenza interculturale, le strategie di adattamento.
Specificatamente sullo sviluppo dell’identità si focalizza lo studio di
Greischel et al. (2018) che ha preso in considerazione 457 studenti
quindicenni tedeschi che hanno partecipato a uno scambio e un
gruppo di controllo di 284 studenti: la ricerca investiga le condizioni
e le conseguenze in termini di sviluppo di identità negli adolescenti
che partecipano a un soggiorno all’estero.
Un’altra pista è quella che si focalizza sulle narrazioni dell’esperienza, sebbene questa possa essere considerata più una metodologia
di ricerca piuttosto che una vera e propria pista di analisi. Appartiene a questo gruppo lo studio condotto da Bandinu (2012) il quale,
mediante la strategia del racconto in profondità e di questionari,
esplora l’intero percorso di un’esperienza di studio all’estero di 18
studenti sardi. Uno dei dati interessanti per questo volume è l’analisi del reinserimento nella scuola d’origine spesso caratterizzato
da difficoltà, in particolare rispetto alle pratiche di valutazione e di
riallineamento. Sempre in questa categoria rientra la ricerca di Granata (2015) che indaga le storie di ragazzi che hanno vissuto un anno
all’estero con Intercultura, ragazzi di origine straniera che crescono
all’interno di famiglie immigrate e ragazzi che crescono in famiglie
italiane in un contesto di pluralismo quotidiano. Fra i vari dati che
44
Protocollo di valutazione Intercultura
emergono, particolarmente interessante per questo volume è il fatto
che per i ragazzi di Intercultura la rete di amicizie che costruiscono
all’estero è un’eredità importante che rimane a un livello quasi di intimità anche dopo l’esperienza.
A queste ricerche vanno affiancate le indagini statistiche che annualmente dal 2009 vengono svolte dall’Osservatorio e che hanno
cittadinanza in diverse piste sopra menzionate. L’Osservatorio, che
si concentra maggiormente sull’internazionalizzazione della scuola,
fra le varie, stima l’andamento della mobilità studentesca in entrata
e in uscita nelle scuole secondarie di II grado (si veda § 2.4 in questo
capitolo).
Le piste proposte e gli studi presentati non sono esaustivi della
letteratura sulla mobilità studentesca, ma consentono di tracciare dei
confini embrionali di un filone di ricerca: quello sulla ‘mobilità studentesca internazionale nella scuola’. Tale filone, sebbene, per ora,
abbia un carattere sostanzialmente descrittivo, sta fornendo un significativo contributo nella comprensione e nella problematizzazione
di questo fenomeno ancora poco esplorato. Tuttavia, preso atto del
caleidoscopico mondo della mobilità studentesca, sarebbe auspicabile, così come suggerisce Almeida (in corso di pubblicazione), che si
sviluppasse un fertile dialogo interdisciplinare per comprenderlo più
in profondità.
Oltre alle pubblicazioni, è da rilevare che è in atto una discussione
aperta sui vari aspetti degli scambi giovanili. Ogni anno la Fondazione Intercultura in collaborazione con l’EFIL e AFS organizza il
Forum on Intercultural Learning and Exchange27 in cui ricercatori,
rappresentanti delle istituzioni e professionisti da tutto il mondo
si incontrano per discutere varie tematiche legate alla mobilità studentesca come la narrazione del rientro, l’esperienza della famiglia
ospitante, la valutazione degli apprendimenti interculturali, il ruolo
dei docenti.
2.4. Numeri della mobilità studentesca internazionale
Oggi, sebbene «mobility is not a widespread phenomenon within
school» (Yemini, 2012, p. 156), è in continua crescita. Secondo le
stime dell’Osservatorio, infatti, nel 2016 gli studenti italiani all’estero
con un programma annuale, semestrale o trimestrale individuale era27
http://www.fondazioneintercultura.org/it/Convegni/Forum-on-intercultural-learningand-exchange/
La mobilità studentesca
45
no 7400 (stima 6900-7900), nel 2014 erano 7300 (stima 6800-7800),
nel 2011 erano 4700 (stima 4400-5000) e nel 2009 erano 3500 (stima
3200-3900). Questi dati mostrano che dal 2009 (anno in cui è nato
l’Osservatorio) al 2016 c’è stato un aumento di studenti all’estero pari al 111%. Osservando l’andamento dei programmi annuali, oggetto
del presente studio, si nota che nel 2009 la stima variava fra i 2200
e i 2500 studenti, nel 2011 erano 3300, nel 2014 erano 4100, nel
2016 erano 4200 (si veda Grafico 1). È quindi evidente che il trend
di studenti che partecipano a un’esperienza di studio all’estero è in
continua crescita.
Grafico 1. Stima studenti italiani all’estero
Da un punto di vista europeo, sebbene sia complesso avere un
numero preciso, si stima che siano fra i 60000 e i 70000 gli studenti
delle scuole europee fra i 15 e i 18 anni che partecipano ogni anno
a un programma di mobilità studentesca internazionale (semestrale
o annuale) e questo numero sembra aumentare regolarmente. Allo
stesso tempo, si stima che siano più di 35000 gli studenti ospitati in
Europa (Briga, 2018).
A conclusione di questo paragrafo è bene sottolineare che l’Unione europea sta promuovendo la creazione di uno spazio europeo
dell’istruzione entro il 2025 in cui l’apprendimento e lo studio non
dovrebbero essere ostacolati dai confini nazionali (UE, 2017). Tra
gli obiettivi di questa visione ve ne sono alcuni che sono strettamente collegati all’oggetto di interesse del presente volume come, ad
esempio, il fatto che trascorrere un periodo all’estero per motivi di
46
Protocollo di valutazione Intercultura
studio e apprendimento diventi la norma così come il conoscere due
lingue oltre alla propria lingua madre28. Questo progetto di politica
educativa europea permette di immaginare una crescita continua ed
esponenziale della mobilità studentesca europea a livello scolastico.
Diventa quindi importante comprendere la normativa che regola tale
fenomeno e che è discussa nel prossimo paragrafo.
2.5. La normativa italiana ed europea29
Negli ultimi quindici anni l’atteggiamento del Ministero nei confronti della mobilità studentesca è significativamente mutato, in
particolare in materia di concettualizzazione e di pratiche valutative
dell’esperienza all’estero: da una valutazione focalizzata esclusivamente sugli obiettivi didattici delle singole discipline si è passati ad
una valutazione globale dell’esperienza.
La mobilità studentesca individuale degli studenti italiani frequentanti la scuola secondaria di II grado è disciplinata dal Regolamento dell’autonomia scolastica (MPI, 1999b)30. All’art. 14, c. 2 si
legge che:
le istituzioni scolastiche provvedono a tutti gli adempimenti relativi alla
carriera scolastica degli alunni e disciplinano, nel rispetto della legislazione
vigente, le iscrizioni, le frequenze, le certificazioni, la documentazione, la valutazione, il riconoscimento degli studi compiuti in Italia e all’estero ai fini
della prosecuzione degli studi medesimi, la valutazione dei crediti e debiti
formativi, la partecipazione a progetti territoriali e internazionali, la realizzazione di scambi educativi internazionali.
La mobilità studentesca trovò la sua prima disciplina organica nella Circolare Ministeriale n. 181 del 17 marzo 1997 (MPI, 1997) avente per oggetto la Mobilità studentesca internazionale. Questi i punti
salienti della Circolare: (i) la mobilità studentesca non può superare
l’anno scolastico; (ii) l’anno all’estero è legalmente riconosciuto; (iii)
la riammissione dell’alunno alla classe d’origine spetta al Consiglio
di classe competente; (iv) la valutazione dell’esperienza all’estero è
basata sulla coerenza con gli obiettivi didattici previsti dai programhttps://ec.europa.eu/education/initiatives/european-education-area_it
Questo paragrafo riprende, con qualche aggiornamento, il paragrafo ‘Dimensione
normativa della mobilità studentesca internazionale individuale’ in Baiutti (2017). Si veda
anche Fornasari e Schino (2018).
30
La sigla MPI indica il Ministero della Pubblica Istruzione che è confluito nel Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR).
28
29
La mobilità studentesca
47
mi di insegnamento italiani. Quest’ultimo punto è stato riaffermato
dalla Circolare Ministeriale n. 236 dell’8 ottobre 1999 (MPI, 1999a)
avente per oggetto Mobilità studentesca internazionale ed esami di
Stato dove, per «ragioni di equità e di parità di trattamento», si affermava che lo studente al rientro avrebbe dovuto essere sottoposto dal
Consiglio di classe ad un accertamento sulle materie non previste nel
piano degli studi compiuti all’estero.
Sulla base dell’esito delle prove suddette, il Consiglio di classe formula
una valutazione globale, che tiene conto anche della valutazione espressa dalla scuola estera sulle materie comuni ai due ordinamenti, che determina l’inserimento degli alunni medesimi in una delle bande di oscillazione del credito
scolastico previste dalla vigente normativa (MPI, 1999a).
Il Ministero, pertanto, riconosceva legalmente l’anno scolastico
compiuto all’estero, ma il reinserimento dell’alunno nella classe
d’origine era subordinato a una verifica relativa agli apprendimenti
di quelle materie previste dai programmi italiani e non frequentate
all’estero, in aggiunta al recepimento della valutazione effettuata dalla scuola ospitante. Va rilevato che la Circolare n. 236/1999 (MPI,
1999a) introduceva il concetto di «valutazione globale», senza, tuttavia, chiarirne il significato: è dubbio, infatti, se per valutazione
globale si dovesse intendere una valutazione che rimanesse comunque circoscritta alle conoscenze o se, la predetta locuzione, aprisse
alla possibilità di una valutazione che considerasse anche l’esperienza
nella sua componente di educazione non formale e informale.
A questo riguardo, un tentativo di precisazione può essere rintracciato nella comunicazione n. 2787 /R.U./U del 20 aprile 2011 (MIUR,
2011) intitolata Titoli di studio conseguiti all’estero. Il contributo chiarificatore, e allo stesso tempo innovativo, di questa comunicazione, almeno per quanto concerne la materia presa in esame, si trovava sotto
il titolo V, Soggiorni di studio all’estero: dopo aver richiamato la Circolare Ministeriale 181/1997 (MPI, 1997), si affermava che «considerato
il significativo valore educativo delle esperienze di studio compiute
all’estero e l’arricchimento culturale della personalità dello studente
che ne deriva, si invitano, pertanto, le istituzioni scolastiche a facilitare per quanto possibile, nel rispetto della normativa del settore, tale
tipologia educativa» (MIUR, 2011). Il Ministero iniziava, quindi, a
porre attenzione non più alle sole conoscenze formali che lo studente
doveva acquisire, ma anche a quegli aspetti che riguardavano maggiormente le dimensioni dello sviluppo personale e dell’arricchimento
culturale dello stesso.
48
Protocollo di valutazione Intercultura
Con la Nota ministeriale n. 843 del 10 aprile 2013 (MIUR, 2013)
avente per oggetto Linee di indirizzo sulla mobilità studentesca internazionale individuale, si assiste a una netta presa di posizione
politica31 del Ministero rispetto all’esperienza di studio all’estero
considerata come «parte integrante dei percorsi di formazione e
istruzione». Nella Nota si legge che la mobilità studentesca individuale, all’interno del processo di internazionalizzazione della scuola,
è «un fenomeno strutturale in progressivo aumento»: si assiste a un
crescente «flusso continuo e rilevante» di giovani che «sono sempre
più interessati ad acquisire e rafforzare le competenze che il crescente contesto globale richiede». Oltre a evidenziare la posizione del
Ministero, la Nota rileva alcuni nodi connessi alla mobilità studentesca, ovverosia:
–
–
–
–
il riconoscimento degli studi effettuati all’estero per gli studenti italiani;
la comparazione delle discipline studiate per gli studenti italiani;
l’ammissione all’anno successivo per gli studenti italiani;
la valutazione e la certificazione delle esperienze di studio […] per gli
studenti italiani […] (MIUR, 2013).
Per affrontare tali criticità, i principali suggerimenti presenti nella
Nota sono:
– Inserire la mobilità studentesca nel Piano dell’Offerta Formativa
(POF), oggi Piano Triennale dell’Offerta Formativa (PTOF).
– Armonizzare all’interno del medesimo Istituto le pratiche di competenza del Consiglio di classe (come, ad esempio, le pratiche
valutative).
– Valorizzare le esperienze all’interno delle classi e dell’intera scuola.
– Individuare figure dedicate come dei referenti o dei tutor.
– Prevedere attività di informazione/formazione e orientamento
così che genitori e studenti possano ricevere una corretta informazione sulle diverse opportunità.
– Pensare un contratto formativo o Learning Agreement prima della
partenza dell’allievo.
Questo elenco non esaurisce la ricchezza della Nota, ma, per i fini
che si propone il presente volume, appare conveniente porre l’attenzione su due punti in particolare: (i) la concettualizzazione dell’e31
È utile ricordare che una nota ministeriale non ha vincolo prescrittivo, come nel
caso di una legge o di un decreto legge, giacché ha una dimensione meramente orientativa.
Rimane, comunque, uno strumento di esplicitazione politica.
La mobilità studentesca
49
sperienza all’estero e (ii) la sua valutazione. Per quanto concerne il
primo punto, la Nota asserisce che:
è importante essere consapevoli che partecipare ad esperienze di studio o
formazione all’estero significa mettere alla prova risorse cognitive, affettive e
relazionali riconfigurando valori, identità, comportamenti e apprendimenti.
Essere ‘stranieri’ in una famiglia e in una scuola diverse dalle proprie contribuisce a sviluppare competenze di tipo trasversale, oltre a quelle più specifiche legate alle discipline. Imparare a leggere e a utilizzare altri codici, saper
riconoscere regole e principi diversi, imparare ad orientarsi al di fuori del
proprio ambiente umano e sociale utilizzando ‘le mappe’ di una cultura altra
esigono un impegno che va ben oltre quello richiesto dalla frequenza di un
normale anno di studio (MIUR, 2013).
Le righe sopra riportate riconoscono che la mobilità studentesca
non può essere considerata solo in termini di competenze disciplinari. Quest’esperienza, infatti, coinvolgendo lo studente da un punto di
vista cognitivo, affettivo e relazionale, deve essere concettualizzata,
e quindi valutata, nella sua unità di educazione formale, informale
e non formale. Tale concettualizzazione comporta, conseguentemente, che la valutazione dello studente rientrato non può limitarsi
alle competenze disciplinari, ma deve prendere in considerazione
anche le competenze trasversali. Il problema che si pone – con il
quale si affronta il secondo punto – è il seguente: come valutare, a
fini scolastici, questo tipo di esperienza. Sulle questioni valutative,
la Nota riafferma che è competenza del Consiglio di classe «riconoscere e valutare le competenze acquisite durante l’esperienza all’estero considerandola nella sua globalità e valorizzandone i punti di
forza» (MIUR, 2013). Per fare ciò il Consiglio di classe acquisisce
i documenti valutativi prodotti dalla scuola straniera e, qualora lo
ritenga necessario, può sottoporre lo studente a un «accertamento, che si sostanzia in prove integrative al fine di pervenire ad una
valutazione globale»32 (MIUR, 2013). La Nota sottolinea che «è in
ogni caso escluso che la scuola possa sottoporre l’alunno ad esami di
idoneità»33 (MIUR, 2013). L’eventuale accertamento si deve basare
sui «contenuti fondamentali utili per la frequenza dell’anno successivo» (MIUR, 2013).
La valutazione globale dell’esperienza all’estero consente di determinare il credito dell’alunno. La Nota continua rimarcando che:
32
33
Enfasi nel testo.
Enfasi nel testo.
50
Protocollo di valutazione Intercultura
oltre alle conoscenze e competenze disciplinari, gli istituti dovrebbero essere incoraggiati a valutare e a valorizzare gli apprendimenti non formali ed
informali, nonché le competenze trasversali acquisite dagli studenti partecipanti a soggiorni di studio o formazione all’estero (MIUR, 2013).
Il Ministero sottolinea, coerentemente con quanto affermato
prima, che la mobilità studentesca deve essere considerata nella
sua globalità. In particolare, la Nota pone nuovamente l’accento
sul concetto di competenze trasversali come uno dei risultati attesi
da un’esperienza all’estero. Pare pertanto ragionevole dedurre che
il concetto di ‘valutazione globale’ sia da interpretare, almeno in
quest’ultima Nota, come una valutazione d’insieme che non consideri esclusivamente i contenuti fondamentali necessari ad affrontare
l’anno successivo, e nella maggior parte dei casi, l’esame di stato, ma
anche quegli apprendimenti interculturali che, come sostenuto dalla
letteratura pedagogica (ad es., Almeida, 2015, in corso di pubblicazione; Baiutti, 2014/2015, 2017, 2018a; Deardorff, 2006; Deardorff
& Arasaratnam-Smith, 2017; Deardorff & van Gaalen, 2012; Hammer, 2005; Hansel & Grove, 1985, 1986; Roverselli & Paolone, 2012,
2013; Ruffino, 2002, 2012, 1981b) rappresentano la parte più arricchente di un’esperienza all’estero.
Se, come si è già detto, questa Nota ha il merito di chiarire l’orientamento politico del Ministero e fornire alcuni suggerimenti
pratici, permangono, ciononostante, delle criticità. Una di esse è che
non viene menzionata esplicitamente in nessuna parte del testo della
Nota l’espressione ‘competenza interculturale’34. Tale mancanza va
messa in evidenza poiché la competenza interculturale, come si è già
accennato e si vedrà meglio nel prossimo capitolo, è concepita dalla
letteratura pedagogica come uno dei principali risultati attesi dalla
mobilità studentesca.
Dettagliata la dimensione normativa italiana, si desidera ora accennare al riconoscimento della mobilità studentesca internazionale
in altri stati europei. Lo studio Recognition of school study periods
abroad in Europe condotto dall’EFIL (Briga, 2018) ha evidenziato
una varietà legislativa rispetto alle procedure di riconoscimento di
un’esperienza all’estero a livello scolastico fra i Paesi europei. Le due
principali metodologie adottate dagli Stati rispetto al riconoscimen34
Sebbene forse sia possibile rintracciare nella Nota alcuni elementi che compongono
la competenza interculturale come ad esempio: «Imparare a leggere e a utilizzare altri codici, saper riconoscere regole e principi diversi, imparare ad orientarsi al di fuori del proprio
ambiente umano e sociale utilizzando ‘le mappe’ di una cultura altra» (MIUR, 2013).
La mobilità studentesca
51
to si basano o (i) sulla certificazione di partecipazione, ovverosia lo
studente è ammesso alla classe successiva previa documentazione
di aver frequentato il procedente anno scolastico in un altro Paese
oppure (ii) sulla trascrizione dei voti della scuola ospitante, ovverosia lo studente può essere ammesso alla classe successiva sulla base
della corrispondenza delle discipline fra la scuola inviante e quella
ospitante e i voti ottenuti (Briga, 2018). Un’altra varietà evidenziata
nello studio è che in alcuni casi vi sono leggi nazionali che regolano
la mobilità studentesca e in altri la competenza decisionale è demandata alla scuola (Briga, 2018). Questa varietà è principalmente determinata dalla diversità sia dei sistemi scolastici che della percezione
culturale del riconoscimento del periodo all’estero (Briga, 2018). Lo
studio rivela anche che vi sono Paesi europei in cui lo studente deve
ripetere completamente l’anno trascorso all’estero come, ad esempio,
nei Paesi Bassi e in Finlandia (Briga, 2018).
Concludendo, è opportuno sottolineare che attualmente, all’interno del progetto della creazione dello spazio europeo dell’istruzione
per il 2025, la Commissione europea ha approvato una Raccomandazione concernente la promozione del riconoscimento reciproco automatico dei titoli dell’istruzione superiore e dell’istruzione e della formazione secondaria superiore e dei risultati dei periodi di studio all’estero
(UE, 2018b). Fra le diverse indicazioni, si sostiene che per la concretizzazione di uno spazio d’istruzione senza confini è necessario che:
i risultati conseguiti durante un periodo di studio all’estero fino a un anno
in un altro Stato membro, nel corso dell’istruzione e della formazione secondaria superiore, siano riconosciuti in qualunque altro, senza che il discente sia
tenuto a ripetere nel paese di origine l’anno del programma o i risultati di apprendimento conseguiti, a condizione che questi ultimi siano nel complesso
in linea con i programmi di studio nazionali del paese d’origine (UE, 2018b).
Il documento sottolinea, inoltre, l’importanza di promuovere criteri e strumenti per facilitare il riconoscimento degli apprendimenti
acquisiti durante un periodo di studio all’estero. Ed è sotto questa
luce che va inteso il Protocollo Intercultura giacché è un innovativo
strumento per sostenere gli insegnanti nel riconoscimento delle acquisizioni interculturali degli studenti che hanno partecipato a un
progetto annuale di mobilità studentesca internazionale individuale.
Capitolo Secondo
La competenza interculturale
e la sfida valutativa
Come si è argomentato nel primo capitolo, la mobilità studentesca
è un progetto educativo e, pertanto, è fondamentale chiedersi da un
punto di vista pedagogico quali siano gli obiettivi educativi attesi e
come valutarli. Si è, altresì, criticata l’idea che la mobilità studentesca
abbia come obiettivo unico o principale quello dell’apprendimento
linguistico. Secondo gli studi del settore (ad es., Almeida, 2015, in
corso di pubblicazione; Baiutti, 2014/2015, 2017, 2018a; Barrett,
2018; Deardorff, 2006; Deardorff & van Gaalen, 2012; Hammer,
2005; Hansel & Grove, 1985, 1986; Roverselli & Paolone, 2013;
Vande Berg, Paige, & Hemming Lou, 2012b), infatti, uno dei principali obiettivi educativi attesi della mobilità studentesca è lo sviluppo
di studenti competenti interculturalmente. Ma cosa significa competenza interculturale? Come si valuta? Il presente capitolo propone
una cornice teoretica per avanzare alcune risposte a tali domande.
Nella seconda parte di questo volume, preso atto di tale cornice, si
propone il Protocollo Intercultura, ovverosia una guida pratica per
valutare specificatamente la competenza interculturale degli studenti
che partecipano a un programma di studio annuale all’estero.
1. Concettualizzare pedagogicamente la competenza
interculturale1
Il primo passo per comprendere il costrutto di ‘competenza interculturale’ è quello di precisare da che prospettiva si concettualizza
quello di ‘competenza’ (Damini, 2011). Pertanto, in questo paragrafo
si chiarifica tale concetto per poi declinarlo e problematizzarlo in
chiave interculturale ponendo l’accento sia sulla discussione pedagogica che di politica educativa.
1
Alcune parti del presente paragrafo riprendono il capitolo ‘Competenza interculturale in chiave pedagogica’ in Baiutti (2017).
54
Protocollo di valutazione Intercultura
1.1. Elementi chiave del costrutto di competenza
Il polisemico e controverso costrutto di ‘competenza’ è al centro
di un ampio dibattito teoretico che incrocia diverse discipline (ad es.,
psicologia, linguistica, pedagogia, sociologia, economia) e contesti
(ad es., lavorativo, educativo). Nell’ambito scolastico tale concetto è
portatore di un potenziale deflagrante rispetto ai modi di intendere l’insegnamento/apprendimento e la valutazione […], in quanto espressione di un
cambiamento di paradigma che modifica alle radici l’idea di sapere e di apprendimento. Non si tratta solo di un cambiamento di superficie, risolvibile con una
revisione meramente terminologica, bensì richiede di ripensare in profondità
le modalità didattiche e valutative con cui fare scuola (Castoldi, 2016, p. 17).
Sarebbe ingenuo pensare di riuscire a restituire, anche solo parzialmente, il dibattito attorno alla competenza in poche righe2. Il fine
del presente paragrafo è, piuttosto, quello di illustrare succintamente
alcuni elementi chiave del costrutto preso in esame così da comprendere le scelte teoretiche connesse al Protocollo Intercultura.
Nel panorama pedagogico italiano una diffusa definizione sostiene
che la competenza è la «capacità di far fronte a un compito, o a un insieme di compiti, riuscendo a mettere in moto e a orchestrare le proprie risorse interne, cognitive affettive e volitive, e a utilizzare quelle
esterne disponibili in modo coerente e fecondo» (Pellerey, 2004, p.
12). Partendo da tale definizione, che sottende una prospettiva olistica3 di competenza, in questo volume si ritiene che per parlare di
competenza sia necessaria la presenza di un soggetto e di un compito
(o di una situazione o di un problema). Il compito presuppone che
il soggetto agisca e, pertanto, si parla di soggetto-agente. Secondo
questa teorizzazione fra il concetto di competenza e quello di azione
vi è un rapporto indissolubile (Castoldi, 2009, 2016), tanto è vero che
alcuni studiosi (ad es., Batini, 2013; Le Boterf, 2008; Pellerey, 2004)
asseriscono che la competenza corrisponda al ‘saper agire’. Ma cosa
si può intendere in questo contesto con il termine ‘azione’? Prendendo spunto da un settore della filosofia del linguaggio (ad es., Austin,
1962, tr. it. 1987; Ginocchietti, 2014/2015, 2016; Wittgenstein, 1953,
tr. it. 1967), con ‘azione’ non ci si riferisce esclusivamente al mero
movimento fisico, ma, ad esempio, anche il dare una risposta o lo scu2
Per un’analisi storico-critica del costrutto di ‘competenza’ si veda, fra gli altri, Benadussi e Molina (2018), Cegolon (2008) e Pellerey (2004, 2010).
3
Per comprendere la tensione fra un approccio atomistico vs un approccio olistico di
concettualizzare la ‘competenza’ si veda Benadussi & Molina (2018).
La competenza interculturale e la sfida valutativa
55
sarsi sono da considerarsi azioni. Il concetto di azione, quindi, non va
inteso in senso stretto, ma in senso lato. Da un punto di vista pedagogico, inoltre, l’azione è qui distinta da una reazione automatica a uno
stimolo in quanto a monte di essa vi è un’intenzione (Pellerey, 2004).
Il soggetto per agire deve mobilitare, selezionare, coordinare e
«orchestrare» (Pellerey, 2004, p. 12) (almeno) tre risorse: le conoscenze (knowledge), le abilità (skills) e le attitudini (attitudes), che
in un lessico pedagogico tradizionale possono essere definite come
‘sapere’, ‘saper fare’ e ‘saper essere’. Questa affermazione trova le
proprie fondamenta in due presupposti. Il primo è che la competenza abbia una natura plurifattoriale, ovverosia che essa sia costituita
da più componenti. Ne deriva che uno di essi (ad es., le abilità) non
corrisponda alla competenza, ma solo a una parte di essa. Il secondo
presupposto è che la competenza sia dinamica, processuale (Castoldi, 2009, 2016; Le Boterf, 2008).
Una volta messa in atto l’azione, essa può essere considerata appropriata o meno rispetto alla specifica cornice in cui il compito e il
soggetto sono inseriti. Infatti, la medesima azione, in situazioni analoghe, ma in contesti differenti, in certuni potrebbe essere un’azione
competente e in altri un’azione incompetente. Questa prospettiva
implica che non esista una competenza astratta, ma che essa abbia
una forte dipendenza contestuale: la competenza necessita, infatti,
di un certo grado di riconoscimento sociale (Batini, 2013; Castoldi,
2009, 2016; Le Boterf, 2008; Pellerey, 2004, 2010).
In ultima analisi, in questo volume si è intesa la competenza come
una ‘mobilitazione-orchestrazione’ di risorse eterogenee (conoscenze, abilità e attitudini) in modo appropriato rispetto a un determinato contesto. Si è visto altresì che la natura della competenza è complessa, contestualizzata e processuale.
1.2. Competenza interculturale: definizioni, modelli e criticità
Anche attorno al concetto di ‘competenza interculturale’ vi è una
vasta riflessione (Almeida, 2015; Arasaratnam-Smith, 2017; Spitzberg & Changnon, 2009). Di seguito lo si problematizza focalizzandosi su alcuni aspetti teoretici e si presenta come esso sia compreso
in questo volume.
Quando ci si avvicina al costrutto di competenza interculturale
ci si trova di fronte a una babele di espressioni come ad esempio:
intercultural competenc(i)es, intercultural communicative competence,
global competence, multicultural competence, transcultural competence,
56
Protocollo di valutazione Intercultura
cultural competence, intercultural sensitivity, cross-cultural awareness,
cultural literacy, cross-cultural capability (Deardorff & Jones, 2012;
Fantini, 2009; Spencer-Oatey & Franklin, 2009). Nel presente volume
si è deciso di adottare l’espressione ‘competenza interculturale’. Questa scelta terminologica poggia su varie motivazioni: (i) la diffusione
del sostantivo ‘competenza’ nel mondo della scuola italiana e della
normativa italiana; (ii) il fatto che, sebbene nella letteratura internazionale siano presenti molte espressioni, quella più diffusa è ‘competenza
interculturale’ (Deardorff & Jones, 2012): (iii) in Italia sono apparse
diverse pubblicazioni (ad es., Baiutti, 2014/2015, 2015, 2017; Balboni & Caon, 2015; Borghetti, 2016; Calliero & Castoldi, 2013; Claris,
2015; Damini, 2011; Damini & Surian, 2012; Granata, 2018; Milani,
2015, 2017, 2018a, 2018b; Nava, 2017; Onorati, Bednarz, & Comi,
2011; Onorati & d’Ovidio, 2015; Portera, 2013b; Portera & Dusi,
2016; Reggio & Santerini, 2014)4 che adottano questa espressione.
Un secondo motivo di confusione risiede nella dimensione definitoria giacché, anche in questo caso, sono rintracciabili in letteratura
diverse definizioni. A titolo di esempio nella Tabella 2 se ne riportano alcune.
Nel presente studio la competenza interculturale è stata intesa
come «the ability to communicate effectively and appropriately in intercultural situations based on one’s intercultural knowledge, skills,
and attitudes» (Deardorff, 2006, pp. 247–248). Si è adottata tale
definizione in quanto: (i) è stata pensata all’interno dell’internazionalizzazione dell’educazione, cioè il contesto della presente ricerca; (ii)
è stato il primo tentativo di trovare un accordo fra interculturalisti rispetto a come definire la ‘competenza interculturale’; (iii) è alla base
di precedenti studi connessi alla mobilità studentesca internazionale
nella scuola secondaria di II grado in Italia (Baiutti, 2017, 2018a).
Poiché nella definizione adottata è utilizzata l’espressione ‘situazione interculturale’, si ritiene importante aprire una breve parentesi
per comprendere come essa venga interpretata in questo volume.
Barrett (2018) sostiene che
the crucial point is that in an intercultural situation, one does not respond
to the other person on the basis of their own individual characteristics, but on
the basis of their affiliation to another culture or set of cultures. Intercultural
situations, identified in this way, can involve people from different countries,
people from different regional, linguistic, ethnic, or faith backgrounds, or
4
Per un’analisi della letteratura italiana attorno al concetto di competenza interculturale si veda Baiutti (2017).
La competenza interculturale e la sfida valutativa
57
people who differ from each other because of their lifestyle, gender, social
class, occupation, or sexual orientation. When an interpersonal situation
becomes an intercultural situation, because cultural differences have been
perceived and made salient either by the situation or by the individual’s own
psychological orientation or cultural positioning, these are the conditions under which intercultural competence becomes relevant (pp. 94-95).
Tabella 2. Alcune definizioni di competenza interculturale
Alcune definizioni di competenza interculturale
La competenza interculturale:
– «[È] la capacità, basata su conoscenze, abilità e attitudini interculturali,
di comunicare in modo efficace e appropriato in situazioni interculturali» (Deardorff, 2006, pp. 247-248, tr. it. M. Baiutti).
– «[È] un complesso di abilità necessarie per performare in modo efficace
e appropriato quando si interagisce con altri che sono linguisticamente
e culturalmente diversi da sé» (Fantini & Tirmizi, 2006, p. 12, tr. it. M.
Baiutti).
– «È l’appropriata ed efficace gestione di un’interazione fra persone che
in qualche modo hanno un diverso o divergente orientamento affettivo,
cognitivo e comportamentale verso il mondo» (Spitzberg & Changnon,
2009, p. 7, tr. it. M. Baiutti).
– «Si riferisce al coinvolgimento o alla collaborazione efficace verso un singolo obiettivo o un insieme condiviso di obiettivi fra individui o gruppi
che non condividono le stesse origini o background culturali» (Twombly
et al., 2012, p. 69, tr. it. M. Baiutti).
– «[È] l’insieme di caratteristiche, conoscenze, attitudini e abilità atte a gestire con profitto relazioni con persone linguisticamente e culturalmente
differenti» (Portera, 2013a, p. 144).
– «È […] un insieme che integra fattori cognitivi, affettivi e comportamentali che influenzano la comprensione e l’interazione con la diversità in
senso lato e che possono essere sviluppati attraverso l’educazione e/o
l’esperienza» (Borghetti, 2017, tr. it. M. Baiutti).
– «È definita come l’insieme di valori, attitudini, abilità, conoscenze e comprensioni che sono necessarie per comprendere e rispettare persone che
sono percepite essere culturalmente diverse da sé, per interagire e comunicare in modo efficace e appropriato e per stabilire relazioni positive e
costruttive con queste persone» (Barrett, 2018, p. 94, tr. it. M. Baiutti).
58
Protocollo di valutazione Intercultura
Muovendo i passi dalla sopraccitata riflessione, in questo volume
una situazione, una comunicazione etc. è descritta come ‘interculturale’ quando sono presenti almeno due poli (ad es., singoli individui,
piccoli gruppi) che si percepiscono come aventi background culturali
(ad es., lingue, religioni, genere, orientamento sessuale, abilità, età,
stili di vita etc.) diversi e in cui tale percezione è sufficientemente significativa per avere un effetto nell’interazione fra essi.
Tabella 3. Categorie interpretative dei modelli di competenza interculturale
(Spitzberg & Changnon, 2009)
Categorie
Compositional
models
Descrizione
Alcuni modelli
Individuano i componenti - Modello a piramide della
competenza interculturale
della competenza
(Deardorff, 2006)
interculturale senza
specificare quale relazione - Modello di competenza
globale (Hunter, White,
intercorre fra essi
& Godbey, 2006)
Co-orientational Si focalizzano sui processi - Modello della competenza
comunicativa interculturale
models
che determinano la
competenza interculturale (Byram, 1997)
o aspetti di essa
Developmental Pongono attenzione alla - Modello di sviluppo della
sensibilità interculturale
dimensione temporale
models
(Bennett, 1993)
(tappe o fasi di sviluppo)
- Modello a U (Lysgaand,
1955) e sua estensione
(Gullahorn & Gullahorn,
1963)
Adaptational
Si focalizzano sull’intera- - Modello di competenza
comunicativa interculturale
models
zione fra
(Y.Y. Kim, 1988)
persone provenienti
da diversi background
culturali
- Modello processuale della
Causal path
Ritengono ci sia
competenza interculturale
models
una interrelazione fra i
(Deardorff, 2006)
diversi componenti della
competenza interculturale - Modello integrato di
competenza comunicativa
interculturale (Arasaranam,
2006)
La competenza interculturale e la sfida valutativa
59
Un terzo motivo di confusione nel comprendere la competenza
interculturale è quello connesso ai modelli giacché, come dimostrato
dalla revisione della letteratura (Almeida, 2015, in corso di pubblicazione; Arasaratnam-Smith, 2017; Baiutti, 2017; Borghetti, 2016; Milani, 2015, 2017; Portera, 2013b; Spitzberg & Changnon, 2009), anche in questo caso vi è una vasta produzione. Spitzberg e Changnon
(2009) propongono cinque categorie per interpretare i principali
modelli presenti in letteratura (si veda Tabella 3)5.
Coerentemente con la scelta della definizione, il principale modello che orienta il presente studio è quello elaborato da Deardorff
(2006), che è composto da attitudini (ad es., rispetto, apertura, curiosità, tolleranza dell’ambiguità), conoscenze (ad es., autoconsapevolezza culturale, comprensione dell’influenza dei contesti nelle
Figura 3. Modello a piramide della competenza interculturale (Deardorff,
2006)
5
Per una diversa categorizzazione dei modelli della competenza interculturale si veda
Borghetti (2016).
60
Protocollo di valutazione Intercultura
visioni del mondo, conoscenze culturali specifiche, consapevolezza
sociolinguistica) e abilità (ad es., ascoltare, osservare, analizzare, interpretare, creare collegamenti). Questi elementi mobilitati e orchestrati assieme possono produrre degli effetti interiori, ovverosia lo
sviluppo di flessibilità, capacità di adattamento, visione etnorelativa
ed empatia interculturale, e degli effetti esteriori che corrispondono
al comportarsi e comunicare in modo efficace e appropriato durante
un’interazione interculturale.
La studiosa statunitense ha progettato due modelli che sono contenutisticamente identici ma graficamente differenti in quanto desidera enfatizzare idee diverse: nel modello a piramide (si veda Figura
3) evidenzia che alla base di tutto vi sono le attitudini; nel modello
processuale (si veda Figura 4) sottolinea che lo sviluppo della com-
Figura 4. Modello processuale della competenza interculturale (Deardorff,
2006)
La competenza interculturale e la sfida valutativa
61
petenza interculturale è «a continual process of improvement, and
as such, one may never achieve ultimate intercultural competence»
(Deardorff, 2006, p. 257).
Un altro modello che ha parzialmente influenzato il presente
studio è quello elaborato da Byram (1997, 2008a) secondo il quale la competenza interculturale è composta da cinque savoirs che
sono distinti, ma, allo stesso tempo, interdipendenti: conoscenze
(savoirs), attitudini (savoir être), abilità (savoir comprendre e savoir apprendre/faire) e critical cultural awareness (savoir s’engager).
Quest’ultimo ha l’obiettivo di far riflettere criticamente lo studente
rispetto ai valori, alle credenze e ai comportamenti della propria e
altrui cultura (Byram, 1997). Byram (2008b) sostiene che il savoir
s’engager è da intendere come la dimensione cruciale per l’educazione del cittadino interculturale evidenziando, così, la particolare
relazione fra la competenza interculturale e la cittadinanza interculturale. Più precisamente, lo studioso inglese sostiene che la critical cultural awareness comporta un coinvolgimento politico dello
studente che si esplicita in azioni (taking action), principalmente
afferenti alla sfera della società civile. Questo aspetto non risulta
essere esplicitamente presente nel modello di Deardorff. Tuttavia,
poiché lo si è riscontrato in precedenti ricerche empiriche connesse
alla mobilità studentesca dei giovani (Baiutti, 2017, 2018a), lo si è
considerato nel presente studio.
Per quanto concerne le criticità nel concettualizzare la competenza interculturale che si riscontrano nell’analisi della letteratura,
una è quella che si domanda quale sia il rapporto fra i componenti
(ad es., attitudini, conoscenze), ma anche fra gli elementi (ad es., curiosità, consapevolezza, pensiero critico, empatia), di tale costrutto.
Ad esempio, ci si interroga su quale sia il ruolo giocato dagli aspetti
emotivi di tale competenza giacché, come notato da alcuni autori
(ad es., Deardorff & Jones, 2012; Spitzberg & Changnon, 2009), un
certo tipo di concettualizzazione pone l’attenzione (quasi) esclusivamente alla dimensione cognitiva. Tuttavia, i modelli adottati nel
presente volume, ponendo alla base le attitudini, cercano di superare
la tensione fra le dimensioni cognitiva e comportamentale, e la dimensione emozionale.
Un altro punto critico concernente il rapporto fra i vari componenti della competenza interculturale è quello connesso alla conoscenza di una o più lingue. Questa discussione è probabilmente
influenzata dal fatto che il costrutto di competenza interculturale ha
avuto un’ampia teorizzazione in contesti disciplinari come la glotto-
62
Protocollo di valutazione Intercultura
didattica, la sociolinguistica, la linguistica applicata (ad es., Balboni,
2007; Balboni & Caon, 2014, 2015; Borghetti, 2016; Byram, 1997,
2008a; Fantini, 2012). In questo volume si ritiene che sebbene la dimensione linguistica sia un elemento rilevante all’interno della competenza interculturale, essa non vada enfatizzata eccessivamente. Infatti, come affermano Deardorff e Jones (2012), conoscere una o più
lingue straniere non comporta necessariamente essere interculturali.
Un’ulteriore criticità è se la competenza interculturale sia da declinare al singolare o al plurale. Questo punto, sottovalutato dalla principale letteratura scientifica del settore, è solo apparentemente una
semplice speculazione accademica6. Infatti, optare per il singolare o
per il plurale ha delle implicazioni in termini epistemologici, didattici e valutativi. Se si adotta il plurale, allora si dovrebbero nominare
le competenze che afferiscono alla sfera interculturale e per ognuna
di esse andrebbero individuate le dimensioni della competenza (attitudini, conoscenze, abilità). Diversamente, se si adotta l’espressione
al singolare, è necessario individuare ‘solamente’ i componenti della
competenza. Nel presente volume si è adottata quest’ultima prospettiva, non solo perché coerente con il modello di Deardorff (2006),
ma anche perché si ritiene che non sussistano delle ‘sotto-competenze interculturali’. Si è allo stesso tempo consapevoli del fatto
che alcuni elementi7 che compongono la competenza interculturale
non sono esclusivi di tale competenza, ma sono trasversali anche ad
altre. Questo, però, non giustifica l’utilizzo al plurale del termine in
quanto nella competenza interculturale vi è una propria specificità
ontologica. Potrebbe essere accettabile, almeno per l’impianto concettuale del libro, l’utilizzo di ‘competenze interculturali’ (al plurale)
intendendo con ciò che gli elementi della competenza interculturale,
avendo una forte dipendenza contestuale, variano a seconda del contesto. In altre parole, si adotterebbe il plurale per enfatizzare il fatto
che gli elementi che compongono la competenza interculturale dello
studente possono essere diversi da quelli della competenza interculturale dell’ingegnere, o dell’operatore sanitario, o del diplomatico.
Per quanto riguarda le critiche mosse al costrutto analizzato, una
delle più diffuse in letteratura è quella secondo la quale la maggior
parte dei modelli di competenza interculturale è stata sviluppata
6
Questo argomento è stato affrontato rispetto al concetto generale di ‘competenza’ in
Viteritti (2018).
7
Qui con elementi non si intende conoscenze, abilità e attitudine, ma ciò che le compongono: ad esempio la flessibilità, l’autoconsapevolezza, l’empatia.
La competenza interculturale e la sfida valutativa
63
in un contesto occidentale (principalmente anglosassone) (Arasaratnam-Smith, 2017; Spitzberg & Changnon, 2009) e che vi sia,
almeno in Italia, una certa accettazione acritica di essi (Milani, 2017).
A questa critica hanno cercato di dare risposta alcuni capitoli de The
SAGE Handbook of Intercultural Competence (Deardorff, 2009b) e
altri de Intercultural Competence in Higher Education (Deardorff &
Arasaratnam-Smith, 2017) nonché il documento Intercultural competences dell’UNESCO (2013), i quali propongono alcune teorizzazioni di competenza interculturale da contesti non occidentali come, ad
esempio, la Cina, l’Africa, il Giappone. Inoltre, va menzionata l’esistenza di un network internazionale – l’ICCGlobal global network on
intercultural competence8 – che riunisce ricercatori da tutto il mondo
con l’obiettivo di condividere ricerche, bibliografie, pratiche e incoraggiare collaborazioni nell’ambito della competenza interculturale.
Il potenziale rischio di etnocentrismo in chiave occidentale, abbinata alla tensione tradizionale ‘individuale vs sociale/organizzativo’,
tipica della concettualizzazione della competenza in senso generale
(Benadussi & Molina, 2018), potrebbero spiegare anche un’altra
critica, ovverosia che la maggior parte dei modelli di competenza
interculturale si focalizzino sull’individuo considerandolo come «the
unit of analysis» (Spitzberg & Changnon, 2009, p. 7) invece che sulla
relazione. A questa critica hanno cercato di dare risposta alcune ricerche empiriche come quella condotta da Holmes e O’Neill (2012).
Un’altra critica rintracciabile nella letteratura (ad es., Belz, 2007;
Dervin & Gross, 2016; Ferri, 2018) è quella secondo cui alcuni modelli di competenza interculturale tendono ad essere neo-essenzialisti
e a nascondere discorsi di discriminazione, potere, privilegio e ingiustizie. Tentativi per superare tale critica sono rintracciabili nel volume Intercultural competence in education (Dervin & Gross, 2016).
Per quanto concerne le sfide rispetto alla concettualizzazione
della competenza interculturale, si ritiene che attualmente una delle
più significative sia quella connessa alla sfera valoriale. Come si è
detto, la competenza è strettamente legata all’azione. Ogni soggetto
è responsabile delle azioni che compie ma tale responsabilità è ascrivibile9 al soggetto nella misura in cui si fa riferimento a un sistema di
valori. Nel caso della competenza interculturale quali sono i valori
di riferimento? Ma anche, qual è il ruolo dei valori nella concettuahttps://iccglobal.org/
La scelta di adottare il termine ‘ascrivibile’ in relazione ad azione e responsabilità
echeggia la riflessione filosofica di Ginocchietti (2014/2015).
8
9
64
Protocollo di valutazione Intercultura
lizzazione della competenza interculturale? Sebbene alcuni autori
abbiano analizzato la relazione fra valori e competenza interculturale
(ad es., Borghetti, 2017; Claris, 2015) e, più in generale, fra valori e
interculturalità o internazionalizzazione (ad es., Egron-Polak & Marmolejo, 2017; Ferri, 2014, 2018; Gorski, 2008, 2009; Tarozzi, 2015),
si ritiene che ulteriori dibattiti, preferibilmente interdisciplinari, su
questo tema tanto delicato quanto cruciale debbano essere promossi
e possano interessare tanto la dimensione di concettualizzazione e
valutazione della competenza interculturale quanto la sua valenza
politica e sociale.
1.3. Politiche educative attorno al concetto di competenza interculturale
Da più di una decina d’anni, l’espressione ‘competenza interculturale’ ha iniziato a trovare piena cittadinanza non solo nella riflessione
accademica, ma anche nei documenti europei nonché in quelli di
diversi attori internazionali, alcuni dei quali sono presi in considerazione di seguito.
Un esempio è costituito dall’Unione europea, che nel 2006 ha promulgato la Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio
relativa a competenze chiave per l’apprendimento permanente (UE,
2006a)10, la quale è stata riveduta e sostituita dalla Raccomandazione
del Consiglio del 22 maggio 2018 (UE, 2018a). Queste Raccomandazioni definiscono le competenze chiave (si veda Tabella 4) che
ogni cittadino europeo dovrebbe possedere «per la realizzazione e lo
sviluppo personali, l’occupabilità, l’inclusione sociale, uno stile di vita
sostenibile, una vita fruttuosa in società pacifiche, una gestione della
vita attenta alla salute e alla cittadinanza attiva» (UE, 2018a). Leggendo tali Raccomandazioni in chiave interculturale si evince che, nella
Raccomandazione del 2006, la competenza interculturale era esplicitamente citata fra le competenze sociali (UE, 2006a); nella Raccomandazione del 2018 la dimensione interculturale assume un valore diverso
in quanto viene stabilito che «elementi quali il pensiero critico, la
risoluzione di problemi, il lavoro di squadra, le abilità comunicative e
negoziali, le abilità analitiche, la creatività e le abilità interculturali sottendono a tutte le competenze chiave» (UE, 2018a). Con riferimento
alle riflessioni pedagogiche precedenti è affermabile che gli elementi
appena citati sono componenti della competenza interculturale.
10
Questo documento è particolarmente importante poiché è stato recepito dalla normativa italiana concernente la scuola (MPI, 2007).
La competenza interculturale e la sfida valutativa
65
Tabella 4. Competenze chiave dell’Unione europea (2006 e 2018)
Competenze chiave UE, 2006
– comunicazione nella madrelingua
– comunicazione nelle lingue straniere
– competenza matematica e competenze di base in scienze e tecnologia
– competenza digitale
– imparare a imparare
– competenze sociali e civiche
– spirito di iniziativa e imprenditorialità
– consapevolezza ed espressione culturale
Competenze chiave UE, 2018
– competenza alfabetica funzionale
– competenza multilinguistica
– competenza matematica e competenza in scienze, tecnologie e ingegneria
– competenza digitale
– competenza personale, sociale e capacità di imparare a imparare
– competenza in materia di cittadinanza
– competenza imprenditoriale
– competenza in materia di consapevolezza ed espressione culturali
Un altro esempio di cruciale importanza è rappresentato dal Consiglio d’Europa, che ha messo in campo diverse azioni concernenti
la competenza interculturale. Per esigenze di spazio si è deciso di
menzionare qui solo il progetto Competenze per una cultura della democrazia11. Tale progetto fornisce, da una parte una cornice teoretica
di quelle competenze ritenute necessarie per poter vivere insieme in
una società democratica culturalmente eterogenea (Barrett, 2016,
tr. it. 2017; Barrett et al., 2018a); dall’altra, delle indicazioni e degli
strumenti per svilupparle in sede di educazione formale (Barrett et
al., 2018b, 2018c). In questo progetto «la competenza democratica
e interculturale è definita come la capacità di mobilitare e utilizzare
valori, attitudini, abilità, conoscenze e/o comprensioni critiche pertinenti per rispondere in modo appropriato ed efficace alle esigenze,
alle sfide e alle opportunità che si presentano in situazioni democratiche e interculturali» (Barrett, 2016, tr. it. 2017, p. 6). Da questa
definizione, fra le varie, si può dedurre che il Consiglio d’Europa stabilisce una stretta relazione fra il concetto di democrazia e quello di
interculturalità. Questo è evidente non solo nell’uso della congiunzione ‘e’ fra competenza democratica e interculturale, ma anche nella
definizione stessa che sembra in linea con la precedente discussione
11
https://www.coe.int/en/web/education/competences-for-democratic-culture
66
Protocollo di valutazione Intercultura
pedagogica sul concetto di competenza interculturale12. Va notato,
inoltre, che il Consiglio d’Europa ha inserito tra i componenti della
competenza democratica e interculturale anche determinati valori,
ovverosia diritti umani e dignità umana, diversità culturale, democrazia, giustizia, equità, uguaglianza e primato del diritto. Come
già accennato, la scelta di includere i valori tra i componenti della
competenza è di particolare interesse giacché essi spesso rimangono
esclusi dalla discussione pedagogica o considerati impliciti.
Un altro attore internazionale da menzionare è l’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e per lo sviluppo economico) che nel 2000
lancia il PISA (Programme for International Student Assessment 13),
ovverosia la più grande indagine internazionale nel campo dell’educazione, che ha lo scopo di valutare ogni tre anni le competenze dei
quindicenni in diversi Paesi del mondo14. Nell’indagine del 2018, il
PISA, oltre alle classiche aree di indagine, cioè matematica, scienze
e lettura, ha introdotto quella della global competence definita come
«the capacity to examine local, global and intercultural issues, to understand and appreciate the perspectives and world views of others,
to engage in open, appropriate and effective interactions with people
from different cultures, and to act for collective well-being and sustainable development» (OCSE PISA, 2018, p. 7).
Un altro soggetto internazionale da ricordare è l’UNESCO, che
nel 2013 ha pubblicato un documento intitolato emblematicamente
Intercultural Competences. In tale documento le competenze interculturali sono descritte come le abilità «to adeptly navigate complex
environments marked by a growing diversity of peoples, cultures and
lifestyles» (UNESCO, 2013, p. 5).
Questo breve excursus non ha la pretesa di essere esaustivo ma
permette di fare due considerazioni. La prima è che la riflessione
attorno alla competenza interculturale non è circoscritta a contesti
accademici ma trova seguiti anche nel dibattito politico. La seconda
è che nelle politiche educative vi è un legame intrinseco fra i concetti
di competenza interculturale e di cittadinanza. In altre parole, vi è
un rapporto dialettico secondo il quale non è possibile parlare oggi
di cittadinanza senza considerare anche l’interculturalità, e viceversa.
12
Va sottolineato che il modello delle Competenze per una cultura della democrazia trova la sua genesi nella revisoni di più di cento modelli di cui molti concernenti la competenza
interculturale.
13
http://www.oecd.org/pisa/
14
Nell’edizione del 2015 avevano partecipato più di 80 Paesi.
La competenza interculturale e la sfida valutativa
67
Questo non sorprende in quanto, come afferma Deardorff (2013), le
discussioni sulla competenza interculturale in Europa sono tendenzialmente legate alle questioni di democrazia e di integrazione sociale
in termini di cittadinanza interculturale. Queste motivazioni non sono necessariamente comuni in tutte le parti del mondo.
A conclusione di questo paragrafo, si ritiene opportuno ricordare che qualsiasi azione in ambito educativo messa in atto dagli
organismi internazionali ha un valore meramente propulsivo ma mai
legislativo in quanto quest’ultimo aspetto è di competenza dei singoli
Stati Nazionali.
2. Valutare la competenza interculturale
Una questione dibattuta e alquanto spinosa, inerente alla competenza interculturale, è quella connessa alla sua valutazione (Almeida,
2015; Baiutti, 2017, 2018a; Borghetti, 2017; Byram, 1997, 2008a;
Deardorff, 2006, 2009a, 2011, 2015; Deardorff & Arasaratnam-Smith,
2017; Dervin, 2010; Fantini, 2009; Harsch & Poehner, 2016; Sercu,
2010). A ben vedere, i dibattiti e i miti (Deardorff, 2009a, 2015) connessi alla valutazione della competenza interculturale ricalcano quelli
della valutazione della competenza in generale. Questi ultimi sono
spesso espressione di una tensione fra un paradigma positivista e uno
fenomenologico interpretativo (Giannandrea, 2009). Nell’ambito della competenza interculturale, questo lo si può notare considerando, ad
esempio, i dispositivi di valutazione15 disponibili: da una parte, vi sono
test e questionari di matrice primariamente psicometrica che misurano la competenza interculturale come, ad esempio, l’IDI (Intercultural
Development Inventory); dall’altra parte, vi sono degli strumenti di
matrice qualitativa che cercando di valorizzare, apprezzare e, allo
stesso tempo sviluppare, la competenza interculturale come ad esempio l’Autobiografia degli incontri interculturali elaborata dal Consiglio
d’Europa (Byram, Barrett, Ipgrave, Jackson, & Méndez García, 2009).
In questo paragrafo, non si ha la pretesa di riassume l’acceso dibattito attorno a tali tematiche16 quanto, piuttosto, di esplicitare la
15
Per una revisione dei possibili strumenti di valutazioni della competenza interculturale si veda, fra i vari, Fantini (2009); per avere un’idea della varietà degli strumenti di
valutazione della competenza interculturale adottati in diversi contesti del mondo si veda
Deardorff e Arasaratnam-Smith (2017).
16
Per approfondire il dibatitto valutativo connesso alla competenza, fra i vari autori in
lingua italiana, si veda Bertagna (2004), Castoldi (2009, 2016), Domenici (2003), Trinchero
(2012) e Vertecchi (2003).
68
Protocollo di valutazione Intercultura
cornice teoretica connessa alla valutazione – coerente al concetto di
competenza interculturale precedentemente tracciata – che sta alla
base del Protocollo Intercultura tentando di rispondere ai tre interrogativi di fondo di ogni impianto valutativo scolastico degli apprendimenti degli alunni17: perché valutare; cosa valutare; come valutare.
Nel caso della mobilità studentesca annuale internazionale individuale, si è già visto che il perché e il cosa trovano le proprie ragioni
sia nell’ambito teoretico-pedagogico che in quello normativo. Si è
precedentemente argomentato, infatti, che la mobilità studentesca
è da intendersi come un progetto educativo e, in quanto tale, la
valutazione è parte integrante di esso18: in questo senso, la valutazione non viene qui intesa esclusivamente come un accertamento del
raggiungimento, ed eventualmente a che livello, degli obiettivi attesi
(assessment of learning), ma anche come un momento per migliorare
l’apprendimento stesso (assessment for learning)19.
Si è altresì visto che la principale letteratura del settore, che trova
un certo eco anche nella normativa italiana, identifica la competenza
interculturale come una delle principali competenze attese dai progetti di mobilità studentesca e, pertanto, deve essere oggetto di valutazione (si veda Figura 5).
• ogni progetto educativo ha degli obiettivi educativi attesi
• gli obiettivi educativi vanno valutati
• la mobilità studentesca internazionale è un progetto educativo
• la competenza interculturale è uno dei principali obiettivi educativi attesi
dalla mobilità studentesca
è necessario valutare la competenza interculturale nei progetti di mobilità
studentesca
Figura 5. Perché valutare la competenza interculturale
17
È necessario specificare che si fa riferimento agli apprendimenti degli studenti in
quanto con il termine ‘valutazione scolastica’ si può indicare anche la valutazione dell’istituto o la valutazione del sistema scolastico (Giannandrea, 2009).
18
Per altre motivazioni per cui valutare la competenza interculturale si veda Barrett et
al. (2018c) e Borghetti (2017).
19
Per approfondire il valore educativo della valutazione, fra i vari, si veda Castoldi
(2016), Giannandrea (2009), Stiggins (2002) e Wiggins (1998).
La competenza interculturale e la sfida valutativa
69
Tuttavia, per porre in essere un impianto valutativo, non è sufficiente nominare la competenza attesa ma, come afferma Deardorff
(2011), una volta determinato uno o più modelli di riferimento di
tale competenza, che per loro natura sono generali, è necessario definire gli indicatori nel contesto specifico in cui si effettua la valutazione. Partendo da questo suggerimento, la ricerca empirica di Baiutti
(2017, 2018a) ha individuato possibili indicatori della competenza
interculturale relativi alla mobilità studentesca internazionale individuale nella scuola secondaria di II grado.
Rispetto al come valutare è necessario fare una premessa: l’adozione del costrutto di competenza implica necessariamente una
ridefinizione del modo di intendere il concetto stesso di ‘valutazione’
giacché una valutazione tradizionale, adatta ad accertare le conoscenze e i contenuti, risulta parziale, se non inadeguata, a valutare le
competenze. Nella scuola, pertanto, per poter realmente innestare
una valutazione per competenze – e nello specifico di questo volume,
della competenza interculturale – è necessario decostruire il processo
valutativo tradizionale e ancora egemone, e strutturarne uno nuovo;
è necessaria una vera e propria rivoluzione culturale delle idee, delle
aspettative e delle reiterazioni degli attori che gravitano attorno alla
scuola (studenti, famiglie, insegnanti), e, più in generale anche della
società, rispetto alla valutazione (Castoldi, 2009, 2016).
Una prospettiva che cerca di orientare questa rivoluzione può essere quella di Castoldi (2016), che avanza un’analisi critica della valutazione scolastica tradizionale e ne evidenzia le possibili revisioni. I
punti salienti di tale analisi vengono riassunti nella Tabella 5:
Tabella 5. Valutazione scolastica: criticità e revisioni (Castoldi, 2016, pp. 62-71)
Criticità della valutazione scolastica
Linee di revisione
Schiacciamento su un sapere riproduttivo
Significatività
Priorità a un apprendimento inerte
Autenticità
Focus sul prodotto dell’apprendimento
Processualità
Deresponsabilizzazione dello studente
Responsabilità
Condizionamento della didattica (teach to text)
Promozionalità
Frattura fra momento formativo e valutativo
Ricorsività
Valenza classificatoria e selettiva
Dinamicità
Approccio riduzionista all’apprendimento
Globalità
Mito dell’oggettività della valutazione
Multidimensionalità
70
Protocollo di valutazione Intercultura
Partendo da queste critiche e dalle possibili linee di revisione,
nonché da una concettualizzazione della competenza come complessa, contestualizzata e processuale, diversi autori (ad es., Castoldi,
2009, 2016; Pellerey, 2004) pongono come principio metodologico
di un appropriato e rigoroso impianto valutativo di competenza un
principio reiterato dalla ricerca qualitativa delle scienze sociali, ovverosia quello di triangolazione secondo il quale
la rilevazione di una realtà complessa richiede l’attivazione e il confronto
di più livelli di osservazione per consentire una ricostruzione articolata e pluriprospettica dell’oggetto di analisi; non è sufficiente un unico punto di vista
per comprendere il nostro oggetto di analisi, occorre osservarlo da molteplici
prospettive e tentare di comprenderne l’essenza attraverso il confronto tra i
diversi sguardi che esercitiamo, la ricerca delle analogie e delle discordanze
che li contraddistinguono (Castoldi, 2016, p. 80).
A partire da questo principio, è diffusa l’idea che una valutazione
per competenza debba prevedere un approccio:
– Multimetodo: la raccolta dei dati deve avvenire mediante diversi
strumenti.
– Multiprospettico: è necessario raccogliere una pluralità di punti di
vista come è importante che tali dati vengano analizzati da diverse
persone.
– Longitudinale: non è sufficiente una prestazione (performance)
per determinare se un soggetto abbia sviluppato o meno una
competenza ma è necessario che si consideri una famiglia 20 di
prestazioni21.
La raccolta di dati attraverso diversi metodi e diverse prospettive, per un periodo ragionevole e l’analisi interpretativa collegiale,
consente al Consiglio di classe di apprezzare con una metodologia
rigorosa ed empirica le diverse pieghe del complesso oggetto di valutazione e di esprimere un giudizio di sintesi che sia espressione di
una coerenza fra i vari dati raccolti.
Va tenuto presente che, un impianto così strutturato, affinché
possa essere effettivamente applicabile, deve riuscire a intrecciare in
modo armonico il principio di triangolazione «con le condizioni di
20
Qui, l’uso del termine ‘famiglia’ echeggia la riflessione filosofica di Wittgenstein
(1953, tr. it. 1967).
21
Come osserva Pellerey (2004) «solo nel caso di competenze elementari che mettano
in gioco schemi di azione di tipo ripetitivo, oppure assai semplici applicazioni di regole e
principi, è possibile valutarne l’acquisizione osservando una o poche prestazioni» (p. 114).
La competenza interculturale e la sfida valutativa
71
fattibilità e i vincoli di tempo e le risorse a disposizione» (Castoldi,
2016, p. 81).
Inoltre, affinché l’impianto valutativo sia rigoroso, è fondamentale
che rispetti alcuni requisiti di qualità.
La qualità del processo valutativo non si gioca nella sua presunta oggettività, chimera spesso vagheggiante nel dibattito scolastico, quanto nella presenza di un insieme di condizioni:
– la validità e l’attendibilità degli strumenti di rilevazione degli apprendimenti;
– la trasparenza dei criteri e delle modalità di attribuzione del giudizio;
– la documentabilità delle procedure e delle evidenze sottese al giudizio;
– l’utilità del processo valutativo in relazione al compito formativo della
scuola;
– la condivisione dei modi del valutare tra diversi docenti che operano con i
medesimi alunni (Castoldi, 2016, p. 270).
2.1. Modello elaborato da Castoldi
L’impianto appena descritto trova una possibile applicazione
teorica nel modello di valutazione della competenza elaborato da
Castoldi (2009, 2016). Tale modello è stato progettato non specificatamente per la competenza interculturale, ma per la competenza
in generale. Tuttavia, due sono i motivi che giustificano la scelta di
adottarlo come punto di riferimento per ragionare sulla valutazione
della competenza interculturale connessa alla mobilità studentesca
a livello scolastico: (i) è coerente con la concettualizzazione della
competenza interculturale tracciata in questo capitolo, in particolare
rispetto all’enfasi posta sulla sua natura situata, complessa e processuale; (ii) è già stato utilizzato in Italia per una ricerca concernente
la valutazione della competenza interculturale, sebbene nella scuola
primaria e secondaria di I grado (Calliero & Castoldi, 2013).
Questo modello si sviluppa a partire dalla concettualizzazione di
Pellerey (2004) secondo la quale i punti di osservazione della competenza sono tre: la dimensione soggettiva, la dimensione intersoggettiva e la dimensione oggettiva. Queste tre dimensioni rappresentano
per Castoldi la prospettiva trifocale per valutare la competenza e per
ognuna di esse individua alcuni strumenti valutativi specifici (si veda
Figura 6).
Per quanto concerne la dimensione soggettiva, gli strumenti più
appropriati sono quelli che pongono lo studente in una posizione
attiva rispetto al processo valutativo. Conseguentemente, i dispositivi
72
Protocollo di valutazione Intercultura
Figura 6. Modello di valutazione di competenza adattato da Castoldi (2009,
2016)
più adeguati sono quelli autovalutativi come i diari di bordo, le autobiografie, i questionari di autovalutazioni, le riflessioni critiche. Tali
dispositivi raccolgono e documentano «il punto di vista del soggetto
sulla propria esperienza di apprendimento e sui risultati raggiunti,
anche come opportunità per rielaborare il proprio percorso apprenditivo e per accrescere la propria consapevolezza su di esso e su di
sé» (Castoldi, 2016, p. 85).
Passando alla dimensione intersoggettiva, con essa si intende l’indagare «come le persone che entrano in relazione con lo studente
percepiscono la sua competenza in rapporto ai traguardi che sono
stati individuati» (Castoldi, 2009, p. 139). In questo senso, gli insegnanti rappresentano il punto di vista privilegiato giacché essi
osservano lo studente quotidianamente a scuola. Tale sguardo, però,
può essere integrato da quello dei genitori, dei compagni di classe
(valutazione fra pari) e di altre figure significative come ad esempio,
nel caso specifico della mobilità studentesca, dai volontari dell’associazione Intercultura. Adottando questa eterogeneità di punti di
vista, la valutazione non è più racchiusa fra le pareti scolastiche, ma
allarga gli orizzonti comprendendo anche contesti non formali e
informali. Chiaramente, sebbene ogni punto di vista abbia dignità
di essere incluso, va anche precisato che devono essere fatte alcune
La competenza interculturale e la sfida valutativa
73
scelte realistiche e accurate cercando di trovare «un equilibrio ottimale tra pluralità degli sguardi e fattibilità operativa della valutazione» (Castoldi, 2009, p. 142). In ogni caso, va sottolineato che riconoscere all’osservazione «uno spazio nel perimetro della valutazione
degli apprendimenti non rappresenta un orpello secondario, bensì è
coerente con un paradigma valutativo che assume la pluralità delle
prospettive come una condizione per conferire maggior rigore e precisione alla valutazione» (Castoldi, 2016, p. 225).
I dispositivi che guidano l’osservazione eterovalutativa possono
essere classificati come (i) descrizioni narrative, (ii) checklist, (iii)
scale di valutazione e (iv) commenti valutativi (Castoldi, 2009, 2016).
Esempi di tali strumenti possono essere: protocolli di osservazione,
questionari o interviste che consentono di rilevare la percezione dei
diversi soggetti, note e commenti.
Infine, per quanto riguarda la dimensione oggettiva, essa si riferisce alla «raccolta di un insieme di evidenze osservabili che attestino
la padronanza del soggetto in rapporto alla competenza attesa» (Castoldi, 2009, p. 103). A questo gruppo di strumenti appartengono i
compiti autentici, le prove di realtà, le prove di verifica, la selezione
di alcuni lavori.
I tre poli appena discussi – soggettivo, intersoggettivo e oggettivo –
acquistano significato unitario, grazie alla concettualizzazione della
competenza che si desidera valutare. Nell’impianto proposto da
Castoldi (2009, 2016), l’idea di competenza prende la forma di una
rubrica valutativa che determina i confini di cosa tenere in considerazione ai fini valutativi.
Partendo dalla cornice concettuale alla base di questo capitolo,
nella seconda parte del volume si presenta nel dettaglio l’elaborazione degli strumenti del Protocollo Intercultura, la ricerca empirica in
cui li si sono sperimentati e i principali risultati emersi.
Parte Seconda
Guida operativa contestualizzata
per valutare la competenza
interculturale
Capitolo Terzo
L’elaborazione del
Protocollo di valutazione Intercultura
Nella seconda parte del volume si desidera presentare lo studio empirico Protocollo di valutazione Intercultura svoltosi presso il Dipartimento di Lingue e Letterature, Comunicazione, Formazione e Società
(DILL) dell’Università degli Studi di Udine (Responsabile scientifico:
A.R. Paolone; Assegnista di ricerca: M. Baiutti) con il sostegno della
Fondazione Intercultura. Nello specifico, in questo capitolo si presenta
come è stato elaborato il modello Protocollo Intercultura e gli strumenti che lo compongono. Nel capitolo quarto si riporta la metodologia
adottata per la sperimentazione del modello elaborato e nel capitolo
quinto si discutono alcuni dei risultati emersi in seguito all’utilizzo dei
vari strumenti. Infine, negli allegati è possibile visionare gli strumenti
così come si sono venuti a delineare al termine dell’analisi dei dati.
1. Il modello Protocollo di valutazione Intercultura
Nella progettazione del Protocollo Intercultura si è cercato di tenere
assieme l’articolato contesto della ricerca – la scuola secondaria di II
grado e la mobilità studentesca internazionale individuale annuale –
con la complessa cornice teoretica presentata nei primi due capitoli
di questo volume.
Per quanto concerne il contesto della ricerca, esso era stato precedentemente indagato dall’Assegnista: (i) esplicitamente, durante
la sua ricerca dottorale (2012-2015, discussa ad aprile 2016; Baiutti,
2017, 2018a); (ii) implicitamente, in quanto l’Assegnista era stato
invitato fra il 2016 e il 2018 a tenere nelle scuole della Penisola una
trentina di seminari di formazione per docenti sulla tematica della
competenza interculturale e della mobilità studentesca individuale
organizzati dalla Fondazione Intercultura in collaborazione con l’associazione Intercultura. Questi seminari hanno permesso all’Assegnista di dialogare, e quindi raccogliere informazioni, con docenti,
78
Protocollo di valutazione Intercultura
Dirigenti scolastici, rappresentanti degli Uffici Scolastici Regionali e
Provinciali, rispetto alla valutazione dello studente che rientra da un
programma annuale all’estero.
Preso atto di tale panorama, in fase di progettazione del Protocollo
Intercultura, uno dei principi guida è stato quello di sostenibilità inteso
in modo duplice: il Protocollo Intercultura doveva richiedere un carico
di lavoro, soprattutto da un punto di vista temporale, che fosse sostenibile tanto dagli insegnanti quanto dagli studenti. Questo principio è
stato affiancato da quello di semplicità e chiarezza: gli strumenti elaborati dovevano essere agevoli nella loro comprensione e compilazione.
Questi principi di matrice pragmatica sono stati intrecciati con la
natura complessa, contestualizzata e processuale della competenza
interculturale. Tale natura, come si è già visto, richiede che la sua
valutazione segua un approccio multimetodo, multiprospettico e
longitudinale.
Sulla base dei principi guida e delle implicazioni teoretiche connesse alla competenza interculturale e alla sua valutazione si è progettato il modello Protocollo Intercultura (si veda Figura 7).
Figura 7. Protocollo di valutazione Intercultura
Gli strumenti che lo compongono sono:
– Due diari di bordo (mentre lo studente è all’estero).
– Una presentazione guidata (al rientro).
L’elaborazione del Protocollo di valutazione Intercultura
79
– Una griglia di osservazione della presentazione guidata (al rientro).
– Alcune prove di realtà (al rientro).
– Alcune schede per la raccolta di osservazioni proprie e di terzi (al
rientro).
– Altro materiale come, ad esempio, eventuali blog che lo studente
scrive durante la sua esperienza all’estero; documenti che lo studente riporta dall’estero come certificazioni linguistiche, documenti prodotti dalla scuola ospitante.
Mediante tutti questi strumenti, il Consiglio di classe rileva una serie di dati sullo studente da diverse prospettive – soggettiva, oggettiva
e intersoggettiva – che gli permettono di valutare il livello di competenza interculturale dello studente mediante la rubrica valutativa.
Da un punto di vista di tempistiche (si veda Figura 8), prima dell’esperienza è auspicabile che tutti gli attori coinvolti (Dirigente scolastico, docente tutor e/o coordinatore, studente e famiglia) sottoscrivano
un patto di corresponsabilità in cui, fra le varie, si specifichino le azioni e le tempistiche legate al Protocollo Intercultura; mentre lo studente
è all’estero, il Consiglio di classe invia il primo diario di bordo dopo i
primi mesi e il secondo diario di bordo qualche settimana prima della
conclusione dell’esperienza; al rientro nella scuola d’appartenenza è
da prevedere (i) un incontro dedicato alla presentazione guidata di
fronte all’intero Consiglio di classe in cui gli studenti espongono la
loro esperienza mentre i docenti ascoltano sostenuti dalla griglia di
osservazione, (ii) un incontro per le prove di realtà, (iii) nei primi mesi,
i docenti devono raccogliere delle osservazioni proprie e di terzi in cui
sia rilevabile lo sviluppo della competenza interculturale dello studente. Infine, sulla base di tutti questi dati, il Consiglio di classe valuta la
competenza interculturale mediante la rubrica valutativa.
Figura 8. Le tempistiche del Protocollo di valutazione Intercultura
80
Protocollo di valutazione Intercultura
2. Diari di bordo
Nel modello Protocollo Intercultura, il diario di bordo è stato inteso come uno degli strumenti per raccogliere dati mentre lo studente
è all’estero monitorando lo sviluppo o meno della competenza interculturale. Esso, quindi, non è un diario personale e, a differenza di
strumenti come questionari o test psicometrici, che hanno l’obiettivo
di misurare la competenza interculturale, è uno strumento di matrice
qualitativa che mira ad apprezzare e valorizzare lo sviluppo di tale
competenza.
Le domande stimolo del diario di bordo sono state elaborate
tenendo presente non solo la cornice teoretica di riferimento del presente studio, ma anche un diario di bordo1 elaborato da un gruppo
di progetto promosso dalla Fondazione Intercultura e dall’associazione Intercultura e l’Autobiografia degli incontri interculturali sviluppata dal Consiglio d’Europa (Byram et al., 2009).
Il diario di bordo (Allegato 1) è strutturato in tre livelli d’analisi:
– Il primo livello concerne l’aspetto personale, ovverosia la percezione che lo studente ha di sé e dei suoi eventuali cambiamenti.
– Il secondo livello considera l’aspetto interpersonale: le domande
stimolo consentono di apprezzare le esperienze relazionali che lo
studente sta vivendo nel contesto ospitante e, quindi, inferire le
sue capacità sociali e relazionali.
– Il terzo livello si focalizza sulla conoscenza del contesto ospitante
(ad es., sistema scolastico, storia, lingua, religione). Questo livello
consente al Consiglio di classe di cogliere se lo studente stia acquisendo conoscenze specifiche del contesto estero, importanti per
un’appropriata comunicazione interculturale.
Inoltre, al termine del diario di bordo, è stato predisposto uno
spazio libero in cui lo studente ha l’opportunità di narrare aspetti
dell’esperienza che ritiene siano rilevanti per il Consiglio di classe.
Il diario di bordo del Protocollo Intercultura è pensato per essere
inviato per posta elettronica in formato ‘.doc’ e compilato dallo studente due volte mentre è all’estero e condiviso dall’intero Consiglio
di classe italiano. Sono state predisposte due versioni: la prima per
1
Il diario di bordo elaborato dal gruppo di progetto è stato pubblicato nella versione
di approfondimento on line della Guida operativa per il Dirigente Scolastico: Educazione interculturale e mobilità studentesca elaborata dall’associazione Intercultura e da ANP (https://
www.intercultura.it/mobilita-individuale/guida-operativa-per-dirigenti-scolastici/).
L’elaborazione del Protocollo di valutazione Intercultura
81
essere compilata dopo i primi mesi dell’esperienza all’estero, indicativamente entro dicembre; la seconda per essere compilata verso la
fine dell’esperienza.
Il codice principale proposto per la compilazione del diario di
bordo è la scrittura. Tuttavia, in seguito alla ricerca empirica, nel
secondo diario di bordo è stata inserita una domanda stimolo che
consente allo studente di utilizzare anche altri codici espressivi.
3. Linee guida per la presentazione (studente) e griglie
di osservazione della presentazione guidata (insegnante)
Nella ricerca empirica di Baiutti (2017) è emerso che alcune volte
allo studente che partecipa a un programma di mobilità studentesca
è richiesto di svolgere una presentazione della propria esperienza
al Consiglio di classe. La ricerca sottolinea, altresì, che gli studenti
non ricevono delle indicazioni di quali argomenti affrontare durante
la presentazione e questo fa presuppore che il Consiglio di classe
intenda tale presentazione più in chiave informativa che valutativa
(Baiutti, 2017).
Preso atto di ciò, all’interno del Protocollo Intercultura si è stabilito di mantenere la pratica della presentazione, ma, per diminuire
il rischio che lo studente riporti avvenimenti non utili ai fini valutativi, si sono predisposte delle linee guida (Allegato 2). Quest’ultime
richiedono allo studente di approfondire i seguenti punti dell’esperienza: (i) il contesto ospitante, (ii) la dimensione linguistica e comunicativa, (iii) la scuola ospitante, (iv) la dimensione relazionale, (v) la
dimensione del sé. Queste linee guida sono state elaborate tenendo
presente la cornice teoretica di riferimento della ricerca e visionando
i suggerimenti per una relazione strutturata, elaborata dall’associazione Intercultura (2013).
Per apprezzare e valorizzare l’eventuale acquisizione linguistica,
nelle linee guida è richiesto allo studente di affrontare una parte
della presentazione – quella connessa a lingua e comunicazione –
nella lingua del Paese ospitante (o in una di esse) predisponendo
una traduzione.
La presentazione guidata è stata pensata per essere svolta nel
periodo di reinserimento dello studente nella scuola d’origine alla
presenza dell’intero Consiglio di classe.
La natura valutativa della presentazione guidata è anche sottolineata da una griglia di osservazione predisposta per gli insegnanti
82
Protocollo di valutazione Intercultura
(Allegato 3) che ha il fine di sostenere i docenti nel focalizzare la
propria attenzione sugli aspetti salienti della competenza interculturale che possono emergere durante la presentazione dell’alunno.
La griglia proposta durante la ricerca empirica, richiedeva al singolo
docente del Consiglio di classe di individuare e annotare le eventuali
evidenze riguardanti lo sviluppo delle attitudini, delle conoscenze e
delle abilità connesse alla competenza interculturale dello studente.
Per ognuna di esse erano stati proposti alcuni esempi. Tale griglia
era l’evoluzione di una scheda interpretativa elaborata dalla Fondazione Intercultura e dall’associazione Intercultura in occasione di un
webinar intitolato Competenze disciplinari e interculturali sviluppate
durante un soggiorno di studio all’estero svoltosi il 27 maggio 20152.
Inoltre, questa scheda è stata utilizzata in occasione di numerosi
seminari di formazione per docenti e Dirigenti scolastici in tutta
Italia organizzati dalla Fondazione Intercultura con la collaborazione
dell’associazione Intercultura.
Poiché dall’analisi dei dati (si veda § 2 del capitolo quinto) è
emerso che sarebbe stato opportuno progettare anche una versione
più agevole di tale griglia, è stata predisposta una variante (Allegato
3) che richiede al singolo docente di valutare, su una scala Likert da
1 (pochissimo) a 5 (moltissimo), il livello dei principali elementi della competenza interculturale. Sebbene questa variante della griglia
osservativa non sia stata oggetto della ricerca empirica, la si ritiene
comunque valida e attendibile in quanto è stata ispirata (i) da uno
strumento molto diffuso elaborato da Berardo e Deardorff (2012,
p. 50) e (ii) da uno degli strumenti elaborati per la ricerca DICTAM
(Developing Intercultural Competence Through Adolescents’ Mobility), a cura della Fondazione Intercultura (M. Baiutti, D. K. Deardorff
e R. Ruffino), la quale, nel momento in cui si scrive questo volume, è
in corso.
Pertanto, sono due le varianti della griglia di osservazione della
presentazione guidata: gli insegnanti potranno scegliere, in base anche alle proprie attitudini, se compilare la griglia che presuppone di
annotare delle evidenze o quella che richiede di spuntare il livello di
sviluppo di alcuni elementi della competenza interculturale.
Una volta compilata la griglia, è auspicabile che i membri del
Consiglio di classe confrontino le osservazioni emerse.
2
http://www.scuoleinternazionali.org/Formazione/
L’elaborazione del Protocollo di valutazione Intercultura
83
4. Prove di realtà
Nell’ambito del Protocollo Intercultura, le prove di realtà sono
state immaginate come delle prove con un’impostazione stimolorisposta in cui, a partire da degli scenari, vengono poste delle domande o delle richieste le cui risposte, o i criteri di validità di esse,
sono già note (Tessaro, 2014). Tali prove devono essere strutturate
in modo tale che abbiano una certa aderenza con la realtà: vengono
cioè predisposti «item con situazioni e contesti conosciuti e familiari
agli studenti» (Tessaro, 2014, p. 80). È importante sottolineare che
«le prove, da sole, non permettono di valutare la competenza, ma
possono supportarla» (Tessaro, 2014, p. 79).
Le prove di realtà elaborate per la sperimentazione del Protocollo
Intercultura (Allegato 4) erano tre e si sviluppavano a partire da uno
scenario reale o verosimile (ad es., articolo di giornale, situazione
concreta) ed erano composte da risposte chiuse (ad es., scelta multipla) e risposte costruite (ad es., spiegare una soluzione) (Tessaro,
2014). Una volta elaborate le tre prove si è effettuato uno studio
pilota con tre studenti che avevano fatto un’esperienza di mobilità
studentesca per verificarne l’appropriatezza.
Le prove sono state pensate per essere somministrate allo studente
in forma individuale nei primi mesi dal rientro nella scuola d’origine.
Il tempo massimo per la compilazione era di quarantacinque minuti.
5. Scheda per la raccolta di osservazioni proprie e di terzi
La scheda per la raccolta di osservazioni proprie e di terzi progettate per il Protocollo Intercultura (Allegato 5) ha la finalità di
documentare e mantenere traccia di episodi, frasi, comportamenti
particolarmente significativi in cui lo studente dimostra di aver sviluppato la competenza interculturale. Tali osservazioni possono essere ritenute sistematiche, nell’accezione di senso proposta da Pellerey
(2004), in quanto sono guidate, strutturate e mosse da una precisa
intenzionalità di raccolta dati a fini valutativi. La compilazione di tali
schede spetta ai singoli docenti del Consiglio di classe i quali possono
annotare l’osservazione diretta in un contesto formale o informale di
una situazione interculturale (ad es., l’inserimento nella scuola di uno
studente che non è di madrelingua italiano; la modalità di partecipazione a un dibattito fra persone aventi background culturali diversi) in
cui è coinvolto lo studente rientrato. Tali eventi interculturali posso-
84
Protocollo di valutazione Intercultura
no anche essere stimolati ad hoc, ad esempio, proponendo un articolo
di giornale su questioni interculturali e creando dibattiti in classe.
Nella scheda possono essere annotati anche episodi o impressioni
che vengono narrati ai docenti del Consiglio di classe da persone
che interagiscono spesso con lo studente. Queste ultime possono
essere, ad esempio, genitori, compagni di classe, assistenti di laboratorio, collaboratori scolastici, volontari di Intercultura. Nel caso
delle osservazioni di terzi, spetta al docente stabilire chi coinvolgere
e l’attendibilità di ciò che viene riportato. C’è quindi un margine di
discrezionalità del docente ed è per questo importante che tale strumento sia sempre visto nell’ottica trifocale che sottende il modello
Protocollo Intercultura.
Le schede sono pensate per essere compilate nei primi mesi di
reinserimento dello studente a scuola. Tuttavia, come proposto da
una partecipante alla ricerca empirica, tali schede potrebbero essere
compilate anche mentre lo studente è all’estero qualora ci fossero
delle attività, come una videochiamata fra la classe ospitante e la classe d’origine, che consentano di raccogliere dati interpretabili come
sviluppo della competenza interculturale.
Prima della compilazione della rubrica valutativa è auspicabile che
il Consiglio di classe si confronti sulle diverse osservazioni raccolte.
6. Altro materiale
Gli strumenti progettati all’interno del Protocollo Intercultura
possono essere affiancati da tutti quegli altri materiali che consentono al Consiglio di classe di rilevare dati utili alla valutazione dello
sviluppo (o meno) della competenza interculturale dello studente
che ha partecipato a un programma annuale di mobilità studentesca
individuale come ad esempio un blog che lo studente scrive mentre
è all’estero, le mail informali che lo studente scambia con i docenti, i
documenti prodotti dalla scuola ospitante, la certificazione linguistica. A seconda della tipologia dei materiali essi possono appartenere
alla dimensione soggettiva, oggettiva o intersoggettiva.
7. Rubrica valutativa
La rubrica valutativa del Protocollo Intercultura (Allegato 6) è
stata progettata come «un prospetto sintetico di descrizione di una
L’elaborazione del Protocollo di valutazione Intercultura
85
competenza utile a identificare ed esplicitare le aspettative relative
a un certo allievo» (Castoldi, 2009, p. 75; 2016; si veda anche Deardorff, 2015; McTighe & Ferrara, 1996). Essa è stata pensata come
una rubrica analitica ovverosia una rubrica in cui l’oggetto di valutazione – la competenza interculturale sviluppata dallo studente che
partecipa a un programma annuale di studio all’estero – è stato particolareggiato nei suoi elementi caratterizzanti (Castoldi, 2009, 2016;
Deardorff, 2015). La rubrica così configurata prevede i seguenti
elementi:
– Dimensioni: con questo termine si sono intesi i principali componenti della competenza interculturale, cioè le attitudini, le conoscenze e le abilità.
– Criteri: per ogni dimensione si sono selezionati dei criteri (due per
le attitudini, tre per le conoscenze e tre per le abilità); per ognuno
di essi è stata fornita una definizione contestualizzata alla mobilità
studentesca individuale di lunga durata nella scuola secondaria di
II grado.
– Livelli: per ogni criterio si sono individuati tre livelli, ovverosia
livello base, livello intermedio e livello avanzato.
– Descrittori: per ogni livello si è elaborato almeno un descrittore
intendendo con ciò una frase, tendenzialmente in forma attiva,
che descrive che cosa lo studente è in grado di fare se padroneggia
quel livello per quel determinato criterio. I principi adottati per la
formulazione di tali descrittori sono stati:
• Verificabilità: i descrittori descrivono qualcosa che sia osservabile o inferibile.
• Positività: i descrittori si focalizzano su ciò che lo studente sa
fare e non su ciò che non sa fare.
• Chiarezza: i descrittori sono scritti in modo chiaro, cioè non
danno adito ad interpretazioni ambigue.
• Brevità: i descrittori sono relativamente brevi.3
– Ancore: per ogni livello sono state individuate delle ancore, ovverosia degli esempi concreti che esplicitano alcune delle possibili
azioni messe in campo dallo studente per poter affermare che esso
padroneggia quel livello di competenza.
3
Sebbene al momento della definizione dei criteri per la progettazione dei descrittori
non fosse ancora stato pubblicato Descriptors of competences for democratic culture (Barrett
et al., 2018b), alcuni di essi sono stati ispirati a quelli adottati nel lavoro del Consiglio
d’Europa in quanto l’Assegnista aveva avuto occasione di visionarli prima della loro pubblicazione.
86
Protocollo di valutazione Intercultura
Nella rubrica, inoltre, è stata predisposta una parte in cui il Consiglio di classe può aggiungere eventuali commenti.
Per l’individuazione e la progettazione della rubrica valutativa ci
si è basati principalmente sulla cornice teoretica di riferimento del
presente studio e, in modo particolare, sul concetto di competenza
interculturale elaborato da Deardorff (2006) e sugli indicatori di tale
competenze specifici per il contesto della mobilità studentesca (Baiutti, 2017, 2018a). Di particolare supporto, inoltre, sono stati i suggerimenti di Blair (2017) nel progettare una rubrica valutativa della
competenza interculturale.
Contestualmente ai riferimenti teoretici, si sono visionate delle rubriche valutative che avevano collegamenti espliciti o impliciti con la
competenza interculturale, fra cui:
– Association of American Colleges & Universities’ VALUE Rubric
(Rhodes, 2009).
– Quadro comune europeo di riferimento per le lingue (Consiglio
d’Europa, 2002).
– Rubrica valutativa elaborata nell’ambito del progetto PRIN 2008
Competenze interculturali: modelli teorici e metodologie di formazione (Lo Bue, 2013, pp. 144-148).
– Rubrica valutativa del progetto Intercultural Competence Assessment (INCA, 2004).
– Certificazione delle competenze di base acquisite nell’assolvimento dell’obbligo di istruzione (MIUR, 2010).
– Rubrica valutativa elaborata all’interno del progetto (non pubblicato) AFS Educational Impact Assessment Pilot ICL e-Portfolio
Assessment Documentation.
– Aree di competenza interculturale e indicatori (non pubblicati)
elaborati da un gruppo di progetto promosso nel 2015 dalla Fondazione Intercultura e dall’associazione Intercultura.
– La cornice concettuale della valutazione della Global Competence
dell’OCSE PISA (2018)4.
Le rubriche sopra elencate non sono collegate direttamente
all’ambito della mobilità studentesca nella scuola secondaria di II
grado, e qualora lo facciano, non si basano su una ricerca empirica.
Pertanto, lo sforzo del presente studio è stato quello di elaborare
4
Al momento della progettazione della rubrica valutativa, l’Assegnista ne era già a
conoscenza in quanto era stato consulente per il progetto della valutazione della global
competence dell’OCSE PISA.
L’elaborazione del Protocollo di valutazione Intercultura
87
una rubrica valutativa che fosse adeguata agli studenti della scuola
secondaria di II grado rientranti da un programma annuale di studio
all’estero e, allo stesso tempo, fosse il risultato di una sperimentazione sul campo.
Per quanto concerne gli esempi, essi sono contestuali poiché ricavati da interviste svolte con studenti durante la precedente ricerca
dell’Assegnista (Baiutti, 2017, 2018a) e durante i seminari di formazione per docenti e Dirigenti scolastici organizzati dalla Fondazione
Intercultura con la collaborazione dell’associazione Intercultura.
L’elaborazione della rubrica valutativa ha attraversato diverse fasi
(si veda Figura 9):
Figura 9. Fasi progettazione della rubrica valutativa (RV)
– Sulla base della revisione della letteratura e della conoscenza del
contesto di riferimento, si è data forma alla prima versione della
rubrica. Tale versione è stata prima elaborata in italiano, successivamente tradotta in inglese e rivista da una proofreader professionista, infine, è stata effettuata la back-translation5.
5
È stato chiesto a una dottoranda italiana, che al momento della back-translation stava
88
Protocollo di valutazione Intercultura
– La rubrica e un questionario connesso ad essa (si veda § 2.3 del
capito quarto) sono stati inviati a un gruppo internazionale di 29
esperti (si veda § 1 del capitolo quarto).
– Sulla base dei commenti ricevuti dagli esperti, si è modificata la
rubrica che è stata rivista in lingua italiana, è stata tradotta in inglese e controllata dalla proofreader professionista e, infine, è stata
effettuata la back-translation6.
– La rubrica e un questionario (si veda § 2.3 del capitolo quarto) sono stati in questa fase inoltrati a un gruppo ristretto (10 persone)
degli esperti internazionali coinvolti in precedenza, per un secondo consulto.
– Sulla base dei nuovi commenti ricevuti dagli esperti si è ulteriormente modificata la rubrica valutativa (terza versione).
– La terza versione della rubrica (in italiano) è stata quindi utilizzata
dai 113 docenti partecipanti allo studio empirico. Dopo averla utilizzata, è stato chiesto agli insegnanti di compilare un questionario
connesso alla rubrica (si veda § 2.3 del capitolo quarto).
– Sulla base dei commenti dei docenti, la rubrica è stata rivista.
La rubrica valutativa è stata concepita per essere compilata collegialmente7, dopo qualche mese dal rientro nella scuola d’origine, dal
Consiglio di classe sulla base dell’ampia e multiprospettica gamma di
dati raccolti mediante gli strumenti progettati all’interno del Protocollo Intercultura.
svolgendo il proprio dottorato in un’università del Regno Unito su tematiche di educazione
interculturale, di prendere visione della rubrica valutativa in inglese e di ritradurla in italiano. Si sono, quindi, confrontate la versione originale della rubrica e la versione tradotta
dalla dottoranda per accertarsi dell’accuratezza della traduzione.
6
In questo caso si è chiesto di effettuare la back-translation a un dottore di ricerca
italiana che aveva terminato da poco il proprio dottorato nel Regno Unito concernente
questioni di educazione interculturale.
7
Sull’importanza del valore collegiale del processo valutativo, Castoldi (2016) afferma: «una valutazione affidata a una pluralità di soggetti è una condizione per ridurre
l’inevitabile soggettività presente nel giudizio valutativo; anziché inseguire il mito di una
valutazione oggettiva risulta utile e urgente lavorare su questa dimensione di collegialità
verso una condivisione del linguaggio e dei criteri di giudizio tra docenti» (p. 61).
Capitolo Quarto
Metodologia della ricerca
La domanda di ricerca che ha sotteso lo studio Protocollo di valutazione Intercultura era: quali possono essere gli strumenti – all’interno del contesto della scuola secondaria di II grado – per valutare e
valorizzare la competenza interculturale degli studenti che hanno partecipato a un programma annuale di mobilità studentesca individuale
internazionale?
Per rispondere a tale quesito, oltre a uno studio teoretico, si è condotta una ricerca empirica. Questa scelta trova la sua genesi nella convinzione che un modello operativo, come quello proposto in questo
volume, oltre a fondarsi su solide basi teoretiche, debba anche essere
ancorato al contesto, ovverosia debba tenere presente la realtà per cui
è stato progettato. Per conseguire questo secondo risultato è necessario andare sul campo e collaborare con gli attori che vi gravitano
attorno. Preso atto di ciò, si è ritenuto che l’approccio metodologicamente più appropriato fosse rappresentato dalla ricerca-azione, intesa
in questa sede come un «intervention in the functioning of the ‘real’
world and a systematic, close examination, monitoring and review of
the effects of such an intervention, combining action and reflection to
improve practice» (Cohen, Manion, & Morrison, 2018, p. 441).
1. Partecipanti
I partecipanti all’intera ricerca erano insegnanti della scuola secondaria di II grado i quali avevano almeno uno studente all’estero
nell’anno scolastico 2016/17 con l’associazione Intercultura. Tali
insegnanti erano: (i) docenti facenti parte di un Consiglio di classe
avente almeno uno studente all’estero, oppure (ii) docenti tutor di
uno studente all’estero, oppure (iii) responsabili della mobilità studentesca d’istituto1 in cui vi fosse almeno uno studente all’estero.
1
La terminologia utilizzata nel lessico scolastico per questa figura è varia.
90
Protocollo di valutazione Intercultura
Il reclutamento è stato effettuato mediante diversi canali. Il principale è stato inviare a metà settembre 2016 una mail di presentazione
del progetto di ricerca agli insegnanti tutor segnalati all’associazione
Intercultura dagli studenti all’estero con un loro programma annuale
nell’a.s. 2016/172. Altri canali sono stati: (i) la presentazione del progetto di ricerca in seminari di formazione per insegnanti; (ii) il sito
web della Fondazione Intercultura; (iii) il sito web di TuttoScuola; (iv)
contatti personali dell’Assegnista. Le iscrizioni (mediante modulo Google Drive) si sono chiuse nei primi giorni del mese di ottobre 2016.
Inizialmente gli iscritti alla ricerca erano 158. Al termine della
raccolta dati (dicembre 2017) gli iscritti che avevano partecipato
all’intero studio erano 113. Il campione finale, con prevalenza di docenti donne (103 donne e 10 uomini), risulta essere eterogeneo sotto
diversi punti di vista: (i) disciplina insegnata (si veda Tabella 6), (ii)
anni di insegnamento (si veda Tabella 7), (iii) ubicazione regionale
della scuola (si veda Tabella 8).
Tabella 6. Discipline di insegnamento (insegnanti)
Discipline insegnate
Frequenze
Frequenze
assolute (n=113) percentuali
Architettura, Storia dell’arte
04
03,54%
03
02,65%
Economia aziendale
Educazione fisica
01
00,88%
Italiano, Latino, Storia, Filosofia, Scienze umane
30
26,55%
Lingue straniere (Inglese, Francese, Spagnolo)
66
58,41%
Matematica, Fisica, Scienze, Informatica
06
05,31%
03
02,65%
Religione cattolica
Tabella 7. Anni di insegnamento (insegnanti)
Anni di insegnamento Frequenze assolute (n=113) Frequenze percentuali
Da 2 a 5 anni
01
00,88%
Da 6 a 10 anni
Da 11 a 15 anni
Da 16 a 20 anni
Da 21 a 25 anni
Da 26 a 30 anni
Oltre 30 anni
2
05
11
23
26
19
28
Al momento dell’invio della mail erano stati segnalati 597 tutor.
04,42%
09,73%
20,35%
23,01%
16,81%
24,78%
Metodologia della ricerca
91
Tabella 8. Ubicazione regionale della scuola (insegnanti)
Regioni delle scuole
Basilicata
Campania
Emilia Romagna
Friuli Venezia Giulia
Lazio
Liguria
Lombardia
Marche
Piemonte
Puglia
Sardegna
Sicilia
Toscana
Umbria
Valle d’Aosta
Veneto
Frequenze assolute (n=113) Frequenze percentuali
08
07,08%
11
09,73%
08
07,08%
01
00,88%
22
19,47%
01
00,88%
10
08,85%
01
00,88%
07
06,19%
14
12,39%
10
08,85%
07
06,19%
04
03,54%
01
00,88%
01
00,88%
07
06,19%
Oltre agli insegnanti, preso atto della complessità connessa alla
progettazione di uno degli strumenti del Protocollo Intercultura,
ovverosia la rubrica valutativa, si è deciso di formare un gruppo
internazionale di esperti da consultare specificatamente per esso.
Pertanto, fra la fine di maggio e l’inizio di giugno 2017, sono state
invitate via posta elettronica 48 persone3 da tutti i continenti a far
parte del gruppo internazionale di esperti e 29 di esse (18 donne
e 11 uomini) hanno dato la loro disponibilità (si veda Tabella 9).
Tutti gli esperti si sono occupati di uno o più argomenti connessi
allo studio Protocollo di valutazione Intercultura svolgendo ricerche
e pubblicazioni.
3
La scelta degli esperti ha seguito essenzialmente tre modalità: (i) analisi della letteratura; (ii) segnalazione da parte di altri esperti; (iii) conoscenza personale dell’Assegnista.
92
Protocollo di valutazione Intercultura
Tabella 9. Gruppo internazionale degli esperti
Cognome e nome
Almeida Joana
Barrett Martyn
Baxter Frances
Beaven Ana
Boix Mansilla Veronica
Borghetti Claudia
Byram Michael
Cabezudo Alicia
Castoldi Mario
Coelen Robert
Damini Marialuisa
Deardorff Darla
Fantini Alvino E.
Fornasari Alberto
Furuta-Fudeuchi Misa
Ganassin Sara
Granata Anna
Heleta Savo
Henk Oonk
Holmes Prue
Hunter Fiona
Milani Marta
Onorati
Maria Giovanna
Piacentini Mario
Portera Agostino
Romiti Sara
Roverselli Carla
Weibl Gabriel
Živanović Dunja
Affiliazione
Newcastle University
University of Surrey
AFS Intercultural Programs
Università di Bologna
Harvard Graduate School
of Education
Università di Bologna
Durham University
International Peace Bureau
Università di Torino
Stenden University of Applied
Sciences
Università di Padova
Duke University
SIT Graduate Institute
Università di Bari
Durham University
Durham University
Università di Torino
Nelson Mandela Metropolitan
University
Leibniz Universität Hannover
Durham University
Università Cattolica di Milano
Università di Verona
Università di Scienze
Gastronomiche di Pollenzo
OCSE - OECD
Università di Verona
INVALSI
Università di Roma “Tor Vergata”
Comenius University
Belgrade University AFS Intercultural Programs
Paese affiliazione
Regno Unito
Regno Unito
Australia
Italia
Stati Uniti
Argentina
Italia
Regno Unito
Svizzera
Italia
Paesi Bassi
Italia
Stati Uniti
Stati Uniti
Italia
Regno Unito
Regno Unito
Italia
Sudafrica
Germania
Paesi Bassi
Regno Unito
Italia
Italia
Italia
Francia
Italia
Italia
Italia
Slovacchia
Serbia
Metodologia della ricerca
93
1.1. Formazione insegnanti
Tutti gli insegnanti hanno ricevuto una formazione iniziale tenuta
dall’Assegnista. La formazione in presenza, di sette ore, si è svolta fra
novembre e dicembre 2016 in 11 regioni italiane4 e si è focalizzata
sulle seguenti tematiche:
– L’internazionalizzazione dell’educazione e la mobilità studentesca
internazionale in Italia.
– Il concetto di ‘competenza’ e di ‘interculturalità’.
– La competenza interculturale: modelli e definizioni.
– La normativa italiana concernente la mobilità internazionale individuale.
– La valutazione della competenza interculturale: miti, suggerimenti
e modelli.
Alla formazione in presenza hanno partecipato 105 docenti. Per
gli insegnanti cui non è stato possibile essere presenti (8 docenti)5 è
stato predisposto un webinar sostitutivo di 2 ore (con la possibilità di
rivedere la registrazione), svoltosi il 15 gennaio 2017.
Il 29 agosto 2017, inoltre, si è svolto un webinar (2 ore, con la
possibilità di rivedere la registrazione) per tutti i docenti, in cui sono
stati brevemente ripresi gli argomenti trattati durante la formazione
in presenza e si è illustrato l’intero modello Protocollo Intercultura
spiegando nel dettaglio gli strumenti che non erano ancora stati utilizzati e le tempistiche.
2. Raccolta dati
I metodi per la raccolta dei dati sono parzialmente variati a seconda degli strumenti presi in considerazione (per una sintesi si veda
Tabella 10). Questa scelta è stata principalmente determinata dalle
risorse messe in campo (un unico Assegnista di ricerca) in rapporto
al vasto contesto (tutta Italia) in cui si è svolta la ricerca.
4
Le regioni in cui si sono svolte le attività in presenza – fra cui la formazione iniziale
– sono quelle che avevano raggiunto un minimo di cinque iscritti (Basilicata, Campania,
Emilia Romagna, Lazio, Lombardia, Piemonte, Puglia, Sardegna, Sicilia, Toscana, Veneto). Nelle regioni in cui non si era raggiunto il numero minimo si è chiesto agli iscritti di
partecipare alle attività in presenza nelle regioni limitrofe. Unico caso che non ha rispettato
tale regola è la Toscana, in quanto inizialmente vi erano 5 iscritti ma hanno effettivamente
partecipato in 4 docenti.
5
Tre iscritti (conteggiati nel presente volume fra i partecipanti alle attività in presenza) non hanno potuto essere presenti per l’intera durata della formazione in presenza. Per
tale motivo, sono stati invitati a partecipare anche al webinar.
94
Protocollo di valutazione Intercultura
Tabella 10. Metodi per la raccolta dei dati
Strumenti del
Metodi per la raccolta dati
Protocollo Intercultura
Diario di bordo (primo)
Scheda per la raccolta di
osservazioni proprie e di terzi
Rubrica valutativa
– Focus group 2 (100 docenti)
– Attività sostitutiva: SWOT (12 docenti)
– Focus group 2 (100 docenti)
– Attività sostitutiva: SWOT (13 docenti)
– Questionario 1 (29 esperti)
– Questionario 2 (10 esperti)
– Questionario 3 (113 docenti)
– Focus group 2 (100 docenti)
Diario Assegnista di ricerca
Diario di bordo (secondo)
Linee guida per la
presentazione guidata
(studente) e griglia
di osservazione della
presentazione guidata
(insegnante)
Prove di realtà
– Focus group 1 (89 docenti)
– Attività sostitutiva: scheda SWOT
(21 docenti)
– Scheda SWOT (113 docenti)
– Osservazioni in 6 scuole
(Assegnista di ricerca)
– Focus group 2 (100 docenti)
– Attività sostitutiva: SWOT (12 docenti)
2.1. Diari di bordo
Per conoscere il parere degli insegnanti rispetto al primo diario di
bordo (dopo averlo somministrato agli studenti all’estero) si è adottato il metodo del focus group qui inteso come «una tecnica di rilevazione dei dati […] che si basa sulle informazioni che emergono da una
discussione di gruppo» (Zammuner, 2003, p. 9): attraverso una serie
di stimoli del moderatore, «i soggetti sono incoraggiati a discutere ciò
che pensano su di un certo ‘oggetto’, a spiegare perché hanno quelle
certe opinioni, come le giustificano, su quali fonti si basano, a dire cosa ritengono che pensino altri individui sullo stesso argomento, e così
via» (Zammuner, 1998, p. 75). Preso atto della natura interattiva, la
tecnica del focus group ha favorito non solo la partecipazione, ma un
vero e proprio scambio di opinioni e di riflessioni fra i partecipanti.
Si sono svolti 126 focus group regionali in presenza fra febbraio e
6
I focus group si sono svolti nelle 11 regioni in cui si è effettuata la formazione in
presenza (si veda nota 4 in questo capitolo). Tuttavia, preso atto del numero elevato di partecipanti, nel Lazio è stato necessario dividere il gruppo e svolgere quindi due focus group.
Metodologia della ricerca
95
aprile 2017 ai quali hanno partecipato 89 docenti. I focus group sono
stati moderati dall’Assegnista7 usando come stimolo delle domande
ispirate al modello dell’analisi SWOT (Strengths, Weaknesses, Opportunities, Threats). L’analisi SWOT è nata come «a key tool for
addressing complex strategic situation by reducing the quantity of
information to improve decision-making» (Helms & Nixon, 2010,
p. 216) e oggi trova applicazioni, con diverse finalità, in svariati contesti (Helms & Nixon, 2010). Uno di essi è la ricerca accademica in
ambito educativo dove, fra le varie possibilità di impiego, vi è quella
di raccogliere dati concernenti le opinioni degli insegnanti. Questo,
ad esempio, è il caso dello studio di Even-Zahav e Hazzan (2018) il
quale mira a comprendere come gli insegnanti STEM delle scuole
secondarie di II grado in Israele percepiscono la propria professione e il loro sistema educativo. Il principale strumento utilizzato per
raccogliere i dati è stato la SWOT interview intesa come un’intervista semistrutturata e in profondità basata sulle quattro dimensioni
dell’analisi SWOT.
Le domande stimolo dei focus group per facilitare la discussione
sono state:
– Quali sono i punti di forza del diario di bordo? (Strengths)
– Quali sono i punti di debolezza del diario di bordo? (Weaknesses)
– Quali modifiche sarebbe opportuno effettuare al diario di bordo?
Quali potrebbero essere gli sviluppi? (Opportunities)
– Quali potrebbero essere i rischi o le conseguenze negative dell’uso
del diario di bordo? (Threats)
Oltre a ciò, si è anche chiesto quale fosse stato l’atteggiamento
degli studenti nella compilazione del diario di bordo e quello dei colleghi del Consiglio di classe nel leggerlo.
Ogni focus group è stato audio-registrato (tot. 20 ore e 23 minuti)
e parzialmente trascritto verbatim seguendo la tecnica dell’unfocused
transcription (Gibson & Brown, 2009).
Per chi non aveva potuto partecipare ai focus group regionali (21
persone8), è stata prevista un’attività sostitutiva inviata tramite posta elettronica: coerentemente con i focus group, è stata predisposta
7
In un caso era presente anche il Responsabile scientifico della ricerca in qualità di
osservatore. Il fatto che durante i focus group vi fosse un solo ricercatore è da considerarsi
come un limite della ricerca; tuttavia, tale limite non poteva essere superato preso atto delle
risorse assegnate allo studio.
8
3 partecipanti non hanno partecipato al focus group regionale e non hanno completato l’attività sostitutiva.
96
Protocollo di valutazione Intercultura
una scheda in formato digitale dell’analisi SWOT più due domande
aperte («Secondo Lei, come ha accolto lo studente/la studentessa
il diario di bordo?»; «Secondo Lei, come ha accolto il Consiglio di
classe il diario di bordo?»). Tale scheda è stata compilata individualmente.
Per raccogliere il punto di vista dei docenti rispetto al secondo
diario di bordo non è stato possibile effettuare un secondo ciclo di
focus group per motivi di tempistiche (i focus group si sarebbero dovuti svolgere al termine della scuola, durante gli Esami di stato o durante l’estate non garantendo, quindi, una significativa partecipazione) e di risorse. Preso atto di questo limite, nel mese di giugno 2017,
dopo che era già stato somministrato agli studenti il secondo diario
di bordo, si è optato per l’invio di una scheda tramite posta elettronica a tutti i docenti. Tale scheda in formato digitale dell’analisi SWOT
conteneva anche le domande aperte menzionate nell’attività sostitutiva del primo focus group.
2.2. Linee guida per la presentazione (studente) e griglia di osservazione
della presentazione guidata (insegnante), prove di realtà, scheda
per la raccolta di osservazioni proprie e di terzi
Per raccogliere i dati connessi alle linee guida per la presentazione
e alla griglia di osservazione, si sono svolte alcune osservazioni sul
campo: fra il mese di agosto e quello di ottobre 2017, l’Assegnista si
è recato in 6 scuole, situate in parti diverse d’Italia9, e ha osservato 9
studenti mentre svolgevano la loro presentazione guidata di fronte al
Consiglio di classe o a parte di esso.
Successivamente, fra il mese di novembre e quello di dicembre
2017, per comprendere il parere degli insegnanti rispetto, non solo
(i) all’utilizzo della presentazione guidata e della griglia di osservazione dell’esposizione, ma anche degli altri strumenti, ovverosia (ii)
le prove di realtà e (iii) le schede per la raccolta di osservazioni proprie e di terzi, si è ricorso nuovamente al metodo dei focus group. A
questi ultimi, che sono stati condotti dall’Assegnista nello stesso modo dei precedenti, hanno partecipato 100 docenti. Anche in questo
caso i focus group sono stati interamente audio-registrati (tot. 27 ore
e 45 minuti) e parzialmente trascritti verbatim seguendo la tecnica
dell’unfocused transcription (Gibson & Brown, 2009).
9
Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Puglia e Sicilia.
Metodologia della ricerca
97
Per chi non ha potuto partecipare al focus group regionale (13
persone) è stata predisposta un’attività sostitutiva individuale (la
compilazione di tre schede digitali in formato SWOT, una per ogni
strumento10) inviata tramite posta elettronica.
2.3. Rubrica valutativa
Per la raccolta dei dati connessi alla rubrica valutativa si sono
principalmente utilizzati dei questionari in momenti diversi. Si è scelta tale modalità in quanto per questo strumento, oltre ai docenti, erano stati coinvolti gli esperti; inoltre, perché si desiderava raccogliere
un parere individuale molto dettagliato rispetto a un numero elevato
di item.
Il primo questionario, redatto in lingua inglese, e concernente la
prima versione della rubrica valutativa, era rivolto al gruppo internazionale degli esperti ed è stato somministrato via posta elettronica
alla fine di giugno 2017. Esso era suddiviso in tre parti:
– Prima parte: informazioni personali.
– Seconda parte: valutazione analitica della rubrica valutativa. Nello
specifico si è chiesto agli esperti di esprimere il proprio grado di
accordo, mediante una scala Likert (1 = assolutamente contrario;
2 = contrario; 3 = d’accordo; 4 = assolutamente d’accordo), rispetto ad affermazioni concernenti:
a) Progressione dei livelli.
b) Verificabilità dei descrittori.
c) Corrispondenza dei descrittori ai criteri di riferimento.
d) Appropriatezza degli esempi.
Inoltre, se lo ritenevano opportuno, gli esperti potevano fornire
dei suggerimenti per migliorare la rubrica valutativa. Si veda nella
Figura 10 un estratto del questionario.
– Terza parte: commento generale sulla rubrica valutativa (opzionale).
10
In un caso, il partecipante ha compilato solo una scheda SWOT.
98
Protocollo di valutazione Intercultura
1= disagree strongly
2= disagree
Criterion: knowledge of the host country language
3= agree
4= agree strongly
The descriptors and examples for each level effec1 2 3 4
tively indicate the progression in proficiency from
one level to the next for criterion ‘knowledge of the
host country language’.
If you think that the assessment rubric levels for this criterion should be improved, can you please give your suggestions for further improvement.
Descriptor(s) – Basic Level (Criterion: knowledge of the host country language)
The student is able to maintain a simple conversation with a person who speaks
the host context language.
The descriptor highlighted in grey describes some1 2 3 4
thing that can be observed or inferred.
The descriptor highlighted in grey matches the
1 2 3 4
targeted criterion (knowledge of the host country
language).
If you think that this descriptor should be improved, can you please give your
suggestions for further improvement.
Example(s) – Basic Level (Criterion: knowledge of the host country language)
The student reports episodes in which he/she was able to ask for and understand directions; describes an episode in which he/she was able to ask for information while he/she was doing the shopping at the market.
The examples highlighted in grey are appropriate
1 2 3 4
to the basic level for this criterion (knowledge of
the host country language).
If you think the examples are not appropriate to that level, can you please give
your suggestions for further improvement.
Figura 10. Estratto del primo questionario (esperti)
Dopo la somministrazione del questionario, l’analisi dei dati (si veda
§ 3 in questo capitolo) e la revisione della prima versione della rubrica
valutativa, si è invitata nuovamente una parte (14 soggetti)11 del gruppo
internazionale degli esperti a fornire dei commenti sulla seconda versione della rubrica valutativa e in 10 si sono resi nuovamente disponibili. Nel mese di settembre 2017, quindi, si è inviata loro una mail con
un questionario (redatto in lingua inglese) in cui si chiedeva di fornire
un commento generale sulla seconda versione della rubrica valutativa.
11
Coloro i quali avevano dichiarato nel primo questionario di aver svolto ricerca
nell’ambito della valutazione della competenza e/o, più specificatamente, della competenza
interculturale.
Metodologia della ricerca
99
Dopo aver rivisto la seconda versione della rubrica sulla base dei
suggerimenti ricevuti dagli esperti, si è inviata la terza versione della
rubrica valutativa agli insegnanti. Quest’ultimi, dopo averla utilizzata, hanno compilato all’inizio del mese di novembre 2017 un questionario così strutturato:
– Prima parte: informazioni personali.
– Seconda parte: valutazione analitica della rubrica valutativa. Nello
specifico si è chiesto agli insegnanti di esprimere il proprio grado
di accordo, mediante una scala Likert (1 = assolutamente contrario; 2 = contrario; 3 = d’accordo; 4 = assolutamente d’accordo),
rispetto ad affermazioni concernenti:
a) Progressione dei livelli.
b) Verificabilità dei descrittori.
c) Chiarezza dei descrittori.
d) Chiarezza degli esempi.
Inoltre, se lo ritenevano opportuno, gli insegnanti potevano fornire dei suggerimenti per migliorare la rubrica valutativa. Si riporta
nella Figura 11 un estratto del questionario.
Criterio: Curiosità
1= Assolutamente contrario
2= Contrario
3= D’accordo
4= Assolutamente d’accordo
I livelli del criterio «curiosità» indicano una pro1 2 3 4
gressione di competenza.
Se ritiene che la progressione dei livelli del criterio «curiosità» debba essere
modificata, cortesemente scriva di seguito come.
Descrittore – Livello base (Criterio: Curiosità)
Esprime interesse a interagire con persone percepite come aventi background
culturali diversi.
Il descrittore sopra riportato descrive qualcosa che
1 2 3 4
può essere osservato o inferito.
Il descrittore sopra riportato è scritto in modo chiaro.
1 2 3 4
Se ritiene che il descrittore sopra riportato debba essere modificato, cortesemente scriva di seguito come.
Esempio – Livello base (Criterio: Curiosità)
Ad es., chiede all’insegnante di partecipare a un incontro organizzato da un’altra classe con un gruppo di studenti stranieri.
L’esempio sopra riportato è scritto in modo chiaro.
1 2 3 4
Se ritiene che l’esempio sopra riportato debba essere modificato, cortesemente
scriva di seguito come.
Figura 11. Estratto del questionario (insegnanti)
100
Protocollo di valutazione Intercultura
– Terza parte: commento generale sulla rubrica valutativa.
– Quarta parte: prospettive future del Protocollo Intercultura.
Inoltre, durante il secondo focus group regionale, si è chiesto agli
insegnanti se desiderassero aggiungere ulteriori commenti e suggerimenti migliorativi rispetto alla rubrica valutativa.
Uno dei limiti emersi dei questionari progettati è che avendo proposto una scala Likert composta di sole quattro possibilità si sono
diminuite le sfumature di accordo/disaccordo. Tuttavia, si ritiene
che tale limite sia stato parzialmente arginato ponendo la richiesta di
fornire eventuali modifiche migliorative.
2.4. Diario dell’Assegnista di ricerca
In occasione di ogni incontro in presenza, l’Assegnista ha stilato
un diario (auto)etnografico in cui riportava (i) alcuni dati dell’incontro (ad es., luogo e data dell’incontro, il numero dei presenti), (ii) la
sintesi dei principali risultati emersi dalla discussione, (iii) certuni
aspetti etnografici e autoetnografici (Adams, Jones, & Ellis, 2015).
3. Analisi dei dati
Preso atto della natura dei dati e della finalità dello studio, per
l’analisi dei dati si è proceduto con modalità diverse.
Per quanto concerne i dati raccolti mediante focus group, schede
SWOT, osservazioni e diario dell’Assegnista si è familiarizzato con
i dati. Questa fase è corrisposta: nel caso dei soli focus group, alla
trascrizione e al loro riascolto consecutivo come suggerito da Hycner
(1985, p. 281); per tutti i metodi di raccolta, alla lettura e rilettura di
tutti i dati12.
Successivamente, nel caso dei dati connessi specificatamente alla
modifica degli strumenti proposti, li si è codificati13 con un approccio deduttivo14, avvalendosi del software NVivo 12 for Mac. In questo caso i codici erano, ad esempio, ‘togliere’, ‘modificare parola’,
La lettura e rilettura dei dati è proseguita per tutta la fase di analisi.
Codificare, in questa sede, è stato inteso come l’assegnare dei codici cioè «a name or
label that researcher gives to a piece of text which contains an idea or a piece of information» (Cohen et al., 2018, p. 668).
14
L’approccio deduttivo è quello che prevede che il ricercatore abbia creato una lista
provvisoria di codici prima dell’analisi sulla base, ad esempio, della domanda della ricerca,
della cornice teoretica di riferimento (Miles, Huberman, & Saldaña, 2014).
12
13
Metodologia della ricerca
101
‘modificare livello’. Successivamente, si è verificata la loro ricorrenza, nonché la loro coerenza con l’impianto teoretico di riferimento,
e, sulla base di ciò, si è proceduto con la revisione degli strumenti.
Nel caso, invece, dei dati connessi all’uso degli strumenti si è optato per seguire i principi della thematic analysis qui intesa come «a
data reduction and analysis strategy by which qualitative data are
segmented, categorized, summarized, and reconstructed in a way
that captures the important concepts within the data set» (Ayres,
2008, p. 867). La codifica dei dati, sempre avvalendosi del software
NVivo 12 for Mac, è stata svolta sia in modo deduttivo che induttivo15. In seguito, si sono create le prime tematiche, le si è riviste, si è
verificato che ogni tematica potesse essere descritta con poche frasi
e fosse autonoma e, infine, si è scritto il capitolo quinto del presente
volume (Braun & Clarke, 2006).
Per quanto riguarda i dati raccolti mediante i questionari, si è optato
per un approccio di analisi multimetodo. Per l’analisi dei dati quantitativi, raccolti mediante scala Likert (1 = assolutamente contrario; 2 =
contrario; 3 = d’accordo; 4 = assolutamente d’accordo), si è calcolato il
valore minimo e il valore massimo, la media, la frequenza assoluta e percentuale, la variazione standard, la moda e la mediana. Successivamente
si è calcolato la frequenza del grado di accordo (sommando i valori 3 e
4) e quella del grado di disaccordo (sommando i valori 1 e 2) per ogni
item. A titolo di esempio nella Tabella 11 si riporta parte dell’analisi per
un criterio, un descrittore e un esempio della rubrica valutativa.
Per quanto concerne l’analisi dei dati qualitativi si sono seguiti i
due approcci precedentemente adottati anche per i dati raccolti con
gli altri metodi: i dati della seconda parte (valutazione analitica della
rubrica valutativa) del primo questionario degli esperti e del questionario dei docenti e i dati raccolti con il secondo questionario degli
esperti sono stati codificati sostanzialmente utilizzando un approccio
deduttivo, si è poi verificata la loro ricorrenza e la loro coerenza
con l’impianto teoretico di riferimento, infine, sulla base di ciò, si è
proceduto alla revisione della rubrica valutativa; i dati raccolti nella
terza parte (commento generale sulla rubrica valutativa) del primo
questionario degli esperti e quello dei docenti e la quarta parte (prospettive future del Protocollo Intercultura) del questionario dei docenti sono stati analizzati seguendo i principi della thematic analysis
con codici sia deduttivi che induttivi.
15
L’approccio induttivo è quello che prevede che i codici emergano progressivamente
durante la raccolta dei dati e la loro analisi (Miles et al., 2014).
102
Protocollo di valutazione Intercultura
Tabella 11. Esempio di analisi dei dati quantitativi (Insegnanti)
1*
2*
3*
4*
Accordo
(3*+4*)
V.S.
Tot.
Criterio: Curiosità
I livelli del criterio
0%
2%
29% 69% 98%
.50
112
“curiosità” indicano
una progressione di
competenza
Descrittore – Livello base (Criterio: Curiosità)
Esprime interesse a interagire con persone percepite come aventi background
culturali diversi.
Il descrittore sopra
0%
2%
40% 58% 98%
.53
113
riportato descrive
qualcosa che può essere
osservato o inferito
Il descrittore sopra
0%
1%
27% 73% 99%
.47
113
riportato è scritto in
modo chiaro
Esempio – Livello base (Criterio: Curiosità)
Ad es., chiede all’insegnante di partecipare a un incontro organizzato da
un’altra classe con un gruppo di studenti stranieri.
L’esempio sopra
riportato è scritto in
modo chiaro
0%
1%
29%
70% 99%
.48
113
* 1 = assolutamente contrario; 2 = contrario; 3 = d’accordo; 4 = assolutamente d’accordo.
4. Presentazione dei risultati
Rispetto alla vasta gamma dei risultati emersi, si è ritenuto poco
funzionale alle finalità del volume presentare la dettagliata analisi
che ha permesso di rivedere gli strumenti (ad es., quanti partecipanti
hanno sostenuto che nel descrittore x fosse necessario modificare la
parola y). Pertanto, nella sezione degli allegati si riportano gli strumenti del Protocollo Intercultura così come si sono delineati dopo
l’analisi dei dati; nel capitolo quinto si presentano i risultati connessi
ai benefici e ai limiti dell’uso dei singoli strumenti elaborati.
Da un punto di vista di strategia testuale, si è deciso di sintetizzare
i risultati emersi per ogni strumento e, per quelli più significativi, si è
predisposta una tabella con alcuni estratti. In questo modo si restituisce al lettore, oltre che il ragionamento ermeneutico dell’Assegnista,
anche la ricchezza e la varietà dei dati raccolti.
Metodologia della ricerca
103
5. Etica della ricerca
In questo studio, l’etica della ricerca si è basata principalmente sui
seguenti valori:
– Libertà: i partecipanti hanno aderito alla ricerca volontariamente;
nella conduzione della ricerca, l’Assegnista non è stato influenzato
da pressioni esterne.
– Onestà e veridicità: l’Assegnista ha spiegato dettagliatamente la ricerca e i diritti dei partecipanti prima che le persone vi aderissero;
l’Assegnista non ha modificato o manomesso i dati raccolti.
– Costi/benefici: per gli insegnanti i costi sono stati essenzialmente
di carattere economico (gli spostamenti per raggiungere i luoghi
degli incontri in presenza); i benefici sono stati di partecipare a un
percorso di formazione teorico-pratico gratuito certificato (per coloro che hanno svolto tutto il percorso le ore certificate erano 25)
dalla Fondazione Intercultura, Ente accreditato per la formazione
del personale della scuola con Decreto MIUR del 22 luglio 2010 e
adeguato alla Direttiva n. 170/2016 in data 1 dicembre 2016.
– Anonimato: l’Assegnista ha garantito la non identificabilità da parte di terzi degli insegnanti che hanno partecipato alla ricerca. Nel
caso del gruppo internazionale degli esperti si è esplicitamente
richiesto nel consenso informato (si veda dopo) la disponibilità a
essere resi noti.
– Equità e rispetto.
– Consenso informato: prima di iniziare la ricerca empirica, l’Assegnista ha raccolto il consenso informato degli insegnanti partecipanti e degli esperti. Nel caso delle osservazioni delle presentazioni degli studenti, poiché esse si sono svolte durante i Consigli di
classe, il consenso informato è stato firmato dal Dirigente scolastico. Nel caso della somministrazione pilota delle prove di realtà, gli
studenti coinvolti (tutti maggiorenni) hanno firmato il consenso
informato.
Capitolo Quinto
L’uso del Protocollo di valutazione
Intercultura: la prospettiva
dei docenti
In questo capitolo si presentano i risultati più significativi emersi
dalle parole degli insegnanti dopo aver utilizzato gli strumenti del
Protocollo Intercultura.
1. Diari di bordo
Dall’analisi dei dati emerge che, tendenzialmente, i due diari di
bordo sono stati accolti positivamente dagli studenti che si sono sentiti sostenuti e valorizzati dalla scuola di appartenenza. Inoltre, per
alcuni, questo strumento ha offerto il modo di rispondere al bisogno
di raccontarsi.
Per quanto concerne la condivisione dei diari di bordo con il
Consiglio di classe, i partecipanti hanno adottato le modalità ritenute
più appropriate rispetto al loro contesto: ad esempio, c’è chi li ha letti o riassunti durante gli scrutini o i Consigli di classe, chi li ha inviati
via posta elettronica, chi li ha stampati e depositati negli armadietti
dei colleghi. In generale, comunque, è emerso che l’indicazione che
si era fornita loro, ovverosia di discutere i diari di bordo in sede di
scrutinio, è poco efficace in quanto il tempo è esiguo rispetto alla già
abbondante mole di lavoro. Pertanto, una delle proposte avanzate è
quella di inserire la lettura e la discussione dei diari di bordo come
ordine del giorno nei Consigli di classe canonici oppure di convocare
un Consiglio di classe ad hoc.
In generale, le reazioni dei membri del Consiglio di classe rispetto
ai diari di bordo (si veda Tabella 12) sono state positive, sebbene
non siano mancati anche atteggiamenti di indifferenza, scetticismo,
diffidenza. Secondo i partecipanti questi ultimi possono avere diverse motivazioni: (i) l’interesse dei docenti solo alle questioni disciplinari; (ii) i pregiudizi nei confronti dell’esperienza educativa all’estero; (iii) la mancanza di formazione sulla competenza interculturale e
106
Protocollo di valutazione Intercultura
sulla mobilità studentesca; (iv) l’idea che le relazioni con lo studente
mentre è all’estero siano compito esclusivamente dell’insegnante
tutor; (v) l’idea che i documenti raccolti debbano essere visionati dal
Consiglio di classe solo al momento del reinserimento dello studente;
(vi) la poca familiarità a utilizzare strumenti come il diario di bordo.
Sono diversi i benefici emersi dall’utilizzo dei diari di bordo. Per
quanto concerne gli studenti, secondo i docenti, questo strumento li
guida a riflettere su di sé e sull’esperienza in quanto tale: grazie alla
struttura dei diari di bordo, essi non si soffermano a una superficiale
descrizione fattuale, ma analizzano il vissuto personale e il divenire
in modo critico. Facendo ciò gli studenti riescono a dare ordine e
senso a ciò che stanno vivendo diminuendo il rischio di essere trapassati passivamente dall’esperienza. Inoltre, l’atto riflessivo consente loro di sviluppare una maggiore consapevolezza. Poiché quest’ultima è uno degli aspetti chiave dei principali modelli di competenza
interculturale, il diario di bordo può essere inteso come uno spazio
di apprendimento interculturale e, in questo senso, possiede un vero
e proprio valore (Byram, 2008) pedagogico interculturale1.
Per quanto concerne i benefici per e sul Consiglio di classe, i
partecipanti rilevano che i diari di bordo sono un ponte con lo
studente mentre è all’estero che consente di mantenere la relazione
educativa e di monitorarne l’esperienza; inoltre, in alcuni casi, i
diari di bordo sono anche l’occasione per far conoscere lo studente ai docenti nuovi. Un altro dato positivo è che la condivisione
degli scritti degli alunni consente ad alcuni docenti di avvicinarsi
all’esperienza dello studente comprendendola meglio e riducendo
stereotipi e pregiudizi.
Tra i benefici, si desidera sottolineare che in alcuni casi i docenti
hanno riportato che le famiglie degli studenti hanno espresso il proprio compiacimento nel prendere atto che la scuola di appartenenza
sosteneva e valorizzava l’esperienza del figlio.
1
Su questo punto, per una più approfondita argomentazione e presentazione dei dati
si veda Baiutti e Paolone (2018).
L’uso del Protocollo di valutazione Intercultura
107
Tabella 12. Reazioni dei Consigli di classe ai diari di bordo
Fonte dati
Estratti
SWOT_
«Non c’è stata nessuna speciale manifestazione di interesse. Il conAS1_
cetto di competenza culturale li ha lasciati piuttosto tiepidi. Nel mio
DB_ I1
Istituto la preoccupazione prevalente, in questi casi, è quella di riuscire a quantificare docimologicamente i risultati conseguiti all’estero, riconducendoli ai nostri programmi e ai nostri schemi valutativi».
SWOT_
«La condivisione del Diario all’interno del Consiglio di classe ha
AS1_
consentito a tutti di avere una più ampia e accurata percezione del
DB_I102 valore formativo di questa esperienza e di avvicinarsi maggiormente al concetto di competenza interculturale. […] Meglio di quanto
potessi immaginare: anche i colleghi più scettici o critici hanno mostrato curiosità ed hanno espresso un certo compiacimento per i
riscontri personali positivi esposti dalla nostra studentessa».
SWOT1_ «Il cdc [Consiglio di classe] ha trovato estremamente utile avere a
DB_I20
disposizione il primo diario, insieme alle valutazioni intermedie. È
servito per non perdere di vista l’alunna e per farla conoscere ai docenti nuovi. Il cdc ha accolto con interesse anche il secondo diario».
SWOT1_ «Per quanto concerne i docenti dovrei dire: ‘alcuni docenti non
hanno funzionato’ … La reazione di alcuni è stata ‘ok, tutto belDB_I20
lissimo, ma quando mi dice cosa c’è scritto nel primo capitolo del
libro?’, ‘ok ha un B1 di polacco, ma che ne facciamo?’».
SWOT1_ «Il consiglio di classe ha ritenuto positiva l’esperienza, prima di
DB_I26
tutto nei termini di strumento per mantenere un preciso legame tra
gli studenti in mobilità e la scuola, e per monitorare l’esperienza
degli studenti interessati».
SWOT1_ «Con interesse e curiosità. È certamente un ottimo strumento per
DB_I62
sensibilizzare il consiglio di classe alla realtà dell’anno all’estero e
per permettere a tutti gli insegnanti di verificare il percorso dello
studente e come l’esperienza l’abbia cambiato».
SWOT1_ «Il Diario di Bordo è stato utile perché è stato un momento di riDB_I86
flessione e di condivisione dell’esperienza dello studente. […] Molto spesso si ha l’idea che sia un anno di divertimento e di poco
impegno».
SWOT1_ «[Il diario di bordo è stato accolto] in modo positivo e costruttivo
DB_I107 [dal Consiglio di classe], giudicandolo molto utile per la comprensione, la valutazione e la valorizzazione dell’esperienza vissuta dalla
studentessa».
SWOT1_ «È stata una nuova occasione utile per ricordare al Consiglio di
DB_I111 classe l’esperienza dell’allieva in mobilità. Personalmente lo trovo
uno strumento importante per aprire i contatti tra il Consiglio di
Classe, (che talvolta si dimentica che la persona in mobilità è ancora
parte della classe) e la studentessa/lo studente in mobilità, che a
sua volta viene invitata a relazionarsi con la sua scuola italiana di
appartenenza».
108
Protocollo di valutazione Intercultura
Dall’analisi dei dati emergono anche alcuni dubbi. Uno dei più
ricorrenti è il rischio di mancata sincerità da parte degli studenti i
quali potrebbero dare risposte attese e standardizzate, ad esempio,
per compiacere i docenti. Si è cercato di diminuire questo rischio,
che risulta essere trasversale ai vari strumenti del Protocollo Intercultura, scegliendo, a monte, di adottare un approccio multimetodo e
multiprospettico: per poter compilare la rubrica valutativa è necessario che i dati raccolti, con strumenti diversi, lungo un determinato
periodo di tempo e in cui si sono coinvolte diverse figure che frequentano lo studente, abbiano un certo grado di coerenza. In caso
contrario è necessario raccogliere ulteriori dati.
Un punto, ritenuto negativo per alcuni, è che, nella compilazione
dei diari di bordo, l’italiano risulta essere meno fluente e ha influenze (ad es., calchi, prestiti, interferenze) con la/e lingua/e parlata/e
nel Paese ospitante. Questo dato, in realtà, è atteso e risponde ai
fenomeni legati a ciò che i linguisti (ad es., Marcato, 2012) chiamano
contatto linguistico.
Inoltre, da un punto di vista pratico sono state riportate alcune
problematiche come, ad esempio, che i diari non sono stati compilati nei tempi assegnati in quanto gli studenti si trovavano in un
periodo molto intenso nel Paese ospitante (ad es., stavano preparando l’esame per la certificazione linguistica). Per questo motivo
è auspicabile chiarire prima della partenza le attività richieste allo
studente mentre è all’estero, magari in un patto di corresponsabilità
firmato da tutte le parti coinvolte, e le tempistiche, accertandosi che
siano adeguate.
Un’altra problematica che si è riscontrata durante il progetto pilota è che in alcuni Paesi non vi è sempre accesso a internet oppure
che certi provider di posta elettronica sono bloccati. In questi casi è
necessario pensare a delle soluzioni alternative che possono andare
dell’invio di lettere tramite posta al richiedere allo studente la creazione di un indirizzo di posta elettronica tra i provider autorizzati in
quel determinato Paese.
2. Linee guida per la presentazione (studente) e griglia
di osservazione della presentazione guidata (insegnante)
Ciò che emerge dall’analisi dei dati (si veda Tabella 13) è che le
linee guida hanno diversi esiti positivi. In primis, esse mettono gli
studenti nella posizione di orientarsi in un’esperienza così ricca,
L’uso del Protocollo di valutazione Intercultura
109
come quella della mobilità studentesca, selezionando i punti nodali
di maggiore interesse per la scuola. Secondariamente, indirizzano gli
alunni anche da un punto di vista di organizzazione della presentazione rendendola più chiara e fruibile all’uditorio. Questo emerge
chiaramente quando la presentazione guidata viene confrontata con
quella non guidata a cui alcuni docenti avevano assistito: nel secondo
caso, alcuni studenti, oltre ad aver riportato principalmente aneddoti
di poco interesse rispetto alla dimensione valutativa, erano stati carenti nell’organizzare un discorso coerente.
Un altro risultato particolarmente significativo è che, così come
i diari di bordo consentono una riflessione in itinere di ciò che si
sta vivendo all’estero, le linee guide sono l’occasione per offrire allo studente uno spazio di analisi critica retrospettiva della propria
esperienza all’estero che permette di raggiungere una maggiore consapevolezza di sé e del proprio percorso di crescita. Anche in questo
caso, quindi, lo strumento valutativo ha un profondo valore pedagogico interculturale.
Tabella 13. Linee guida per la presentazione dell’esperienza (studente)
Fonte dati
Estratti
FG_2.2
«Noi anche in precedenza abbiamo usato delle presentazioni, abbiamo chiesto ai ragazzi di fare delle presentazioni, lo facciamo
da anni, in cui davamo delle istruzioni piuttosto generiche […].
Però non c’erano delle linee guida così precise e ho notato una
differenza qualitativa enorme sia per il messaggio che è arrivato al
Consiglio di classe, ma devo dire principalmente sulla riflessione
dell’alunno, perché la ragazza ha fatto una riflessione sul suo percorso molto chiara, c’era l’invito a riflettere su determinati punti
chiave naturalmente […] la presentazione guidata, lei è stata brava a fare questa analisi contrastiva eccetera, però le linee guida
l’hanno indirizzata e quindi il messaggio che è arrivato a lei principalmente che l’ha redatta, e al Consiglio di classe, è stato molto
chiaro. Quindi la differenza con quello che facevamo prima, che
era generico, con istruzioni piuttosto vaghe, non così precise è
stata evidentissima».
FG_2.3
«Le ragazze […] dichiarano che [la presentazione guidata] consente di mettere a fuoco i punti nodali della loro esperienza».
FG_2.3
«Credo che come presentazione l’indicazione che è stata data ai
ragazzi sia estremamente utile perché li guida. Un’esperienza così
forte, così ampia, altrimenti si perderebbe, sicuramente, nei meandri di qualche momento particolare o comunque non sarebbero
stati in grado di fare la presentazione».
110
Protocollo di valutazione Intercultura
Fonte dati
Estratti
FG_2.3
«Io sì ne ho sempre fatte [di presentazioni]. […] una presentazione guidata ha il grande vantaggio di dare uno strumento ai ragazzi di focalizzare l’attenzione sui punti che vengono consigliati. La
presentazione libera rischia ovviamente di perdersi, di dilungarsi un po’ troppo su certi aspetti che magari sono più folcloristici,
meno interessanti da un punto di vista dell’approfondimento, seppure anche il folclore è interessante, cioè voglio dire. Ecco, magari,
rischiano un pochino di perdersi».
FG_2.6
«La guida per lo studente consente allo studente stesso di dare
ordine all’enorme quantità di esperienza accumulata in un anno,
e quindi anche un modo per poter sistemare e presentare i punti
cardine della propria esperienza».
FG_2.7
«Le indicazioni fornite al ragazzo, ecco lo studente, penso che
siano importanti anche perché avere una guida nella strutturazione della presentazione è molto importante perché a volte lo
studente può divagare, non cogliere magari l’aspetto più qualificante o significativo dell’esperienza. In questo caso invece una
linea guidata, una scheda operativa è stata molto molto valida,
molto valida».
FG_2.9
«È stato utile anche per i ragazzi, perché anche loro hanno preso
consapevolezza. Cioè nella lettura dell’esperienza dell’anno hanno
individuato quali sono stati gli aspetti più, gli aspetti di crescita, tenendo conto di queste voci, le conoscenze, le abilità e questi aspetti
che evidentemente non riuscivano forse a mettere a fuoco, invece
dando questa guida per loro è stato più facile acquisire anche questa consapevolezza».
FG_2.11
«Io penso sia stato anche molto utile per i ragazzi, a parte per il
Consiglio di classe, perché avere una scaletta e quindi sapere con
precisione quali i punti da toccare, in qualche modo, ancorché
organizzarsi, questo sia stato per loro estremamente utile perché
quando rientrano sono abbastanza persi».
FG_2.12
«Noi la presentazione la facevano già, però i ragazzi la facevano diciamo in maniera autonoma e direi che queste [linee guida] li aiutano a riflettere di più sui vari aspetti su cui loro di solito riflettono
meno perché tentano di fare quasi una presentazione di un viaggio
che non di un’esperienza di vita, per cui direi assolutamente molto
utile per gli studenti».
SWOT_A2 «La presentazione guidata è servita all’allievo perché ha potuto ri_ LG_I11 percorrere l’esperienza dell’anno all’estero mettendone a punto i
momenti focali».
L’uso del Protocollo di valutazione Intercultura
111
Sebbene non vi siano state proposte di modifiche rispetto alle
linee guida, è emerso che l’indicazione fornita agli studenti di preparare una presentazione di una ventina di minuti è stata spesso disattesa. Alla luce di ciò, si suggerisce di concordare attentamente con lo
studente i tempi per la presentazione.
Per quanto concerne la griglia di osservazione della presentazione,
dall’analisi dei dati emerge che lo strumento, in quanto tale, è ritenuto fondamentale per guidare la pratica valutativa; tuttavia, come si è
già accennato, è stato richiesto di produrre anche una variante più
agevole intendendo con ciò una griglia a crocette.
Inoltre, un elemento ritenuto particolarmente significativo è che
la presentazione guidata e la griglia di osservazione hanno permesso
ai docenti del Consiglio di classe, da una parte di comprendere cosa
osservare per esprimere una valutazione, dall’altra parte, come era
già successo anche con i diari di bordo, di essere coinvolti nel progetto educativo dello studente, scoprendo aspetti di esso precedentemente sconosciuti. In questo modo, alcuni di essi, anche fra quelli
più scettici, hanno rivisto i propri pregiudizi e stereotipi rispetto alla
mobilità studentesca (si veda Tabella 14).
Tabella 14. Coinvolgimento del Consiglio di classe
Fonte dati
Estratti
FG_2.1
«[La presentazione guidata] è stata utile perché per la prima volta
tutti i colleghi dovevano ascoltare, cioè non solo quelli della disciplina di cui mancava la valutazione e molti si sono ricreduti su
questo, sull’importanza del fare l’esperienza all’estero, non tutti,
però, qualcuno è rimasto piacevolmente sorpreso, e proprio mentre i ragazzi parlavano poi facevano altre domande, volevano sapere altre cose».
FG_2.2
«Molti [docenti, con la presentazione guidata] hanno proprio scoperto di cosa stessimo parlando».
FG_2.2
«Il Consiglio di classe, anche nel mio caso, era abbastanza ostile o
comunque non pienamente d’accordo con l’esperienza all’estero, e
dopo la presentazione effettivamente la maggior parte ha avuto un
riscontro positivo».
FG_2.5
«La […] presentazione al Consiglio di classe, che era molto scettico sul fatto di quasi sprecare dieci minuti, un quarto d’ora del
Consiglio per questa presentazione e che poi, invece, dopo è stato
attentissimo e ho avuto molti, molti dati da questo documento di
osservazione e alla fine il Consiglio di classe era molto contento di
aver avuto questo feedback dell’esperienza all’estero».
112
Protocollo di valutazione Intercultura
Fonte dati
Estratti
FG_2.6
«[I colleghi del Consiglio di classe] hanno apprezzato le indicazioni delle schede anche perché hanno valorizzato quegli aspetti
di apprendimenti interculturali che emergevano e sui quali non si
erano soffermati e quindi questo dà anche un peso, un valore in
più all’esperienza, che magari alcuni di loro avevano sottovalutato
o che non aveva considerato appieno, che sono invece emersi dalle
loro osservazioni, mi hanno proprio detto, la riflessione su alcuni
indicatori che non avevano proprio considerato, quindi anche da
parte dei colleghi, magari c’era qualcuno un po’ meno sensibile
a questo tipo di esperienza però ha riconosciuto la validità delle
indicazioni date».
FG_2.6
«[Rispetto alla presentazione guidata] il vantaggio è questo, ci consente di riuscire a comprendere l’esatto valore nell’esperienza di
questo tipo perché purtroppo noi nella nostra scuola combattiamo con docenti, e sono anche numerosi, che continuano a ritenere
che questa esperienza, per esempio, consenta ai ragazzi di perdere
l’abitudine nella traduzione del latino e del greco, che è una delle
obiezioni che ci viene fatta quasi sempre. Invece, secondo me, è
uno strumento anche per il docente che apre proprio gli orizzonti,
che consente di comprendere che fare formazione non è fare nozionismo, fare formazione è un’altra cosa».
FG_2.11
«Debbo dire, una volta sentita la ragazza, seguita la presentazione,
fatte le domande, approfonditi certi aspetti, [i docenti del Consiglio di classe] sono stati poi sostanzialmente quasi tutti, con pochissime eccezioni, molto interessati e l’hanno fatto molto volentieri, e sono stati particolarmente coinvolti nella cosa, […] mi sembra
sia stato uno strumento che ha funzionato bene, è riuscito, ripeto,
a coinvolgere insegnanti del Consiglio di classe nel modo giusto e
avvicinarli anche un pochino di più, ecco, a cosa vuol dire valutare
certi aspetti e certe competenze che, insomma, per tanti di noi,
ecco, è stato un qualcosa di nuovo, sicuramente».
FG_2.12
«I miei colleghi sono stati molto contenti, non ci credevo, di avere
qualcosa in mano che li mettesse in grado di capire quello che stava succedendo, di sapere che cosa valutare, perché la competenza
interculturale per loro è una sconosciuta, non sapevano che cosa
valutare».
FG_2.12
«La presentazione è stata utilissima perché ha permesso ai docenti
del Consiglio di classe di capire effettivamente in che cosa consisteva l’esperienza che la ragazza aveva fatto e in particolar modo
anche di scoprire delle competenze extrascolastiche che aveva acquisito e che da quanto sembra almeno in questo ultimo periodo le
sta mettendo in pratica anche in classe».
L’uso del Protocollo di valutazione Intercultura
113
Infine, oltre che al Consiglio di classe, alcuni docenti hanno chiesto agli studenti di svolgere la presentazione guidata alla propria
classe, a più classi o all’intero istituto. Secondo gli insegnanti (si veda
Tabella 15), questa pratica – assieme ad altre (ad es., videochiamate
mentre lo studente è all’estero, eventuale lettura dei diari di bordo) –
ha portato a diversi benefici: (i) depotenzia i pregiudizi che possono
avere i compagni rispetto all’esperienza all’estero fatta dallo studente; (ii) scioglie alcune frizioni (ad es., gelosie) fra i compagni e lo studente andato all’estero; (iii) rende la mobilità studentesca individuale
un’attività che non si esaurisce nell’esperienza singola dello studente
che va all’estero, ma ha ricadute positive in termini di internazionalizzazione sull’intera comunità scolastica.
Tabella 15. Presentazione ai compagni
Fonte dati
Estratti
FG_2.3
«Direi [che la presentazione ai compagni è stata] […] importante
dal punto di vista della condivisione e come un momento di saldatura nel reinserimento nella classe».
FG_2.3
«[Durante la presentazione] c’era anche buona parte della classe
che ha potuto sentire qual è stata l’esperienza di studio in un altro
Paese, quindi fare proprio dei paragoni e tantissime domande […]
un bel confronto».
FG_2.3
«Un po’ c’è la ritrosia di dover esporsi davanti ai compagni per
parlare di quello che anche bonariamente è stato visto comunque
come una bella pausa di gioia perché non sono venuti a scuola in
Italia. D’altra parte però, era evidente che loro volevano condividere l’esperienza avuta, fare capire ai compagni che è stata dura, è
stato un bel momento, sono tutti molto contenti, tutti quanti hanno concluso dicendo ‘la rifarei mille volte, anche con il doppio
dei problemi incontrati’ però tutti quanti hanno tenuto a ribadire
il concetto che un’esperienza così richiede una dose massiccia di
autocontrollo, di self-confidence, e tutto quello che può venire,
insomma. Che i compagni hanno poi riconosciuto ovviamente. È
stato anche un bel momento per far emergere delle domande da
parte dei compagni».
FG_2.9
«Io per quanto riguarda le mie ragazze ho chiesto loro, e loro hanno acconsentito, di presentare la loro esperienza anche alla classe.
Infatti, è stata la prima lezione assoluta proprio al rientro, all’inizio
dell’anno scolastico. [Ricercatore: come è andata?] Molto bene.
Sono stati, insomma, entusiasti. È anche un modo per condividere,
insomma, anche se loro si sentivano tramite social network, però,
un conto è vedere, un conto è focalizzare l’attenzione solo sull’esperienza, aspetti positivi e negativi».
114
Protocollo di valutazione Intercultura
Fonte dati
Estratti
SWOT_
«Lo studente può, attraverso la presentazione guidata, coinvolgere
A2_LG_
gli altri attori della scuola nella propria esperienza. Li può soprattutI33
to convincere che pur possedendo conoscenze, abilità e competenze
diverse da quelle del gruppo classe può reinserirsi a pieno titolo apportando il proprio contributo alla crescita culturale del gruppo».
3. Prove di realtà
Il primo dato che emerge distintamente dalla ricerca è che le prove di realtà o i compiti autentici2 non sono un dispositivo valutativo
diffuso: i docenti dichiarano di svolgere tendenzialmente prove di
verifica connesse a un paradigma per conoscenze, tranne alcune
eccezioni in particolare fra gli insegnanti di Lingue straniere e di Italiano. Questo determina che oltre ai docenti, anche gli studenti non
hanno familiarità con questo tipo di prove. Risulta, pertanto, alquanto giustificato che alcuni alunni abbiano manifestato in taluni casi un
certo disagio alla notizia di dover sostenere tali prove che, tuttavia,
hanno portato a termine senza grosse difficoltà e spesso anche in un
tempo inferiore a quello concesso.
È trasversalmente riconosciuto dai docenti che le prove proposte
hanno consentito di apprezzare aspetti chiave della competenza indagata come l’apertura agli altri, il pensiero critico, il rispetto. Inoltre,
dall’analisi dei dati (si veda Tabella 16) si evince che le prove di realtà
hanno tendenzialmente confermato quanto era emerso dagli altri strumenti fino a quel momento utilizzati. Questo punto è molto importante in quanto, come già accennato, la coerenza fra i dati raccolti assicura
una maggiore sicurezza nell’esprimere una valutazione. In generale,
però, i docenti sostengono che le prove a risposta aperta sono state più
efficaci in quanto, come spiegano alcuni di essi, le domande a risposta
chiusa avevano l’aspetto di una comprensione del testo piuttosto che di
una prova per la valutazione della competenza interculturale. Usando
una terminologia tecnica, sembra che ciò che affermano alcuni docenti
è che le prove a risposta chiusa non siano valide3. Ciò comporta che
uno studente non competente interculturalmente, ma bravo nella comprensione del testo avrebbe comunque potuto rispondere correttamente alle domande a risposta chiusa; viceversa, uno studente competente
2
Per un’introduzione alla differenza fra prove di realtà e compiti autentici si veda
Tessaro (2014).
3
Per un approfondimento sul concetto di ‘validità’ degli strumenti di valutazione, fra
i vari, si veda Domenici (2003) e Giannandrea (2009).
L’uso del Protocollo di valutazione Intercultura
115
interculturalmente, ma con qualche difficoltà nella comprensione del
testo, avrebbe potuto rispondere in modo errato. Tale rischio, invece,
non sembra rintracciabile negli stimoli a risposta aperta. Questa considerazione implicano che per la progettazione di future prove di realtà
connesse alla competenza interculturale potrebbe essere più appropriato proporre maggiormente o esclusivamente prove a risposta aperta.
Infine, un ulteriore dato emerso, sebbene non in modo pregnante
come per i diari di bordo e per la presentazione guidata, è che lo
studente, dovendo analizzare e trovare soluzioni a situazioni reali
che lui stesso aveva in qualche modo vissuto, ha potuto approfondire
e comprendere meglio la propria esperienza e se stesso. Pertanto,
anche nel caso delle prove di realtà proposte vi è un valore, non solo
valutativo, ma anche pedagogico interculturale.
Tabella 16. Parere dei docenti rispetto alle prove di realtà
Fonte dati
Estratti
FG_2.4
«È proprio un’impostazione di valutazione per competenze, questo è un aspetto che diciamo ormai da molti anni, però sappiamo
che poi non è che tutte le scuole questo tipo di prove siano, o in tutte le materie questo tipo di prove siano la prassi, e quindi è anche
molto importante come strumento, secondo me, un po’ da stimolo
per modificare alcune impostazioni che devono essere modificate».
FG_2.4
«Anche io non sono solita, però mi sembra sia un buono stimolo
per, poi capisco che non sia semplice e ci vuole del tempo, però è
il discorso del cercare di andare sempre di più verso un aspetto di
valutazione per competenze non soltanto per conoscenze».
FG_2.6
«Mi rendo conto che comunque c’è uno scollamento fra quello che
faccio, ancora insomma basato sui contenuti, e quello che invece
viene richiesto, è completamente diverso».
FG_2.6
«Secondo me è valida, però noi sì, diciamo, noi abbiamo un altro
metodo di insegnamento, quel genere di domande servono più per
l’Invalsi che noi facciamo solo per il secondo anno».
FG_2.1
«Le ragazze non hanno avuta alcuna difficoltà, […], erano molto incuriosite da questa cosa perché quando io le avevo informate
precedentemente di questo appuntamento con le prove di realtà
una delle due ragazze m’ha detto ‘ma io non riesco proprio a immaginare che cosa possano essere delle prove di realtà’, insomma,
io le ho spiegato che sarebbero state delle, insomma, le sarebbe
arrivata una sollecitazione a risolvere o comunque a intervenire in
una determinata situazione immaginata come reale nella quale poi
lei doveva mettere in campo l’esperienza che aveva fatto precedentemente. Erano molto incuriosite su questo fatto ‘prove di realtà’
perché, non so, magari confondevano la realtà, pensava fosse realtà
nel senso di dover fare qualche cosa, andare da qualche parte, però
no, se la sono cavata benissimo, nessuna difficoltà».
116
Protocollo di valutazione Intercultura
Fonte dati
Estratti
FG_2.1
«[Le prove di realtà] hanno portato degli elementi di supporto
alla valutazione che noi già avevamo fatto nel momento della presentazione guidata, nel senso che, per noi hanno funzionato proprio come feedback, sono state un’ulteriore conferma degli elementi e della valutazione che già avevamo ricavato al termine della
presentazione guidata. Quindi c’era molta coerenza sia nel profilo
dei ragazzi, in particolare per quanto riguarda la loro attitudine e
la loro maturazione di queste competenze interculturali, che per
noi è stato sicuramente un elemento a sostegno che ha rinforzato
la nostra consapevolezza di esserci mosse seguendo la procedura e
che quindi la procedura è assolutamente affidabile».
FG_2.3
«[Nelle prove di realtà] ho trovato una conferma sostanzialmente
[…], un rafforzamento forse, una puntualizzazione, di quello che
in altro modo era già emerso dalla loro presentazione».
FG_2.8
«Credo che sia molto utile avere, diciamo, un modo differenziato di raccogliere gli input perché potrebbe essere un elemento
di conferma, potrebbero emergere degli elementi di conferma, o
potrebbero emergere degli elementi di contraddizione. Il fatto di
avere comunque degli strumenti diversi credo che sia essenziale
perché altrimenti si rischia no?, di poter cadere, proprio perché
sono troppo aperti gli altri strumenti nella soggettività, o delle percezioni dell’uno o dell’altro, dello studente, del docente, delle loro
sensibilità, quindi filtri vari».
FG_2.1
«Io ho trovato più utili le domande a risposta aperta rispetto a
quelle a scelta multipla perché quelle a scelta multipla a mio avviso
non mettevano particolarmente in evidenza le attitudini e le abilità
perché ho immaginato che ad un tipo di domanda a risposta multipla avrebbero potuto rispondere nello steso identico modo […]
anche ragazzi che non hanno fatto un’esperienza di studio all’estero. Mentre ho trovato molto interessanti le domande a risposta
aperta, in particolare, l’ultima [prova]».
SWOT_
«Affrontando le prove di realtà l’allievo si è sentito pienamente
AS2_
compreso dagli esempi, anche di persone note, che ha dovuto anaPR_I11
lizzare. Dall’altra parte essi gli hanno permesso di approfondire e
capire meglio la sua esperienza».
4. Scheda per la raccolta di osservazioni proprie e di terzi
Dall’analisi dei dati (si veda Tabella 17) emerge che questo strumento, come i precedenti, ha diversi risvolti positivi per i fini del
Protocollo Intercultura. In primis, consente di raccogliere una plu-
L’uso del Protocollo di valutazione Intercultura
117
ralità di punti di vista: i docenti riportano di aver annotato quanto detto loro da colleghi, compagni di classe o altri alunni della
scuola, familiari (non solo genitori ma anche, ad esempio, fratelli),
collaboratori scolastici, volontari di Intercultura. Tali informazioni
hanno permesso di cogliere la coerenza o meno con i dati raccolti
dal docente mediante le proprie osservazioni e gli altri strumenti.
Secondariamente, la scheda (i) obbliga l’insegnate a osservare
in modo sistematico aspetti non solo disciplinari dello studente
che rientra ed (ii) è un promemoria importante per quando si
compila successivamente la rubrica valutativa: riportando, seppur
brevemente, un avvenimento in cui lo studente manifesta di aver
sviluppato aspetti della competenza interculturale si ha poi un riscontro materiale e privo di eventuali contaminazioni determinate
dal tempo.
Tabella 17. Utilità delle schede per la raccolta di osservazioni proprie e di
terzi
Fonte dati
Estratti
FG_2.4
«Secondo me, [la scheda osservativa] è utile come [strumento], in
realtà probabilmente ti capita di avere già questo tipo di informazioni però inserirlo nella scheda e poi fare il commento, quindi,
fermarsi, razionalizzare e riflettere diventa molto utile proprio per
una valutazione più complessiva».
FG_2.7
«Forse siamo abituati, almeno io, a memorizzare, ricordare e dopo
non a scrivere dei momenti, per cui ritengo che sì, [la scheda osservativa] sia utile, importante averla».
FG_2.11
«Penso che avere altri punti di vista sia sempre importante perché
magari ecco abbiamo soltanto il nostro personale per cui penso che
sia, ecco, che sia a conferma di quanto abbiamo potuto raccogliere
e analizzare il nostro parere o che sia invece, e ho avuto, ecco, da
parte di qualche collega, nel momento in cui abbiamo fatto ’sta
valutazione allo scrutinio vero e proprio c’è stata anche quella che
dice ‘però non è stata così approfondita’, sono arrivate anche delle
critiche negative nei confronti della ragazza, però ecco, ripeto il
confronto, lo scambio di opinioni, avere più punti di vista ritengo
sia sempre ottima come cosa».
SWOT_
«L’osservazione estemporanea del ragazzo in diverse situazioni
AS2_SO_ comunicative ha dato la possibilità alla sottoscritta di rilevare in
I11
modo alquanto completo la competenza interculturale acquisita
dall’allievo».
118
Protocollo di valutazione Intercultura
Fonte dati
SWOT_
AS2_SO_
I32
Estratti
«Ritengo che la scheda di osservazione in contesto nel mio caso si
sia rivelata molto comoda, semplice e pratica da compilare all’occorrenza. La scheda risulta utile per appuntare in qualsiasi momento le diverse situazioni osservate e per analizzare e registrare
puntualmente le competenze interculturali sviluppate dal ragazzo.
Ritengo che la scheda sia completa ed adeguata anche per annotare
le conversazioni informali che ho avuto il piacere di avere con i
genitori e i compagni di classe dell’alunno. Queste si sono rivelate, con mia piacevole sorpresa, utilissime e molto importanti per
far emergere aspetti e punti di vista sulle competenze acquisite dal
ragazzo che in classe non avevo avuto l’occasione di registrare. È
stata un’esperienza lavorativa estremamente stimolante».
Da quanto dichiarato dai docenti, risulta, altresì, che questo strumento sia stato utilizzato meno degli altri. Ciò può essere giustificato
da vari fattori: (i) una non piena comprensione dell’importanza dello
strumento stesso; (ii) il fatto che terze persone, come familiari e colleghi, non si erano resi disponibili a confrontarsi con i docenti; (iii)
alcuni partecipanti non erano docenti diretti dello studente (si veda
§ 1 nel capitolo quarto) e, quindi, era più complesso riuscire a osservarlo oppure a chiedere a familiari e compagni di classe delle opinioni; (iv) per mancanza di intraprendenza dei docenti stessi.
5. Rubrica valutativa
Dall’analisi dei questionari somministrati ai docenti emerge che
quasi il 70% (78 persone) dei docenti non aveva mai utilizzato una
rubrica valutativa in precedenza. Risulta, altresì, che tutti4 ritengono
la rubrica del Protocollo Intercultura, dopo averla adoperata, uno
strumento utile per valutare la competenza interculturale degli studenti che partecipano a un programma di mobilità studentesca. Inoltre, quasi tutti (98,23%; 111 persone) dichiarano che adotteranno, o
proporranno al Collegio dei docenti di adottare, la rubrica valutativa
del Protocollo Intercultura per valutare lo studente rientrato da un
periodo di mobilità all’estero.
Per quanto riguarda l’analisi dei dati qualitativi (si veda Tabella
18) emerge che, in generale, i docenti riscontrano diversi risvolti positivi dall’utilizzo della rubrica valutativa del Protocollo Intercultura.
4
Per questo item, ci sono state 112 risposte invece che 113.
L’uso del Protocollo di valutazione Intercultura
119
In primo luogo, la rubrica valutativa prende in considerazione gli
aspetti più importanti della competenza interculturale connessa alla
mobilità studentesca; anche in questo modo, i docenti del Consiglio
di classe possono comprendere la complessità sia della competenza
oggetto di valutazione che della mobilità studentesca. Secondariamente, la rubrica valutativa risulta essere la conclusione ‘naturale’
nel quale far confluire il risultato di sintesi di tutti i dati raccolti mediante i vari strumenti. Così facendo la valutazione della competenza
interculturale risulta tangibile e basata su evidenze.
Infine, un altro risultato significativo è che adottando la rubrica
valutativa all’interno, ad esempio, del medesimo istituto si rende la
valutazione degli studenti che rientrano equa e uniforme e non lasciata all’arbitrarietà e sensibilità dei docenti del Consiglio di classe.
La rubrica valutativa, infatti, fornendo criteri, indicatori e descrittori,
da una parte facilita il compito valutativo dei docenti, dall’altra diminuisce il rischio di un eccesso di soggettività nel valutare una competenza così complessa come quella interculturale.
Tabella 18. Utilizzo della rubrica valutativa
Fonte dati
Estratti
Q_RV_I18 «I criteri elencati [nella rubrica valutativa del] Protocollo di valutazione Intercultura, insieme alla descrizione dei diversi livelli, forniscono uno strumento ‘tangibile, dettagliato e misurabile’ dello sviluppo delle competenze interculturali, che altrimenti resterebbero
astratte e, quindi, non utilizzabili ai fini di una valutazione globale e a
‘trecentosessanta gradi’ dell’alunno da parte del Consiglio di classe».
Q_RV_I31 «Ritengo che [la rubrica valutativa] sia strutturata in modo molto
accurato e funzionale; mi ha agevolato molto nel valutare complessivamente il percorso dell’alunna che ho seguito».
Q_RV_I46 «Ritengo che sia importante avere una rubrica valutativa delle
competenze interculturali proprio per la dinamicità e complessità di tali competenze; aiuta nell’osservazione dei comportamenti
e nella valutazione dell’efficacia educativa dell’esperienza svolta
all’estero dallo studente».
Q_RV_I51 «Ritengo sia fondamentale costruire una consapevolezza culturale
nuova rispetto alla mobilità e che sia indispensabile valorizzare il
patrimonio esperienziale, interculturale che il returnee riporta con
sé. La Rubrica valutativa risulta essere uno strumento molto valido
per valutare le competenze interculturali acquisite dallo studente
durante la sua esperienza di mobilità; inoltre offre al Consiglio di
Classe e alla scuola di origine l’opportunità di impostare una didattica curriculare di taglio interculturale e di ampio respiro».
120
Protocollo di valutazione Intercultura
Fonte dati
Estratti
Q_RV_I52 «La Rubrica Valutativa è uno strumento valido ed indispensabile
per dare la possibilità di uniformare le modalità di valutazione dei
ragazzi che vivono questo progetto, indipendentemente dalle valutazioni soggettive. Dà una maggiore garanzia di equità e obiettività.
Se ne sentiva la necessità, facilita e rende più credibile il lavoro del
tutor, ufficializza le sue valutazioni».
Q_RV_I77 «Ritengo che la Rubrica Valutativa proposta sia uno strumento
valido in quanto tiene conto di tutti gli aspetti interagenti in una
esperienza di studio all’estero al fine di enucleare la competenza
interculturale acquisita».
Q_RV_I91 «In mancanza della Rubrica Valutativa proposta dal Protocollo
Intercultura non abbiamo finora avuto dei criteri chiari e oggettivi
per valutare le competenze raggiunte dai nostri studenti al rientro
dal periodo all’estero. Abbiamo quindi finora navigato a vista».
Q_RV_I92 «È uno strumento utile per osservare in modo analitico le competenze acquisite dopo un anno all’estero, introducendo criteri di
valutazione comuni, non arbitrari o soggettivi».
FG_2.6
«Rende più strutturato il processo da valutare in maniera più oggettiva delle competenze che prima, invece, erano molto aleatorie
[…] con la rubrica invece si può indicare in modo sistematico, cioè
c’è lo strumento che si può utilizzare, e si può anche, almeno ho
visto per lo studente che ho seguito, inserire dei livelli ben precisi».
Conclusioni
A scuola di cittadinanza
interculturale
L’obiettivo della ricerca Protocollo di valutazione Intercultura
era di proporre delle risposte alla necessità di trovare strumenti
trasparenti e rigorosi che permettessero di valutare la competenza
interculturale degli studenti che hanno partecipato a un programma
annuale di mobilità internazionale individuale. Per raggiungere questo obiettivo si è tracciata una cornice teoretica di riferimento e si è
svolta una ricerca empirica a livello nazionale. Ciò che ne è risultato
è il modello Protocollo Intercultura. Quest’ultimo rappresenta una
guida operativa progettata per e con la scuola. Tuttavia, è opportuno
precisare che, siccome nell’era dell’autonomia scolastica ogni scuola
è un microcosmo, il Protocollo Intercultura è da intendere come una
bussola educativa che, se necessario, va riadattato di volta in volta al
contesto. Allo stesso tempo, non è uno strumento isolato, bensì complementare a quelli concernenti la valutazione disciplinare. Attraverso il raccordo della dimensione disciplinare con quella interculturale
è possibile giungere a ciò che il Ministero definisce «valutazione globale» (MIUR, 2013) dello studente rientrato da un anno all’estero.
1. Considerazioni e direzioni future
Il Protocollo Intercultura, così come l’intero volume, è al tempo
stesso un punto di arrivo e un punto di partenza: diverse sono le
implicazioni emerse dallo studio nel suo complesso. Di seguito se ne
considerano alcune specifiche per il contesto della ricerca accademica, per quello della scuola e per quello del Ministero.
1.1. Implicazioni per la ricerca accademica
Fra le diverse implicazioni connesse alla ricerca accademica si è
deciso, per limiti di spazio, di concentrarsi solo su quelle riguardanti
122
Protocollo di valutazione Intercultura
l’internazionalizzazione dell’educazione e della scuola, e quelle concernenti la mobilità studentesca.
Nel primo capitolo si è visto che nella letteratura di settore il concetto di ‘internazionalizzazione dell’educazione’ è spesso percepito come sinonimo di ‘internazionalizzazione dell’università’. Ciò comporta
che livelli di educazione come quello scolastico rimangono tendenzialmente esclusi dalla riflessione. Tale vuoto di ricerca non è secondario,
giacché, stanno crescendo le attività iscrivibili nel processo di internazionalizzazione della scuola1, ed è pertanto ragionevole ritenere che
ciò abbia delle implicazioni anche nella teorizzazione e nelle pratiche
dell’internazionalizzazione dell’università. Come afferma Rizvi (2017),
institutions of higher education now need to recognize that a large number of their new students are familiar with global issues and have expectations of universities that are shaped by their experience in schools of global
mobility, exchange and learning. […] Universities thus have to develop new
pedagogic approaches to internationalization that build on an extensive
reservoir of global knowledge, intercultural communication skills and mobility experiences that are now increasingly offered at schools (p. 25).
La riflessione accademica, pertanto, dovrebbe considerare maggiormente l’internazionalizzazione della scuola come uno dei possibili campi di studio dell’internazionalizzazione dell’educazione. Le
eventuali ricerche dovrebbero portare a strutturare una teorizzazione
pedagogica specifica di questo fenomeno e, sotto questo aspetto, il
presente volume ha proposto una definizione e un possibile modello
descrittivo. Allo stesso tempo, studiare il fenomeno dell’internazionalizzazione della scuola potrebbe portare a nuove implicazioni per
la teorizzazione dell’internazionalizzazione dell’università.
Per quanto riguarda la mobilità studentesca il ragionamento è
simile a quello precedente in quanto, come si è visto, ci sono svariate ricerche sulla mobilità studentesca a livello universitario, ma
un numero molto limitato a livello scolastico. Il presente volume ha
cercato di collaborare in questo senso proponendo una definizione
argomentata di ‘mobilità studentesca’, una revisione della letteratura
concernente le ricerche empiriche su tale argomento e ha presentato
come esso viene concettualizzato a livello normativo. Tuttavia, questo è solo un primo passo. Preso atto anche del fatto che il numero
1
È opportuno ricordare che in questo volume con l’espressione ‘internazionalizzazione della scuola’ non ci si riferisce esclusivamente alle scuole internazionali, al Baccellierato
Internazionale, alle elite schools o alle scuole europee, ma si considerano tutte le tipologie e
gradi di scuole.
A scuola di cittadinanza interculturale
123
degli studenti che partecipano alla mobilità giovanile è in costante
aumento, sarebbe necessario mettere in campo nuove ricerche, tanto
teoretiche quante empiriche, su questo argomento per sviluppare
una pedagogia e una didattica specifica. Tutto ciò potrebbe innestare nuova linfa teoretica alla ricerca pedagogica interculturale sotto
diversi punti di vista come ad esempio: (i) lo studiare la migrazione
da punti di vista diversi da quelli tradizionalmente considerati nella
pedagogia interculturale italiana; (ii) l’analizzare un tipo di relazione
interculturale in cui lo studente occupa la posizione di minoranza,
non per necessità, ma per scelta (Baiutti, in corso di pubblicazione).
1.2. Implicazioni per la scuola
Come si è argomentato nei capitoli primo e secondo, gli scenari
socio-educativi contemporanei richiedono che la scuola – intesa come
un contesto eterogeneo (Zoletto, 2012) – non si limiti a trasmettere
agli studenti il sapere, ma debba anche, come sostiene Delors (1996,
tr. it. 1997), educare a vivere assieme giacché, se uno studente ha il
massimo dei voti poiché ha una buona conoscenza disciplinare, ma è
razzista, allora, la scuola e la società hanno fallito. Questa considerazione implica che la scuola debba essere ripensata e debba ripensarsi
in chiave cosmopolita: «education needs to shift from a mono-cultural and nation-centred to an intercultural and international idea of
humanity» (Allemann-Ghionda, 2008, p. 2). Per fare ciò, una delle
possibili strade da percorrere è quella di internazionalizzare la scuola.
In questo volume ci si è concentrati su una delle attività dell’internazionalizzazione della scuola, ovverosia la mobilità studentesca.
Tendenzialmente, si crede che essa abbia un impatto positivo esclusivamente sullo studente che vi ha partecipato. Tuttavia, se invece di
essere subita o osteggiata dalla scuola di appartenenza2, essa venisse
valorizzata e facilitata, potrebbe portare dei benefici (i) sia alla comunità scolastica che (ii) ad altri aspetti della scuola stessa, come il
curricolo.
Per quanto riguarda il primo punto, è ragionevole affermare, anche sulla base dei dati analizzati nello studio qui presentato, che la
condivisione dell’esperienza del singolo, sia mentre è all’estero (ad
2
In questa sede ci si concentra sulla scuola di appartenenza ma è ragionevole ipotizzare, anche sulla base di alcune ricerche empiriche (ad es., Fornasari et al., 2010), che
anche la scuola ospitante tragga, in potenza, benefici dall’avere per un periodo uno studente
internazionale.
124
Protocollo di valutazione Intercultura
es., mediante videochiamate fra la classe di appartenenza e la classe
ospitante) che al rientro (ad es., attraverso una presentazione guidata dell’esperienza di fronte alla classe o all’istituto), possa essere
il pretesto per i compagni e per i docenti di interrogarsi, riflettere
e confrontarsi, non solo su questioni di carattere superficiale, come
potrebbe essere la cultura gastronomica del Paese ospitante, ma anche su aspetti più profondi come i valori, le prospettive sul mondo e
sulla vita. Così facendo, essi potrebbero allargare i propri orizzonti
e sviluppare alcuni aspetti della competenza interculturale come la
curiosità, il pensiero critico, la visione etnorelativa.
Per quanto concerne il secondo punto, è necessario premettere che
la mobilità studentesca pone diverse sfide al sistema scolastico tradizionale (Baiutti, 2017) che vanno dalla dimensione valutativa, a quella
didattica fino ad arrivare a quella del curricolo. Quando queste sfide
vengono colte dagli istituti, esse possono essere l’occasione per un’evoluzione della scuola in chiave internazionale e interculturale in quanto
permettono di andare a scardinare gli impliciti e le pratiche che si sono
arrugginiti nel tempo. Sotto questa luce, gli scambi giovanili internazionali possono essere «una palestra e un laboratorio di innovazione
organizzativa e progettuale e di aggiornamento pedagogico per il corpo insegnanti, di rilettura della propria realtà e delle proprie radici per
gli studenti, di dialogo tra scuola e famiglie, tra scuola ed istituzioni
locali, di apertura all’Europa ed al mondo» (Ruffino, 2002, p. 79).
1.3. Implicazioni per il Ministero
Sebbene lo studio di Briga (2018) abbia messo in luce che il sistema scolastico italiano, nell’ambito del riconoscimento dell’anno
all’estero, sia sulla carta fra i più avanzati d’Europa, vi è ancora molta confusione fra i docenti. Ciò implica che il Ministero dovrebbe
fornire alcuni chiarimenti.
Uno dei chiarimenti più urgenti sembra essere quello inerente
all’assegnazione del credito. Come si è visto nella discussione della
normativa italiana, il Ministero sostiene che per assegnare il credito
sia necessario effettuare una «valutazione globale» (MIUR, 2013)
che si sostanzia in un intreccio fra la dimensione disciplinare e quella
connessa agli aspetti degli apprendimenti interculturali 3. Tuttavia,
3
Il Ministero parla di competenze trasversali. In questa sede, tuttavia, preso atto della
ricerca pedagogia del settore, si è posta particolare enfasi su una delle competenze trasversali: la competenza interculturale.
A scuola di cittadinanza interculturale
125
come messo in luce da alcune ricerche (Baiutti, 2017; Bandinu, 2012;
Fornasari & Schino, 2018; Paolone, 2010), nelle pratiche valutative
adottate dalle scuole ci si concentra essenzialmente sulla dimensione
disciplinare non considerando, o comunque non valutando in modo
strutturato, la competenza interculturale. Preso atto di ciò, con la
pubblicazione del Protocollo Intercultura, si auspica di aver collaborato a migliorare questo panorama offrendo una risposta, basata su
solide basi teoretiche e su una ricerca empirica nazionale, al come valutare la competenza interculturale. Rimane al Ministero esplicitare il
valore, sia qualitativo che quantitativo, di tale valutazione soprattutto
in vista dell’assegnazione del credito scolastico e formativo.
2. Verso una cittadinanza interculturale:
suggestioni pedagogiche
Per concludere questo volume si desidera ora volgere lo sguardo
all’orizzonte di senso in cui comprenderlo, ovverosia la cittadinanza.
Il termine ‘cittadinanza’ è attualmente usato in vari contesti (ad
es., politico, scolastico, giuridico) con diverse finalità; allo stesso
tempo, il concetto sotteso è indagato da angolazioni disciplinari
differenti (ad es., pedagogica, sociologica, giurisprudenziale, storica). Per questo motivo la cittadinanza si presenta come una nozione
complessa, polisemica, in divenire, soggetta a diverse interpretazioni,
alle volte anche contrastanti.
Risulta cruciale porsi la domanda: cosa significa cittadinanza oggi?
Questa domanda, in chiave pedagogica, si intreccia con altre domande quali: come si forma il cittadino? Quali sono le competenze di tale
cittadino? Questi interrogativi non sono oziosi o retorici; giungere a
una risposta – seppur sempre provvisoria – è esistenziale per il sistema scolastico: se la cifra pedagogica della scuola è quella di formare
cittadini, è necessario prima avere un’idea di cosa significhi esserlo.
In altre parole, rispondere a queste domande significa comprendere
le implicazioni pedagogiche e didattiche per definire le modalità con
cui la scuola espleta il proprio compito primario. In questa sede non
si ha la pretesa di fornire una risposta esaustiva4 ai quesiti sopramen4
Per una discussione pedagogica sulla cittadinanza (e l’interculturalità) si veda, fra
i molti, Alread, Byram, e Fleming (2006); Annino (2013); Banks (2004); Byram (2008a);
Byram, Golubeva, Hui e Wagner (2016); Corbucci e Freddano (2018); Fondazione Intercultura (2011); Gundara (2000); Osler e Hugh (2005); Pinto Minerva (2002); Portera, Dusi
e Guidetti (2010); Salmeri (2015); Santerini (2010); Tarozzi (2005, 2015); Tosolini (2007).
126
Protocollo di valutazione Intercultura
zionati quanto, piuttosto, di offrire alcune suggestioni.
Ci si può riferire al termine ‘cittadinanza’ in modo diverso. Vi è
un’idea collegata allo status, ovverosia la cittadinanza formale che
dipende dal sistema giuridico e legislativo di ogni singolo Stato. Vi
è, poi, il concetto di cittadinanza come senso di appartenenza a una
comunità di cittadini. Vi è, infine, una terza prospettiva che è quella che comprende la cittadinanza come ‘practice’5. Partendo dalle
suddette categorie si può affermare che le prime due (status e appartenenza) sono quelle che di volta in volta definiscono dei confini determinando chi è il cittadino (di una nazione, di una comunità, etc.)
e chi è lo straniero; la terza categoria, invece, può essere compresa
come uno spazio-soglia che non pretende di esse superato ma, piuttosto, abitato, praticato. Il praticare la cittadinanza presuppone un
agire la cui arena è il dialogo. Quest’ultimo, nella sua declinazione
interculturale, non va confuso con la dialettica che prevede una sintesi: il dialogo interculturale non è un convincere (o colonizzare) l’altro; è un’apertura verso l’altro e verso un progetto comune6. Ed è in
questa azione dialogica che il concetto di competenza interculturale
acquisisce pedagogicamente senso in quanto è la competenza chiave
che entra in gioco nella dimensione del dialogo così inteso.
Per concludere, la scuola non è solo uno spazio dove apprendere
nozioni attorno alla cittadinanza, ma è anche lo spazio dove esperirla, viverla, (ri)definirla e interiorizzarla. La scuola va (ri)pensata
come un vero e proprio baluardo e laboratorio di quella che Cambi
(2010) definisce «neo-cittadinanza», ovverosia un modello di cittadinanza «plurale, dialogico, in ascesa verso la ‘mondialità’, regolativo
e aperto a meta-regole di laicità e di diritti umani» (p. 32). Pertanto,
oggi la scuola che realmente risponde alla propria ragion d’essere,
cioè formare il cittadino, è la scuola che dà origine a una metanoia
che argina l’analfabetismo interculturale promuovendo la cultura
dell’intercultura.
5
Questa categorizzazione è tratta da Osler e Hugh (2005). Una categorizzazione simile viene proposta anche da Tarozzi (2015).
6
Questa prospettiva sul dialogo interculturale è stata ispitarata dalle conclusioni al
convegno Il silenzio del sacro (Bari, 31 marzo – 2 aprile 2017) tracciate da Roberto Toscano
e da alcune suggestioni filosofiche (ad es., Panikkar, 2002).
Allegati
Allegato 1
Diari di bordo1
Diario di bordo (primo)
Cognome e Nome
Luogo e data di compilazione
Da quanti mesi sei all’estero?
Come ti descriveresti? Descriviti caratterialmente prima della partenza e
oggi. Se lo desideri, puoi iniziare utilizzando alcuni aggettivi.
In questa esperienza hai scoperto qualcosa di te? Se sì, che cosa? Descrivi
in che modo l’hai scoperta.
Quali sono le principali situazioni problematiche, soprattutto da un punto
di vista relazionale (in famiglia, a scuola, con gli amici…), che hai
riscontrato fino a oggi in questa esperienza all’estero e come le hai
affrontate? Parla di un evento in particolare oppure della tua esperienza in
generale.
1
1 pubblicazione come allegati all’articolo
I diari di bordo sono già stati oggetto di
Baiutti, M., & Paolone, A.R. (2018). Il valore pedagogico interculturale del diario di bordo
durante la mobilità studentesca internazionale individuale: La prospettiva degli insegnanti.
Encyclopaideia - Journal of Phenomenology and Education, 22(52), 55-72. Tuttavia, nella
penultima domande del secondo diario di bordo è stata effettuata una lieve modifica che
non ne muta il senso.
130
Protocollo di valutazione Intercultura
Quali sono le esperienze, soprattutto da un punto di vista relazionale (in
famiglia, a scuola, con gli amici…), particolarmente positive che hai avuto
fino a oggi? Come ti sei sentito/a quando le hai vissute? Parla di un
evento in particolare oppure della tua esperienza in generale.
Che cosa stai imparando del contesto dove stai svolgendo la tua
esperienza? Fai qualche confronto con il tuo contesto d’origine. Descrivi
brevemente se hai imparato qualcosa, ad esempio, da un punto di vista
storico, politico, religioso, relazionale, linguistico, sociale, scolastico,
paesaggistico, ecc. (scegli uno o più aspetti tra quelli proposti oppure
aggiungine altri).
Vuoi aggiungere qualcosa?
2
Allegati
131
Diario di bordo (secondo)
Cognome e Nome
Luogo e data di compilazione
Da quanti mesi sei all’estero?
Come ti descriveresti caratterialmente oggi? Se lo desideri, puoi iniziare
utilizzando alcuni aggettivi.
…ripensando al primo diario di bordo, noti delle differenze nella tua
descrizione di oggi rispetto a come ti eri descritto/a nel primo diario di
bordo? Se sì, quali? Secondo te da cosa dipendono?
In questa esperienza all’estero hai scoperto qualcosa di te? Se sì, che
cosa? Descrivi in che modo l’hai scoperta.
…ripensando al primo diario di bordo, noti delle differenze fra ciò che hai
scritto oggi e ciò che avevi scritto nel primo diario di bordo? Se sì, quali?
Secondo te da cosa dipendono?
3
132
Protocollo di valutazione Intercultura
Quali sono le principali situazioni problematiche, soprattutto da un punto
di vista relazionale (in famiglia, a scuola, con gli amici…), che hai
riscontrato nella seconda fase della tua esperienza all’estero e come le hai
affrontate? Parla di un evento in particolare oppure della tua esperienza in
generale.
Quali sono le esperienze, soprattutto da un punto di vista relazionale (in
famiglia, a scuola, con gli amici…), particolarmente positive che hai avuto
nella seconda fase della tua esperienza all’estero? Come ti sei sentito/a
quando le hai vissute? Parla di un evento in particolare oppure della tua
esperienza in generale.
Rispetto al primo diario di bordo, che cosa hai imparato di nuovo del
contesto dove hai svolto la tua esperienza? Fai qualche confronto con il
tuo contesto d’origine. Descrivi e approfondisci brevemente se hai
imparato qualcosa, ad esempio, da un punto di vista storico, politico,
religioso, relazionale, linguistico, sociale, scolastico, paesaggistico, ecc.
(scegli uno o più aspetti tra quelli proposti oppure aggiungine altri).
In questo spazio, inserisci una foto o un video o una canzone o un
disegno (quello che preferisci) che possa simboleggiare la tua esperienza
all’estero e spiega le ragioni della tua scelta.
Vuoi aggiungere qualcosa?
4
Allegato 2
Linee guide per la presentazione
(studente)
Linee guida per la presentazione (Studente)
Per il Protocollo di valutazione Intercultura è previsto che lo/a studente/ssa
che ha partecipato a un progetto annuale all’estero svolga una presentazione
orale di 15/20 minuti rispetto alla propria esperienza.
Pertanto, prepara una presentazione che tocchi i seguenti temi:
CONTESTO OSPITANTE: illustra brevemente il contesto ospitante. Quali
aspetti culturali, valoriali, storici, religiosi, politici etc. hai imparato durante la
tua esperienza all’estero? Quali sono le tue impressioni personali su tale
contesto?
LINGUA E COMUNICAZIONE (svolgi parte di questo tema nella/e
lingua/e del Paese ospitante e predisponi una traduzione): quali sono state le
principali difficoltà, se ci sono state, nell’imparare la/e lingua/e del contesto
ospitante? Alla fine della tua esperienza, ritieni di essere in grado di
mantenere una conversazione con una persona che parla la lingua del contesto
ospitante? Se sì, su quali tematiche (ad es., questioni quotidiane, argomenti
sensibili)?
SCUOLA OSPITANTE2: presenta la scuola ospitante. Come era organizzata
la scuola? Quel era la modalità di insegnamento? Come venivano valutati gli
studenti? Che tipo di rapporto c’era fra insegnante e alunno/a? Confronta tali
aspetti con la tua esperienza scolastica italiana. Descrivi una giornata tipo a
scuola o una lezione che è stata particolarmente significativa.
RELAZIONI: illustra che tipo di relazioni hai instaurato con le persone che
hai incontrato nella tua esperienza all’estero (ad es., famiglia ospitante,
compagni di classe, insegnanti, etc.). Quali difficoltà, se ci sono state, hai
incontrato nel relazionarti con le persone? Come le hai superate? I pregiudizi
e gli stereotipi (tuoi e delle persone che hai incontrato) che ruolo hanno
giocato nel relazionarti? Stai mantenendo alcune relazioni con alcune persone
che hai conosciuto nella tua esperienza? Se sì, con chi e come?
2
Questo tema è stato ispirato da Intercultura (2013). Educare al mondo. Un alunno
5
della mia scuola va all’estero: che cosa posso fare?, Colle di Val d’Elsa: Intercultura.
134
Protocollo di valutazione Intercultura
DESCRIZIONE DI TE: che cosa hai imparato di te stesso/a attraverso questa
esperienza? Come ti descriveresti, prima e dopo, l’esperienza all’estero? Se sei
cambiato/a, come spiegheresti questo cambiamento? Qual è il tuo modo di
vedere le cose e il mondo oggi? Come vedi il tuo futuro?
Sentiti libero/a di organizzare la tua presentazione come vuoi ma ricordati che
devi toccare tutti i temi sopra riportati. È consigliato il supporto di una
presentazione in PowerPoint, Prezi, etc.
6
Allegato 3
Griglie di osservazione della
presentazione guidata (insegnante)
Griglia di osservazione della presentazione guidata (Insegnante)3 – variante 1
La competenza interculturale è “la capacità, basata su conoscenze, abilità e
attitudini interculturali, di comunicare in modo efficace e appropriato in
situazioni interculturali”. Definizione tratta da Deardorff, D. (2006),
Identification and assessment of intercultural competence as a student outcome
of internationalization, Journal of Studies in International Education, 10(3), 241266, trad. it. M. Baiutti.
Mentre lo/a studente/ssa svolge la presentazione guidata della propria
esperienza all’estero, individui e annoti sulla presente griglia osservativa le
eventuali evidenze riguardanti lo sviluppo delle attitudini, delle conoscenze e
delle abilità connesse alla competenza interculturale.
ATTITUDINI
(ad es., curiosità verso persone che percepisce come aventi background culturali
diversi; apertura a sperimentare nuove esperienze; rispetto verso le idee, le
credenze, i punti di vista di altre persone; interesse verso questioni globali come
l’ecologia, i diritti umani).
………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………
CONOSCENZE
(ad es., autoconsapevolezza culturale; comprensione della complessità della propria
identità; consapevolezza che i contesti culturali influenzano il modo di vedere il
mondo, i valori, etc. di una persona; conoscenza della/e lingua/e del Paese
ospitante; conoscenza degli aspetti storico-culturali, geografici, antropologici e
politici del contesto ospitante).
………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………
7
3
Questa griglia osservativa è stata ispirata dalla Scheda Interpretativa elaborata da
Fondazione Intercultura e Intercultura per il webinar «Competenze disciplinari e interculturali sviluppate durante un soggiorno di studio all’estero», 27 maggio 2015, http://www.
scuoleinternazionali.org/Formazione/
136
Protocollo di valutazione Intercultura
ABILITÀ
(ad es., pensiero critico; abilità di fare comparazioni critiche; abilità di adattare i
propri comportamenti e stili comunicativi al contesto socio-culturale; abilità di
relativizzare il proprio punto di vista; abilità di gestione e di risoluzione dei
conflitti culturali).
………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………
………………………………………………………………………………………
8
137
Allegati
Griglia di osservazione della presentazione guidata (Insegnante)4 - variante 2
La competenza interculturale è “la capacità, basata su conoscenze, abilità e
attitudini interculturali, di comunicare in modo efficace e appropriato in
situazioni interculturali”. Definizione tratta da Deardorff, D. (2006),
Identification and assessment of intercultural competence as a student
outcome of internationalization, Journal of Studies in International Education,
10(3), 241-266, trad. it. M. Baiutti.
Mentre lo/a studente/ssa svolge la presentazione guidata della propria
esperienza all’estero, individui il livello di sviluppo (su una scala da 1 a 5) di
ciascuna delle dimensioni riportate.
1
2
3
RISPETTO: Il rispetto interculturale
consiste nel ritenere che le persone e le
culture diverse dalla propria abbiano un
valore e un’importanza in sé (ad es., lo
studente apprezza e valorizza le diversità
culturali).
APERTURA: L’apertura interculturale
implica il desiderio di interagire con idee,
prospettive e persone diverse da sé (ad es.,
lo studente cerca di interagire con altre
persone senza avere dei preconcetti).
CURIOSITÀ: La curiosità interculturale è
il desiderio di conoscere nuove idee,
prospettive, contesti e persone (ad es., lo
studente è interessato a prospettive religiose
e/o politiche diverse dalle sue; durante un
incontro interculturale fa domande quando
non capisce qualcosa).
1
2
3
4
5
1
2
3
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5
1
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5
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4
Questa griglia osservativa è stata ispirata da uno strumento elaborato da Berardo e
Deardorff (2012) e ripreso dalla ricerca in corso DICTAM (Developing Intercultural Competence Through Adolescents’ Mobility) a cura della Fondazione Interultura (M. Baiutti, D.
K. Deardorff e R. Ruffino).
138
Protocollo di valutazione Intercultura
4
FLESSIBILITÀ: La flessibilità
interculturale è la capacità di adattare il
proprio comportamento alle diverse
situazioni e persone con cui ci si relaziona
(ad es., lo studente si adatta facilmente ad
abitudini di vita quotidiana – cibo, orari,
vestiario, limitazione della liberà personale,
ecc. – diverse dalle sue).
CONOSCENZE CULTURALI
SPECIFICHE: Le conoscenze culturali
specifiche sono le conoscenze degli aspetti
storici, geografici, linguistici, religiosi,
politici, sociali, economici ecc. del Paese
ospitante (ad es., lo studente conosce alcuni
aspetti alla storia del Paese ospitante).
CONSAPEVOLEZZA
SOCIOLINGUISTICA: La
consapevolezza sociolinguistica è la
capacità di parlare in modo appropriato ai
contesti sociali di ogni cultura e cioè in
modo accettabile per le altre persone
coinvolte nella comunicazione (ad es., lo
studente, durante un incontro
interculturale, cerca di adattare le parole
che utilizza alla persona – insegnante,
compagno di classe, amico, genitori – con
cui parla).
ABILITÀ DI PARLARE LA/E
LINGUA/E DEL PAESE OSPITANTE:
Parlare la/e lingua/e del Paese ospitante
significa che lo studente è in grado di
mantenere una conversazione con una
persona che parla la lingua del Paese
ospitante (ad es., lo studente era in grado
di parlare della propria giornata a scuola
con la famiglia ospitante).
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Allegati
8
ASCOLTARE PER COMPRENDERE:
L’ascoltare per comprendere è la capacità
di focalizzarsi su una persona di un’altra
cultura ascoltandola attentamente con
l’intenzione di comprenderne le sue
motivazioni, esperienze, emozioni ecc. (ad
es., lo studente, ascoltando un punto di
vista differente dal suo, prova a
comprendere l’emozione dell’altro).
11
1
2
3
4
5
Allegato 4
Prove di realtà (esempio)5
Prove di realtà
Indicazioni
Leggi attentamente le tre prove proposte e le relative richieste. In seguito,
rispondi alle domande. Per la compilazione delle tre prove hai a disposizione 45
minuti.
1° PROVA - DOVE SEI “DEL POSTO”?
Taiye Selasi (1979-) è una scrittrice e fotografa contemporanea. Nel 2013 è
uscito il suo primo romanzo La bellezza delle cose fragili (titolo originale:
Ghana Must Go). È stata una giudice (assieme ad Andrea De Carlo e Giancarlo
De Cataldo) del primo talent show letterario al mondo – Masterpiece – andato
in onda su Rai 3 a partire dal novembre 2013.
Taiye ha partecipato all’incontro TEDGlobal 2014 (www.ted.com) con una
presentazione intitolata “Don’t ask where I’m from, ask where I’m a local” in cui
ha esplorato il ruolo delle relazioni rispetto alla formazione delle identità
multiple.
Taiye inizia la sua presentazione dicendo:
«L'anno scorso ho fatto il mio primo tour promozionale [per presentare il proprio
libro al pubblico]. In 13 mesi ho attraversato 14 paesi tenendo centinaia di
conferenze. Ogni volta, in ogni paese si cominciava con una presentazione, e ogni
presentazione cominciava, ahimè, con una bugia: “Taiye Selasi viene dal Ghana
e dalla Nigeria” o “Taiye Selasi viene dall'Inghilterra e dagli Stati Uniti”. Ogni
volta, ascoltando questa frase introduttiva indipendentemente da come finisse,
Inghilterra, America, Ghana, Nigeria, pensavo: “Ma non è vero!”. Sì, sono nata in
Inghilterra e cresciuta negli Stati Uniti. Mia mamma è nata in Inghilterra ed è
cresciuta in Nigeria, attualmente risiede in Ghana. Mio padre è nato in Costa
d'Oro, una colonia inglese, è cresciuto in Ghana e ha vissuto per oltre 30 anni
nel regno dell'Arabia Saudita. Per questo motivo, presentandomi, mi
chiamavano “multinazionale”. “Ma la Nike è multinazionale” pensavo io. “Io
sono un essere umano”».
12
Questo strumento non ha subito modifiche rispetto a quello consegnato agli insegnanti durante la ricerca empirica in quanto esso dovrebbe essere progettato nuovamente
ogni anno.
5
Allegati
141
Quesito A.1
Quali sono le DUE affermazioni che potrebbero meglio spiegare il motivo per
cui Taiye ritiene una bugia ciò che veniva detto per presentarla all’inizio degli
incontri promozionali?
(A) Descrivere una persona come multinazionale è offensivo.
(B) È riduttivo descrivere una persona esclusivamente rispetto alle nazioni in
cui è nata ed è vissuta.
(C) Il fatto che i genitori siano nati e vissuti in determinate nazioni non vuol
dire che i propri figli siano vissuti nelle stesse nazioni.
(D) L’essere umano è complesso, pertanto non è sufficiente elencare le nazioni
in cui è nato e vissuto per presentarlo.
Nella continuazione del suo discorso Taiye dice:
«La differenza tra “Da dove vieni?” e “Dove sei del posto?” [“Where are you a
local?”] non è nella specificità della risposta; è nell'intenzione della domanda.
Sostituire il linguaggio della nazionalità con quello della località ci richiede di
spostare l'attenzione a dove ha luogo la vita reale».
E aggiunge:
«Per chiarire, non sto dicendo di abolire i paesi. Ce n’è da raccontare sulle storie
nazionali e più ancora sugli stati sovrani. La cultura nasce dalla comunità e la
comunità nasce da un contesto. Geografia, tradizione, memoria collettiva: sono
tutte molto importanti. Io metto in discussione la gerarchia. Tutte quelle
presentazioni nel tour iniziavano riferendosi alla nazione, come se conoscere il
paese di provenienza rivelasse al pubblico chi ero».
Quesito A.2
In base a quello che dice Taiye, quali sono le DUE affermazioni che
potrebbero meglio spiegare perché bisognerebbe sostituire la domanda “Da
dove vieni?” con quella “Dove sei del posto?” [“Where are you a local?”]?
(A) La domanda “Da dove vieni?” nasconde l’idea che se si sa da quale nazione
provenga una persona allora si ha l’illusione di sapere chi è la persona con cui si
parla (il suo modo di vedere il mondo, la sua lingua, i suoi valori, ecc.).
(B) Il linguaggio della nazione (“Da dove vieni?”) è un linguaggio che produce
stereotipi.
(C) La domanda “Da dove vieni?” è una domanda che focalizza l’attenzione su
una dimensione virtuale.
(D) Quando si chiede “Dove sei del posto?” [“Where are you a local?”] si
pone attenzione alla persona con cui si sta parlando e alla realtà in cui vive.
13
142
Protocollo di valutazione Intercultura
Taiye conclude il suo intervento dicendo:
«Il mito dell'identità nazionale e del vocabolario del “venire da” ci fa cadere nella
trappola del collocarci in categorie che si escludono l’un l’altra. In realtà, siamo
tutti multi... multilocali, multistrato. Iniziare la conversazione con il riconoscere
questa complessità ci avvicina agli altri, credo, invece che allontanarci. Perciò la
prossima volta che verrò presentata, mi piacerebbe sentire la verità: "Taiye Selasi
è un essere umano, come tutti qui. Non è una cittadina del mondo ma una
cittadina di mondi. È del posto a New York, Roma e Accra”».
Quesito A.3
Quali sono le DUE affermazioni che potrebbe meglio sintetizzare quanto
affermato da questa citazione di Taiye?
(A) Siamo tutti cittadini e cittadine di mondi.
(B) Il cosmo è multi…
(C) Il linguaggio che non semplifica la complessità dell’essere umano è quello
che ci avvicina agli altri.
(D) Non veniamo da una sola nazione.
Quesito A.4
Se ti trovassi davanti a un pubblico di persone che è venuto a sentirti, come ti
presenteresti?
……………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………
2° PROVA - IL CIRCOLO DI DIBATTITO
Nella tua scuola, il Collegio dei docenti ha deciso di creare la Giornata del
dibattito. Durante questa giornata ogni classe diventa un “circolo di dibattito”
in cui si affronta un argomento come ad esempio l’eutanasia, il reddito di
cittadinanza, i vaccini obbligatori, ecc. In una classe, l’insegnante decide di
trattare l’argomento della pena di morte partendo dalla lettura di un articolo
apparso su AFP e tradotto in italiano per il sito web www.internazionale.it.
14
Allegati
143
Di seguito vengono riportati alcuni estratti.
«Rodrigo Duterte, il sindaco della grande città meridionale di Davao eletto
presidente delle Filippine con un programma molto duro contro la criminalità, si
è impegnato a ripristinare la pena di morte e ad autorizzare la polizia a “sparare
per uccidere”.
Nel corso della sua prima conferenza stampa dopo la sua elezione, il 9 maggio,
Duterte, 71 anni e avvocato, accusato dal presidente uscente Benigno Aquino di
essere un potenziale dittatore, ha voluto spiegare in dettaglio il suo programma
contro la criminalità. […]
“Chiederò al congresso di ripristinare la pena di morte per impiccagione”, ha
aggiunto, appoggiando l’uso della pena capitale – abolita nel 2006 – per i reati di
traffico di droga, stupro, omicidio e furto. Come metodo preferirebbe
l’impiccagione al plotone di esecuzione, spiegando di non voler sprecare proiettili
e che il patibolo è più umano».
Dopo la lettura dell’articolo l’insegnante chiede agli studenti cosa ne pensano.
Greta: “La pena di morte va contro i diritti umani. Non credo che reinserire la
pena di morte sia giusto, neanche per i crimini più feroci”.
Laura: “In linea di principio siamo tutti d’accordo che la pena di morte non è una
cosa bella ma quanto costa allo Stato – e quindi ai cittadini – il mantenimento in
carcere dei criminali? Credo che questo presidente faccia bene a reinserire la pena
di morte”.
Roberto: “Laura, ma dai!?! Ti pare che si possa uccidere una persona per
furto?!?! Nell’articolo si dice che si reinserisce la pena di morte anche per il
furto! Mi sembra assurdo!”
Valentino: “Tutte le persone possono sbagliare e tutte le persone possono
cambiare, quindi bisogna dare una possibilità ai criminali, anche se questo costa”.
Luca: “Queste sono le cose che dicono i buonisti che non vogliono fare i conti
con la realtà. Per quale motivo i cittadini dovrebbero pagare il mantenimento di
un criminale? E poi c’è anche la crisi economica!?!? É meglio che uno Stato si
occupi dei poveri piuttosto che dei criminali!”.
Alessia: “La pena di morte non è la soluzione a questi problemi! Bisognerebbe,
piuttosto, investire sull’educazione sia in famiglia che a scuola. L’educazione
infatti ridurrebbe i crimini e quindi non ci sarebbero così tanti criminali da
mantenere in prigione”.
Quesito B.1
Ogni studente ha fornito un’argomentazione per giustificare la propria
posizione a favore o meno della pena di morte. Quali fra le seguenti
argomentazioni sono presenti e quali no fra quelle avanzate dagli studenti?
Sottolinea “PRESENTE” se ritieni che l’argomentazione sia presente;
15
144
Protocollo di valutazione Intercultura
sottolinea “NON PRESENTE” se ritiene che l’argomentazione non sia
presente fra quelle fornite dagli studenti.
(A)
(B)
(C)
(D)
La criminalità potrebbe diminuire grazie
all’educazione
La pena di morte risolve le crisi
economiche
Uccidere una persona, anche se criminale,
è contro i diritti dell’essere umano
La pena di morte è una delle possibili
soluzioni per ridurre le spese dello Stato
(E)
I criminali possono cambiare
(F)
La pena di morte scoraggia gli atti
criminali
Presente /
Non presente
Presente /
Non presente
Presente /
Non presente
Presente /
Non presente
Presente /
Non presente
Presente /
Non presente
Nel dibattito interviene una studentessa straniera che sta partecipando a un
programma di studio annuale in Italia e dice:
Argin: “Nel mio Paese c’è la pena di morte anche se praticamente non viene
applicata quasi mai. Possono passare anni senza che la pena di morte venga
usata”.
Intervengono anche altri compagni di classe:
Greta: “Allora se non viene applicata mai, per quale motivo c’è la pena di morte
nel tuo Paese? C’è qualche motivo specifico? Non capisco. Mi piacerebbe
comprendere meglio la posizione del tuo Paese”.
Argin: “Le poche volte in cui è applicata è quando ci sono casi molto molto molto
gravi, quindi non per furto come nel caso dell’articolo! Ad esempio viene
utilizzata se una persona entra in un centro commerciale e uccide decine di
persone senza motivo. In casi come questo, viene applicata la pena di morte
perché si pensa che così si scoraggino altre persone a commettere atti simili”.
Arturo: “Ma questo è intollerabile! Uccidere una persona per educare le altre!
Che stupidaggine!!!”.
Argin: “Non capitemi male… Io… Io… non sono per la pena di morte e credo
profondamente nel valore dei diritti umani. Dico semplicemente quello che
succede nel mio Paese”.
16
Allegati
145
Quesito B.2
Quali sono le DUE giustificazioni più probabili che spiegano perché Greta
pone la domanda (Greta aveva detto di essere contro la penda di morte nel
dialogo precedente)?
(A) Greta cambia idea sulla pena di morte.
(B) Greta vuole manifestare apertura ad Argin.
(C) Greta non vuole prendere posizione rispetto all’uso della pena di morte
applicata nel Paese di Argin.
(D) Per creare un dialogo costruttivo con Argin, Greta – a differenza di Arturo
– desidera capire le motivazioni della posizione del suo Paese.
L’insegnante decide di assegnare un’attività alla classe concernente la pena di
morte per raccogliere del materiale e far riflettere la classe.
Quesito B.3
Quale potrebbero essere le DUE attività più efficaci per far riflettere la classe
sulla pena di morte?
(A) Cercare dei titoli di giornale sulla pena di morte e commentarli.
(B) Dividere la classe in tre gruppi e a ogni gruppo assegnare un Paese (gruppo
A – Italia; gruppo B – Filippine; gruppo C – Paese di Argin) e chiedere loro di
fare una breve ricerca sulla storia della pena di morte del Paese assegnato.
(C) Chiedere di intervistare persone in Italia, nelle Filippine (via Skype; nella
classe qualcuno dice di avere un amico nelle Filippine che parla l’inglese) e nel
Paese di Argin (via Skype; la classe d’origine di Argin durante la loro ora
d’inglese) rispetto alla loro idea e a quella generale del Paese sulla pena di
morte.
(D) Vedere un film sulla pena di morte e fare un’analisi del film.
Quesito B.4
Se ti trovassi a discutere con una persona di un tema (come ad esempio la pena
di morte) su cui avete due prospettive completamente diverse, come ti
comporteresti? Quali sono le cose che faresti?
……………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………
17
146
Protocollo di valutazione Intercultura
3° PROVA - EXCHANGE STUDENT
Con l’inizio del nuovo anno scolastico, nella tua scuola viene ospitato un
exchange student (16 anni). L’exchange student resterà nella tua scuola per un
anno scolastico, sarà ospitato da una famiglia che abita vicino alla scuola
(l’unica figlia della famiglia ospitante frequenta la tua scuola e ha 17 anni) e
non parla l’italiano.
Poiché tu sei rientrato da poco da un’esperienza simile, una tua insegnante ti
chiede dei consigli per come poter facilitare l’inserimento nella classe
dell’exchange student.
Quesito C.1
Scrivi di seguito che cosa consiglieresti alla tua insegnante.
……………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………
Dopo tre mesi dal suo arrivo, l’exchange student ti chiede un consiglio perché
ha alcune difficoltà relazionali con i suoi compagni di classe:
Exchange student: “Dopo un primo momento in cui tutti i miei compagni di
classe mi facevano domande sul mio Paese, sulla mia famiglia, la mia scuola ora
non mi considerano più. È come se io non ci fossi in classe. I miei compagni
organizzano degli incontri al parco o delle cene ma non mi invitano. Non so cosa
fare. Mi sento solo. Io ci sto male. Cosa devo fare? Come mi devo comportare? È
successo anche a te? Mi puoi dare qualche consiglio?”.
Quesito C.2
Scrivi di seguito che cosa diresti all’exchange student.
……………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………
……………………………………………………………………………………
18
Allegati
147
CHIAVI PER L’INSEGNANTE
Quesito A.1
Risposta corretta: (B) e (D)
Risposta parzialmente corretta: (B) o (D)
Risposta non corretta:
• Altre risposte ovverosia (A) e (C)
• Nessuna risposta
Quesito A.2
Risposta corretta: (A) e (D)
Risposta parzialmente corretta: (A) o (D)
Risposta non corretta:
• Altre risposte ovverosia (B) e (C)
• Nessuna risposta
Quesito A.3
Risposta corretta: (A) e (C)
Risposta parzialmente corretta: (A) o (C)
Risposta non corretta:
• Altre risposte ovverosia (B) e (D)
• Nessuna risposta
Quesito A.4
Risposta attesa
Nella risposta ci si attende che lo studente evidenzi aspetti che siano
connessi a una prospettiva non semplicistica di sé. Ad esempio: lo studente
si descrive non limitandosi a evidenziare la propria identità nazionale; lo
studente potrebbe mettere in luce il fatto che i propri valori,
comportamenti, modi di vedere il mondo etc. sono influenzati dalle
persone che ha incontrato.
19
148
Protocollo di valutazione Intercultura
Quesito B.1
Risposte corretta:
(A) PRESENTE / non presente
(B) presente / NON PRESENTE
(C) PRESENTE / non presente
(D) PRESENTE / non presente
(E) PRESENTE / non presente
(F) presente / NON PRESENTE
Quesito B.2
Risposta corretta: (B) e (D)
Risposta parzialmente corretta: (B) o (D)
Risposta non corretta:
• Altre risposte ovverosia (A) e (C)
• Nessuna risposta
Quesito B.3
Risposta corretta: (B) e (C)
Risposta parzialmente corretta: (B) o (C)
Risposta non corretta:
• Altre risposte ovverosia (A) e (D)
• Nessuna risposta
Quesito B.4
Risposta attesa
Nella risposta ci si attende appaiano alcuni dei seguenti aspetti:
• lo studente manifesta rispetto per l’interlocutore;
• lo studente cerca di argomentare la propria posizione;
• lo studente pone delle domande per comprendere la posizione
dell’interlocutore;
• lo studente dimostra di essere aperto al confronto e al dialogo.
Quesito C.1 e Quesito C.2
Suggerimenti
Per comprendere quali componenti della competenza interculturale sono
presenti in ciò che ha scritto lo studente e a che livello è opportuno leggere
il testo dello studente individuando quali elementi sono presenti nella
rubrica valutativa progettata per il Protocollo di valutazione Intercultura.
20
Allegato 5
Scheda per la raccolta di osservazioni
proprie e di terzi
Scheda per la raccolta di osservazioni proprie e di terzi
Scheda n.: ………
Luogo e data di compilazione: ……………………
Cognome e nome dello studente osservato: ………………………………
Tipologia della nota:
osservazione del docente compilatore di un avvenimento in cui lo
studente manifesta lo sviluppo della competenza interculturale
osservazione di terzi, e comunicata al docente compilatore, di un
avvenimento (o di un insieme di avvenimenti) in cui lo studente manifesta
lo sviluppo della competenza interculturale
Se la nota riporta un’osservazione di terzi segnalare chi è:
dirigente scolastico
insegnante (diverso dal compilatore)
genitore
compagno/a di classe
collaboratore/rice scolastico/a
altro (specificare) _____________________________________
Breve descrizione dell’avvenimento
…………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………
Eventuali commenti
…………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………
…………………………………………………………………………………
Firma del docente compilatore:
21
Allegato 6
Rubrica valutativa
Mobilità studentesca internazionale individuale
Valutazione e valorizzazione della competenza interculturale
Lo/a studente/ssa (cognome) ……………………………………………………… (nome)……………………………………………
iscritto/a presto l’Istituto …………………………………………………………………………………………………………………
nella classe ………… sez. ………………. nell’anno scolastico ……………………… ha partecipato a un programma di mobilità
studentesca internazionale individuale in (Paese) …………………………………. dal …………………… al ……………………
I dati per la compilazione della rubrica valutativa concernente la competenza interculturale sono stati raccolti mediante i seguenti
strumenti (segnare quelli utilizzati):
Diari di bordo compilati il (data)……………………………… e il (data)……………………………… ………………………..
Presentazione guidata svolta il (data) ………………………………………………………………………………………………
Prove di realtà svolte il (data)……………………………………………………… ………………………………………………
Osservazioni
Altro materiale (specificare, ad es. documenti prodotti dalla scuola ospitante) …………………………………………………….
Luogo e data ________________________
Dirigente Scolastico o suo delegato
_____________________
Valutazione e valorizzazione della competenza interculturale
Rubrica valutativa
La competenza interculturale è “la capacità, basata su conoscenze, abilità e attitudini interculturali, di comunicare in modo efficace e appropriato in situazioni interculturali”. Definizione tratta
da Deardorff, D.K. (2006), Identification and assessment of intercultural competence as a student outcome of internationalization, Journal of Studies in International Education, 10(3): 241-266,
trad. it. M. Baiutti.
CRITERI
ATTITUDINI
Curiosità
- Manifestare interesse a
interagire e creare relazioni
con persone percepite
come aventi background
culturali diversi6.
Rispetto per le diversità
- Rispettare le persone;
- Rispettare le idee, i valori,
le credenze, i punti di vista
etc. di altre persone.
LIVELLO BASE
Manifesta il desiderio di interagire con persone
percepite come aventi background culturali
diversi.
Ad es., chiede all’insegnante di partecipare a un
incontro organizzato da un’altra classe con un
gruppo di studenti stranieri.
Riconosce le persone come eguali (senza
distinzioni di genere, lingua, religione, etc.).
Ad es., in una discussione in classe sugli stipendi
sostiene che uomini e donne dovrebbero ricevere
uguale trattamento economico per il medesimo
lavoro.
LIVELLO INTERMEDIO
Interagisce con persone percepite come aventi
background culturali diversi.
Ad es., si propone come peer tutor [tutor fra pari] per
uno studente straniero che è arrivato nella sua scuola
con un programma annuale di mobilità studentesca.
Rispetta (senza necessariamente condividere) le
idee, i valori, le credenze, i punti di vista etc. diversi
dai propri (purché non violino i diritti umani).
Ad es., descrive alcuni comportamenti della famiglia
ospitante che erano molto diversi da quelli della
propria senza giudicarli in modo negativo.
LIVELLO AVANZATO
Crea e mantiene relazioni significative con
persone percepite come aventi background
culturali diversi.
Ad es., mantiene un forte legame con alcuni
amici conosciuti durante l’esperienza
all’estero.
Cerca di creare momenti di dialogo con
persone che hanno idee, valori, credenze,
punti di vista etc. diversi dai propri.
Ad es., come rappresentante degli studenti,
durante un’assemblea scolastica dedicata al
tema dell’immigrazione, fa in modo che a
parlare ci siano persone che la pensano
diversamente su tale argomento.
Allegati
6
Gli indicatori presenti nei criteri sono tendezialmente tratti da Baiutti, M. (2017). Competenza interculturale e mobilità studentesca. Riflessioni
pedagogiche per la valutazione. Pisa: ETS.
151
CONOSCENZE
- Essere in grado di
mantenere una
conversazione con una
persona che parla la lingua
del contesto ospitante.
Conoscenza del
contesto ospitante
- Manifestare di aver
acquisito le principali
nozioni storico-culturali e
antropologiche del
contesto ospitante;
- Manifestare di aver
compreso le principali
strutture e dinamiche
politiche del Paese
ospitante.
7
LIVELLO INTERMEDIO
LIVELLO AVANZATO
È in grado di analizzare come le proprie esperienze
e i gruppi culturali con cui è entrato in contatto
abbiano contribuito alla formazione della propria
identità culturale.
Ad es., racconta come le parole di un compagno di
classe della scuola ospitante lo abbiano fatto riflettere
su alcuni dei propri presupposti culturali.
Descrive in modo articolato e maturo la
propria identità culturale.
È in grado di gestire scambi comunicativi molto
brevi su questioni note e usuali con una persona
che parla la lingua del contesto ospitante
(Livello A1 o A2 del QCER7).
Ad es., è in grado di chiedere un biglietto
dell’autobus; è in grado di salutare; è in grado di
presentarsi.
È in grado di mantenere una conversazione su
argomenti noti o generali con una persona che parla
la lingua del contesto ospitante (Livello B1 o B2 del
QCER).
Ad es., è in grado di raccontare la propria giornata a
scuola esprimendo opinioni e interessi.
È in grado di mantenere una conversazione
su argomenti complessi e non noti con una
persona che parla la lingua del contesto
ospitante (Livello C1 o C2 del QCER).
Ad. es., è in grado di parlare di questioni
politiche argomentando la propria posizione e
comprendendo quella dell’interlocutore.
Riconosce alcuni aspetti culturali del contesto in
cui ha svolto l’esperienza.
Descrive in modo articolato alcuni aspetti culturali
del contesto in cui ha svolto l’esperienza.
Ad es., identifica alcune pratiche religiose del
Paese ospitante.
Ad es., espone alcuni eventi storici del Paese
ospitante; espone la geografia del Paese ospitante;
descrive le principali istituzioni politiche del Paese
ospitante.
Crea connessioni fra diversi aspetti culturali
(ad es., fra storia e pratiche culturali) del
contesto in cui ha svolto l’esperienza.
Ad es., riporta di aver assistito a diverse
funzioni religiose e le descrive sottolineando i
rapporti fra la dimensione spirituale e il Paese
ospitante.
Ad es., afferma che il proprio modo di vedere il
mondo, i propri valori etc. sono influenzati dalle
proprie esperienze, amicizie, educazione etc.
Quadro Comune Europeo di Riferimento per le Lingue.
Ad es., è in grado di fornire motivazioni alle
proprie emozioni, azioni, valori etc. che vanno
al di là di semplicistici stereotipi nazionali.
Protocollo di valutazione Intercultura
- Manifestare
consapevolezza che i
gruppi culturali e i vissuti
personali influenzano le
identità culturali delle
persone;
- Manifestare
consapevolezza di sé, delle
proprie capacità,
potenzialità come dei
propri limiti.
Conoscenza della lingua
del Paese ospitante
LIVELLO BASE
È consapevole che i gruppi culturali e i vissuti
personali influenzano le identità culturali delle
persone.
152
CRITERI
Autoconsapevolezza
culturale
CRITERI
LIVELLO BASE
Riconosce alcune diversità fra il contesto
ospitante e il contesto d’origine.
Abilità di pensiero critico
- Svolgere delle
comparazioni critiche.
ABILITÀ
Abilità di adattamento
- Adattare i propri
comportamenti e stili
comunicativi a nuovi
contesti socio-culturali.
Abilità di gestione del
disaccordo/conflitto
culturale8
È consapevole che in alcune situazioni è
necessario adattare il proprio comportamento e
lo stile comunicativo in base al contesto e
all’interlocutore.
Ad es., afferma che quando incontra una persona
che non ha una buona conoscenza della sua lingua
usa parole più semplici.
È disponibile all’ascolto per comprendere il
punto di vista dell’altro.
Sospende il giudizio come prima risposta.
Ad es., quando un suo compagno di classe gli dice
di essere a favore della pena di morte – mentre lui
non lo è – reagisce non giudicando il compagno
ma chiedendogli perché la pensa così.
LIVELLO AVANZATO
Avanza ipotesi che cercano di spiegare alcune
diversità fra il contesto ospitante e il contesto
d’origine.
Ad es., spiega perché, dal suo punto di vista, nel
contesto ospitante si studiano poco le materie
umanistiche.
Ad es., in una gita scolastica in un Paese in cui non
era mai stato prima cerca di comportarsi
appropriatamente.
Argomenta all’interlocutore le ragioni del proprio
punto di vista.
Ad es., si sente a proprio agio a parlare con
diverse persone in una varietà di situazioni nel
contesto ospitante.
Comprende le argomentazioni alla base del
punto di vista dell’interlocutore anche se non le
condivide.
Si sforza di coinvolgere l’interlocutore nella
ricerca comune di una mediazione.
Ad es., pur non condividendo, spiega alla classe
che secondo il compagno la pena di morte è un
deterrente per la criminalità.
Ad es., spiega al suo compagno di classe che secondo
lui la pena di morte è contro i diritti umani.
Riesce ad adattare con naturalezza il proprio
comportamento e lo stile comunicativo a
situazioni socio-culturali non familiari.
8
Con disaccordo e conflitto culturale in questa sede si intende l’incompatibilità di questioni etiche e morali fra due o più soggetti che si percepiscono come aventi background culturali differenti (Baiutti, 2017).
Allegati
- Gestire un
disaccordo/conflitto
culturale in prospettiva
interculturale.
Ad es., presenta le principali diversità fra il
sistema scolastico del Paese ospitante e quello del
Paese d’origine.
LIVELLO INTERMEDIO
Descrive alcuni punti di forza e alcuni punti di
debolezza sia del contesto ospitante che del
contesto d’origine.
Ad. es., sostiene che la modalità didattica del lavoro
di gruppo sperimentata nella scuola ospitante gli ha
permesso di capire come mediare fra posizioni diverse
e allo stesso tempo sostiene che la modalità di studio
della scuola d’origine consente di imparare a creare
connessioni interdisciplinari.
Si sforza di adattare il proprio comportamento e lo
stile comunicativo a situazioni socio-culturali non
familiari.
153
Spazio per aggiungere eventuali commenti
154
Protocollo di valutazione Intercultura
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Edizioni ETS
Palazzo Roncioni - Lungarno Mediceo, 16, I-56127 Pisa
info@edizioniets.com - www.edizioniets.com
Finito di stampare nel mese di luglio 2019
L
a mobilità studentesca internazionale è una delle strade maestre per
formare cittadini interculturali. Questa esperienza di apprendimento
e di vita sta coinvolgendo un numero sempre maggiore di giovani. Diverse sono le sfide pedagogiche, didattiche e metodologiche che essa pone
alla scuola e alla ricerca. Una delle più significative è quella connessa al
come valutare gli apprendimenti acquisiti all’estero.
Basandosi sulla principale letteratura internazionale, nella prima parte del
volume si indaga e problematizza in chiave pedagogica il contesto dello
studio: l’internazionalizzazione della scuola, la mobilità studentesca e la
competenza interculturale. Nella seconda parte si presenta una ricerca teorico-pratica che ha dato origine al Protocollo di valutazione Intercultura:
uno strumento innovativo progettato perché le scuole possano valutare la
competenza interculturale degli studenti che hanno partecipato a un programma annuale di studio all’estero. La ricerca ha coinvolto più di cento
docenti da quasi tutta Italia e un gruppo internazionale di esperti.
Mattia Baiutti, Dottore di Ricerca (Doctor Europaeus) in Studi Umanistici (indirizzo:
Scienze dell’Educazione), collabora come ricercatore e formatore con la Fondazione
Intercultura. È stato Assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Udine dove
ha curato lo studio Protocollo di valutazione Intercultura. È stato Visiting Ph.D. Researcher presso la School of Education alla Durham University (UK); ha collaborato come
consulente per l’OCSE PISA e per il Consiglio d’Europa. È autore di diversi articoli in
riviste nazionali e internazionali concernenti l’internazionalizzazione della scuola, l’educazione interculturale, la mobilità studentesca, la competenza interculturale e la sua
valutazione. Ha pubblicato il volume Competenza interculturale e mobilità studentesca
(ETS, Pisa 2017).
€ 17,00