In collaborazione con l’Istituto Superiore Regionale Etnografico della Sardegna
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[ETNOGRAFIE DEL CONTEMPORANEO: PRATICHE E TEMI DEGLI ANTROPOLOGI]
Abruzzo-Terremoto (Ciccozzi - Spitilli), Ambiente (Breda), Artigianati (Caoci), Autobiografie
(Angioni), Cloni (de Sanctis Ricciardone), Corpi (Truglia), Creatività culturale (Favole),
Crocefisso (Gallini), Cultura materiale (Turci), Cultura popolare (Dei), Dipendenza (Solinas),
Dna (Trupiano), Dono (Aria), Età (Simonicca), Famiglie migranti (Giorgi), Festa (Grimaldi),
Fiducia (Fasulo), Genere (Da Re), Guerra (De Lauri), Impoverimento culturale (Remotti),
Impresa (Papa), Intellettuali (Pizza), Ipermercato (Mantoani), Località (Lai), Media (Vereni),
Memoria (Di Pasquale), Mercati (Aime), Metropoli (Canevacci), Musica (Macchiarella),
Neuroscienze (Piasere), Paese (Grì), Passato (Cossu), Pastori (Maxia), Possessione (Talamonti),
Rievocazioni (Mugnaini), Rifugiati (Sorgoni), Rimpatrio (Rossi), Rito (Broccolini), Saperi
(Tiragallo), Scambio (Pavanello), Scienza (Ronzon), Sistema arte (Ferracuti), Sistemi medici
(Schirripa), Sofferenza (Beneduce), Sud (Mirizzi), Territorio (Scarpelli), Turismo (Satta),
World music (Caruso)
quadrimestrale|anno 8|numero 22|speciale 2009|! 15,00
Spedizione in A.P.D.L. 353/2003 (convertito in L. 27/02/04 n. 46) art. 1 comma 1-DCB-BO
In caso di mancato recapito inviare a Imola UDR per la restituzione al mittente previo pagamento “resi”
2
sommario
pag. 3
etnografie
del contemporaneo
Ambiente
Abruzzo - Terremoto
pag. 75
Media
pag. 78
Memoria
Antonello Ciccozzi - Gianfranco Spitilli
pag. 6
Piero Vereni
Nadia Breda
pag. 9
temi
Artigianati
Caterina Di Pasquale
pag. 81
Alberto Caoci
pag. 12
Autobiografie
Marco Aime
pag. 84
Giulio Angioni
pag. 15
Cloni
Corpi
pag. 87
Creatività culturale
pag. 90
Crocefisso
pag. 93
Cultura materiale
pag. 96
Cultura popolare
pag. 99
Dipendenza
pag. 102
Dna
pag. 105
Dono
pag. 108
Età
pag. 111
Famiglie migranti
pag. 114
Festa
pag. 117
Fiducia
pag. 120
Genere
pag. 123
Guerra
pag. 126
Sistema arte
pag. 129
Sistemi medici
Sandra Ferracuti
Antonio De Lauri
pag. 60
Impoverimento culturale
Pino Schirripa
pag. 132
Francesco Remotti
pag. 63
Impresa
Intellettuali
pag. 135
Ipermercato
pag. 138
Località
Franco Lai
Territorio
Federico Scarpelli
pag. 141
Gianluca Mantoani
pag. 72
Sud
Ferdinando Mirizzi
Giovanni Pizza
pag. 69
Sofferenza
Roberto Beneduce
Cristina Papa
pag. 66
Scienza
Francesco Ronzon
Gabriella Da Re
pag. 57
Scambio
Mariano Pavanello
Alessandra Fasulo
pag. 54
Saperi
Felice Tiragallo
Piercarlo Grimaldi
pag. 51
Rito
Alessandra Broccolini
Sabina Giorgi
pag. 48
Rimpatrio
Emanuela Rossi
Alessandro Simonicca
pag. 45
Rifugiati
Barbara Sorgoni
Matteo Aria
pag. 42
Rievocazioni
Fabio Mugnaini
Valeria Trupiano
pag. 39
Possessione
Adelina Talamonti
Pier Giorgio Solinas
pag. 36
Pastori
Carlo Maxia
Fabio Dei
pag. 33
Passato
Tatiana Cossu
Mario Turci
pag. 30
Paese
Gian Paolo Grì
Clara Gallini
pag. 27
Neuroscienze
Leonardo Piasere
Adriano Favole
pag. 24
Musica
Ignazio Macchiarella
Nadia Truglia
pag. 21
Metropoli
Massimo Canevacci
Paola de Sanctis Ricciardone
pag. 18
Mercati
Turismo
Gino Satta
pag. 144
World music
Fulvia Caruso
Sandra Ferracuti - “Sapienza” Università di Roma
etnografie
sistema arte
1 - La capitale mozambicana
e i suoi dintorni sono teatro
di una grande quantità di
eventi artistici: tra centri
culturali, gallerie private e
musei si inaugura almeno
una nuova mostra alla
settimana (Ferracuti 2008a).
2 - Il Núcleo de arte è
un’associazione fondata
negli anni Trenta - si veda la
tesi di Costa (2005),
dirigente dell’Ufficio
mozambicano dei musei) da
un gruppo di portoghesi che
lo intendevano come primo
‘seme’ di quello che è
rimasto un sogno per il
governo portoghese: un vero
e proprio museo d’arte (sul
museo d’arte come uno dei
principali luoghi della messa
in atto di “rituali di
cittadinanza” occidentale si
veda Duncan (1991). Rinato
dalle ‘ceneri’ della colonia
portoghese, il Núcleo
mantiene oggi il suo ruolo di
promozione e sostegno della
produzione artistica
nazionale, fornendo luoghi
di lavoro, esponendo,
vendendo e fungendo da
luogo di incontro per una
grande varietà di
protagonisti del mondo
dell’arte a Maputo.
3 - La mattinata trascorsa al
Una gita fuori porta
Un giorno di dicembre, nel 2006, ho incontrato Gonçalo Mabunda, per caso. Era al
corrente degli sforzi che facevo da circa un anno, per star dietro agli eventi del
mondo dell’arte di Maputo ad ai suoi protagonisti1. Ci eravamo visti una settimana
prima, per un’intervista, al Núcleo de arte2. “Per domani ho organizzato una performance nella discarica”, mi ha detto, “Vuoi venire?”. La mattina dopo, in compagnia
di un’amica di Gonçalo e di un altro giovane artista mozambicano, Falcão, siamo passati in macchina a prendere i due amici che Gonçalo aveva convocato per la performance: Filimone Meigos, un sociologo dell’arte che insegna all’Università “Eduardo
Mondlane” e il chitarrista Amável. C’era anche la ragazza di Amável, Elisa Chim, che
lavora al Centro Culturale Franco-Mozambicano con un incarico nel settore delle attività artistiche. Una volta composto il gruppo, abbiamo proseguito per la discarica.
Durante il tragitto, Gonçalo mi ha descritto il suo progetto: lui avrebbe installato alcune sue sculture nella discarica, Amável avrebbe improvvisato con la chitarra elettrica e Filimone avrebbe prodotto in situ, per iscritto, delle riflessioni a ridosso
dell’evento artistico. La performance si è svolta come previsto, con l’eccezione del
contributo del sociologo. Sopraffatto dalla ‘durezza’ del contesto – l’alta temperatura contribuiva a rendere l’atmosfera nella discarica ‘irrespirabile’ per chi non vi era
abituato –, Filimone non è riuscito a trovare la concentrazione necessaria per la scrittura.
Naturalmente, nessuno di noi aveva mai passato del tempo all’interno di una discarica
cittadina. Le persone che vi abbiamo incontrato avevano rispetto a noi il ‘vantaggio’ di
non avere nel suo muro perimetrale un limite ‘esistenziale’. La scelta di trarre profitto
dal materiale abbandonato al suo interno, riciclandolo, non impediva loro di vivere anche delle risorse collocate al di fuori del muro. Per loro, i confini della discarica erano
molto più permeabili che per noi3. In questo quadro di contrapposizione tra ‘noi’ e ‘gli
altri’, qualcosa faceva, di Gonçalo un’eccezione. Durante la performance, manteneva
lo stesso atteggiamento di curioso e vivace entusiasmo che il resto del gruppo – più o
meno sopraffatto dall’esperienza concreta della ‘differenza’ di quel contesto di vita –
si scopriva capace di riservare al ‘prima’ ed al ‘dopo’ la permanenza nella discarica.
Qualcosa sembrava rendere Gonçalo più capace di sintonia con quel contesto. Credo
che questo qualcosa stia proprio nella sua pratica artistica. Nel produrre le sue sculture,
Mabunda fa infatti normalmente uso di materiale di riciclo. Tra i motivi della sua scelta
di quel luogo per una performance c’era quello di osservare ed ascoltare la ricezione
del suo lavoro da parte delle persone che frequentano la discarica. Sapeva che, a differenza del suo pubblico abituale, avrebbero guardato il materiale con cui compone le
sue sculture con uno specifico occhio “esperto”: quello di chi è abituato a vedere negli scarti (ed in particolare nel metallo, il materiale che Mabunda usa di più) una possibile fonte di guadagno, preziosità4.
INSTALLAZIONE (DETTAGLIO) DI GONÇALO MABUNDA ALLA DISCARICA DI MAPUTO (DICEMBRE 2006). FOTO:
S. FERRACUTI.
126
127
Gonçalo fra mondi
Gonçalo Mabunda (classe 1975) è uno dei due artisti mozambicani5 selezionati per partecipare alla mostra itinerante Africa Remix (Njami 2005), importante tappa del percorso di ‘consacrazione’ di molti artisti africani contemporanei (Cossa - Tiberini 2006).
Durante un’intervista, mi ha raccontato di avere mosso i suoi primi passi di artista negli anni Novanta, al Núcleo de Arte, in occasione di un workshop internazionale denominato Ujamaa6.
Durante il laboratorio, i giovani artisti erano stimolati a produrre opere utilizzando il
materiale bellico residuo della lunga guerra civile che aveva avuto inizio all’indomani
dell’indipendenza del Mozambico dal Portogallo (1975). Il contesto del successo di
Gonçalo è affine a quello della ‘tradizione artistica’ moderna dei makonde: non prescinde da una lettura in chiave politica e sociale della creazione artistica. Al di là di considerazioni estetiche, il successo delle opere di Gonçalo è in parte legato a quello di un
ideorama globale che favorisce un legame tra ‘cultura’ e ‘sviluppo’. È nella produzione
di sculture costruite con residui bellici che Gonçalo ha trovato una strada per il successo nel sistema dell’arte internazionale7.
Il successo internazionale di Gonçalo, a quanto pare, però, non gli impedisce di motivare così la sua decisione di pianificare una performance alla discarica: “Dicono che
siamo spazzatura. Per questo noi andiamo alla discarica”. Gonçalo non è un gran
chiacchierone. Non sembra ami raccontare se stesso e le proprie opere, non indulge,
come altri, alla narrazione della propria poetica, delle proprie intenzioni. Alla mia richiesta di specificare a chi riferisse un giudizio simile nei confronti degli artisti è stato,
infatti, piuttosto generico: “Pensano che noi artisti siamo tutti fuori di testa”, ha continuato, “che non valiamo niente…”. Se da un lato posso immaginare che si riferisse
ad una scarsa valutazione locale delle opere artistiche e dell’artista in generale – e, in
particolare, degli artisti che, come lui, usano stili espressivi o materiali non “tradizionali8” –, dall’altro poteva voler fare riferimento anche ad un altro “ideorama” attivo
nel sistema dell’arte: quello dell’artista come individuo antisociale, bohémien, marginale ed ‘estraneo’ alla ‘normale’ vita sociale. Gonçalo si trova, a quanto pare, costretto9
in un contesto che, mentre favorisce e premia l’adozione di una poetica sociale nella
produzione delle opere, limita l’efficacia di una diretta azione sociale e politica dell’artista in quanto individuo. Anche alla discarica, Mabunda ha composto e installato
opere costruite con materiale bellico. Tra queste, un ‘Cristo crocefisso’ che, stagliandosi sullo sfondo del fuoco in lontananza e del denso fumo nero che ha diffuso per un
paio d’ore da un incendio ‘controllato’, rimandava l’immagine di un inferno ampio e
popoloso. Le note dell’Inno nazionale mozambicano e quelle di una popolare marrabenta che Amável nel frattempo diffondeva assumevano contorni provocatori e ‘sinistri’, anche perché qui – a differenza di tutte le altre occasioni in cui ho sentito suonare la musica di Fany Mpfumo – nessuno danzava10.
La performance di Gonçalo può essere letta come occasione di critica all’ideorama globale dell’artista come personaggio asociale, marginale e della rivendicazione, invece, di
un suo ruolo sociale; come pratica in situ di una ricerca interna ad una specifica pratica creativa del riuso; infine, come progetto di un artista “etnografo” (Foster 1996).
Distinguere i riferimenti locali da quelli globali nelle pratiche e nei discorsi di Gonçalo
non solo è difficile, ma anche, poco utile. Gonçalo vive e lavora normalmente nella
convivenza tra panorami globali e concrete, specifiche località. In questa dimensione,
Gonçalo costruisce le proprie azioni artistiche. Il suo non è un ‘andare e venire: a ‘spostarsi’ e ‘faticare’ è semmai lo sguardo di un pubblico meno agile e disposto ad attraversare quelli che percepisce come confini tra mondi distinti.
Sul campo del sistema dell’arte contemporanea
Mentre la continua fortuna delle opere di “arte primitiva” è stata recentemente confermata dal successo dell’operazione parigina del Quai Branly (Lusini 2004), la più recente fortuna degli artisti contemporanei africani condivide con quella di altri artisti
una più incerta stabilità. Poli identifica il principale cambiamento che il sistema
dell’arte11 ha subito negli ultimi decenni nella “velocità” che hanno gli attuali avvenimenti e spostamenti (di idee, persone, oggetti, successi e ‘declini’…) in quella che in
Museum Frictions è chiamata “l’attuale compressione del tempo e dello spazio” (Karp
- Kratz 2006: 2). Tuttavia, ormai acquisita l’appartenenza degli oggetti d’arte alla dimensione, sempre più dinamica, del “viaggio” (Clifford 1999)12, altri elementi, interni
alla stessa trasformazione del discorso e del sistema artistico concorrono a produrre un
quadro che poco ha a che fare con quello in cui sono stati ‘accolti’ originariamente i
prodotti “artistici” provenienti da altre “culture”: i cosiddetti oggetti di “arte primitiva”. Uno di questi elementi è il protagonismo dei musei di arte contemporanea.
Quella che era, negli anni Settanta, “l’ultima stagione vitale” delle ricerche dell’arte
d’avanguardia, oggi è diventata “la forma d’arte figurativa dominante” (Poli 2006: X).
Sebbene non tutti gli artisti di Maputo ne siano membri13, dal 2001 è il Movimento de
suo interno aveva lasciato
nei nostri vestiti, capelli e
sotto i nostri nasi un odore
intenso e pervasivo che
avrebbe ‘denunciato’ a
chiunque avessimo
incontrato di lì a poco in
centro la nostra incursione in
quel mondo ‘altro’. Le tracce
odorose della nostra ‘gita
fuori porta’ ci provocavano
disagio ed imbarazzo,
spingendoci a rimandare il
ritorno in città.
4 - Il documentario del 2005
di J. (Zegó) A. Nhantumbo
sul MUVART (Movimento de
Arte Contemporânea de
Moçambique) inizia proprio
con le immagini di un
giovane artista impegnato
nella trasformazione di rifiuti
in opere d’arte. Sull’uso
creativo dei “rifiuti”, in
particolare da parte di alcuni
protagonisti della
museografia “spontanea”
italiana, si veda Clemente
1995.
5 - L’altro è Titos Mabota.
6 - La parola kiswahili
ujamaa fu utilizzata nel 1967
dall’allora Presidente della
Tanzania Nyerere – che la
tradusse nell’inglese family
hood (gruppo famigliare) –
per denominare la “forma
indigena di socialismo” che
sostenne attraverso la
creazione di villaggi
autosufficienti (Meredith
2005: 249-253). In
Mozambico, dagli anni
successivi all’Indipendenza, è
denominato ujamaa anche
uno dei due stili della
produzione moderna degli
scultori makonde (Cossa
1986), un ‘popolo’ il cui
nome è simbolo (in quanto
‘popolo guerriero’
protagonista delle lotte per
l’indipendenza)
dell’immaginario politico
postcoloniale (Ferracuti
2008a).
7 - Anche recentemente, a
Roma, ha partecipato ad una
mostra collettiva dal titolo Le
armi dell’arte (a cura di
Enrico Mascelloni, Galleria
“De Crescenzo & Viesti” (28
marzo - 15 maggio 2008).
128
8 - Lo stratificato ed acceso
dibattito per l’identificazione
e definizione di una
produzione mozambicana
‘tradizionale’ di cui è teatro il
Museo Nazionale d’arte di
Maputo (MUSART) sin dalla
sua nascita (1989) è stato
reso ancor più vivace dal
successo di pratiche d’arte
contemporanea.
9 - Su altre contraddittorie
aspettative del ‘sistema’ nei
confronti degli artisti africani,
si veda Cafuri (2005).
10 - Gonçalo ha portato alla
discarica anche un sedile
composto da parti di
rivoltelle e granate. Ad
un’opera simile, nel 2004,
aveva dato il titolo di Trono
per un re africano. Su quello
installato alla discarica è
stato seduto per un po’
Filimone, vicino alla
macchina da scrivere.
11 - Quello di Poli (2006) è
un recente contributo al
filone di studi di critica
artistica ed analisi sociologica
del “sistema dell’arte” che
ha origine negli anni
Settanta. Poli scrive che,
probabilmente, il primo
critico a parlare di “sistema”
dell’arte fu Lawrence
Alloway, che nel 1972
pubblicò su “Artforum” un
articolo dal titolo Rete: il
mondo dell’arte descritto
come un sistema (Poli 2006:
X). Come è noto, il primo ad
usare questa formula in Italia
è Achille Bonito Oliva (1975).
12 - La letteratura
antropologica sull’arte che si
è sviluppata in particolare a
partire dagli anni Settanta ha
avuto un importante ruolo
nella decostruzione del
concetto di cultura come
“sistema chiuso”.
13 - Non lo sono, ad
esempio, Titos Mabota e
Gonçalo Mabunda.
14 - Si vedano, ad esempio,
le opere di Anésia Manjate,
uno dei membri fondatori
del MUVART (Ferracuti
2008a).
Arte Contemporânea de Moçambique a veicolare con più forza e visibilità (anche istituzionale) le prospettive dell’arte contemporanea. Nel 2006, a Jorge Dias, uno dei
membri fondatori del movimento, è stato affidato il ruolo di curatore del Museo nazionale d’arte di Maputo. Sede ‘calda’ delle friction contemporanee del Traffico della
cultura nel mondo dell’arte (Marcus - Myers 1995), il Museo nazionale d’arte ospita in
maniera stabile prospettive ed azioni cosmopolite unite a sempre più frequenti azioni
di recupero e ‘riuso’ di visioni del mondo locali14.
Molto è stato scritto sull’attitudine degli antropologi a frequentare luoghi ‘lontani’ e
contesti marginali. Sempre meno spesso, però, sono (o si rappresentano) da soli. Se i
componenti di questa ‘gita fuori porta’ richiamano una lunga ‘storia di famiglia’ tra
arte ed antropologia (che ha trovato evidenza nell’ambito della nascita e della fortuna
della cosiddetta “arte primitiva”), rimandano anche al protagonismo che hanno gli artisti contemporanei nell’attuale ‘esplosione’ di tentativi di definizione di forme postmoderne di identità e convivenza (Ferracuti 2007; 2008b; Lusini 2008-2009).
Ormai sappiamo bene che Artisti si diventa (Vettese 1998), ma con l’analisi di specifici
eventi e contesti si può anche non dare per scontato il ‘dove’, lo si diventi, mettendo
in luce ulteriori, paralleli “sistemi dell’arte”. L’etnografia può rendere conto delle molteplici dimensioni in cui vive uno specifico evento della complessa, mutevole e spesso
contraddittoria ‘fortuna’ di oggetti chiamati “d’arte”.
Praticamente nulla è stata la visibilità pubblica della performance di Mabunda alla discarica. Diverso destino ha avuto il suo lavoro nel contesto del laboratorio Ujamaa. Le
sue opere non hanno al Museo nazionale d’arte lo stesso successo che hanno con i collezionisti privati, spesso membri di ONG internazionali attive in Mozambico. Nell’ex
“ghetto” di Roma ha installato una scultura, nel 2005. Oggi è piuttosto mal messa, arrugginita. La sua ‘fortuna’ è smarrita? O è semplicemente al momento sbagliato nel
posto sbagliato?
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Ferracuti, S. (2008b) “Attriti museali”: dalle zone di contatto alle “friction” globali,
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Karp, I. - Kratz, C.A., a cura (2006) Museum Frictions. Public Cultures/Global Transformations, Durham, Duke University Press.
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Meredith, M. (2005) The State of Africa. A History of Fifty Years of Independence,
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Vettese, A. (1998) Artisti si diventa, Roma, Carocci.