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LA “DOMUS” DI PONTI E BUZZI Cecilia Rostagni, Roberto Dulio 44 < [1] S. Saponaro, Testa del giovane Tomaso Buzzi, 1927-28, gesso e legno TRA L’ARCHITETTURA E LE ARTI “Circa vent’anni or sono (ahimè quanto tristemente suona la parola “ventennale”!), subito all’inizio della mia vita d’architetto, e anche prima, per essere esatto, mi sono accostato a Lei, collega più anziano, come ad un maestro liberamente scelto: e con Lei ho partecipato, in quel periodo arcaico, alle belle lotte per l’architettura, dividendo con Lei le idee dell’Italia libera, di cui il Muzio di allora faceva, ad onor suo, parte”. Così scrive Tomaso Buzzi il 31 luglio 1943, all’indomani della caduta del fascismo, al suo (ormai ex) maestro, amico e collega Gio Ponti. 1 [1] Più giovane di alcuni anni, Buzzi lavora a stretto contatto con Ponti per circa un decennio: l’avvicinamento a Ponti avviene intorno al 1923, subito dopo la laurea al Regio Istituto tecnico superiore di Milano, quando Buzzi entra a far parte dello Studio\ di Sant’Orsola, con cui nel 1926 partecipa al concorso per il piano regolatore di Milano con il progetto “Forma Urbis Mediolani”, come “Club degli Urbanisti”, e progetta e realizza il monumento ai caduti di Milano (1926-29). Con i soli Ponti e Lancia, invece, Buzzi realizza la Villa Bouilhet, a Garches, detta “L’Ange Volant” (1925-26), diversi arredamenti per ambasciate, e nel 1932 partecipa al concorso per il nuovo fabbricato viaggiatori della stazione di Santa Maria Novella a Firenze. Il gruppo non è unito solo dalla pratica professionale, ma anche da una visione e un sentire comune. Buzzi infatti condivide con Ponti e gli altri “neoclassici” milanesi il profondo interesse per l’antico e la storia dell’architettura. Non si tratta però dell’antico propugnato secondo l’insegnamento di Camillo Boito, e ancora ampiamente praticato nell’ambito milanese: l’architettura classica è vista infatti dal gruppo come maestra di chiarezza, di unità, di semplicità, senza nessuna volontà di ripresa stilistica o di ripetizione manieristica. In particolare, Buzzi mostra una predilezione – quasi un’ossessione – per le architetture del tardo Rinascimento e del Manierismo: quelle di Serlio, di Palladio e di Scamozzi. Quasi rimpiangendo queste epoche felici e identificandosi con questi architetti (soprattutto con Serlio), Buzzi studia e ridisegna le loro opere per coglierne i pregi e le qualità ancora attuali, ovvero per estrarne elementi da utilizzare nel linguaggio moderno: ad esempio è interessato agli aspetti “teatrali” di Scamozzi o alla modernità dei progetti di abitazione di Serlio, i “cui esempi” egli ritiene possano “essere ancora utilmente seguiti”. 2-3 Mentre però Ponti rievocherà questa sua prima fase novecentista come quella dell’Accademia, dell’architecture d’apres l’architecture – come dirà nel numero monografico di “Aria d’Italia” del 1954, parafrasando l’art d’apres l’art di Cocteau – 4 Buzzi resterà sempre saldamente ancorato alla lezione [2] Copertina di “Domus”, gennaio 1928 degli antichi, sottolineando negli anni successivi sempre più orgogliosamente questo suo voler essere “fuori tempo”, di un altro tempo. Non a caso, in tutta la sua vita, Buzzi non cita mai nessun architetto a lui contemporaneo, se non lo stesso Ponti, in un articolo dedicato alla ceramica italiana, prima della rottura dei loro rapporti. 5 Ma non è solo la passione per l’antico a legare Buzzi, Ponti e gli altri milanesi. Com’è noto, essi condividono anche l’interesse per le arti applicate, l’arredamento, la decorazione d’interni e il disegno di oggetti, e in virtù di questo essi si riuniscono, nel 1927, nel Labirinto, associazione artistica “di particolari d’arredamento moderno”, guidata da Ponti. 6 A differenza di Buzzi, gli interessi di Ponti non si limitano però solo al disegno dell’oggetto d’autore, ma si estendono a tutti gli aspetti della progettazione domestica, rivolgendosi sin d’ora a un vasto pubblico. Nello stesso 1927, infatti, Ponti dà vita a un’altra iniziativa imprenditoriale, questa volta col solo Lancia: la linea di produzione “Domus Nova” per i grandi magazzini La Rinascente. A differenza del Labirinto, incentrato sul singolo esemplare, la Domus Nova propone pezzi più semplici ed economici: vengono proposti per esempio arredamenti completi per la sala da pranzo, la camera da letto o il soggiorno, destinati non più ad un’elite colta e raffinata, ma alla media borghesia, quella classe che Ponti vuole educare al gusto moderno. 7 Sul finire del 1927 Buzzi viene coinvolto in quella che è forse la più importante iniziativa pontiana: la creazione di “Domus”, rivista interamente dedicata ad “Architettura e arredamento dell’abitazione moderna in città e in campagna”, come recita il sottotitolo dei primi numeri. [2] L’occasione viene offerta a Ponti da Giovanni Semeria, il padre barnabita fondatore nel 1921, insieme a don Giovanni Minozzi, dell’Opera Nazionale per il Mezzogiorno d’Italia, dedicata agli orfani di guerra. 8 I due religiosi avevano creato, nei locali dell’organizzazione attigui alla chiesa di San Barnaba a Milano, una casa editrice dal nome Amatrix, le cui inserzioni pubblicitarie compaiono spesso sui primi numeri di “Domus”, allo scopo di pubblicare e commercializzare i libri di Semeria (ma non solo) e finanziare così l’organizzazione. 9 Nel 1927 due collaboratori di Semeria, Cesare Brugnatelli e Alberta Plancher, manifestano l’intenzione di stampare una rivista dedicata alla famiglia, alla casa e ai temi dell’arredamento e della decorazione, sul modello della rivista “House & Garden” piuttosto che di “The Ideal Home”. 10 Semeria si rivolge allora a Ugo Ojetti, conosciuto durante la guerra, per avere consigli, e nel novembre 1927 questi rilancia la proposta a Ponti, suggerendogli di occuparsi lui di questa rivista, da solo o insieme a tutto il gruppo del Labirinto. 11 Il 15 gennaio 1928 esce il primo numero di “Domus”. Ponti è direttore, mentre Alberta Plancher è condirettore responsabile. Collaboratori sono gli amici Lancia, Buzzi, Chiesa, Marelli, oltre alla moglie di Ponti, Giulia Vimercati, che si occupa di piante e giardinaggio, e Paola Ojetti, che si firma con lo pseudonimo di “Arianna”. La rivista risulta edita dalla Casa Editrice Domus Acc., ma stampata presso le Arti Grafiche “Amatrix” Acc. di Milano, la cui sede è negli stessi locali di via San Barnaba. Il prezzo del primo numero è di 10 lire, cifra assai alta per l’epoca (visto anche il numero limitato di pagine, solo 36), e infatti esso resta in larga parte invenduto; il secondo numero, abbassato a 9 lire, non viene invece distribuito agli abbonati, per un errore della casa editrice. 12 Questo provoca un’immediata tensione tra gli editori della rivista e Ponti, che subito confida le proprie difficoltà a Ojetti: “Andiamo assai male con la Domus: ad essa ho dedicato degli sforzi grandissimi, confortato dall’appoggio e dall’aiuto entusiastico di tutti i miei cari amici: alle deficienze di organizzazione da parte degli editori (centinaia di abbonati che non ricevono riviste, abbonati che hanno pagato e che si vedono minacciare tratta, abbonati che da gennaio non hanno mai ricevuto la Domus, abbonati che ne ricevono due, tre copie contemporaneamente e via di questo passo) si sono aggiunte reticenze e menzogne che alla fine rendono incompatibile per me il trattare con essi. […] Se non mi riesce di ottenere dagli editori le soddisfazioni che mi spettano e debbo lasciarli , io penso di istituire una nuova rivista che continui lo spirito della Domus”. 13 Ciò avviene nel luglio dell’anno successivo, quando Ponti insieme a Gianni Mazzocchi, giovane marchigiano da poco trasferitosi a Milano, dove aveva trovato lavoro come dattilografo presso la casa editrice di Semeria, fondano una nuova società anonima, con il nome di Domus Società Editoriale, e rilevano la rivista. 14-15 Lancia viene nominato presidente, mentre Ponti vicepresidente e consigliere delegato della società, con il compito di dirigere “l’azienda sotto ogni aspetto tecnico, amministrativo, finanziario e redazionale”, oltre a nominare i direttori e tutti gli impiegati, determinandone “le facoltà e le attribuzioni, gli stipendi, i compensi anche sotto forma di interessenze gli utili e le cauzioni che crede di stabilire”. 16 Dal numero 8, dell’agosto 1929, la rivista cambia: viene stampata dalla tipografia A. Lucini e C., sposta i propri uffici amministrativi dalla sede dei barnabiti in via San Vittore 40, e assume il sottotitolo di “l’arte nella casa”. 17 I successi non tardano ad arrivare: come emerge dalla relazione del Consiglio d’amministrazione del marzo 1931, infatti, il primo anno di esercizio si chiude con un lieve disavanzo, dato considerato più che soddisfacente in un’attività del genere ai suoi inizi. Viene sottolineato inoltre in questa sede che tale risultato, accompagnato da un’aumentata diffusione, non ha impedito alla rivista di perseguire i propri fini “che sono essenzialmente d’arte, di cultura e d’italianità”, e di arricchirsi di pagine e rubriche fisse, “tenute da ottimi collaboratori”. 18 Inoltre in tale data compare formalmente il nome di Tomaso Buzzi, nominato tra i sindaci supplenti, al posto di Gadda, insieme a Guido Berti. Poco prima inoltre Buzzi aveva probabilmente acquisito delle azioni della società, come risulta da una lettera indirizzatagli da Ponti il 23 giugno 1931, in cui gli chiede conferma della sua “partecipazione a Domus”. 19 Nella seduta amministrativa dell’8 luglio 1931 il capitale sociale viene aumentato a 200.000 lire, per dare maggior sviluppo alla pubblicazione della rivista, e l’8 agosto successivo Mazzocchi viene nominato direttore amministrativo, con il compito di occuparsi di tutto ciò che riguarda l’amministrazione e la contabilità della rivista. 20 Ponti invece continua a mantenere il ruolo di consigliere delegato, assumendo dal 1935 anche quello di presidente. In questo ruolo egli stabilisce la linea culturale della rivista, che pur restando incentrata sul tema della casa — intesa non soltanto come problema artistico ma anche come problema di civiltà — si amplia progressivamente verso altre discipline artistiche connesse. L’obiettivo di Ponti diventa, infatti, sempre più precisamente, quello di educare al gusto, fattore che egli ritiene determinante per l’affermazione di una cultura, non solo progettuale, moderna: agli articoli dedicati all’arte e all’architettura, all’arredamento, alle decorazioni e agli oggetti, si affiancano rubriche che propongono modelli per la realizzazione di mobili, consigli per l’acquisto di libri e dischi, ricette di cucina, suggerimenti per il giardino e così via. La rivista si propone, infatti, di raccogliere un pubblico vasto, non limitato a architetti e ingegneri. Per questo Ponti, mostrando di intuire anche il “valore economico del rinnovamento del gusto”, utilizza la rivista anche per pubblicizzare le proprie imprese nell’ambito delle arti applicate e dell’arredamento. 21 Ma obiettivo di Ponti non è quello di fare propaganda soltanto ai propri prodotti, ma a quelli di tutte le imprese artigiane attive in Italia, che ritiene la vera ricchezza nazionale, promosse contemporaneamente anche attraverso le Biennali, poi Triennali, di Monza e Milano. [3] Lettera di Gio Ponti a Tomaso Buzzi, 25 gennaio 1928, ATB SODALI La nascita di “Domus” vede rinsaldarsi sempre di più il legame tra Gio Ponti e Tomaso Buzzi, che seppure non figura tra i fondatori dell’impresa editoriale, mantiene dall’inizio un ruolo tutt’altro che secondario. 22 [3] La rivista di Ponti nasceva con l’idea che la cultura dell’abitare, essenziale in un progetto di rinnovamento generale del gusto, dovesse orientarsi su modelli di raffinata sobrietà, non alieni dalla presenza di elementi preziosi e ricercati, memori della tradizione, ma allo stesso non dedita necessariamente all’opulenza e allo sfarzo. È illuminante, a tal riguardo, una lettera che Ponti invia a Libero Andreotti – ma probabilmente a molti altri artisti e architetti – l’anno precedente l’uscita di “Domus”: “Carissimo Andreotti, mi interesso direttamente ad una rivista [...], del genere di “Ideal Home”, [...] che uscirà in gennaio, essa è intesa all’architettura ed all’arredamento della casa e per quanto non debba avere un carattere esclusivamente aulico io intendo dare attraverso ad essa esempio di quel che vorrei tornasse l’arredamento della casa cioè non un gioco di lusso di tende e stoffe, ma, con criterio, una [4] G. Ponti, La casa all’italiana, editoriale di “Domus”, gennaio 1928, p. 7 [5] G. Ponti, La casa all’italiana, Milano 1933, frontespizio della copia appartenuta a Tomaso Buzzi con dedica dell’autore: “A te, caro Buzzi, ricordando che mi hai suggerite le prime parole sulla “casa all’italiana” ai bei primi tempi di Domus”, ATB [11] Appunti di Tomaso Buzzi, “DOMA/SO”, 1928 ca., ATB convivenza, direi quasi, con nobili opere d’arte oggi”. 23 A precisare meglio l’equilibrio tra l’eredità ideale della tradizione e la spinta temperata verso il rinnovamento, Ponti apre il primo numero della rivista con il celeberrimo editoriale La casa all’italiana, nel quale chiude affermando: “Il suo disegno non discende dalle sole esigenze materiali del vivere, essa non è soltanto una “machine á habiter”. Il cosidetto “comfort” non è nella casa all’italiana solo nella rispondenza delle cose alla necessità, ai bisogni, ai comodi della nostra vita ed alla organizzazione dei servizi. Codesto suo “comfort” è in qualcosa di superiore, esso è nel darci con l’architettura una misura per i nostri stessi pensieri”. 24 [4] Nel testo è palese il riferimento alla re torica di Le Corbusier – la machine á habiter – che non viene contestata, ma di cui si limita la pretesa universalità di principi ideali ed estetici. Il gusto e gli esempi della tradizione italiana, evocata in termini generali, devono interagire con il linguaggio e la retorica dell’avanguardia. Sulle pagine della rivista compaiono le opere ideali (architettoniche e artistiche), ascendenti e contemporanee, entro cui dare corpo alle dichiarazioni pontiane. Buzzi, proprio per il primo numero, realizza significativamente un itinerario – di cui disegna la mappa – delle ville palladiane in Veneto. 25 Si tratta di una consonanza esplicita ed è lo stesso Ponti, qualche anno dopo, ad apporre una dedica assai significativa al volume La casa all’italiana – antologia degli editoriali di “Domus” – donato al suo sodale: “A te, caro Buzzi, ricordando che mi hai suggerite le prime parole sulla “casa all’italiana” ai bei primi tempi di Domus”. 26 [5] Allo stesso modo la rivista, oltre che proporre una linea culturale, sulla scia di una visione sociale di matrice cattolica che si fa sempre più prossima al corporativismo, persegue il suo intento di sprovincializzazione e di divulgazione di un gusto moderno per la borghesia, sia attraverso le opere di architettura e arti decorative pubblicate, sia attraverso la promozione delle imprese commerciali che vedono coinvolto lo stesso Ponti, insieme a Lancia, Buzzi e altri suoi collaboratori. Sul primo numero della rivista compaiono anche delle pagine pubblicitarie dedicate al Labirinto, Domus Nova, Christofle, oltre che alla Richard-Ginori. 27 [6-8] Le inserzioni mettono bene in evidenza gli estremi entro i quali si muove anche la promozione commerciale: esclusivo e lussuoso quello individuato dalla produzione del Labirinto; rivolto a una classe sociale meno elitaria, ma non certo popolare, comunque più ampia, quello della produzione in serie di Christofle, pure legata a Ponti, che insieme a Buzzi progetta la nota villa per Tony Bouilhet – proprietario dell’azienda – poi illustrata su “Domus”; ancor più ampio il mercato degli acquirenti per le terraglie Richard-Ginori, che non produce soli i preziosi pezzi realizzati sotto la regia personale di Ponti e decorato con virtuosistica abilità dalla manifattura di Doccia. Lo stesso vale per gli arredi Domus Nova, che si collocano su un mercato ben diverso dal Labirinto. O ancora per Il Quattrova illustrato, un volume di ricette di cucina, scritto da Ponti con disegni di Buzzi, che esce per l’Editoriale Domus nel 1931, frutto di una rubrica siglata dall’omonimo pseudonimo sulla rivista. 28 [9-10] La forbice tra questi due immaginari, e soprattutto tra i due rispettivi mercati, sensibilmente evidente già in questi casi, anticipa un dualismo che si svilupperà negli anni successivi sulle pagine della rivista in relazione alla promozione delle “produzioni” pontiane e buzziane. Questa dicotomia prende gradatamente corpo anche in relazione ai modelli espressivi che la rivista promuove e teorizza. Buzzi, soprattutto nella prima annata, è assai presente sulle pagine del mensile di cui è sostanzialmente un redattore – anche se in questi numeri non compare mai un colophon – come testimoniano alcune missive che gli scrive Ponti, oltre a molti appunti e bozze di scritti degli articoli che compariranno poi sulle pagine di “Domus” oggi conservati alla Scarzuola. Tra questi un curioso divertissement sui caratteri della testata, coi quali Buzzi forgia un “DOMA/SO”, un po’ “Domus” e un po’ Tomaso, che ben sintetizza questa sorta d’identificazione speculare. 29 [11] Sul secondo numero della rivista permane lo stesso dualismo delle imprese commerciali, mentre Ponti è sempre più assertivo nel richiedere la collaborazione di Buzzi. Nel terzo numero è Buzzi a presentare un’opera architettonica coeva – la villa che l’architetto Giuseppe Pizzigoni realizza per la sua famiglia a Bergamo – precisando in maniera più esplicita la linea espressiva promossa dalla rivista. Un volume [6-8] Pagine pubblicitarie dedicate al Labirinto, Domus Nova, Christofle e Richard-Ginori, in “Domus”, gennaio 1928, pp. 2, 38, 40 [9] Pagina pubblicitaria del ristorante Alla Penna d’Oca, con un disegno di Tomaso Buzzi del 1927, in “Domus”, gennaio 1928, p. 44 [10] E. V. Quattrova, La cucina elegante ovvero Il Quattrova illustrato, con prefazione di Piero Gadda e disegni di Tomaso Buzzi e Gio Ponti, Milano 1931 [12] Copertina di “Domus”, agosto 1930, con un vetro Venini disegnato da Napoleone Martinuzzi [13] Copertina di “Domus”, settembre 1930, con una cista S.A.L.I.R. di Murano semplice, quasi cubico, intonacato, che una serie di particolari rimandano a una generica classicità. Mentre invece più esplicito è il riferimento della scenografica rampa di scale ad andamento concentrico, sul fronte della villa, che Buzzi non manca di sottolineare “ripreso dal Bramante e dal Serlio”. 30 Da Serlio è ripreso un progetto per una casa di campagna, letteralmente ridisegnato sulla pianta originale, pubblicato nel numero 12 di “Domus” del dicembre 1928. 31 Ancora il motivo “ripreso dal Bramante e dal Serlio” della villa Pizzigoni e del suddetto disegno è utilizzato da Buzzi per un arredo pubblicato sul numero 32 della rivista, dell’agosto 1930, dopo più di un biennio di collaborazione. La credenza di Buzzi è presentata nella galleria del Brasile della Triennale di Monza; 32 il motivo citato impreziosisce e spezza la stereometria del mobile, sollevato su gambe a cornucopie incrociate, che rappresentano un motivo quasi ossessivo nell’universo decorativo di Buzzi (e per un certo periodo anche di Ponti, tanto da generare a volte alcune confusioni nell’attribuzione dei pezzi). 33 Nella stessa occasione Buzzi presenta anche un pavimento intarsiato sul tema del labirinto, altro leitmotiv ricorrente, spesso come elemento decorativo e simbolico dell’omonima ditta. Buzzi cerca attraverso la citazione bramantesca la linfa figurativa della sua attività, esattamente come i maestri del Rinascimento la ricercavano nella decorazione all’antica. Sullo stesso numero della rivista è però pubblicata anche la Casa Elettrica, realizzata da Luigi Figini, Guido Frette, Adalberto Libera e Gino Pollini, con Piero Bottoni, in occasione della stessa Triennale monzese. Il divario tra il mondo buzziano e quello dei giovani architetti milanesi non può essere più profondo. È Ponti che presenta la casa dimostrativa costruita nel parco di Monza: “Certo dal punto di vista italiano l’evoluzione dell’architettura dell’abitazione è estremamente interessante per l’incontro di due tendenze che preparano con sicurezza l’avvento di una rinnovata architettura nostra. I lettori che hanno imparato a riconoscere i caratteri delle architetture e degli interni di Muzio, di Buzzi, di Alpago e quelle di Pagano, di Rava, di Frette, avranno avvertito da sé gli estremi di queste due tendenze. Ma esse portano entrambe una ricchezza allo svolgimento della nostra architettura: ricchezza di riferimento e di esperienza storica l’una, e l’altra ricchezza di determinata esperienza di tecniche, di materiali nuovi, e di nuovi aspetti di pianta e d’alzato”. 34 Anche Buzzi varia sensibilmente il suo linguaggio in un momento in cui l’affinità espressiva – e ideale – rispetto a Ponti comincia a mutare. 35 Nel settembre 1931 viene pubblicata sulla rivista la villa Bouilhet a Garches di Ponti e Buzzi: elemento che conferma una vicinanza non più così serrata, tanto da dover ricorrere a un progetto di ben sei anni prima per rinsaldare una comunanza d’intenti ormai labile. 36 Il numero 53, del maggio 1932, è aperto da un’editoriale di Ponti e un breve scritto di Mario Sironi sulla pittura e scultura nell’architettura. Le pagine pubblicitarie sono occupate da una raccolta di disegni di mobili moderni editi dalla stessa editoriale Domus che l’anno precedente aveva licenziato anche Il Quattrova. Buzzi è impegnato nella produzione di una serie di piccoli oggetti di lusso per l’Enapi. 37 Tra il 1932 e il 1933, Buzzi ritrova uno spazio di espressione raffinatissima e assolutamente elitaria con la produzione per Venini di una serie di vasi che prevedono tecniche elaborate e costosissime per arrivare a una determinata tonalità e profondità di percezione del colore, pubblicati su “Domus” nel dicembre 1932. 38 Del resto, mentre la rivista si orienta verso un atteggiamento sempre più esplicitamente aperto al fronte modernista e alla promozione di oggetti e suppellettili per un pubblico sempre più vasto, il vetro artistico rimane appannaggio di più esclusivi immaginari e mercati. Con queste caratteristiche, il vetro è ripetutamente presente su “Domus” e in alcune occasioni gli viene riservata la copertina, come sul numero 3 del marzo 1928; sul 14, con un oggetto Venini, e 17 del febbraio e maggio 1929; sul 32 dell’agosto 1930, con un prezioso vetro, sempre Venini, disegnato da Napoleone Martinuzzi [12] (proprio sul numero dove è pubblicata la Casa Elettrica alla Triennale monzese), e sul 33 del settembre dello stesso anno, con una cista S.A.L.I.R. di Murano. [13] La produzione Venini diventa dunque l’ambito per il quale, a disposizione di una committenza facoltosa, Buzzi riabbraccia la naturale vocazione elitaria e aristocratica non solo della sua produzione, ormai diversamente orientata rispetto alle imprese animate da Ponti, ma della sua stessa personalità (ancora nel 1975 chiederà [14] T. Buzzi, studio per la pubblicità Venini, 1932, ATB [15] Pubblicità Venini in “Domus”, dicembre 1932, p. XXXI a Umberto di Savoia, ormai in esilio, la concessione di un titolo nobiliare). 39 Per Venini, Buzzi si occupa anche delle inserzioni pubblicitarie sulla rivista. [14] Alcuni studi conservati alla Scarzuola dispiegano la genesi della réclame che a partire dal numero 60, del dicembre 1932, pubblicizzerà la nota vetreria muranese: si tratta di una composizione grafica dove le scritte che individuano i punti vendita della ditta, italiani e internazionali, vanno a comporre la silhouette di un classico della produzione Venini, il vaso “Veronese” già disegnato nel 1921 da Vittorio Zecchin. Il simbolo storico, prima della Cappellin Venini & C. e dal 1925 della V.S.M. Venini & C., presente nel logo e nella carte intestata delle ditte, viene rivisitato da Buzzi, che con un gioco sapiente nella modulazione di tondo e grassetto del rigoroso font, riconduce – questa volta – a un linguaggio schiettamente modernista la tradizione della vetreria, senza rinunciare al rimando sottile alla tradizione della pittura veneta. 40 [15] Sul numero 71, del novembre 1933 viene pubblicato l’arredamento della casa Contini Bonacossi a Firenze, messo a punto con Ponti nel 1930-31, nel quale compaiono una serie di lampade perlopiù ideate dal solo Buzzi. 41 Esattamente un anno dopo, il numero 83 di “Domus”, del novembre 1934 segna il congedo di Buzzi dalla rivista pontiana e contemporaneamente vede la pubblicazione di uno degli scritti più duri e polemici di Edoardo Persico: Punto e da capo per l’architettura, nel quale il critico napoletano stigmatizza l’avanguardismo dei giovani architetti italiani – quelli vicini al Gruppo 7 – alieno dalla ricerca di un ordine spirituale ed espressiva, ma piuttosto manifestazione di un artificioso snobismo culturale, ribadendo l’accusa di “europeismo da salotto” già avanzata l’anno precedente su “L’Italia Letteraria”. 42-43 [16] Proprio su quella stessa testata, poco prima dell’articolo per “Domus”, il 29 aprile 1934 Persico (redattore di “Casabella”, la rivista più affine dell’avanguardia intransigente, che proprio nel 1933 viene acquisita da Gianni Mazzochi ed edita dall’Editoriale Domus) aveva pubblicato un lungo articolo su Ponti, nel quale attribuiva all’architetto milanese – forzandone la lettura – quel ruolo che di lì a qualche mese avrebbe negato ai giovani del Gruppo 7. 44 Scrive Persico: “Ridurre lo stile di Ponti all’ossessione di un’arte di lusso significherebbe disconoscere le preoccupazioni morali di cui gli deve tenere conto anche l’avversario [...]. Nella sfera delle arti decorative, Giovanni Ponti ha avuto la stessa missione dei pittori “novecentisti”: sentire l’inevitabile decadenza del gusto italiano, e conquistare, attraverso le esperienze straniere, una coscienza europea dell’arte [...]. Per Ponti, come per molti artisti del Novecento, la conquista del gusto moderno è consistita nel ritrovare il senso della propria attività in un mondo di idee che superasse i limiti angusti della tradizione paesana [...]. In lui il neoclassicismo [...] è soltanto un’aspirazione all’arte moderna attraverso un problema di cultura. Da questa esigenza è nato il programma di Ponti per una “casa all’italiana”. Noi non ci lasceremo fuorviare dalle parole; e nell’apparente contraddizione, che è soltanto una ricerca di verità pratiche”. 45 Ponti scrive a Persico il 1 maggio 1934: “Che Lei mi sia vicino potrebb’essere un’altra delle mie fortune: speriamo di meritarla”. 46 Persico morirà nel gennaio del 1936, ma in queste parole si può scorgere una sorta di possibile e simbolico passaggio di testimone, da Buzzi a Persico – e quindi di due ambiti culturali ben differenti – successivamente al quale il gusto espressivo di Ponti si orienterà su canoni sempre più esplicitamente modernisti. Sullo stesso fascicolo di “Domus” del Punto e da capo di Persico, compare l’ultimo dei progetti pubblicati di Buzzi, prima del suo sottrarsi in maniera radicale e definitiva all’attenzione della pubblicistica. 47[17] Si tratta una casa d’abitazione insolitamente modernista per Buzzi – anticipata da un analogo progetto sul numero 75, del marzo 1934 – 48 come a dimostrare, o a sforzarsi di farlo, con ironia (in altri casi palese), la capacità di padroneggiare anche quel linguaggio, che gli è culturalmente estraneo e di lì a poco avverso. Tra la fine degli anni venti e l’inizio dei trenta, il gusto di Buzzi è estremamente raffinato, fondato su una conoscenza colta dell’arte, delle arti decorative e dell’architettura. Tale erudizione si riversa in maniera evidente nei suoi progetti, ma è riscattata dalla pedanteria grazie a una capacità d’invenzione e variazione sorprendente. La stessa che Gio Ponti rivela già dalla direzione artistica della Richard-Ginori, seppure mossa da una cognizione meno dotta di quella di Buzzi e per questo, forse, più suscettibile di mutare esito espressivo e di abbracciare etimi più disinvoltamente ed esplicitamente avanguardisti. Inoltre, proprio dall’inizio degli anni trenta, Ponti percepisce anche il potenziale che la produzione in serie può avere sia nel suo progetto imprenditoriale, sia in quello culturale di sprovincializzazione del gusto e di educazione di un pubblico sempre più vasto (mutano appunto i destinatari delle imprese commerciali veicolate da “Domus”). Tali prerogative sono anche affini al progetto di modernizzazione e comunicazione di massa del Fascismo, in cui intellettuali, artisti e soprattutto architetti, secondo sensibilità e modalità diverse, hanno un ruolo primario. Non è difficile immaginare che proprio l’aspetto massificato e rivoluzionario rivendicato dalla retorica dal fascismo – e il ruolo che gli architetti e gli artisti ambiranno in tale processo – sia l’elemento che snobisticamente allontana Buzzi dal Regime. Chi ha dettato per il proprio epitaffio le parole “Milanese / visse, disegnò, amò / Quest’uomo detestava / il Diavolo, Mussolini e l’aglio” non lascia dubbi che l’atteggiamento sia tutt’altro che politico o ideologico, ma piuttosto di strenua difesa di un elitarismo che diverrà l’arma discreta della sua alterità. 49 In tale accezione è da collocare anche la nota lettera a Ponti del 26 novembre 1940 proprio relativa agli anni di “Domus”: “Ho assistito la primogenita delle tue riviste a cui hai dato tanta parte della tua passione fin dalla fase prenatale, e poi l’ho vista con tenerezza, nascere, e l’ho accarezzata in parte, e se pure man mano che cresceva florida e trionfante, l’ho sentita progressivamente allontanarsi dagli occhi e dal cuore sì che l’ho seguita poco quando s’è fatta balilla, e sempre meno quando da avanguardista è divenuta giovane italiana, e meno ancora contavo di averla amica ora che stava quasi in camicia nera”. 50 A partire dalla fine degli anni trenta, ma soprattutto dal dopoguerra, il rifiuto della modernità non diventa solo istintivo, ma programmatico, rivendicato provocatoriamente e con forte verve: Scrive Buzzi in un appunto del 1978: “De Chirico – Picasso: per me, indubbiamente, due mostri [...], personaggi storicamente importanti ma nefasti […], dominatori che hanno toccato tutto con mani rapaci e sporche […], vandali, barbari feroci, contaminatori di idee altrui, di tradizioni, dissacratori di valori superiori, volgari, potenti, maneschi, istrioni, vincitori irrispettosi”. 51 “Domus” era stata un’esperienza comune, un progetto a cui Ponti e Buzzi avevano guardato con analoghe finalità d’intenti. Gradatamente lo sguardo dei due sodali si era spostato dal comune oggetto d’interesse, orientandosi in due differenti e contrapposte direzione. Come una sorta di Giano bifronte, Ponti e Buzzi guardano l’uno al futuro e l’altro al passato. 52 [16] E. Persico, Punto e da capo per l’architettura, in “Domus”, novembre 1934, p. 1 [17] T. Buzzi, Interpretazione dell’abitazione moderna, in “Domus”, novembre 1934, p. 10 Pur essendo frutto della ricerca comune dei due autori, la stesura del lavoro è da ascrivere a Cecilia Rostagni per il paragrafo Tra l’architettura e le arti e a Roberto Dulio per il successivo. 1 Cfr. lettera di Buzzi a Ponti del 31 luglio 1943, in E. Fenzi (a cura di), Tomaso Buzzi. Lettere pensieri appunti 1937-1979, Cinisello Balsamo (Milano) 2010, pp. 45-47. 2 T. Buzzi, Il “Teatro all’antica” di Vincenzo Scamozzi in Sabbioneta, in “Dedalo”, fasc. VIII, gennaio 1928, pp. 488-524; Id., I palazzi ducali di Sabbioneta. Il Palazzo del giardino, in “Dedalo”, fasc. IV, settembre 1928, pp. 221-252. 3 T. Buzzi, Trascrizione moderna di un antico disegno secondo l’Arch. Tomaso Buzzi, in “Domus”, dicembre 1928, pp. 20-21; Id., Antico progetto d’architettura trascritto da Tomaso Buzzi, in “Domus”, febbraio 1929, pp. 14-15. 4 Cfr. Espressione di Gio Ponti, in “Aria d’Italia”, n. 8, 1954, pp. 6-7. 5 Nel 1930 lo definisce di “spirito e cultura italianissimi” ma allo stesso tempo “sensibile in alto grado agli orientamenti stilistici attuali”. Cfr. T. Buzzi, La ceramica italiana all’Esposizione di Monza, in “Dedalo”, fasc. IV, settembre 1930. 6 Sul Labirinto cfr. il saggio di Valerio Terraroli in questo volume. 7 Idem. 8 Giovanni Semeria (Coldirodi, Imperia, 1867 - Sparanise, Napoli, 1931) e Giovanni Minozzi (Amatrice, L’Aquila, 1884 - Roma, 1959) fondano l’ONMI nel 1921, mettendo in pratica un’idea concepita sin dal 1916, in piena guerra. 9 Cfr. P. Caccia (a cura di), Editori a Milano (1900-1945). Repertorio, Milano 2013, pp. 38-39. Il nome Amatrix deriva da Amatrice, comune d’origine di Minozzi, allora in provincia dell’Aquila, dove i due sacerdoti avevano fondato il primo orfanotrofio femminile. Tra i volumi pubblicati dall’editore Amatrix, che conta oltre 60 titoli, vi sono: P. Casu, La voragine: romanzo, con prefazioni di G. Semeria, Milano 1926; G. Semeria, Memorie di guerra: offerte per gli orfani a tutti i buoni italiani, Milano 1927; Id., I miei ricordi oratori, Milano 1927; N. Palanga, Morte e resurrezione: poesie, Milano 1927. 10 Ivi, p. 126. Cfr. anche le carte del R. Tribunale Civile e Penale di Milano, Causa dell’Editoriale Domus contro l’Architetto Giovanni Ponti, gennaio 1942, p. 15, in AP, dove è ricordato che gli ideatori della rivista erano stati Alberta Plancher e Cesare Brugnatelli. 11 Cfr. lettera di Ojetti a Ponti del 4 novembre 1927, in EGP, cat GP 001. 12 Cfr. L. Spinelli, L’arte della casa, in Ch. e P. Fiell (a cura di), Domus, Köln 2006 (12 vv), vol. I, pp. 10-11. 13 Lettera di Ponti a Ojetti s.d., in GNAM, Fondo Ugo Ojetti (citata da F. Irace in Gio Ponti. La casa all’italiana, Milano 1988, p. 49n). 14 Su Gianni Mazzocchi (Ascoli Piceno, 1906-1984) cfr. Gianni Mazzocchi editore, Rozzano (MI) 1994, e L. Simonelli, Diario del Novecento. Gianni Mazzocchi, Milano 2008. 15 La Società Anonima viene costituita l’11 luglio 1929 davanti al notaio Giovanni Caccia, in via Cordusio n. 2. I soci sono oltre a Ponti e Mazzocchi, Alberto Azimonti e Alessandro Vimercati, ragionieri. Il capitale sociale è di 50.000 lire, diviso in 100 azioni, e la durata della società è fissata al 31 dicembre 1934. Oggetto della società è la pubblicazione della rivista “Domus” e lo svolgimento di attività editoriali: cfr. il fascicolo della società, in ACCMi, Registro delle ditte, n. 161022. 16 Ivi. Il primo Consiglio di Amministrazione è costituito da Ponti, Lancia e Alessandro Vimercati e resta in carica per tre esercizi. Sindaci effettivi della società sono: l’ingegner Achille Bermani e i ragionieri Ercole Moreo e Alberto Azimonti; sindaci supplenti: Guido Berti e Piero Gadda. 17 Dal n. 9 del settembre 1929, inoltre, Direttore responsabile diventa Gio Ponti, e non appare più il nome di Alberta Plancher. 18 Cfr. Soc. An. “Domus Società Editoriale”, Verbale assemblea ordinaria del 31 marzo 1931, in ACCMi (fascicolo tribunale). 19 Ivi; cfr. inoltre la lettera di Ponti a Buzzi del 23 giugno 1931, in ATB. 20 Cfr. Soc. An. Domus Società Editoriale, Denunzia di modifica. Verbale, 8 luglio 1931, e Denunzia di modifica. Verbale, 8 agosto 1931, in ACCMi, Registro delle ditte, n. 161022. Nel febbraio 1934 Mazzocchi diventa Direttore Generale, con compiti che riguardano le diverse pubblicazioni della Società, che dal 1933 si chiama soltanto Società Anonima Editoriale Domus, tra cui la rivista da poco acquisita “Casabella”. Nasce così l’Editoriale Domus, che pubblicherà in seguito numerose altre riviste (“Panorama”, “Quattroruote”, “Il Mondo”, “Meridiani”). 21 Cfr. A Avon, Uno “stile” per l’abitare: attività e architetture di Gio Ponti fra gli anni Venti e gli anni Trenta, in “Casabella”, n. 523, 1986, pp. 44-53. 22 È il periodo centrale di quegli anni – dal 1924 al 1931 – che molti anni dopo lo stesso Buzzi ricorderà come “di amichevole entusiastico, giovanile lavoro insieme”: T. Buzzi, appunto del 1978, n. 116, in E. Fenzi (a cura di), Tomaso Buzzi..., cit., p. 97; l’appunto è riportato integralmente nel saggio di Valerio Terraroli in questo volume. 23 Lettera di Ponti ad Andreotti del 22 novembre 1927, n. 148, in C. Pizzorusso, S. Lucchesi, Libero Andreotti. Trent’anni di vita artistica. Lettere allo scultore, Firenze 1997, p. 251. 41 Alcuni mobili di Tomaso Buzzi e di Gio Ponti nella dimora dei Conti C. in Firenze, in “Domus”, novembre 1933, pp. 575-582. 42 E. Persico, Punto e da capo per l’architettura, in “Domus”, novembre 1934, pp. 1-9. 43 E. Persico, Alla Triennale. Gli architetti italiani, in “L’Italia Letteraria”, 6 agosto 1933, p. 4. 44 E. Persico, L’architetto Gio Ponti, in “L’Italia Letteraria”, 29 aprile 1934. 45 Ibid. 46 Lettera di Ponti a Persico del 1° maggio 1934, cit. in E. Persico, Tutte le opere (1923-1935), a cura di G. Veronesi, Milano 1964, vol. 2, p. 270. 47 Interpretazione dell’abitazione moderna. Una casa composta di studi-abitazione disegnata dall’architetto Tomaso Buzzi, in “Domus”, novembre 1934, pp. 10-12. 48 Interpretazioni moderne della casa d’abitazione. Una casa a quattro ville sovrapposte disegnata dall’architetto Tomaso Buzzi di Milano, in “Domus”, marzo 1934, pp. 6-10. 24 Continua Ponti: “[...] nel darci con la sua semplicità una salute per i nostri costumi, nel darci con la sua larga accoglienza il senso di una vita confidente e numerosa, ed infine, per quel suo facile e lieto ornato aprirsi fuori a comunicare con la natura, nell’invito che la casa all’italiana offre al nostro spirito di ricrearsi in riposanti visioni di pace, nel che consiste nel pieno senso della bella parola italiana, il conforto”: G. Ponti, La casa all’italiana, in “Domus”, gennaio 1928, p. 7. 50 Lettera di Buzzi a Ponti del 26 novembre 1940, n. 2, in E. Fenzi (a cura di), Tomaso Buzzi..., cit., pp. 41-42. 25 T. Buzzi, Invito ad un viaggio. Le ville del Palladio, in “Domus”, gennaio 1928, p. 20 e tav. fuori testo. 51 T. Buzzi, appunto del 1° agosto 1978, n. 112, in E. Fenzi (a cura di), Tomaso Buzzi..., cit., pp. 95-96. 26 G. Ponti, La casa all’italiana, Milano 1933; il volume con dedica a Buzzi è conservato in ATB. 52 Iniziano quelli che nel 1978 Buzzi ricorda come i “33 anni di distacco, lontananza, senza incontrarci più”: T. Buzzi, appunto del 1978, n. 116, cit. 27 Inserzioni pubblicitarie Il Labirinto, Domus Nova, Richard-Ginori, Christofle, in “Domus”, gennaio 1928, pp. 2, 38, 39-40 e 43; anche sui successivi numeri della rivista la presenza delle réclame di queste ditte è sempre rilevante. 28 E. V. Quattrova, La cucina elegante ovvero Il Quattrova illustrato, con prefazione di P. Gadda e disegni di T. Buzzi e G. Ponti, Milano 1931. 29 Appunto conservato in ATB. 30 T. Buzzi, Villa Pizzigoni a Bergamo dell’Arch. Giuseppe Pizzigoni, in “Domus”, marzo 1928, pp. 18-21. 31 T. Buzzi, Trascrizione moderna di un antico disegno, in “Domus”, dicembre 1928, pp. 20-21; cfr. anche Id., Antico progetto d’architettura, ivi, febbraio 1929, pp. 14-15, sempre ripreso da Serlio. 32 E. Lancia, Le sale del Brasile alla Triennale di Monza, in “Domus”, agosto 1930, pp. 20-24. 33 Su questi elementi cfr. i saggi di Irene de Guttry e Maria Paola Maino in questo volume. 34 G. Ponti, La “Casa Elettrica” alla Triennale di Monza, in “Domus”, agosto 1930, pp. 26-34. 35 Inizia il periodo che lo stesso Buzzi definisce di “amichevole colleganza”, dal 1931 al 1938: T. Buzzi, appunto del 1978, cit. 36 M.M.[Marelli], “L’Ange Volant”. Casa di campagna di M. Tony H. Bouilhet a Garches (Parigi), in “Domus”, settembre 1931, pp. 24-31. 37 G. Ponti, Giudicare lo stile moderno, in “Domus”, maggio 1932, p. 247; M. Sironi, Pittura e scultura nell’architettura moderna, ivi, pp. 248-249. 99 e più disegni inediti di mobili d’aggi, Milano 1932, pubblicizzato a p. XXVII. Riguardo gli impegni di Buzzi per l’Enapi cfr. i documenti in ATB. 38 I nuovi vetri “Laguna” di Venini, in “Domus”, dicembre 1932, p. 761. 39 T. Buzzi, appunto del 13 giugno 1975, n. 101, in E. Fenzi (a cura di), Tomaso Buzzi..., cit., p. 91. 40 Alcuni di questi studi sono conservati in ATB; la réclame viene pubblicata per la prima volta in “Domus” dicembre 1932, p. XXXI; sul vaso Veronese cfr. C. Sonego, La Vetri Soffiati Muranesi Venini & C. Antefatti e sviluppi tra arte e architettura, in M. Barovier (a cura di), Napoleone Martinuzzi Venini 1925-1931, Milano 2013, p. 34. 49 T. Buzzi, appunto del 4 marzo 1967, n. 29, in E. Fenzi (a cura di), Tomaso Buzzi..., cit., p. 61.