ISSN 2532-1218
n. 41, aprile-maggio-giugno 2023
Corpi e cura
41
Il corpo del mondo
di Chiara Iacovetti
La capacità di adattamento è alla base della
teoria evoluzionistica. Senza questa prerogativa
milioni di esseri viventi non sarebbero
sopravvissuti alla selezione naturale e forse
non sarebbe stato possibile arrivare alla razza
umana come la conosciamo oggi. Tuttavia, dopo
millenni di vita, questo processo è stato invertito
proprio da noi “sapiens” che, piegando l’ambiente
ai nostri bisogni, abbiamo creato un mondo
antropocentrico.
Con il passare dei secoli però tale forzatura ha
portato a una graduale disconnessione tra noi
e le altre specie, determinandone così in alcuni
casi l’estinzione e in altri la proliferazione
incontrollata. A fronte di ciò esiste dunque la
forte necessità di ripensare il ruolo dell’uomo
all’interno del mondo, andando a indagare nuove
modalità di convivenza, pacifiche e sostenibili,
che ristabiliscano l’equilibrio iniziale esistente
tra noi stessi e gli altri, umani e no.
Stefania Mangini
Libertà come cura del corpo
Il concetto di “prendersi cura di sé” viene spesso associato alla necessità di comprendere i propri bisogni, di amare sé stessi e di pensare al proprio benessere psicofisico, associando – il più delle volte – a
queste necessità azioni legate alla cura del corpo che riguardano ad
esempio la dieta e l’attività fisica. Se però proviamo ad analizzare più in
profondità il concetto di “cura di sé” esso può essere inteso come “un
antidoto ai giochi di potere e di dominazione” a cui siamo quotidianamente sottoposti; per avere cura di sé “diventa necessario lavorare per
espellere, espurgare, padroneggiare, affrancarsi e liberarsi da un male
come quello che si trova all’interno di ciascuno di noi” (Michel Foucault,
L’ermeneutica del soggetto, 2016). Secondo il filosofo francese Michel
Foucault la cura di sé stessi è infatti un segno di libertà, intesa non nel
suo significato più banale di “poter fare ciò che vogliamo” ma nel suo
più profondo valore di essere e ritrovare noi stessi. La libertà può infatti
essere letta come la categoria fondamentale della Storia, dove la Storia
stessa diventa lotta per la libertà (Benedetto Croce, La Storia, la libertà, 1967). Tutti gli uomini nascono liberi ma poi, crescendo all’interno
di una società, diventano “qualcos’altro”. La libertà è dunque, secondo
Croce, l’essenza dell’uomo e non può esistere senza di lui. È l’inizio e la
fine dell’individuo e va interpretata come “libertà da qualcosa”, come
un liberarsi da una costrizione imposta da ciò che ci circonda. Ma soprattutto, la libertà non è data a priori ma si costruisce nell’eterna lotta
con il suo contrario, con la sua negazione, che in un ciclo continuo dà
forma alla Storia stessa. Nel corso del tempo la libertà viene persa e
riconquistata continuamente: a volte è “persa per molto” altre è “persa per poco”, in alcuni periodi è “presa sul serio” in altri è “presa per
gioco” proprio come scrivono De André e Bubola in Se ti tagliassero a
pezzetti – canzone inclusa nell’album Fabrizio De André del 1981 – che
rappresenta un vero e proprio inno alla libertà. Nel testo del brano essa
è personificata dalla “signora libertà / signorina fantasia” che “presa
in trappola da un tailleur grigio fumo [con] i giornali in una mano e
nell’altra il tuo destino” cammina “fianco a fianco al [suo] tuo assassino”,
ossia la società stessa che, con le sue regole e imposizioni, ci spinge a
essere ciò che non siamo. Ma per quanto la società tenti di fare a pezzi
la libertà, assassinando le libere scelte di ognuno attraverso norme e
paradossi, essa finirà sempre per rinascere poiché è parte integrante
del ciclico processo della Storia, un ciclo che De André personifica nella natura: quel “polline di un dio” che insieme ai suoi elementi – ragno,
vento e luna – di volta in volta ricomporranno il nostro essere liberi.
Emilio Antoniol
Direttore editoriale Emilio Antoniol
Direttore artistico Margherita Ferrari
Comitato editoriale Letizia Goretti, Stefania Mangini, Rosaria
Revellini, Elisa Zatta
Comitato scientifico Federica Angelucci, Stefanos Antoniadis,
Sebastiano Baggio, Matteo Basso, Eduardo Bassolino,
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Giacomo Biagi, Paolo Borin, Alessandra Bosco, Laura Calcagnini,
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Ferrari, Paolo Franzo, Jacopo Galli, Silvia Gasparotto, Gian
Andrea Giacobone, Giovanni Graziani, Francesca Guidolin,
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Cristiana Mattioli, Fabiano Micocci, Mickeal Milocco Borlini,
Magda Minguzzi, Massimo Mucci, Maicol Negrello, Corinna
Nicosia, Maurizia Onori, Valerio Palma, Damiana Paternò, Elisa
Pegorin, Laura Pujia, Silvia Santato, Roberto Sega, Gerardo
Semprebon, Chiara Scanagatta, Chiara Scarpitti, Giulia Setti,
Francesca Talevi, Oana Tiganea, Ianira Vassallo, Luca Velo,
Alberto Verde, Barbara Villa, Paola Zanotto
Redazione Davide Baggio, Luca Ballarin, Giulia Conti, Martina
Belmonte, Silvia Micali, Arianna Mion, Libreria Marco Polo,
Sofia Portinari, Marta Possiedi, Tommaso Maria Vezzosi
Web Emilio Antoniol
Progetto grafico Margherita Ferrari
OFFICINA*
“Officina mi piace molto, consideratemi pure dei vostri”
Italo Calvino, lettera a Francesco Leonetti, 1953
Trimestrale di architettura, tecnologia e ambiente
N.41 aprile-maggio-giugno 2023
Corpi e cura
Proprietario Associazione Culturale OFFICINA*
e-mail info@officina-artec.com
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Sede legale via Asolo 12, Conegliano, Treviso
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Chiuso in redazione il 22 marzo 2023, con asparagi verdi
dell’Agro Nocerino-Sarnese
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Internazionale
L’editore si solleva da ogni responsabilità in merito a violazioni da parte
degli autori dei diritti di proprietà intelletuale relativi a testi e immagini
pubblicati.
Direttore responsabile Emilio Antoniol
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Pubblicazione a stampa ISSN 2532-1218
Pubblicazione online ISSN 2384-9029
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online www.officina-artec.com
Prezzo di copertina 10,00 €
Prezzo abbonamento 2023 32,00 € | 4 numeri
Per informazioni e curiosità
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Il dossier di OFFICINA*41 – Corpi e cura è a cura di Paolo Franzo e Chiara Scarpitti.
Si ringrazia per la ricerca il progetto “Designing with More-than-Humans” (Funding Call for Young
Researchers –UniCampania 2022)
Hanno collaborato a OFFICINA* 41:
Maria Costanza Angelini, Eleonora Barosi, Annarita Bianco, Valeria Biasin, Roshan Borsato, Michela
Carlomagno, Manuela Ciangola, Anna Colonna, Dylan Colussi, Francesca Coppolino, Erminia D’Itria,
Chiara Iacovetti, Massimo Mariani, Clizia Moradei, Samuele Papiro, Gioele Peressini, Enrico Polloni,
Rosaria Revellini, Stefano Salzillo, Valeria Tatano, Federica Vacca.
OFFICINA* è un progetto editoriale che racconta la ricerca. Tutti gli articoli di OFFICINA* sono sottoposti a valutazione mediante procedura di double blind review da parte del comitato scientifico della
rivista. Ogni numero racconta un tema, ogni numero è una ricerca. OFFICINA* è inserita nell’elenco
ANVUR delle riviste scientifiche per l’Area 08.
Corpi e cura
Bodies and Care
n•41•apr•mag•giu•2023
Il corpo del mondo The Body of the World
Chiara Iacovetti
6
INTRODUZIONE
Corpi multispecie e cura
nel progetto
Designing Multispecies
Bodies and Care
26
Paolo Franzo, Chiara Scarpitti
10
Manuela Ciangola
Ecologia è intimità
fra estranei Ecology
is Intimacy between
Strangers
34
Clizia Moradei
18
L’impronta dei corpi e la
soglia nell’architettura
d’interni The Imprint of
Bodies and Threshold in
Interior Architecture
La transizione verso
la simbiosi multispecie
The Transition to
Multispecies Symbiosis
Il corpo danzante come
progetto The Dancing Body
as a Project
Gioele Peressini
42
Stefano Salzillo, Michela Carlomagno
52
62
72
Corpi esclusi Excluded
Bodies
Valeria Tatano, Rosaria Revellini
Left(L)overs
Eleonora Barosi, Erminia D’Itria,
Federica Vacca
INFONDO
Mens sana in corpore sano.
E bello.
Stefania Mangini
Il gioiello
contemporaneo nell’Era
dell’entanglement
Jewellery Design Practice
in the Entanglement Era
Annarita Bianco
4
74
82
ESPLORARE
Davide Baggio
PORTFOLIO
Quale corpo? Quale cura?
Which Body? What Cure?
Samuele Papiro
IL LIBRO
L’ “Ospedalino” si è fatto
grande The “Ospedalino”
got Bigger
Massimo Mariani
84
I CORTI
Design per esplorare il
piacere Design to Explore
Pleasure
Maria Costanza Angelini
86
88
La persistenza del corpo
The Resistance of the Body
Dylan Colussi
L’IMMERSIONE
Corpi di rovine e
metamorfosi del paesaggio
Bodies of Ruins and
Landscape Metamorphoses
98
Francesca Coppolino
Il well-being:
la sostenibilità
nell’organizzazione
aziendale Well-being:
Sustainability in Business
Organisation
92
SOUVENIR
Roshan Borsato, Enrico Polloni
Corpi metallici
Metallic Bodies
CELLULOSA
94
TESI
Letizia Goretti
Distretto umano
Human District
Anna Colonna
100
101
Oltre la periferia della
pelle
a cura dei Librai della Marco Polo
(S)COMPOSIZIONE
Signora libertà, signorina
fantasia
Emilio Antoniol
ICÔNES
Nel complesso rapporto che l’attuale società dei media intrattiene con il
tema dell’immagine, Emma Lavigne e
Bruno Racine allestiscono nel suggestivo palcoscenico espositivo di Punta
della Dogana un percorso esperienziale costituito da 80 opere attentamente
selezionate all’interno della ricca collezione Pinault. Dal celebre Concetto
spaziale di Lucio Fontana al suggestivo
riverbero della luce dorata nell’oscurità di Ttéia 1, C dell’artista brasiliana
Lygia Pape, la mostra invita il visitatore
a intraprendere un dialogo contemplativo, introspettivo e meditativo con
le immagini, i dipinti, le sculture e gli
spazi dell’esposizione proposti. Quello
tra immagine e osservatore è oggi più
che mai un dialogo interrotto, minacciato dal distratto e acritico scorrimento di immagini e video nei feed dei
social network. Instaurando un forte
legame semantico con le sale e con gli
scorci sulla laguna di Venezia, le opere
si trasfigurano in “Icônes”, mezzi per il
raggiungimento di una verità altra, elevata rispetto all’immediatezza dell’esperienza sensibile in un’ottica di laica
trascendenza per mezzo dell’arte.
Museo botanico. Il nuovo nucleo espositivo all’interno dell’Orto botanico
esposizione permanente
Orto botanico, Padova
ortobotanicopd.it
I suoni, le essenze, i colori e i profumi
dell’Orto botanico di Padova, istituito
nel 1545 per la coltivazione delle piante medicinali, e patrimonio UNESCO
dal 1997, si arricchiscono con i nuovi
spazi espositivi del Museo botanico.
Si tratta di un percorso che illustra la
storia dell’Orto attraverso i suoi principali protagonisti e benefattori che
nei secoli ne hanno arricchito la collezione con erbe, piante e fiori. I diversi ambienti sono allestiti con un forte
accento sull’interattività e sull’esperienza immersiva: espositori orizzontali con tavole mobili, pareti attrezzate,
totem con infografiche, pannelli touch
con quiz e persino la ricostruzione di
Kimsooja, To Breathe-Venice, 2023. Photo credits: Marco Cappelletti e Filippo Rossi / pinaultcollection.com
2 aprile 2023 - 26 novembre 2023
Punta della Dogana, Venezia
pinaultcollection.com
una spezieria Settecentesca stimolano
il visitatore a interagire attivamente
con i contenuti proposti, offrendo talvolta un’esperienza immersiva totale,
e rendendo il complesso perfetto per
un pomeriggio domenicale anche con
i bambini.
Canova e il Potere. La collezione Giovanni
Battista Sommariva
22 marzo 2023 - 4 settembre 2023
Possagno (TV)
museocanova.it
Moira Mascotto ed Elena Catra curano
per la Gypsotheca canoviana di Possagno una mostra che vuole mettere
in luce il forte rapporto che Antonio
Canova intrattenne con alcuni fra i più
4
importanti e potenti esponenti del panorama politico, culturale e religioso.
Articolato in tre sezioni tematiche, e
arricchito con alcune importanti opere provenienti dalla collezione Sommariva, l’allestimento giustappone
abilmente dipinti e sculture mettendo
in scena una sinuosa danza di figure
neoclassiche.
Carlo Scarpa / Sekiya Masaaki. Tracce
d’architettura nel mondo di un fotografo
giapponese
15 aprile 2023 - 16 luglio 2023
Ca’ Scarpa, Treviso
fbsr.it/agenda/carlo-scarpasekiya-masaaki-tracce-darchitettura-nelmondo-un-fotografo-giapponese/
ESPLORARE
CORPI
E CURA
A cura di Paolo Franzo e Chiara Scarpitti.
Contributi di Eleonora Barosi, Annarita Bianco,
Michela Carlomagno, Manuela Ciangola,
Erminia D’Itria, Clizia Moradei, Gioele Peressini,
Rosaria Revellini, Stefano Salzillo,
Valeria Tatano, Federica Vacca.
Paolo Franzo
PhD, ricercatore, Università degli Studi di Firenze.
paolo.franzo@unifi.it
Chiara Scarpitti
PhD, ricercatrice, Università della Campania Luigi Vanvitelli.
chiara.scarpitti@unicampania.it
Corpi multispecie e cura nel progetto
Designing Multispecies Bodies and Care
Key players of our lives during and after the pandemic,
the body and care have invaded domestic and public space
with their presence and absence. As meaningful domains of
inquiry and experimentation, design culture is increasingly
interested in their dynamics of evolution. However, the questioning of an anthropocentric view is leading to overcoming
the dominance of the human body, delineating new alliances
(Haraway, 2016, Staying with the Trouble: Making Kin in
the Chthulucene), posthuman horizons (Braidotti, 2013, The
Posthuman), and multispecies coexistence (Tsing, 2015, The
Mushroom at the End of the World).
Bodies and care are interwoven within the issue through
various essays involving different design territories, from
fashion to public space, from product design to interior architecture, highlighting new approaches to contemporary
theories and practices. The dimension referred to is multispecies, postdigital, and transdisciplinary: it is about a body
that is not afraid of confrontation with otherness, about a
caring that expands beyond the human.
The swirling digitization of our lives has distanced us
from a sensory dimension proper to our animal origin,
pushing us, by way of compensation, into an increasingly
virtual dimension, welcoming the actual mixing of the material and immaterial. This detachment requires us to restore new value to physicality, adopting corporeality and
multiverse care as the project’s singular starting and ending
points. The theme Bodies and Care brings bodies - human
and non-human - back to the center of research and transformation processes related to technology, in the desire to
explore new ways of being and opening up to the world. In
the sense of the living, the bodily perspective emerges from
a set of practices and reflections that, in their entrenchment
Protagonisti delle nostre vite durante e dopo la fase pandemica, il corpo e la cura hanno invaso lo spazio domestico e
pubblico con la loro presenza e con la loro assenza. In quanto
ambiti significativi di indagine e sperimentazione, la cultura
del progetto è sempre più interessata alle loro dinamiche di
evoluzione. Tuttavia, la messa in discussione di una visione
antropocentrica sta portando a superare la predominanza
del corpo umano, delineando nuove alleanze (Haraway, 2019,
Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto), orizzonti
postumani (Braidotti, 2014, Il postumano) e una coesistenza
multispecie (Tsing, 2015, Il fungo alla fine del mondo).
Corpi e cura si intrecciano all’interno del numero attraverso vari saggi che coinvolgono diversi territori del progetto,
dalla moda allo spazio pubblico, dal design di prodotto all’architettura degli interni, mettendo in luce nuovi approcci alle
teorie e pratiche della contemporaneità. La dimensione a cui
si fa riferimento è multispecie, postdigitale e transdisciplinare: si tratta di un corpo che non teme il confronto con l’alterità, di una cura che si espande oltre l’umano.
La vorticosa digitalizzazione delle nostre vite ci ha allontanato da una dimensione sensoriale, propria della nostra
origine animale, spingendoci, per compensazione, in una
dimensione sempre più virtuale, accogliendo il mescolarsi effettivo tra materiale e immateriale. Questo distacco ci
impone di restituire nuovo valore alla fisicità, adottando la
corporeità e la cura pluriversa come singolari punti di partenza e arrivo del progetto. Il tema Corpi e cura riporta i
corpi - umani e no - al centro della ricerca e dei processi
di trasformazione connessi alla tecnologia, nella volontà di
esplorare nuovi modi d’essere e aprirsi al mondo. La prospettiva corporea, nel senso del vivente, emerge da un insieme di pratiche e riflessioni che, nel loro rinsaldarsi alla
6
CORPI E CURA
Simbionte. Valeria Biasin
materia fisica, suggeriscono al reale una nuova possibilità
di espressione. Chiamare in causa il corpo come dispositivo
sensibile significa restituirgli tutta la carica energetica e il
peso simbolico che porta con sé: è dall’incontro tra il nostro
corpo smarrito, smaterializzato, con quello fisico, percepito, che emergono nuove potenzialità secondo una rinnovata interazione tra interno ed esterno, tra la proiezione del
sé e la coesistenza con altre forme di vita, tra realtà materica e realtà virtuale.
A partire da questo immaginario pluriverso, il numero
Corpi e cura invita a osservare le molteplici nature del corpo e della cura, nelle loro diverse scale e manifestazioni di
esistenza, tra organico e inorganico, biologico e tecnologico, umano e non umano (Morton, 2022, Humankind. Solidarietà ai non umani).
Oltre la supremazia antropocentrica, verso nuovi orizzonti estetici e ibridi, i saggi che si susseguono esprimono
una visione postumana del progetto. Ricercatori e designer
offrono molteplici punti di vista sugli interrogativi che caratterizzano il presente e il futuro: su quali corpi il progetto può interrogarsi? In che modo possiamo immaginare
nuove alleanze? Come la tecnologia può essere un agente
disvelante? Attraverso approcci non dualistici, in un’ottica
inclusiva ed ecosistemica tra tutti gli altri esseri viventi, la
cultura del progetto diventa l’agente in grado di sovvertire
un ordine precostituito, verso una rinnovata idea di ecologia profonda. Corpi animali, vegetali, tessili, tecnologici,
architettonici, urbani: il numero non si chiude sui temi qui
descritti ma piuttosto li scardina, li capovolge, attraverso
nuove prospettive e modi di essere e agire nella realtà. Un
mondo tanto complesso quanto enigmatico ci conduce verso nuove intelligenze, dimensioni, corporeità, tutte plurali e
che, ci piaccia o meno, interdipendenti.*
to physical matter, suggest a new possibility of expression
to the real. To call into question the body as a sensitive device is to restore to it all the energetic charge and symbolic
weight it carries: it is from the encounter between our lost,
dematerialized body with the physical, perceived one that
new potentials emerge according to a renewed interaction
between inside and outside, between the projection of the
self and coexistence with other forms of life, between material reality and virtual reality.
From this pluriverse imaginary, the issue Bodies and Care
invites us to observe the multiple natures of the body and
care, in their different scales and manifestations of existence,
between organic and inorganic, biological and technological,
human and non-human (Morton, 2022, Humankind. Solidarity to the Non-human).
Beyond anthropocentric supremacy, the following essays
express a posthuman design vision toward new aesthetic
and hybrid horizons. Researchers and designers offer multiple perspectives on the questions that characterize the present and the future: what bodies can design interrogate? In
what ways can we imagine new alliances? How can technology be an unveiling agent? Through non-dualistic approaches, from an inclusive and ecosystemic perspective
among all other living beings, design culture becomes the
agent capable of subverting a pre-established order toward
a renovated idea of deep ecology. Animal, plant, textile,
technological, architectural, urban bodies: the issue does not
close on the themes described here but rather breaks them
down, turns them upside down, through new perspectives
and ways of being and acting in reality. A world as complex
as it is enigmatic leads us to new intelligence, dimensions,
and corporeities, all of which are plural and interdependent,
whether we like it or not.*
8
CORPI E CURA
Simbionte. Valeria Biasin
Clizia Moradei
Dottoranda in Moda, Dipartimento di Culture del
Progetto dell’Università Iuav di Venezia.
cmoradei@iuav.it
Ecologia è intimità
fra estranei
01. Dettaglio di maglione di Human Material Loop in filato di capelli | Detail of Human Material Loop’s hair knitwear jumper. Kwadwo Amfo
10
CORPI E CURA
La moda nelle sue
pratiche materiali
e femminili di
sostenibilità
hen two hands touch, there is a sensuality
of the flesh, an exchange of warmth, a feeling of pressure, of presence, a proximity
of otherness that brings the other nearly as close as oneself.
[…] When two hands touch, how close are they? What is the
measure of closeness?” (Barad, 2014, p. 153). Come emerge
dall’affermazione di Barad, l’esperienza tattile è anticipata
nello spazio-tempo che intercorre nel vuoto tra una superficie e l’altra. Un luogo carico di agentività che funge da
campo di gioco di molteplici temporalità, dell’indeterminatezza, e da invito ad accogliere l’estraneità, anche con sé
stessi. Il corpo e la moda convergono nell’esperienza tattile
dell’indossare, pertanto la progettazione di moda ci interroga costantemente circa quale sia il limite della prossimità
tra pelle e abito. Prendendo spunto da alcune domande nel
testo What if? Prove di futuro della moda in Italia (Vaccari e
Franzo, 2022), in questo articolo si cerca di rispondere alla
domanda: come può il designer progettare lo spazio intimo di relazione tra corpo e abito, ridisegnando la propria
soggettività nella connessione con altri individui o corpi
estranei? In una rilettura del concetto di “iperoggetti” di
Morton (2018), lo sfiorarsi tra corpo e oggetto innesca la
transizione in iperoggetti. Gli iperoggetti sono entità diffusamente distribuite nel tempo e nello spazio, per questo
identificati col prefisso “iper”. Si tratta di oggetti viscosi,
non-locali, dalla materialità diffusa, i quali contaminano e
si fanno contaminare dal soggetto che li utilizza, dissolvendo i propri confini. Essi fungono da oggetti-ponte atti a riconciliare tempo umano e geologico, laddove si è creato un
cortocircuito temporale per cui i manufatti umani vivono
spesso più dell’umanità che li ha creati, generando crescenti catastrofi e squilibri ambientali. Come scrive Morton, è
importante sapere che per riuscire a conoscere gli iperoggetti nella loro vastità durante l’arco della nostra breve vita,
occorre lasciarsi travolgere dalla loro intensità, affidarsi a
una forma di conoscenza più viscerale fatta di intuizioni
e interrelazioni. Essi però non implicano solo una nuova
Ecology is Intimacy between Strangers
Located in fashion studies between new
materialism and posthumanism, the article
explores the ecological practices of intimacy
and care for the body and the environment,
which align practices of sustainability and
protection of femininity in the relationship
with alterity. Recalling the discourses on
the grotesque body as an unfinished and
collective organism, the transformative
potential of posthuman fashion unfolds
in the reconfiguration, through the use of
organic materials and waste, of the bodydress continuum, which materializes through
experimental material-driven fashion design
case studies.*
Situato nei fashion studies tra nuovo materialismo e postumanesimo, l’articolo esplora
le pratiche ecologiche d’intimità e cura verso
il corpo e verso l’ambiente, che allineano pratiche di sostenibilità e tutela della
femminilità nella relazione con l’estraneità.
Richiamando i discorsi sul corpo grottesco
come non-finito e organismo collettivo, si dispiega il potenziale trasformativo della moda
postumana nella riconfigurazione, tramite
l’impiego di materiali e scarti organici, del
continuum corpo-abito, che si concretizza in
casi studio sperimentali di fashion design di
tipo material-driven.*
OFFICINA* N.41
11
02. Ritratto della designer Zsofia Kollar nel suo studio di Amsterdam | Portrait of the
designer Zsofia Kollar in her studio in Amsterdam. Zsofia Kollar
03. Maglione Dutch Blond di Human Material Loop in filato di capelli | Human Material
Loop’s Dutch Blond hair knitwear jumper. Kwadwo Amfo
forma di esperienza estetica, ma anche di consapevolezza
e responsabilità. Tale consapevolezza ecologica è intesa
come ciò che spinge all’instaurarsi di una relazione intima
con gli oggetti e i fenomeni, piuttosto che rinviare al senso di appartenenza a un qualcosa di più grande. Essa sorge
dalla necessità di evocare una sensazione di vicinanza con
altre forme di vita, di accoglierle sottopelle: “L’ecologia ha a
che fare con l’intimità” (Morton, 2018, p. 181). Il riferimento
è alla teoria dell’endosimbiosi della biologa Margulis (2008),
secondo cui alcune forme di vita non vivono solo accanto
a noi ma dentro – e spesso diffusamente – di noi, sfumando la distinzione tra ospite e parassita. Da qui scaturisce la
necessità anche nella progettazione di moda di accogliere
forme di alterità viventi o organiche che, seppur parte di
noi, ci sono solitamente poco familiari, al fine di stabilire
una nuova forma di ecologia dell’intimità fra corpi estranei.
Nei fashion studies tale bisogno d’intimità con l’estraneità e con l’aspetto tattile/materiale dell’esperienza dell’indossare, si traduce nel tentativo di comprendere le leggi della natura per stabilirvi nuove alleanze. Le riflessioni
che si stanno sviluppando in questa direzione si iscrivono
all’interno del dibattito teorico corrente sul material turn.
Esso è incentrato sul riconoscere vitalità alla materia (Bennet, 2010), è improntato all’interdisciplinarità progettuale e
si intreccia fortemente a tematiche di genere. Edelkoort è
tra i primi a notare come una rinnovata sensibilità verso la
materialità di tessuti e vestiti stia accrescendo la tendenza
a riportare al centro dell’attenzione la materia prima, conducendo a un ritorno verso l’artigianalità (Howarth, 2016).
Tale riflessione anticipa il discorso sul nuovo materialismo
nella moda che, in linea col concetto sopra menzionato
di “iperoggettualità”, si attiene all’idea che tutto sia fatto
di una miscela di materiali minerali, vegetali e sintetici; si
parla di una materialità che riguarda non solo tessuti, accessori o indumenti, ma anche i corpi che li usano e consumano (Smelik, 2018). Tale prospettiva offre alla moda la
possibilità di ripensare i dualismi quali corpo-abito e ani-
12
CORPI E CURA
04. Prove campione di coltura batterica all’interno di stampi per assorbenti igienici | Sample tests of bacterial culture inside sanitary pads molds. Giulia Tomasello
mato-inanimato, oltre che d’interrogarsi circa la nozione di
agentività materiale. Ciò è in sintonia col contesto filosofico
odierno, in cui sempre più frequentemente si parla di postumano; nozione che implica il decentramento dell’umano
per enfatizzarne la natura in divenire-con-l’altro. Secondo
la prospettiva ecologica dell’intimità introdotta in questo
articolo, la moda postumana dimostra come materiali tuttora associati a scarto o a sensazioni di disgusto divengono
gli interpreti capaci di rompere il confine tra l’umano e il
non-umano. Lettura che mette in discussione il confine del
corpo tra il suo essere finito, completo, chiuso in sé stesso
e il suo essere non-finito e in continuo divenire nel farsi
mondo. Ciò è in linea con quanto sostiene Bakhtin (1984,
pp. 322-323) riguardo alla possibilità propria del grottesco
di offrire alla moda la possibilità di sfondare il limite tra l’io e
il tu, formulando l’ipotesi di un organismo
collettivo carnevalesco. Tali corpi risultano sovversivi, ribaltano generi e norme
fisiche, e appaiono derivare da un desiderio femminista di apertura alle questioni
di genere che si traducono in pratiche di
“experimental fashion” attorno agli anni
’80 e ’90 (Granata, 2017, p. 2). È interessante come Granata
interpreti le possibilità offerte dal grottesco per abbracciare il concetto in divenire del corpo, esplorandone il potenziale trasformativo nella relazione corpo-abito, laddove il
secondo diviene esso stesso “performing subject”1. Anche
nella cornice del material turn l’orientamento alla questione di genere riveste un ruolo centrale. Non è un caso che
i nuovi materiali sembrano qui ispirare particolari pratiche
femminili di cura, volte alla sostenibilità e alla democratizzazione nel tentativo di familiarizzare con una forma promiscua di alterità. Si configura di conseguenza una forma di
design come pratica di mutua cura o come “sustainability
as ethic of care”2. Due sono le vie principali qui individuate,
affinché la moda possa stabilire alleanze mediante un’ecologia dell’intimità: utilizzando materiali vivi o ridando vita a
scarti organici. Tali inclinazioni progettuali sono descritte
attraverso l’analisi di due casi studio.
I casi studio sono stati selezionati poiché illustrativi di come la progettazione di moda, intesa in senso
Progettare lo spazio intimo
di relazione tra corpo e abito
ridisegnando la propria soggettività
OFFICINA* N.41
ampio, stia volgendo lo sguardo a un’ecologia dell’intimità tra estranei attuando pratiche improntate alla materialità e alla sensorialità, attraverso approcci al fashion
design di tipo material-driven. Entrambi i casi indivi-
13
05. Kit fai-da-te per coltura batterica per assorbenti igienici Future Flora | DIY bacterial culture kit for Future Flora
sanitary pads. Giulia Tomasello
duati si impegnano per rompere il confine tra umano e
non-umano (o non-più-umano) relazionandosi principalmente al corpo femminile, innescando dinamiche e proponendo design ispirati al concetto di simbiosi.
Il primo caso individuato è il brand emergente Human Material Loop, fondato nel 2021 dalla designer
ungherese Zsofia Kollar con studio ad Amsterdam (img. 02).
La sua visione del design votata all’ambiguità la spinge a
creare un sistema di riutilizzo degli scarti organici di capelli, da utilizzarsi come filato per maglioni dal design minimale (imgg. 01, 03). I capelli sono attualmente donati da saloni
di parrucchieri, ma l’intento a breve termine è che gli utenti
possano inviare direttamente i propri, sia quelli tagliati sia
quelli che rimangono impigliati nelle spazzole. La filatura
avviene in Italia e non produce scarto produttivo, anche i
capelli dalla fibra più corta che non riescono a essere filati
sono, infatti, recuperati dalla designer. Il primo prototipo,
realizzato in collaborazione col fashion designer Li Jiahao, è
il modello Dutch Blond, nome che evoca i tipici capelli biondi olandesi. La composizione dei capelli è per circa l’80% di
sostanza proteica, nello specifico cheratina, pertanto sono
flessibili, olio-assorbenti, isolanti e robusti, pur essendo
estremamente leggeri. Caratteristiche peculiari sono l’ottenimento di un materiale totalmente naturale senza aggiunta
di una progettazione volta alla circolarità ma anche, e soprattutto, di un forte risvolto affettivo nei confronti dello
scarto (Kollar, 2022). Il ristabilirsi di una relazione intima
con ciò che si distacca dal corpo umano perdendo vita ricorda la tradizione dei gioielli fatti di capelli. Gioielli diffusi
già a metà del Seicento, essi erano spesso scambiati come
doni e, data la loro naturale caducità, rappresentavano dei
monili d’amore o di memoria funebre (Farneti Cera, 2019).
Ne consegue che riconvertire uno scarto caduto al di fuori
del regno dell’umano consiste in un processo di riconnessione emotiva col non-più-umano, operazione che ci spinge ben oltre la circolarità progettuale per abbracciare la sfera affettiva e culturale della sostenibilità.
Il secondo caso è il progetto Future Flora della
designer pesarese Giulia Tomasello, sviluppato in collaborazione con il biologo Arian Mirzrafie Ahi. Il progetto è
stato vincitore di Starts Prize 2018, premiato per il forte
potenziale artistico nell’alterare l’uso e la percezione della
tecnologia. A partire dalla domanda della designer “Cosa
succederebbe se indossassimo i batteri per emancipare le
donne?” esso sviscera il potenziale della coltura batterica
fornendo un kit fai-da-te a base di agar agar (imgg. 04- 06).
I mini assorbenti hanno la caratteristica di prevenire squilibri e infiammazioni alla flora vaginale. Nello specifico,
l’assorbente batterico fa crescere i batteri Lactobacillus necessari per creare un
ambiente ostile allo sviluppo della Candida Albicans, agendo come coltura vivente
di probiotici3. Disponendo l’assorbente a
contatto con la vagina, i batteri sani crescono sulla superficie della zona infetta
andando a ricostruire la microflora mancante nell’epitelio vaginale4. È fondamentale rimarcare come il corpo umano ospiti trilioni di vari
microrganismi batterici, di cui la maggior parte benefici per
il loro ospite (Ray, 2012). Future Flora stimola questa consapevolezza e incentiva tale relazione simbiotica per spronare
Riconvertire uno scarto organico
consiste in un processo di
riconnessione emotiva col
non-più-umano
di additivi e la loro abbondante disponibilità. Solo in Europa
settantadue milioni di chilogrammi di scarti di capelli umani finiscono ogni anno nelle discariche o nella rete fognaria.
Il progetto Human Material Loop è dunque esemplificativo
14
CORPI E CURA
06. Dimostrazione di utilizzo dell’assorbente Future Flora | Demonstration of the use of
Future Flora sanitary pad. Tom Mannion
a familiarizzare e alimentare la compresenza favorevole di
microbi e batteri nel corpo umano. Il progetto invita a intrattenere un rapporto più intimo col proprio corpo, che
purtroppo spesso è trascurato causando effetti negativi sulla salute, ma soprattutto insegna a farlo collaborando con
gli “altri sé”, laddove determinati oggetti-accessori diventano parte integrante di un unico ecosistema di scambio. “Il
progetto inizia a ricevere credibilità dopo due anni dal suo
concepimento – testimonia la designer nell’intervista rilasciata sul suo sito – e il fatto che l’attenzione e la sensibilità
verso tematiche che intrecciano biodegradabilità e salute sessuale femminile siano oggi crescenti è significativo.”
Considerato inoltre l’alto impatto degli assorbenti igienici
sull’ambiente e il loro costo di acquisto, quello di Tomasello è un progetto rivoluzionario sotto più aspetti in materia
di sostenibilità, poiché permette di autoprodursi assorbenti biodegradabili senza generare sprechi nell’ambiente.
Da un punto di vista critico occorre sottolineare come in
entrambi i casi le sensazioni tattili esercitate da tali materiali sulla pelle di chi li indossa possano risultare tuttora
inusuali, in parte a causa dello stadio ancora sperimentale
di questi prodotti e in parte per la necessità di sedimentarne il processo di familiarizzazione. Nonostante ciò, l’analisi
dei due casi studio ha permesso non solo di illustrare alcune tipologie di relazione tra promiscuità e progetto, ma
anche di dimostrare come portare al centro della progettazione la materia e l’uso inedito di materiali organici orienti
spontaneamente alla sostenibilità, curando l’ambiente (primo caso) e curando il corpo (secondo caso), aprendo il corpo umano a un simbiotico divenire-con-l’altro.
In conclusione, a partire dalla teoria del tatto, siamo giunti
all’intersecarsi fluido e diffuso tra soggetto e oggetto nella
forma di iperoggetti, fino ad approdare alla necessità di stabilire un’ecologia dell’intimità per riconfigurare un paradigma di progettazione nella moda – intesa in senso lato – material-driven e incentrato sulla materialità dell’esperienza. Tale
approccio colloca questo studio nell’ambito dei fashion stu-
OFFICINA* N.41
dies tra le correnti del nuovo materialismo e del postumanesimo. Filoni di pensiero che appaiono capaci di guidare verso
determinate pratiche collettive di intimità e cura del corpo e
dell’ambiente nella relazione con l’estraneità, allineando pratiche di sostenibilità e di tutela della femminilità. Allacciandosi inoltre ai discorsi sul corpo grottesco come non-finito
e come organismo collettivo, grazie all’osservazione dei due
casi studio, si è dispiegato il potenziale trasformativo della
moda postumana nella riconfigurazione, tramite l’impiego di
materiali e scarti organici, del continuum corpo-abito.*
NOTE
1 – Significativo è il caso della mostra 9/4/1615 curata dalla Maison Margiela presso il
Museo Boijmans Van Beuningen di Rotterdam nel 1997, a cui Granata si riferisce come a
una performance, dove una selezione di abiti iconici della Maison vengono posti all’interno
di incubatori e sottoposti all’azione di muffe e batteri che li decompongono.
2 – Affermazione della professoressa Anneke Smelik in occasione del ciclo di seminari
Fashion matters: Beyond the canon of “Made in Italy” tenutosi presso l’Università Iuav di
Venezia nella primavera 2022.
3 – Occorre puntualizzare che una flora vaginale sana in prevalenza di lactobacilli è riferito
a donne bianche o di origini asiatiche (Fettweis et al., 2014).
4 – Come riportato da Giulia Tomasello nell’intervista per il video-documentario Future Flora (2016)
diretto da Maja Zupano: https://vimeo.com/273480262 (ultima consultazione 25 luglio 2022).
BIBLIOGRAFIA
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Witzgall, S. (a cura di) Power of material – Politics of materiality. Diaphanes, pp. 153-164.
– Bennett, J. (2010). Vibrant matter: a political ecology of things. Durham: Duke University Press.
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5 continents.
– Fettweis, J.M., et al. (2014). Differences in vaginal microbiome in African American women versus women of European ancestry. Microbiology (Reading), 160(10), pp. 2272-2282. doi: 10.1099/
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– Granata, F. (2017). Experimental fashion: Performance art, carnival and the grotesque body.
Londra: Tauris.
– Howarth, D. (2016). New York Textile Month will highlight the revival of cloth, says Li Edelkoort.
Dezeen (online). In https://goo.gl/7aEKBW (ultima consultazione 25 luglio 2022).
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9(10), p. 555. doi: 10.1038/nrgastro.2012.165.
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– Vaccari, A., Franzo, P. (2022). What if? Prove di futuro della moda in Italia. Siracusa:
LetteraVentidue.
15
Clizia Moradei
Ecology is Intimacy
between Strangers
Fashion in its material and feminine practices
of sustainability
“When two hands touch, there is a sensuality of the flesh, an exchange of warmth, a
feeling of pressure, of presence, a proximity
of otherness that brings the other nearly as
close as oneself. […] When two hands touch,
how close are they? What is the measure
of closeness?” (Barad, 2014, p. 153). As it
emerges from Barad’s statement, the tactile experience is anticipated in the spacetime that elapses in the void between one
surface and another. A place full of agency
that serves as a playing field of multiple
temporalities, of indeterminacy, and as an
invitation to welcome the extraneousness,
even with oneself. Body and garment converge in the tactile experience of wearing;
therefore fashion design constantly questions us about the subtle limit between skin
and dress. Based on some queries from the
book What if? Prove di futuro della moda
italiana (Vaccari and Franzo, 2022), this article tries to answer the question: how can
the designer design the intimate space of
relationship between body and dress, reconfiguring its own subjectivity in the connection with other individuals or foreign
bodies? In a reinterpretation of Morton’s
concept of “hyperobjectuality” (2018), such
proximity between body and object triggers
the transition into “hyperobjects”. These
are entities widely distributed in time and
space, thus identified with the prefix “hyper”. They are viscous, non-local, and materially diffused objects, which contaminate
and let themselves be contaminated by the
subjects who use them, dissolving their borders. Hyperobjects act as bridge-products
capable of reconciling human and geological time, where a temporal short circuit has
been created. In fact, human artefacts often
live longer than the humans who created
them, generating growing catastrophes
and environmental imbalances. As Morton
writes, it is important to know that in order to be able to assimilate hyperobjects in
their vastness during the span of our short
life, it is needed to let oneself overwhelmed
by their intensity, to learn to rely on a more
visceral form of knowledge made up of intuitions and interrelationships. However,
hyperobjects do not only imply a new form
of aesthetic experience but also of responsibility. This ecological awareness is seen as
the engine that drives the establishment of
a more intimate relationship with objects
and natural phenomena, rather than referring to the sense of belonging to something
greater. It emerges from the need to evoke
a feeling of closeness to other forms of life,
to welcome them under the skin: “Ecology
concerns intimacy” (Morton, 2018, p. 181).
The reference is to the theory of endosymbiosis of the biologist Margulis (2008), according to which some forms of life do not
live only next to us but inside of us, blurring
the distinction between host and parasite.
Hence, fashion design too is called to welcome forms of living or of organic otherness. Although these entities are already
part of us, they in fact usually feel unfamiliar. Thus, fashion’s engagement is key in
order to establish a new form of ecology of
intimacy between extraneous bodies.
In fashion studies such need for intimacy
with the extraneousness, and with the
tactile/material aspect connected to the
wearing experience, translates into an attempt to understand the laws of nature
and establish new alliances. The reflections that are developing in this direction
fit within the current theoretical debate
on the “material turn”. This is centred on
recognizing the vitality of matter (Bennet,
2010), and is marked by an interdisciplinary
design approach strongly intertwined with
gender issues. Edelkoort is among the first
experts to notice how a renewed sensitivity towards the materiality of fabrics and
clothes is bringing raw materials back into
the spotlight, leading to a return to craftsmanship (Howarth, 2016). This consideration anticipates the discourse on new ma-
16
terialism in fashion, which in line with the
aforementioned concept of hyperobjectuality, adheres to the idea that everything
is made of a mixture of mineral, vegetable
and synthetic materials. It consists of a materiality that concerns not only fabrics, accessories, or clothing, but also the bodies
that use and consume them (Smelik, 2018).
This perspective offers fashion the possibility to rethink dualisms such as bodyclothing and animate-inanimate, as well as
to question the notion of material agency.
Such perspective is framed in today’s philosophical context, where the idea of posthuman appears more and more frequently.
Posthumanism implies the decentralization
of the human to emphasize its nature in
becoming-with-the-other. Therefore, according to the ecology of intimacy perspective introduced in this article, a posthuman
fashion demonstrates how materials associated with waste or feelings of disgust become the interpreters capable of breaking
the boundary between the human and the
non-human. Posthuman fashion questions
the limit of the body in its finite, complete,
closed-in being, in contrast with its other
nature as non-finite, in continuous becoming-with-the-world. Observation related to
what Bakhtin (1984, pp. 322-323) states regarding the possibility of the grotesque to
offer fashion the possibility of breaking the
boundary between the self and the alterity, formulating the hypothesis of a collective carnivalesque organism. These bodies
are subversive, they overturn genders and
physical norms, they seem to derive from
a feminist desire for openness to gender
issues. They translate into “experimental fashion” practices around the ’80s and
’90s (Granata, 2017, p. 2). It is interesting
how Granata interprets the possibilities
offered by the grotesque to embrace the
evolving concept of the body, exploring the
transformative potential of the body-dress
relationship, where the second becomes
CORPI E CURA
a “performing subject”1. Such thought assumes a central role in the frame of the
“material turn” oriented towards gender
issues. It is no coincidence that the new
materials seem to inspire particular female
care practices aimed at sustainability and
democratization, in the attempt to familiarize with a promiscuous form of otherness. Consequently, the process of design
is reconfigured as a mutual practice of care,
inspired by the idea of “sustainability as
ethics of care”2. Two main ways for fashion
to establish an ecology of intimate alliances
have been here identified: using living materials, or giving new life to organic waste.
These design inclinations are described
through the analysis of two case studies.
The case studies were selected since they
illustrate how fashion design, considered
in a broad sense, is turning its gaze to an
ecology of intimacy between strangers by
implementing practices marked by a strong
materiality and sensoriality, and by adopting a material-driven approach. Both cases
identified are committed to breaking the
boundary between the human and the nonhuman (or no longer human) in relation to
the female body. They trigger dynamics,
and propose designs inspired by the concept of symbiosis.
The first case is the emerging brand Human
Material Loop, founded in 2021 in Amsterdam by Hungarian designer Zsofia Kollar
(img. 02). Her vision of design devoted to
ambiguity leads her to the idea of creating a system of reuse of organic hair waste
as yarn for sweaters, characterised by a
minimal design (imagg. 01, 03). The hair
is currently being donated by hairdressing salons, but the short-term intent is for
users to be able to send their own hair directly, both trimmed and tangled hair. The
spinning takes place in Italy, and does not
produce production waste. Even the hair
with the shortest fibre that cannot be spun
is, in fact, recovered by the designer. The
first prototype was created in collaboration with fashion designer Li Jiahao and is
called Dutch Blond, an evocative name for
the typical Dutch blonde hair. The composition of the hair is about 80% protein
substance, specifically keratin, therefore
it is flexible, oil-absorbent, insulating and
robust, despite being extremely light. Its
peculiar sustainable characteristics are
the obtainment of a totally natural material, since no additives are added, plus their
abundant availability. Every year in Europe
alone, seventy-two million kilograms of
human hair waste end up in landfills, or
in the sewage system. The Human Material Loop project is, therefore, an example
of a design focused on circularity but also,
and above all, on enhancing the emotional
impact regarding the role of waste (Kollar,
2022). The re-establishment of an intimate
relationship with what is daily detached
from the human body, by losing its life,
recalls the tradition of hair jewels. This is
a type of jewellery that widespread in the
OFFICINA* N.41
mid-seventeenth century. They were often
exchanged as gifts and, given their natural
transience, they represented emblems of
love or funeral memory (Farneti Cera, 2019).
As a consequence, reconverting waste that
has fallen out of the human realm consists
in a process of emotional reconnection
with what is no longer human. Operation
that goes beyond the concept of design for
circularity, to embrace the affective and
cultural sphere of sustainability.
The second project is Future Flora by the
Italian designer Giulia Tomasello, developed in collaboration with the biologist
Arian Mirzrafie Ahi. The project won the
Starts Prize 2018, awarded for its strong
artistic potential in altering the use and
perception of technology. The designer’s
starting question “What would happen if
we wore bacteria to empower women?”
uncovers the potential of bacterial culture
by providing a do-it-yourself agar agar
kit (imgg. 04-06). The small sanitary pads
have the characteristic of preventing imbalances and inflammation of the vaginal
flora. Specifically, the bacterial sanitary
pad causes bacteria to grow the Lactobacillus necessary to create an environment
hostile to the development of Candida Albicans. Therefore, it acts as a living culture
of probiotics3. By placing the sanitary pad
in contact with the vagina, healthy bacteria grow on the surface of the infected area,
rebuilding the missing microflora in the
vaginal epithelium4. It is essential to note
that the human body is home to trillions
of various bacterial microorganisms, most
of which are beneficial to their host (Ray,
2012). Future Flora stimulates this awareness and encourages a symbiotic relationship to encourage its familiarity. It nurtures
the beneficial co-presence of microbes and
bacteria in the human body. The project
invites the user to create a more intimate
relationship with its own body, by learning to collaborate with some unfamiliar yet
significant “other selves”, whereby specific
objects-accessories become integral part of
a single ecosystem of exchange. The project
begins to gain credibility two years after its
conception – as testifies the designer in an
interview released on her website – and the
fact that increasing attention and sensitivity towards issues intertwining biodegradability and female sexual health are shown
is significant. Furthermore, considering the
high impact of traditional sanitary pads on
the environment and also on their purchase
cost, Tomasello’s project appears revolutionary in several aspects. In terms of pure
sustainability, it allows the self-production
of biodegradable sanitary pads without
generating waste in the environmen.
From a critical point of view, it should be
emphasized that in both cases the tactile
sensations exerted by these materials on
the skin of the wearer may still feel unusual, partly due to the experimental stage
of these products, and partly for the need
to stabilize a familiarization process. De-
17
spite this aspect, the analysis of the two
case studies has made it possible not only
to illustrate some types of relationship between promiscuity and design, but also to
reveal how bringing matter and an inedited
use of organic materials at the centre of
attention spontaneously orients towards
sustainability. On the one hand it takes care
of the environment (first case), and on the
other of the body (second case), initiating
humans to a symbiotic becoming-withthe-other.
In conclusion, starting from the theory of
touch, the research describes and demonstrates the possibility of a fluid intersection between subject and object in the form
of hyperobjects, to land to the so-defined
ecology of intimacy. This last appears able
to reconfigure the fashion design paradigm
– intended in a broad sense – based on the
principle of a material-driven approach and
on the materiality of the experience. The
framework adopted places this study between the currents of new materialism and
posthumanism in fashion studies, which
appears capable of guiding towards specific
collective practices of intimacy and care of
both the body and the environment in the
relationship with extraneousness, by aligning practices of sustainability and protection of femininity. Furthermore, connecting
with the discourse on the grotesque body
as unfinished and as a collective organism – explored with the two case studies
– the transformative potential of posthuman fashion unfolds in the reconfiguration,
through the use of organic materials and
waste, of the body-dress continuum.*
NOTES
1 – Significant is the case of the exhibition 9/4/1615
curated by Maison Margiela at Boijmans Van Beuningen
Museum in Rotterdam in 1997, to which Granata refers as
a performance. A selection of the Maison’s iconic clothes
were placed inside incubators, and subjected to the action
of molds and bacteria that decomposed them.
2 – Quotation by professor Anneke Smelik on the occasion of the seminar series Fashion matters: Beyond the
canon of “Made in Italy” held at Università Iuav di Venezia
in spring 2022.
3 – It must be pointed out that a healthy vaginal flora with
a predominance of lactobacilli is referred to white women,
or women of Asian origins (Fettweis et al., 2014).
4 – As reported by Giulia Tomasello in the interview for
the documentary on Future Flora (2016) directed by Maja
Zupano: https://vimeo.com/273480262 (last accessed
25th July 2022).
Stefano Salzillo
Dottorando in Design, Università degli Studi della
Campania Luigi Vanvitelli.
stefano.salzillo@unicampania.it
Michela Carlomagno
PhD in Design, Università degli Studi della Campania
Luigi Vanvitelli.
michela.carlomagno@unicampania.it
La transizione verso
la simbiosi multispecie
01. Scenario della coesistenza multispecie | Multispecies coexistence scenario. Yuetong Shi
18
CORPI E CURA
Un approccio
speculativo per la
definizione di nuovi
oggetti domestici
The Transition to Multispecies Symbiosis
Post-digital developments, the climateenvironmental crisis and the post-pandemic
scenario have introduced a radical rethinking of the human-nature relationship into
contemporary design culture. Compared to
the established anthropocentric perspective
is emerging a symbiotic view of the evolution
of life interpreted as a co-evolutionary and
circular process. The paper investigates the
phenomenology of contemporary critical design and emerging design scenarios in order
to propose and encourage the adoption of
restorative practices aimed at generating
new multispecies synergies.*
Le evoluzioni del post-digitale, la crisi climatico-ambientale e lo scenario post-pandemico
hanno introdotto nella cultura del progetto
contemporaneo un radicale ripensamento
della relazione uomo-natura. Rispetto alla
consolidata prospettiva antropocentrica sta
emergendo una visione simbiontica dell’evoluzione della vita, intesa come un processo
co-evolutivo e circolare. Il contributo indaga
la fenomenologia del design critico contemporaneo e gli scenari progettuali emergenti
al fine di proporre e incentivare l’adozione di
pratiche ricostituenti volte a generare nuove
sinergie multispecie.*
OFFICINA* N.41
ntroduzione1
Negli ultimi vent’anni, alla narrazione sull’Antropocene (Crutzen e Stroermer, 2000) si sono contrapposti numerosi concetti alternativi come il Piantagionicene
(Tsing, 2015), attento ai danni causati dalle monocolture
sull’ecosistema; il Capitalocene (Moore, 2015), che mette
in evidenza le conseguenze negative del sistema capitalista sul piano economico-sociale e ambientale; fino alla più
recente visione del Chthulucene, che riconosce un legame
invisibile tra tutte le specie presenti sulla terra e si orienta
verso collaborazioni e combinazioni inaspettate tra uomo
e natura (Haraway, 2016). Siamo nell’era delle connessioni
fitte, invisibili e sotterranee, in cui si diffonde e consolida
l’idea che tutti i soggetti, umani e non, hanno un impatto
sull’equilibrio del pianeta. Ciò sta conducendo a un cambio
di paradigma progettuale orientato al superamento della
dicotomia umano-naturale su cui si fonda il pensiero moderno (Latour, 1995) e che considera il nostro corpo come
un simbionte che trae benefici dalla relazione con l’altro.
Come afferma Coccia (2022), “la relazione tra le diverse
specie viventi e non viventi e il mondo circostante non è puramente biologica, chimica, geologica o fisica, ma di natura
sociale: l’ecologia nasce come una teoria delle società non
umane o del rapporto sociale degli esseri non umani con il
mondo naturale abiotico” (p. 135); bisognerebbe quindi ripensare il concetto di specie e considerarlo come “un unico
demos, un solo popolo che condivide una sola carne” (p. 7).
A partire dallo scenario descritto, la cultura del progetto si
sta orientando sempre più alla sperimentazione di sistemi/
prodotti che estendono il concetto di corpo da singolo individuo a pluralità di esseri connessi. Il pianeta stesso viene
identificato come un corpo – “un’olobioma” all’interno del
quale non è possibile distinguere i confini d’azione delle diverse specie – su cui agiscono relazioni reciproche tra organismi viventi e lo spazio circostante che generano una
serie di trasformazioni. “Il design dovrebbe essere centrato
non solo sull’essere umano, ma sul futuro della biosfera”
19
02. Dispositivo attraverso cui le api rilevano le malattie umane | Device through which
bees detect human diseases. Susana Soares
03. Contenitori realizzati da bachi da seta per il trasporto di organi | Containers made
from silkworms for organ transport. Veronica Ranner
(Antonelli, 2019, p. 38) come una pratica di sperimentazione multispecie che indaga ogni ambito della nostra vita,
dalla sfera collettiva a quella domestica, con l’obiettivo di
sviluppare una nuova sensibilità ecologica, di facilitare la
nascita di fenomeni orientati a preservare la biodiversità e
di generare nuove forme di coesistenza e collaborazione tra
uomo-natura che superano i confini tra biologico-sintetico
(Oxman, 2016) e adottano la natura come co-worker (Collet,
2017) nel progetto. Tematiche come la sovrapproduzione
cie e generano connessioni tra i diversi organismi – viventi,
non-viventi, animali e vegetali – con l’intento di creare nuove forme di comunità e di ospitalità (Haraway, 2016).
Il contributo ha l’obiettivo di indirizzare il progetto verso
la sperimentazione di approcci critici e inclusivi, che guardano al pianeta come un sistema iper-connesso in cui eliminare ogni forma di supremazia tra le specie e stabilire
nuove relazioni. Nella prima parte si intende esaminare la
fenomenologia del design critico contemporaneo per descriverne i metodi, gli approcci e le pratiche e tracciarne una tassonomia, evidenziando come il progetto ha modificato
il proprio sguardo, spostando la propria
attenzione dai bisogni dell’uomo all’impatto generato dall’azione antropica sul
pianeta.
Nella seconda parte, attraverso l’analisi di alcuni casi d’interesse, saranno descritti i principali scenari progettuali
emergenti, individuando possibili strategie di sperimentazione orientate a generare nuove sinergie tra le specie ed
evidenziare nuovi ambiti di esplorazione.
Bisognerebbe quindi ripensare il
concetto di specie e considerarlo
come un unico demos
e l’inquinamento, l’impoverimento delle risorse naturali, il
cambiamento climatico, la diffusione di nuove emergenze
sanitarie come quella da COVID-19, stanno spostando la
cultura del progetto verso la ricerca di una nuova relazione
tra mondo naturale e artificiale. Una dimensione ibrida in
cui gli oggetti possono essere realizzati in laboratorio, dove
la biologia può stimolare nuovi legami tra le specie e in cui
si sperimentano forme di cura reciproca.
Obiettivi
A partire da un’analisi dello scenario contemporaneo in
cui si condensano diverse teorie ecologiche, economiche e
sociali, il design ha assunto una dimensione sistemica in cui
competenze e discipline agiscono a diversa scala invadendo
campi ed esplorando tematiche per la ricerca di soluzioni
alternative. Soluzioni intese non solo come nuovi prodotti
ma come modelli di comportamento e strategie per la cura
e la rigenerazione ambientale.
La scala di azione del progetto si sposta da quella individuale a quella collettiva, adottando metodi e approcci etici
e relazionali che indagano le possibili interazioni multispe-
Dal Design Thinking al Critical Design: una tassonomia
In un susseguirsi di definizioni e ridefinizioni, le pratiche
del design si sono distinte per metodi e approcci dapprima orientati all’efficientamento della produzione e a nuove
forme di consumo, successivamente alla sostenibilità dei
processi e alla riduzione dell’impatto ambientale e infine ai
comportamenti umani. Nel tentativo di aggiornare il quadro
teorico verso un cambiamento socioculturale, a variare nella dimensione del progetto è la posizione dell’uomo.
Dal Design Thinking (Simon, 1969) e dallo Human Centered Design (Norman, 1988) dove i bisogni dell’uomo sono posti al centro del progetto, nel Participatory Design (Nygaard
e Berg, 1970) il processo progettuale viene democratizzato,
annullando la distinzione tra progettista e utente. Successivamente, con il dibattito sull’ecologia e la diffusione degli
20
CORPI E CURA
04. Acquario per l’allevamento domestico di piante e pesci | Aquarium for home plant and fish breeding. Mathieu Lehanneur
ambiti progettuali della Social Innovation (Manzini, 2015)
e del Design per la Sostenibilità Ambientale (Vezzoli, 2017)
la centralità del progetto si sposta sull’impatto delle azioni antropiche e verso l’attuazione di interventi strategici di
tipo sistemico. Abbandonando la visione antropocentrica,
l’urgenza di una transizione verso sistemi più sostenibili
ha decentrato il design contemporaneo dalla risoluzione
dei problemi alla progettazione dei comportamenti umani,
attraverso l’adozione di un approccio critico-speculativo e
l’utilizzo di pratiche ricostituenti (Antonelli, 2019).
Tale orientamento ambisce a “un’evoluzione che aderisce
con la complessità della contemporaneità […], un’opera di
scavo e sensibilizzazione che scommette sul design come fattore di trasformazione e cambiamento” (Petroni, 2022, p. 7).
Emerge la necessità di adottare una “visione simbiontica
dell’evoluzione della vita” (Petroni, 2022, p. 84), intesa come
processo co-evolutivo e circolare fatto di esseri viventi e
non viventi, di fenomeni atmosferici, materiali e tecnologie,
che allontana l’essere umano dal centro del progetto e lo
colloca all’interno di un complesso sistema olistico.
Per descrivere la fenomenologia dell’approccio emergente è possibile tracciare una linea temporale che va dal
funzionalismo moderno – quale progetto della tecnica e del
dominio dell’uomo sulla natura – al critical design contemporaneo – quale strumento di emancipazione dalla tecnica
e di critica della società attuale (Quinz,
2020). Questo cambio di approccio è definito da Dunne e Raby (2013) come il passaggio dal design affermativo, incentrato
sulle attività di problem solving, al design critico, incentrato
su quelle di problem finding.
Il nuovo paradigma racchiude in sé una metamorfosi
del progetto contemporaneo, intesa come un processo di
trasformazione multispecie (Coccia, 2022) e strumento di
mediazione per creare nuove cooperazioni tra l’uomo e gli
altri esseri viventi. Tali cooperazioni vengono esplorate dal
design critico tramite le speculazioni sui futuri probabili,
plausibili e possibili (Dunne, Raby, 2013) e dalla dimensione narrativa delle ipotesi sulle realtà utopiche e distopiche,
caratteristiche del design fiction. I nuovi dialoghi tra uomo
e natura trovano concretezza attraverso pratiche criticospeculative e si traducono in oggetti che raccontano interpretazioni alternative del mondo, stimolano il dibattito e la
riflessione e propongono nuovi comportamenti e modi di
coesistere.
Gli scenari progettuali dei nuovi oggetti domestici
L’integrazione del concetto di cura e di collaborazione
reciproca tra le specie indirizza il progetto contemporaneo verso “un’ospitalità cosmica aperta alle biodiversità”
(Branzi, 2008) dove gli oggetti diventano amplificatori della
volontà del design di indagare tematiche come il cambiamento climatico, la scarsità delle risorse e il benessere collettivo. Traendo spunto da correnti filosofiche come quella
dell’Ontologia Orientata agli Oggetti (Harman, 2018), la riflessione si estende al di fuori dell’essere umano verso una
relazione di interdipendenza con tutto ciò che lo circonda.
I casi studio selezionati nel presente contributo indagano l’evoluzione dell’oggetto domestico nello scenario post-
Emerge la necessità di adottare una
visione simbiontica dell’evoluzione
della vita
OFFICINA* N.41
antropocentrico e interpretano il tema della cura in diversi
ambiti – salute e prevenzione, qualità della vita, alimentazione alternativa – nei quali l’uomo può trarre benefici dalla relazione simbiotica con la natura e con le altre specie.
Nell’ambito salute e prevenzione sono di interesse i progetti
The Bee Clinic e Bee Training di Susana Soares, in cui api
addestrate sono capaci di rilevare i biomarcatori presen-
21
05. Sistema di purificazione dell’aria mediante spirulina | Air purification system using
spirulina algae. ecoLogicStudio
06. Sistema di allevamento per l’entomofagia | Breeding system for entomophagy.
Francesco Faccin
ti nel respiro umano e riconoscere la presenza di malattie,
attivando sinergie positive tra sistemi biologici naturali in
grado di aumentare le capacità percettive umane (img. 02).
Il coinvolgimento degli insetti, delle muffe, dei funghi e dei
batteri, definisce una nuova frontiera di sperimentazione
ibrida che, unita a processi di fabbricazione biotecnologica,
sposta la concezione di produzione dall’hardware al wetwa-
convivenza con organismi viventi nello spazio abitato non
volge lo sguardo solo a nuove forme di coesistenza, ma
anche rapporti di tutela e cura reciproca in grado di aumentare la qualità della vita. Sistemi d’arredo come Local
River: Home Ecosystem di Mathieu Lehanneur reintroducono nell’ambiente domestico ecosistemi autosufficienti
orientati a migliorare il benessere umano attraverso il ripristino della coltivazione e dell’allevamento
in loco (img. 04); o come Bio.Bombola di
ecoLogicStudio, un bioreattore domestico in grado di purificare e favorire l’ossigenazione degli spazi abitabili mediante
la coltivazione della spirulina, rendendo
funzionali i legami tra i microrganismi,
l’essere umano e la tecnologia (img. 05).
La collaborazione con il mondo animale estende le abilità
del corpo umano e costituisce una dimensione in cui individuare forme alternative di sostentamento. Allevamento
Dobbiamo muoverci oltre il design
delle cose [...] per dare una forma
tangibile a nuovi valori e priorità
re (Potter, 2019). Questa sperimentazione è interpretata nel
progetto Biophilia: Organ Crafting di Veronica Ranner, un
sistema di contenitori per organi e tessuti, biocompatibili e biodegradabili, realizzati da bachi da seta (img. 03). La
22
CORPI E CURA
07. Laboratorio domestico per la stampa 3D del cibo | Home workshop for 3D printing of food. Edible Growth. Chloé Rutzerveld
Domestico di Francesco Faccin, riflette sulle criticità degli
allevamenti industriali e sul consumo alimentare proponendo un’alternativa culinaria legata alla diffusione dell’entomofagia – un tipo di alimentazione che si basa sul consumo di
insetti edibili – superandone i pregiudizi e puntando a ridurre l’impiego di risorse idriche (img. 06). Caso analogo è Edible Growth di Chloé Rutzerveld, che indaga gli scenari futuri
dell’alimentazione e le nuove abitudini alimentari creando
un ponte tra le nuove tecnologie e la coltivazione vegetale.
L’oggetto si compone di strati multipli contenenti un terreno
di coltura commestibile, semi, spore e lieviti stampati a partire da un file 3D personalizzabile. Al termine dei processi di
fotosintesi e di fermentazione, il consumatore può decidere
quando raccogliere e gustare il prodotto coltivato in casa,
ricco di sostanze nutritive (img. 07).
La descrizione dei progetti selezionati ha lo scopo di
delineare le tendenze emergenti nel design contemporaneo che ne determinano la transizione verso l’evoluzione
inclusiva e simbiotica, evidenziando l’importanza di adottare pratiche critico-speculative per la sperimentazione di
nuovi scenari progettuali.
Conclusioni e sviluppi futuri
Come affermano Dunne e Raby (2013), “Dobbiamo muoverci oltre il design delle cose come sono oggi e cominciare
a progettare le cose come potrebbero essere, immaginando
possibilità alternative e modi di essere diversi, per dare una
forma tangibile a nuovi valori e priorità [...] I progetti si avvantaggiano dello scambio e della consultazione con persone che operano in altri campi, come l’estetica, la filosofia, le
scienze politiche, quelle della vita e la biologia” (p. 105).
Le tendenze esposte con la raccolta di casi studio – che
possono a loro volta aprire nuovi percorsi e scenari progettuali – dimostrano che il design contemporaneo sta
superando le definizioni che lo hanno descritto in passato, per aderire al Futures Thinking (Murray-Kline, 2021), un
metodo d’indagine volto alla comprensione del futuro e allo
OFFICINA* N.41
sviluppo di un nuovo equilibrio post-antropocentrico. La
prospettiva esaminata dal contributo dimostra come l’approccio critico, l’ibridazione con altri settori disciplinari e
la sperimentazione empirica, possono essere alcuni degli
strumenti attraverso cui attuare cambiamenti e reinterpretare la relazione tra l’ecosistema umano e naturale, sperimentare soluzioni progettuali, e valutare i benefici dalla
relazione simbiotica con altre specie per la cura del corpo
e del pianeta.*
NOTE
1 – Il paper è stato scritto dagli autori condividendo il background di riferimento e
l’articolazione dei contenuti. I paragrafi Introduzione e Obiettivi sono stati scritti da Michela
Carlomagno; i paragrafi Dal Design Thinking al Critical Design: una tassonomia e Gli scenari
progettuali dei nuovi oggetti domestici sono stati scritti da Stefano Salzillo; i paragrafi
Abstract e Conclusioni e sviluppi futuri sono stati scritti da entrambi.
BIBLIOGRAFIA
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– Dunne, A., Raby, F. (2013). Everything: Design, Fiction, and Social Dreaming. Massachusetts: The MIT Press.
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– Vezzoli, C. (2017). Design di prodotto per la sostenibilità ambientale. Bologna: Zanichelli.
23
Stefano Salzillo, Michela Carlomagno
The Transition to
Multispecies Symbiosis
An approach to the definition of new domestic
objects
Introduction1
Over the past 20 years, the Anthropocene
narrative (Crutzen and Stroermer, 2000)
has been countered by numerous alternative concepts such as the Plantationicene
(Tsing, 2015), which concerns with the damage caused by monocultures on the ecosystem; the Capitalocene (Moore, 2015),
highlights the negative economic-social
and environmental consequences of the
capitalist system; up to the more recent
Chthulucene view, recognizing an invisible
link between all species on earth and leans
toward unexpected collaborations and
combinations between humans and nature
(Haraway, 2016). We are in the era of tight,
invisible, and subterranean connections
where all actors, human and non-human,
have an impact on the balance of the planet
by spreading and consolidating this idea.
We are witnessing to a design paradigm
shift that is oriented toward overcoming
the human-natural dichotomy in modern
thought (Latour, 1995) that considers our
body as a symbiont that benefits from its
relationship with other species. As Coccia
(2022) states “the relationship between the
different living and non-living species and
the surrounding world is not purely biological, chemical, geological or physical but also
social: ecology arises as a theory of nonhuman societies or the social relations of
non-human beings with the abiotic natural
world” (p. 135). We should rethink the concept of species and consider it as “one demos, one people sharing one flesh” (p. 7). In
this scenario, design culture is increasingly
moving toward experimenting with systems/products that extend the concept of
the body from a single individual to a plurality of connected beings. The planet itself is
being identified as a body, “a holobiome” in
which boundaries of action of different species cannot be distinguished, and the mutual relationships between living organisms
and the surrounding space work together to
generate a series of transformations.
“Design must be centered not only on the
human being but on the future of the biosphere” (Antonelli, 2019, p. 38) as a practice
of multispecies experimentation that explores every sphere of our lives, from the
collective to the domestic, to develop a new
ecological awareness, facilitating the rising
of phenomena geared toward biodiversity
conservation, and generating new forms
of human-nature coexistence and collaboration that cross the boundaries between
biological-synthetic (Oxman, 2016) and
adopt nature as a collaborator (Collet, 2017)
in design. Issues such as overproduction
and pollution, depletion of natural resources, climate change, and the spread of new
health emergencies such as COVID-19 drive
the design culture toward the search for a
new relationship between the natural and
artificial worlds. A hybrid dimension where
objects can be made in the laboratory, and
biology can stimulate the experimentation
of new connections between species and
forms of mutual care.
Aims
Beginning with an analysis of the contemporary scenario where various ecological, economic, and social theories are
condensed, the design takes on a systemic
dimension in which skills and disciplines
act at different scales by invading fields and
exploring issues searching for alternative
solutions. These solutions are new products, patterns of behavior, and strategies for
environmental care and regeneration.
The scale of project action shifts from the
individual to the collective dimension,
adopting ethical and relational methods and
approaches that investigate possible multispecies interactions and generate connections between different organisms - living,
non-living, animal, and plant - to create
new forms of community and hospitality
(Haraway, 2016). The contribution aims to
24
direct the project toward testing critical and
inclusive approaches that look at the planet
as a hyper-connected system to eliminate
all forms of supremacy among species and
establish new relationships. In the first part,
we aim to examine the phenomenology of
contemporary critical design to describe
its methods, approaches, and practices and
define a taxonomy, highlighting how design
has changed its gaze, turning its focus from
human needs to the impact generated by
anthropogenic action on the planet.
In the second part, through the analysis of
some cases of interest, the main emerging
design scenarios will be described, identifying possible experimental strategies oriented to generate new synergies between species and highlight new areas of exploration.
From Design Thinking to Critical Design: a taxonomy
In a succession of definitions and redefinitions, design practices have been distinguished by methods and approach first
oriented toward efficiency of production
and new forms of consumption then toward
sustainability of processes and reduction of
environmental impact and human behavior. To update the theoretical framework
toward sociocultural change, the design
dimension shifts its attention to human beings. From Design Thinking (Simon, 1969)
and Human Centered Design (Norman,
1988) where human needs are placed at the
center of design, in Participatory Design
(Nygaard and Berg, 1970) the design process
is democratized by removing the distinction
between designer and user. Later with the
ecology debate and the spread of the design
fields of Social Innovation (Manzini, 2015)
and Design for Environmental Sustainability (Vezzoli, 2017) the centrality of design
moves to the impact of anthropogenic actions and toward the implementation of
systemic strategic interventions. By moving
away from the anthropocentric view, the
CORPI E CURA
urgency of a transition to more sustainable
systems has decentralized contemporary
design from problem-solving to the design
of human behaviors, through the adoption
of a critical-speculative approach and the
use of restorative practices (Antonelli, 2019).
“This direction aspires to an evolution that
embraces the complexity of the contemporary world [...], a work of excavation and
awareness that bets on design as a factor of
transformation and change” (Petroni, 2022,
p. 7). A “symbiotic view of the evolution of
life” is now emerging (Petroni, 2022, p. 84)
as a co-evolutionary and circular process
made up of living and nonliving beings, atmospheric phenomena, materials, and technologies, which distances the human being
from the center of the project and places
him within a complex holistic system. The
phenomenology of the emergent approach
can be described through a timeline from
modern functionalism – as the design of
technology and man’s dominance over nature – to contemporary critical design – as a
tool for emancipation from technology and
critique of today’s society (Quinz, 2020).
This change is defined by Dunne and Raby
(2013) as the transition from affirmative design, focused on problem-solving activities,
to critical design, focused on problem-finding activities.
The new paradigm embodies a metamorphosis of contemporary design, understood
as a multispecies transformation process
(Coccia, 2022) and a mediating tool for creating new cooperations between humans
and other living beings. Such cooperations
are explored by critical design through
speculations about probable, plausible, and
possible futures (Dunne, Raby, 2013) and
by the narrative dimension of hypotheses
about utopian and dystopian realities, characteristic of design fiction. New dialogues
between humans and nature find concreteness through critical-speculative practices
and result in objects that tell alternative interpretations of the world, stimulate debate
and reflection, and propose new human behaviors and ways of coexisting.
The design scenarios of new domestic
objects
The integration of the concept of care
and mutual collaboration among species
leads contemporary design toward “a cosmic hospitality open to biodiversity” (Branzi, 2008) where objects become amplifiers
of design’s desire to investigate issues such
as climate change, resource scarcity, and
collective well-being. Drawing from philosophical currents such as Object-Oriented Ontology (Harman, 2018), the reflection
extends beyond the human being toward
a relationship of interdependence with everything around him.
The case studies selected in this paper analyze the evolution of the domestic object
in the post-anthropocentric scenario and
describes the theme of care in different domains – health and prevention, quality of life,
OFFICINA* N.41
and alternative nutrition – in which humans
can benefit from the symbiotic relationship
with nature and other species. Health and
prevention fields have been explored by
The Bee Clinic and Bee Training by Susana
Soares where trained bees can detect biomarkers in human breath and recognize the
presence of disease, activating positive synergies between natural biological systems
that can enhance human perceptual abilities
(img. 02). The involvement of insects, molds,
fungi, and bacteria defines a new frontier of
hybrid experimentation that combined with
biotechnological manufacturing processes shifts the concept of production from
hardware to wetware (Potter, 2019). This
experimentation is interpreted in Veronica
Ranner’s Biophilia: Organ Crafting project,
a system of biocompatible and biodegradable organ and tissue containers made from
silkworms (img. 03). Coexistence with living
organisms in inhabited space not only turns
its gaze to new forms of coexistence, but
also to relationships of mutual protection
and care that can increase the quality of
life. Furniture systems such as Local River:
Home Ecosystem by Mathieu Lehanneur
reintroduce self-sustaining ecosystems into
the home environment that are oriented to
improving human well-being through the
restoration of on-site cultivation and farming (img. 04); similarly ecoLogicStudio’s Bio.
Bombola, a home bioreactor that purifies
and promotes oxygenation of living spaces
through the cultivation of Spirulina, makes
symbiotic links between microorganisms,
humans, and technology functional (img. 05).
Collaboration with the animal world becomes a means that extends the abilities
of the human body and constitutes a dimension to identify alternative forms of
sustenance. Allevamento Domestico by
Francesco Faccin rethinks the criticalities
of industrial livestock farms and food consumption by proposing a culinary alternative linked to the spread of entomophagy,
overcoming prejudices, and aiming to reduce the use of water resources (img. 06).
Another project is Edible Growth by Chloé
Rutzerveld. It investigates future food scenarios and new eating habits by creating a
bridge between new technologies and plant
cultivation. The object consists of multiple layers containing an edible growing
medium, seeds, spores, and yeast printed
from a customizable 3D file. At the end of
the photosynthesis and fermentation processes, the consumer can decide when to
harvest and enjoy the home-grown, nutrient-rich product (img. 07). The description
of the selected projects aims to outline the
emerging trends in contemporary design
that determine its transition toward inclusive and symbiotic evolution, highlighting
the importance of adopting critical-speculative practices for experimenting with new
design scenarios.
Conclusions and future developments
As Dunne and Raby (2013) state, “We must
25
move beyond designing things as they are
today and begin to design things as they
could be, imagining alternative possibilities
and different ways of being, to give tangible form to new values and priorities. [...]
designs benefit from exchange and consultation with people in other fields, such as
aesthetics, philosophy, political science, life
science, and biology” (p. 105).
Trends exposed with collected case studies - may open up new paths and design
scenarios - prove that contemporary design is moving beyond the definitions that
have been described in the past, to adhere
to Futures Thinking (Murray-Kline, 2021), a
method of inquiry aimed at understanding
the future and developing a new post-anthropocentric balance. The article outlines
how critical approaches, hybridization with
other disciplinary fields, and empirical experimentation, can be some of the tools to
enact changes and reinterpret the relationship between the human and natural ecosystem, through design solutions, the benefits from the symbiotic relationship with
other species for body and the planet care.*
Notes
1 – The paper was written by the authors sharing the
background of reference and articulation of content.
The paragraphs “Introduction” and “Aims” were written
by Michela Carlomagno; the paragraphs “From Design
Thinking to Critical Design: a Taxonomy” and “The Design
Scenarios of New Domestic Objects” were written by Stefano Salzillo; the paragraphs “Abstract” and “Conclusions
and Future Developments” were written by both.
Manuela Ciangola
Dottoranda in Architettura, teorie e progetto,
Università Sapienza di Roma.
manuela.ciangola@gmail.com
L’impronta dei corpi
e la soglia
nell’architettura d’interni
01. Bernard Tschumi, The Manhattan transcripts, Part 4: The Block, 1981. Bernard Tschumi
26
CORPI E CURA
Eterotopie tra corpo e
spazio
The Imprint of Bodies and Threshold in
Interior Architecture The body, after the
pandemic experience, becomes a channel
for reading the project starting from its main
characteristics: the unexpected and the
sense. The challenges of living aim to extend
the concept of reversible space to respond to
stratified and multiple heterotopias, trying
to reconcile the immanence of architecture
with the change of the body. Threshold
spaces and points of contact such as atria,
courtyards, loggias become a great field of
experimentation to investigate the relationship between body, movement, and time in a
spatial and perceptual context.*
Il corpo, dopo l’esperienza pandemica, torna
a essere un canale di lettura del progetto
partendo dalle sue caratteristiche principali:
l’inatteso e il senso. Le sfide dell’abitare
puntano a estendere il concetto di spazio reversibile per rispondere a bisogni stratificati
e molteplici eterotopie cercando di conciliare
l’immanenza dell’architettura con il cambiamento del corpo. Gli spazi di soglia e i punti
di contatto come atri, corti, logge diventano
un grande campo di sperimentazione per
indagare il rapporto tra corpo, movimento e
tempo in ambito spaziale e percettivo.*
OFFICINA* N.41
ntroduzione
La relazione tra corpo e architettura ha caratterizzato e condiziona tuttora le variabili principali legate
alla progettazione di un ambiente. Il corpo, infatti, è un
elemento che ha influenzato lo spazio e il tempo a partire dagli archetipi primordiali come quello della capanna
fino ad arrivare alla concezione contemporanea della casa
e dello spazio pubblico. Questo evolversi dell’abitare, sia
individuale che collettivo, porta con sé, inevitabilmente,
dei significati differenti anche legati al corpo che segna e
modifica i luoghi.
I corpi lasciano impronte, sono ingombranti, sono fragili,
si contagiano, misurano le distanze rispetto al loro sentire, hanno perciò un rapporto carnale con l’ambiente che
vivono e questo aspetto, primario ormai nella società contemporanea, è stato confermato ed evidenziato durante
l’esperienza pandemica del COVID-19. Il contatto tra i corpi e il rapporto che essi hanno con lo spazio non è solo di
carattere geometrico, anatomico e meccanico com’è stato
studiato dal modulor lecorbuseriano (Le Corbusier, 1955),
ma è strettamente interconnesso ai concetti dell’inatteso,
del movimento, dell’evento e della sfera percettiva.
Queste tematiche, sottaciute per gran parte del secolo
scorso sono state analizzate successivamente da diversi teorici e architetti tra cui Bernard Tschumi, il quale ha declinato secondo nuovi assunti progettuali la relazione che era
stata tessuta dall’architetto Louis Sullivan tra forma e funzione (Tschumi, 1994). Il vissuto nel lockdown del 2020 ha
confermato diverse fragilità del famoso assunto “la forma
segue la funzione” (Sullivan, 1896) per svariate motivazioni,
prima fra tutte la necessità vitale di abitare in un habitat
flessibile che possa rispondere a differenti usi e destinazioni in base alle esigenze quotidiane. Questa necessità nel
processo ideativo ed esecutivo della progettazione diventa
un canale di transito per elaborare un nuovo rapporto tra
corpo e spazio enfatizzando la presenza e l’intrusività di chi
abiterà i contesti (img. 01).
27
02. Facciata con pannellature scorrevoli prefabbricate di vetro | Facade with prefabricated sliding glass panels. Philippe Ruault
03. Assonometria di un appartamento tipo | Isometric view of a representative apartment. Lacaton & Vassal, Druot, Hutin
Emblematico è il libro Architettura e disgiunzione di Bernard Tschumi (1994) dove si legge: “I corpi scolpiscono una
varietà di spazi nuovi e inaspettati tramite movimenti flu-
fici. In questi convivono differenti soggetti sia reali che virtuali,
stimoli fisici e mentali, usi continui e discontinui che richiedono
una riformulazione dello spazio; la presenza di un’“instabilità
programmatica” (Koolhaas, 1978) determina
questa stratigrafia mutevole.
Soggetti, oggetti e ambientazioni popolano lo spazio, tracciano nuovi percorsi improntati non solo alla fissità e all’immanenza del luogo, ma alla reversibilità di esso.
Il tema del reversibile, fondamentale
nelle sequenze cangianti della scena teatrale, necessita di
inusitati campi di applicazione per rispondere alle esigenze dell’abitante non solo in rapporto alle proprie necessità,
ma alla successione di scenari che investiranno quel luogo.
Movimenti, eventi e punti di contatto rispetto ad altri corpi
riempiono lo spazio.
La zona che accoglie in maniera preminente questa sovrapposizione di moltitudini è quello della soglia che può
Stratigrafia mutevole di soggetti,
oggetti e ambientazioni che
popolano lo spazio
idi e irregolarità […] Non sorprende il fatto che in architettura il corpo umano sia sempre stato visto con sospetto
[...] il corpo disturba la purezza dell’ordine architettonico”.
Obiettivi
Nella società contemporanea la standardizzazione e la proporzione sono stati definitivamente soppiantati dalle molteplici
identità che attraversano gli spazi interni ed esterni degli edi-
28
CORPI E CURA
04. Vista notturna di Sucre 812 | Night view of Sucre 812. Javier Agustín Rojas
definirsi un’eterotopia (Foucault, 2006), termine coniato da
Micheal Foucault padre del post-strutturalismo, nella quale
si susseguono una fitta rete di relazioni sociali.
Questa ha rappresentato, durante l’esperienza pandemica, il punto di estensione dello spazio domestico e il fulcro
di giunzione con lo spazio pubblico istituendo così una scala intermedia d’intimità e incontro. L’atrio, la corte, la loggia
dei sistemi urbani, definiti da Cristina Bianchetti “urban interiors” in Corpi tra spazio e progetto (2020), sono diventati
l’elemento flessibile in cui il corpo interagisce con altri corpi,
organici e inorganici, nel quale si mescolano differenti stati
d’animo e attraverso il quale il corpo si mostra e si cela in una
dimensione ibrida tra pubblico e privato.
Queste caratteristiche dell’architettura
della soglia come l’ibridazione, il passaggio,
la transitorietà, componenti affini allo spazio scenico, la rendono un campo di sperimentazione per uno spazio adattivo e reversibile in cui il rapporto tra corpo e spazio è
primario rispetto a quello tra corpo e oggetto.
Il sistema costruttivo della nuova conformazione, inoltre, è
all’insegna della leggerezza e della trasparenza. Un sistema di
pannellature scorrevoli prefabbricate di vetro e policarbonato viene collegato tramite una piastra in cemento alla struttura esistente. Un’ampia tenda avvolge l’interno dell’abitazione rispetto all’esterno della città di Bordeaux e la medesima
schermatura può assumere differenti conformazioni rispetto
allo scorrere della giornata dalla chiusura totale all’apertura
completa verso la balconata (img. 03).
Lo spazio del balcone, filtro tra la caoticità urbana e la
protezione domestica diventa uno spazio ampio negli usi
e nei cambiamenti a seconda del vivere quotidiano acqui-
La soglia dei sistemi urbani è
diventata l’elemento flessibile in cui
il corpo interagisce
Casi studio e metodi
Significativo è il progetto parigino Transformation of 530
homes - Grand parc Bordeaux realizzato nel 2017 dagli architetti Anne Lacaton e Jean Philippe Vassal. L’assetto architettonico, inserito in un programma di riqualificazione
della città di Bordeaux, vede la riprogettazione di un housing sociale risalente agli anni Sessanta (img. 02).
La strategia progettuale non punta a una demolizione
del complesso e a una sua ricostruzione, ma all’inserimento di quelli che si possono definire luoghi “dell’in-between”
(Tschumi, 1994), ossia degli ampliamenti dello spazio senza
una destinazione d’uso già destinata, ma decisa dal fruitore: giardini d’inverno, studi, zone giorno costellano il nuovo
prospetto dando mobilità all’interno dell’abitazione e inserendo degli elementi di passaggio tra la casa e il paesaggio
urbano, degli interni nell’esterno (Borne, 2018).
OFFICINA* N.41
stando, così, significati aggiuntivi da luogo dello stare a momento di passaggio e relazione con l’intorno.
La facciata è articolata secondo un continuo mutamento
che diventa lo sfondo delle azioni giornaliere in cui tante
alterità si osservano, si nascondono e si esibiscono. La flessibilità del sistema consente all’individuo di essere parte
attiva nella conformazione dell’ambiente dando una doppia
libertà di senso tra corpo e spazio: come quest’ultimo può
modificare i nostri comportamenti anche la fisicità dell’uomo può modificare lo spazio circostante.
Un altro esempio che esplora i temi che investono spazi
filtro è Casa sucre 812 progettata dagli architetti Ana Sol e
Alberto Smud a Buenos Aires nel quartiere di Belgrano. L’adattività, presente anche nel contesto argentino, attribuisce un valore aggiunto all’abitare (img. 04).
Il progetto orbita sull’alternanza di spazi permeabili e
chiusi per poi definire una zona intermedia rispetto al mondo urbano (Lella, 2021).
29
05. Vista del soggiorno verso la veranda | View of the living room toward the porch. Javier Agustín Rojas
La facciata, apparentemente opaca per proteggere l’interno
dalle alte temperature, è costituita da pannelli microforati che
dissimulano delle verande. La zona del soggiorno si amplia verso quest’ultime in un dualismo tra opaco/trasparente, estroverso/introverso con l’utilizzo di sistemi scorrevoli (img. 05).
Il dinamismo dell’apparato costruttivo consente un’appropriazione libera dello spazio da parte degli abitanti conferendo una nuova qualità spaziale agli appartamenti.
Questi possono essere utilizzati come dispositivi per enfatizzare la fisicità del corpo, dai sensi fino agli stati d’animo, registrando canali percettivi che fino ad ora sono stati
messi in ombra dalla tendenza a privilegiare la vista.
Il tatto porta con sé alcuni aspetti della risposta fisiologica come il movimento e la temperatura cutanea che
a loro volta incidono sull’attività cardiaca e sulla frequenza respiratoria, come viene confermato da studi innovativi delle neuroscienze. L’utilizzo di tali
strumenti tecnologici, in uno spazio
improntato alla reversibilità, determina
una possibilità di gran lunga superiore
di seguire l’andamento del corpo anche
rispetto agli input fisiologici. Siffatta
scelta consente, di conseguenza, di avvicinarsi sempre più a spazi che aumentano il nostro benessere e che rispondono concretamente ai nostri bisogni in
una condizione aperta e trasformabile.
Esempio di ciò è la collaborazione assidua tra l’Istituto
di Neuroscienze del CNR di Parma e il laboratorio Tuned
(2016), promosso dall’architetto Davide Ruzzon all’interno
dello studio di architettura Lombardini 22.
L’unione operosa di queste due discipline ha, infatti,
permesso di elaborare il progetto NuArch attivo dal 2017,
ancora in itinere, che nasce con l’obiettivo di approfondire il rapporto tra la percezione umana e gli spazi che
viviamo indagando come alcuni elementi nello spazio siano in grado di influenzare lo stato emotivo e cognitivo
(Pizzolante, 2021).
Si è osservato che le variazioni della forma inducano delle
reazioni corporee con differenti stati emotivi sottolineando, attraverso un’analisi di ricettori sensoriali, come ogni
strato emozionale venga attivato da un movimento corporeo nello spazio.
Questo può far capire fattivamente le emozioni, le sensazioni rispetto all’ambiente architettonico vissuto su diverse
tematiche: movimento, luce, colore, dimensione.
La reversibilità nei sistemi
organizzativi del progetto consente
all’individuo di essere parte attiva
Il gesto del corpo, ingranaggio nelle sequenze che la facciata
assume, diventa, inoltre, una variabile progettuale rilevante in
una struttura che accentua il carattere ludico dell’architettura
nel quale il tocco, l’impronta dei corpi definisce un movimento
sia in un procedere temporale che nella variazione spaziale.
Il tatto, afferente ai sensi della fisicità, riacquista una posizione centrale per misurare e saggiare l’ambiente circostante
ampliando la conoscenza dello spazio secondo input fisiologici, sensoriali e percettivi, come afferma Cristina Bianchetti (2020): “Toccare significa modificare, cambiare, spostare,
mettere in discussione quel qualcosa che si tocca. Il progetto
tocca il corpo perché agisce sullo spazio, innanzitutto. Ma in
modo non meno significativo, perché lo tocca con il senso.”
Risultati
La sfera sensoriale, dopo un secolo in cui la concezione
oculocentrica ha avuto un ruolo cardine all’interno dell’esperienza corporea, integra nuovi modi di relazione e di
conoscenza dello spazio.
Il decentramento, nel pensiero occidentale, verso nuove
ricerche percettive è stato facilitato anche dall’introduzione del virtuale e dai sistemi computazionali.
30
CORPI E CURA
06. Vital Room nell’allestimento a space for being | Vital Room in the setup A space for being. Edoardo Delille
Ancora più recente è l’allestimento A space for being
che focalizza l’attenzione su quanto sia rilevante nella
progettazione ciò che il corpo senta.
Lo spazio espositivo, realizzato presso il Salone del mobile di Milano nel 2019, è ideato dal comparto Google hardware and advanced technology insieme al team formato dallo
studio Reddymade e Susan Magsamen.
L’installazione si snoda attraverso una sequenza di tre
stanze, arredate in maniera simile, ma differenti nelle cromie, nell’illuminazione e nell’odore. In una zona neutra, che
anticipa ogni stanza viene consegnato un braccialetto con
sensori tecnologici atti a captare le specifiche risposte fisiologiche e fisiche di ogni visitatore (img. 06).
La prima stanza, essential room, è studiata con materiali dai
toni caldi, linee sinuose e luci soffuse, la seconda, vital room,
ha cromie più accese e un’illuminazione più intensa mentre
l’ultimo ambiente, trasformative room, è conformato attraverso una serie di specchi con un maggiore sviluppo in altezza.
Al termine dell’esplorazione spaziale ogni protagonista
della stessa può osservare attraverso un diagramma computerizzato quali siano i risultati rispetto ai parametri di frequenza cardiaca, temperatura corporea e frequenza respiratoria e comprendere quanto ogni spazio avesse condizionato
la propria esperienza, di carattere soggettivo.
L’intera operazione evidenzia un ampio divario, testimoniato da ciò che affermavano i visitatori prima di varcare
gli spazi e la registrazione dei loro stati raccontati dal proprio corpo. Si giunge a una riflessione riguardante un fenomeno molto interessante che investe la discordanza tra
quello che elabora la nostra mente e ciò che il corpo sente,
poiché quest’ultimo è denso di possibilità comunicative,
anche apparentemente invisibili.
quelle delle epoche passate con l’intento di definire veri e
propri spazi empatici le cui affezioni possano risultare realmente profonde e vicine al sentire umano.
La definizione del progetto ha quindi l’onere di proiettarsi verso un’articolazione più complessa che tenga conto di
diversi aspetti. Le strategie spaziali e temporali secondo i
criteri di reversibilità, adattamento e versatilità possono e
devono fondersi con altre tematiche. Si ha, infatti, l’urgenza
di tradurre in risposte architettoniche, come nelle esperienze descritte in precedenza, le differenti declinazioni del
corpo e dei suoi ambiti cognitivi.
Ogni stato del corpo esposto, malato, virtuale necessita di
essere inserito nell’ampia struttura del progettare per puntare al benessere e alla cura di esso.
La corporeità è presenza e assenza anche nell’organizzazione di spazio e tempo tenendo presente come afferma
il coreografo toscano Virgilio Sieni in Anatomia del gesto
(2020) che “l’unica cosa che coincide con il tempo è il corpo
perché ne segue l’andamento”.*
BIBLIOGRAFIA
– Bianchetti, C. (2020). Corpi tra spazio e progetto. Sesto San Giovanni: Mimesis.
– Foucault, M. (2006). Utopie. Eterotopie. Napoli: Cronopio.
– Koolhaas, R. (1997). Delirious New York: A retroactive manifesto for Manhattan. New York:
The Monacelli Press.
– Le Corbusier (1955). Le modulor. L’Architecture d’Aujourd’hui: Parigi.
– Sieni, V. (2020). Anatomia del gesto. In Borgherini, M. (a cura di), Materia e corpo. Anatomie, sconfinamenti, visioni. Roma: Quodlibet.
– Tschumi, B. (2001). Architettura e disgiunzione. Bologna: Pendragon.
– Borne, E. (2018). Anne Lacaton: nous cherchons toujours à dilater l’espace. L’Architecture
d’Aujourd’hui, n. 424, Parigi, Archipress & Associés, pp. 46-51.
– Lella, L. (2021). Un filtro tra casa e città (online). In www.abitare.it/lella/ (ultima consultazione gennaio 2023).
– Pizzolante, M. (2021). NuArch. Ovvero come la forma dell’architettura influisce sulle emozioni (online). In www.artribune.com/pizzolante/ (ultima consultazione gennaio 2023).
Conclusioni
La sperimentazione di nuove variabili lega in maniera intima il nostro corpo al corpo dell’architettura secondo narrazioni progettuali differenti e interattive anche rispetto a
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Manuela Ciangola
The Imprint of Bodies
and Threshold in
Interior Architecture
Heterotopias between body and space
Introduction
The relationship between the body and architecture has characterized and continues
to shape the main variables related to the design of an environment. The body, in fact, is an
element that has influenced space and time
from primal archetypes such as the cabin to
the contemporary concept of the home and
public space. This evolution of living, both individual and collective, inevitably owns with
it different meanings also related to the body
that marks and modifies places.
Bodies leave traces, are bulky, are fragile, are
contagious, they estimate distances in relation to their feelings, therefore have a carnal
relationship with the environment they live in.
This aspect, primary in contemporary society,
was confirmed and highlighted during the
COVID-19 pandemic experience. The contact between bodies and the relationship they
have with space is not only of a geometric,
anatomical and mechanical nature as studied
by the Le Corbusier modulor (Le Corbusier,
1955), but it is closely interconnected with
the concepts of the unexpected, movement,
event, and the perceptual sphere.
These themes, largely understated for most
of the last century, were later analyzed by
various theorists and architects including
Bernard Tschumi, who redefined the relationship between form and function, that has
been theorized by the architect Louis Sullivan (Tschumi,1994).
The experience of lockdown in 2020 confirmed the various weaknesses of the famous
assumption “form follows function” (Sullivan,
1986) for various reasons, the most important
of which is the vital need to live in a flexible
habitat that can respond to different uses and
destinations based on daily needs. This need
in the creative and executive design process
becomes a transit channel to elaborate a new
relationship between the body and the space
by emphasizing the presence and intrusiveness of those who will inhabit the contexts
(img. 01).
Architecture and disjunction is an emblematic
book, Tschumi (1994) writes: “Bodies sculpt
a variety of new and unexpected spaces
through fluid and irregular movements [...] It
is not surprising that in architecture the human body has always been seen with suspicion [...] the body disturbs the purity of architectural order”.
Goals
In contemporary society, standardization and
proportion have been definitively replaced by
the multiple identities that traverse the internal and external spaces of buildings; here
several subjects (virtual and real ones), physical and mental stimuli, continuous and discontinuous uses coexist. To achieve this result
a re-formulation of space is required due to
a “programmatic instability” (Koolhaas, 1978),
determined by the changing stratigraphy of
subjects, objects, and settings that populate
space; it traces new paths marked not only by
the fixity and immanence of place, but by the
reversibility of it.
The theme of reversibility, fundamental in the
changing sequences of the theatrical scene,
requires unusual fields of application to experiment with environments, different from those
of theater, which can adapt flexibly to the
needs and senses of the individual not only in
relation to their temporary needs, but also to
the succession of scenarios that will invest that
place rich in movements, events, and points of
contact with respect to other bodies.
The space that predominantly welcomes this
overlap of multitudes is that of the threshold,
which can be defined as heterotopia (Foucault,
2006), a term coined by Michel Foucault, father of post-structuralism, in which a dense
network of social relations succeeds.
This zone represented, during the pandemic
experience, the point of extension of the domestic space and the hub with the public
space; thus establishing an intermediate scale
of intimacy and meeting.
The atrium, the courtyard, the loggia of urban
32
systems, defined by Cristina Bianchetti as “urban interiors” in Corpi tra spazio e Progetto
(2020), have become the flexible elements
in which the body interacts with other bodies, organic and inorganic, in which different
moods are mixed together, and through which
the body is revealed and concealed in a hybrid
dimension between public and private.
These features of threshold architecture such
as hybridization, passage, and transience are
comparable components of stage space, and
they become a field of experimentation for an
adaptive and reversible space in which the relationship between body and space is primary
to that between body and object.
Case studies and methods
Transformation of 530 homes - Grand parc
Bordeaux is a significant project in Paris, it was
completed in 2017 by architects Anne Lacaton
and Jean Philippe Vassal. The architectural layout, included in a city revitalization program in
Bordeaux, redesigns a social housing complex
from the 1960s (img. 02).
The design strategy does not focus on the
demolition of the complex and its reconstruction, but on the insertion of what can be defined as “in-between” spaces (Tschumi-1994),
that is, extensions of space without a predetermined use, but decided by the user: winter
gardens, studies, living areas adorn the new
facade, giving mobility inside the home and
introducing elements of passage between the
house and the urban landscape, interiors in the
exteriors (Borne, 2018).
The constructive system of the new configuration is also characterized by lightness and
transparency. A system of prefabricated sliding
panels of glass and polycarbonate is connected
by a concrete plate to the existing structure. A
large curtain wraps around the interior of the
home compared to the outside of the city of
Bordeaux and the same screening can take on
different shapes depending on the flow of the
day, from total closure to complete opening to
the balcony (img. 03).
CORPI E CURA
The space of the balcony, a filter between
the urban chaos and domestic protection,
becomes a wide space in terms of use and
changes depending on daily living, thus acquiring additional meanings from a place to
stay to a moment of passage and relationship with the surroundings.
The facade is articulated according to a continuous change that becomes the backdrop of
daily actions in which so many othernesses are
observed, hide and perform.
The flexibility of the system allows the individual to be an active participant in the conformation of the environment by giving a double
freedom of meaning between body and space:
just as the latter can modify our behaviors, the
physicality of man can also modify the surrounding space.
Casa sucre 812, by architects Ana Sol and Alberto Smud, in Buenos Aires in the Belgrano
neighborhood, is another example that explores
issues that invest filter spaces. Adaptivity, also
present in the Argentine context, attributes an
added value to living (img. 04).
The project revolves around the alternation of
permeable and closed spaces to thus define an
in between zone to the urban world. (Lella, 2021)
The facade, apparently opaque to protect the
interior from the high Argentine temperatures, is made up of micro-perforated panels
that conceal verandas. The living area expands
towards these in a dualism between opaque/
transparent, extroverted/introverted with the
use of sliding systems (img. 05).
The dynamism of the construction system
allows for free appropriation of space by the
inhabitants, giving a new spatial quality to
the apartments at Sucre 812.
The gesture of the body, a gear in the sequences that the facade assumes, also becomes a relevant design variable in a structure that accentuates the playful character of
architecture in which the touch, the imprint
of the bodies defines a movement both in a
temporal progression and in spatial variation. Touch, related to the senses of physicality, regains a central position to measure and
test the surrounding environment, expanding
knowledge of space according to physiological, sensory and perceptual inputs, as Cristina
Bianchetti (2020) states: “Touching means
changing, moving, questioning something
that is touched. The project touches the body
because it acts on space, first of all. But no
less significantly, because it touches it with
the sense.”
Results
The sensory sphere, after a century in which
the oculocentric conception has played a key
role within bodily experience, integrates new
ways of relating and knowing space.
The decentralization, in Western thought, to
new perceptual pursuits has also been facilitated by the introduction of virtual and computational systems.
These can be used as devices to emphasize
the physicality of the body, from the senses
to the emotional states, recording perceptive
channels that until now have been overshad-
OFFICINA* N.41
owed by the trend to privilege vision. Touch
carries with it some aspects of physiological
response such as movement and skin temperature which in turn affect heart rate and
respiratory frequency, as confirmed by innovative studies in neuroscience. In a space
characterized by reversibility, the use of such
technological tools determines a far greater
possibility of following the body’s course even
with respect to physiological inputs.
Such a choice allows, therefore, to approach
spaces that increase our well-being and respond concretely to our needs in an open and
transformable condition. An example of this is
the close collaboration between the Institute
of neuroscience of the CNR of Parma and the
Tuned laboratory, promoted by architect Davide Ruzzon within the Lombardini 22 architecture studio.
The productive union of these two disciplines
has allowed the NuArch project, active since
2017 and still in progress, to be developed. The
project aims to deepen the relationship between human perception and the spaces we
live in by investigating how some elements in
space are able to influence emotional and cognitive state (Pizzolante, 2021).
It has been observed that variations in shape
induce bodily reactions with different emotional states, highlighting, through an analysis
of sensory receptors, how each emotional layer is activated by a bodily movement in space.
This can effectively understand emotions and
sensations related to the architectural environment experienced on different themes:
movement, light, color, size.
Even more recent is the exhibit A space for being, which focuses attention on how relevant in
design is what the body feels.
The exhibition space, created at the Milan
Salone del Mobile in 2019, is conceived by
the Google hardware and advanced technology department together with the team
formed by Reddymade studio and Susan
Magsamen. The installation winds through
a sequence of three rooms, similarly furnished, but different in colors, lighting and
odor. In a neutral area, before each room, a
bracelet with technological sensors is given
to capture the specific physiological and
physical responses of each visitor.
The first room, essential room, is designed
with warm-toned materials, curvy lines,
and soft lighting, the second, vital room, has
brighter colors and more intense lighting,
while the last environment, transformative
room, is shaped through a series of mirrors
with a greater height development.
At the end of the spatial exploration, each
protagonist can observe through a computerized diagram what the results are in relation to heart rate, body temperature and respiratory frequency and understand how each
space conditioned their own experience, of a
subjective nature (img. 06).
The entire operation highlights a large gap,
testified by what visitors claimed before
crossing the spaces and the recording of
their states told by their body. It leads to reflection on an interesting phenomenon that
33
invests the discrepancy between what our
mind elaborates and what the body feels, as
the latter is dense with communication possibilities, even apparently invisible.
Conclusions
The experimentation of new variables intimately connects our body to the body of architecture through different and interactive
design narratives, even compared to those of
past eras, with the intent of defining true empathetic spaces whose affections can truly be
deep and close to human feeling.
Thus, project definition has the burden of
projecting toward a more complex articulation that takes into account different aspects.
Spatial and temporal strategies can and must
merge with other issues. There is, in fact, an
urgency to translate into architectural responses, as in the experiences described
above, the different declinations of the body
and its cognitive domains.
Every state of the body-exposed, diseased, virtual needs to be included in the broad structure of design in order to aim at the well-being
and care of it.
Corporeality is also a presence and an absence
in the organization of space and time keeping
in mind as Tuscan choreographer Virgilio Sieni
(2020) states in Anatomia del gesto that “the
only thing that coincides with time is the body
because it follows its course”.*
Gioele Peressini
PhD in Scienze del design,
Università Iuav di Venezia.
gioeleperessini@gmail.com
Il corpo danzante
come progetto
01. Rielaborazione a partire dall’annotazione del movimento eseguita da William Forsythe su un disegno di Tiepolo per la coreografia Hypothetical Stream (1997) | Reworking starting
from William Forsythe’s movement annotation on a drawing by Tiepolo for the choreography Hypothetical Stream (1997). sarma.be
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CORPI E CURA
Dispositivi di
digitalizzazione del
pensiero coreografico
The Dancing Body as a Project In recent
decades, dance has become enthralled by
the possibilities afforded by digital technologies in the compositional process. This
article illustrates some projects in which
choreographic thinking becomes concrete
thanks to digital and interactive devices to
memorize, document, and digitize the body
and its movements. As a consequence of a
collaboration with designers and research
centres, dance has become a testing ground
to reconsider the interactions we create with
objects every day during a performance.*
Negli ultimi decenni la danza è rimasta affascinata dalle possibilità offerte dall’utilizzo
delle tecnologie digitali nel processo compositivo. Il contributo illustra alcuni progetti
dove il pensiero coreografico si concretizza
sotto forma di dispositivi digitali e interattivi
per archiviare, documentare e digitalizzare il
corpo e il suo movimento. Grazie alla collaborazione con progettisti e centri di ricerca,
la danza diviene un territorio di sperimentazione dove ripensare in ottica performativa
le interazioni che ogni giorno instauriamo
con gli oggetti.*
OFFICINA* N.41
a danza contemporanea è un territorio di sperimentazione aperto alla collaborazione e all’esplorazione delle
possibilità compositive delle tecnologie emergenti. Se
nel corso della storia si è cercato di oggettivare il movimento
del danzatore tramite sistemi di notazione, il Novecento ha
radicalmente cambiato il modo di vedere e pensare la danza,
lasciando spazio a una libera esplorazione del movimento in
quanto tale. Ma a partire dagli anni Novanta i coreografi sono
rimasti affascinati dalle possibilità offerte dall’utilizzo delle
tecnologie digitali nel processo compositivo, trovando in esse
una sfida per ripensare il corpo alla luce di nuove condizioni e
vincoli. Un interesse incrociato che vede da un lato coreografi
e danzatori, dall’altro centri di ricerca, designer e progettisti
impegnati in un obiettivo comune, ovvero l’estensione dei
confini della pratica coreografica. Ne consegue un’apertura a
innovazioni che si traducono non solo in una nuova estetica
della scena, ma soprattutto nell’affiorare di nuovi dispositivi
digitali e interattivi (dal CD-ROM all’intelligenza artificiale,
dal sito web all’installazione interattiva) i quali legano indissolubilmente lato pratico e conoscenza teorica. Il fine ultimo
di tali esplorazioni è la comprensione dei modi in cui le tecnologie possano plasmare il pensiero e il movimento, laddove quest’ultimo è parte integrante dell’atto di interazione tra
il corpo e i dispositivi tecnologici (Hansen, 2006). Il corpo in
movimento diviene anzi un modello per comprendere la partecipazione attiva dell’utente nei sistemi interattivi e nella creazione dell’esperienza tramite il mezzo tecnologico.
Tale idea viene supportata dal crescente interesse accademico degli studi di design dell’interazione verso il settore
coreografico, nell’ottica di una comprensione performativa
dell’interazione stessa. L’esigenza di esplorare la problematica è confermata dal ricorso sempre maggiore alla performance, al teatro e alla danza nella progettazione di sistemi
interattivi, in particolare perché i primi risultano campi in
grado di restituire, in presa diretta, la natura delle interazioni umane con le tecnologie, il cui contributo è di volta in
volta rinegoziato.
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02. William Forsythe, fotogramma da
Improvisation Technologies, esercizio
Dropping Curves | William Forsythe, frame
from Improvisation Technologies, exercise
Dropping Curves. William Forsythe, Nik
Haffner, Volker Kuchelmeister, Chris Ziegler,
Yvonne Mohr, Astrid Sommer
03. Wayne McGregor, Mark Downie, Nick
Rothwell, Choreographic Language Agent.
Rappresentazione di una figura animata
3D e della traccia del suo movimento in un
palcoscenico virtuale | Wayne McGregor,
Mark Downie, Nick Rothwell, Choreographic Language Agent. Representation
in a virtual stage of a 3D animated figure
and the track of its movement. Mark
Downie, Nick Rothwell
Tecnologia e coreografia. Una convergenza progettuale
Uno dei risultati più interessanti dell’esplorazione digitale nella danza degli ultimi trent’anni è la scissione consapevole tra corpo e movimento. Spostando il focus dalla rappresentazione mimetica del corpo in ambiente virtuale alla
visualizzazione grafica del movimento, l’applicazione dello
strumento digitale in ambito coreutico diviene un modo
per disvelare una forma di trasmissione del sapere orale
ed espressa attraverso il corpo. L’interesse dei coreografi
nel comprendere quali siano i processi che attuiamo quando tentiamo di catturare la danza, e quali possano essere le
discipline utili a comprenderne la natura effimera, ha condotto alla concretizzazione del pensiero coreografico sotto
forma di dispositivi per archiviare, documentare e digitalizzare il corpo e il suo movimento. La tecnologia diviene così
un modo per mostrare in filigrana il processo che porta alla
forma finita, permettendo di far percepire le dinamiche sottese al movimento del corpo. Lo scopo di tali progetti non
risiede tanto nella produzione artistica in sé, quanto nell’indagine delle complementarità tra pratiche performative e
telecamera vengono rielaborate graficamente per conoscere
il pensiero compositivo del coreografo. Da un lato i danzatori
potevano guardare a ritroso il movimento che doveva eseguire il corpo, dall’altro il pubblico poteva comprendere ciò
che osservava, ricomponendo un ordine tramite un linguaggio grafico (img. 02). La danza diviene così un campo di sperimentazione attraverso cui il corpo può essere parametrizzato, e unitamente un metodo per visualizzare il pensiero del
coreografo. Pensiero inteso come una progettualità che si
concretizza nel corpo e che capovolge la concezione abituale del rapporto tra corpo e oggetto, portando a considerare il
movimento in quanto modalità attraverso cui comprendiamo
un’interazione con un sistema (Klooster, Overbeeke, 2005).
Il corpo soggetto della tecnologia
L’utilizzo di tecnologie digitali e software sfida la danza
a ridefinire le proprie possibilità creative. I casi più interessanti emergono quando i coreografi non si avvalgono
della tecnologia come semplice strumento (tool), ma guardano alla tecnologia come un coadiutore attivo (collaborator) all’interno di un determinato processo dinamico e iterativo (Carlson et
al., 2016). Per esempio, how long does the
subject linger on the edge of the volume…
(2005), lavoro coreutico di Trisha Brown
in collaborazione con OpenEndedGroup
(Marc Downie e Paul Kaiser), è un’opera
interattiva che sfrutta un apposito software di intelligenza
artificiale. Un agente intelligente capta i dati dal movimento
dei danzatori sul palcoscenico e li rielabora per disegnare
in tempo reale uno spazio scenografico proiettato in proscenio. In questa collaborazione il corpo non è più visto
solamente all’interno di una relazione stimolo/risposta, ma
viene considerato come vero e proprio supporto creativo.
L’intervento tecnologico, quindi, avviene a sostegno della
proiezione fantasmatica dell’anatomia del corpo nello spazio.
Se il corpo del danzatore è la materia della sperimentazione
La danza diviene un campo di
sperimentazione attraverso cui il
corpo può essere parametrizzato
processi tecnologici, dove danza e corpo sono il banco di
prova per analizzare la questione dal punto di vista dei nuovi supporti. Ne è un esempio Improvisation Technologies: A
tool for the Analytical Dance Eyes, CD-ROM sviluppato da
Volker Kuchelmeister in collaborazione con il coreografo
William Forsythe e lo ZKM, Zentrum für Kunst und
Medien di Karlsruhe. Pubblicato nel 1999, è uno dei
primi progetti di trasmissione digitale della danza.
Il CD raccoglie 65 video concepiti come stimolo alla creazione coreografica. Le improvvisazioni di Forsythe davanti a una
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CORPI E CURA
04. William Forsythe, Norah Zuniga Shaw, Maria Palazzi, Synchronus Object for One Flat Thing, reproduced,
l’interfaccia degli oggetti | William Forsythe, Norah Zuniga Shaw, Maria Palazzi, Synchronus Object for One
Flat Thing, reproduced, the object interface. synchronousobjects.osu.edu
05. William Forsythe, Norah Zuniga Shaw, Maria Palazzi, Synchronus Object for One Flat Thing, reproduced. Mappa geografica realizzata a partire dalla cattura del movimento e dello spostamento dei danzatori
durante coreografia | William Forsythe, Norah Zuniga Shaw, Maria Palazzi, Synchronus Object for One
Flat Thing, reproduced. Geographic map created from the dancers’ motion over the length of the piece.
Courtesy of Synchronous Objects Project, The Ohio State University and The Forsythe Company. Synchronous Objects Project, The Ohio State University and The Forsythe Company. Synchronous Objects Project,
The Ohio State University and The Forsythe Company
tecnologica, il soggetto sul quale essa agisce, il fine ultimo
della tecnologia non è la sostituzione del corpo; piuttosto la
tecnologia interpreta il corpo proiettandolo nello spazio, e
integrandolo ne diventa una delle funzioni possibili. All’interno di una relazione dinamica costante il corpo può, o non può,
relazionarsi con il sistema. Ne è esempio Coreographic Language Agent (2009–2013), ambiente software sviluppato sempre da OpenEndedGroup per il coreografo Wayne McGregor. Questa è un’intelligenza artificiale presente in sala prove
utilizzata per indagare il potenziale degli agenti tecnologici
nel migliorare il processo creativo del performer. L’idea alla
base di CLA è la possibilità di creare coreografie partendo da
un linguaggio formale riconosciuto dal computer e ispirato
alle parole utilizzate da McGregor durante le prove. L’agente è capace di intervenire sulle proposizioni modificandone
i parametri e di tradurre le frasi in animazioni, secondo un
modello binario costituito di punti e di linee (img. 03). Questo è il risultato di un processo collaborativo con specialisti
OFFICINA* N.41
di intelligenza artificiale, robotica, neurofisiologia, scienze
cognitive e artisti digitali, a partire dal quale è stato infine sviluppato Becoming, un avatar 3D visualizzato su uno
schermo e animato da un’intelligenza artificiale che
supporta la creazione coreografica in studio (Leach,
DeLahunta, 2017). Becoming, autonomo nelle scelte,
funziona come danzatore digitale che influenza le decisioni
al fine di migliorare il processo creativo.
Interfacce per l’analisi del movimento
Synchronous Objects for One Flat Thing, reproduced, realizzato nel 2009 da Forsythe in collaborazione con Norah Zuniga Shaw e Maria Palazzi dell’Advanced Computing Center for
the Arts and Design dell’Ohio State University, consiste nella creazione di una piattaforma web in cui
i dati raccolti dai movimenti dei danzatori vengono
trasformati in oggetti digitali per esplorare le dinamiche e le
strutture relazionali della coreografia1. Obiettivo dichiarato è
37
06. William Forsythe, Norah Zuniga Shaw, Maria Palazzi, Synchronus Object for One Flat Thing, reproduced, oggetto “The Dance”. Score interattivo della coreografia | William Forsythe,
Norah Zuniga Shaw, Maria Palazzi, Synchronus Object for One Flat Thing, reproduced, object “The Dance”. Interactive choreography score. synchronousobjects.osu.edu
quello di ampliare il pubblico della danza approfondendo le
possibilità di una ricerca interdisciplinare alla convergenza
tra diversi settori che hanno guardato alla danza medesima
come risorsa per un lavoro sullo spazio, il tempo, l’architettura, le dinamiche di partecipazione sociale, favorendo altresì
l’immaginazione di come questi dati possano essere espressi
visivamente (img. 04). Il fine diventa capire dunque come sia
possibile applicare i diversi approcci del computer aided design
per documentare, analizzare e trasmettere il pensiero coreografico (DeLahunta, 2016), in modo che la rappresentazione si
faccia carico di tradurre un immaginario. Abolendo il corpo
del danzatore, gli strumenti di cattura del movimento autorizzano una trasmutazione della rappresentazione visiva della
danza in una dimensione immateriale che può abbandonare
ogni riferimento alla morfologia umana (img. 05). Infatti, il
processo che porta allo sviluppo di SOfOFTr parte da un interrogativo, ovvero quali altre forme e sembianze possa assumere il pensiero fisico. La questione in questo caso è posta all’u-
ma quello di un riutilizzo creativo e visivo delle informazioni
captate. I materiali realizzati sono sia di tipo investigativo, per
catturare specifici elementi dinamici o strutturali della coreografia così da entrare nel pensiero coreografico di Forsythe,
che conoscitivo, per capire cosa può essere visto nella danza
e come visualizzare tali interpretazioni. La piattaforma, infine,
mette a disposizione lo score interattivo della coreografia, ovvero un’interfaccia che ricorda una schermata di video editing
progettata per visualizzare e mettere in relazione tutti i dati
raccolti, e in cui è possibile sezionare i movimenti fino nei dettagli (img. 06).
Conclusioni
Le esperienze viste sono possibili modelli di riferimento interdisciplinari. Pur nascendo in ambito coreografico, sono il risultato di un’operazione progettuale complessa che necessita
di una reciproca comprensione tra progettista e coreografo.
Gli esiti non sono da intendersi quali forme di danza digitalizzata atta a sostituire la pratica dal vivo
ma luoghi altri, in cui alle tecnologie digitali
viene riconosciuta e delegata la possibilità
di documentare gli aspetti di creazione coreografica ed esibire al fruitore il processo e
ciò che non è tradizionalmente visibile durante la performance. Assumendo il movimento come perno attorno al quale far
dialogare le diverse competenze, l’osservazione dei casi studio
permette di mettere in luce tre indirizzi. Il primo riguarda la
possibilità di visualizzare il movimento. Visualizzare i principi
del movimento attraverso un linguaggio grafico ha permesso
La tecnologia integra il corpo, ne
diventa una delle funzioni possibili
tente che, durante la navigazione, si trova davanti a possibili
risposte. La danza viene dapprima quantificata mediante una
raccolta di dati e successivamente trasformata in una serie di
oggetti sincronici digitali che ne reinterpretano la struttura
(img. 07). Lo scopo della raccolta dei dati non è stato quello
di documentare o ricostruire scientificamente la coreografia,
38
CORPI E CURA
07. William Forsythe, Norah Zuniga Shaw, Maria Palazzi, Synchronus Object for One Flat Thing, reproduced, oggetto “3D Alignment
Forms”. Animazione della traccia del movimento dei danzatori, riprodotti mappati in uno spazio 3D | William Forsythe, Norah Zuniga
Shaw, Maria Palazzi, Synchronus Object for One Flat Thing, reproduced, object “3D Alignment Forms”. Animation of dancer’s trace of the
movement, reproduced mapped to 3D space. Synchronous Objects Project, The Ohio State University and The Forsythe Company
un approccio inedito ai materiali della danza, consentendo al
pubblico di acquisire una serie di strumenti analitici e pedagogici per comprendere le coreografie. Riportare il movimento
alla forma grafica che lo compone, infatti, significa astrarlo dal
suo carattere effimero tracciando valori replicabili: il movimento non definisce una forma ma rappresenta l’idea anteposta ai vincoli parametrici del corpo.
Un secondo modo riflette su come sia possibile rendere
quantificabile la complessità del movimento coreografico e
rappresentarlo adeguatamente. Questo è anche il limite progettuale della digitalizzazione del movimento: il danzatore,
per il computer, non esiste. Ciò che il computer trascrive è lo
spostamento dei marcatori nello spazio. Tuttavia, restituire la
complessità dei movimenti non è solo questione di raccolta
ed elaborazione dei dati acquisiti tramite sensori, ma anche
di rendere trasmissibili e visibili le intenzioni e le sensazioni, i
movimenti interni del corpo e quegli aspetti invisibili e intangibili che rendono tale una coreografia.
Un terzo indirizzo, infine, evidenzia come la visione e la
competenza tecnica del designer, dell’informatico o dell’artista
digitale, unitamente alla conoscenza del corpo del coreografo
e del danzatore, che si concretizzano nel prodotto finito, diventino il modo attraverso cui innovare la pratica coreografica,
intervenendo sulle proposizioni di partenza. La dimensione
collaborativa con la tecnologia non è solamente un processo
dinamico con l’utente finale ma è, innanzitutto, una dimensione del progetto. I casi qui proposti sono l’esito di esperienze di
alto profilo che coinvolgono università o centri di ricerca, interessati a indagare le complementarità tra pratiche performati-
OFFICINA* N.41
ve e processi tecnologici. Il passaggio dal desiderio alla possibilità necessita, dunque, di una duplice comprensione: quale sia
il materiale che si vuole trasmettere e quali siano le tecnologie
più adeguate a farlo. La forma finale dei dispositivi risente tanto dello sviluppo collaborativo tra le parti, quanto delle necessità estetiche e tecniche delle tecnologie impiegate.*
NOTE
1 – L’abbandono nel 2021 di Adobe Flash, sul quale è stata sviluppata l’interfaccia di Synchronous Objects ha, di fatto, decretato la fine del progetto, impedendone la piena fruibilità
e richiamando, ancora una volta, l’attenzione sull’obsolescenza delle tecnologie digitali. Ad
oggi il sito è comunque visitabile e funziona in quanto archivio.
BIBLIOGRAFIA
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into designing creative interactive systems for choreography. EAI Endorsed Transactions in
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– Leach, J., DeLahunta, S. (2017). Dance “Becoming” Knowledge. Designing a Digital
“Body”. Leonardo, 50(5), pp. 461-467.
39
Gioele Peressini
The Dancing Body as a
Project
Devices to digitize choreographic thinking
Contemporary dance is a testing ground that
is open to collaboration and to an exploration
of the compositional potential of emerging
technologies. While attempts have been made
throughout history to objectify the movement of a dancer by means of various notation
systems, the 20th century radically changed
the way dance was experienced and thought
about, leaving room for a free exploration of
movement by itself. Additionally, since the
1990s, choreographers have been fascinated
by the possibility of using digital technologies
in the compositional process, finding a challenge in them to rethink the body in the light of
new conditions and constraints. A cross-interest which sees choreographers and dancers on
the one hand, and research centres, designers
and planners on the other, working towards a
common goal – an expansion of the boundaries of choreographic practice. The result is
an opening up to innovations that translates
not only into a new aesthetic of the stage, but
above all into the emergence of brand-new
digital and interactive devices (from CD-ROMs
to artificial intelligence, from websites to interactive installations) which intimately link
the practical side and theoretical knowledge.
The goal of such explorations is to understand
how technologies can shape thought and
movement, where movement is an integral
part of the act of interaction between the body
and technological devices (Hansen, 2006). In
this way, the moving body becomes a model to
understand the active participation of the user
in interactive systems, and in a creation of the
experience through technological means.
This idea has been bolstered by a growing academic interest in design studies of interactions
with the choreographic sector, with a view to a
performative understanding of such an interaction. The need of further investigation on the
issue is confirmed by the increasing usage of
performance, theatre and dance in the designing of interactive systems, particularly since
the former are fields which can directly yield
the nature of human interactions with tech-
nology, whose contribution is then renegotiated as needs must.
Technology and choreography. A convergence of design
One of the most fascinating results of digital
exploration in dance over the last 30 years
has been the conscious separation of the body
from its movement. By shifting the focus from
a mimetic representation of the body in a virtual environment to a graphical representation
of motion, the application of the digital tool in
the dance context becomes a way to lay bare a
form of transmitting oral knowledge expressed
through the body. Choreographers’ interest in
understanding what processes we use when
we try to capture dance, and what disciplines might prove useful in understanding its
ephemeral nature, has led to the realization of
choreographic thinking in the form of devices
that can memorize, document and digitize the
body and its movement. Technology then becomes a way of describing the nuances of the
process leading to the finished form, allowing
us to perceive the dynamics behind the body’s
movement. The aim of such projects lies not
so much in the artistic production itself as in
the investigation of complementary elements
between performative practices and technological processes, where dance and the body
become a testing ground to analyse the issue
from the standpoint of the new media. One
example of this is Improvisation Technologies:
A Tool for the Analytical Dance Eyes, a CDROM developed by Volker Kuchelmeister in
collaboration with the choreographer William
Forsythe and ZKM, Zentrum für Kunst und
Medien of Karlsruhe. Released in 1999, it was
one of the first projects to digitally transcribe
dance. The CD contains 65 videos designed to
inspire choreographic creation. Forsythe’s improvisations in front of a camera have been reworked graphically in order to grasp the choreographer’s compositional thinking. While on
the one hand, dancers can observe the movement the body performed with hindsight, on
40
the other, an audience can understand what
they are watching with the sequence rearranged via a graphic language (img. 02). In this
way, dance becomes a field of experimentation
through which the body can be parametrized,
and at the same time a method of visualizing
the choreographer’s thinking. Thought as a
pattern which materializes in the body and reverses the usual conception of the relationship
between body and object, leading to a consideration of movement as a way by which we
can understand an interaction with a system
(Klooster, Overbeeke, 2005).
The body as a subject of technology
The use of digital technologies and software
challenges dance to redefine its creative possibilities. The most interesting cases arise
when choreographers do not use technology
as a simple tool but look at it as an active collaborator within a given dynamic and iterative
process (Carlson et al., 2016). For example, how
long does the subject linger on the edge of the
volume… (2005), a dance work by Trisha Brown
in collaboration with OpenEndedGroup (Marc
Downie and Paul Kaiser), is an interactive work
that uses dedicated AI software. A smart agent
captures the data from the dancers’ movement
on stage and reprocesses it to draw a dramatic
space in real time which is then projected onto
the forestage. In this collaboration, the body
is no longer merely seen within a stimulus/
response relationship, but as an actual creative support. The technological intervention
therefore takes place in support of the phantasmagorical projection of the body’s anatomy
into space.
If the body of the dancer is the subject of
technological experimentation, the subject
on which it is acting, the ultimate goal of such
technology is not the replacement of the body;
rather, technology interpreting the body by
projecting it into space, and complementing
it to become one of its potential functions.
Within a constant dynamic relationship, the
body may, or may not, relate to the system.
CORPI E CURA
One example being The Choreographic Language Agent (2009–2013), a software environment developed by the OpenEndedGroup for
choreographer Wayne McGregor. This is an AI
system used in the rehearsal studio in order
to investigate the potential of technological
agents to enhance a performer’s creative process. The idea behind the CLA is the ability to
create choreographies from a computer-recognized formal language inspired by the words
which McGregor used during rehearsals. The
CLA can act on propositions by modifying their
parameters and translating sentences into animations, using a binary model of points and
lines (img. 03). This is the end result of a collaborative process with specialists in artificial
intelligence, robotics, neurophysiology, cognitive sciences, along with digital artists, from
which Becoming was eventually developed, a
3D avatar displayed on a screen and animated
by AI which fosters choreographic creation in
the studio (Leach, DeLahunta, 2017). Autonomous in its decision-making, it acts as a digital
dancer that influences decisions to advance
the creative process.
Interfaces to analyse movement
Synchronous Objects for One Flat Thing, reproduced, created in 2009 by Forsythe in collaboration with Norah Zuniga Shaw and Maria
Palazzi of the Ohio State University Advanced
Computing Center for the Arts and Design
(ACCAD), consists of a web platform in which
data collected from dancers’ movements are
transformed into digital objects to explore the
dynamics and relational structures of choreography1. The stated objective is to expand
the target audience of dance by probing the
possibilities for interdisciplinary research in a
convergence between different sectors which
have looked to dance as a resource for work on
space, time, architecture and the dynamics of
social participation, while encouraging imagination of how these data might be expressed
visually (img. 04). The goal then becomes to
understand how the different approaches
of computer-aided design could be applied
to document, analyse, and transmit choreographic thought (DeLahunta, 2016), so that the
representation takes on the task of translating
imagery. By abolishing the dancer’s body, motion capture tools permit a transmutation of
the visual representation of dance into an intangible dimension which can dispense with
any reference to human morphology (img. 05).
In fact, the process leading to the development
of SOfOFTr starts from a question about what
other forms and likenesses physical thought
might take. The question here is asked of the
user who, when navigating, is faced with various possible answers. Dance is first quantified
by a collection of data and then transformed
into a series of synchronized digital objects
which reinterpret its underlying structure
(img. 06). The purpose of the data collection is
not to document or scientifically reconstruct
the choreography, but to prompt a creative and
visual recycling of the information received.
The materials produced are both investigative,
capturing specific dynamic or structural ele-
OFFICINA* N.41
ments of the choreography to enter Forsythe’s
choreographic thinking, and cognitive, to understand what can be seen in dance and how
to visualize such interpretations. Last but not
least, the platform provides an interactive choreography score, an interface which resembles
a video editing screen designed to display and
correlate all the data collected, in which movements can be sectioned right down to the finest detail (img. 07).
Conclusions
The above experiments are potential interdisciplinary reference models. They are the result
of a complex project which requires a mutual
understanding between the designer and the
choreographer, even if born in the choreographic field. The results are not intended to
be digitized dances to replace a live performance, but alternative places, in which digital
technologies are accepted and given the ability
to document aspects of choreographic creation and to present to the user the process as
well as what is traditionally not visible during
a performance. By taking movement as a pivot
around which different skills converge, the observation of case studies spotlights three goals.
The first is the ability to visualize movement. Visualizing the principles of movement
through a graphic language has enabled an
unprecedented approach to dance materials,
allowing an audience to acquire a set of analytical and pedagogical tools to appreciate the
choreography. In fact, representing movement
in a graphic form means abstracting it from its
ephemeral character by plotting replicable values: the movement does not define a form but
represents the idea which precedes the parametric constraints of the body.
The second goal is to consider how the complexity of the choreographic movement can be
quantified and adequately represented. This is
also the design limitation of movement digitization: for the computer, the dancer does not
exist. What the computer transcribes is the
movement of markers in space. However, restoring the complexity of the movements is not
simply a matter of collecting and processing
the data acquired by sensors, but also of making the intentions and sensations transmissible
and visible, along with the internal movements
of the body and the invisible and intangible aspects which go to make up any choreography.
Finally, the third goal highlights how the vision
and technical competence of the designer,
computer scientist or digital artist, together
with the choreographer and dancer’s knowledge of the body which then materialize in the
end product, become the way by which the
choreographic practice can be innovated, by
intervening on the initial proposals. The collaborative dimension with technology is not
only a dynamic process with the end user, but
is, first and foremost, a design dimension.
The cases proposed here are the result of highprofile experiments involving universities or
research centres interested in investigating
complementary elements in both performance
practices and technological processes. The
transition from desire to possibility therefore
41
requires a twofold understanding: what material is to be transmitted and which technologies are best suited to do so. The final form of
the devices is affected both by the collaborative development between the parties and by
the aesthetic and technical demands of the
technologies used.*
NOTES
1 – The abandonment in 2021 of Adobe Flash, on which
the Synchronous Objects interface was developed, effectively pulled the plug on this project, hindering its full
usability and yet again drawing attention to the built-in
obsolescence of digital technologies. To date, the site is
still open to visitors and serves as an archive.
Annarita Bianco
Designer, PhD candidate, Università degli studi della
Campania Luigi Vanvitelli.
annarita.bianco@unicampania.it
Il gioiello
contemporaneo nell’Era
dell’entanglement
01. Smaranda Voican, Aide-memoire, anello. PLA idrosolubile (2020) | Smaranda Voican, Aide-memoire, ring. Hydrosoluble PLA. (2020). Image courtesy by the author
42
CORPI E CURA
Dissolvere i confini
per affrontare la
complessità
Jewellery Design Practice in the Entanglement Era The intersection between
humanistic and techno-scientific research is
increasing awareness of the fact that every
entity on the planet is entangled, part of a
network of interspecies interdependencies.
By reinterpreting the body from a postanthropocentric perspective, contemporary
jewellery is exploring new paradigms linked
to the dissolution of traditional categories.
Through the analysis of case studies, the essay reflects on the new possibilities of using
the jewel artifact as an epistemological tool
capable of exploring unprecedented forms
of coexistence among the environment,
technology and living beings.*
La confluenza di ricerca umanistica e tecnoscientifica sta alimentando la consapevolezza che qualsiasi entità esistente sul
pianeta sia “entangled”, parte di una rete di
interdipendenze interspecie. Reinterpretando il corpo in chiave post-antropocentrica il
gioiello contemporaneo esplora nuovi paradigmi legati alla dissoluzione delle categorie
tradizionali. Attraverso l’analisi di casi studio,
il contributo riflette sulle nuove possibilità di
utilizzare l’artefatto gioiello come strumento
epistemologico in grado di indagare forme
inedite di coesistenza tra ambiente, tecnologia ed essere viventi.*
OFFICINA* N.41
l gioiello contemporaneo come strumento di ricerca
Il design del gioiello si presenta come una realtà
sfaccettata e poliedrica. Questo ambito progettuale spazia dalla preziosità dei materiali e perfezione
tecnica dell’alta gioielleria, alla transitorietà del gioiello
legato al settore della moda, all’esplorazione di pratiche
al confine tra arte e design. In particolare, il gioiello contemporaneo si caratterizza per la forte propensione alla
sperimentazione e all’innovazione sia per l’impiego di
tecniche e materiali non convenzionali, sia per la capacità di ridefinire il suo campo semantico.
Allontanandosi da un gioiello che trova la sua ragione
d’essere nella funzione estetica, decorativa o nelle logiche commerciali del fast-fashion, l’artefatto gioiello è in
grado di assumere il ruolo di una forma significativa di
produzione culturale. Come evidenzia Chiara Scarpitti
in Multipli singolari: “lontano da una frivola concezione
di ornamento, il fine ultimo di un gioiello contemporaneo non è quello di abbellire la persona attraverso
un’operazione di “decoro”, ma di innestare all’interno
dell’oggetto un valore immateriale, quello del pensiero
in grado di smuovere le menti e produrre conoscenza”
(Scarpitti, 2018, p. 34).
La creazione dell’oggetto-gioiello si basa sulla capacità di far confluire aspetti plurimi ed eterogenei come la
memoria della tradizione, la capacità di dialogare con la
tecnologia, la sensibilità nell’uso dei materiali; cerca di
soddisfare la necessità di rispondere a domande urgenti,
intesse una relazione doppia con chi indossa l’oggetto e
chi lo osserva. Queste caratteristiche sono interconnesse, intrecciate nel processo e nell’esperienza di realizzazione di un manufatto. Avvalendosi di uno scenario multidisciplinare (Unger, 2020, pp. 171-175) e andando ben
oltre l’aspetto estetico, il designer che opera nell’ambito
del gioiello contemporaneo è in grado di dare forma tangibile ai temi politici, alle questioni sociali, culturali e di
identità legati al corpo.
43
02. James T. Merry. The Greenman, gioello da viso. Foto: Tim Walker (2017) | James T. Merry. The Greenman,
headpiece. Photo: Tim Walker (2017). Image courtesy by the author
L’era dell’entanglement
A differenza del gioiello classico, che si muove seguendo il filo della tradizione, il gioiello contemporaneo è
strettamente connesso al tempo attuale e alle sue istanze
(Bergesio, 2008, p. 12).
Nel suo seminale saggio Contemporary jewellery in perspective, Damien Skinner analizza con un approccio trasversale il ruolo del gioiello contemporaneo. Fornendo
una lettura multidimensionale di questa area progettuale
l’autore pone una domanda fondamentale per la nostra
indagine: “in che modo il pensiero contemporaneo in altre discipline ci aiuta a ripensare il campo della gioielleria contemporanea?” (Skinner, 2013, p. 187). Il valore di un
gioiello contemporaneo risiede nella capacità di materializzare “pensieri, riflessioni, provocazioni e stati mentali”
dell’essere, dunque, espressione di una particolare “percezione dello zeitgeist” (Bergesio, 2008, p. 17). Quali sono
dunque i valori immateriali, legati al nostro tempo, che
l’artefatto gioiello può cogliere ed elaborare?
La nostra epoca è caratterizzata da una marcata complessità, la sovrapposizione e l’intreccio di emergenze di tipo
ambientale, sociale ed economico ha sottolineato come il
pensiero antropocentrico sia diventato inadeguato per la
comprensione della realtà attuale. La confluenza tra ricerca
scientifica e umanistica sta fornendo nuovi strumenti e metodi per interpretare l’epoca attuale. La rarefazione del cultural divide ha infatti permesso l’osmosi di saperi e la mutua
contaminazione tra differenti ambiti di pensiero.
Gli studi post-umanistici sembrano delineare un piano
comune nel quale il concetto di entanglement assume un
ruolo unificatore. Il termine mutuato dal linguaggio della
meccanica quantistica risulta espandibile su un piano filosofico-culturale per indicare uno “stato di correlazione, interdipendenza e coinvolgimento tra due, ma anche più termini, soggetti, situazioni, contesti posti a una certa distanza
nello spazio e nel tempo” (Barad, 2017, p. 13).
44
CORPI E CURA
03. James T. Merry, Tungljurt, gioiello da viso. Fee-Gloria Grönemeyer (2021) | James T. Merry, Tungljurt,
nosepiece. Photo: Fee-Gloria Grönemeyer. (2021) Image courtesy by the author
L’entanglement accoglie i concetti emergenti di “inter-relazione”, “co-esistenza” (Haraway, 2016) e mescolanza (Coccia, 2018) tra umano e non-umano, biologico e sintetico, fisico e digitale, ovvero include i nodi di un nuovo paradigma
ontologico che erode la visione antropocentrica e traccia la
strada per una co-evoluzione tra umano e non. In questa visione umani, animali, funghi, microrganismi e prodotti della tecnica sono agency
(Latour, 2005), entità parte di una rete
ibrida nella quale ciascuna contribuisce
in egual misura a plasmare la realtà. Ne
deriva che la struttura binaria cartesiana
che per secoli è stata alla base del pensiero occidentale – incentrato su dicotomie quali soggetto oggetto, identità-alterità, corpo-mente, biologico-sintetico,
umano-non umano, vita-non vita – è messa in crisi in maniera irreversibile e con essa la nozione stessa di integrità e
unitarietà dell’organismo-corpo.
Adottando un approccio critico (Dunne e Raby, 2013) designer e maker stanno esplorando questa rinnovata visione
dell’uomo e della sua dimensione corporea. I casi studio
presi in considerazione rappresentano una panoramica
sulle sperimentazioni avvenute a partire dal 2010. Tutte queste esperienze sono accomunate da un approccio
Il gioiello contemporaneo è
strettamente connesso al tempo
attuale e alle sue istanze
OFFICINA* N.41
transdisciplinare: mescolando tecniche tradizionali e processi digitali, i creativi si muovono al confine tra artigianato, design e arte performativa. Nel ricercare le nuove relazioni tra corpo e gioiello si interrogano su “quale tipo di
corpo” (Skinner, 2013, p. 68) sia oggetto delle loro pratiche
45
04. Carina Shoshtary, The Lonely Beast, copricapo; Icarus I, collana, PLA, denti di squalo
fossili, cristalli, perle usate, argento. Foto: Attai Chen (2019) | Carina Shoshtary, The Lonely Beast, headpiece; Icarus I, Necklace, PLA, fossil shark teeth, crystals, second hand
pearls, silver. Photo: Attai Chen (2019). Image courtesy by the author
05. Carina Shoshtary, Mantis, gioiello da viso; Shapeshifters, bracciali, PLA, pietra, lacca.
Foto: Attai Chen (2020) | Carina Shoshtary, Mantis, Mask, and Shapeshifters, Bracelets,
PLA, stone, lacquer. Photo: Attai Chen (2020). Image courtesy by the author
e contemporaneamente ne definiscono nuove morfologie.
Il corpo diviene luogo di sperimentazione per esprimere
una rinnovata connessione interregno, tra uomini e microrganismi, viventi ed ecosistemi.
so groviglio di relazioni” (Sheldrake, 2020, p. 29). Una presa di
coscienza che stimola i creativi a una riflessione sull’urgenza
di adottare un pensiero di tipo “ecologico” (Morton, 2010) e
li conduce a rinegoziare le relazioni con altre forme di vita.
Questa è la dimensione esplorata dai gioielli da volto di James T. Merry. Mescolando design, arte performativa e artigianalità, realizza oggetti eterei, veri e propri manufatti “chimerici” (Haraway, 2016) che richiamano il legame tra il corpo
umano e il mondo naturale. La pelle, membrana osmotica
predisposta allo scambio, sfuma i suoi confini e diviene permeabile aprendosi alla contaminazione interspecie (img. 02). Come dichiara lo stesso autore
nei suoi oggetti la vita sgorga “in un’esplosione di fertilità a
metà tra il germogliare di una quercia e la deposizione delle
uova di un corallo”. In Earthrise (img. 03) Merry disegna e realizza per Iris Van Herpen gioielli da viso che trasformano chi
li indossa in una creatura ibrida. Completano la collezione gli
oggetti indossabili alle estremità delle dita realizzati da Eichi
Chimere e simbionti
Gli studi di Lynn Margulis nel campo della microbiologia
“sull’olobioma” hanno evidenziato che l’umanità non è né la
specie dominante né realmente unica, in quanto il genere
umano emerge ed è sostenuto da una intricata rete di interdipendenza interspecie; una miriade di microrganismi,
batteri, simbionti ci colonizzano e sopravvivono con noi,
attraverso noi (Haraway, 2016).
Basti pensare che nel corpo umano coesistono da 1013 a
1014 microrganismi, pertanto la specie umana, in un certo
senso, non è umana. La nostra nozione preconcetta di umanità si dissolve: “siamo ecosistemi che travalicano i confini e
trascendono le categorie. Il nostro io emerge da un comples-
46
CORPI E CURA
Matsunaga, una sorta di estensione ramificata e protesica del
corpo umano e della nostra identità.
Nel loro lavoro emerge allo stesso tempo la complessità e
la bellezza degli ecosistemi, la simbiosi di tutti gli elementi, l’interconnessione nonché la fragilità di queste intricate
relazioni. Portando alla luce le creature nascoste i cui sforzi
invisibili plasmano gli ecosistemi della Terra, questi oggetti
indossabili traducono in forma poetica gli studi sull’enigmatico e meraviglioso impero dei funghi e dei miceli. Le
connessioni miceliari creano ponti interspecie e formano
il “tessuto connettivo ecologico, una linea di sutura vivente
che genera, sorregge il cerchio della vita e mette in relazione gran parte del mondo” (Sheldrake, 2020, p. 62).
Le relazioni ecologiche si materializzano specialmente in
termini di simbiosi, un tipo di relazione nella quale è impossibile definire un ordine gerarchico. Un incontro profondo con gli altri esseri che disvela un mondo di creature
insolite. “When we talk about life forms, we’re talking about
strange strangers. The ecological thought imagines a multitude of entangled strange strangers” (Morton, 2010, p. 15).
Sul filo di questa stranezza si muove la
ricerca dell’artista del gioiello Carina
Shoshtary. Nella sua pratica la mescolanza tra il regno animale e vegetale assume una dimensione onirica e fantastica: intrecciando immagini naturali e
visioni surreali materializza la sua idea
di una natura parallela. Per il suo Hunter project Shosthary come una moderna cacciatrice-raccoglitrice, ricerca i
materiali nell’ambiente naturale: conchiglie, perle, coralli,
piante secche, fossili, pietre che ingloba in strutture tanto intricate quanto raffinate realizzate in PLA (img. 04).
I suoi gioielli modellati sul corpo e pensati per modificarne l’anatomia, trasportano chi le indossa in una dimensione fluida nella quale si fondono ritualità arcaica e visioni
future. I suoi gioielli richiamano orchidee, licheni, alghe,
falene, ma anche esseri mitologici come sirene, tritoni e
fauni (img. 05). Le trasparenze sono mescolate a toni accesi e fluorescenti che ricordano le profondità oceaniche,
colori cangianti come livree di uccelli, iridescenze che trasformano creature di micromondi terrestri in esseri alieni.
L’indagine di una nuova corporeità interspecie abbinata a
tecnologie emergenti come l’intelligenza artificiale e il gene-editing è al centro della pratica multidisciplinare di Ana
Rajcevic. Combinando arte, ricerca biomedica e
sperimentazione dei materiali, Ana Rajcevic genera
“identità ibride” in grado di mettere in discussione
e rinegoziare i confini corporei. Il suo lavoro indaga il confine tra umano e animale generando una creatura mitologica
atemporale, aldilà del passato e del futuro. In particolare
con la serie Animal - The Other Side of Evolution esplora
l’altra faccia dell’evoluzione, immaginando una umanità che
non abbia reciso il contatto con la propria natura animale
e si sia sviluppata in “sinctonia” (Haraway, 2016) con il proprio ambiente naturale. Le sue prosthetic body-sculptures,
alterando la conformazione del corpo, si interrogano sul
suo stesso divenire. Queste sono in grado di materializza-
Il genere umano emerge ed è
sostenuto da una intricata rete di
interdipendenza interspecie
OFFICINA* N.41
re la visione di un mondo alternativo, nel quale l’uomo non
considera gli altri animali come una risorsa da sfruttare a
proprio vantaggio, ma diventa piuttosto parte del tutto, lasciandosi plasmare dai processi naturali.
Metamorfosi virtuali
In un’era di collasso ambientale, sociale ed economico i creativi sono coinvolti nel comprendere come modelli di sviluppo e
scelte collettive influenzano l’equilibrio del pianeta; è dunque
centrale la volontà di alimentare un pensiero di tipo ecologico.
47
06. Smaranda Voican, Aide-memoire, filtro facciale (2020) | Smaranda Voican, Aide-memoire, face filter (2020). Image courtesy by the author
Il gioiello diviene uno strumento per “restare a contatto con
il problema” (Haraway, 2016), riflettere sull’impatto umano
sugli ecosistemi e aumentare la consapevolezza ambientale.
Un esempio di questo approccio è il lavoro di Smaranda Voican. Adottando un linguaggio che mescola design e
scultura, la designer affronta il tema della distruzione de-
corporea di generare forme che illustrano metaforicamente
e concretamente l’impatto dell’uomo su questo fenomeno.
La narrazione degli oggetti viene estesa mettendo in connessione l’artefatto fisico con immagini digitali (img. 06);
attraverso l’uso di simulazioni 3D e filtri di Instragram si
genera un dialogo tra reale e virtuale in grado descrivere nuovamente i confini dell’oggetto.
La dimensione della realtà aumentata diviene un nuovo campo nel quale esplorare scenari percettivi legati a intrecci
multispecie. Su questo piano si muovono
le sperimentazioni di molti creativi, tra cui Sarah Mayer,
Johanna Jaskowska e Ines Alpha. Quest’ultima, esplorando
le infinite possibilità offerte dai software 3D, ha iniziato a
immaginare le implicazioni della libertà estetica offerta dal
digitale nella definizione dell’immagine corporea. Nel progetto Interspecies Gossip, realizzato in collaborazione con
Monika Seyfried e Henriette Kruse, mostra la crescita di
Il gioiello diviene uno strumento per
“restare a contatto con il problema”
gli ecosistemi artici facendo confluire artefatti fisici e augmented reality. Nel progetto Aide-memoire (img. 01) i gioielli stampati con un polimero idrosolubile e biodegradabile
esplorano la progressione dello scioglimento dei ghiacciai.
Il materiale effimero contribuisce alla visualizzazione dello
stato dei ghiacciai stessi: le interazioni del soggetto come
toccare, afferrare, sostenere, permettono alla temperatura
48
CORPI E CURA
organismi viventi digitali sulla pelle, esseri dall’apparenza
ultraterrena, che grazie a una palette dai toni freddi e iridescenti trasportano l’utente in una dimensione espansa.
Il progetto articolato in tre step – iniziazione, crescita e immersione – integra dimensione fisica e virtuale in un unico processo. Nella fase di “iniziazione” si invita il soggetto
ad esplorare la pelle come luogo performativo, dispositivo
di connessione con un universo microscopico. La
fase di “crescita” materializza interfacce chiamate
Objects of Attraction, oggetti viventi creati nei wet
lab del CRI di Parigi a partire dal Saccharomyces cerevisiae.
Infine la fase di “immersione” abbatte la separazione tra
mondo biologico e computazionale: il soggetto protagonista e i vari organismi si mescolano, culminando in una fusione tra entità biologiche e digitali.
Direzioni del gioiello contemporaneo
Da un’analisi delle ricerche descritte emerge una tendenza a rinnovare la geografia corporea del gioiello: il viso e
le estremità divengono i luoghi più indagati e modificati.
In primo luogo, il viso è la parte anatomica maggiormente
significativa: strumento primario di comunicazione e affermazione dell’identità è stato oggetto di una grande riscoperta, in risposta alle restrizioni subite durante la pandemia. Il gesto ancestrale di modificare le sembianze umane,
dipingendo, tatuando o adornando il viso, viene riletto in
chiave contemporanea. Analogamente, i gioielli protesici indossati alle estremità delle dita esprimono l’esigenza
di andare aldilà dei limiti dell’epidermide: questi artefatti conducono il soggetto verso una metamorfosi simbolica nella quale la vita si estende oltre i confini corporei.
Una seconda tendenza è l’espansione del gioiello su di un
piano virtuale. In particolare, l’utilizzo dei social media e la
diffusione di software per la creazione di filtri ha permesso
l’emersione di un gioiello effimero e fittizio. La augmented
reality permette l’immersione in un mondo liberato dai vincoli fisici della materialità nel quale poter simulare nuove
OFFICINA* N.41
identità. Poiché “il gioiello non è solo un segno esteriore,
ma una parte incorporata dell’azione della società sul corpo del singolo” (Bergesio, 2013, p. 12) questi oggetti, siano
essi reali o virtuali, manifestano la necessità di sviluppare
un senso di connessione con gli altri viventi e gli ecosistemi.
Designer e creativi sovrascrivendo, alterando e ridefinendo i tratti somatici esprimono simbolicamente la necessità
di attuare azioni che permettano a tutti gli esseri di prosperare su questo pianeta. “Diversi coralli, diverse persone,
diverse popolazioni sono in gioco, insieme e le une per le
altre. O la prosperità verrà coltivata come una responsoabilità multispecie senza l’arroganza degli dèi celesti e dei
loro emissari, o la terra biodiversa scivolerà in qualcosa di
estremamente vischioso, come qualunque sistema adattativo complesso sovraccarico che non ha più la forza di incassare un insulto dopo l’altro” (Haraway, 2016, p. 86).*
BIBLIOGRAFIA
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of Matter and Meaning. Durham: Duke University Press.
– Bergesio, M. (2007). Timetales. Time’s percerptions in reserch jewellery. Barcelona: Grupo Duplex.
– Coccia, E. (2018). La vita delle piante. Metafisica della mescolanza. Bari: il Mulino.
– Dunne, D., Raby, F. (2013). Speculation Everything. Cambridge: MIT Press.
– Haraway, D. J. (2016). Staying with the trouble: making kin in the Chthulucene. Chthulucene. Sopravvivere su un pianeta infetto. Roma: Nero Edizioni.
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Oxford: Oxford University Press.
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– Skinner, D. (2013). Contemporary jewelry in perspective. New York: Lark Jewelry & Beading.
– Unger, M. (2019). Jewellery in context: A multidisciplinary framework for the study of
jewellery. Stuttgart: Arnoldsche Art Publishers.
49
Annarita Bianco
Jewellery Design
Practice in the
Entanglement Era
Blurring boundaries to face complexity
Contemporary jewellery as a tool for research
Jewellery design field can present itself as varied and multifaceted. This area of design ranges
from the precious materials and exquisite technical perfection of fine jewellery, to the ephemeral nature of fashion jewellery, to the exploration of techniques on the borderline between
art and design. In particular, contemporary jewellery is defined by a strong tendency towards
experimentation and innovation, both in the use
of unconventional techniques and materials, as
for its ability to redefine its semantic field.
When straying from the traditional notions
of jewellery as rooted in aesthetic, decorative
roles or in the commercial logic of fast-fashion,
the jewel artifact can take on the role of an important form of cultural production. As Chiara
Scarpitti highlighted in Singular Multiples: “far
from a frivolous conception of ornament, the
ultimate goal of a contemporary jewel is not to
beautify the person through an operation of
‘decoration’, but to insert an immaterial value,
that of thought capable of moving minds and
producing knowledge” (Scarpitti, 2018, p. 34).
Developing the jewel relies on the capacity to
bring together multiple and heterogeneous
aspects like traditional memory, the ability to
have a dialogue with technology, a sensibility in the use of materials; it means trying to
provide an answer to urgent questions, establishing a dual relationship between the wearer
of the object and its observer. These characteristics are interconnected, woven into the
process and experience of crafting. Leveraging a multidisciplinary scenario (Unger, 2020,
pp. 171-175) and going well beyond the aesthetic
aspect, designers operating in the field of contemporary jewellery can breathe tangible form
into political themes, social and cultural issues
and identity aspects linked to the body.
The age of entanglement
Unlike classic jewellery, which evolves along
the lines of tradition, contemporary jewellery
is intricately connected to the present and its
immediacy (Bergesio, 2008, p. 12).
In his seminal essay Contemporary jewellery
in perspective, Damien Skinner analysed the
role of contemporary jewellery from a multidisciplinary approach. Looking at this field of
design from multiple perspectives, the author
poses a fundamental question for our research:
“how does contemporary thinking in other disciplines help us to rethink the field of contemporary jewellery?” (Skinner, 2013, p. 187). The
value of a contemporary jewel lies in its ability
to materialize “thoughts, reflections, provocations and mental states” of being, therefore, an
expression of a unique “perception of the zeitgeist” (Bergesio, 2008, p. 17). So, what are the
intangible values linked to our time that a jewel
can capture and elaborate upon?
Our era is defined by a marked complexity, the
overlapping and intertwining of environmental,
social and economic crises has underlined how
an anthropocentric perspective has become
inadequate for interpreting our current reality.
The confluence of scientific and humanistic research is providing new tools and methodologies for interpreting the present. The rarefaction of the cultural divide has in fact permitted
the osmosis of knowledge and the intermingling between different fields of thought.
Post-humanistic studies seem to shed light on
a shared field wherein the concept of entanglement assumes a unifying role (img. 01). The
term, borrowed from the jargon of quantum
mechanics, can be employed on a philosophical-cultural level to describe a “state of correlation, interdependence and engagement
between two, but even more terms, subjects,
situations and contexts placed at a certain distance in space and time” (Barad, 2017, p. 13).
Entanglement encompasses the emerging
concepts of inter-relationship, co-existence
(Haraway, 2016) and mingling (Coccia, 2018)
between human and non-human, biological
and synthetic, physical and digital, i.e. it spans
the nodes of a new ontological paradigm,
which erodes the anthropocentric vision and
paves the way for a co-evolution between human and non-human. From this perspective,
50
humans, animals, fungi, microorganisms and
technical products are “agency” (Latour, 2005),
entities part of a hybrid network wherein each
contributes equally to shaping reality. It follows that the Cartesian binary structure, which
for centuries has been the basis of Western
thought (centred on dichotomies such as subject object, identity otherness, body mind, synthetic biological, human non-human, life and
non-life) is irreversibly undermined and along
with it, the very notion of the integrity and
oneness of the organism-body.
Employing a critical approach (Dunne and
Raby, 2013) designers and makers are exploring this renewed vision of humankind and its
bodily dimension. The case studies considered
give an overview of experiments that have
occurred since 2010. All these experiences
share a transdisciplinary approach: mixing
traditional techniques and digital processes,
creatives are operating on the fringes between
craftsmanship, design and performance art.
By exploring the new relationships between
body and jewel, they question “what kind of
body” (Skinner, 2013, p. 68) is the object of their
practice while simultaneously defining new
morphologies. The body becomes a place for
experimentation and to express a renewed interregnum connection between humans and
microorganisms, living beings and ecosystems.
Chimeras and symbiotes
Lynn Margulis’ studies in the field of microbiology on the holobiont have highlighted the fact
that humanity is neither the dominant species
nor is it truly unique, since humankind has risen
and is sustained by an intricate web of interspecies interdependencies; a myriad of microorganisms, bacteria and symbionts colonize us
and survive with us, through us (Haraway, 2016).
Suffice it to say that 1013 to 1014 microorganisms cohabit the human body, which is to say
that, in a certain sense, the human species is
not human. Our preconceived notion of humanity dissolves: “We are ecosystems that
span boundaries and transgress categories.
CORPI E CURA
Our selves emerge from a complex tangle of
relationships...” (Sheldrake, 2020, p. 29). This
awareness compels creatives to ponder the
urgency of adopting an ecological framework
(Morton, 2008) and leads them to renegotiate
their relationships with other forms of life.
This is the realm explored by James T. Merry’s
face jewels. By mixing design, performance art
and craftsmanship, he creates ethereal objects, real chimeric artifacts (Haraway, 2016)
that recall the link between the human body
and the natural world. The skin, an osmotic
membrane predisposed for exchanges, blurs
its boundaries and becomes permeable, open
to interspecies mingling (img. 02). As the author himself declares, life springs forth in his
objects “in an explosion of fertility halfway
between the budding of an oak tree and the
spawning of a coral” (link 1). In Earthrise (img.
03) Merry designs and develops face jewels for
Iris Van Herpen that transform the wearer into
a hybrid creature. The collection is completed
by objects designed by Eichi Matsunaga, which
are to be worn on the tips of the fingers, as a
sort of branched and prosthetic extension of
the human body and our identity.
Their work simultaneously highlights the
complexity and beauty of ecosystems, the
symbiosis of all elements, the interconnection
and fragility of all these intricate relationships.
By shedding light on these hidden creatures
whose unseen efforts shape the Earth’s ecosystems, these wearable objects transform
into poetry the research into the enigmatic
and wondrous empire of fungi and mycelia.
Mycelial connections create interspecies links
and form the “ecological connective tissue,
the living seam by which much of the world is
stitched into relation” (Sheldrake, 2020, p. 62).
Ecological relationships materialize especially
in terms of symbiosis, a type of relationship
wherein it is impossible to define a hierarchical
order. A profound encounter with other beings
reveals a world of unusual creatures. “When
we talk about life forms, we’re talking about
strange strangers. The ecological thought imagines a multitude of entangled strange strangers” (Morton, 2008, p. 15). Jewellery artist
Carina Shoshtary explores the boundaries of
this strangeness. In her work, a blend between
the animal and vegetable kingdom takes on a
dreamlike and fantastic dimension: by mixing
natural images and surreal visions, she breathes
life into her vision of a “parallel nature”. For her
Hunter project, Shoshtary, acting as a modernday hunter-gatherer, seeks her materials in the
natural environment: shells, pearls, corals, dry
plants, fossils and stones that she incorporates
into structures as intricate as they are refined,
made of PLA (img. 04). Her jewels, modelled
after the human body and designed to change
its anatomy, transport the wearer into a fluid
dimension wherein archaic rituals and future
visions merge. Her jewels recall orchids, lichens, algae and moths, but also mythological beings like sirens, tritons and fauns (img.
05). Transparencies are mixed with bright and
fluorescent tones that bring to mind the ocean
depths, the shimmering plumage of birds, and
iridescent colours that transform microscopic
OFFICINA* N.41
terrestrial creatures into alien beings.
Exploring a new interspecies corporeality
combined with emerging technologies such
as artificial intelligence and gene-editing is
at the centre of Ana Rajcevic’s multidisciplinary practice. By combining art, biomedical
research and materials experimentation, Ana
Rajcevic creates “hybrid identities” (link2) that
question and renegotiate bodily boundaries.
Her work tests the frontier between human
and animal by creating a timeless mythological
creature, beyond past and future. In particular, with the series Animal - The Other Side of
Evolution (img. 06) she explores the flip side
of evolution, envisioning humans that have
not severed contact with their animal nature
and instead developed in synchrony (Haraway, 2016) with their natural environment. Her
prosthetic body-sculptures alter the body’s
structures, questioning its own becoming.
These sculptures materialize the vision of an
alternate world where humans do not perceive
other animals as a resource to be exploited for
their own advantage, but rather become part
of a whole, allowing themselves to be shaped
by natural processes.
Virtual metamorphosis
In our age of environmental, social and economic collapse, creatives partake in understanding how development models and collective choices impact the planet’s balance; which
is why ecologically-framed thinking is essential.
The jewel becomes a tool to “stay with the
trouble” (Haraway, 2016), to reflect on humanity’s impact on the ecosystems and to increase
environmental awareness.
An example of this approach is the work of
Smaranda Voican. By adopting a language
that blends design and sculpture, the designer
tackles the theme of the destruction of Arctic
ecosystems, by combining physical artifacts
and augmented reality. In the Aide-memoire
project (img. 07) jewels printed with a watersoluble and biodegradable polymer explore
the progression of glacier-melt. The ephemeral material helps visualize the condition of
glaciers themselves: the subject interacts with
the object by touching, grasping, holding, and
this allows the body’s temperature to generate forms that metaphorically and concretely
illustrate humanity’s impact on this phenomenon. The narration of the objects is enhanced
by connecting the physical artifact with digital
images (img. 08); through the use of 3D simulations and Instagram filters, a dialogue is created between the real and online world capable
of redefining the object’s boundaries.
Augmented reality becomes a new field in
which to explore perception scenarios focused
on multispecies interweaving. Many creatives
are focusing their experiments along these
lines, including Sarah Meyer, Johanna Jaskowska and Ines Alpha. The latter has explored the
infinite possibilities offered by 3D software,
and began envisioning the implications of the
aesthetic freedom offered by digital in defining body image. In the Interspecies Gossip
project, created in collaboration with Monika
Seyfried and Henriette Kruse, she focused on
51
the growth of digital living organisms on the
skin, beings with an otherworldly appearance,
with a palette of cold and iridescent hues that
transports the user to an enhanced dimension. The project, which spans three distinct
chapters (initiation, growth and immersion)
integrates the physical and virtual dimensions
into a single process. In the initiation chapter,
the subject is invited to explore the skin as a
performative place, a connection device with
a microscopic universe. The growth chapter
materializes interfaces called Objects of Attraction (link 3), living objects created in the
wet labs of the CRI in Paris based on Saccharomyces cerevisiae. Finally, the immersion
chapter breaks down the boundary between
the biological and computational world: the
protagonist of the story and various organisms
coalesce, culminating in a merger between
biological and digital entities.
The path forward for contemporary jewellery
By analysing the explorations described we
can identify a trend towards renewing the
corporeal geography of the jewel: the face and
the limbs are the most explored and modified locations. Firstly, the face is the most relevant anatomical component: a primary tool
for communication and for the affirmation of
identity, it has been the subject of a great rediscovery, which responds to the restrictions suffered throughout the pandemic. The ancestral
gesture of modifying human features through
painting, tattoos or adornments of the face is
reinterpreted in a contemporary key. Similarly,
the prosthetic jewels worn on the tips of the
fingers express the need to go beyond the limits of the skin: these artifacts lead the subject
towards a symbolic metamorphosis wherein
life extends beyond the confines of the body.
A second trend is expanding the jewel on a virtual plane. In particular, the use of social media
and the diffusion of software for creating filters has fostered the emergence of an ephemeral and fictitious jewel. Augmented reality
allows immersion into a world free from the
physical constraints of materialism, wherein
simulating new identities becomes possible.
Since “the jewel is not only an external sign, but
an incorporated part of the action of society on
the body of the individual” (Bergesio, 2013, p.
12) these objects, whether real or virtual, reveal
the need to develop a connection with other
living beings and ecosystems. By overwriting,
altering and redefining somatic traits, designers and creatives symbolically express the
need to implement actions that allow all beings
to thrive on this planet. “Diverse corals and diverse people and peoples are at stake to and
with each other. Flourishing will be cultivated
as a multispecies response-ability without the
arrogance of the sky gods and their minions,
or else biodiverse terra will flip out into something very slimy, like any overstressed complex
adaptive system at the end of its abilities to absorb insult after insult” (Haraway, 2016, p. 86).*
Valeria Tatano
Professoressa ordinaria, Tecnologia dell’architettura,
DPC, Università Iuav di Venezia.
valeria.tatano@iuav.it
Rosaria Revellini
Assegnista di ricerca, arch. PhD, Tecnologia dell’architettura,
DPC, Università Iuav di Venezia.
rosaria.revellini@iuav.it
Corpi esclusi
01. Breath. Alison Lapper Pregnant Opera di Marc Quinn esposta sull’isola di San Giorgio a Venezia per la 55° Biennale di arte. Si tratta della versione gonfiabile dell’originale in marmo installato nel
2005 a Trafalgar Square, a Londra, in occasione della cerimonia di apertura dei Giochi paralimpici | Breath. Alison Lapper Pregnant Marc Quinn sculpture at San Giorgio Island in Venice for the 55th
Biennale of Art. This is the inflatable version of the original marble one installed in 2005 in Trafalgar Square in London, at the opening ceremony of the Paralympic Games. artebacheca.com
La dimensione
corporea della
disabilità nel progetto
per l’accessibilità
ambientale
Excluded Bodies Barriers in cities and public
spaces limit the autonomy of movement
and life of people with physical disabilities.
In this way, discrimination is more evident
and fosters ableism, an ever-expanding approach that tends to favour bodies that can
perform and develop as autonomous and
self-sufficient entities, while discriminating
those that do not correspond to standards
arbitrarily set by society.
The paper focuses its attention to the body
dimension of disability and its role concerning projects for environmental accessibility,
to overcome the dualism between “able”
bodies and “dis-abled” bodies and aims at
the construction of buildings and spaces for
real bodies.*
Città e spazi pubblici non accessibili limitano
l’autonomia di movimento e di vita delle
persone con disabilità fisica, e nel contempo
accentuano le discriminazioni favorendo
l’abilismo, un approccio in espansione che
tende a privilegiare corpi che possono
esibirsi e svilupparsi come entità autonome e
autosufficienti discriminando quelli che non
corrispondono a standard fissati arbitrariamente dalla società.
Il paper focalizza l’attenzione sulla dimensione corporea della disabilità e sul suo
ruolo rispetto al progetto per l’accessibilità
ambientale, al fine di superare il dualismo tra
corpi “abili” e “dis-abili”, e tendere alla costruzione di edifici e spazi per corpi reali.*
OFFICINA* N.41
ntroduzione
Lo spazio pubblico è stato a lungo negato alle persone con disabilità fisica a causa delle barriere architettoniche che ne hanno reso difficile o impossibile la fruizione, fino a quando una cultura dell’inclusione più matura
e diffusa, supportata da un approccio al progetto attento
alle necessità di tutti, ha modificato le città rendendole
maggiormente accessibili, consentendo autonomia di movimento e favorendo una vita indipendente.
Potendo spostarsi e socializzare, le persone con disabilità
si sono potute “mostrare”, esponendo i propri corpi, a lungo
confinati in casa e quindi invisibili, allo sguardo degli altri.
Uno sguardo spesso giudicante, esito di atteggiamenti che
oscillano tra l’inspiration porn, con l’esaltazione di gesti di
fatto normali, il body shaming, con la derisione di qualcuno
per il suo aspetto fisico, e l’abilismo, inteso come il pregiudizio che, partendo dal presupposto che tutti abbiano un
corpo abile, finisce con il discriminare le persone disabili
(Acanfora, 2021; Liddiard e Goodley, 2016; Tausiig, 2022).
La disabilità e la sua storia, in quanto evoluzione di una
presa di coscienza collettiva dell’importanza dell’inclusione, hanno scandito ciclicamente gli ultimi decenni, alternando posizioni diverse, perché oltre alle lotte per la parità e i diritti, compreso quello dell’accessibilità fisica, ogni
periodo storico “ha un proprio stile riconoscibile rispetto
all’interpretazione e alla rappresentazione della disabilità,
che ne determinano lo sguardo, i comportamenti, le pratiche” (Bocci e Straniero, 2020, p. 55).
In questi anni convivono due approcci quasi contrapposti: il modello medico e quello sociale. Il primo, proposto a partire dagli anni Settanta, parte dall’assunto che
le persone siano rese disabili dai loro corpi, il secondo
che sia la società (e l’architettura inadeguata) a rendere disabili. Una posizione intermedia è rappresentata dal
modello biopsicosociale, utilizzato dall’ Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e che fa interagire i due
precedenti, secondo il quale, come sostiene il sociologo
53
02. Città e spazi inclusivi devono consentire a tutti di muoversi in autonomia e libertà | Inclusive cities and spaces have to allow everyone to move
autonomously and freely. Valeria Tatano, 2023
Tom Shakespeare: “le persone sono rese disabili sia dalla
società sia dal proprio corpo” (Shakespeare, 2017, p. 107).
Su questo sfondo in costante evoluzione opera il progetto per l’accessibilità ambientale che mira a rendere gli
spazi, a tutte le scale, fruibili e sicuri per il maggior numero di persone. Fino ad anni recenti, per raggiungere questo obiettivo erano sufficienti professionisti specializzati
e norme di riferimento, ma per andare oltre il “semplice”
superamento delle barriere architettoniche e operare una
reale inclusione, la formazione specialistica (Morin, 2000),
pur fondamentale, non basta per fornire una risposta veramente efficace. È importante, infatti, che i saperi del progetto vengano integrati con una cultura interdisciplinare,
alimentata dalla letteratura scientifica, quasi sempre di
provenienza accademica (Albrecht et al., 2001), e da quella
divulgativa, spesso legata a stakeholder e attivisti, fondamentale per comprendere il punto di vista e le necessità
degli utenti (Acanfora, 2021; Savino, 2022; Tausiig, 2022).
La dimensione corporea della disabilità
Tra gli aspetti che il progetto deve considerare se vuole
fornire un contributo fattivo vi è quello legato alla dimensione corporea della disabilità, intesa come l’insieme degli
elementi che partecipano a formare la rappresentazione
e la percezione del corpo delle persone con disabilità,
agli altri e a sé stesse. In questa elaborazione concettuale, frutto di una costruzione sociale e culturale che vale
in generale per il corpo umano, persino la raffigurazione
di questo nei disegni, e le dimensioni che lo connotano,
indispensabili per progettare, non sono il risultato di un
semplice elenco di misure.
Gli interessi delle discipline del progetto si sono concentrati sul corpo, inteso come modello di riferimento per
l’architettura, in modo più scientifico a partire dalla prima
metà del Novecento, identificando l’uomo adulto attivo (raramente la donna) come riferimento ideale. Accanto alle
misure antropometriche proposte dai manuali di progetta-
54
CORPI E CURA
zione e di ergonomia, legati all’idea di un corpo standardizzato nelle misure e nei movimenti, ma comunque derivati
da dati oggettivi, Le Corbusier elabora nel 1948 (seguito
da una seconda versione nel 1955) il Modulor, che orienterà il Movimento Moderno nel costruire un nuovo rapporto più funzionale e razionale tra architettura e utente.
Si tratta di una misura armonica, universalmente applicabile all’architettura e alla meccanica ma, come nota Rob Imrie
rifacendosi a Beatriz Colomina, “la concezione unidimensionale del corpo diffusa da Le Corbusier, la rappresentazione delle persone come asessuate, e la sua preoccupazione con l’istituzione di uno standard “corporale abile” serve
ad affrontare quello che Le Corbusier ha
individuato essere il problema della perfezione” (Imrie, 2017, p. 24).
Il rientro in patria dei reduci del Secondo conflitto mondiale, e più tardi dalla
guerra in Vietnam, costringe la società a
guardare corpi lontani dai modelli proposti: corpi feriti, mutilati, invalidi, che l’architettura non aveva fino a quel momento
considerato, e per i quali diviene necessario rendere accessibili i luoghi di vita.
Lewis Mumford inserisce un ulteriore elemento di criticità
evidenziando come i progettisti avrebbero dovuto cominciare a valutare le esigenze della persona in base alle diverse fasi
della vita, seguendo l’evoluzione dei corpi e delle loro necessità rispetto all’ambiente costruito (Mumford, 1949).
Questi e altri passaggi hanno portato alle attuali misure
antropometriche che, pur includendo una maggiore varietà
di corpi e ausili rispetto al passato, restituiscono solo gli
“ingombri” delle persone, utili per gli obblighi normativi
più che occasione di riflessione per il rapporto tra uomo e
spazio. Del resto, le foto delle architetture proposte dalle
riviste di settore ci hanno abituato all’assenza delle persone, considerate non necessarie a comprendere il progetto e
vissute come un elemento di disturbo.
Osserva Bernard Tschumi: “Non c’è da stupirsi che il
corpo umano sia sempre stato sospetto in architettura; ha
sempre posto limiti alle più estreme ambizioni architettoniche. Il corpo disturba la purezza dell’ordine architettonico”
(Tschumi, 1994, p. 123).
Se il corpo, anche quando “perfetto”, è percepito come
un elemento di disturbo, come può essere inteso quello di
una persona con disabilità?
È in questo sfondo che si colloca il percorso che ha condotto all’attuale dimensione corporea della disabilità, che ha
scontato secoli di negazione e occultamento, rispetto ai quali
la situazione è migliorata (Zappaterra, 2010; Bocci e Straniero,
L’ambiente inaccessibile o
accessibile in modi “diversi” e non
realmente inclusivi finisce con
accentuare il dualismo, separando
ed escludendo
OFFICINA* N.41
2020), pur lasciando questioni aperte e importanti contraddizioni. Il corpo subisce ancora un uso strumentale, essendo
ritenuto il principale indicatore della disabilità, come conferma una indagine secondo la quale per la maggior parte delle
persone l’idea di disabilità è connessa a quella fisica, piuttosto
che alle disabilità intellettive o sensoriali, meno visibili (Censis, 2010). Condizione ribadita dalla narrazione dell’inspiration porn in cui azioni normali come trascorrere una serata
in discoteca vengono esaltate a beneficio di un pubblico non
disabile, trasmettendo implicitamente l’idea che costituiscano una eccezione. Ma se gli spazi e gli edifici delle nostre città
fossero normalmente accessibili, e non una rarità da evidenziare con appositi cartelli, questo racconto perderebbe di
senso e le persone si con-fonderebbero nella vita quotidiana.
55
03. Gli spazi fluidi che caratterizzano il Rolex Learning Center di Losanna di SANAA| Fluid spaces that characterize the Rolex Learning Center in Lausanne by SANAA. Valeria Tatano, 2019
56
CORPI E CURA
Invece, dimenticato, discriminato ed escluso prima, il
corpo delle persone con disabilità è divenuto oggetto di una
narrazione che oscilla tra la “retorica della compassione”,
presente ad esempio nelle campagne pubblicitarie per la
raccolta dei fondi per la ricerca (Bocci e Straniero, 2020), e
l’esaltazione degli atleti paralimpici, attraverso l’uso di una
immagine di corpo “compromesso” all’interno di una società che celebra continuamente la perfezione fisica (img. 01).
Alla costruzione di questo storytelling distorto contribuiscono il progetto architettonico e le scelte che attraverso
esso si compiono nel dare risposte di accessibilità più o
meno inclusive.
Criticità e nuovi obiettivi per il progetto dell’accessibilità ambientale
L’ambiente inaccessibile, e nello stesso modo l’ambiente
accessibile in modi “diversi”, non è realmente inclusivo, ed
evidenzia la presenza di persone con disabilità, accentuando il dualismo, separando ed escludendo.
È il caso dei bagni dedicati, attrezzati con
sanitari dal carattere “ospedaliero” e logo
sulla porta per identificarli: “a norma”,
uno uguale all’altro in quanto risultato
delle indicazioni obbligatorie per legge,
eppure simili a bagni medicalizzati anche
quando non ce ne sarebbe bisogno, a fronte di esempi di
servizi igienici che, pur essendo dotati degli elementi necessari a essere funzionali e sicuri per tutti, si caratterizzano per la funzionalità e la bellezza dello spazio.
Ogni volta che la soluzione proposta è “speciale” (i bagni
per i disabili vs i bagni; la rampa “per i disabili” vs le scale;
l’ascensore per i disabili vs l’ascensore per tutti; ecc.) l’architettura separa gli utenti, le loro strade, le loro storie.
Superata la fase in cui poteva essere considerato sufficiente fornire soluzioni specifiche per persone con disabilità, oggi è il momento di offrire soluzioni che consentano
lo stesso livello di movimento e autonomia a tutti, potendo
scegliere tra opzioni diverse1. Per questi motivi, e anche in
relazione alle nostre esperienze di ricerca in tale ambito
(Tatano e Revellini, 2021), possiamo sostenere che persino un
progetto a norma rischia di non risultare davvero inclusivo
se non va oltre l’obiettivo di garantire il solo requisito tecnico, domandandosi se la soluzione proposta è quella che meglio risponde alle richieste di gran parte della popolazione.
Come non mancano esempi di progetti che propongono
un rapporto diverso tra spazio e fisicità delle persone, offrendo modalità di uso e di spostamento che ogni utente
può scegliere in base alle proprie esigenze. Sui piani inclinati del Rolex Learning Center di Losanna, ad esempio, si
cammina, ci si distende, si parla e si gioca, sperimentando
una totale libertà di interazione tra corpo e ambiente costruito. Quando le pendenze si fanno impegnative, scale,
rampe e piattaforme meccaniche inclinate movimentano
ulteriormente questa architettura organica, consentendo
forme multiple di fruizione (img. 03).
Un progetto per uno spazio inclusivo
rispetta le norme e le differenze
delle persone che lo vivono
OFFICINA* N.41
Il pericolo è di arrivare a casi di “architettura inclusiva
tossica”, con soluzioni apparentemente corrette che sono
invece esempi di abilismo, come possono essere considerate le stramp (acronimo di stair + ramp) o le altalene speciali per i bambini in carrozzina2: le prime pericolose (la
rampa che taglia diagonalmente la scalinata è rischiosa per
chi le utilizza a piedi e per chi è in carrozzina) e le seconde di fatto escludenti, in quanto riservate solo a chi le usa
mediante la sedia a rotelle, non ammettendo la presenza
di altri bambini. Esistono invece elementi, come quelli per
i parchi giochi, ad esempio le giostrine rotanti accessibili
o gli scivoli raggiungibili da tutti, in cui i bimbi possono
57
04. Evoluzione del simbolo internazionale della disabilità. In ordine (da sinistra a destra): la
prima versione stilizzata del 1968; la versione universalmente nota del 1969 che rappresenta
meglio la figura umana; il pittogramma universale derivato dall’Accessible Icon Project che rimanda a una figura in movimento; l’Accessibility logo proposto dall’ONU che rimanda all’uomo
vitruviano e nel quale non vi è più alcun richiamo alla disabilità o al corpo ‘compromesso’ | The
evolution of the international disability logo. From the left to the right: the first stylized version
realized in 1968; the universally known 1969 version that best represents the human figure;
the universal pictogram derived from the Accessible Icon Project and that refers to a figure
in motion; the Accessibility logo proposed by the UN that refers to the Vitruvian man and in
which there is no longer any reference to disability or the ‘compromised’ body. Rielaborazione
di Rosaria Revellini, 2022
divertirsi insieme, come dimostrano alcune realizzazioni
recenti come l’area giochi Tutti a bordo di Rimini e il parco
inclusivo di Fontanaviva (PD)3.
Un ulteriore cambiamento che andrebbe incentivato riguarda la sostituzione del logo internazionale della disabilità, legato a un’immagine fisica non più in grado di identificare la molteplicità di significati che questa parola ha
acquisito nel tempo, elaborando un disegno che meglio
rappresenti l’idea di inclusione (img. 04).
Va peraltro sottolineato che, nel caso italiano, una tale
modalità di intervento è collegata a norme tecniche arretrate, basate su indicazioni prescrittive, necessarie ma
non più sufficienti, caratterizzate da una terminologia e
un approccio generale orientati a fornire soluzioni specifiche e non per tutti, come invece tentano di fare l’Inclusive Design (Clarkson et al., 2003) e l’Universal Design (UD)
(Preiser e Smith, 2011).
situazioni tipiche della scala architettonica e urbana, che
avrebbero necessità di una estensione di simili assiomi.
Conclusioni
Quanto esposto rende evidente come il ruolo del progetto non possa limitarsi a trovare soluzioni tecniche per
eliminare le barriere esistenti, ma debba tentare strade di
reale inclusione attraverso gli strumenti che gli sono propri
e altri che deve imparare a conoscere e usare. Per cambiare direzione, il progetto per l’accessibilità ambientale deve
innanzitutto aggiornarsi, interagendo con discipline quali la
psicologia e la sociologia, in grado di meglio contestualizzare e spiegare (anche ai professionisti) l’importanza di realizzare spazi accessibili, in cui movimento e autonomia vengano garantiti a tutti, consentendo una vita indipendente (e
felice) che non alimenti la contrapposizione tra corpi abili
e corpi dis-abili (img. 05). In tal senso la contaminazione
disciplinare è sempre più determinante e
vale in tutte le direzioni, per imparare e
insegnare, vicendevolmente.
Un simile percorso potrebbe essere
agevolato dal supporto delle associazioni
e degli attivisti, interlocutori privilegiati e non solo fruitori finali del progetto.
L’espressione “Nothing about us, without us”, principio e slogan dei movimenti per i diritti delle persone con disabilità,
diffusasi in tutto il mondo a partire dagli anni Novanta, è
uno dei fondamenti dei movimenti internazionali e potrebbe costituire la normale declinazione del principio dell’architettura partecipata che gli architetti italiani hanno conosciuto attraverso il pensiero di Giancarlo De Carlo.
Questa sinergia non toglie al progetto i suoi aspetti ideativi e creativi, né le sue responsabilità, ma pone le basi per
costruire un rapporto dialettico e operativo con gli utenti.
Come spiega con grande chiarezza Rebekah Tausiig raccontando la sua vicenda personale, la disabilità è pronta a
contribuire a una conversazione che sfidi vecchi paradigmi
L’architettura deve progettare
e costruire edifici e spazi per
corpi reali
Quest’ultimo, oltre a una attenzione rivolta a un’ampia
varietà di utenti, è reso operativo da sette princìpi definiti nel 1997 da un gruppo di lavoro composto da architetti,
designer, ingegneri e ricercatori guidati da Ronald Mace, il
teorico dell’UD (Preiser e Smith, 2011). Il principio definito
“flessibilità d’utilizzo”, ad esempio, mira a realizzare oggetti e ambienti che possano essere utilizzati da persone con
abilità diverse, mentre la “percettibilità delle informazioni”
indica come il progetto debba comunicare le informazioni
necessarie all’utilizzatore, prevedendo una varietà di tecniche o strumenti usati anche da persone con limitazioni
sensoriali. Princìpi fondamentali e utilissimi per il design
industriale, che non riescono a coprire l’eterogeneità di
58
CORPI E CURA
e ponga nuove domande su cosa significhi o su cosa potrebbe significare essere umani, per arrivare a far parte, tutti, di
una storia collettiva.
“I corpi disabili [...] sono un serbatoio in larga parte non
sfruttato, in attesa di aggiungere consistenza e profondità,
nuove battute e trame, curiosità e sfumature, adattabilità e
accesso, alla nostra comprensione di cosa significhi vivere
insieme in questo pianeta [...] La disabilità può offrire storie
nuove per navigare un mondo in continuo cambiamento”
(Tausiig, 2022, p. 124) nel quale l’architettura può sostenere un processo di “democratizzazione delle pratiche architettoniche e costruttive”, con l’obiettivo di sviluppare un
design non abilista (Imrie, 2017, p. 30), che non idealizzi la
perfezione di alcuni corpi discriminando quelli che vengono percepiti come diversi, perché l’architettura deve progettare e costruire edifici e spazi per corpi reali.*
NOTE
1 – Una selezione di esperienze e città accessibili è raccolta nel lavoro condotto dall’INU
per il progetto ‘Città accessibili a tutti’, consultabile alla pagina: atlantecittaccessibili.inu.it/
(ultima consultazione gennaio 2023).
2 – Alcuni esempi sono illustrati nel blog: pepitosaincarrozza.it/3-esempi-di-architetturainclusiva-tossica (ultima consultazione gennaio 2023).
3 – Per approfondire il tema dei parchi inclusivi si consiglia il sito: parchipertutti.com/
(ultima consultazione gennaio 2023).
OFFICINA* N.41
05. Indicazioni nel Campus Ca’ Foscari a Mestre, Venezia. Tra i segnali ne spicca uno che
riporta il logo della disabilità, sollevando un dubbio: tutte le altre mete sono inaccessibili? |
Directions in Ca’ Foscari Campus in Mestre, Venezia. Among the signs stands one that bears
the disability logo: are all other destinations inaccessible? Valeria Tatano, 2022
BIBLIOGRAFIA
– Acanfora, F. (2021). In altre parole. Dizionario minimo di diversità. Firenze: Effequ.
– Albrecht, G.L, Seelman, K.D., Bury, M. (2001). Handbook of Disability Studies. Thousand Oaks: Sage.
– Bocci, F., Straniero, A. M. (2020). Altri corpi. Visioni e rappresentazioni della (e incursioni
sulla) disabilità e diversità. Roma: RomaTre.
– Clarkson, J., Coleman, R., Keates, S., Lebbon, C. (2003). Inclusive Design. Design for the
whole population. London: Springer.
– Imrie, R. (2017). The body, disability and Le Corbusier’s conception of the radiant environment.
In Boys, J. (a cura di), Disability, Space, Architecture: A Reader. New York: Routledge, pp. 22-32.
– Liddiard, K., Goodley, D. (2016). The mouth and dis/ability. Community dental health, 33 (2),
pp. 152-155.
– Morin, E. (2000). La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero.
Milano: R. Cortina.
– Mumford, L. (1949). Pianificazione per le diverse fasi della vita. Urbanistica, 1, pp. 6-11.
– Preiser, W., Smith, K.H. (2011). Universal Design Handbook, Second Edition. New York:
McGraw Hill.
– Savino, R. (2022). Abilismo in città, tra barriere architettoniche e culturali. In Bellacicco,
R., Dell’Anna, S., Micalizzi, E., Parisi, T. (a cura di), Nulla su di noi senza di noi. Una ricerca
empirica sull’abilismo in Italia. Milano: Franco Angeli, pp. 137-144.
– Shakespeare, T. (2017). Disabilità e società. Diritti, falsi miti, percezioni sociali. Trento: Erickson.
– Tatano, V., Revellini, R. (2021). Accessibilità urbana a Venezia tra conservazione e
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Approcci ed esperienze tra tecnologia e restauro. Conegliano: Anteferma, pp. 244-251.
– Tausiig, R. (2022). Felicemente seduta. Il punto di vista di un corpo disabile e resiliente.
Morlupo: Le plurali.
– Tschumi, B. (1994). Architecture and Disjunction. Cambridge; London: MIT Press.
– Zappaterra, T. (2010). La dimensione corporea nella disabilità. Da oggetto di
occultamento a medium formativo. Humana.Mente, 14, pp. 147-154.
59
Valeria Tatano, Rosaria Revellini
Excluded Bodies
The body dimension of disability in the project
for environmental accessibility
Introduction
Public space has long been denied to people
with physical disabilities due to architectural
barriers that have made their use difficult
or impossible. This has been the case until
a more mature and widespread culture of
inclusion, supported by a project approach
attentive to the needs of all, has changed cities by making them more accessible, allowing autonomy of movement and favouring an
independent life.
Being able to move and socialize, people with
disabilities have been able to “show” themselves, revealing their bodies, which have
long been confined to the home and therefore invisible to the gaze of others. It is a gaze
that is often judgmental, because of behaviours ranging from inspiration porn, with
the exaltation of normal acts, body shaming,
with the derision of someone only for his or
her physical appearance, and ableism, understood as the prejudice that ends up discriminating against disabled people, starting from the assumption that everyone has
an “able” body (Acanfora, 2021; Liddiard and
Goodley, 2016; Tausiig, 2022).
Disability and its history, intended as an evolution of a collective awareness of the importance
of inclusion, have cyclically marked the last decades, alternating different positions, because in
addition to the struggles for equality and rights,
including that of physical accessibility, every historical period “has its own recognizable style with
respect to the interpretation and representation
of disability, which determine its look, behaviour,
practices” (Bocci and Straniero, 2020, p. 55). Currently, two almost opposing approaches coexist,
namely the medical and social models. The first
one (started in the 1970s) considers that people
are made disabled by their bodies; the second
believes that it is society – and inadequate architecture – to make people disabled. Instead,
the biopsychosocial model represents an intermediate position: it has been used by the World
Health Organization (WHO) and it is the blending
of the two previous models. According to this last
model, in the words of Tom Shakespeare, “people
are made disabled by both society and their bodies” (Shakespeare, 2017, p. 107).
The project of environmental accessibility operates on this constantly evolving background
whose goal is to make spaces, at every scale,
usable and safe for the greatest number of people. Until recent years, specialized professionals
and standards of reference were considered to
be sufficient for achieving this goal. However,
to go beyond the “simple” overcoming of architectural barriers and bring about real inclusion,
specialist training (Morin, 2000), though essential, is not enough to provide a truly effective
answer. Knowledge of the project must be integrated with an interdisciplinary culture, fed by
scientific literature, almost always of academic
origin (Albrecht et al., 2001) and even of an informative nature, often linked to stakeholders
and activists, fundamental for understanding
the point of view and the needs of users (Acanfora, 2021; Savino, 2022; Tausiig, 2022).
The body dimension of disability
Among the aspects that the project has to consider in order to provide a true contribution, we
must take into account the one related to the
body dimension of disability. It is intended as the
set of elements that participate in forming the
representation and perception of the body of
people with disabilities, to others and themselves.
In this conceptual process, fruit of a sociocultural construction that is true in general for
the human body, even body representation in
drawings and characterizing dimensions – that
are indispensable for designing – are not the
result of merely a list of measures.
From the first half of the Twentieth century,
the design disciplines have focused their attention on bodies in a more scientific way.
The human body, and in particular the active
adult man’s body (rarely that of the woman),
has been taken as an ideal reference for architecture. In addition to the anthropometric
measurements proposed by the design and
ergonomics manuals, which were linked to the
idea of a standardized body in measures and
movements but still derived from objective
data, in 1948 (followed by a second version in
1955) Le Corbusier elaborates the Modulor. It
will guide the Modern Movement in building a
new, more functional and rational relationship
between architecture and the user. The Modulor is a harmonic measure that is possible to
apply universally to architecture and mechani-
60
cal engineering but, as Rob Imrie says, referring to Beatriz Colomina, “the onedimensional
conception of the body propagated by Le Corbusier, the portrayal of people as asexual, and
his pre-occupation with the establishment of
an ‘able-bodied’ standard to face what Le Corbusier characterised as the problem of perfection” (Imrie, 2017, p. 24).
With the return home of veterans of the Second World War, and later from the war in Vietnam, society has to look at bodies that are
different from the proposed models: wounded,
mutilated, invalid bodies, which architecture
had not previously considered, and for which
it would become necessary to make the places
of life accessible.
Lewis Mumford adds another element of criticality, highlighting how designers should begin
to assess the needs of the person according to
the different stages of life, following the evolution of bodies and their needs concerning the
built environment (Mumford, 1949).
These and other steps have led to the current
anthropometric measurements that, while
including a greater variety of bodies and aids
than in the past, return only people’s “footprint”. These measures are useful for regulations rather than being an opportunity for reflection on the relationship between man and
space. After all, specialized magazines propose
architectural photos without people, considered unnecessary for understanding the project and experienced as a disturbing element.
Bernard Tschumi observes that “no wonder
the human body has always been suspect in architecture; it has always set limits to the most
extreme architectural ambitions. The body
disturbs the purity of architectural order” (Tschumi, 1994, p. 123). Consequently, if the human
body, even when it is “perfect”, is perceived as a
disturbing element, how can the body of a person with disabilities be understood?
It is in this place where we find the process that
has led to the current body dimension of disability, which has undergone centuries of denial
and concealment, compared to which, the situation is an improvement (Zappaterra, 2010; Bocci e Straniero, 2020), while leaving in its wake
open questions and important contradictions.
The human body still undergoes instrumental
use, being considered the main indicator of
disability. A Censis survey confirms that, for
most people, the idea of disability is connected
to physical disability, rather than to less visible intellectual or sensory disabilities (Censis,
CORPI E CURA
2010). This condition is confirmed by the inspiration porn narrative, in which normal actions
– like spending an evening in the disco, for
example, are exalted for the benefit of a notdisabled audience, implicitly conveying the
idea that the disabled constitute an exception.
Nonetheless, if the spaces and buildings of our
cities were normally accessible and barrierfree, and not a rarity to be highlighted with
special signs, this story would lose its meaning and people would become confused in
everyday life. Instead, the body of people with
disabilities has been already forgotten, discriminated and excluded and now it has become the subject of a narrative that oscillates
between the “rhetoric of compassion”, present
for example in advertising campaigns to raise
funds for medical research (Bocci and Straniero, 2020), and the exaltation of Paralympic
athletes, through the use of a “compromised”
body image within a society that continually
celebrates physical perfection.
The architectural project and the choices that
are made through it in giving more or less inclusive accessibility responses contribute to
the construction of this distorted narrative.
Criticalities and new objectives for the project of environmental accessibility
The inaccessible environment, and even an accessible environment but in “different” ways,
is not inclusive and highlights the presence of
people with disabilities, accentuating dualism,
separating and excluding. This is the case of
the public toilets specifically for the disabled
and characterized by “hospital” bathroom fixtures and a specific logo on the door to identify
them. They are “standard” toilets, one equal to
the other as a result of mandatory indications
by law, yet similar to medicalized bathrooms
even when there would not be any need for
it, in the face of some examples of bathroom
facilities that are characterized by the functionality and beauty of the space, despite being
equipped with the necessary elements to be
functional and safe for all.
Every time that the proposed solution is
“special” (bathrooms for disabled people vs
bathrooms; a ramp for people with motor impairments vs stairs; elevator for people with
disabilities vs elevator for all; etc.) the architecture divides people, their routes, and their
stories.
The stage when it could be considered sufficient to provide specific solutions for people
with disabilities has to be overcome. The present time is the moment for providing solutions able to guarantee the same level of movement and autonomy to all people, thanks to
different options1. For these reasons, and also
in relation to our research experiences in this
field (Tatano and Revellini, 2021), it is possible
to say that even a project following the standard could not be truly inclusive if it does not go
beyond the objective of ensuring just the technical requirements, asking ourselves if the proposed solution is the one which best responds
to the needs of the majority of the population.
There is no lack of projects proposing a different relationship between space and the physi-
OFFICINA* N.41
cality of people and offering several modes
of use that each user can choose to suit their
needs. For example, on the inclined floors of
the Rolex Learning Centre in Lausanne, one
can walk, relax, talk and play, experiencing total freedom of interaction between the body
and the built environment. When the slopes
are more demanding, stairs, ramps and inclined mechanical platforms further move this
organic architecture, allowing multiple forms
of fruition (img. 03).
On the contrary, there is the risk of arriving at
examples of “toxic inclusive architecture”, with
apparently correct solutions – that are instead
examples of ableism – as in the case of the socalled stramp (acronymous of stair + ramp) or
the special swings for children in wheelchairs2.
In fact, the stramp is dangerous (the ramp that
diagonally cuts the staircase is risky both for
those who use them on foot and for those in
wheelchairs), while the special swings are exclusionary because they are reserved only for
wheelchair users, not allowing the presence
of other children. Although playground equipment usable for all children together – such as
the accessible rotating rides, or the slides accessible to all – do exist, as it is possible to see
in the recent play area Tutti a bordo in Rimini
and the inclusive park in Fontanaviva (PD)3.
Another important change to be promoted
concerns the replacement of the international
disability logo which is related to a physical image no longer able to identify the multiplicity
of meanings that this word has acquired over
time. For this reason, it is necessary to develop
a new logo that better represents the idea of
inclusion (img. 04).
Furthermore, in the Italian context, a similar
intervention method is related to old regulations that are based on prescriptive guidance.
They are necessary but not sufficient, characterized as they are by terminology and the
general approach which is oriented at providing specific solutions that are not for all people,
contrary to what Inclusive Design (Clarkson et
al., 2003) and Universal Design (UD) try to do
(Preiser and Smith, 2011).
The latter, in addition to directing its attention
to a wide variety of users, is characterized by
seven principles defined in 1997 by a research
team composed of architects, designers, engineers and researchers and led by Ronald Mace,
the UD theorist (Preiser and Smith, 2011). For
example, the principle of “Flexibility in use”
seeks to create objects and environments that
can be used by people with different abilities,
while “Perceptible information” indicates how
the project should communicate the necessary
information to the user, providing for a variety
of techniques or tools also used by people with
sensory limitations. The UD principles are fundamental and useful for industrial design, but
they cannot cover the heterogeneity of situations representative of the architectural and
urban scale, which would require an extension
of similar axioms.
Conclusion
The above makes evident how the role of the
project cannot be limited to finding technical
61
solutions for removing existing barriers, but it
has to attempt ways of real inclusion through
its own instruments and others that it should
get to know and learn how to use. The project
for environmental accessibility has to update
itself to change direction and interact with
other disciplines, such as psychology and sociology. These disciplines could contextualize
and more clearly explain the importance of
creating accessible spaces (even to professionals), in which movement and autonomy
are guaranteed to all people, allowing an independent (and happy) life that does not feed the
opposition between able and dis-abled bodies
(img. 05). For this reason, disciplinary contamination is increasingly decisive and applies in all
directions, to learn as well as to teach each
other.
Associations and activists could help in this
sense because they represent privileged interlocutors and not only final users of the project.
The expression “Nothing about us, without
us” is a principle and a slogan used by movements for the rights of people with disabilities
and has become widespread all over the world
since the 1990s. It is one of the most important
international movements in this context and it
may be interpreted as the normal declination
of the principle of participatory architecture
that Italian architects have known through Giancarlo De Carlo.
The resulting synergy does not take away from
the project its creative and creative aspects,
nor its responsibilities, but lays the foundations for building a dialectical and operational
relationship with users.
Telling her personal story, Rebekah Tausiig
explains very clearly that disability is ready to
contribute to a conversation that challenges old
paradigms and asks new questions about what
being human means or what it could mean, to
allow everyone to be part of a collective story.
“Disabled bodies [..] are a largely untapped
reservoir, waiting to add texture and depth,
new lines and textures, curiosity and nuances,
adaptability and access, to our understanding
of what it means to live together on this planet.
[..] Disability can offer new stories to navigate a
changing world” (Tausiig, 2022, p. 124) in which
architecture can support a process of “democratization of architectural and constructive
practices”, with the aim of developing a nonableist design (Imrie, 2017, p. 30), that does
not idealize the perfection of some bodies by
discriminating those that are perceived as different, because architecture has to design and
build buildings and spaces for real bodies.*
Notes
1 – A selection of experiences and accessible cities is
collected in the INU work about the “Città accessibili a
tutti” project, available at the page: atlantecittaccessibili.
inu.it/ (last accessed January 2023).
2 – Some examples are available at the blog: pepitosaincarrozza.it/3-esempi-di-architettura-inclusiva-tossica (last
accessed January 2023).
3 – More info about the issue of the inclusive park at
the website: parchipertutti.com/ (last accessed January
2023).
Eleonora Barosi
Fashion Designer.
barosieleonora@gmail.com
Erminia D’Itria
PhD, Ricercatore, Dipartimento di Design,
Politecnico di Milano.
erminia.ditria@polimi.it
Federica Vacca
PhD, Professore Associato,
Dipartimento di Design, Politecnico di Milano.
federica.vacca@polimi.it
Left(L)overs
01. Left(L)overs la piattaforma digitale del servizio di progettazione di capi pre-loved | Left(L)overs the digital platform of the pre-loved garment design service. Eleonora Barosi
62
CORPI E CURA
Semantizzare gli scarti
nel Sistema Moda
Left(L)overs The linear economy model
within the fashion industry manifests the
phenomena of overproduction and consumerism that feed the “logic of waste” and
require a change in operating models by designers. This article addresses the take-care
topic as a creative, necessary, thrifty, and
radical act, outlines different design interventions associated with fashion designers’
practice, and identifies potential trajectories of design experimentation. The project
Left(L)overs is presented as an outcome of
this exploration process.*
Il modello di economia lineare all’interno del
settore moda ha manifestato una generale
tendenza a fenomeni di sovrapproduzione e
consumismo che alimentano la “logica dello
scarto” e richiedono un cambiamento dei modelli operativi da parte del designer. L’articolo
approfondisce il tema del taking-care come
atto creativo, necessario, parsimonioso e radicale cercando di delineare diverse tipologie di
intervento progettuale connesse alla pratica
del fashion designer e individuando possibili
traiettorie di sperimentazione progettuale.
Come risultato di questo processo di esplorazione si presenta il progetto Left(L)overs.*
OFFICINA* N.41
enesi dello scarto nel Sistema Moda
Ancora oggi, il modello economico dominate nel
settore Moda è quello lineare (take-make-dispose)
che, come sostenuto dalla Fondazione Ellen Macarthur (2018),
sfrutta le risorse naturali per poi smaltirle direttamente senza
tenere conto del loro potenziale di rigenerazione circolare e
di riutilizzo nel successivo ciclo produttivo e/o di consumo
(Braungart e McDonough, 2009). Così, fenomeni di sovrabbondanza produttiva, consumismo compulsivo, obsolescenza
fisica e semiotica (Fabris, 2010, p. 170) del prodotto-moda culminano in comportamenti irresponsabili di accumulo seriale
e precoce dismissione dei capi. Un sistema economico basato principalmente sulla disaffezione anticipata degli oggetti a
causa di un sistema che incessantemente, produce diverse e
continue narrazioni (Fabris, 2010).
In questo panorama, lo scarto si afferma come conseguenza diretta di un’offerta che risulta essere eccessiva,
fuorviante e distorta. Pertanto, lo scarto diventa entità e ne
acquista tutte le caratteristiche: valore, importanza e –soprattutto – gravità (Binotto e Payne, 2017). Nel sistema-moda contemporaneo è possibile identificare due tipologie di
scarto principali: pre-consumo e post-consumo. Il primo è
un dato empirico che è associato alle diverse fasi che costituiscono la catena di realizzazione del bene e che pongono
l’accento sulla necessità di progettare il cambiamento già
nei processi progettuali a monte del sistema moda (De Castro, 2021). Il secondo, oggetto privilegiato di questa trattazione, è legato all’obsolescenza del prodotto moda e riflette la sempre più frequente cessazione del legame emotivo
da parte del consumatore nei confronti degli oggetti che
possiede, che perdono velocemente di valore e diventano
scarto troppo presto. Alla luce di queste considerazioni,
l’articolo intende discutere l’urgenza di un ripensamento
dello scarto post-consumo per il sistema Moda. Nello specifico intende indagare sulla cultura del taking-care come
approccio progettuale mediato dal design, con l’obiettivo di
individuare e generare traiettorie di sviluppo positivo at-
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02. Look 1. In origine “la giacca di papà” | As it was: dad’s
jacket. Eleonora Barosi
03. Look 1. Riparare, ridimensionare e ridisegnare come approccio progettuale di taking-care | Repaired, resized and
restyled as a taking-care design approach. Eleonora Barosi
traverso la valorizzazione sostenibile del patrimonio di conoscenza materiale.
Metodologia della ricerca
I dati alla base del presente articolo derivano in parte dal bacino di conoscenza prodotta dal Laboratorio di Ricerca Fashion
in Process (FiP) del Dipartimento di Design del Politecnico di
Milano1 e dall’altra dalle indagini condotte per supportare la
tesi di ricerca magistrale Left(L)overs (Barosi, 2022) condotta sul
concetto di scarto nell’industria della moda per una sua semantizzazione e ri-configurazione creativa all’interno del sistema.
Dal punto di vista metodologico, lo studio sulla cultura
del taking-care come approccio progettuale per il sistemamoda è stato articolato in tre fasi.
La prima si è focalizzata nell’identificazione degli approcci progettuali al taking-care. Attraverso una ricerca preliminare (desk research) sono stati individuate 50 realtà del
sistema moda che hanno dimostrato di aver messo in atto
originali ed efficaci strategie progettuali mirate al prolungamento del ciclo di vita del prodotto moda. Il risultato è
stato il riconoscimento del ruolo del designer come attivatore della cultura del taking-care, attraverso strategie di
progettazione mirate alla minimizzazione dello scarto o al
prolungamento del ciclo di vita dei capi. Nello specifico, gli
approcci progettuali individuati sono stati clusterizzati in
tre macro-gruppi:
– activist design, che promuove una visione della moda
attraverso l’attivismo sociale, come Fashion Revolution
o Clean Clothes (De Castro, 2021). In questa prospettiva il taking-care è inteso come percorso rivoluzionario
che parte dall’educazione verso un design consapevole,
responsabile e attento alla sostenibilità nella sua dimensione olistica;
– hacktivist design, che promuove una visione della moda
che sfrutta il potere e l’intensità di brand famosi per alimentare creazioni riciclate, disassemblate ere ingegne-
64
CORPI E CURA
04. Look 1. Dettagli: il rammendo creativo come esplorazione emotiva | Details: creative mendingasemotionalexploration. Eleonora Barosi
OFFICINA* N.41
65
05. Look 2. In origine “la giacca del nonno” | As it was: grandfather’s jacket. Eleonora Barosi
06. Look 2. La manipolazione come processo di semantizazione dello scarto | Manipulation as a process of semantization of waste. Eleonora Barosi
rizzate per alimentare nuove estetiche secondo i codici prestabiliti della moda, come nel caso di Katerina
Ivankov e Gentucca Bini (Perris et al., 2020);
– craftivist design, che promuove una visione della moda
come pratica artigianale che trasla contenuti della tradizione in approcci di cura, come Otto von Busch (2008)
e Denise Bonapace (Franzo e Vaccari, 2020). In questo
ambito la cura è intesa come l’utilizzo di tecniche artigianali espressione di eccellenza manifatturiera locale
tramite un approccio guidato dal design che rigenera il
contenuto dei capi.
La seconda fase ha approfondito, attraverso interviste semistrutturate, 15 dei 50 casi individuati che si sono dimostrati
eccellenti nella gestione e riutilizzo dello scarto. L’obiettivo è
stato quello di indagare e approfondire il valore che lo scarto
può assumere in una sua ri-semantizzazione progettuale attraverso le metodologie progettuali legate al taking-care, che
sono state riorganizzate in tre differenti direzioni:
66
– Downcycling/valore d’uso, ovvero i capi vengono riciclati e trasformati in altri materiali e/o prodotti di minore qualità e valore generando un processo di abbassamento continuo della qualità e del valore (Tshifularo
e Patnaik, 2020);
– Second hand/valore di distribuzione, quando si trasferiscono i propri capi di abbigliamento ad altri soggetti per
ricavare del profitto dal noleggio o vendita. Una forma
di economia circolare oggi messa in profonda discussione dagli elevati costi legati alla logistica e alle spedizioni
(Nicol-Schwarz, 2022);
– Upcycling/valore di produzione, che si focalizza sul
“riuso creativo” dei componenti del prodotto raggiungendo un valore d’uso del capo superiore a quello in
origine. Questo processo risulta essere particolarmente virtuoso perché consiste nella riprogettazione
creativa del prodotto stesso attraverso fasi di disassemblamento e ricomposizione delle parti di un capo,
CORPI E CURA
07. Look 2. Dettagli: applicazioni, arricciature e manipolazioni materiche | Details: applications, gathering, and textilemanipulations. Eleonora Barosi
OFFICINA* N.41
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sfidando le logiche di creatività e re-invenzione tipiche del processo metodologico creativo di un designer
(Vadicherla et al., 2017).
L’ultima fase è stata caratterizzata da un approccio sperimentale capace di combinare i dati delle precedenti due fasi
per definire e tracciare traiettorie virtuose tese alla riconfigurazione del rapporto tra sistema moda e scarto. In questa
terza fase si inserisce la tesi magistrale Left(L)overs, che si
configura in un servizio di taking-care per la moda e che
opera sull’abbigliamento pre-loved (imgg. 02-05), post-prodotto e post-consumo, attraverso operazioni di upcycling e
con un approccio di craftivist design con l’obiettivo di risemantizzare il capo attraverso un intervento di cultura materiale e artigianale.
La metamorfosi dello scarto. Il caso Left(L)overs
Left(L)overs deriva dalla volontà di donare una seconda vita
ai leftovers – non solo intesi come sfridi di produzione/lavorazione o materiale fermo di magazzino – ma anche scarti di
guardaroba, intesi come abiti lasciati all’oblio. È un sistema
che pone l’attenzione sulla pratica artigianale del rammendo
rammendo e dal ricamo per sviluppare tecniche uniche e
creative come il patchwork e l’agugliatura (img. 07).
Attraverso l’applicazione di competenze legate al rammendo o al ricamo creativo, il designer riesce a ricostruire
una relazione emotiva del rapporto individuo-abito. Grazie
a questo potere rigenerante, il gesto progettuale del rammendo non può che valorizzare le trame del tempo passato
e le memorie frammentate. La metodologia intrapresa per
delineare la piattaforma digitale del servizio di progettazione
(img. 01) consiste in una espansione dei confini della pratica
artigianale, tenendo in considerazione la potenzialità della
longevità emotiva del capo d’abbigliamento (De Castro, 2021;
Von Busch, 2008; Laitala, 2015; Cooper et al., 2017).
Rammendare non è altro che una pratica basata su una
serie di piccoli punti uniti intessuti nella trama che servono a rinforzare una zona logorata o danneggiata dall’uso di
un capo d’abbigliamento o di un tessuto, volti generalmente
all’allungamento del ciclo di vita. Ma rammendare, come suggerisce De Castro (2021, p. 1) “è uno stato mentale” che crea
una connessione emotiva con il capo di cui ci si prende cura.
Segni e cuciture che diventano il racconto di una relazione
progettuale e di un racconto interiore.
La messa in pratica di un esercizio appartenente all’immaginario della tradizione
diviene una rivisitazione critica della pratica artigianale e un’attività in cui la tecnica,
traslata da un immaginario domestico e da
un ruolo conservativo, assume una funzione attiva, connettiva e finalmente visibile (Von Busch, 2008).
Le pratiche artigianali narrano una storia di affetto affidata a
quella lentezza che secondo Giordano (2012) deriva dell’intimo gesto manuale, restando estranee alle dinamiche di velocità delle mode. Grazie a questo potere rigenerante, il gesto progettuale del rammendo echeggia le trame del passato
come memorie frammentate (Ducrot, 2008). Il rammendo
acquista oggi la valenza polisemica di una terapia sociale allo
stesso tempo collettiva e individuale che nasce dall’incessante pratica di ibridazione e re-iterazione della cultura mate-
Emerge un ruolo sempre più attivo
e centrale del designer che agisce
come facilitatore di longevità
e del ricamo ri-generativo come strumento progettuale accessibile, scalabile e multidisciplinare.
Left(L)overs è una piattaforma digitale che offre un vero e
proprio servizio di riprogettazione di scarti di abbigliamento post-consumo (imgg. 03-06). Il progetto è sostanziato da
una esplorazione progettuale sulle pratiche tessili tradizionali legate al tema della cura (img. 04) ed è volto alla codifica
di approcci e processi per colmare le tre specifiche necessità di un capo pre-loved: l’usura, la macchia e la “rimessa a
modello”. Lavorazioni manuali e a macchina che partono dal
68
CORPI E CURA
riale (Vacca, 2013). In Left(L)overs, il ruolo del design è quindi
fondamentale per promuovere sensibilizzazione e attivare
una cultura taking-care. Emerge, quindi, un approccio guidato dal design che ha come obiettivo la rigenerazione delle
pratiche basate sulla tradizione e dei loro significati culturali.
Le azioni progettuali si fondono su approcci transdisciplinari
e transculturali, in un’ottica di localismo cosmopolita sostenibile (Brown e Vacca, 2022) in grado di rivitalizzare un capo di
abbigliamento destinato alla dismissione.
Conclusioni
Questo articolo ha discusso come il sovraccarico generato dal modello lineare nell’ambito del sistema moda abbia
diffuso logiche paradossali di sfruttamento del patrimonio
umano, culturale, ambientale ed economico. Partendo dalla
comprensione dell’urgenza di un cambiamento nell’attuale
modello operativo, si presenta un sistema guidato dal design
che ripensa lo scarto come opportunità, risemantizzandolo e
riconfigurato in modelli virtuosi e narrazioni rilevanti. Nelle
produzioni di moda, l’usura precoce coinvolge maggiormente la sfera semiotica rispetto a quella fisica degli indumenti
e necessita un ripensamento dell’intero sistema produttivo. Il taking-care si pone quindi come filosofia progettuale
in grado di rivitalizzare un capo di abbigliamento destinato
alla dismissione trasformando lo scarto in valore (Middleton, 2014). In questo scenario, così come sostenuto nella dichiarazione di Montreal del 2017 (UNESCO, 2017), emerge il
ruolo sempre più attivo e centrale del designer che si serve
di tecniche e processi con l’obiettivo di preservare il valore
materiale e immateriale del capo. Agisce come facilitatore
di longevità attraverso pratiche, processi e metodi di ricerca
e progettazione, tenendo in considerazione la potenzialità
della durabilità fisica ed emotiva di un capo di abbigliamento
(Chapman, 2009). In questo contesto, il ruolo del designer è
sempre più centrale ed emerge non solo in relazione al processo di creazione di un prodotto, ma soprattutto nell’educazione dei consumatori ai valori della sostenibilità sociale,
culturale, ambientale ed economica (D’Itria e Vacca, 2021).*
OFFICINA* N.41
NOTE
1 – Le principali ricerche sul tema della sostenibilità nella moda condotte dal Laboratorio
di ricerca FiP sono state: DGGROW, Mapping Sustainable Fashion Opportunities for SMEs,
2019; Erasmus+, FashionSEEDS, 2019; Design Re: Lab, 2013/2020. Cfr. fashioninprocess.com
(utlimo accesso gennaio 2023); D’Itria, E. (2022), Driving sustainability in fashion through
design. Experimenting with the role of design in the development of a circular fashion supply
chain model, Tesi di Dottorato, Politecnico di Milano.
BIBLIOGRAFIA
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context of wastefulness. Fashion Practice, 9(1), pp. 5-29.
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– Busch, O. (2009). Fashion-able: Hacktivism and engaged fashion design. Gothenburg: Camino.
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– De Castro, O. (2021). I vestiti che ami vivono a lungo: Riparare, riadattare e rindossare i
tuoi abiti è una scelta rivoluzionaria. Milano: Corbaccio.
– D’Itria, E., Vacca, F. (2021). Fashion Design for Sustainability. A transformative challenge
across the European fashion education system. In Domenech, J., Merello, P., de la Poza,
E. (a cura di), Congress UPV 7th International Conference on Higher Education Advances.
Proceedings of the 7thHEAd Conference. Valencia: Editorial Universitat Politècnica de
València, pp. 679-686.
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consultazione settembre 2022).
– Fabris, G. (2010). La società della post-crescita, consumi e stili di vita. Milano: EGEA
– Franzo, P., Vaccari, A. (2020). Futuri sostenibili. Un’indagine sul ruolo dei fashion designer
emergenti del XXI secolo. AND Rivista di architetture, città e architetti, n. 37, pp. 56-63.
– Giordano, M. (2012). Trame d’artista: il tessuto nell’arte contemporanea. Milano:
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sustainability and fashion. London: Routledge, pp. 280-292.
– Nicol-Schwarz, K. (2017). How sustainable are secondhand fashion marketplaces?(online).
In sifted.eu/articles/sustainable-secondhand-fashion/ (ultima consultazione settembre 2022).
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– Vacca, F. (2013). Sul filo della tradizione. Bologna: Pitagora Editrice.
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Scienze + Business Media: Singapore, pp. 1-54.
69
Eleonora Barosi, Erminia D’Itria, Federica Vacca
Left(L)overs
Semanticizing waste in the Fashion System
Genesis of Waste in the Fashion System
The dominant economic model in the fashion industry today is the linear (take-makedispose) model, which, as the Ellen Macarthur Foundation argued (2018), exploits
natural resources without considering their
potential for circular regeneration and reuse
in the next production or consumption cycle
(Braungart and McDonough, 2009). Moreover, overabundance, compulsive consumerism, and physical and semiotic obsolescence
(Fabris, 2010, p. 170) in fashion production
culminate in irresponsible behaviors of serial
accumulation and early disposal of garments.
An economic system relies primarily on the
anticipated disaffection of objects due to the
continuous narratives that the system itself
produces (Fabris, 2010).
In this situation, discarding is a direct consequence of a supply chain that is excessive, misleading, and distorted. Therefore,
waste becomes an entity and acquires all of
its characteristics: value, importance, and—
above all—gravity (Binotto and Payne, 2017).
Two primary types of waste can be identified in the current fashion system: pre- and
post-consumer. The first is empirical data
associated with the different stages that constitute the production chain of goods and
emphasizes the need to design for change in
the upstream design processes of the fashion
system already (De Castro, 2021). The second
and privileged subject of this essay is related
to the obsolescence of fashion products. It
reflects the increasingly frequent termination
of consumers’ emotional bond with their-own
objects, which quickly lose value and are discarded too soon. Given these concerns, this
article discusses the urgency of rethinking
post-consumer waste in the fashion system.
Specifically, it investigates the culture of taking care as a design-mediated approach,
intending to identify and generate positive
development trajectories through the sustainable enhancement of material knowledge
heritage.
Research Methodology
The data on which this article is based derive in
part from the knowledge gained by the Fashion in Process (FiP) Research Laboratory of
the Department of Design of the Politecnico di
Milano and from the investigations conducted
to support the master’sdissertation Left(L)
overs (Barosi, 2022). The thesis’sprimary purpose is to reflect on waste in the fashion industry towards a semanticizationand creative
re-configuration process within the system.
Methodologically, the study on the culture
of taking care as a design approach for the
fashion system involves three stages. The first
focuses on identifying design approaches to
taking care. The study identifies 50 fashion
realities through preliminary desk research
demonstrating the implementation of original and effective design strategies to extend
fashion products’life cycle. The result isrecognizing the designer’s role as an activator
of the culture of taking care through design
strategies intended to minimize waste or extend garments’life cycle. Specifically, the studio clustersthe design approaches into three
macro-groups:
– activist design, which promotes a vision
of fashion through social activism, such as
Fashion Revolution or Clean Clothes (De
Castro, 2021). From this perspective, taking
care is understood as a revolutionary path
that begins with education in responsible
and sustainability-conscious design in its
holistic dimension;
– hacktivist design, which promotes a vision
of fashion that harnesses famous brands’
power to provide recycled, disassembled,
reengineered creations to fuel new aesthetics according to established fashion
codes, as in the case of Katerina Ivankov
and Gentucca Bini (Perris et al., 2020);
– craftivist design, which promotes a vision of fashion as an artisanal practice that
translates aspects of tradition into curation
approaches, such as Otto Von Busch (2008)
and Denise Bonapace (Franzo and Vaccari,
70
2020). Here, taking careemploys artisanal
techniquesthat express local manufacturing excellence through a design-drivenapproach that regenerates the garments’
content.
Through semi-structured interviews, the second phase delves into 15 of the 50 cases identified that have excelled in waste management
and reuse. The objective isto investigate and
enhance the value that waste can assume in
its design re-semanticizationthrough methods
related to taking care, which is then reorganized in three different directions:
– downcycling/use value, i.e., garments are
recycled and transformed into other materials and products of lower quality and
value-generating a process of continuous
reduction of quality and value (Tshifularo
and Patnaik, 2020);
– secondhand/distribution value, i.e., when
people rent or sell their garments to other
parties to obtain profit, a form of a circular
economy that now is stronglychallenged by
the high costs associated with logistics and
shipping (Nicol-Schwarz, 2022);
– upcycling/production value focuses on the
“creative reuse” of product components
to achieve a higher value in using the garment than originally. This process is particularly virtuous because it consists of the
creative redesign of the product through
stages of disassembling and reassembling
the garment’sparts. It challenges the logic
of creativity and re-invention representative of a designer’s creative methodological
process (Vadicherla et al., 2017).
The last phase is an experimental approach
that combines data from the previous two
phases to define and trace virtuous trajectories to reconfigure the relation between the
fashion system and waste. This third phase
includes experimentations provided by the
master’sthesis Left(L)overs. It is configured as
a taking care service for fashion. It operates on
pre-loved (Fig. 1, Fig. 4), post-produced, and
post-consumer clothing through upcycling
CORPI E CURA
operations with a craftivist design approach
to re-semanticizethe garment through craft
techniques.
The Metamorphosis of Waste: The Left(L)
overs Case
Left(L)overs stems from the desire to give a
second life to leftovers—not simply production/processing scraps or stationary storage material—but also wardrobe scrapsand
discarded clothes. It is a system that focuses
on the craft practice of regenerative mending and embroidery as an accessible, scalable,
and multidisciplinary design tool.
Left(L)overs is a digital platform that offers a
genuine redesign service for post-consumer
clothing wastes (Fig. 02, Fig.05). The project
leads from a design exploration of traditional
textile practices related to takingcare (Fig.
03). Thus, codifying approaches and processes to address three specific needs of a
pre-loved garment: repairing wear, removing a stain, and refashioning. Hand and machine work starts from mending and creative
embroidery,developing unique and creative
techniques such as patchwork and needlework (Fig. 06). By applying skills related to
mending or creative embroidery, designerscan reconstruct an emotional relationship
between the individual and their clothing.
Through this regenerative power, the design
gesture of mending can only enhance the textures of past time and fragmented memories.
The methodology was undertaken to delineate the digital platform of the design service
(Fig. 7)consists of an expansion of the boundaries of craft practice taking into account the
potential of the garment’s emotional longevity (De Castro, 2021; Von Busch, 2008; Laitala,
2015; Cooper et al., 2017).
Mending is nothing more than a practice
based upon a series of tiny, joined stitches
woven into the weave that serves to reinforce
an area worn or damaged by a garment or
fabric’s use, generally to extend the life cycle.
However, as De Castro (2021, p. 1) suggests,
OFFICINA* N.41
mending “is a state of mind” that creates an
emotional connection with the garment being cared for in which marks and seams become the story of a design relationship,an inner narrative. The enactment of an exercise
that belongs to the imaginary of tradition becomes a critical revisitation of craft practice
and an activity where technique, transformed
from a domestic imaginary and a conservative
role, assumes an active, connective, and finally visible function (Von Busch, 2008). Craft
practices tell a story of affection entrusted
to that slowness that, according to Giordano
(2012), derives from the intimate manual gesture that remains alien to the speed dynamics of fashions. Thanks to this regenerating
power, the design gesture of mending echoes
the textures of the past as fragmented memories (Ducrot, 2008). Repairing today acquires
the polysemous valence of a social therapy at
once collective and individual that arises from
the incessant practice of hybridization and
re-iteration of material culture (Vacca, 2013).
Thus, in Left(L)overs, design is crucial to promote awareness and activate a culture of taking care. A design-drivenapproach emerges
to revive tradition-based practices and their
cultural meanings. In this perspective, design
grounds in transdisciplinary and transcultural
approaches, with a view to sustainable cosmopolitan localism (Brown and Vacca, 2022)
that can revitalize a garment destined for disposal.
Conclusions
This article discussed how the overload generated by the linear economic model within
the fashion system had spread paradoxical
logics of human, cultural, environmental, and
economic heritage exploitation. Beginning
from understanding the urgency to change
the current operating model, it presents a
design-drivensystem that rethinks waste
as an opportunity, resemanticizing and reconfiguring it into virtuous patterns and
relevant narratives. In fashion productions,
71
garments’ early use and tear involves the semiotic sphere more than the physical sphere
of garments and necessitates rethinking the
entire production system. Accordingly, taking care emerges as a design philosophy that
can revitalize a garment destined for disposal
by transforming waste into value (Middleton,
2014). As advocated in the 2017 Montreal Declaration (UNESCO, 2017), the increasingly active and central role of the designer who uses
techniques and processes intended to preserve the garment’s material and intangible
value emerges in this scenario. The designer
acts as a facilitator of longevity through research and design practices, processes, and
methods and considers a garment’s potential
for physical and emotional durability (Chapman, 2009). In this context, the designer’s role
is increasingly central. It emerges not only
concerningcreating a product but particularly in educating consumers about the values of
social, cultural, environmental, and economic
sustainability (D’Itria and Vacca, 2021).*
Notes
1 – The leading research on sustainability in fashion
conducted by the FiP Research Lab were DGGROW,
Mapping Sustainable Fashion Opportunities for SMEs,
2019; Erasmus+, FashionSEEDS, 2019; Design Re: Lab,
2013/2020. See fashioninprocess.com; Driving sustainability in fashion through design. Experimenting with the
role of design in developing a circular fashion supply
chain model (D’Itria, 2022, doctoral dissertation).
Mens sana in corpore sano.
E bello.
Se i Greci e i Latini, e ancora
prima gli Egizi – a cui si deve
la prima riparazione plastica di
un naso rotto – consideravano
la cura del corpo un momento
irrinunciabile della vita quotidiana,
la società contemporanea
dimostra un’attenzione verso
l’aspetto fisico quasi paranoica.
La cultura dell’immagine,
con i suoi modelli di bellezza
al limite del reale, sollecita
continuamente un senso di
inadeguatezza, e con esso la
ricerca della perfezione a tutti
i costi vede nella medicina
e della chirurgia estetica la
chiave d’accesso al benessere
psicofisico.
L’uomo plasma e manipola
sé stesso, attingendo
liberamente alle tecniche
di un mercato che
attualmente vale oltre 20
miliardi di dollari ma che
è destinato a superare i 27
miliardi nel 2029.
Il corpo diviene un abito che,
nell’ottica dell’imperante cultura
del prodotto commerciale, si può
desiderare, comprare e indossare
per rispondere alle aspettative di
chi ci guarda.
Non più interventi sottili,
invisibili, privati: il ricorso al
bisturi e la sua ostentazione
rappresentano un simbolo
di libertà individuale e
autodeterminazione che
convive all’unisono con la
rivendicazione dei corpi
imperfetti in tutte le sue
manifestazioni.
Stefania Mangini
72
INFONDO
BODY-LIFT SUPERIORE 45.0
00
LIFTING DEI GLUTEI 63
.0 0 0 V V
RINGIOVANIMENTO V
AGINALE
71.000
BODY-LIFT INFERI
ORE 96.0
00
LIFTING D
NUMERO DI INTERVENTI CHIRURGICI ANNUI
ESEGUITII IN TUTTO IL MONDO
PER TIPOLOGIA
NUMERO DI INTERVENTI NON CHIRURGICI ANNUI
ESEGUITI DA CHIRURGI PLASTICI
IN TUTTO IL MONDO PER TIPOLOGIA
ELLE CO
CHIRURGIA O SCE - CRURO
P
SSEA FA
CCIAL LASTICA
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FONTE: THE INTERNATIONAL SOCIETY
OF AESTHETIC PLASTIC SURGERY (ISAPS), 2023
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32,1% GERMANIA | INGHILTERRA | FRANCIA
774.000
9,8% EMIRATI ARABI | USA | BANGLADESH
668.000
10,1% SVIZZERA | ROMANIA | INGHILTERRA
555.000
29,3% USA | SPAGNA | CILE
OFFICINA* N.41
73
Samuele Papiro
Fisioterapista, esperto in Medical Humanities, con interessi
specifici nel campo delle narrazioni visive. Artista visivo,
autore di mostre in italia e all’estero.
Which body? Which care? Phenomenology describes the body in two ways, Korper and Leib. The former stands for “body
that can be dissected”, named piece by
piece; this system comes from the study
of corpses; the latter stands for “world
body”, the affective body, which opens up
to the world and embodies relationships.
In our cultural model, health professionals are trained to have a profound
knowledge of the first body (Korper), but
only a rough knowledge of the second one
(Leib). This premise leads to reductionist treatment systems: a mechanistic vision of body, of disease and of individuals
themselves is prevailing. A deep gap between the treated and the healer comes
to light, since they bump into the body as
an object, made up of mechanical parts
and linear and closed processes.*
uando si parla di un argomento che ha come conseguenza azioni nella vita
quotidiana, uno dei maggiori errori è quello di credere di sapere
di cosa si sta parlando, di prendere per
ovvi dei significati e di crederli condivisi, pensando di agire nello stesso
territorio solo perché si possiede la
stessa mappa. Il rischio si moltiplica
quando si utilizzano parole come “corpo” e “cura”, perché esse riguardano il
nostro benessere soggettivo e la qualità della nostra vita.
La fenomenologia descrive il corpo
in due modi: Korper, ovvero il corpo
che si studia sui libri, quello che si può
sezionare, nominare pezzo per pezzo
che deriva dallo studio dei cadaveri;
Leib ovvero il corpo mondo, il corpo
affettivo, che si apre al mondo, il corpo
in relazione.
Nel nostro modello culturale, gli
operatori sanitari sono addestrati ad
avere una conoscenza approfondita
del primo corpo, ma solo una conoscenza superficiale del secondo. Questa premessa porta a sistemi di cura e
ricerca riduzionisti, dove prevale una
visione meccanicistica del corpo, della
malattia e degli individui stessi. Si crea
un divario profondo tra il curato e il
curante, poiché si incontrano nel corpo come oggetto, fatto di parti meccaniche e processi lineari e chiusi. Di
conseguenza, la malattia è vista come
un’alterazione di questi pezzi o collegamenti. La biologia del corpo viene
considerata come un sistema chiuso,
che esclude la relazione con l’ambiente
e con gli altri individui, soprattutto nel
processo di cura.
Questa visione, anche se non completamente accettata nella teoria, è
profondamente radicata nella pratica e
rimane una premessa implicita nell’incontro tra chi cura e chi è malato. Negli anni ’70 si è cercato di colmare questo divario fornendo come framework
il paradigma bio-psico-sociale, che in
teoria voleva considerare le istanze al
di là del dato biologico, ma in pratica
ha portato con sé un ulteriore errore,
credere che l’umano sia formato da diverse parti ontologicamente differenti:
il corpo, la psiche e gli aspetti sociali. Questo ha determinato teorie del
funzionamento che hanno continuato
a cercare la coscienza come un’entità separata, intracranica, una visione
neurocentrica che rimane fondamentalmente meccanicistica. Se da una
parte le conoscenze aumentano, il riduzionismo ha portato a una sorta di
alienazione nei processi di cura, il corpo come fisico è oggetto, la malattia è
un danno e la cura è la riparazione.
L’essere umano è un sistema complesso e quindi non può essere ridotto
alle sue parti. Dovremmo vedere il suo
funzionamento sempre in relazione ai
suoi simili, in un determinato ambiente e in uno specifico spazio-temporale.
La biologia deve essere analizzata nella sua dimensione interpersonale. Una
visione intercorporea e interosoggettiva consentirebbe di comprendere
meglio la singolarità. La dimensione
della relazione, del “noi”, è premessa
per il funzionamento del singolo. Il
soggetto è ciò che resta dopo la distruzione delle relazioni.
I dati freddi, sebbene consentano
l’osservazione di oggetti e dimensioni
del passato, risultano di scarso valo-
re in termini di relazione e singolarità. Quando si discute di corpo, cura e
intersoggettività, diventa essenziale
considerare il concetto di intercontestualità e, quindi, prendere coscienza
del fatto che siamo esseri biologici che
attribuiscono significato a ciò che fanno e sperimentano attraverso la rete di
relazioni tra mondi diversi.
In questo contesto, sono i warm data
che acquisiscono importanza, e questi
possono essere dedotti nel tempo attraverso la germinazione delle relazioni, logiche abduttive e analogiche.
Si può chiarire la differenza tra un
sistema semplice e lineare con uno
complesso, con questa metafora: mangiare una torta. Mangiare una torta
ha un significato e non è lo stesso di
mangiare delle uova, poi dello zucchero e successivamente della farina. La
qualità torta è determinata da questi e
altri elementi, ma non è la stessa cosa.
Quindi sicuramente abbiamo chi sa
determinare la qualità dei singoli elementi, ma il livello logico della qualità
di quella somma particolare, è un’altra
e va letta con strumenti diversi.
L’essere umano tende a percepire le
qualità di un sistema nel suo emergere.
Così, curare una caviglia non capendo il significato di quella condizione
di immobilità, di dolore, di attesa, di
cambiamento, non è curare una persona, anche se allo stesso tempo devo
conoscere i tempi di formazione del
callo osseo e il decorso di un’infiammazione. I due livelli di osservazione
non si escludono. Il nostro errore epistemologico consiste nel credere solo
ad un livello, ritenendolo il più veritiero e facilmente controllabile, o almeno
crediamo di farlo.
La ricerca biomedica è prevalentemente riduzionista, derivante da una
metodologia buona per gli studi epidemiologici e farmacologici, ma che è
non funzionale alla complessità.
Tutt’ora si dice che l’oggetto di cura
sia il paziente, dimenticando che al
centro della cura ci sono le relazioni
particolari di quel soggetto, relazioni
con l’ambiente, con gli affetti, le necessità sociali e anche in particolar modo
durante le fasi di cura, la relazione con
il curante. (Continua a pag. 81)
Quale corpo? Quale cura?
Quali strumenti ci sono per osservare la cura di una persona attraverso la relazione specifica con il curante?
Quali paradigmi e quali vocabolari sono necessari per descrivere la complessità dei processi di cura?
La ricerca dovrebbe approfondire questi ambiti che sono altamente complessi perché trans-contestuali, dove le logiche
prevalenti sono analogiche e abduttive. Manca una metodologia rigorosa per quanto riguarda la ricerca qualitativa in ambito
biologico, vedendo la neurobiologia interpersonale, sia come luogo della malattia che luogo della cura. Tutto questo discorso
è complesso perché interroga il nostro determinarci come soggetti, la nostra identità: i nostri confini.
La malattia e la cura dovrebbero essere occasione per scrutare questa dimensione del funzionamento fisiologico nel nostro
particolare mondo: siamo l’essere biologico che cerca senso e significato.
La cura porta con sé la dimensione dell’alterità, del tempo, dello spazio condiviso e ci identifica come umani.
Le Medical humanities tentano di prendere in considerazione le dimensioni epistemologiche e poi antropologiche, bioetiche e
culturali del corpo, della malattia e della cura.
Siamo ancora lontani da vedere come sia intrecciata la realtà ma credo sia importante, domandarsi e domandarci cosa
intendiamo con corpo e cura, e riuscire a condividere tali significati con le persone che curiamo e da chi siamo curati.
Le azioni nei sistemi sono sagge e funzionali al mantenimento dell’organizzazione del sistema quando riconosciamo che
condividiamo territori con mappe diverse. In particolare, è importante comprendere che la nostra mappa di quel mondo deve
essere costantemente aggiornata attraverso il confronto e il riconoscimento del Noi e della relazione.
Massimo Mariani
Architetto PhD, Assegnista di ricerca,
Università degli Studi Roma Tre.
massimo.mariani@uniroma3.it
L’ “Ospedalino” si è
fatto grande
Lo spazio e la cura dei bambini
Adolfo F.L. Baratta
Giunti Editore, 2019
The “Ospedalino” got Bigger The safety
and protection of the user experiencing
the built environment are certainly among
the main goals of any project. When the
user is represented by children in fragile
conditions, spaces and environmental
factors take an active role in the care
pathway, and the commitment to spread
the culture of integration between medical research, human research and design
research with the aim of considering
well-being in terms of daily comfort is
commendable.
An approach that Meyer is able to define
as a pole of excellence. This approach
has been described in the book edited by
Adolfo F. L. Baratta.*
Il Meyer si prende cura di
tutta la famiglia
a definizione moderna di
salute implica forme di
adattamento di fronte a
sfide di tipo fisico o emotivo, contraendo il concetto di benessere
completo e non limitato all’assenza di malattia1.
I luoghi di cura, in particolare gli
ospedali, assorbono i mutamenti
della società mantenendo un ruolo centrale all’interno di essa, mutando e potenziando le prestazioni in rapporto alle trasformazioni
nei sistemi di esigenze, con riferimento alle persone e al servizio
sanitario con l’avanzamento dei
saperi in campo medico e tecnologico (Torricelli, 2005). L’organismo ospedaliero si configura tra i
sistemi a elevata complessità per il
notevole coinvolgimento di differenti competenze che concorrono
al raggiungimento degli obiettivi lungo tutte le fasi del processo
(Del Nord, 2011).
Le tipologie, inoltre, possono essere lette sempre secondo il sistema
dei percorsi; nel dettaglio, è l’ideazione dei percorsi e dei collegamenti uno degli elementi più influenti
nella realizzazione di layout di strutture così complesse (Setola, 2013).
In tale ambito, a partire dalle riforme intraprese dal sistema sanitario nazionale, le linee di ricerca,
in termini di fabbisogno spaziale
e funzionale, concentrano i pro-
82
pri indirizzi e le proprie risorse al
fine di elaborare progetti in grado di incrementare la qualità dei
servizi assistenziali affiancando il
progresso delle conoscenze tecnologico-sanitarie. Il volume Lo
spazio e la cura dei bambini. L’approccio del Meyer declina il progetto dell’Ospedale Meyer di Firenze
rappresentandone l’evoluzione nel
tempo e la capacità di divenire un
moderno modello di Ospedale.
Il Nuovo Modello di Ospedale
sviluppato da una Commissione
Ministeriale istituita dal ministro
Umberto Veronesi a conclusione
di un Programma di Ricerca Sanitaria dell’allora Ministero della Salute (2001) sancì l’importanza dei
principi di umanizzazione e di centralità del paziente a cui deve ispirarsi l’ospedale del futuro: la misura dell’uomo in condizioni fragili
come parametro di privacy e relazioni interpersonali, sicurezza e
flessibilità, comfort e quotidianità2.
Da quell’inverno di fine Ottocento, quando si aprivano per la prima
volta le porte dello “Spedale dei
Bambini”, si estende un orientamento sanitario il cui core non si
limita all’assistenza e alla cura dei
piccoli pazienti ma eleva le attività generalmente complementari in
ambito ospedaliero ad attività primarie, essenziali, ampliando il proprio raggio a ricerca, formazione e
IL LIBRO
prevenzione. Così, si rinnovano e si
realizzano nuovi ambienti di cura e
il Meyer sviluppa il proprio
futuro attraverso il progetto Meyerpiù: integrando la
struttura dell’ospedale pediatrico
con il Meyer Health Campus e il
Parco della salute.
L’approccio innovativo del Meyer,
come sintetizzato nel testo, inquadra i principi regolatori che nel
corso del tempo hanno sviluppato
e valorizzato l’importanza dell’architettura in termini di progetto e
processo interdisciplinare a supporto di un percorso di cura impostato sulla centralità del paziente.
Un’interazione tra modello spaziale
e modello assistenziale che assume
un ruolo primario nella programmazione funzionale, il cui scopo
interessa la riduzione dello stress
psicofisico dei bambini e dei loro
famigliari tenendo in considerazione gli aspetti di vita quotidiana oltre a quelli sociosanitari. In questo
senso, si evince come l’integrazione tra “contenitore” e “contenuto”
consolidi e accresca notevolmente il processo socioculturale che
caratterizza gli ambiti investigati
a favore della comunità. Un luogo
accogliente e ricco di stimoli che la
struttura del Meyer interpreta alla
perfezione e che il volume avvalora
in chiave di ricerca ed esperienza
progettuale ma non solo.
OFFICINA* N.41
Lo spazio e la cura dei bambini.
L’approccio del Meyer si compone complessivamente di quattro
parti, due delle quali presentano
trasversalmente i progetti delle
strutture di accoglienza del polo
di eccellenza: il nuovo Ospedale
Pediatrico Meyer e il Family Center Anna Meyer. Attraverso i dodici
capitoli interessati si evidenzia il
flusso progettuale esplorando le
esigenze socioassistenziali contemporanee, così come le soluzioni tecnologiche e ambientali, e
definendo i requisiti prestazionali
di tutto ciò che concorre alla serenità dei piccoli pazienti e dei loro
cari. Emerge come le attività ludiche e formative, i flussi di arte e
natura, così come la compatibilità
e l’integrazione ambientale, la qualità spaziale e tecnologica siano
elementi di grande valore durante
tutte le fasi del percorso di cura.
Anche per questo approfondire
le peculiarità, gli sviluppi e le interazioni dei poli di eccellenza risulterà, ogni volta, un passo ulteriore
verso quei metodi di ricerca e di
divulgazione tecnico-scientifica in
grado di qualificare la progettazione nel senso più ampio del termine.
L’Ospedalino, ormai grande, rappresenta oggi un microcosmo in
continua evoluzione che manifesta
il valore di modelli funzionali assistenziali flessibili per i quali l’indi-
83
rizzo verso indicatori e standard
di umanizzazione supera i concetti di minimo per accogliere e
indagare livelli di comfort legati
alla quotidianità della vita e della
famiglia contemporanea.*
NOTE
1 – La definizione dell’Organizzazione Mondiale della
Sanità “la salute è uno stato di completo benessere fisico,
mentale e sociale e non consiste soltanto in un’assenza di
malattia o infermità” del 1948 è stata mutata nel 2011 con
“la capacità di adattamento e auto gestirsi di fronte alle
sfide sociali, fisiche ed emotive”.
2 – Il decalogo Veronesi-Piano per il modello di ospedale
ad alto contenuto tecnologico e assistenziale al primo
punto riporta l’Umanizzazione, ovvero “il malato deve
essere posto in un ambiente a misura d’uomo, sicuro e
confortevole, in cui sia garantita la privacy. Deve essere
informato e guidato. Non deve vivere a stretto contatto con
gli altri malati. Deve avere la possibilità di ricevere le visite
di parenti e amici a qualsiasi ora”.
BIBLIOGRAFIA
– Del Nord, R. (2011). Le nuove dimensioni strategiche
dell’ospedale di eccellenza. Innovazioni progettuali per la
promozione e la diffusione della cultura biomedica avanzata. Firenze: Edizioni Polistampa.
– Setola, N. (2013). Percorsi, flussi e persone nella progettazione ospedaliera. Firenze: Firenze University Press.
– Torricelli, M.C. (2005).Tipologie edilizie e architettura
degli ospedali. In Terranova, F. (a cura di), Edilizia per la
sanità. Milano: Utet.
Design per esplorare il piacere
Design to Explore Pleasure
85
Maria Costanza Angelini
Studentessa magistrale, Design per l’innovazione digitale, Università degli Studi di Camerino.
mariacostan.angelini@studenti.unicam.it
Campagna di comunicazione della linea prodotti Dame.
Communication campaign of the Dame product line.
Dame Product, 2016
I CORTI
Lo scenario degli Adult Toys è sovraffollato di “oggetti
di genere”, ovvero è saturo di prodotti i cui tratti distintivi sono caratterizzati in maggioranza da proprietà inerenti colore e forma, nonché stereotipati per appartenenza alla classe maschile o femminile, limitando così
l’esplorazione di sé o dell’altro. Categorizzare il genere,
infatti, oltre che incidere sulle azioni e comportamenti
dell’individuo, non permette la consapevolezza dello
stesso di poter esprimere e vivere il sesso, quanto la
propria sessualità in modo libero e piacevole.
Il benessere sessuale, non può di fatto essere rilegato esclusivamente alla genitalità dell’individuo, o con
l’espressione del desiderio di una pulsione sessuale,
in quanto, la sessualità coinvolge in modo rilevante la
sfera emotiva, nonché quella psicologica. Pertanto,
pensarla esclusivamente come un riferimento puramente fisico o biologico è fin troppo riduttivo e poco
realistico (Contardi, 2020). La sessualità, infatti, è uno
stato di benessere fisico, emotivo, mentale e sociale,
dunque un aspetto centrale dell’essere umano lungo
tutto l’arco della vita, che comprende identità, erotismo, piacere, intimità, sesso e genere (OMS, 2010).
Nel campo del design del prodotto, è Ramón Ubeda
nel suo volume Sex Design, a sollevare la questione
della profonda discrepanza tra il sesso e i sex toys,
criticando il mercato e l’industria dei primi anni 2000,
che ignoravano il valore di tali aspetti, dimostrando
un disinteresse in contrasto con i reali bisogni e le
esigenze di un contesto tanto prolifico che urgeva di
altrettanta qualità (Ubeda, 2004). Al contrario, occorre riconoscere oggi, che il design del prodotto degli
Adult Toys abbia raggiunto quegli obiettivi che seppur
di natura tecnica soddisfano gli standard qualitativi e
tecnologici sviluppati a seguito del continuo evolversi
ed espandersi della richiesta di mercato, quest’ultimo
giunto al suo massimo apice con il diffondersi del virus
da COVID-19. L’isolamento e il distanziamento sociale, causati dalla pandemia, hanno sottolineato la necessità e la vera importanza del benessere sessuale.
Eppure, nonostante sia stato essenziale alla crescita
dell’industria aver reso smart questi prodotti, d’altro
canto sono stati tenuti di poco conto nel loro design,
quei valori vicini all’emancipazione sessuale, trascurando questioni che favorissero una sessualità inclusiva, gender sensitive, dalla criticità libera senza porvi
stereotipi o archetipi.
La necessità sempre più incombente di rivendicare
quei principi socio-culturali, a lungo ignorati, probabilmente convincerà anche gli imprenditori del fatto
che il sesso, oltre ad un business, è in primo luogo
vita, creatività e cura della persona, promuovendo
tutti questi argomenti come un’ulteriore specialità
all’interno del design. Inoltre sarebbe un grande successo per tutta la cultura sessuale.
In una società contemporanea che necessita fortemente di inclusione e pari opportunità, un ruolo critico e responsabile deve avanzare visioni e modelli
evoluti e design consapevoli, altrettanto quanto la
tecnologia che la compone, nell’attesa di tendenze
genderless, che avvicinino l’essere umano a costruire la propria identità senza condizionarla o quanto
meno opporvi resistenza.*
BIBLIOGRAFIA
– Contardi, L. (2020). Il Benessere Sessuale: Una realtà da Riscoprire
(online). In psicologosaronno.info/benessere-sessuale/ (ultimo
consultazione marzo 2023).
– Ubeda, R. (2004). Sex Design. Brainstorming Books. Línea Editorial:
Barcelona (ES).
– World Health Organization. (2010). Standard per l’Educazione
Sessuale in Europa ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS e BZgA.
(online). In www.fissonline.it/pdf/STANDARDOMS.pdf (ultima consultazione marzo 2023).
La persistenza del corpo
The resistance of the body
Dylan Colussi
Dottorando in Arti visive, performative e moda, Università Iuav di Venezia.
dcolussi@iuav.it
Whole, progetto virtuale sviluppato da The Fabricant, 2021.
Whole, virtual project developed by The Fabricant, 2021.
The Fabricant
I CORTI
87
Il virtuale è uno dei territori più recentemente esplorati dalla moda. È uno spazio di ventura, dove ogni
progetto cerca di conquistare mete sempre più lontane per allargare i confini di quella nuova categoria
che è la moda virtuale. Abiti e accessori ricoprivano
già un ruolo centrale nella costruzione della propria
identità in esperienze digitali come il gaming, e software di modellazione 3D sono utilizzati nelle aziende
di produzione per lo sviluppo di prototipi, ma è stato
sotto la spinta della pandemia che designer e brand
si sono rivolti al digitale sia per immaginare modi alternativi di presentare le proprie collezioni che per la
progettazione di nuovi oggetti informatici.
“We waste nothing but data and exploit nothing but
our imagination” scrive, nella propria homepage, l’agenzia olandese The Fabricant. The Fabricant è stata la
prima a promuovere l’idea di una moda che esistesse
solo nello spazio del digitale, indagando nuovi metodi
progettuali che potessero trovare soluzioni inclusive
ed estese alle problematiche che investono l’industria
della moda, in primo luogo, quelle dello spreco e del
consumo di risorse. Nel 2019, Iridescence Dress di The
Fabricant è il primo abito virtuale a essere stato acquistato e indossato da un corpo reale, nello spazio di
una foto. Negli ultimi due anni, si sono aggiunte molte altre piattaforme che, come The Dematerialised di
Londra, e DressX, basata a Los Angeles, offrono uno
spazio dove vendere abiti e accessori digitali, supportando una nuova generazione di designer che ha
abbandonato la progettazione di oggetti materiali per
lavorare solamente con il virtuale.
Negli anni Sessanta, Marshall McLuhan suggeriva che la tecnologia era un’estensione dei corpi
(McLuhan, 2001). Ma mentre la moda si dematerializza, gli altri persistono nella loro materialità. Infatti,
mentre questi artefatti esistono solo nello spazio informatico, non sono pensati unicamente per avatar digitali. DressX per esempio, permette di provare i propri
modelli attraverso la fotocamera di uno smartphone.
Gli oggetti vengono indossati come filtri, ma agiscono
sul corpo di chi li indossa influenzando tanto le pose
e i movimenti - che devono accompagnare il modello
per non causare dei glitches1 - quanto gli altri elementi
del look, che non devono intralciare l’oggetto digitale
o confondere le forme che deve vestire. La materialità
del corpo lascia le sue tracce anche nelle modalità
con cui questi oggetti vengono presentati, sempre indossati da un modello, a volte invisibile, che si rivela
nei volumi, ma anche nelle pose e nelle attitudini che
ancora permangono e rivestono gli abiti virtuali.
È quindi attraverso il corpo che le questioni dell’identità e delle sue espressioni si insinuano nel virtuale. Per le possibilità che offre e per la lontananza dalle
consuetudini del materiale, il virtuale può diventare
luogo dove sperimentare e individuare alternative
possibili. Diverse iniziative, come il progetto LEELA di
The Fabricant, hanno quindi esteso l’impegno all’inclusione e la rappresentazione di corpi solitamente
esclusi dalla moda – e non solo – nei mondi virtuali.
Ed è proprio nello spazio dedicato alla moda, l’architettura più vicina al corpo, che queste proposte si
muovono e prendono forma. Priva di storia, formati
e modelli come sostiene The Fabricant, la
moda virtuale è uno spazio dove inscrivere
i nuovi paradigmi del vestire, ma anche del
progettare. Sono i corpi a scandire le grandi
rivoluzioni della moda. Come nel mondo materiale, il
corpo si mantiene ancora uno strumento di intervento politico e anche e soprattutto di progettazione di
identità, nello spazio immateriale del virtuale.*
NOTE
1 – Piccolo e improvviso malfunzionamento. Il termine, nato nel
campo dell’elettronica per indicare i brevi disturbi che si manifestano nelle teletrasmissioni, è stato adottato dall’informatica e poi dal
gaming, dove descrive gli inattesi errori di sistema che si rivelano
durante l’esperienza di gioco.
BIBLIOGRAFIA
– McLuhan, M. (2001). Understanding Media: The Extensions of Man
(ed. or. 1964). London: Routledge.
Francesca Coppolino
PhD, professore a contratto di Composizione architettonica e urbana, DiARC, Università degli Studi di Napoli
Federico II.
francesca.coppolino@unina.it
Bodies of Ruins and Landscape Metamorphoses Starting from a research experience
developed in Portugal, the contribution
investigates ruin as a body immersed into
landscape and architectural project as a
tool for taking care of heritage. The specificity of Portuguese landscapes leads to think
about the relation between ruins, nature and
architectural design and on the possibility of
weaving connections between widespread
archaeology and newly conceived inclusive
spaces. Strategies are identified through some
Portuguese design examples, understood
as “therapies”, in which new architecture
becomes a device for inhabiting archaeology and for triggering local urban development, transforming archaeological areas into
spaces for landscape metamorphosis.*
mmersione nel paesaggio e cura
delle rovine
La presenza nelle città europee di
molteplici siti archeologici e di grandi
quantità di rovine immerse nel paesaggio che versano, il più delle volte, in
condizioni di abbandono o di isolamento, rende necessario dover ripensare
questi antichi luoghi per reinserirli nelle dinamiche urbane. Se il passato non
costituisce una eredità estinta, ma al
contrario è inteso come preziosa fonte
01. Luoghi e progetto della rovina in Portogallo, collage | Places and project of the ruin in Portugal, collage. Elaborazione
di Francesca Coppolino, Chiara Barone, Federico Di Lorenzo
Corpi di rovine e
metamorfosi del paesaggio
Dispositivi progettuali per la cura del
patrimonio archeologico in Portogallo
88
L’IMMERSIONE
di nuovi possibili significati contemporanei, l’architettura nella condizione di
rovina può allora rappresentare lo spazio materiale di nuove relazioni, ma anche un potenziale hub per lo sviluppo
sostenibile dei contesti in cui inserisce
(Capuano, 2022).
I paesaggi portoghesi1, sotto il profilo
morfologico, topografico e geografico,
pongono in evidenza il rapporto inscindibile e in continuo divenire tra rovina,
natura e progetto e dunque tra archeologia diffusa nel paesaggio, talvolta addirittura nascosta e invisibile, e spazio
pubblico. D’altronde, come sottolineava
Georg Simmel, la rovina mostra come
“nella scomparsa e nella distruzione
dell’opera d’arte siano cresciute altre
forze e altre forme, quelle della natu-
OFFICINA* N.41
ra, e così, da ciò che in lei vive ancora
dell’arte e da ciò che in lei vive già della natura, è scaturito un nuovo intero”
(Simmel, 1981, p. 124). Un nuovo corpo,
si potrebbe dire, la cui principale caratteristica consiste nel far convergere
in sé stesso i contrasti tra passato e futuro, tra uomo e natura, tra struttura e
metamorfosi. Un nuovo corpo immerso
nel paesaggio e in continua evoluzione
che, per non degradarsi e scomparire,
ha bisogno di cure. Memoria e amnesia,
immaginario e invenzione, temporalità
e movimento si presentano come questioni centrali in un ragionamento volto
a prendersi cura delle rovine per impedirne il definitivo abbandono e a continuarne la metamorfosi.
Gli studi condotti nell’ambito della
89
ricerca PRIN 2015 La città come cura e
la cura della città, hanno evidenziato
come il progetto di architettura possa
essere oggi ritenuto uno strumento per
prendersi cura della città (Miano, 2020).
Prendersi cura del patrimonio archeologico significa quindi, da un lato,
porsi il problema di come proteggere
e valorizzare i resti, intendendoli non
come elementi separati dal contesto,
ma come parte imprescindibile di esso;
dall’altro considerare la rovina, per
via della sua “forma aperta” (Speroni,
2004) e della “memoria collettiva” che
racchiude (Settis, 2010), come potenziale luogo di inclusione urbana, in cui
inserire nuovi usi, non esclusivamente
turistici ma anche, soprattutto, legati
all’abitare quotidiano, per la cura della
città e dei cittadini. Un “prendersi cura”
(Borasi e Zardini, 2012) inteso dunque
non solo in riferimento alla preservazione attiva delle rovine o ad azioni
riferite alla salubrità e alla sostenibilità ambientale, ma legato anche al raggiungimento del benessere psicofisico
umano, attraverso l’identità e il senso
di appartenenza che l’individuo riconosce in determinati luoghi e le possibilità
che in tali luoghi gli sono offerte sotto il
profilo culturale e sociale.
A partire da queste considerazioni e
dalle indagini sullo specifico caso del
contesto portoghese, sono state indagate strategie progettuali per la cura del
patrimonio archeologico in Portogallo,
intese come vere e proprie “terapie”,
in cui l’architettura diviene dispositivo
per abitare l’archeologia nel paesaggio,
ma anche potenziale innesco per lo sviluppo urbano locale e sociale. La Scuola
Portoghese di Architettura costituisce
un importante riferimento internazionale per l’approccio progettuale sul patrimonio antico, in cui la rovina è intesa
come elemento del paesaggio in transizione che necessariamente deve essere trasformato e rimesso in circolo, in
quanto può produrre nuove metamorfosi del paesaggio stesso. In particolare, attraverso alcuni esempi progettuali
portoghesi che operano sul corpo delle
rovine, sono di seguito individuati tre
dispositivi terapeutici che trasformano i
corpi di rovine in spazi per la città: musei “fuori di sé”, legati alla narrazione tra
02. Nuovo museo di Arte e Archeologia Do Côa, C. Rebelo, collage di foto | New Museum of Art and Archaeology Do Côa, C. Rebelo, photo collage.
Elaborazione di Francesca Coppolino
reale e virtuale del sito archeologico nel
territorio; montaggi anatomici, legati
alla ricomposizione tra le parti e i frammenti delle rovine e il contesto in cui si
inseriscono e, infine, effetti spaziali, legati all’esplorazione spaziale e percettiva delle rovine attraverso il movimento
del corpo nello spazio.
Memoria e amnesia.
Musei “fuori di sé”
La prima terapia musei “fuori di sé”
(Rapisarda, 2007) si basa sul necessario
rapporto tra memoria e amnesia e, ribaltando l’idea consona di museo come
contenitore chiuso, propone un’idea di
museo come corpo esploso nel paesaggio che consente di definire un sistema di connessioni e di disvelamenti
tra reale e virtuale. Il Museo di Arte e
Archeologia Do Côa, situato presso la
cittadina di Vila Nova de Foz Côa nel
distretto di Guarda a nord del Portogallo, è un progetto realizzato nel 2009
dall’architetto Camilo Rebelo. L’edificio
del nuovo museo, che si inserisce nel
contesto paesaggistico del piccolo paese, è concepito come un’installazione
nel paesaggio che riesce a definire un
efficace dialogo con la topografia (Rebelo e Pimentel, 2014). Allo stesso tempo, l’edificio si pone come un dispositivo
narrativo che se da un lato racconta il
paesaggio e aiuta a disvelare, attraverso
percorsi e scorci, le rovine esistenti diffuse nel contesto naturalistico, dall’altro, al suo interno, diviene una sorta di
archivio digitale che racconta le vicende storiche e archeologiche che hanno
caratterizzato quei luoghi. Qui infatti,
la necessità e la difficoltà di raccontare
le incisioni rupestri rinvenute lungo la
sponda del fiume Duoro ha attivato studi multidisciplinari, che hanno condotto
all’inserimento nel museo di un insieme
di applicazioni multimediali volte a trasmettere, durante il percorso di visita
nel museo diffuso all’aperto, una conoscenza approfondita dell’arte paleolitica
della Valle del Côa. Una “esplosione di
rovine” è ciò che il Museo Do Côa realizza, divenendo un museo di paesaggio
che si integra nel contesto, disvelando
le rovine tra reale e virtuale e curando il
paesaggio in abbandono.
Immaginario e invenzione.
Montaggi anatomici
La seconda terapia montaggi anatomici si basa sul rapporto tra immaginario e invenzione e riguarda le operazioni “anatomiche” di assemblaggio
e di integrazione tra nuove e antiche
parti del corpo originario e tra corpo
e contesto limitrofo. Il progetto di recupero delle Terme romane di São Pedro do Sul a opera di João Mendes Ribeiro riguarda un complesso di edifici
allo stato di rovina di elevata rilevanza
storico-archeologica. Le antiche terme nascono sulla riva del fiume Vouga,
nell’attuale distretto di Viseu, e la loro
costruzione risale all’inizio del I secolo. L’impianto termale ha origine da
90
una sorgente d’acqua naturale situata
a circa cinquecento metri di distanza
dal sito ed è stato utilizzato con continuità fino al XIX secolo. Questo lungo periodo di utilizzo, se ha favorito la
sedimentazione delle tracce del tempo
sul corpo materiale degli edifici, ha anche visto la realizzazione di modifiche e
adattamenti funzionali della struttura,
insieme all’avanzamento del processo
di degrado (Rabaça e Gil, 2021). L’intervento ha operato un vero e proprio
montaggio tra antiche e nuove strutture, consolidando e restaurando le
strutture murarie pervenute integre
e aggiungendo nuovi innesti architettonici contemporanei nei vuoti e nelle
parti mancanti. Il disegno della facciata è reintegrato con nuovi pezzi, definendo una sorta di collage di elementi
e riequilibrando il rapporto tra i pieni e
i vuoti attraverso la nuova costruzione.
Come risultato finale dell’intervento
progettuale, lo spazio fisico e l’immaginario del monumento si fondono con
le percezioni dello spazio abitato generato dalla nuova configurazione, che
determina un nuovo ruolo di attrattore
urbano locale dell’edificio trasformato
in luogo per la comunità.
Temporalità e movimento.
Effetti spaziali
La terza terapia effetti spaziali si basa
sulle relazioni tra temporalità e movimento e vede nell’esplorazione esperienziale dello spazio una possibile di-
L’IMMERSIONE
“Terapie” in cui la
nuova architettura
diviene dispositivo
per abitare
l’archeologia
nel paesaggio e
innesco per lo
sviluppo urbano
locale
rezione per far rivivere e comprendere
l’antico corpo in rovina andato perduto.
Un caso esemplificativo in tal senso è
costituito dal progetto di riconfigurazione del sito del Castel Velho de Freixo
de Numão (2006) a Guarda in Portogallo,
realizzato dal gruppo Atelier 15, composto dagli architetti Alexandre Alves Costa e Sérgio Fernandez. L’antico castello,
localizzato su uno sperone che domina
le valli dei fiumi Douro e Côa, nella sua
fase più antica, si sarebbe configurato
come una sorta di recinto ellittico che
racchiudeva una torretta centrale circondata da diverse strutture. Successivamente fu soggetto a molteplici manomissioni, in cui tuttavia rimase inalterata
la marcata presenza del recinto (Jorge,
2004). Oggi del castello sono rimasti po-
chissimi resti, che riescono solo parzialmente a restituire la complessità architettonica dell’antico luogo. I progettisti,
di fronte alle illeggibili rovine superstiti
decidono di partire dalle tracce dell’antico recinto ellittico e di realizzare una
passerella che ne ricalca il perimetro,
articolandosi come una vera e propria
“esperienza ricostruttiva percettiva”.
Attraverso il movimento nello spazio,
risulta possibile immaginare e percepire la temporalità dell’antica e scomparsa configurazione del castello, a partire
dalla sua assenza. Allo stesso tempo, la
passerella si dirama e si allarga in alcuni
punti in modo tale da fornire una molteplicità di punti di vista verso il paesaggio, configurandosi come una sorta
di dispositivo visuale che restituisce la
dinamicità del paesaggio. Nell’area di
ingresso i due progettisti realizzano una
piccola torre di avvistamento che costituisce un’ulteriore modalità di esperire
il paesaggio e di moltiplicare lo spazio.
Il progetto ha inteso conferire vita a un
luogo che non esisteva più, ricostruendo, attraverso il movimento del corpo
nello spazio, la percezione del castello
nel paesaggio, oggi spazio di contemplazione e di “cura dello spirito”.
Da corpi a spazi di metamorfosi
del paesaggio
I progetti portoghesi esaminati mostrano come le rovine si trasformino da
corpi a spazi di metamorfosi del paesaggio, che possono ora essere vissuti
nel quotidiano e che, allo stesso tem-
03. Recupero delle Terme romane di São Pedro do Sul, J. M. Ribeiro, collage di foto | Recovery of the Roman Baths of
São Pedro do Sul, J. M. Ribeiro, photo collage. Elaborazione di Francesca Coppolino
OFFICINA* N.41
91
po, aiutano a leggere e a comprendere
i paesaggi in cui si inseriscono. La trasformazione delle aree archeologiche
in spazi urbani inclusivi di nuova concezione può configurarsi come una direzione significativa, in quanto capace
da un lato di restituire spazi per la città
e di favorire il coinvolgimento dei cittadini, assegnando alle rovine un attivo e
utile ruolo sociale (Volpe, 2021), dall’altro, a partire dagli interventi su queste
ultime, di innescare o accelerare processi e “terapie” progettuali curative
alla più ampia scala. I temi progettuali
e le strategie proposte indicano possibili traiettorie da approfondire in un
quadro in continua evoluzione che, negli ultimi anni, ha riconosciuto l’urgenza di affrontare e approfondire queste
problematiche, ricercando relazioni
tra rovine, natura e progetto con l’obiettivo di definire nuovi spazi per l’uomo che risultino inclusivi, sostenibili e
permeati di identità.*
NOTE
1 – Il contributo focalizza l’attenzione sul contesto portoghese, oggetto di una esperienza condotta presso l’Università
di Coimbra, Portogallo (Programma Star Plus Linea Mobilità
giovani ricercatori, 2021-22, tutors: P. Miano, P. ProvÎdencia) e
fa riferimento alle ricerche, elaborate in qualità di assegnista
post-doc nella ricerca ALA – Architecture, Landscape,
Archaeology (2019-2022), presso il DiARC, Università degli
Studi di Napoli Federico II, incentrate sul rapporto tra rovina,
spazio pubblico e progetto di architettura nel paesaggio
contemporaneo e agli studi condotti nella ricerca PRIN 2015
La città come cura e la cura della città (2017-20) sui temi
legati alla salute urbana (Coordinatore nazionale: A. Capuano;
Responsabile UdR Napoli: P. Miano), curacitta.com.
BIBLIOGRAFIA
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medicalization of architecture. Zurich: Lars Müller Publishers.
– Capuano, A. (2022). Living Amidst the Ruins in Rome:
Archaeological Sites as Hubs for Sustainable Development.
Sustainability, 14 (6), 3180.
– Jorge, S.O. (2004). O sítio como mediador de sentido. Castelo
Velho de Freixo de Numão: um recinto monumental préhistórico do Norte de Portugal. In Estudos em Homenagem a
Luís António de Oliveira Ramos. Faculdade de Letras da Universidade do Porto, pp. 583-611 (online). In ler.letras.up.pt/uploads/
ficheiros/4997.pdf (ultima consultazione gennaio 2023).
– Miano, P. (a cura di) (2020). HEALTHSCAPE. Nodi di salubrità,
attrattori urbani, architetture per la cura. Macerata: Quodlibet.
– Rabaça, A., Gil, B. (a cura di) (2021). Drawing as Mediation.
The Roman Baths of São Pedro do Sul by João Mendes Ribeiro.
Coimbra: Eldlar.
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dell’esporre museografico. Museologia scientifica, 1, pp. 70-80.
– Rebelo, C., Pimentel, T. (2014). Museu Do Côa. Lisboa: Uzina Books.
– Settis, S. (2010). Rovine. I simboli della nostra civiltà che
rischiano di diventare macerie. La Repubblica, p. 4. Disponibile
su: download.repubblica.it/pdf/diario/2010/11112010.pdf
(ultima consultazione gennaio 2023).
– Simmel, G. (1981). La rovina. Rivista di Estetica, 8, pp. 121-127.
– Speroni, F. (2002). La rovina in scena, per un’estetica della
comunicazione. Roma: Meltemi editore.
– Volpe, G. (2021). Archeologia Pubblica. Roma: Carocci Editore.
Letizia Goretti
PhD Cultura visuale, ricercatrice associata BnF–site Arsenal.
letizia.goretti@yahoo.it
Corpi metallici
Sculture di Jean-Claude Lorenzo,
La Courneuve, Parigi
Fĕrrum, numero atomico 26, simbolo Fe.
Il ferro è un materiale flessibile e plasmabile, che accompagna da millenni
l’evoluzione dell’uomo, o l’involuzione
secondo i punti di vista. Nell’immaginario di artisti o di scrittori, agli inizi del Novecento, il ferro si fa corpo
e non corazza. Tutta la leggerezza
dell’essere in un corpo pesante… Avrà
costui l’anima di un “cavaliere inesistente” (Italo Calvino)?*
Metallic Bodies
Jean-Claude Lorenzo sculptures,
La Courneuve, Paris
Fĕrrum, atomic number 26, symbol Fe.
Iron is a flexible and malleable material, which has accompanied Man’s
evolution for millennia, or involution
depending on the point of view. In the
imagination of artists or writers, at
the beginning of the twentieth century,
iron becomes a body and not a shell. All
the lightness of being in a heavy body…
Will he have the soul of a ‘Nonexistent
Knight’ (Italo Calvino)?*
92
SOUVENIR
OFFICINA* N.41
93
Anna Colonna
Fashion product developer e designer.
annacolonna1991@gmail.com
Human District The thesis studies the
post-industrial production waste in fashion
manufacturing in Italy. Through field
research, which made it possible to analyse
a sample of different companies by type of
production, it was possible to examine the
waste in qualitative and quantitative terms.
The outcome of this work is a prototype of
a digital platform proposed as a catalyst
for creating networks between young
professionals and companies interested
in experimenting with alternative ways of
understanding fashion design.*
l lavoro di ricerca si sviluppa a
partire dalla considerazione dello
scarto come una risorsa attraverso cui esplorare nuovi scenari tramite la
creazione di senso e forme, con la possibilità di supportare la moda a progettare pratiche di sviluppo sostenibile e
responsabile1. Emergono due attori della
trasformazione: da un lato l’industria e la
capacità di rivedere la sua struttura produttiva grazie a processi di digitalizzazione e automazione; dall’altro il progettista
che, riconosciutagli la corresponsabilità
materiale e morale della cultura della progettazione, diviene catalizzatore
dell’innovazione (Manzini, 2015).
Il dibattito in atto già da diversi anni
sulle tematiche di sostenibilità am-
bientale e sociale nell’industria della
moda ha incrementato riflessioni su
questioni che riguardano pratiche di
direzionamento (Fry, 2008) in un’ottica
circolare dei processi produttivi e iniziative di recupero dello scarto tra riciclaggio, upcycling e progettazione a
partire dagli sfridi di produzione. È su
quest’ultimo processo di recupero che
l’intera ricerca di tesi ha voluto porre
la sua attenzione, perseguendo una
delle sfide più significative riguardante
la messa a punto di una metodologia
progettuale riapplicabile per il recupero dello scarto di moda attraverso soluzioni di design industrializzabili.
Nel contesto produttivo italiano l’integrazione di pratiche green si relazio-
nano al concetto di remanufacturing2
(Barucco et al., 2020) applicato al Made
in Italy e al suo tessuto industriale;
questo è costituito da piccole e medie
imprese che, in un’ottica di riconfigurazione delle pratiche, assumono un
ruolo centrale rispetto alla rivoluzione
in atto dell’industria 4.0, dove la tecnologia ha portato a una revisione delle
dinamiche, relazioni, ruoli e competenze degli attori coinvolti. L’utilizzo di
piattaforme e siti internet ha contribuito alla “despazializzazione” dei luoghi di lavoro, alla revisione del concetto di valore e al progressivo passaggio
da un’economia di prodotti a quella di
servizi ed esperienze (Conti e Franzo,
2020)3. La complicazione nella com-
01. Lastre in acetato di cellulosa, tagliate con misure standard per essere inserire nelle macchine a controllo numerico,
rappresentano lo scarto solido dell’occhialeria | Cellulose acetate sheets, cut to standard sizes for insertion in CNC
machines, represent the solid waste from the eyewear industry. Anna Colonna
Distretto umano
Per una progettazione circolare
nella moda
94
TESI
prensione delle dinamiche produttive,
derivante dall’aumento di automatizzazione, ha portato a una revisione del
progetto, inteso come un’integrazione
di saperi con un punto di vista humancentered (Scarpitti, 2020), e del ruolo del designer come incubatore del
cambiamento, capace grazie alla sua
pratica di direzionarlo4; la sua stessa
pratica è rivista in una prospettiva collaborativa che consente di rispondere
alla trasversalità delle istanze contemporanee minando gerarchie di potere
(von Busch, 2009) e modelli di crescita
continua all’interno del sistema moda.
Il processo metodologico d’indagine,
messo a punto per esaminare le modalità in cui gli scarti di produzione nella
manifattura di moda possano trasformarsi in input creativi, ha previsto
l’analisi sul campo, strutturata in interviste individuali e attività di osservazione partecipante, di quattro casi
studio, aziende produttive di moda in
diversi ambiti: maglieria, pelletteria e
pellicceria, abbigliamento, occhialeria.
La scelta dei casi studio è stata dettata dalla volontà di poter aprire un dialogo con aziende produttrici, che spesso
non hanno la possibilità di interfacciarsi con studenti e designer a causa delle
loro dimensioni ridotte, e dalla considerazione della fabbrica come luogo
di apprendimento oltre che di stimolo
creativo (Franzo e Moradei, 2021).
L’intervista come strumento d’indagine è stata funzionale a estrapolare
Il designer come
incubatore del
cambiamento,
capace grazie alla
sua pratica di
direzionarlo
OFFICINA* N.41
02. Trasformazione modellistica di una canotta a partire dall’analisi degli sfridi di un piazzamento | Pattern transformation of the camisole from the analysis of offcuts. Anna Colonna
informazioni riguardanti la struttura
aziendale, gli scarti e le pratiche di
riuso o smaltimento; le differenze rappresentate dalla natura merceologica,
dal posizionamento dei manufatti prodotti, dalle politiche aziendali per la
produzione e la commercializzazione,
hanno rappresentato un vantaggio in
termini di indagine, per la restituzione
di una testimonianza esaustiva in merito alle caratteristiche per tipologia di
scarto (img. 01).
I dati raccolti durante il lavoro di
ricerca sul campo hanno permesso di
stabilire l’incidenza dello scarto, per
ogni categoria merceologica in relazione a pratiche e tecnologie adottate; e di evidenziare esigenze urgenti
95
comuni. Attraverso l’analisi del cartamodello e del suo posizionamento in
fase di taglio è possibile identificare
fattori che determinano la quantità e
le dimensioni dello scarto: ciò è strettamente collegato alla natura dei prodotti realizzati. Nel caso di produzioni
per l’industria del lusso gli sprechi, in
termini di materiale, sono maggiori, al
fine di preservare uno standard qualitativo alto. Questo offre un collegamento con le pratiche di recupero di
capi difettati da parte di piccole imprese, con risorse limitate, i cui standard qualitativi sono decisamente più
bassi. Un altro fattore che determina lo
scarto riguarda le politiche aziendali,
per esempio una produzione sull’ordi-
03. Template sito web “Richiedi una consulenza” | “Request a consultation” website template. Anna Colonna
Il progetto,
inteso come
un’integrazione
di saperi con un
punto di vista
human-centered
nato diminuisce il rischio di rimanenze e permette un approvvigionamento di risorse più controllato; strategie
commerciali di vendita su canali differenziati permettono lo smaltimento
dell’invenduto e dei resi di produzione.
Azioni di recupero dello scarto per
mezzo di iniziative progettuali richiedono l’impiego di risorse, anche umane, e questo apre a riflessioni sulle difficoltà delle piccole imprese di attirare
una nuova generazione di professionisti. In parte tale difficoltà è dovuta alla
staticità delle piccole realtà e alla loro
incapacità di creare appeal, determinata dalla poca presenza online e dalla
chiusura ad iniziative che possano creare delle relazioni. Un ulteriore fattore
è riscontrabile nella localizzazione di
queste realtà, collocate in provincia,
in aree marginali rispetto ai centri
dell’industria creativa.
Per i casi studio analizzati è da escludersi la possibilità di integrare nel proprio organico produttivo risorse che si
occupino di iniziative relative al recupero dello scarto, preferendo investire
su consulenze esterne. La tecnologia
96
intesa come software e macchinari incide positivamente sull’ottimizzazione
dei materiali e sulla riconfigurazione
degli scarti; l’impostazione dei parametri è tuttavia appannaggio degli
operatori che in molti casi non possiedono le giuste competenze tecniche
intese come conoscenza di lavorazioni
e materiali.
Esito finale del lavoro di ricerca è un
prototipo di piattaforma digitale, Co-¹:
Collecting Collaboration Studio, uno
spazio virtuale dove le aziende manifatturiere di moda possono, attraverso
la consulenza di giovani creativi, rivalutare il proprio scarto di produzione.
La piattaforma favorisce non soltanto
la creazione di una rete collaborativa
e lavorativa tra aziende produttrici e
designer di moda, ma in maniera trasversale, punta a consolidare collaborazioni tra diverse realtà aziendali e
creativi. La consulenza rappresenta un
mezzo per giovani designer, che nella
loro quotidianità non svolgono mansioni creative, di continuare a sperimentare, incrementando il proprio
portfolio, e rappresenta una possibilità
TESI
04. Template sito web “Dona i tuo scarti - Shop” | “Donate your waste - Shop” website template. Anna Colonna
per le piccole aziende incapaci di investire in risorse interne.
È stato messo a fuoco il
funzionamento
della
piattaforma
digitale e testate le sue possibilità
attraverso un’azione sperimentale,
che ha coinvolto due casi studio e
due ex studentesse del corso di laurea
magistrale in Moda dell’Università
Iuav di Venezia. Sono state sviluppate
proposte progettuali a partire dagli
scarti di produzione delle aziende prese
in esame, tenendo conto delle loro
esigenze in termini di posizionamento
dei manufatti e scelte commerciali.
Questo primo progetto pilota ha messo
in luce le potenzialità del modello, ma
anche le sue criticità derivanti dalla
difficoltà di una sua implementazione
senza l’ulteriore impiego di risorse
interne delle aziende.
Il progetto di tesi ha cercato di formulare una proposta che riguardasse
tanto il recupero dello scarto, quanto
il collegamento che esso può rappresentare per instaurare relazioni umane
e lavorative, l’importanza della tecnologia nella creazione di spazi virtuali
OFFICINA* N.41
inclusivi offre la possibilità di creare
network relazionali, slegati dall’appartenenza territoriale e svincolati dalle
dinamiche che riguardano esclusivamente i grandi brand del lusso.
Ciò che ha contraddistinto l’industria della moda italiana e il suo successo è stata la formula distrettuale
basata sulla fiducia e valori condivisi.
Questa formula territoriale lascia spazio a una dimensione più immateriale,
quella che è stata definita come distretto umano, dove la cooperazione
e lo scambio di conoscenze divengono
fondamentali per il raggiungimento di
obiettivi comuni.*
NOTE
1 – Questo contributo presenta la tesi di laurea discussa
nell’a.a. 2021/2022, relatore Paolo Franzo. La tesi ha
ottenuto il premio come miglior tesi di laurea magistrale in
Moda 2022 all’Università Iuav di Venezia.
2 – Con il termine remanufacturing si intende la possibilità
di rigenerazione, a partire dalla sostituzione delle parti usurate con elementi nuovi o già esistenti, propria dell’epoca
attuale della postproduzione. Questo, traslato nel Made
in Italy, permette di osservare in una nuova prospettiva
i caratteri ereditati dal passato e le qualità che stanno
guidando la sua trasformazione.
3 – L’analisi di alcuni progetti italiani online, capaci di connettere in modo innovativo i diversi soggetti coinvolti nei
97
processi progettuali e produttivi della moda, permette agli
autori di interpretare le piattaforme digitali come esempi di
distretti virtuali, dove virtuale è inteso non in opposizione al
reale, ma all’attuale (Deleuze, 2001).
4 – In tal senso, digitalizzazione e automazione, sono solo
strumenti nelle mani del progettista in grado di adattarne le
potenzialità al progetto; il principio è che il designer guidi e
orienti la tecnica attraverso il digitale e non viceversa.
BIBLIOGRAFIA
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M.A., Bulegato, F., Vaccari, A., (a cura di), Remanufacturing
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OFFICINA* - Rivista trimestrale di Architettura, Tecnologia e
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– von Busch, O. (2009). Post-script a Fashion-able. Or
a methodological appendix to activist design research.
Raleigh: Lulu.
Roshan Borsato
Università Ca’ Foscari.
Enrico Polloni
Università Ca’ Foscari.
Well-being: Sustainability in Business
Organisation Among three pillars of sustainability, the social one has often been
considered as the last. However, the recent
pandemic and inflationary crisis has forced a
rapid change of pace in this regard, particularly at corporate level. This paper aims
to offer a concise description of corporate
well-being in its multiple aspects, providing a
perspective on the implementation of the sustainable paradigm within business organisations. The methodology employed is based on
a solid analysis of international and national
scientific journals pertaining to the topic.*
ntroduzione
La sostenibilità oggi richiede una
particolare attenzione ai bisogni
dell’essere umano: in particolare, essa
richiede un’attenzione maggiore ai bisogni del lavoratore, il quale vuole e chiede
di essere messo al centro dell’azienda.
Non è più il tempo in cui il lavoro viene
concesso come un dono dall’imprenditore al dipendente: quest’ultimo oggi
pretende di essere valorizzato, di essere
ascoltato, di far parte, secondo il proprio
ruolo, di una strategia aziendale. Non viviamo più il tempo delle concessioni, ma
il tempo di una nuova etica economica,
ossia di una sostenibilità che mette al
centro i bisogni dell’uomo all’interno di
una concezione in cui l’uomo si realizza pienamente in una serie di valori che
prescindono dal lavoro tecnicamente
inteso. In questa concezione, dunque,
l’azienda diventa uno strumento al servizio del lavoratore.
Sostenibilità e organizzazione
aziendale
Al fine di implementare la sostenibilità, intesa come sviluppo economico,
ambientale e sociale che soddisfi le esigenze del presente e non impedisca alle
generazioni future di soddisfare i propri
bisogni, svolgono infatti un ruolo sempre
più importante le imprese private. Anche
a livello globale si vogliono sostenere i
quadri normativi e politici nazionali per
permettere all’industria di promuovere
iniziative di sviluppo sostenibile tenendo
conto dell’importanza della responsabilità
sociale delle imprese.
Le aziende sono sempre più considerate responsabili non solo nei confronti
degli azionisti, ma anche degli stakeholder. Un tempo con questo termine ci si
riferiva a un gruppo relativamente ristretto composto da dipendenti, clienti
e fornitori, ma oggi viene percepito in
modo ampio, includendo la comunità
in generale. In questo contesto, vi è la
consapevolezza che la sostenibilità sia
fondamentale per le imprese in quanto,
in linea di principio, la singola azienda,
la comunità imprenditoriale, la società e
la natura stessa possono beneficiare di
un comportamento aziendale più sostenibile. Nondimeno, i progressi verso lo
sviluppo sostenibile sono stati lenti, indicando la necessità di strumenti e guide
più concrete, in quanto il concetto stesso
di sviluppo sostenibile non offre indicazioni chiare su quali strategie, piani o attività debbano essere attuati (Baumgartner e Rauter, 2016).
In letteratura, tra i molti aspetti presi
in considerazione affinché venga facilitata l’implementazione del paradigma sostenibile all’interno delle imprese,
è riconosciuto il ruolo fondamentale
dell’organizzazione aziendale. In particolare, si fa riferimento all’introduzione
di pratiche sostenibili legate al pilastro
della sostenibilità sociale: il cosiddetto
well-being aziendale. Le imprese sono
per questo sottoposte a crescenti pressioni per prendere parte alla soluzione
dei problemi sociali. Data questa impellenza e il fatto che la responsabilità sociale d’impresa (RSI) comporta dei costi, le
organizzazioni imprenditoriali si trovano
di fronte alla situazione di doversi impegnare nei problemi sociali da un lato e di
mantenere i profitti dall’altro. Trovare il
modo di perseguire gli obiettivi di wellbeing aziendale senza incidere negativamente sui profitti è quindi una questione
che interessa molto da vicino manager e
ricercatori (Ramachdandran, 2011).
I molteplici aspetti del well-being
Specialmente in passato, le condizioni di successo per l’implementazione della sostenibilità all’interno dell’organizzazione aziendale erano legate
solamente alle condizioni di benessere
dei dipendenti. Il well-being aziendale
poteva dunque dirsi raggiunto nel caso
in cui i dipendenti considerassero il
lavoro in azienda come significativo e
gratificante dal punto di vista psicologico (Manninen e Huiskonen, 2022).
Tuttavia, le attività aziendali comprendono diversi aspetti sociali. Tra di essi la
gran parte coinvolge direttamente i dipendenti, come per esempio la salute e
la sicurezza sul lavoro, la partecipazione
dei dipendenti al processo decisionale, il
comportamento etico dell’azienda. Queste interazioni sociali positive contribuiscono al well-being aziendale che, a sua
Il well-being: la sostenibilità
nell’organizzazione aziendale
98
IN PRODUZIONE
volta, ha un impatto positivo sull’impegno dei dipendenti. Le imprese con livelli
più elevati di engagement dei dipendenti
mostrano costi aziendali più bassi, migliori risultati di performance, minore
rotazione del personale e assenteismo e
meno incidenti sul lavoro. Ad esempio, un
rapporto di Gallup (2017) mostra che le
aziende che ottengono i punteggi migliori in termini di coinvolgimento dei propri
dipendenti ottengono una riduzione del
41% dell’assenteismo e del 59% del turnover aziendale (Cinar e Bilodeau, 2022).
Agli aspetti sociali interni si associano
inoltre quegli esterni alle imprese, come
il contributo dell’azienda allo sviluppo
della società, anche a livello locale e regionale, l’integrazione degli stakeholder
esterni, garantendo la legittimità degli
stessi, e altresì il rispetto dei diritti umani lungo la filiera produttiva legata all’azienda (Baumgartner e Rauter, 2016).
Al fine di misurare questi impatti sono
stati anche sviluppati alcuni indicatori
di well-being sociale che misurano l’impatto sociale dei processi produttivi e
dei prodotti. I dipendenti, i clienti e la
comunità circostante sono tutti direttamente e indirettamente interessati dalle
azioni di un’organizzazione aziendale
e la considerazione di questi impatti è
importante per garantire operazioni
socialmente sostenibili nonché la sostenibilità organizzativa complessiva. Ad
esempio, gli indicatori di customer satisfaction sono essenziali per misurare la
soddisfazione e il well-being dei clienti.
Infine, gli aspetti legati alla comunità
sono direttamente collegati alle azioni di
un’organizzazione, attraverso indicatori
concernenti le responsabilità di prodotto, la giustizia e i programmi di sviluppo
della comunità (Joung et al., 2012).
Il ruolo attuale del benessere
aziendale
Venendo al giorno d’oggi, la pandemia di COVID-19 ha colpito duramente il
settore privato, il quale sta individuando
quale sia la strada migliore per riprendersi. L’uscita dalla crisi pandemica può
compiersi per mezzo di un progetto di
sviluppo innovativo, improntato a garantire l’occupazione delle persone e il wellbeing della società. Gli impatti sociali degli
eventi drammatici a cui abbiamo assistito
OFFICINA* N.41
e stiamo assistendo ci spingono ad accelerare ancora di più in questa direzione.
Ad esempio, nel corso della prima fase
della crisi le imprese hanno naturalmente
adottato pratiche di lavoro più sostenibili, come la riduzione degli spostamenti e
l’aumento del lavoro a distanza, migliorando il well-being dei dipendenti. D’altro canto, il benessere aziendale è diminuito in determinati aspetti, a causa del
maggior carico di lavoro dei dipendenti
(Manninen e Huiskonen, 2022).
Le imprese dispongono comunque di
molteplici strumenti per favorire l’implementazione della sostenibilità sociale
all’interno della propria organizzazione
aziendale. La meno nota “S” dei più famosi criteri ESG (Environmental, Social and
Governance) costituirà definitivamente
uno dei parametri di rendicontazione dei
bilanci delle aziende italiane, di grandi e
medie dimensioni, a partire dal 2024, con
l’entrata in vigore della normativa europea
Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD). Questa introdurrà standard
comuni e omogenei per la rendicontazione dell’impatto delle aziende non solo secondo criteri di sostenibilità ambientale,
ma anche sociale e di governance.
L’adozione di indicatori di sostenibilità
sociale svolgerà quindi un ruolo fondamentale in futuro, così come anche l’implementazione delle nuove tecnologie
legate all’Industria 4.0, la quale ha dimostrato di poter contribuire allo sviluppo o
alla riformulazione dei processi organizzativi per renderli più competitivi e sostenibili. Nello specifico, attraverso l’adozione
di tecnologie human-centered, l’industria
4.0 ha il potenziale per incrementare la
sostenibilità delle aziende e della loro catena di fornitura, in quanto alcune delle
sue tecnologie consentono di migliorare
significativamente il well-being sociale e
ambientale (Torres da Rocha et al., 2022).
I cambiamenti della normativa, l’adozione di nuove tecnologie, la crisi pandemica
e la recente impennata inflazionistica impongono proprio di ripensare al sistema
di approvvigionamenti, sostenendo produzioni locali e filiere sempre più corte.
In tutto ciò, l’implementazione di buone
pratiche di well-being aziendale svolge
un ruolo fondamentale per garantire alle
imprese la necessaria competitività e resilienza agli shock esterni, e assicurare ai
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dipendenti, ai clienti e alla comunità locali
un futuro pienamente sostenibile.
Conclusione
Sta prendendo forma in questi ultimi
tempi il fenomeno della Great Resignation: i dati elaborati da diverse fonti sono
inequivocabili in questo senso. Infatti, le
dimissioni volontarie interessano circa il
60% delle aziende, e soprattutto ciò che
colpisce è che il fenomeno delle grandi dimissioni riguarda gli addetti ai lavori in una
età compresa tra i 26 e i 35 anni. Alla base
di questo fenomeno non c’è solamente la
ricerca di migliori condizioni economiche
sul mercato, ma anche la ferma determinazione a trovare un migliore equilibrio
tra vita privata e lavoro. Sappiamo tutti
come post pandemia il mondo del lavoro
sia profondamente cambiato: concetti,
infatti, come smart working e work life
balance sono diventati ormai parte integrante della cultura e in sede di colloqui
sono fattori sempre più richiesti, a tutti i
livelli. Le grandi dimissioni rappresentano un fenomeno iniziato negli Stati Uniti
d’America a inizio 2021, ma esso sta rapidamente affermandosi anche in Italia. Ciò
che si deve leggere tra le righe è il solco
che si sta creando tra gli esponenti della
generazione dei baby boomer che spesso
occupano le posizioni di vertice all’interno delle aziende e i cosiddetti Millennials
e generazione Z. Oggi dunque declinare la
sostenibilità aziendale in questo specifico
settore significa tener conto dell’essere
umano non come strumento, come mera
pedina per aumentare la competitività
economica aziendale, ma significa ammettere e sviluppare una cultura aziendale che vuole sostenere la realizzazione
integrale dell’essere umano.*
BIBLIOGRAFIA
– Baumgartner, R.J., Rauter, R. (2016). Strategic perspectives of
corporate sustainability management to develop a sustainable
organization. Journal of Cleaner Production, n. 140, pp. 81-92.
– Cinar, A.B., Bilodeau, S. (2022). Sustainable Workplace
Mental Well Being for Sustainable SMEs: How? Sustainability, n. 14, p. 5290.
– Gallup (2017). The Right Culture: Not Just about Employee Satisfaction.
– Joung, B. et al. (2012). Categorization of indicators for sustainable manufacturing. Ecological Indicators, n. 24, pp. 148-157.
– Manninen, K., Huiskonen, J. (2022). Factors influencing the
implementation of an integrated corporate sustainability and business strategy. Journal of Cleaner Production, n. 343, p. 131036.
– Ramachdandran, V. (2011). Strategic corporate social responsibility: a ‘dynamic capabilities’ perspective. Corporate Social
Responsibility and Environmental Management, n. 18, pp. 285-293.
– Torres da Rocha, A.B. et al. (2022). Business transformation
through sustainability based on Industry 4.0. Heliyon, n. 8, p. 10015.
Oltre la periferia
della pelle
sentazioni performative o testuali del
corpo e ad abbracciare come costitutiva del nostro essere la crescente assimilazione al mondo delle macchine.
Il punto in comune rimane comunque l’assenza di una posizione a partire dalla quale identificare le forze
sociali che influenzano il corpo. [...]
Esiste anche la tendenza, recuperata
da Foucault, a indagare gli “effetti” dei
poteri sul nostro corpo, piuttosto che a
concentrarsi sulla fonte stessa. Eppure, senza una ricostruzione del campo
di forze in mezzo al quale ci muoviamo, i nostri corpi rimangono intelligibili o suscitano mistificazioni sulle
loro azioni. Possiamo per esempio
chiederci come “andare oltre il binarismo” senza comprenderne l’utilità
economica, politica e sociale in determinati sistemi di sfruttamento? O ancora, come comprendere le lotte che
trasformano costantemente le identità di genere? Come possiamo parlare
della messa in scena del genere, della
razza, dell’età senza riconoscere le costrizioni create da specifiche forme di
sfruttamento e punizione?
Dobbiamo identificare le politiche
antagoniste e le relazioni di potere
che costituiscono i nostri corpi e ripensare le lotte di opposizione alla
“norma”, se vogliamo ridisegnare le
strategie per il cambiamento [...]
In opposizione alle idee di Foucault
ho sostenuto anche che non abbiamo
solamente una, ma al contrario molte
storie del nostro corpo; intendo dire
che conosciamo diverse narrazioni su
come la meccanizzazione del corpo si
è articolata. D’altronde le gerarchie di
razza, sesso e generazione, costruite
fin dal principio dal capitalismo, eliminano del tutto la possibilità di una
posizione universale. Ecco perché la
storia “del corpo” deve essere raccontata intrecciando le storie di chi è stato
schiavizzato, colonizzato o trasformato
in lavoratore salariato o casalinga senza stipendio, senza dimenticare le storie dei bambini, tenendo presente che
queste classificazioni non si escludono
a vicenda e che il nostro essere sotto
dei sistemi di dominio interconnessi
produce sempre una nuova realtà.*
La rivoluzione della cura
Marco Bersani
Alegre, 2023
Manifesto delle specie compagne
Donna Haraway
Contrasto, 2023
Oltre la periferia della pelle
Silvia Federici
D Editore
2023
indubbio che il corpo sia oggi
al centro del discorso politico, in ambito disciplinare e
scientifico, dove si tenta di ridefinirne le qualità e ciò che può fare. È la
Sfinge da interrogare e su cui fondare le nostre azioni nella strada verso
il cambiamento individuale e sociale.
Tuttavia rimane quasi impossibile articolare una visione coerente del corpo
sulla base delle teorie più accreditate
in campo intellettuale e politico. Da
una parte abbiamo le forme più estreme di determinismo biologico, basate
sull’assunto del DNA come deus absconditus (Dio Celato) presumibilmente in
grado di determinare la nostra vita
fisiologica e psicologica senza che ne
siamo coscienti; dall’altra, abbiamo le
teorie (femministe e trans) che ci incoraggiano ad abbandonare qualsiasi
fattore biologico in favore delle rappre-
a cura di
sullo scaffale
La tecnologia è religione
Chiara Valerio
Einaudi, 2023
100
CELLULOSA
Signora libertà
signorina fantasia
“T’ho incrociata alla stazione che inseguivi il tuo profumo
presa in trappola da un tailleur grigio fumo”
Fabrizio De André, Se ti tagliassero a pezzetti, Fabrizio De André, 1981.
Immagine di Emilio Antoniol
(S)COMPOSIZIONE