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ALMA MATER STUDIORUM - UNIVERSITÀ DI BOLOGNA OCNUS Quaderni della Scuola di Specializzazione in Beni Archeologici 23 2015 ESTRATTO Direttore Responsabile Nicolò Marchetti Comitato Scientiico Andrea Augenti (Alma Mater Studiorum - Università di Bologna) Dominique Briquel (Université Paris-Sorbonne - Paris IV) Pascal Butterlin (Université Paris 1 - Panthéon-Sorbonne) Martin Carver (University of York) Sandro De Maria (Alma Mater Studiorum - Università di Bologna) Anne-Marie Guimier-Sorbets (Université de Paris Ouest-Nanterre) Nicolò Marchetti (Alma Mater Studiorum - Università di Bologna) Mark Pearce (University of Nottingham) Giuseppe Sassatelli (Alma Mater Studiorum - Università di Bologna) Maurizio Tosi (Alma Mater Studiorum - Università di Bologna) Il logo di Ocnus si ispira a un bronzetto del VI sec. a.C. dalla fonderia lungo la plateia A, Marzabotto (Museo Nazionale Etrusco “P. Aria”, disegno di Giacomo Benati). Editore e abbonamenti Ante Quem Via Senzanome 10, 40123 Bologna tel. e fax + 39 051 4211109 www.antequem.it Abbonamento €40,00 Sito web www.ocnus.unibo.it Richiesta di scambi Biblioteca del Dipartimento di Storia Culture Civiltà Piazza San Giovanni in Monte 2, 40124 Bologna tel. +39 051 2097700; fax +39 051 2097802; antonella.tonelli@unibo.it Le sigle utilizzate per i titoli dei periodici sono quelle indicate nella «Archäologische Bibliographie» edita a cura del Deutsches Archäologisches Institut. Autorizzazione tribunale di Bologna nr. 6803 del 17.4.1988 Senza adeguata autorizzazione scritta, è vietata la riproduzione della presente opera e di ogni sua parte, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. ISSN 1122-6315 ISBN 978-88-7849-107-6 © 2015 Ante Quem S.r.l. IndIce Nicolò Marchetti Editorial 7 Maurizio Cattani, Florencia Debandi, Alessandro Peinetti Le strutture di combustione ad uso alimentare nell’età del Bronzo. Dal record archeologico all’archeologia sperimentale 9 Abbas al-Hussainy The Date Formulae of the Tablets Excavated at Tell as-Sadoum (Season 2005) and the Chronolog y of the Old Babylonian Kings of Marad 45 Marzia Cavriani Su un amuleto egiziano da Karkemish 49 Rocco Mitro Kàlamos. A proposito del cosiddetto aspergillo di Meli/Chiuchiari 59 Vincenzo Baldoni Un cratere del Pittore di Amykos in Etruria padana 69 Mariangela Polenta Ceramica da fuoco dalla domus del Mercato Coperto di Rimini: la romanizzazione indagata attraverso la cultura materiale 85 Elia Rinaldi La città ortogonale in Epiro in età tardo-classica ed ellenistica 107 Marco Brunetti I Troica di Nerone e la Volta Rossa della Domus Aurea 137 Luca Barbarino Luoghi, forme e interpreti del culto imperiale nelle province di area renano-danubiana 153 Dario Daffara L’Ospedale di Sansone a Costantinopoli: ricerca preliminare 171 Paola Porta Sculture altomedievali dagli scavi della villa di Teoderico a Galeata 183 RevIew ARtIcle On Reconstructing Past Economies and Lifeways: A View from the Ancient Near East (Giacomo Benati) 199 LE STRUTTURE DI COMBUSTIONE AD USO ALIMENTARE NELL’ETÀ DEL BRONZO. DAL RECORD ARCHEOLOGICO ALL’ARCHEOLOGIA SPERIMENTALE Maurizio Cattani, Florencia Debandi, Alessandro Peinetti This article aims at analyzing ovens and cooking plates found in Italian prehistoric contexts. A multidisciplinary approach has been carried out to improve our understanding of finds from excavations carried out by the University of Bologna. An overview of previous researches is useful in preliminarily identifying manufacturing techniques and materials of these structures and their role in food production. More elaborate technical analyses and an experimental reproduction carried out during the activities of the Laboratory of Experimental Archaeolog y allowed a better understanding of the processeses involved, and, most significantly, to enhance the identification of traces of cooking activities during archaeological excavations. Ethnoarchaeolog y and archaeometry thus seem to be among the most qualified disciplines to investigate this kind of evidence and to design an ontological classification of prehistoric structures. Introduzione1 La moderna ricerca archeologica si avvale oggi di nuove discipline e nuovi approfondimenti che permettono di affrontare l’analisi dei contesti e dei documenti archeologici con una visuale più ampia e interattiva. In questo contributo si vuole presentare parte di un complesso percorso, che inizia con la messa in luce di un contesto stratigrafico con particolari strutture di combustione e si inoltra nella ricerca, cercando di attingere nuove informazioni e soprattutto nuovi indirizzi da approfondire. Nonostante non si arrivi mai ad una conclusione certa e definitiva, i risultati raggiunti 1 L’introduzione è a cura di M. Cattani, le parti relative ai forni sono a cura di F. Debandi, quelle relative alle piastre di cottura a cura di A. Peinetti. L’illustrazione del protocollo e le considerazioni fi nali sono condivise tra gli autori, ma si segnala che alla base del lavoro sono due programmi di dottorato di ricerca presso l’Università di Bologna, rispettivamente di F. Debandi (Sistemi di gestione economica e alimentazione nelle comunità dell’età del Bronzo con particolare riferimento all’Italia settentrionale) e di A. Peinetti, in cotutela con l’Università Paul Valery di Montpellier, sui modelli archeologici e geoarcheologici (Habitat et peuplement à la fin du Néolithique et au début de l’Âge du Bronze en Méditerranée nord-occidentale: Elaboration d’un modèle archéologique et géoarchéologique). offrono un elemento di confronto e di discussione con altri ricercatori. L’argomento preso in considerazione riguarda le complesse dinamiche relative alla preparazione dei cibi all’interno delle comunità dell’età del Bronzo in Italia, caratterizzate da una densità demografica, una durata degli insediamenti di vari secoli e da un’organizzazione socio-economica complessa. Riferendoci in particolare ai rinvenimenti negli abitati di Solarolo, via Ordiere, nella pianura romagnola, e di Mursia, nell’isola di Pantelleria, sono state prese in esame le evidenze archeologiche costituite da resti archeobotanici, residui di strutture di combustione, oggetti e strumenti connessi con le attività di preparazione degli alimenti. Tra i vari approcci intrapresi si presentano le valutazioni tecniche con l’aiuto dei confronti più adatti per comprenderne le dinamiche di funzionamento e si conclude con la fase di archeologia sperimentale, che ha voluto osservare particolari indicatori e momenti funzionali replicando le strutture e i contesti documentati negli scavi archeologici. Le ricerche del gruppo di Preistoria dell’UniBO Da alcuni anni il gruppo di ricerca preistorica e protostorica ha focalizzato le proprie attività sui contesti dell’età del Bronzo della penisola italiana e delle principali isole del Mediterraneo, con l’obiettivo di mettere a confronto le dinamiche di Ocnus 23 (2015): 9-43; ISSN 1122-6315; doi: 10.12876/OCNUS2302; www.ocnus.unibo.it 10 Maurizio Cattani, Florencia Debandi, Alessandro Peinetti crescita della complessità connesse con le trasformazioni socio-economiche tra la fine del III e il II millennio a.C. In particolare i diversi approfondimenti tematici integrano le campagne di scavo nell’abitato di Solarolo (RA), databile dalle fasi iniziali del BM alle fasi finali del BR (Cattani, Miari 2014), nel sito di Mursia, uno dei contesti meglio conservati della antica e media età del Bronzo in Sicilia (Cattani et alii 2014), ed infine nel nuraghe di Tanca Manna a Nuoro, anch’esso attribuito al BM (Cattani, Debandi, Murgia 2014). Ognuna di queste ricerche, destinate alla formazione di studenti e allievi del settore preistorico, ha inevitabilmente indirizzato gli approfondimenti verso il recupero e la gestione dei dati archeologici relativi ai sistemi di vita della protostoria e pertanto relativi ad una molteplicità di processi produttivi, funzioni ed usi dei manufatti, scambio o condivisione dei prodotti. In particolare negli ultimi anni si è tentato di rispondere ad alcune domande di interesse generale connesse con la sussistenza, l’incremento demografico, le fasi di espansione o di collasso delle società antiche e fondamentalmente riconducibili alla gestione delle risorse (Carra et alii 2012). La particolare attenzione rivolta ai metodi dell’archeologia sperimentale ha permesso di attivare un Laboratorio rivolto agli allievi universitari. L’archeologia sperimentale è da considerare a tutti gli effetti una disciplina di ricerca storica che attraverso la verifica sperimentale, in maniera riproducibile e misurabile, permette di analizzare tutto ciò che riguarda i processi antichi (produzione, uso e manipolazione) identificabili dai manufatti e dalle tecniche note in un determinato periodo. Nonostante la sperimentazione sia tradizionalmente rivolta a manufatti e in genere alla ricostruzione delle produzioni artigianali, riteniamo che possa essere estesa anche a processi più complessi legati all’organizzazione sociale e alle forme del lavoro. Dal record archeologico all’archeologia sperimentale I resti rinvenuti in uno scavo archeologico di un abitato dell’età del Bronzo difficilmente mantengono uno stato di conservazione sufficiente per una loro immediata e corretta interpretazione. In particolare per l’Italia settentrionale, le dinamiche di trasformazione prevalentemente legate ai processi postdeposizionali, ma connesse anche alle caratteristiche delle attività e dei modi di vita delle comunità antiche, selezionano drasticamente i resti e lasciano scarse tracce nella stratificazione archeologica. Frequentemente si intravedono labili indizi di una struttura o di un’attività a testimo- nianza di momenti importanti per la sussistenza delle comunità antiche e siamo costretti ad uno sforzo di analisi e di comprensione che deve avvalersi di tecniche più sofisticate. Il primo strumento utilizzato riguarda l’identificazione delle caratteristiche materiali e la ricostruzione delle catene operative per ciascuna attività legata alla produzione antica. Ogni elemento desunto dalla documentazione archeologica o dalla presunta presenza definita dalla sequenza teorica è stato classificato con un approccio ontologico supportato da un’applicazione informatizzata per un più facile recupero dei dati (Cattani 2008). La definizione degli indicatori archeologici, organizzati in senso gerarchico oppure ordinati secondo la sequenza della catena operativa, ci amplia la capacità di osservare nelle fasi della ricerca (soprattutto nello scavo stratigrafico) gli elementi necessari alla comprensione e ricostruzione delle dinamiche storiche e archeologiche. Applicata ad esempio alla gestione delle risorse alimentari, con particolare riferimento al ciclo della produzione cerealicola, la sequenza ontologica prevede la classificazione degli indicatori in diverse macrocategorie (tab. 1). Si affiancano agli indicatori archeologici ulteriori fattori che vanno a sovrapporsi ad altre tematiche, fondamentali per ricostruire il ciclo produttivo dei cereali e che integrano pertanto la classificazione ontologica: caratteristiche geomorfologiche del territorio, condizioni agrometeorologiche, organizzazione sociale. Per ciascuna delle sezioni individuate devono essere definiti gli elementi distintivi inseriti in liste gerarchiche, che coincidono in parte con i vocabolari o con gli abbecedari tecnici (LeroiGouhran 1993; Giannichedda, Mannoni 2003), ma che con l’approccio ontologico informatizzato (D’Andrea 2006) mettono a disposizione uno spettro di elementi di gran lunga più complesso e dinamico, da ricercare e da utilizzare nella fase di interpretazione. Un’altra tecnica di indagine per aumentare la capacità cognitiva del ricercatore sfrutta un generale approfondimento della tecnologia antica e le analisi archeometriche. Il contributo delle misurazioni permette di approfondire le scelte, spesso empiriche, effettuate dalle comunità antiche, ma richiede che vengano integrate da approcci di verifica e di confronto indispensabili: tra queste si segnalano l’analisi micromorfologica dei depositi archeologici (Courty, Goldberg, Macphail 1989; Cremaschi 2000), l’archeologia sperimentale (Giannichedda, Mannoni 2003) e l’etnoarcheologia (Vidale 2003). Le strutture di combustione ad uso alimentare nell’età del Bronzo. Dal record archeologico all’archeologia sperimentale 11 Tab. 1. Sequenza delle operazioni connesse alla coltivazione dei cereali e descrizione degli indicatori La micromorfologia, attraverso lo studio a scala microscopica della natura e dell’organizzazione dei sedimenti archeologici, permette di identificare i processi di formazione della stratigrafia, gli indicatori di attività specifiche e le trasformazioni postdeposizionali subite dal deposito archeologico. In relazione alle aree interessate dalla preparazione dei cibi, sono ancora molti i marker micromorfologici di riferimento da identificare o caratterizzare con maggiore precisione. Oltre alle modalità di costruzione, pulizia e manutenzione delle strutture di combustione, esistono una serie di tratti specifici riconducibili al loro funzionamento, identificabili non solo grazie all’analisi delle strutture stesse, ma anche dei suoli d’occupazione adiacenti e dei depositi secondari caratterizzati da ceneri e carboni. La ricostruzione microstratigrafica delle aree caratterizzate dalla presenza di queste installazioni permetterebbe di delinearne le modalità di uso, evoluzione ed abbandono, anche in rapporto all’organizzazione delle unità domestiche e dello spazio abitato in generale (Wattez 2000). Tra le tante facce dell’archeologia sperimentale, il lato più interessante è quello della verifica di molte ipotesi formulate sulle pratiche e sulle tecnologie antiche, attraverso la riproduzione sperimentale, che richiede un continuo controllo ed una documentazione scientifica. Oltre alla rappresentazione scenografica, che riveste un importante ruolo nella divulgazione e nella trasmissione dei risultati, il momento di riproduzione di un’attività antica contribuisce a mettere in evidenza un elevato numero di elementi costitutivi del processo che altrimenti non sarebbero stati percepiti. Il percorso della sperimentazione si avvale di un approccio empirico che forza l’archeologo ad imparare a riconoscere i caratteri degli oggetti, degli strumenti e delle materie prime, e ad acquisire una manualità operativa che solitamente non ha mai potuto apprendere. Su quest’ultimo punto è stata ampiamente dibattuta l’impossibilità da parte di chi non nasce artigiano ad acquisire la sufficiente manualità, talvolta inficiando i risultati della sperimentazione. Va ribadito che d’altra 12 Maurizio Cattani, Florencia Debandi, Alessandro Peinetti parte il moderno artigiano, che applica quotidianamente la propria capacità tecnica, non saprebbe né interpretare le tecniche usate nell’antichità, né tradurre in modo esplicito e descrittivo ciò che sa fare con le proprie mani. Ai fini di una corretta interpretazione del processo sperimentale serve pertanto una sinergia tra tante figure professionali (archeologo, artigiano, esperto delle scienze dei materiali, archeometra). Sono ad oggi soprattutto le analisi archeometriche le più adatte a fornire elementi di controllo scientifico e di comparazione con quanto prodotto nell’antichità, ma si è ritenuto importante anche procedere con una documentazione dei ragionamenti applicati nei diversi passi del processo produttivo, da quello induttivo (basato sulla raccolta di molteplici dati), deduttivo (sostenuto da ipotesi e leggi scientifiche), abduttivo (valorizzando le opinion i coerenti) (Giannichedda 2002). L’approfondimento con tecniche di registrazione scientifica (quantitativa e qualitativa) permette non tanto di raggiungere verità assolute, quanto suggerimenti che si affiancano alla generale interpretazione del contesto preso in esame. Non va infine dimenticato che proprio in relazione al tema presentato in questo contributo, l’osservazione etnografica e la ricerca etnoarcheologica forniscono elementi tanto indispensabili quanto qualitativamente eccezionali per ricostruire e comprendere il ciclo produttivo dei cereali. La forte analogia tra le strutture antiche e quelle moderne, la coincidenza dell’obiettivo primario e la perfetta identità dei resti carbonizzati dei prodotti antichi con le panificazioni attuali permettono di riconoscere al contributo dell’etnoarcheologia un apporto essenziale (Vidale 2000; 2003). In questo contributo si vuole assegnare un ruolo fondamentale per la ricerca ai protocolli operativi, intesi come proposta di esecuzione del percorso in modo che possa essere valutato, criticato e migliorato da chi voglia approfondire le tematiche proposte. Il protocollo prevede che ogni replica sperimentale debba essere impostata su: - ripetitività, per evitare che i risultati preliminari, talvolta frutto di casualità, siano interpretati e trasformati in vere e proprie leggi. - ripetibilità, in modo da permettere a qualunque sperimentatore di verificare i risultati proposti. Le azioni invisibili: i sistemi di cottura nell’età del Bronzo Ricostruire i processi legati all’alimentazione nell’età del Bronzo è un obiettivo arduo da raggiungere. Ipotizzare l’impiego di strutture che concludono il ciclo con la preparazione dei cibi è altrettanto difficile. È comunemente accettato che lo sfruttamento delle risorse alimentari fosse contrassegnato da una precisa scelta basata prevalentemente sulla coltivazione dei cereali e sull’allevamento, ma è proprio la produzione agricola l’elemento prevalente per la preparazione quotidiana del cibo. Ad esempio è stato proposto per la Grecia antica che il 70-75% delle calorie necessarie al sostentamento fosse fornito dal consumo di cereali (Foxhall, Forbes 1982) e dobbiamo immaginare pertanto numerose le attività connesse alla preparazione dei pasti, di cui rimangono tuttavia rare tracce, relative prevalentemente ad indicatori secondari. Tra queste un ruolo fondamentale è rivestito dai sistemi di cottura del cibo e soprattutto dei prodotti a base cerealicola, che richiedono apposite strutture di combustione. Tradizionalmente distinte tra elementi mobili (fornelli) e strutture fisse (aperte: focolari e piastre; chiuse: forni), le strutture di combustione lasciano numerose tracce nella maggior parte dei contesti archeologici (Cazzella, Recchia 2008) e rappresentano pertanto una fonte di particolare interesse per la ricostruzione dei processi antichi. Le direzioni della ricerca: il percorso intrapreso e le prospettive future Il percorso intrapreso ha voluto seguire la riproduzione delle attività e dei saperi antichi come parte integrante dell’analisi della documentazione archeologica. Questo approccio è completato dall’applicazione di protocolli scientifici, in modo da permettere non solo la divulgazione dei dati, ma anche un confronto e una maggiore interazione tra i ricercatori. La prospettiva minima che ci siamo proposti è quella di dare un contributo alla creazione di un atlante illustrato e documentato delle strutture in uso nella preistoria, con particolare riferimento alle strutture di combustione, di facile consultazione per chi opera nella ricerca archeologica. Questo strumento potrebbe costituire un punto di riferimento per la documentazione, comprensione ed interpretazione delle evidenze archeologiche, spesso lacunose e trasformate rispetto al contesto originario. Come estensione delle prospettive si vuole affrontare la ricostruzione dei cicli di produzione con le numerose operazioni e le molteplici variabili che partecipano alla trasformazione dei beni o delle materie prime in un manufatto. Per raggiungere questo obiettivo è necessario individuare e valutare tutti gli indicatori, nonché la sequenza di azioni e di strategie necessarie per raggiungere il prodotto finale. Meglio riusciamo a documenta- Le strutture di combustione ad uso alimentare nell’età del Bronzo. Dal record archeologico all’archeologia sperimentale re ogni singolo passaggio, meglio otterremo una risposta o un suggerimento da applicare alla ricerca archeologica, al fine di caratterizzare lo sfruttamento delle risorse, l’organizzazione e la gestione del lavoro, i saperi e le conoscenze tecniche, fino ad arrivare alla complessa trama dei rapporti sociali. In realtà, ciò di cui abbiamo bisogno non è trovare una spiegazione “semplice” complessiva, quanto piuttosto individuare singole tracce rilevabili sui reperti, che ci informino sulle singole azioni e forniscano osservazioni oggettive di una inevitabile complessità del comportamento. M.C. I forni di uso alimentare: breve inquadramento dei dati archeologici Durante gli scavi effettuati nel sito archeologico di Solarolo, Via Ordiere, databile alla media età del Bronzo, sono stati rinvenuti i resti di una struttura combusta interpretata come un forno per la cottura di alimenti. Il rinvenimento ha portato ad approfondire le tematiche relative alle strutture da fuoco e nello specifico ai forni di uso alimentare, con uno studio analitico sul materiale disponibile nella letteratura ampliato per ambito cronologico al fine di avere un maggior numero di confronti e di elementi di discussione. 13 La struttura di combustione rinvenuta a Solarolo appartiene ad una particolare fase stratigrafica del sito caratterizzata dalla presenza di strutture abitative a pianta rettangolare con pavimento a terra costituito da un piano di limo riportato, databile ad una fase piena di BM2. La struttura US448 è caratterizzata da un’area fortemente arrossata di forma ovale con una consistenza molto compatta, contornata da grumi di concotto, carbone e pochi frammenti di ceramica (fig. 1). Associati alla struttura sono una lente di cenere (US245), una lente di limo giallo US449 interpretata come ripavimentazione dell’area e alcune buche di palo (UUSS 430, 438, 442), che sembrano delimitare una partizione interna della capanna. Ad est della struttura si è identificato uno spesso strato orizzontale di colore rossiccio (US501) caratterizzato da piccoli frammenti di concotto, piccoli frammenti di ceramica, carbone e ossa ed interpretato come scarico dei residui delle attività connesse con il forno. L’area destinata ad attività di combustione, inclusa la struttura interpretata come forno, si impostava al di sopra del pavimento della struttura abitativa (US477). La presenza ripetuta di resti di combustione e concotto alternati a riporti di limo argilloso fanno ipotizzare che l’area fosse destinata ad ospitare un forno con almeno due episodi di rifacimento, di cui rimane meglio identificabile quello più recente. Fig. 1. Solarolo (RA). Età del Bronzo medio. Struttura interpretata come residuo di forno (US448) 14 Maurizio Cattani, Florencia Debandi, Alessandro Peinetti I forni noti da altri contesti, al pari di quello di Solarolo, sono stati ritrovati in pessimo stato di conservazione. Mancano spesso le parti in elevato e nella maggior parte dei casi sono ridotti ad un’area arrossata dal fuoco. La forma a pianta regolare (ovale o circolare) e la presenza di grumi o cordoli di argilla cotta permette di distinguerli dai comuni focolari. Le conoscenze sulle modalità costruttive e sull’uso di tali manufatti sono ancora limitate, essenzialmente a causa della scarsa conservazione che impedisce di conoscerne i dettagli. Generalmente sono realizzati con un impasto in argilla, che raramente si mantiene con una certa integrità e che non consente, salvo alcuni casi (vedi il rinvenimento di Nola, infra), di disporre di una completa ricostruzione delle caratteristiche strutturali. Nelle relazioni di scavo sono frequentemente segnalate aree con arrossamento superficiale o con frammenti di “concotto”, ma difficilmente si ritrova una precisa indicazione sull’ipotetico utilizzo delle aree di combustione e ciò contribuisce a ridurre il numero di strutture interpretabili come forni alimentari. L’indagine, volta a raccogliere e documentare le attestazioni note, prende in considerazione i forni a camera unica, costituiti principalmente da strutture fisse, solitamente costruiti in elevato2, con una caratteristica planimetria ovale o subrettangolare di piccole dimensioni (max 1 m). Nonostante non si possa escludere un diverso utilizzo di tali strutture (ad esempio per la cottura della ceramica), si ritiene debbano essere distinte da quelle predisposte per altre attività artigianali, solitamente di dimensioni maggiori e contrassegnate dalla presenza di altri precisi indicatori (scarti di cottura, strumenti di lavoro, localizzazione in contesto non abitativo). La base può avere forma circolare, ovale, a ferro di cavallo, rettangolare o quadrata, con un pavimento realizzato con un semplice strato in argilla frequentemente impostato al di sopra di una sottofondazione di frammenti di ceramica o di piccole pietre selezionate per la forma appiattita, disposti su un piano orizzontale. Le dimensioni riportate nella bibliografia archeologica variano da esemplari piccoli di 80x60 cm ad altri che superano 150x100 cm3, mentre l’altezza è mediamente 2 3 Non si prendono in considerazione le fosse di combustione, che pur avendo analogie con i forni in elevato richiedono diversi sistemi di funzionamento. Sui forni di grandi dimensioni restano alcune perplessità sull’interpretazione e si potrebbe pensare ad altre destinazioni d’uso. tra 40 e 60 cm. Le pareti possono essere realizzate con terra cruda massiva e autoportante, ma anche con un’intelaiatura di legno o lastre di pietra rivestite in argilla. Rare sono le informazioni sulla parte superiore del forno, che può essere testimoniata da confronti etnografici o da rari esemplari meglio conservati. Il forno può essere aperto alla sommità con un profilo cilindrico semplice, sigillato all’occorrenza con un coperchio, o chiuso con una copertura a cupola o a volta appiattita. Il funzionamento dei forni si basa prevalentemente sul riscaldamento dell’ambiente interno e sull’utilizzo delle superfici interne come piani di cottura. Nel caso del forno aperto alla sommità, la superficie utilizzata per la cottura è quella delle pareti verticali, su cui viene solitamente appoggiato, facendolo aderire, un pane non lievitato, come ci suggerisce il confronto con il tandoor attuale. L’altro caso del forno chiuso prevede l’utilizzo del piano basale, generalmente orizzontale, sul quale gli alimenti sono appoggiati durante la cottura. Il piano di cottura corrisponde pertanto alla superficie ove viene acceso il combustibile, introdotto attraverso l’imboccatura del forno (in genere frontale con una larghezza di ca. 30-40 cm) che serve in seguito ad inserire anche gli alimenti da cuocere. Un particolare non sempre presente è il foro di tiraggio, un’ulteriore apertura utile a far circolare l’aria che si trova generalmente nella parte superiore o posteriore del dispositivo, ed ha dimensioni relativamente piccole, tra i 10 e i 30 cm. Il record archeologico nei depositi pre-protostorici offre numerosi esempi di strutture di combustione interpretati come forni che possono contribuire alla nostra conoscenza sulla forma e l’uso di questi manufatti. Si segnalano di seguito gli esempi più significativi seguendo un ordine cronologico4. Il recente rinvenimento di Portonovo-Fosso Fontanaccia (AN), databile al Neolitico, è un caso di estremo interesse per l’alto numero di forni e per lo stato di conservazione di alcuni. In un’area di circa 300 mq sono state rinvenute 18 strutture con base circolare, rivestite di argilla e interpretate come forni (fig. 2). Presentano diversi gradi di conservazione: quelli più a monte sono fortemente erosi e se ne individuano solo le basi, mentre quelli più a valle, protetti da una coltre di sedimenti 4 Si presentano in questa sede i rinvenimenti più significativi tra tutte le segnalazioni, che saranno oggetto di un prossimo studio specificatamente dedicato alla tipologia dei forni. Le strutture di combustione ad uso alimentare nell’età del Bronzo. Dal record archeologico all’archeologia sperimentale 15 Fig. 3. Portonovo (AN). Neolitico. a) Immagine di un forno in corso di scavo b) due forni al termine dello scavo dove sono riconoscibili le coperture a volta delle strutture (da Conati Barbaro 2014a) Fig. 2. Portonovo (AN). Neolitico. Foto zenitale dell’area di scavo, (da Conati Barbaro 2014a) di maggior spessore, sono stati rinvenuti quasi del tutto integri, con pareti e volta ancora visibili (Conati Barbaro 2013: 109; 2014a: 368). Le strutture indagate, simili per forma e dimensioni, si differenziano da altri casi di forni domestici per le notevoli dimensioni e per la collocazione raggruppata, facendo ipotizzare un’area produttiva. Hanno una base circolare con un diametro tra 180 e 200 cm, pareti in argilla con un’altezza massima di 52 cm (struttura nr. 13), volta ribassata e un’imboccatura larga 90 cm (Conati Barbaro et alii 2013: 110). È stato osservato che le pareti sono ricavate nel sedimento naturale con un rivestimento interno costituito da un impasto argilloso che veniva applicato sulle pareti (fig. 3). Altri indizi relativi alle modalità costruttive derivano dal riconoscimento di impronte di elementi vegetali sul rivestimento interno delle strutture e su frammenti di concotto rinvenuti negli strati di riempimento, per i quali si è ipotizzata un’intelaiatura lignea a sostegno della struttura nella fase di costruzione fino alla cottura delle pareti. Inoltre si è constatato che i forni sono in stretta connessione con aree antistanti più o meno infossate, scavate per facilitare la realizzazione della struttura nel fianco della collina e per agevolarne l’accesso (ibid.). Le campionature del rivestimento interno dei forni hanno permesso di rilevare le temperature raggiunte al loro interno. Queste non superano i 500 °C, facendo ipotizzare che non fossero utilizzate per la cottura della ceramica, ma probabilmente destinate ad altri usi come la cottura di alimenti, l’essiccazione di carne o pesce, la tostatura di cereali o eventualmente il trattamento termico della selce. Inoltre all’interno dei forni sono stati prelevati campioni di carbone, che hanno consentito di evidenziare le essenze principali utilizzate come combustibile, riconducibili a legni duri e compatti quali leccio e carpino (Conati Barbaro et alii 2013: 113). Per approfondire altri casi di forni databili al Neolitico si rimanda all’articolo recentemente pubblicato da Cecilia Conati Barbaro (Conati Barbaro 2014a). Merita tuttavia una segnalazione il rinvenimento di Lugo di Romagna (RA), databile al Neolitico antico, dove all’interno della capanna rettangolare è stato rinvenuto sia un forno addossato alla parete nord della struttura sia un grande focolare al centro della parte settentrionale (fig. 4). Il forno ha pianta sub-rettangolare con asse maggiore di ca. 120 cm e asse minore di ca. 100 cm ed è costruito con pareti in argilla spesse ca. 15 cm. Le piccole dimensioni, la posizione e i recipienti rinvenuti destinati alla cottura degli alimenti o alla conservazione delle derrate caratterizzano il forno come una struttura domestica appartenente ad un singolo nucleo familiare (Degasperi et alii 1999: 118). Per l’età del Bronzo si deve segnalare il caso, eccezionale per la conservazione, del rinvenimento di Nola (NA), località Croce del Papa, databile intorno al 1750 a.C. e attribuibile alla facies di Palma Campania (Albore Livadie et alii 2005; Albore Livadie, Vecchio 2005; Albore Livadie 2007: 186) (fig. 5). Due forni del tipo a pianta ovale con copertura a “botte” sono stati rinvenuti nelle due strutture di dimensioni maggiori (capanna 4, lunga 15,60 m, larga 4,30-4,60 m e alta 4,5 m e capanna 3, lunga 15,20 m e larga 9 m e alta 5 m), in entrambi i casi associate ad una piastra di cottura circolare che mostra diverse fasi di rifacimento (Albore Livadie, 16 Maurizio Cattani, Florencia Debandi, Alessandro Peinetti Fig. 4. Lugo di Romagna (RA), Neolitico. a) Vista della capanna in corso di scavo con forno sulla sinistra; b) planimetria della capanna (da Degasperi et alii 1998, figg. 10, 12) Fig. 5. Nola (NA). Abitato dell’antica età del Bronzo. a) Vista da ovest (rielaborata da Albore Livadie et alii 2005: 497); b) pianta della capanna 4 con collocazione del forno; Vecchio 2005: 584-585). Nella capanna 4, accanto al forno e alla piastra di cottura era presente una macina in pietra lavica. Il forno della capanna 3 ha una lunghezza di 98 cm e una altezza di 60 cm; mentre quello della capanna 4 ha una lunghezza di 90 cm e una altezza di 55 cm. Un terzo forno è stato rinvenuto all’esterno delle capanne vicino alla gabbia dove erano tenuti alcuni ovicaprini. I dettagli del rinvenimento di quest’ultimo forno sono ancora inediti (Vecchio, Albore Livadie 2002a; 2002b; Albore Livadie et alii 2005: 501). Da una osservazione delle piante e delle immagini pubblicate sul rinvenimento di Nola si possono avere altre informazioni sulle modalità costruttive: le pareti di ca. 10 cm di spessore sono leggermente rastremate verso l’interno e la volta, senza alcun foro di tiraggio, è caratterizzata nel- la sommità esterna da un leggero rilievo di forma circolare (esterno 18 cm, interno 15 cm); la base è sopraelevata rispetto al pavimento della capanna con uno spessore di ca. 10 cm e si prolunga dalla apertura della porta di ca. 20 cm (fig. 6). L’apertura, in posizione leggermente arretrata rispetto al limite della base, è ad arco con due sopraelevazioni ovali alla sommità, presumibilmente a scopo ornamentale. Altri forni databili all’età del Bronzo sono quelli rinvenuti nell’abitato di Coppa Nevigata, dove sono state messe in luce diverse strutture di combustione in quasi tutte le fasi di vita comprese dal Protoappenninico al Subappenninico avanzato, collocate sempre in aree esterne alle strutture abitative. Lo studio dell’abitato può costituire pertanto un buon campione per prendere in esame le diverse strutture connesse con l’uso del fuoco, Le strutture di combustione ad uso alimentare nell’età del Bronzo. Dal record archeologico all’archeologia sperimentale 17 Fig. 6. Nola (NA) Abitato dell’antica età del Bronzo. a) pianta; b) sezione del forno di, capanna 4 (rielaborato da Albore Livadie et alii 2005: 498) benché rimanga difficile stabilire la precisa funzione correlata con ciascun tipo (Cazzella, Recchia 2008: 53). Di particolare interesse l’annotazione degli autori relativa a due forni della fase finale del Protoappenninico rinvenuti ravvicinati nell’area al di fuori delle prime mura. La posizione periferica e la duplicazione della struttura hanno fatto ipotizzare che in questo caso non si tratti della normale cottura del cibo per una famiglia nucleare, ma per un gruppo più ampio, oppure di altre attività di trasformazione dei prodotti alimentari come la tostatura dei cereali. Un altro forno è stato messo in luce in relazione con i livelli dell’Appenninico Antico, in posizione simile a quelli appena descritti, subito al di fuori delle prime mura. Il forno meglio documentato è quello riferibile alla fase terminale del Subappennico Recente, situato in un’area aperta. Il forno (fig. 7) ha pianta a ferro di cavallo con fronte piatto e misura ca. 90x65 cm. La superficie interna del basamento è ben rifinita. La distribuzione e la selezione dei resti di fauna hanno fatto ipotizzare che il forno potesse servire anche per la cottura di pietanze a base di carne (fig. 8) (Cazzella, Recchia 2008: 58-59). Un’altra significativa testimonianza è fornita dai forni rinvenuti nell’abitato di Sorgenti della Nova (Farnese - VT), che si sviluppa nella fase tarda del Bronzo finale, tra l’XI e il X sec. a.C. Sui fianchi della rupe, artificialmente terrazzati, si aprono numerose grotte artificiali, scavate nella parete e destinate ad abitazione, a luogo di culto e a strutture di servizio, mentre sui terrazzamenti antistanti furono costruite grandi abitazioni a pianta ellittica con fondazioni su canaletta, destinate a famiglie allargate o a più nuclei familiari (Negroni Catacchio et alii 2000: 242). Sul versante rivolto a nord della collina di Sorgenti della Nova sono stati rinvenuti (settore III) due forni in argilla. Entrambi i forni, simili per forma e tecnica costruttiva, erano collocati all’interno di una nicchia scavata nel tufo, vicino ad altre struttu- Fig. 7. Coppa Nevigata (FG), Età del Bronzo recente. Immagine del forno in corso di scavo (da Cazzella, Recchia 2008: 60) re a destinazione probabilmente abitativa (Miari 1995a: 276). Il forno 1 è caratterizzato da una pianta ovale di 110x65 cm e da una copertura a cupola, purtroppo completamente crollata, con foro per l’uscita del fumo sulla sommità. Il foro di sfiato doveva raggiungere il diametro di circa 30 cm, simile per dimensione all’imboccatura, situata sul lato anteriore, ampia anch’essa 30 cm. Le pareti e la volta a cupola sono in argilla cotta, che si assottigliano verso l’alto. Presentano due successivi rifacimenti e frequenti rincalzi in terra e argilla. L’altezza complessiva della struttura è di circa 60 cm. Il pavimento, alto 10 cm ca., è costituito da un piano rubefatto con preparazione di tufo giallo frantumato e compattato, che appoggiava su un sottile strato di pomici poste a contatto del substrato roccioso per regolarizzarne la superficie (Negroni Catacchio 1995: 109-110). Il forno 2 (settore III) è caratterizzato da una pianta sub-ellittica lunga 114 cm e larga 102 cm, con diametro interno di 85 cm (fig. 9). Il pavimento è spesso 10 cm. La copertura del forno, alto 60 cm, è costituita da una volta a cupola in argilla, spessa 20 cm alla base e via via più sottile fi no alla sommità, e non supera i 5 cm di spessore. Proprio sulla sommità della volta si apre un foro subcircolare per l’uscita del fumo, ampio 20 cm. Nella parte anteriore vi è invece una porta d’ingresso ampia 30 cm, esternamente alla quale fu rinvenuta una pietra piatta che doveva fungere da sportello di chiusura (Negroni Catacchio 1995: 133). È interessante notare che i due forni appaiono molto simili dal punto di vista costruttivo e per le loro caratteristiche tecniche. Entrambi sono costruiti interamente in terra con una porta d’in- 18 Maurizio Cattani, Florencia Debandi, Alessandro Peinetti Fig. 8. Coppa Nevigata (FG), Età del Bronzo recente. Planimetria ed analisi funzionale dell’area con il forno (da Moscoloni et alii 2002: 157) gresso anteriore e un foro di sfiato sulla sommità. Nonostante differiscano per pianta, circolare in un caso ed ellittica nell’altro, mantengono la stessa dimensione in termini di superficie interna (fig. 10). Dal punto di vista tecnico-funzionale possono essere utilizzati indifferentemente per cuocere a diretto contatto col combustibile oppure mediante irraggiamento indiretto. A Sorgenti della Nova questa seconda tecnica di cottura sembra confermata dal rinvenimento di un vasto strato di ceneri e carboni di risulta dalla pulizia del forno nell’interstizio tra la parete rocciosa della nicchia in cui si colloca il forno e il forno stesso. La presenza di alcuni frammenti ceramici con difetti di cottura aveva fatto ipotizzare che il forno 1 fosse stato utilizzato per la cottura della ceramica. Successivamente, la tipologia e le dimensioni dei forni hanno fatto propendere per l’ipotesi di un uso connesso con la cottura dei cibi. Nell’abitato di facies appenninica di S. Maria di Ripalta a Cerignola (FG) è segnalata negli scavi del 1980 una fornace per ceramica (Nava, Pennacchioni 1981: 47). Tuttavia questo rinvenimento può essere assimilato ai forni ad uso alimentare per dimensioni e morfologia (fig. 11). Nell’insediamento preistorico di Cattolica (RN), via Carpignola, appartenente ad un arco cronologico compreso tra una fase piena del Bronzo antico e il Bronzo medio 1, sono state individuate alcune capanne a pianta rettangolare absidata. Sia all’interno che all’esterno delle capanne sono state rinvenute tracce di focolari, piastre e Le strutture di combustione ad uso alimentare nell’età del Bronzo. Dal record archeologico all’archeologia sperimentale 19 Fig. 9. Sorgenti della Nova (VT). Età del Bronzo fi nale. Planimetria dello scavo con collocazione del forno 2 (da Negroni Catacchio 1995: 96) Fig. 11. S. Maria di Ripalta (BA). Vista del forno (da Nava, Pennacchioni 1981: 47) Fig. 10. Sorgenti della Nova (VT). Età del Bronzo finale. Pianta, sezione e prospetto dei forni in argilla (Miari 1995: 277) una struttura interpretata come un forno a cupola (fig. 12). Il forno, identificato grazie alla presenza della copertura collassata in argilla cotta, era costituito da una piastra subcircolare (Ø 45 cm), ben conservata, con una superficie liscia e compatta, legger- 20 Maurizio Cattani, Florencia Debandi, Alessandro Peinetti Fig. 12. Cattolica (RN). Antica età del Bronzo e fase iniziale della media età del Bronzo. Planimetria generale delle strutture dell’abitato (da Miari et alii 2009: 43) mente convessa, interpretata come piano di combustione, coperta da un sottile livello di cenere (fig. 13). Al di sopra, una lente composta da sedimento rubefatto, frammenti di argilla cotta e tracce di elementi lignei, è stata interpretata come il residuo del crollo della volta (Miari et alii 2009: 46). Le strutture di combustione ad uso alimentare nell’età del Bronzo. Dal record archeologico all’archeologia sperimentale 21 Fig. 14. Modalità di trasferimento del calore all’interno del forno. Modificato da Denzer 2007 Fig. 13. Cattolica (RN). Antica età del Bronzo e fase iniziale della media età del Bronzo Vista del forno in fase di scavo (da Miari et alii 2009: 49) Il funzionamento del forno Dall’analisi tecnica dei forni preistorici appare chiaramente come fossero già stati acquisiti empiricamente i principi di funzionamento di scambio del calore utile alla cottura dei cibi. Affrontarli brevemente ci permette di controllare i particolari costruttivi dei forni antichi e di ricostruire i modelli da applicare nella fase sperimentale, soprattutto in relazione alle parti solitamente lacunose nella documentazione archeologica (pareti in elevato, volta, camino o sfiati, portello di chiusura). La cottura dei cibi all’interno di un forno in argilla si basa sulla caratteristica della terra come materiale da costruzione con un’ottima capacità di immagazzinare il calore e di rilasciarlo lentamente, sfruttando i meccanismi di conduzione, convezione ed irraggiamento (fig. 14). La camera unica destinata alla combustione (riscaldamento) e alla cottura (trasferimento del calore) richiede che le due fasi debbano svolgersi in successione. La fase di riscaldamento di un forno deve permettere di alzare progressivamente la temperatura all’interno della camera di cottura finché le pareti e il piano accumulino un massimo di calore che andrà in seguito restituito cuocendo gli alimenti inseriti al suo interno. Con l’accensione del combustibile si ottengono molto velocemente le braci ed inizia un fenomeno termodinamico. Dopo un certo lasso di tempo si sviluppa una forte pressione nel punto più alto della volta, che spinge l’aria calda e le fiamme lungo il soffitto fino all’apertura del forno. Durante questo tempo, nella parte bassa il combustibile brucia grazie alla bassa pressione che provoca l’aspirazione attraverso l’imboccatura di aria fredda dall’esterno verso l’interno. Di fatto questa circolazione d’aria è sufficiente e non c’è bisogno di una seconda apertura per ottenere un buon tiraggio. Si deve aggiungere combustibile fino a quando la volta diventa di colore bianco, indicando che l’umidità è scomparsa e che il forno comincia ad accumulare calore. Raggiunta un’elevata temperatura (tra 500 e 1000 °C; cfr. Đuričić 2014: 269), si procede alla successiva fase ed inizia il raffreddamento: il fuoco si è esaurito o è stato soffocato bloccando l’apertura con un portello, le braci sono distribuite su tutto il piano e soprattutto verso l’apertura che raffredda molto velocemente. Queste sono poi rimosse o accantonate su un lato, ripulendo il piano dalle ceneri, per avere spazio sufficiente da destinare alla cottura degli alimenti ed estrarre il massimo del calore dall’argilla. La temperatura si abbassa gradualmente e può essere calcolata empiricamente: se inserendo la mano verso l’interno è possibile lasciarla qualche secondo significa che il forno è ad una temperatura ideale per cuocere (ca. 200250 °C). Più efficace è il metodo utilizzato comunemente dai fornai, verificando la reazione di un pizzico di farina immesso nel forno sul piano di cottura. Se la farina carbonizza indica che la temperatura è ancora troppo elevata, mentre se assume una colorazione dorata la temperatura è adatta alla cottura5. Una grande quantità di calore viene ceduta per conduzione direttamente dal piano basale del forno a favore di quanto viene posto a cuocere su di esso. Una delle caratteristiche costruttive necessarie è la capacità di assorbire e mantenere calore da parte del piano del forno, che non dovrà raffreddarsi troppo rapidamente. Un buon isolamen- 5 Si ringrazia Pino Pulitani per la segnalazione e la verifica sperimentale del metodo. Si veda anche Pigozne-Brinkmane 2005: 83. 22 Maurizio Cattani, Florencia Debandi, Alessandro Peinetti to e l’utilizzo di argille refrattarie potranno soddisfare questa esigenza. Le correnti di convezione interne al forno trasportano il rimanente calore dalle pareti del forno al cibo. Anche se la capacità di accumulare calore dell’aria è limitata, il continuo movimento delle correnti di convezione contribuisce a mantenere uniforme la temperatura di cottura in ogni parte del forno. Il processo più efficace è tuttavia la trasmissione per irraggiamento diretto dalle superfici delle pareti interne del forno precedentemente riscaldato. Anche se il forno viene aperto per aggiungere o togliere alimenti con un conseguente abbassamento della temperatura, la quantità di calore trasferita per irraggiamento assicura comunque la capacità di cuocere completamente e per molte ore. La chiusura del forno mediante un apposito sportello preserva l’ambiente umido al suo interno, estraendo l’acqua dai cibi inseriti per la cottura e mantenendola all’interno della struttura. L’umidità presente nel forno consente di cuocere ad alte temperature ed in tempi minori, senza il rischio di bruciare o seccare i cibi, ed ottenendo infine dei cibi croccanti all’esterno e morbidi all’interno. Forma e dimensioni del forno I forni finora documentati per tutta la preistoria sono a pianta circolare o ellittica con una volta a calotta o a botte. La scelta è evidentemente legata alla caratteristica delle superfici curve, che aiutano i moti convettivi dell’aria a raggiungere tutti i punti del forno, senza lasciare spazi freddi. Inoltre, la forma curva della volta assicura che il calore assorbito e riflesso dal fuoco di legna venga ceduto per irraggiamento in maniera uniforme su tutta la superficie di cottura e su tutti i cibi presenti in qualunque parte del forno (Prevost-Derkmarker 2002). Le dimensioni e soprattutto la conformazione della volta riflettono probabilmente diverse tipologie di cottura. Forni a volta bassa (fig. 15a), nonostante possano perdere calore attraverso la bocca, quando utilizzati aperti si scaldano più rapidamente, e cuociono anche più rapidamente, grazie al principio della minor distanza dei cibi dalla fonte di irraggiamento costituita dalla volta. Forni a cupola alta (fig. 15b), tendono a non avere una distribuzione omogenea del calore concentrandolo alla sommità, richiedono più tempo e combustibile per essere scaldati, anche se si mantengono caldi più a lungo. La tipologia con volta piatta alta potrebbe pertanto corrispondere alla scelta più efficace per un uso domestico (fig. 15c). Per la scelta delle dimensioni si deve notare che oltre al rapporto delle dimensioni dei beni da cuo- Fig. 15. Ricostruzione delle dinamiche di riscaldamento del forno: a) forno a volta ribassata; b) forno con volta a cupola; c) forno con rapporti ottimali per la circolazione del calore cere, il principio fondamentale è il mantenimento del calore all’interno della struttura: maggiore sarà la dimensione del forno, altrettanto sarà la quantità di calore necessaria per raggiungere la stessa temperatura di cottura. Un punto importante è pertanto il mantenimento del calore al suo interno il più a lungo possibile, evitandone la dispersione. Questo particolare è connesso alla presenza eventuale di camini di tiraggio, difficilmente riscontrabili nella documentazione archeologica per il loro posizionamento nelle parti in elevato del forno. Se un tiraggio può facilitare l’accensione e accelerare la fase di riscaldamento, anche se come si è detto precedentemente non è necessario, ogni apertura nelle pareti del forno costituisce una via di fuga per il calore che deve invece essere evitata. Si ritiene pertanto probabile che in molti forni di uso domestico non fossero presenti aperture oltre all’imboccatura. Le strutture di combustione ad uso alimentare nell’età del Bronzo. Dal record archeologico all’archeologia sperimentale La posizione dei forni: all’interno delle strutture abitative o all’esterno La documentazione archeologica mostra una variabilità costruttiva ed una scelta nella posizione alquanto differenziata, sia all’interno delle strutture abitative, sia in aree aperte intermedie alle capanne. Quando è collocato all’interno della capanna, il forno è presumibilmente destinato a produzioni domestiche, che se confermate dalle piccole dimensioni, servono per un fabbisogno quotidiano di pochi individui (10-15 max). La posizione interna lo protegge dall’umidità, soprattutto durante i periodi di inattività, permette di riscaldarlo più rapidamente grazie all’assenza di vento e di pioggia diretta ed ugualmente consente un mantenimento della temperatura più lungo per un utilizzo ripetuto. Un posizionamento interno inoltre consente di riscaldare anche l’ambiente, utile nei periodi più freddi grazie alla fase successiva alla cottura, in cui la porta viene aperta e il calore esce poco a poco nella stanza. Fattore che oggi consideriamo negativo è invece lo smaltimento dei fumi, soprattutto in ambienti completamente coibentati, ma che nelle capanne preistoriche poteva essere risolto con la precisa conoscenza della convezione dell’aria calda verso l’alto e verso l’esterno e pertanto risolvibile con il posizionamento di un’apposita apertura6. La collocazione dei forni all’esterno delle unità abitative può presumibilmente riferirsi ad altri fattori della produzione, tra cui l’utilizzo condiviso da più famiglie o l’appartenenza a sistemi più complessi, in cui potrebbe prevalere la quantità del prodotto. L’utilizzo di queste strutture permette senza alcun dubbio di grigliare, arrostire, bollire, affumicare gli alimenti. La necessità di cotture differenti secondo gli alimenti e le ricette spiegano senza dubbio la presenza frequente di focolari vicino ai forni, talvolta accostati ad essi. fatti per un apporto intenzionale di materiali da costruzione (in primo luogo sedimenti impastati), giustapponendo e compattando masse di terra cruda, talvolta su più livelli di spessore centimetrico per creare un piano rilevato rispetto al piano d’occupazione circostante. La superficie superiore finita è solitamente interessata da un’alterazione termica connessa a fenomeni di combustione più o meno intensi, legati al funzionamento stesso della struttura. Le piastre di cottura sono state segnalate in contesti cronologicamente e culturalmente diversi, a partire dal Neolitico (Fabbri et alii 2007: 72; Cavulli 2008: 321)8 e con un’intensificazione delle attestazioni e dell’accuratezza degli apprestamenti a partire dall’età del Bronzo (Audouze 1989: 327; Cazzella, Recchia 2008: 56-58). Superfici decorate sono attestate in particolar modo nell’età del Ferro (Roux, Raux 1996: 409-422). La loro interpretazione funzionale è spesso ricondotta all’uso domestico, in particolare alla trasformazione degli alimenti ed alla cottura dei cibi. Le piastre di cottura hanno un perimetro generalmente circolare, talvolta ovale o quadrangolare. Anche le dimensioni variano notevolmente, a seconda delle attività per le quali la struttura è destinata e del loro utilizzo domestico, collettivo o artigianale. Le piastre circolari hanno un diametro di poco inferiore o vicino al metro (generalmente 70-120 cm), eccetto per strutture particolarmente estese, forse non strettamente domestiche, che possono raggiungere i 2 m di diametro (Cazzella, Recchia 2008: 58). F.D. Le piastre di cottura: breve inquadramento dei dati archeologici Le piastre di cottura sono un particolare tipo di struttura di combustione, classificabili tra i focolari strutturati e costruiti7. Si caratterizzano in8 6 7 Per quanto riguarda l’assenza di aperture per lo smaltimento dei fumi negli edifici, testata sperimentalmente, si veda Petrequin 1991. Sembra utile differenziare archeologicamente i focola- 23 ri semplici (non strutturati) dalle aree di combustione strutturate (ed eventualmente costruite), rielaborando le proposte formulate durante il “Seminario sulle strutture d’abitato”, dedicato ai residui di combustione, organizzato da A. Leroi-Gourhan al College de France nel 1973 (Leroi-Gourhan 1973: 43). Rispetto ai focolari semplici, impostati direttamente sul piano di calpestio, senza una delimitazione spaziale ed identificabili in particolare per un’alterazione termica del substrato, possiamo distinguere focolari strutturati senza apporto di materiale (ad esempio focolari in couvette) e focolari strutturati costruiti (ad esempio strutture di combustione delimitate da pietre o cordoli in terra cruda, focolari il cui fondo è costituito da un empierrement o ancora le piastre di cottura, tutti caratterizzati da un apporto di materiale che delimita e struttura spazialmente l’area destinata ai processi di combustione). Alcune strutture, che ricordano le piastre di cottura per morfologia e tecnica di apprestamento, sono tuttavia segnalate a partire dal Paleolitico, come ad esempio una delle strutture di combustione rinvenute nel sito magdaleniano di Monruz, Neuchatel - Svizzera (segnalazione di J. Wattez - INRAP; giugno 2015) o le strutture aurignaziane, ricostruite sperimentalmente, della grotta di Klisoura - Grecia (Kot 2008). 24 Maurizio Cattani, Florencia Debandi, Alessandro Peinetti Fig. 16. Mursia (Pantelleria - TP). Fase iniziale della media età del Bronzo. a) foto zenitale e b) immagine di dettaglio delle piastre (scavi UniBO) Il sito di Mursia a Pantelleria (TP), databile tra XVIII e XV secolo a.C., mostra un ampio ventaglio di strutture di combustione del tipo “piastra di cottura” (Ardesia et alii 2006). Un primo tipo di piastra, di forma essenzialmente tabulare, ha la superficie superiore piana o leggermente concava, solitamente con uno spigolo arrotondato ed un bordo verticale. Queste piastre presentano spesso un vespaio realizzato con ciottoli e frammenti ceramici giustapposti, sul quale è messa in opera la terra cruda con spessore variabile, nell’ordine di qualche centimetro (fig. 16). Si caratterizzano generalmente per l’accuratezza della loro realizzazione e per l’intensità del processo termico, che ha condotto ad un consolidamento totale della struttura. Questo fenomeno ne garantisce generalmente una buona conservazione nel record archeologico ed un’elevata riconoscibilità durante lo scavo. È possibile che questo tipo di strutture fossero sottoposte ad un accurato consolidamento per mezzo del fuoco precedentemente al loro primo utilizzo, vista l’omogeneità delle loro colorazioni e della coesione della materia. Nello stesso sito di Mursia sono attestate anche piastre con spesso vespaio in ciottoli, ghiaie e frammenti ceramici, ricoperto da un più sottile strato di impasto. L’andamento della superficie lisciata è piano o leggermente convesso e la sua conservazione è spesso compromessa ai bordi, lasciando dubbi sulla reale estensione del rivestimento in terra cruda (fig. 17). Per quanto riguarda il sito di Solarolo - via Ordiere (RA), sono ad oggi attestati diversi focolari semplici ed una sola piastra di cottura, Fig. 17. Mursia (Pantelleria - TP). Fase iniziale della media età del Bronzo. Vista di dettaglio della piastra in fase di scavo Fig. 18. Solarolo (RA). Media età del Bronzo medio. Vista della sezione della piastra US 79 posta sopra un cumulo di cenere US 187 (scavi UniBO) sprovvista di vespaio. Quest’ultima struttura è stata realizzata al di sopra di un cumulo di cenere. Ha profi lo superiore essenzialmente piano, Le strutture di combustione ad uso alimentare nell’età del Bronzo. Dal record archeologico all’archeologia sperimentale con i limiti esterni scarsamente conservati (fig. 18). La superficie è riferibile ad un impasto steso e lisciato con uno spessore di 2 cm, che reca intense tracce di combustione. Alla base della struttura sono invece osservabili sedimenti con tracce di rubefazione, friabili e con una coesione non paragonabile a quella della crosta superficiale. Le modalità precise di manifattura di questa piastra sono ancora da comprendere, ma sembra già possibile osservare come questa struttura si caratterizzi per una certa precarietà nella sua realizzazione. Strutture simili, con profilo superiore leggermente convesso o con limiti troppo degradati per ricostruirne l’andamento, sono state rinvenute nel sito di Bronzo antico di Cattolica (RN) (Miari et alii 2009: 46-47). Nel corso dell’età del Bronzo in Italia Settentrionale sono attestate piastre di cottura di morfologie variabili e con apprestamenti più o meno curati, provvisti o meno di vespaio (cfr. Bassetti, Degasperi 2002; Cremaschi, Bernabò Brea, Bronzoni 2004: 68; Balista et alii 2008, fig. 13; Bernabò Brea et alii 2008: 86, 91; Miari, Gasparini, Maini c.s.). Sono egualmente attestate in contesti peninsulari alcune piastre di cottura alloggiate in una leggera depressione del terreno, con la superficie d’uso piana che giace quasi allo stesso livello del piano d’occupazione circostante (De Rosa, Piccioli, Vecchio 2007: 84). Esistono anche fosse di combustione poco profonde, la cui parete è rivestita in terra cruda, talvolta definite come “piastre di cottura” (cfr. Cavulli 2008: fig. 7.37). I rinvenimenti meglio conservati sono quelli degli abitati dell’età del Bronzo di Nola (NA) e di Coppa Nevigata (FG). A Nola le piastre di cottura nelle capanne 3 e 4 (fig. 19) sono poste adiacenti al forno (Albore Livadie, Vecchio 2005: 24, fig. 27). A Coppa Nevigata piani di cottura subcircolari sono segnalati sia all’interno di una struttura ellissoidale delimitata da pietre a secco, sia come strutture indipendenti con sottofondo di ceramica e pietre, rivestite da argilla più o meno accuratamente lisciata in superficie e consolidata per l’esposizione al calore (Cazzella Recchia 2008: 56). Strutture simili sono ampiamente diffuse in altri siti coevi della Puglia, a Monopoli (Cinquepalmi 1995; 1998), Punta Le Terrare (Lo Porto 1963), Porto Perone (Recchia, Radina 1998) e Scalo di Fumo (Radina et alii 2002). In molti casi risulta difficile riconoscere esattamente l’articolazione di una piastra, per problemi legati sia alla sua conservazione che ai limiti dello scavo stratigrafico. L’area centrale della struttura, se interessata da processi termici intensi, è in gene- 25 Fig. 19. Nola (NA). Abitato dell’antica età del Bronzo. Capanna 3. Vista della piastra di cottura (da Albore Livadie, Vecchio 2005: fig. 27) re meglio conservata, mentre il perimetro mostra spesso segni di erosione e decadimento. Questo impedisce la corretta osservazione del profilo della piastra e la sua articolazione laterale nei confronti dei piani di calpestio in fase con essa. Si possono poi avere delle “false” piastre di cottura, nel caso in cui processi antropici (calpestio, pulizia ricorrente…) o naturali (ruscellamento di acque meteoriche…) hanno determinato un’erosione, anche parziale, del piano di occupazione adiacente ad un semplice focolare. Il sedimento alterato da processi di combustione oppone in effetti maggiore resistenza all’erosione, rimanendo talvolta rilevato rispetto al piano circostante e dando l’impressione di trovarsi dinnanzi ad una piastra di cottura al momento dello scavo (cfr. Ramseyer 2003). Un simile problema si può presentare anche durante lo scavo stratigrafico: la superficie rubefatta di un focolare impostato direttamente su di un piano è di facile individuazione, mentre il piano di calpestio adiacente può risultare leggermente sovrascavato creando una differenza di quote tra le due unità stratigrafiche, ponendo dubbi sulla reale natura della struttura di combustione. Questo problema può essere risolto anche grazie all’analisi dei processi di costruzione, uso e alterazione della piastre di cottura, in modo da permettere una classificazione degli indicatori macroscopici e microscopici tipici, anche in rapporto ad altri tipi di struttura di combustione, quali i focolari semplici. Le piastre erano in genere soggette a regolare pulizia e manutenzione, comportando anche rigenerazioni delle superfici con stesure di impasto di spessore centimetrico o millimetrico. La loro pulizia contribuisce alla formazione di depositi secondari, caratterizzati da residui di combustione. 26 Maurizio Cattani, Florencia Debandi, Alessandro Peinetti Il caso del sito di Via Ordiere-Solarolo è esemplificativo in questo senso, poiché la stratificazione antropica è spesso caratterizzata da questi residui, presenti sia sotto forma di carboni e microcarboni sparsi all’interno di spessi strati tabulari, sia in limitate lenti e cumuli di cenere, talvolta mista a carboni. La realizzazione delle piastre di cottura Lo studio tecnologico del processo di realizzazione delle piastre di cottura deve essere attuato caso per caso. Possiamo qua delineare solo alcune delle caratteristiche principali. La presenza di un vespaio è spesso documentata: la sua realizzazione avviene per giustapposizione di elementi ceramici (spesso frammenti di vasellame di grosso e medio calibro) o ciottoli e pietre di piccole dimensioni (3-5 cm). Anche la presenza di piastre di cottura impostate su tavolato ligneo è documentata a partire dal Neolitico9. Per quanto riguarda la stesura della superficie, l’impasto può essere realizzato con sedimenti di natura e granulometria variabile. Anche una frazione argillosa quantitativamente scarsa garantisce una sufficiente coesione e plasticità (Houben, Guillaud 2006: 67). La presenza di materiale antropico o vegetale nell’impasto può rappresentare un’aggiunta volontaria del costruttore, ma anche essere una caratteristica della materia prima utilizzata, come nel caso di sedimenti provenienti da depositi antropizzati o da orizzonti umici superficiali, ricchi di apparati radicali. L’apporto di acqua, l’accuratezza e l’omogeneizzazione dell’impasto possono variare a seconda delle strutture. In alcuni casi si ipotizza l’utilizzo di un sedimento scarsamente umido (umidità naturalmente presente nel sedimento cavato), che viene steso e battuto aspergendolo d’acqua in superficie10. La finitura della superficie può essere più o meno accurata ed il suo aspetto dipende, in parte, dal tipo di sedimento utilizzato e dalla tecnica di messa in opera. Il funzionamento delle piastre di cottura La predisposizione di tali piani con una superficie lisciata sembra riconducibile alle necessità dettate da una cottura di alimenti per contatto 9 10 Da segnalare come J. Gascó suggerisce di differenziare i riporti di argilla su tavolato ligneo (da lui considerati come semplici dispositivi per isolare il pavimento dai processi di combustione e dunque riconducibili alla categoria dei focolari semplici) rispetto alle piastre di cottura, in particolare quelle dell’età dei metalli (Gascó 2002). Comunicazione personale di G. Gaj - CAST di Villarbasse (TO) (gennaio 2014). Fig. 20. Modalità di trasferimento del calore sulla piastra di cottura Fig. 21. Modalità di trasferimento del calore con l’uso della coppa di cottura con il piano riscaldato (Gascó 2002). È stato dimostrato sperimentalmente come questo tipo di cottura sia adatto sia per fini gallette non lievitate (Buzea et alii 2008: 223), sia per fini focacce parzialmente lievitate o carni (D’Oronzo c.s.; D’Oronzo, Fiorentino c.s.). In questo caso la cottura dei cibi avverrebbe essenzialmente per conduzione del calore da parte del corpo della piastra (fig. 20). Il dispendio in termini di combustibile sembra tuttavia elevato per tali tipi di cottura e può essere limitato grazie all’utilizzo di dispositivi particolari, come la coppa di cottura, che costituisce una sorta di fornetto rimovibile sotto al quale cuocere svariati alimenti, posti direttamente sul piano o in un basso contenitore (fig. 21). Anche un utilizzo legato alla tostatura dei cereali, come per i forni, è da prendere in conto (Cazzella, Recchia 2008: 58). La piastra si presta ugualmente a tutti i tipi di cottura di alimenti realizzabili in un focolare semplice. Un esempio potrebbe essere la cottura del pane al di sotto delle ceneri ancora calde, attestata tradizionalmente nel mondo contadino medievale (Chiron 2008: 24). Anche l’uso di spiedi, ricavati da sottili rami verdi, per la cottura di carni è possibile, anche se difficilmente dimostrabile sul piano archeologico. L’utilizzo di contenitori posti a diretto contatto delle braci o leggermente sospesi al di sopra di esse, grazie ad alari o sostegni di vario tipo, è ugualmente attestato (fig. 22). Sono ugualmente utilizzati per i processi di panificazione anche pietre o terrecotte di forma tabulare (Bocquet 1994: 73; Chiron 2008: 24; Peinetti 2014: 297), teglie (Di Gennaro, Depalmas 2011: 51) o testi e Le strutture di combustione ad uso alimentare nell’età del Bronzo. Dal record archeologico all’archeologia sperimentale Fig. 22. Mursia (Pantelleria - TP). Fase iniziale della media età del Bronzo. Piastra di cottura in corso di scavo, associata ad un alare ed a recipienti ceramici altri elementi ceramici di forma discoidale, come i plat à pain del Neolitico francese (Bailloud 1961). Questa ampia gamma di oggetti serve come supporto al cibo da cuocere e garantisce la diffusione uniforme del calore: può essere potenzialmente posta al di sopra delle braci durante il processo di cottura del pane, ma anche essere riscaldata per poi effettuare il processo di cottura a parte, al di fuori del focolare. L’accensione di un fuoco vivo direttamente sulla superficie sembrerebbe il procedimento più semplice per ottenere il riscaldamento delle piastre e le braci. Questo potrebbe condurre a quelle attestazioni archeologiche ove la superficie della piastra presenta forti tracce di rubefazione soprattutto nella sua area centrale ed un perimetro maggiormente degradato. Tuttavia rimane verosimile l’ipotesi che alcune piastre fossero utilizzate in presenza di sole braci, precedentemente prodotte in un focolare adiacente o in altri tipi di strutture di combustione. Questa tesi sembra testimoniata nell’abitato di Mursia (TP), nel quale ricorre una stretta associazione tra ciste litiche destinate alla combustione di legname e piastre di cottura. Del resto sembra verosimile una certa complementarietà, anche nella gestione di braci e fuoco oltre che nella produzione alimentare, tra le varie strutture di combustione inerenti ad una medesima unità domestica. Piastre, focolari, forni o ciste sono spesso rinvenuti in associazione all’interno delle medesime strutture abitative in molti contesti dell’età del Bronzo (Albore Livadie et alii 2005: 501; Ardesia et alii 2006: fig. 13). La morfologia concava di alcune piastre sembrerebbe finalizzata ad una maggiore concen- 27 trazione di braci e calore verso il centro della struttura. Superfici piane o leggermente convesse appaiono invece più funzionali alla rimozione delle braci o dei residui di combustione. Anche questa differenza morfologica potrebbe rivelare una variabilità dell’utilizzo di strutture apparentemente simili. La costruzione di una piastra di cottura può avere quindi uno scopo funzionale, legato alla necessità di cuocere cibi sfruttando la conduzione termica garantita dal piano di cottura, ma potrebbe rappresentare allo stesso tempo un’intenzione di delimitazione dell’area di combustione rispetto a quanto garantito da un semplice focolare (Audouze 1989: 327). La piastra di cottura ricoprirebbe in questo ultimo caso il ruolo di installazione polifunzionale, adatta alla realizzazione di procedimenti, attività e tipi di cotture differenti a seconda delle strategie d’uso impiegate. Posizionamento e status delle piastre di cottura all’interno dell’abitato Si rinvengono piastre di cottura sia in ambienti chiaramente interni ed ascrivibili alla sfera domestica, che in aree esterne agli edifici (Albore Livadie et alii 2005; Balista et alii 2008; Cazzella, Recchia 2008; Miari et alii 2009). Soprattutto in climi maggiormente umidi, sembra possibile ipotizzare la presenza di coperture e ripari leggeri per molte piastre di cottura esterne: questo potrebbe essere uno dei requisiti per la loro conservazione nel deposito archeologico, che sarebbe compromessa se tali strutture fossero esposte agli agenti atmosferici in maniera continuativa durante il loro utilizzo. Tuttavia, questa ipotesi deve essere ancora verificata sperimentalmente (Peinetti 2013). Il posizionamento, l’accuratezza impiegata nel processo di manifattura, la ritmicità e l’intensità dei processi di combustione potrebbero essere indicatori rilevanti per il riconoscimento di strutture da fuoco secondarie, usate occasionalmente o caratterizzate da approntamenti maggiormente opportunistici. Anche l’analisi delle tracce d’uso, dei processi di manutenzione e dei residui di combustione può apportare dati circa l’identificazione dello status della struttura all’interno dell’unità domestica e dell’abitato. Le strutture esterne potrebbero essere oggetto di un utilizzo collettivo, riguardante almeno più famiglie, oppure essere adibite ad attività specifiche o funzionare in alternanza con i focolari domestici interni. A.P. 28 Maurizio Cattani, Florencia Debandi, Alessandro Peinetti Alla ricerca di un protocollo sperimentale Nel quadro delle attività del Laboratorio di Archeologia Sperimentale dell’Università di Bologna realizzato sul sito dell’età del Bronzo di Solarolo (RA), il tema delle strutture di combustione è stato affrontato già da alcuni anni: nei laboratori del 2012 e 2013 erano state verificate sperimentalmente la costruzione e l’uso delle piastre di cottura, per procedere ad una cottura a contatto diretto di pane e di altri prodotti alimentari (carne). Queste prime prove pratiche hanno indotto a ripetere l’iniziativa con una rinnovata attenzione alle dinamiche di preparazione e di utilizzo delle strutture e ad estendere la sperimentazione con la replica di un forno. Nel laboratorio del 201511 si è proceduto alla ricostruzione di un forno, sul modello dei rinvenimenti di Nola (NA), e di due piastre di cottura tabulari con vespaio di cocci, realizzate sul modello delle strutture rinvenute in contesti della penisola italiana dell’età del Bronzo precedentemente descritte. La sperimentazione relativa a queste installazioni domestiche si pone differenti obiettivi: - l’ottenimento dei dati necessari alla creazione di collezioni di riferimento relative alle tecniche di costruzione di strutture di combustione in terra, completati da osservazioni riguardanti le dinamiche di disfacimento e la loro conservazione nel deposito archeologico; - un approfondimento delle variabilità nelle modalità di utilizzo, tramite la verifica della funzionalità delle singole installazioni e l’osservazione di eventuali markers archeologici relativi al loro impiego. La sperimentazione riguardante l’utilizzo di strutture di combustione ad uso alimentare si configura come particolarmente complessa. Attorno ad esse si sviluppano e si incrociano diverse catene operative: realizzazione e gestione della struttura stessa, trasformazione dell’alimento dalla materia prima al suo consumo e sfruttamento del combustibile necessario al processo di cottura (fig. 23). A questi processi di base si aggiungono altrettante Fig. 23. Schema del sistema “cottura” 11 Si ringraziano gli allievi del Laboratorio di Archeologia Sperimentale del corso di laurea in Archeologia e Culture del mondo Antico e della Scuola di Specializzazione in Archeologia dell’Università di Bologna per la loro collaborazione: Eleonora Bavutti, Marco Benatti, Paolo Bonometti, Marilisa Buta, Fiorenza Bortolami, Andrea La Torre, Francesca Meli, Emanuele Saletta, Nicola Strocchia, Giulia Vanzan. Si ringrazia inoltre Giambattista Fiorani per gli utili suggerimenti forniti. Le strutture di combustione ad uso alimentare nell’età del Bronzo. Dal record archeologico all’archeologia sperimentale catene operative, tante quanti sono gli eventuali manufatti accessori coinvolti nelle operazioni di cottura e trasformazione dei cibi. Si propone in questa sede un protocollo d’analisi sperimentale, che è stato possibile migliorare anche a seguito delle prime esperienze di realizzazione ed utilizzo delle strutture, articolato nei seguenti punti: 1. Tecnologia di sfruttamento della materia prima e modalità di messa in opera; 2. Funzionamento delle strutture; 3. Controllo delle tracce d’uso e dei residui di combustione; 4. Ripetitività della sperimentazione; 5. Controllo del degrado e delle trasformazioni legate all’abbandono; Per completare l’analisi del processo di cottura si dovrebbe prendere in considerazione la natura dell’alimento ed il risultato ricercato in vista del suo consumo (comprese le aspettative del consumatore, di natura culturale, ideologica o sociale, difficilmente inquadrabili), ma si è preferito in questa occasione rivolgere l’attenzione alle strutture e al loro funzionamento rimandando le considerazioni suddette alle future sessioni del laboratorio. Protocollo delle procedure 1. Tecnologia della materia prima e modalità di messa in opera. Sia le materie prime impiegate che la morfologia finale della struttura sono variabili rilevanti anche da un punto di vista funzionale. Per quanto riguarda l’analisi tecnologica della messa in opera delle strutture, è stato riadattato un protocollo già esistente, destinato alla sperimentazione su architetture in terra cruda (Peinetti et alii c.s.). Questo prevede la registrazione delle caratteristiche dei sedimenti utilizzati per l’impasto (provenienza, granulometria, struttura del sedimento, presenza di inclusi antropici o naturali, stima della frazione carbonatica…) e la quantità utilizzata. Una descrizione dettagliata degli additivi minerali o vegetali è ugualmente prevista (natura e dimensioni). La seconda fase di documentazione è destinata alle operazioni di lavorazione dell’impasto: pre-lavorazione12 e trasformazione dei sedimenti e degli additivi, rapporto tra sedimenti/additivi/ac- 12 Per pre-lavorazione si intende ogni trasformazione dei sedimenti e degli additivi precedente all’operazione di impasto, come ad esempio il processo di frammentazione delle zolle di terra cavate (con una stima della taglia degli aggregati ottenuti e dell’accuratezza del processo) o la riduzione di taglia degli additivi vegetali. 29 qua utilizzato, tecnica e stima dell’accuratezza con cui viene preparato l’impasto13, stima dell’umidità e della plasticità (Houben, Guillaud 2006: 33, 57), identificazione di inclusi eventualmente integrati in maniera casuale durante le fasi di lavorazione. Per quanto riguarda la messa in opera e la finitura delle superfici, la descrizione delle tecniche e dei gesti impiegati deve essere la più accurata possibile. L’indice di ritiro dell’impasto durante la fase di essiccazione può essere quantificato grazie al test di Alcock (Houben, Guillaud 2006: 57). La morfologia finale della struttura è stata descritta e rilevata con piante, sezioni, misurazioni e documentazione fotografica, in modo da poterne seguire l’evoluzione durante le fasi di utilizzo e abbandono. 2. Funzionamento delle strutture. Un punto cruciale nello studio del funzionamento è sicuramente l’analisi del processo di combustione, sia da un punto di vista tecnico (modalità di conduzione del fuoco e gestione delle braci), che delle modificazioni subite dalla struttura durante il suo uso. Ad esempio, per la replica del forno di Nola, uno degli aspetti rilevanti da sperimentare è il suo funzionamento in assenza di un sistema di tiraggio specifico. Dalla gestione del processo di combustione, che comprende la sua durata e la natura del combustibile usato, dipendono le temperature raggiunte dal forno e la sua capacità produttiva. In effetti ogni tipologia di struttura possiede differenti capacità di mantenimento della temperatura. Le misurazioni della durata del processo di combustione, del tempo di cottura e delle temperature raggiunte devono essere comparate con il tipo di prodotto trasformato e con la modalità di gestione delle braci. Per quanto riguarda lo studio delle temperature, sembra opportuno effettuare misurazioni in più punti, in modo da determinare la risposta della struttura rispetto al trattamento termico e la dispersione del potere calorico nelle sue differenti parti. Queste osservazioni sono utili per verificare le performance del forno, mentre lo sono meno per un confronto diretto con i materiali presenti nel deposito archeologico sottoposti ad indagine archeometrica. È già stato verificato sperimentalmente come le strutture di combustione “registrino” temperature differenti rispetto a quelle necessarie all’adempimento delle loro funzioni (Fasani et alii c.s.). 13 L’accuratezza dell’impasto può essere descritta osservando l’omogeneità di questo e la presenza di aggregati di sedimento residui. 30 Maurizio Cattani, Florencia Debandi, Alessandro Peinetti 3. Controllo delle tracce d’uso e dei residui di combustione. Per quanto riguarda l’analisi funzionale, la sperimentazione si concentrerà sull’individuazione delle tracce d’uso reperibili sulle strutture sperimentali e confrontabili con quelle delle strutture archeologiche. Le superfici delle strutture di combustione non sono solo alterate dai processi termici, ma potrebbero recare anche alcuni caratteri determinanti per stabilirne il loro uso specifico. Pensiamo in particolar modo ad alcuni caratteri macroscopici, quali le colorazioni e la presenza di depositi o “lustri”. Anche il ricorso ad analisi specialistiche sui resti dei manufatti sperimentali (in particolar modo l’analisi micromorfologica) verrà contemplata in presenza di problematiche particolari. Un ulteriore aspetto rilevante della sperimentazione sarà l’attenzione rivolta ai residui di combustione. Per l’analisi antracologica esistono progetti sperimentali già avviati, relativi a residui provenienti da piastre di cottura (v. D’Oronzo c.s.; D’Oronzo, Fiorentino c.s.). Con gli esperimenti qua descritti si tenterà invece di individuare a grandi linee la differenza tra residui di combustione provenienti dai forni rispetto a quelli prodotti dall’uso delle piastre, in particolare per quanto riguarda il rapporto quantitativo tra ceneri e carboni o la natura delle ceneri prodotte da un punto di vista microscopico, grazie ad analisi in sezione sottile. 4. La ripetitività nell’utilizzo, sperimentando differenti associazioni di variabili, dovrebbe fornire dati rilevanti rispetto alla funzionalità delle strutture. L’utilizzo del forno per processi di panificazione e delle piastre sarà reiterato il più possibile nel tempo, facendo variare sia la natura del prodotto da cuocere (pane lievitato o meno, di diverse dimensioni), che le tempistiche di preriscaldamento e le modalità di gestione del processo di combustione e cottura, misurando le temperature raggiunte. La sperimentazione permetterà di valutare anche l’efficienza della struttura rispetto ai diversi tipi di alimenti trasformati ed alle specifiche tecniche di cottura utilizzate. Durante il loro utilizzo prolungato, le strutture saranno monitorate per mostrare le formazione di eventuali marcatori di attività e di tracce riconducibili all’utilizzo, alla pulizia ed alla manutenzione delle strutture, in particolare di depositi e croste superficiali o colorazioni peculiari. 5. Sia il forno che le piastre sperimentali saranno poi abbandonate e lasciate degradare, in modo da permetterne lo scavo dei resti e l’analisi della stratigrafia risultante. Particolare attenzione sarà rivolta allo studio dei frammenti di terra combu- sta eventualmente conservati e non completamente degradati, analizzandone morfologie residue, colorazioni, tracce d’uso e consistenza14. Gli stessi frammenti confluiranno in una collezione di riferimento relativa all’analisi tecnologica dei processi di manifattura di strutture in terra cruda. Visto l’elevato numero di variabili coinvolte, si prospetta una sperimentazione articolata in fasi successive, che prevedano un livello di complessità sempre maggiore. Verranno illustrati di seguito i primi tentativi e le osservazioni preliminari disponibili, corrispondenti alla fase sperimentale di “prima generazione”, che ha preso in considerazione solo una parte delle variabili individuate e che ha garantito la formalizzazione del protocollo descritto. La costruzione del forno a cupola in terra In questa sezione si presenta la descrizione della sequenza di operazioni che hanno portato alla costruzione di un forno in terra con volta a botte o a calotta. Come già anticipato, il modello scelto per la replica sperimentale è stato quello del forno rinvenuto a Nola (cfr. supra), soprattutto per quanto riguarda la sua morfologia generale e le dimensioni. La tecnica di messa in opera, in mancanza di dati archeologici precisi a riguardo, si è avvalsa di ipotesi ricavate da altre fonti, sia archeologiche che etnografiche. 1. L’impasto per la realizzazione del forno, al pari di quello utilizzato per le piastre di cottura, è stato prodotto il giorno precedente rispetto a quello della messa in opera. Il miglioramento delle qualità tecniche di un impasto lasciato “maturare” per svariate ore, specie durante le ore notturne, è stato verificato sia su strutture architettoniche in terra cruda moderne, sia durante la realizzazione di un ulteriore forno sperimentale15. Questo periodo di riposo permette all’acqua contenuta nell’impasto di ridistribuirsi meglio, ottenendo un impasto più fermo e plastico allo stesso tempo. Per la realizzazione dell’impasto è stato usato un sedimento limo14 15 Per un esempio del protocollo che verrà usato per l’analisi dei resti in terra combusta si rimanda a Peinetti 2014: 301-302. In Picardie (Francia settentrionale) l’impasto di sedimenti, acqua e fibre vegetali per la realizzazione di edifici in torchis viene talvolta lasciato riposare durante la notte, per procedere alla messa in opera il giorno seguente (dato inedito; per l’analisi delle tecniche costruttive di questi edifici si veda Peinetti c.s.). Tale tecnica è stata sperimentata nell’agosto 2013 durante la realizzazione di un forno a cupola (dati inediti, A. Peinetti): in questo caso la messa in opera dell’impasto fresco per costruirne la base è stato meno agevole e con tenuta minore rispetto a quanto osservato per la sommità del forno, realizzata con un impasto lasciato maturare per più di ventiquattro ore. Le strutture di combustione ad uso alimentare nell’età del Bronzo. Dal record archeologico all’archeologia sperimentale argilloso scarsamente antropizzato, proveniente dai cumuli di risulta dello scavo archeologico adiacente all’area sperimentale. Il sedimento si presentava già parzialmente umido al momento dell’estrazione. Al fine di ottenere un impasto “fermo”, plastico ma non eccessivamente umido, è stato utilizzato un rapporto tra acqua aggiunta e sedimento di 1:20. L’utilizzo di un impasto eccessivamente umido rende difficoltosa la tenuta delle pareti di un forno autoportante durante la sua manifattura. Ad una parte dell’impasto, utilizzato per la costruzione delle pareti e della volta, è stata aggiunta paglia secca, in modo da armarlo e allo stesso tempo renderlo più leggero per la costruzione della volta, evitando così di aggiungere peso all’elevato. La quantità di vegetale aggiunto è stata stimata tra il 10 ed il 20% del volume totale dell’impasto; 2. Scavo di una depressione di forma ovale, profonda circa 5 cm dal piano di campagna e con dimensioni di 90x65 cm, destinata ad ospitare la sottofondazione del forno (fig. 24a); 3. Preparazione del vespaio del forno, pensato per l’isolamento parziale della struttura dall’umidità del terreno. Sono stati giustapposti dei frammenti di ceramica d’impasto di piccole e medie dimensioni16, selezionati con spessori ricorrenti di 1-1,5 cm circa (fig. 24b); 4. Inizio della costruzione delle pareti e del piano basale del forno. Per prima cosa è stato messo in opera un cordolo perimetrale che seguisse i limiti interni della fossa di fondazione della struttura. Successivamente è stato steso uno strato di impasto, privo di vegetali aggiunti, al di sopra del piano di ceramiche, con uno spessore di circa 5-7 cm in media (fig. 24c). La superficie del piano è stata lisciata per eliminare eventuali asperità, che renderebbero difficile lo scorrimento di beni e strumenti all’interno del forno. 5. Realizzazione delle pareti del forno, adottando il metodo del montaggio a bande simile a quello utilizzato per i vasi di grandi dimensioni. Sono state sovrapposte fasce di argilla di lunghezza variabile, in genere comprese tra i 30 ed i 50 cm , con sezione di circa 10x10 cm. Ogni banda era provvista di un incavo alla base, per facilitare le operazioni di saldatura dell’impasto sulla sommità della parete già messa in opera. Con questa tecnica è stata raggiunta un’altezza complessiva di 36 cm, risparmiando sulla parte anteriore del forno un’apertura di 32 cm di larghezza e 25 cm di altezza, leggermente più arretrata rispetto all’estensione del piano basale, provvisto di un aggetto esterno rispetto all’imboccatura17. 6. Realizzazione della volta a calotta, mettendo in opera bande di lunghezza minore rispetto alle precedenti (20-30 cm). Per la posa dell’impasto sono stati impiegati dei sottili ramoscelli di salice posti in orizzontale ed inglobati nella massa di terra cruda, in modo da agevolare l’aggetto della volta. Per evitare il collasso della cupola, l’impasto deve avere una bassa percentuale di umidità e deve essere messo in opera intervallando la posa ai tempi di asciugatura. Nella sperimentazione si è stabilito di far passare una notte intera tra la costruzione delle pareti e la realizzazione della volta (fig. 23d, e, f); 7. Chiusura della volta, utilizzando un sistema di ramoscelli posti orizzontalmente o inseriti all’interno della struttura stessa, poi ricoperti e inglobati nell’impasto fino a chiudere progressivamente la sommità. L’altezza tra il piano del forno e la sommità interna della volta è di 27 cm; 8. Realizzazione di un ipotetico camino nella volta18. Per quanto riguarda lo sfiato per la fuoriuscita del fumo, si è deciso di lasciare un’apertura di 10 cm di diametro (fig. 24g), successivamente chiusa con un disco di argilla e rinforzata da argilla fresca per una chiusura ermetica. Questo dispositivo è stato messo in opera per permettere l’utilizzo del forno senza sistema di tiraggio, prevedendo l’apertura del foro in un secondo tempo se necessario. Durante la sperimentazione si è osservato come il foro di tiraggio non fosse in realtà necessario. 9. Realizzazione del portello di chiusura in argilla, con dimensioni leggermente superiori all’imboccatura del forno (fig. 24h); 10. Rifinitura delle superfici esterne e “stuccatura” in corrispondenza di crepe dovute a fenomeni di ritiro dell’impasto19. Una volta terminato, il forno è stato lasciato asciugare per cinque giorni, coperto da una tet- 17 18 19 16 Nel rinvenimento di Nola non è documentata questa preparazione, nota invece in altri contesti. 31 Questo particolare è presente nel caso di Nola ed è probabile che fosse pensato per agevolare le operazioni di immissione degli alimenti nel forno, mettendo a disposizione un efficace piano di appoggio. La presenza di un camino o di un foro di sfiato nei forni da pane è dibattuta. Per il funzionamento (cfr. supra) non è necessario e in effetti nel modello scelto per la replica (Nola) non è presente. L’evidenza archeologica tuttavia mostra casi in cui è documentato un grande foro, fino a 30 cm di diametro (ad es. a Sorgenti della Nova, Miari 1995a: 276). Nella sperimentazione si è deciso pertanto di realizzare un foro alla sommità e di chiuderlo successivamente con un tappo in argilla, verificando le dinamiche di combustione e di circolazione del calore. Sono state effettuate quattro misurazioni (test di Alcock), che hanno evidenziato un ritiro lineare compreso tra 3,2 e 5,2% del volume dell’impasto con e senza l’aggiunta di vegetale. 32 Maurizio Cattani, Florencia Debandi, Alessandro Peinetti Fig. 24. Sequenza della costruzione del forno in terra toia che potesse proteggerlo da eventuali piogge, ma che allo stesso tempo permettesse una circolazione d’aria necessaria per l’essiccazione (fig. 24i). Utilizzo del forno: cottura degli alimenti e rilevamento della temperatura Per prima cosa si è deciso di sottoporre la struttura ad un pre-riscaldamento, con un fuoco ac- ceso in corrispondenza dell’apertura per togliere gradualmente l’umidità residua. In questa fase si sono prodotte alcune evidenti crepe nella superficie e nella base del forno, facendo ipotizzare che il tempo di essiccazione previsto fosse stato troppo breve. Si è poi proceduto ad immettere combustibile all’interno, provocando ulteriori crepe. Il tappo del foro di tiraggio è stato fortemente danneg- Le strutture di combustione ad uso alimentare nell’età del Bronzo. Dal record archeologico all’archeologia sperimentale giato da questa operazione: questo particolare ha evidenziato la concentrazione della temperatura nel punto più alto della volta ed ha spinto verso la decisione di richiudere il foro con una stesura di argilla fresca definitiva e non più mobile. Si può interpretare il cordolo presente nel forno di Nola come punto di appoggio per eventuali recipienti e con un probabile uso come “scaldavivande” esterno. Il giorno successivo si è proceduto al riscaldamento del forno per prepararlo alla prima cottura del pane. Questa fase preliminare di sperimentazione è stata destinata alle prime esperienze di utilizzo della struttura, in modo da osservare il funzionamento generale del forno e del processo di cottura. In particolare si è proceduto alla cottura di pane lievitato, rimuovendo le braci alla fine della fase di riscaldamento della struttura o lasciando le braci all’interno del forno. Mentre il primo tentativo non ha condotto ad una cottura soddisfacente dell’alimento, forse a causa dell’umidità residua ancora presente nel forno, la seconda infornata è risultata soddisfacente dal punto di vista del prodotto finale. Nei giorni seguenti è stata realizzata un’ulteriore infornata. Dopo circa 20 minuti, il pane non aveva raggiunto una cottura omogenea: l’esterno si presentava ben cotto, mentre l’interno ancora leggermente crudo, forse a causa della temperatura troppo elevata raggiunta dal forno. A partire dalla terza giornata di sperimentazione, si è proceduto ad un controllo più sistematico della temperatura in vari punti del forno, con l’impiego di un termometro portatile20. L’evoluzione delle temperature durante il processo di riscaldamento è stata misurata in quattro punti della struttura: 33 1. A contatto con la parete interna della volta, nella parte posteriore del forno; 2. Nell’area centrale del processo di combustione, a contatto con la base del forno; 3. Nell’area riservata al processo di cottura del pane, nella parte antistante del forno, a contatto con la base del forno; 4. Nella parte esterna del forno sulla sommità della volta, in corrispondenza del cordolo circolare. All’inizio della sperimentazione il forno “a freddo” aveva una temperatura interna intorno ai 20 °C. Si è proceduto all’accensione del fuoco tramite esca in paglia e piccoli rami di legno nella parte anteriore del forno, per avere un giusto apporto di ossigeno. Si sono poi aggiunti legni più grandi e, appena il fuoco ha raggiunto una buona fiamma, si è spinto il combustibile all’interno del forno verso il fondo. La temperatura è aumentata velocemente in corrispondenza del punto di combustione e della volta interna. Dopo 85 minuti la fiamma all’interno del forno si è esaurita, le braci sono state spinte verso i bordi della struttura e la superficie è stata velocemente pulita con uno strofinaccio, procedendo all’infornata di due pagnotte ad alla chiusura del forno (fig. 25). La misurazione della temperatura è stata effettuata nell’area riservata alla cottura del pane ogni 10 minuti. All’inizio della cottura del pane la temperatura era di 200 °C mentre al termine, dopo 34 minuti, era scesa a 160 °C, evidenziando una forte dispersione di calore. Questo eccessivo calo potrebbe essere causato dal ridotto spessore delle pareti e dalla mancata ermeticità dello sportello di chiusura21. Anche l’esterno e l’interno della volta si sono raffreddate Fig. 25. Fase di riscaldamento e immagine della fase fi nale di riapertura del forno con cottura del pane 20 Termometro in acciaio inox con lettura della temperatura analogica (da 0 a 500° max), con diametro di 6,5 cm e spessore di 3 cm, collegato ad una sonda lunga 1,60 m. 21 Il portello è stato aperto solo in due occasioni (dopo 17 e 28 minuti) per girare il pane in modo da avere una cottura omogenea. 34 Maurizio Cattani, Florencia Debandi, Alessandro Peinetti rapidamente (fig. 26), mentre l’area delimitata dal cordolo sulla sommità del forno ha mantenuto temperature costanti durante l’intero processo di cottura del pane (fig. 27). Per procedere ad una nuova cottura è stato necessario ravvivare la fiamma e riportare in temperatura il forno per circa un quarto d’ora (tab. 2). Fig. 26. Forno con portello di chiusura La costruzione sperimentale e l’utilizzo di due piastre di cottura Il progetto ha previsto la realizzazione di due piastre con morfologia simile, dotate di vespaio di cocci, la prima riservata a processi di panificazione (al di sotto delle ceneri, con coppa di cottu- Fig. 27. Diagramma delle temperature durante le fasi di riscaldamento e cottura del pane Tab. 2. Misurazione delle temperature durante le fasi di riscaldamento e cottura del pane Le strutture di combustione ad uso alimentare nell’età del Bronzo. Dal record archeologico all’archeologia sperimentale ra, con testi di ceramica) e la seconda alla cottura di carni (a contatto diretto con la superficie preriscaldata ed eventualmente con spiedo). Oltre a riprodurre sperimentalmente l’attività di panificazione e di cottura di carni a contatto diretto con la superficie riscaldata, tra l’altro già verificate (cfr. D’Oronzo, Fiorentino c.s.), si prevede di impostare a Solarolo un esperimento che cerchi di identificare alcuni marcatori di attività specifiche (cfr. Reynolds 1999: 160; Mathieu 2002: 5), in particolar modo riguardanti la natura dell’alimento trasformato e la tecnica di cottura. La costruzione delle due piastre, identiche per morfologia, è stata articolata nei seguenti passaggi: 1. Scavo di una depressione di forma ovale, profonda circa 5 cm dal piano di campagna e con diametro di 80 cm, destinato ad ospitare la sottofondazione della piastra (fig. 28a); 2. Preparazione del vespaio, giustapponendo dei frammenti di ceramica d’impasto di piccole e medie dimensioni, selezionati con spessori ricorrenti di 1-1,5 cm circa (fig. 28b-c); 3. Messa in opera della superficie della piastra, usando lo stesso impasto precedentemente descritto per il forno sperimentale, senza l’aggiunta di vegetali. Sono state preformate manualmente delle masse di impasto di forma arrotondata, proiettate con movimento verticale al di sopra del vespaio. Le varie masse di impasto sono state giustapposte e parzialmente accavallate tra loro, in modo da evitare la formazione di vuoti interni alla struttura. Sono stati stesi due livelli di impasto sovrapposti per raggiungere lo spessore voluto della piastra, di circa 5 cm (fig. 28d); 4. La superficie della piastra è stata accuratamente lisciata manualmente, rifinendo anche lo spigolo ed i bordi perimetrali. 5. Durante l’essicazione della struttura sono state stuccate le crepe dovute al ritiro dell’impasto. Dopo quattro giorni si è proceduto all’accensione di un fuoco sulla superficie delle piastre per eliminare l’umidità residua e procedere ad un primo consolidamento della materia (fig. 28e). Una delle piastre è stata usata per processi di panificazione. Dopo un preriscaldamento della struttura con fuoco vivo, durata circa un’ora, le braci sono state spostate verso l’esterno della piastra. La superficie è stata pulita dalle ceneri residue e sono stati posti a contatto con il piano ancora caldo alcuni pani non lievitati, spessi circa 2 cm. Questa cottura non è stata portata a termine, dal momento che il potere calorico rilasciato dalla struttura non sembrava sufficiente ad una cottura completa dell’alimento (fig. 28f). La man- 35 cata realizzazione del processo potrebbe essere imputata ad un eccessivo spessore dell’alimento da cuocere, oppure ad una scarsa conoscenza di tale procedimento di trasformazione degli alimenti, da affinare con la ripetizione di esperienze simili. I processi di panificazione effettuati con la coppa di cottura sono stati invece fruttuosi: in seguito al preriscaldamento della piastra, il pane è stato inserito al di sotto della coppa di cottura, accumulando poi braci e fuoco vivo all’esterno dell’oggetto (fig. 28g). Questo procedimento permette la cottura di pani di piccole dimensioni (diam. ca. 10 cm) in mezz’ora circa. La seconda piastra è stata invece utilizzata una sola volta, per la cottura di carni a contatto con la superficie riscaldata. Nel caso di carni con scarso spessore, la loro cottura è stata portata a termine in 20 minuti (fig. 28h). È stata osservata la formazione di un deposito nerastro, dovuto ai grassi contenuti nelle carni, a partire dal primo utilizzo. Andrà verificata la possibilità che questo deposito si possa conservare nel tempo, soprattutto a seguito delle ripetute pulizie della superficie e dell’abbandono della struttura. Discussione dei risultati e prospettive di ricerca Alla luce dei dati raccolti e della sperimentazione effettuata, possiamo identificare quattro grandi aree d’indagine legate all’identificazione ed all’interpretazione delle strutture di combustione ad uso alimentare: modalità di realizzazione e messa in opera; funzionamento e produttività; tipologia dei residui di combustione; metodi di riconoscimento del manufatto e del suo utilizzo nel deposito archeologico. Tecnologia e processi di costruzione Per quanto riguarda l’aspetto tecnologico di realizzazione delle strutture, le problematiche messe in evidenza riguardano la materia prima, i tempi e le modalità di esecuzione e la manutenzione delle strutture utilizzate ripetutamente. La lavorazione e la messa in opera della terra cruda si inquadrano in un campo di studio più ampio, relativo all’uso dei sedimenti come materiale da costruzione. In micromorfologia dei suoli si dispone di modelli di riferimento, elaborati in particolare per l’architettura in terra, che permettono di caratterizzare la natura e il tipo di lavorazione dei sedimenti, la natura degli additivi vegetali o minerali, il grado di umidità e di omogeneizzazione dell’impasto utilizzato e la tecnica di messa in opera (Cammas 2003: 36, fig. 36 Maurizio Cattani, Florencia Debandi, Alessandro Peinetti Fig. 28. Sequenza della costruzione delle piastre in terra Le strutture di combustione ad uso alimentare nell’età del Bronzo. Dal record archeologico all’archeologia sperimentale 5; Duvernay 2003: 59-65; Wattez 2003: 24, fig. 7; Wattez 2009: 205-211; Onfray 2012: 600-601). Sono invece più rari gli studi micromorfologici di tipo tecnologico su installazioni identificabili con sicurezza come forni o piastre (Bassetti, Degasperi 2002; Germain-Vallée, Prévost-Dermarkar, Lespez 2011). In molti casi l’analisi si limita alla caratterizzazione mineralogica e chimica delle materie prime utilizzate per l’impasto ed alle loro modificazioni dovute al trattamento termico (Levi 2002; Basso, Riccardi 2007: 63-64; De Rosa, Piccioli, Vecchio 2007; Fabbri et alii 2007: 73-79; Muntoni 2007; Muntoni, Trojsi, Tiné 2009; Di Maio et alii 2011). Per quanto riguarda l’analisi macroscopica attuabile sui resti in terra combusta, i modelli di riferimento disponibili per un’analisi tecnologica sono ancora più scarsi. Si dispone infatti di protocolli validi per l’analisi morfologica dei resti (Tasca 1998) e per una caratterizzazione generica della composizione degli impasti (Moffa 2002: 19 ss.), mentre è già stata fatta notare la lacuna di collezioni di riferimento che permettano di caratterizzare, con un certo grado di precisione, i gesti e le strategie di lavorazione dell’impasto e messa in opera impiegati (Peinetti 2014). L’approccio sperimentale, unito a quello etnoarcheologico, ha dimostrato di essere il metodo migliore per colmare questa lacuna: con la registrazione dettagliata delle variabili tecnologiche, riferite alla costruzione delle strutture, si è iniziato a creare una collezione di riferimento destinata sia alla costruzione di modelli per l’analisi macroscopica, sia all’affi namento dei repertori impiegati in micromorfologia. Potenzialmente questa base di dati permetterebbe di delimitare abitudini costruttive locali proprie di una determinata area geografica e culturale. La sperimentazione ha messo in luce, tra i particolari costruttivi dei forni, il particolare della presenza o assenza di camini. La documentazione archeologica, compromessa dalla scarsa conservazione, ipotizza entrambe le tipologie, forse differenziate da una diversa destinazione d’uso. Le operazioni di manutenzione durante la vita dei manufatti possono invece informare sulla ripetitività di questi processi e sulla cura riservata alle singole strutture. L’analisi tecnologica accompagnata da un’analisi del consolidamento e del decadimento delle strutture mostra come lo studio dei fenomeni di degrado e conservazione delle strutture sia imprescindibile per comprendere al meglio la corrispondenza tra strutture complete e ciò che è stato rinvenuto ed identificato nel contesto archeologico (Schiffer 1995). 37 Destinazione d’uso e funzionamento L’analisi della destinazione d’uso specifica delle strutture di combustione è certamente l’ambito di studi più complesso della presente ricerca. È probabile che forni e piastre avessero un ruolo polifunzionale, con differenti modalità di funzionamento legate alle diverse tipologie di trasformazione degli alimenti. Per quanto riguarda i forni in terra con volta a calotta, il legame con i processi di panificazione sembra ovvio. Tuttavia questo tipo di struttura si presterebbe anche alla cottura di carni o alla preparazione di alimenti con l’utilizzo di contenitori inseriti al loro interno (Gascó 2002: 286). Anche il processo di tostatura dei cereali o di essicazione di carni sono stati invocati da alcuni ricercatori (Cazzella, Recchia 2008: 58; Conati Barbaro et alii 2013: 113). Oltre alla possibile polifunzionalità di questi forni, rimangono largamente da esplorare le strategie di conduzione del processo di combustione, in rapporto alla temperatura necessaria alla cottura degli alimenti, alle strategie di gestione del fuoco e delle braci. Ad esempio, le braci possono essere rimosse dal forno in seguito al suo riscaldamento, oppure conservate durante il processo di cottura, sia nella parte antistante sia retrostante del forno. Per i forni che non si conservano in elevato, si aggiunge la questione della presenza o meno di un camino, che permetterebbe potenzialmente una cottura con la fiamma viva ancora presente all’interno della camera di combustione. I risultati ottenuti sono in diretto rapporto con la temperatura necessaria per la trasformazione dell’alimento e con il mantenimento della stessa per il tempo richiesto. Grazie al confronto tra manufatto sperimentale e resti archeologicamente documentati è possibile riconoscere, nel record archeologico, alcuni marcatori relativi ad una specifica attività o ad un uso particolare delle strutture di combustione. Pensiamo in particolare all’analisi macroscopica e microscopica di residui (ad esempio lustri e depositi derivati dalla cottura delle carni a contatto con la superficie delle piastre), ma anche alla valutazione dei processi di cottura sulla base delle colorazioni o dell’entità della rubefazione e del consolidamento delle differenti aree del manufatto. Sia per la cottura dei cibi a contatto, che per le altre tecniche di cottura precedentemente evocate, la superficie potrebbe essere riscaldata con un fuoco vivo o semplicemente riportando braci precedentemente prodotte in una struttura di combustione ausiliaria (Cazzella, Recchia 2008: 56)22. 22 Nell’abitato di Mursia, in alcune capanne della prima 38 Maurizio Cattani, Florencia Debandi, Alessandro Peinetti L’attenzione verso le attrezzature accessorie eventualmente usate (ad esempio coppe di cottura, teglie, testi, fornelli), identifica precise azioni che permetterebbero di aumentare la resa produttiva per ogni processo di cottura, soprattutto in rapporto al dispendio energetico in termini di combustibile utilizzato23. Quando il processo di cottura coinvolge questi elementi accessori, si può procedere sperimentalmente ad un’analisi delle tracce d’uso conservate su questi oggetti, ma anche osservare le tracce particolari lasciate dal loro uso sulla struttura di combustione, come ad esempio la differenza di colorazione della superficie della piastra, con zone marcatamente ridotte, in seguito all’utilizzo protratto di una coppa di cottura (Gascó 2003: 110). Anche il rapporto tra scelte tecnologiche legate alla manifattura delle piastre e le differenti performance richieste all’oggetto può costituire un indicatore di tipo funzionale. In particolare non è chiaro se le differenti morfologie attestate per le piastre di cottura possano corrispondere ad altrettante destinazioni funzionali particolari. La presenza di un vespaio può essere invece giustificata come sistema di isolamento rispetto al terreno sottostante o piuttosto come un dispositivo di immagazzinamento e mantenimento del calore (Audouze 1989: 327; Cazzella, Recchia 2008: 56). Le tecniche oggi disponibili permettono inoltre di analizzare in modo più dettagliato le superfici stesse dei piani d’uso. L’analisi gascromatografica costituisce potenzialmente una risorsa eccezionale in tal senso, tuttavia ostacolata dalla scarsa conservazione dei residui nel caso delle strutture preistoriche. Un tentativo è stato fatto in questa direzione su una piastra di cottura nell’abitato di Mursia, situata nella capanna B6 (US 425). L’analisi ha individuato la presenza di grassi di origine animale, che potrebbe essere compatibile con l’uso per la cottura di alimenti, ma ha evidenziato anche la presenza di cera d’api, di difficile interpretazione (Marcucci 2008: nota 10). Sembra evidente che ogni contesto culturale possieda le proprie tradizioni culinarie e che per- 23 fase (B1, B14), sono state individuate associazioni di piastre di cottura costituite da lastre in pietra rivestite di argilla con ciste litiche. Questa associazione potrebbe suggerire un utilizzo congiunto delle due strutture nella gestione delle braci. In questo contributo è escluso l’approfondimento dei fornelli, ben rappresentati sia tra i resti archeologici sia nelle testimonianze etnografiche. La vastità della documentazione richiede una trattazione dedicata con sperimentazioni e analisi altrettanto dettagliate. tanto manufatti simili possano essere usati con tecniche e scopi differenti. Residui di combustione L’analisi sperimentale di forni e piastre permette di riconoscere la formazione di residui della combustione, regolarmente rimossi dalle strutture. Questo aspetto rimanda nella documentazione archeologica alla formazione di depositi particolari, come croste formate da residui di cenere sulla superficie delle installazioni (cfr. Bassetti, Degasperi 2002: 280), o alla cancellazione di alcuni marcatori d’attività specifiche in seguito al mantenimento delle superfici. La pulizia regolare delle strutture porta inoltre alla formazione di depositi in posizione secondaria caratterizzati da residui di combustione. Lo studio dettagliato delle ceneri e dei carboni può costituire un elemento discriminante per caratterizzare i processi di combustione legati all’utilizzo di strutture per la cottura dei cibi, partendo da depositi secondari (Wattez 1988: 356-363; Wattez 2000: 231; D’Oronzo et alii 2013: 53-55; D’Oronzo, Fiorentino c.s.). Il riconoscimento nel deposito archeologico La valutazione dei processi di degrado e delle modalità di conservazione delle strutture nel deposito archeologico riveste un ruolo primario per ogni tipo di ricerca archeologica. Essa permette infatti di comprendere quali sono le tracce e le morfologie originarie che si sono conservate o meno a seguito dei processi di abbandono e seppellimento delle strutture. Nel caso di piastre di cottura e forni, permette più in particolare di ipotizzare quale fosse il loro sviluppo nelle parti non conservate e di giungere a conclusioni di natura costruttiva e funzionale. L’analisi della sequenza stratigrafica relativa al degrado di queste installazioni, compresa l’intensità della rubefazione e le colorazioni che caratterizzano le diverse parti morfologiche del manufatto, può suggerire condizioni d’uso specifiche delle strutture. Differenti modalità di conduzione del processo di combustione dovrebbero in effetti risultare in differenti gradi di consolidamento della materia e colorazioni peculiari, potenzialmente individuabili nella struttura archeologica valutandone i processi di degrado e le modalità di seppellimento (Peinetti 2013: 6-7). Una corretta valutazione dei processi di degrado e di conservazione delle tracce d’uso è sicuramente un aspetto particolarmente complesso dal punto di vista sperimentale, se non altro per la complessità delle variabili coinvolte e per la necessità di monitorare le strutture su lunghi periodi. Si può tuttavia giungere ad osservazioni Le strutture di combustione ad uso alimentare nell’età del Bronzo. Dal record archeologico all’archeologia sperimentale parziali, che aiutino l’interpretazione del deposito archeologico, osservando l’evoluzione delle strutture di combustione già durante il loro utilizzo e stimando l’impatto dei processi produttivi (tracce d’uso, trattamento termico) sulla materia che le compone. L’analisi proposta in questo contributo ha messo in evidenza, più che risposte definitive, diverse problematiche che richiederanno continui approfondimenti della ricerca archeologica. Sono diverse le linee di approfondimento relative a forni e piastre di cottura, tra cui segnaliamo quelle relative a dinamiche più complesse connesse ai rapporti spaziali tra le strutture e gli altri elementi che compongono le forme dell’abitato, nonché l’eventuale ruolo sociale nella loro gestione. Bibliografia Albore Livadie, C., 2007. 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