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ISTITUTO REGIONALE PER LA STORIA DELLA RESISTENZA E DELL’ETÀ CONTEMPORANEA NEL FRIULI VENEZIA GIULIA QUALESTORIA Rivista di storia contemporanea 1-2 Regioni in transizione: la nascita delle autonomie speciali in Italia e Spagna nel passaggio dalla dittatura alla democrazia Regions in transition: the emergence of special autonomies in Italy and Spain in the shift from dictatorship to democracy a cura di Andrea Di Michele qs Anno LI, N. 1-2, Giugno-Dicembre 2023 EUT EDIZIONI UNIVERSITÀ DI TRIESTE «QUALESTORIA» 1-2 2023 Rivista di storia contemporanea Periodico semestrale Realizzata con il contributo della Direttore scientifico Luca G. Manenti Vicedirettrice scientifica Giulia Caccamo Direttore responsabile Pierluigi Sabatti Redazione Diana Verch Comitato scientifico Patrizia Audenino, Pamela Ballinger, Alberto Basciani, Giuseppe Battelli, Marco Bellabarba, Andrea Dessardo, Gabriele D’Ottavio, Paolo Ferrari, Filippo Focardi, Aleksej Kalc, Gabriele Mastrolillo, Georg Meyr, Giorgio Mezzalira, Marco Mondini, Gloria Nemec, Egon Pelikan, Paolo Pezzino, Giovanna Procacci, Silvia Salvatici, Stefano Santoro, Marta Verginella, Rolf Wörsdörfer Comitato di redazione Fulvia Benolich, Giulia Caccamo, Štefan Čok, Giuliana Ferrisi, Lorenzo Ielen, Patrick Karlsen, Carla Konta, Luca G. Manenti, Enrico Miletto, Raoul Pupo, Federico Tenca Montini, Federico Carlo Simonelli, Fabio Todero, Fabio Verardo, Diana Verch, Gianluca Volpi Direzione, redazione e amministrazione Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell’Età contemporanea nel Friuli Venezia Giulia Salita di Gretta 38, 34136 Trieste telefono: 040.44004 fax: 0404528784 mail: qualestoria@irsrecfvg.eu sito: http://www.irsrecfvg.eu/editoria/rivista «Qualestoria» è la rivista dell’Irsrec FVG, fondata nel 1973 come «Bollettino dell’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia». Ospita contributi di autori italiani e stranieri, promuovendo la pubblicazione di numeri monografici e miscellanei. La rivista propone tradizionalmente tematiche legate alla storia contemporanea dell’area alto-adriatica e delle zone di frontiera, rivolgendo particolare attenzione allo studio e alla storiografia dei paesi dell’Europa centro-orientale e balcanica. Le proposte di pubblicazione vanno inviate all’indirizzo e-mail della redazione. Saranno preventivamente valutate da esperti interni ed esterni al Comitato di redazione. I saggi pubblicati nella sezione «Studi e ricerche» sono sottoposti in forma anonima a double-blind peer review. «Qualestoria» è attualmente presente nei seguenti indici: Bibliografia storica nazionale, Catalogo italiano dei periodici (Acnp), Essper, Gbv (Gemainsame Bibliotheksverbund), Google Scholar, Res. È inoltre inserita dall’Anvur nella lista delle riviste scientifiche ai fini dell’abilitazione scientifica nazionale. La rivista non si intende impegnata dalle interpretazioni e vedute espresse da articoli e note firmati. ISSN: 0393-6082 Registrazione del Tribunale di Trieste n. 455 del 23 febbraio 1978. Iscrizione al Roc n. 16557 del 29 giugno 2000. © 2022, Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell’Età contemporanea nel Friuli Venezia Giulia Abbonamento annuale: ordinario 30 €, sostenitore 60 €, estero 41,5 € Costo di un singolo numero: 15 €. Fascicoli arretrati: 15 € C.c.p. 12692349 intestato a Irsrec BANCOPOSTA IT 48 H 07601 02200 000012692349 Unicredit IT 90 Z 02008 02230 000005469067 Tariffa regime libero/ Poste italiane S.p.A./ Spedizione in abbonamento postale 70%/ DCB Trieste Fotocomposizione: EUT Edizioni Università di Trieste Via E. Weiss, 21 – 34128 Trieste eut@units.it http://eut.units.it https://www.facebook.com/EUTEdizioniUniversitaTrieste Copertina: Waving flag of Italy and Spain, © irishmaster, Adobe Stock. SOMMARIO CONTENTS Regioni in transizione: la nascita delle autonomie speciali in Italia e Spagna nel passaggio dalla dittatura alla democrazia Regions in transition: the emergence of special autonomies in Italy and Spain in the shift from dictatorship to democracy a cura di Andrea Di Michele Studi e ricerche Studies and researches Andrea Di Michele Introduzione 9 Luigi Blanco Le origini del regionalismo differenziato in Italia The origins of asymmetric regionalism in Italy 13 Andrea Micciché Dalla Sicilia ai Paesi baschi: una riflessione su due diverse vie all’autonomia From Sicily to the Basque Country: a reflection on two different paths to autonomy 53 Luca Lecis Dalla conquista statutaria allo scontro rivendicativo con lo Stato: l’istituzione della Regione autonoma della Sardegna From the Statutory Achievement to the Clash of Claims with the State: The Establishment of the Autonomous Region of Sardinia 75 Vega Rodríguez-Flores Parra Il Paese valenzano come paradigma del pragmatismo autonomista. Il dilemma tra via rapida e via lenta (1978-1981) The Valencian Country as a paradigm of autonomic pragmatism. The dilemma between the fast procedure and the slow procedure (1978-1981) 93 Documenti e problemi Records and issues Silva Bon Enzo Bettiza (ritrovato) Enzo Bettiza (re-proposed) 111 Alberto Brambilla Sorelle allo specchio. Francia e Italia nel carteggio De Amicis-Cottinet Sisters in the mirror. France and Italy in the De Amicis-Cottinet correspondence 125 Paolo Ferrari Alessandro Massignani Una lettera di Cadorna alla vigilia di Caporetto A letter from Cadorna on the eve of Caporetto 147 Massimo Nardini Gli Stati Uniti e il cambiamento del rapporto con l’Urss tra l’inizio degli anni Trenta e la metà degli anni Cinquanta The United States and the changing relationship with the USSR between the early 1930s and mid-1950s 159 Valentina Raimondo “Un’amicizia triestina del grande poeta”. Guido Marussig creatore di simboli per Gabriele d’Annunzio “A Triestine friendship of the great poet”. Guido Marussig symbol creator for Gabriele d’Annunzio 175 Eugenia Scarzanella Il fascismo italiano in America latina: i temi della ricerca The Italian fascism in Latin America: research topics 195 Gabriele Mastrolillo Antifascismo e antimperialismo nell’analisi e nella propaganda dei trockisti italiani (1930-1938) Anti-Fascism and Anti-Imperialism in the Analysis and Propaganda of Italian Trotskyists (1930-1938) 217 Giovanni Brunetti Da una Procura del regno alla Corte suprema di un regno. L’inconsueta carriera di una toga tra politica, colonialismo e memorie (1922-1969) From a Kingdom Prosecutor’s Office to the Supreme Court of a kingdom. The unusual career of a judge between politics, colonialism, and memories (1922-1969) 235 Fabio Todero Da Trieste all’Ucraina: l’odissea di un austro-italiano nella Grande guerra From Trieste to Ukraine: the Odyssey of an Austro-Italian in the Great War 251 Atti del corso di aggiornamento Gli anni Settanta tra storia e politica, letteratura, nuove tendenze musicali e trasformazioni sociali e istituzionali a cura di Anna Di Gianantonio Anna Di Gianantonio Introduzione, le ragioni di un corso Gabriele Medeot La musica negli anni Settanta. Preludio e fuga 277 Alessandra Rea «La politica è un dovere, la poesia è un bisogno». Genesi e sviluppi politici e letterari dei rapporti italo-ellenici durante la dittatura dei colonnelli 281 Gabriele Donato L’immaginazione al potere? Icone, slogan e simboli di un assalto al cielo. La politica negli anni Settanta 287 Anna Di Gianantonio La strage di Peteano e la strategia della tensione 289 Mauro Gialuz Le lotte studentesche 293 275 La letteratura dell’esodo Pierluigi Sabatti Introduzone 297 Enrico Miletto L’esodo e i profughi giuliano-dalmati nell’Italia del dopoguerra The exodus and the Julian-Dalmatian refugees in post-war Italy 301 Cristina Benussi L’esodo e i suoi racconti Exodus novels 311 Diego Zandel Letteratura dell’esodo Exodus Literature 323 Tavola rotonda Linee guida per la didattica della frontiera adriatica Interventi di Patrick Karlsen, Georg Meyr, Caterina Spezzano, Štefan Čok, Davide Rossi, Fabio Todero 333 Messa a fuoco: la parola agli storici Focus: historians speaking Turismo di guerra Interventi di Simone Bozzato, Anna Rita Irimias, Matteo Tomasoni 353 Note critiche Reviews Luca Adriani Alessandro Barile, Rossana Rossanda e il PCI. Dalla battaglia culturale alla sconfitta politica (1956-1966), Carocci, Roma 2022 363 GianPaolo Ferraioli Aldo A. Mola, Vita di Vittorio Emanuele III 1869-1947. Il re discusso. Un protagonista della Storia sempre al centro del dibattito, Bompiani, Milano 2023 367 Roberto Ibba Deborah Paci, Between the Seas. Island Identities in the Baltic and Mediterranean Seas, Bloomsbury Academic, London 2023 371 Csaba Katona Gunesch János: Naplóm a harctérről és a hadifogságomból, 1915–16–17, szerk. Juhász Balázs/ Gunesch János: Il mio diario del campo di battaglia e della mia prigionia di guerra, 1915-16-17, a c. di Balázs Juhász, Nagy Háború Kutatásáért Közhasznú Alapítvány–Gruppo Speleologico Carsico, Budapest–San Martino del Carso 2022 375 Lorenzo Nuovo Dopo la Grande guerra. Una Nuova Europa 1918-1923 (After the Great War. A new Europe 1918-1923), Trieste, Largo Odorico Panfili, 15 settembre – 11 ottobre 2022 381 Niccolò Panaino Jacopo Perazzoli, Angelo Filippetti, l’ultimo sindaco di Milano prima del fascismo, Biblion, Milano 2022 385 Lorenzo Raito Monica Fioravanzo, L’Europa fascista. Dal “primato” italiano all’asservimento al Reich (1932-1943), FrancoAngeli, Milano 2022 389 Fulvio Senardi Maurizio Serra, Il caso Mussolini, Neri Pozza, Vicenza 2021 393 Francesco Zavatti In un continente diviso. L’Italia, l’Europa orientale e la discesa della cortina di ferro, a c. di Francesco Caccamo, FrancoAngeli, Milano 2021 397 Raoul Pupo Mila Orlić, Identità di confine. Storia dell’Istria e degli istriani dal 1943 a oggi, Viella, Roma 2023 405 Fulvio Senardi Giani Stuparich, Diario di prigionia 1916-1918, a c. di Silvia Contarini, Bianca Del Buono, Giulia Perosa, EUT, Trieste 2023 411 Matteo Sanfilippo Matteo Pretelli, Francesco Fusi, Soldati e patrie. I combattenti alleati di origine italiana nella Seconda guerra mondiale, il Mulino, Bologna 2023 417 Gli autori di questo numero 421 «Qualestoria» n.1-2, giugno-dicembre 2023, pp. 235-249 DOI: 10.13137/0393-6082/35530 https://www.openstarts.units.it/handle/10077/21200 235 Da una Procura del regno alla Corte suprema di un regno. L’inconsueta carriera di una toga tra politica, colonialismo e memorie (1922-1969) Giovanni Brunetti From a Kingdom Prosecutor’s Office to the Supreme Court of a kingdom. The unusual career of a judge between politics, colonialism, and memories (1922-1969) The purpose of the essay is to reconstruct the personal history of the magistrate Carlo Materazzo in service in Tripoli before and after the Second World War. His biography allows us to highlight the characteristics of an Italian “colonial judge” during the fascist regime, the British military occupation and the process of independence of the so-called Italian “Quarta sponda”. What makes the story particularly interesting, in addition to the different forms of collaboration of Materazzo with apparently very different political regimes, is the publication by the magistrate of a memoir about his experience in Libia. By dialoguing archival documents and the memories of Materazzo, I tried to retrace a single aspect of the slow italian transition process from fascism to democracy. Keywords: Colonial judge, Libia, Epuration, Fascism, Memoir Parole chiave: Giudice coloniale, Libia, Epurazione, Fascismo, Memoria autobiografica Introduzione Il 25 settembre 1944 il ministero di Grazia e Giustizia (Mgg) notificò alla Commissione alleata di controllo Allied Control Commission (Acc) la sospensione di un giudice «in funzione di consigliere [di Corte d’appello]»1. Si trattava di una pratica del tutto routinaria e che andava consolidandosi con la recente adozione del Decreto legge luogotenenziale (Dll) 27 luglio 1944, n. 159, contente la normativa per le sanzioni amministrative per coloro che si erano compromessi durante il regime fascista. La cosiddetta «Magna Charta dell’epurazione politica»2 prevedeva di rimandare a giudizio tutti quei dipendenti pubblici in possesso di qualifiche fasciste – squadrista, sansepolcrista, antemarcia, marcia su Roma, sciarpa littorio, ufficiali della Milizia volontaria per la sicurezza nazionale (Mvsn) – o di faziosità ideoloArchivio Centrale dello Stato (Acs), Allied Control Commission (Acc), Headquarters Allied Commission (10000), Legal (142)/562, Epuration of colonial judges 09/1944-08/1945, comunicazione della sospensione di Materazzo (25 settembre 1944). 2 H. Woller, I conti con il fascismo. L’epurazione in Italia 1943-1945, il Mulino, Bologna 1997, p. 193. Cfr. M. Giannetto, Defascistizzazione: legislazione e prassi della liquidazione del sistema fascista e dei suoi responsabili (1943-1945), in «Ventunesimo secolo», n. 4, 2003, pp. 53-90, qui pp. 63-64. Per una storia della defascistizzazione della magistratura cfr. G. Focardi, Le sfumature del nero: sulla defascistizzazione dei magistrati, in «Passato e presente», n. 64, 2005, pp. 61-87. Vedi da ultimo L’epurazione mancata. La magistratura tra fascismo e Repubblica, a c. di A. Meniconi, G. Neppi Modona, il Mulino, Bologna 2022. 1 236 Giovanni Brunetti gica legata all’ex partito di governo. La notizia dell’estensione di questa norma ai territori sottoposti ai governi militari alleati aveva portato i componenti della commissione d’epurazione di quel dicastero ad applicarla anche al giudice Carlo Materazzo. Costui non solo risultava iscritto al Partito nazionale fascista (Pnf) prima del 1922, ma era stato anche presidente dell’Opera nazionale dopolavoro (Ond) giudiziario del tribunale di Milano nel 1934 ed autore di alcuni scritti politici inneggianti al fascismo. Si trattava di un funzionario a tutti gli effetti “epurabile”, quindi da rimandare al giudizio della commissione epurativa competente per il Mgg. Sarebbe una vicenda simile a quella di tanti altri suoi colleghi se non fosse che Materazzo, ormai da quasi dieci anni, si trovava in servizio a Tripoli. Il trovarsi fuori dai confini della penisola italiana non era un limite di per sé all’applicazione della legge – è noto come la cosiddetta “Quarta sponda” venne costituzionalmente unita al Regno d’Italia col Regio decreto legge (Rdl) 9 gennaio 1939, n. 70 – quanto il fatto che le province della Cirenaica e della Tripolitania fossero sotto la tutela di un governo militare britannico3. Per tale ragione il responsabile degli affari civili per il quartier generale delle forze alleate in Medio Oriente inviò una nota piccata all’Acc, dato che quest’ultima era l’organo di sorveglianza dell’attività del governo di Roma. In sostanza, il generale britannico ricordava come un provvedimento simile non potesse pensare di alterare l’autonomia delle strutture alleate e le modalità di reimpiego dei funzionari italiani in quelle che erano state fino ad allora le loro colonie. Per lui era da considerare nullo ogni genere di atto amministrativo proveniente dall’ex madrepatria, sottolineando come fosse primaria l’utilità pratica di mantenere in funzione un’amministrazione esperta ed in linea con la politica alleata di indirect rule4. La vicenda di Materazzo diventava così un caso al quale fare riferimento per definire il trattamento dei cosiddetti “colonial judges”, cioè quei magistrati italiani in servizio nei tribunali di quello che dal 1936 divenne l’impero coloniale italiano. Il ministero dell’Africa italiana (Mai) – prima della conquista dell’Etiopia definito ministero delle Colonie – non si era mai dotato di un’apposita categoria di magistrati propri, attingendo invece da quelli provenienti dalla categoria ordinaria. Erano i singoli giudici, come fece Materazzo, ad esprimere al proprio dicastero di appartenenza il desiderio di essere inviati in colonia. Questo elemento non è irrilevante, soprattutto se consideriamo che il Mai creò varie specialità – la più nota è forse la Polizia Africa italiana (Pai) – per amministrare i territori africani5. Ma al di là di tale N. Labanca, Oltremare. Storia dell’espansione coloniale italiana, il Mulino, Bologna 2002, pp. 349-350. Sull’amministrazione britannica delle ex colonie italiane rimane fondamentale F.J. Rennell Rodd, British Military Administration of Occupied Territories in Africa during the Years 1941-1947, His mayesty’s stationery office, London, 1948. 4 Acs, Acc, Headquarters Allied Commission (10000), Legal (142)/562, cit., risposta alla lettera di sospensione di Materazzo (23 novembre 1944). Cfr. D.W. Ellwood, L’alleato nemico. La politica dell’occupazione anglo-americana in Italia 1943-46, Feltrinelli, Milano 1977; M.M. Aterrano, Mediterranean-First? La pianificazione strategica anglo-americana e le origini dell’occupazione alleata in Italia (1939-1943), fedOA, Napoli 2017, pp. 185-187. 5 C. Giorgi, L’Africa come carriera. Funzioni e funzionari del colonialismo italiano, Carocci, Roma 2012, p. 17. Cfr. P. Saraceno, La magistratura coloniale italiana, in «Clio», n. 2, 1986, pp. 275-289, qui p. 280; V. Pellegrini, Le fonti del Ministero dell’Africa italiana, in Fonti e problemi della politica italiana. Atti del convegno, 3 Da una Procura del regno alla Corte suprema di un regno 237 carenza dell’istituzione che doveva sovrintendere alla gestione coloniale, a rendere particolarmente rilevante la vicenda di un singolo magistrato “prestato” al servizio in colonia è la valutazione che fu fatta nei suoi confronti dagli occupanti inglesi, per nulla scossi dal suo passato, ed il suo ruolo nella costruzione del nuovo Stato libico. Materazzo, infatti, all’indomani del passaggio politico-istituzionale dell’Italia dal fascismo alla Repubblica rimase al suo posto, prendendo parte alla genesi del Regno unito di Libia e all’organizzazione del suo apparato giudiziario6. Pochi anni prima di morire, Materazzo – ormai raggiunta il grado onorifico di presidente di sezione della Corte di cassazione – decise di racchiudere la propria storia di magistrato in colonia in un libro di memorie. Quella che può apparire solo una versione romanzata delle vicende personali di un funzionario italiano in servizio a Tripoli tra la seconda metà degli anni Trenta ed il decennio successivo, assume tutta un’altra luce se messa a confronto con la documentazione ufficiale prodotta durante la sua esperienza libica. Vicende considerate minimali divengono particolarmente importanti, e viceversa, permettendo di cogliere non solo il peso anglosassone sulla transizione italiana – elemento noto e ampiamente dibattuto, sebbene non esattamente bipartito tra americani e britannici – ma anche quello italiano sul processo d’indipendenza di una sua ex colonia, certamente la più importante7. Nato con la camicia (nera) Prima di arrivare al cuore delle vicende che videro come protagonista il giudice Carlo Materazzo è importante definire meglio chi fosse. Nato a Napoli il 4 novembre 1899, si affacciò al mondo della magistratura appena maggiorenne tentando il concorso come cancelliere8. Nel frattempo si era diplomato presso il liceo classico Vittorio Emanuele II, aveva prestato servizio come ufficiale di complemento nell’esercito ed aveva trovato pure il tempo di iscriversi all’Università Federico II e vincere il concorso per le intendenze di finanza. Il suo obbiettivo era la carriera in magistratura, a cui approdò nell’estate 1922 vincendo il concorso da uditore giudiziario. Per Taormina-Messina, 23-29 ottobre 1989, a c. di C. Ghezzi, Ministero per i beni culturali e ambientali, Roma 1996, pp. 294-333, qui pp. 301-304. 6 Va rilevata una generale scarsità di lavori storiografici su questo genere di impatto nella formazione statuale delle ex colonie italiane come Focardi rilevava già parecchi anni fa per il più importante organo giurisdizionale dell’ordinamento italiano. G. Focardi, Gli «africani» di Palazzo Spada: tracce biografiche dei consiglieri di Stato, in «Quaderni fiorentini», L’Europa e gli ‘Altri’. Il diritto coloniale fra Otto e Novecento, n. 33-34, 2004-2005, pp. 1130-1169, qui p. 1130. Vedi anche C. Giorgi, Magistrati d’Oltremare, in «Studi storici», n. 4, 2010, pp. 855-880, qui pp. 871-873. 7 Cfr. E. Di Nolfo, M. Serra, La gabbia infranta. Gli Alleati e l’Italia dal 1943 al 1945, Laterza, Roma-Bari 2010, pp. 24-25; F. Cresti, Interesse pubblico e interesse privato nella politica della Libia durante l’amministrazione militare britannica (1945-1949), in «Studi storici», n. 1, 2008, pp. 235-259, qui pp. 252-253. 8 Il padre Angelo era un importante avvocato del foro di Napoli, mentre il fratello Mario, anche lui laureato in Legge, partecipò come volontario alla prima guerra mondiale e fece carriera all’interno dell’amministrazione delle Dogane. Cfr. F. Tacchi, Gli avvocati italiani dall’Unità alla Repubblica, il Mulino, Bologna 2002, p. 377. 238 Giovanni Brunetti imparare il mestiere chiese inizialmente di essere mandato alla Procura generale di Napoli, orientandosi poi su una qualsiasi pretura della città partenopea. Il Mgg non accolse il suo ripensamento e, nonostante le ripetute richieste di essere destinato altrove, dovette svolgere gran parte del tirocinio in una procura. Promosso vicepretore nel febbraio del 1923, fu mandato a dirigere la pretura urbana di Barra. L’incarico non era banale data la giovane età del magistrato e l’importanza che stava assumendo questo quartiere – comune autonomo fino al 1925 – del capoluogo campano. Dopo un periodo di supplenza alla pretura di Torricella Peligna, in Abruzzo, si presentò al concorso per la promozione a giudice aggiunto. Uscito vincitore, nella primavera del 1925 iniziò a tempestare il Mgg di richieste per un trasferimento motivandole con «il disagio morale in cui verrà a trovarsi […] in conseguenza del suo prossimo matrimonio con una signorina del luogo che ha vasta parentela in Torricella Peligna»9. Dalla provincia di Chieti venne trasferito a Mondovì, dove però mostrò subito segni di insofferenza incolpando la moglie della difficoltà ad ambientarsi al clima piemontese. A settembre ripartì quindi la serie di richieste al Mgg per andare altrove, venendo destinato alla pretura di Guardia Sanframondi. Incaricato delle funzioni di sostituto procuratore al tribunale di Benevento – da cui dipendeva la pretura di cui era titolare – nel 1927, continuò a chiedere trasferimenti finché non fu accontentato l’anno successivo con un posto al tribunale di Milano. In concomitanza morì però il padre Angelo, noto avvocato, generando una nuova riconcorsa per ottenere un incarico a Napoli. Vennero mobilitati anche Enrico De Nicola, in quanto presidente dell’Ordine degli avvocati locale ed il senatore Amedeo Sandrini, ma il Mgg fu irremovibile affermando che «con decreto in corso vengono destinati [a Napoli] magistrati più anziani che lo precedono di moltissimi posti in graduatoria»10. I suoi tentativi di avvicinarsi alla città natale vennero frustrati nel momento in cui il partito di governo stava entrando con maggiore vigore nella vita degli italiani, anche dei magistrati. Quando era entrato in carriera, Materazzo non aveva fatto alcun riferimento al proprio orientamento politico. Erano i mesi dell’ascesa fascista ed era abbastanza scontata una sua partecipazione – quantomeno ideologica – allo scontro tra le parti. Nel 1934 chiese che il Mgg conteggiasse, oltre che l’anzianità di servizio, anche «il beneficio derivante dalla sua iscrizione al Pnf [sic] in data 1° gennaio 1920»11. La data non è casuale. Con lo statuto del Pnf del 1932 furono riaperte le iscrizioni al partito, necessarie per l’iscrizione ai concorsi dei dipendenti pubblici e, dal 1933, per quelli dei dipendenti degli enti locali e parastatali12. A questa norma va aggiunto come tutte le “benemerenze fasciste” (cioè l’essere iscritto al partito prima del 28 ottobre 1922, l’aver partecipato alla Marcia su Roma, essere stato ferito, ecc.) divennero uno Acs, Mgg, Ufficio superiore del personale (Usp), Ufficio II°, Magistrati, 4° vers., matr. 86018, richiesta di trasferimento (30 aprile 1925). 10 Acs, Mgg, Ufficio superiore del personale (Usp), Ufficio II°, Magistrati, 4° vers., matr. 86018, risposta alle numerose richieste di trasferimento a Napoli (29 settembre 1929). 11 Acs, Mgg, Ufficio superiore del personale (Usp), Ufficio II°, Magistrati, 4° vers., matr. 86018, richiesta di riconoscimento dell’anzianità d’iscrizione al Pnf (10 febbraio 1934). 12 P. Dogliani, Il fascismo degli italiani. Una storia sociale, Utet, Torino 2008, p. 64. Più nel merito G. Focardi, Magistratura e fascismo. L’amministrazione della giustizia in Veneto 1920-1945, Marsilio, Venezia 2012, pp. 42-43. 9 Da una Procura del regno alla Corte suprema di un regno 239 strumento tangibile di ascesa sociale, avvantaggiando i possessori con premi e riconoscimenti ed aprendo la strada ad una ricerca dei titoli utili per ottenerle13. A Milano Materazzo tirò fuori tutto il proprio entusiasmo politico verso il regime. In breve tempo divenne così consigliere della commissione di disciplina della federazione lombarda, fiduciario politico e direttore dell’Ond del tribunale del capoluogo. Questa «alta tensione ideale» verso il regime Materazzo cercò di condensarla anche in un articolo per l’organo ufficiale del partito, «Il Popolo d’Italia». In mezzo alla celebrazione delle realizzazioni fasciste, c’era la proposta di rendere la magistratura «la seconda milizia a guardia della Rivoluzione» a tutti gli effetti, utilizzando i giudici non solo come strumenti tecnici ma anche come personale politico. Per fare ciò, secondo Materazzo, il primo passo era l’estensione dell’Ond ad ogni sede giudiziaria d’Italia in modo da permettere a tutti i colleghi di rendersi «mezzi viventi di propaganda politica»14. La sua vicinanza al partito di governo la esplicò anche raccogliendo informazioni riservate sui «precedenti politici di alcuni magistrati residenti a Milano». Ufficialmente si trattava di confutare delle accuse sulla presenza di antifascisti all’interno delle aule di giustizia, in pratica era lui a suggerire al direttorio federale – riferendosi con «cameratesco affetto» direttamente al federale Rino Parenti – quali domande di iscrizioni al Pnf accogliere e quali rifiutare. Era un compito tutt’altro che minimale, decisivo per carriere e valutazioni da riservare ai singoli proponenti15. Forte della copertura garantita dalla federazione milanese e di un ulteriore avanzamento di grado dall’essere un “antemarcia”, tornò alla carica per chiedere il trasferimento a Napoli. Intervennero in suo favore Oreste Bonomi, squadrista milanese a capo della Direzione generale per il turismo del sottosegretariato alla stampa e alla propaganda, e l’avvocato Giacomo Di Giacomo, avvocato e sindacalista fascista16. Le sue richieste non vennero però accettate neppure questa volta, tanto che Materazzo andò direttamente a Roma per parlare con Umberto Borsari, direttore dell’Ufficio II° per il personale del Mgg17. Il colloquio però non ruotò attorno alla destinazione partenopea, bensì ad un luogo totalmente diverso. Sul suo conto era state raccolte «ottime informazioni», a cui si univano le pressanti richieste da parte Cfr. J. Arthurs, Vivere il fascismo: politica e vita quotidiana durante il regime, in Il fascismo italiano. Storia e interpretazioni, a c. di G. Albanese, Carocci, Roma 2021, pp. 237-253, qui pp. 247-249. 14 Acs, Mgg, Usp, Ufficio II°, Magistrati, 4° vers., matr. 86018, articolo Note di un magistrato milanese (10 gennaio 1934). Sulla gestione dell’Ond del tribunale vennero sollevati dei dubbi di ordine amministrativo dalla Corte dei conti. In sostanza la somma per metterlo in funzione venne prelevata dal fondo sbagliato, portando Materazzo «in perfetta buona fede» a credere che l’assegno fosse una gratifica personale. Acs, Mgg, Usp, Ufficio II°, Magistrati, 4° vers., matr. 86018, relazione sull’Ond giudiziario (22 gennaio 1935). 15 Ivi, Epurazione, b. 9, fasc. 69, informazioni su alcuni magistrati milanesi (19 dicembre 1934). 16 Bonomi fu ministro di Scambi e Valute dal febbraio a luglio del 1943, mentre Di Giacomo fece parte del Gran consiglio del fascismo nel 1929, poi eletto deputato e consigliere nazionale. M. Missori, Gerarchie e statuti del Pnf. Gran consiglio, Direttorio nazionale, Federazioni provinciali, Bonacci, Roma 1986, p. 201. 17 Si tratta dello stesso Borsari che in veste di procuratore generale militare, a partire dal 1945, avocò al suo ufficio i fascicoli processuali relativi alle stragi di civili commesse dall’esercito tedesco escludendoli di fatto dall’iter giudiziario. Cfr. M. De Paolis, P. Pezzino, La difficile giustizia. I processi per crimini di guerra tedeschi in Italia 1943-2013, Viella, Roma 2016. 13 240 Giovanni Brunetti del ministero delle Colonie di nuovi magistrati per le proprie esigenze amministrative. La guerra per la conquista dell’Etiopia era iniziata da alcuni mesi quando si liberò una posizione alla Corte d’appello di Tripoli e Materazzo, forte del consenso mostrato nei suoi confronti dallo stesso governatore della Libia Italo Balbo, preparò i bagagli per raggiungere la nuova meta18. Un «modestissimo beneficio»? Le memorie di Materazzo prendono avvio con l’affermazione di come la reale motivazione che lo portò ad accettare l’incarico a Tripoli fu «il modestissimo beneficio dell’indennità coloniale […] diventata una lustra nel giro di qualche mese»19. A leggerlo sembra che la politica nazionale non avesse alcuna importanza per lui e che l’invio in colonia fosse solamente una tappa per una sfolgorante carriera. Dal fascicolo personale emerge invece tutt’altro, segno di come la narrazione fosse stata abilmente manipolata. Certo, non fu certamente l’unico a fare un ragionamento di tipo utilitaristico, ma l’impegno profuso per farsi raccomandare – sempre dal solito Bonomi, ma anche dal collega in servizio al Maggiore Virgilio Feroci, addetto al gabinetto del ministro – per una sede come quella sembra avere una ragione molto più profonda. È sempre Materazzo a dimostrare come gli interessi politici si mescolassero a quelli di carriera. Raccontando del suo primo incontro col presidente della Corte d’appello di Tripoli – «stavo per guadagnare l’uscita quando mi imbattei in un altissimo signore: era nientemeno che il presidente […] Valenzi» – ribadì «il gradimento mostrato dal governatore» sulla sua scelta e raccontò del conflitto avuto dal suo predecessore con lo stesso Balbo20. Ai magistrati in colonia, infatti, non era garantita l’inamovibilità, per cui oltre all’osservanza della giurisprudenza – il motivo della lite del suo predecessore con il quadrumviro fascista ruotava proprio attorno ad un caso di interpretazione delle norme – era richiesta una condivisione d’intenti con le idee del governatore21. L’organizzazione della giustizia in Libia non era troppo complessa. Dopo l’unificazione amministrativa della colonia – Regio decreto (Rd) 3 dicembre 1934, n. Sul decisionismo di Balbo per l’amministrazione della colonia vedi da ultimo Il fascismo in persona. Italo Balbo, la storia e il mito, a c. di A. Baravelli, Mimesis, Milano-Udine 2021. 19 C. Materazzo, Una toga per Tripoli, Itinerari, Lanciano 1977, p. 8. Nel Rd del 31 ottobre 1923, n. 2504 si parlava di un aumento di tre quarti dello stipendio per i funzionari in servizio in Libia, a dimostrazione di come non si trattasse affatto di una somma così misera. 20 C. Materazzo, Una toga per Tripoli, cit., pp. 10-11. Valenzi fu tra i più longevi magistrati coloniali italiani, a Tripoli dal 1922 al 1927 e poi di nuovo dal 1931 al 1947. Anche nei suoi confronti fu avviato un procedimento di epurazione, che si infranse nella decisione britannica – nonostante la nomina a responsabile per la giustizia di tutti i territori del nord Africa una volta ultimata la conquista dell’Egitto – di mantenerlo a capo della Corte d’appello di Tripoli anche dopo l’invasione della colonia. Acs, Mgg, Epurazione, b. 12, fasc. 463; Panorama biografico degli italiani di oggi, a c. di G. Vaccaro, v. 2, i-z, Curcio, Roma 1956, p. 1566. 21 P. Saraceno, La magistratura coloniale italiana, cit., p. 281. 18 Da una Procura del regno alla Corte suprema di un regno 241 2012, la cosiddetta «vittoria di Balbo»22 – erano rimasti solo due i tribunali stabili, a Bengasi e Tripoli, mentre a Misurata e Garian c’erano delle sezioni che si riunivano sulla base delle necessità. Anche le corti d’assise erano due e si trovavano nei capoluoghi di Cirenaica e Tripolitania, mentre la corte d’appello era unica. Ad affiancare questi istituti c’erano i tribunali sciaraitici e rabbinici, che giudicavano in merito al diritto di famiglia e sulla base della confessione religiosa degli imputati23. L’attività giudiziaria si concentrava quindi nei maggiori centri urbanizzati e, a detta dello stesso Materazzo, riguardava principalmente la materia civile. Su questo elemento l’autore potrebbe essere sincero visto che, anche se viveva in quella che nel progetto di Balbo sarebbe diventata una “metropoli occidentale”, lavorava all’interno di un’istituzione che raccoglieva processi provenienti da tutta la colonia24. Se non che nella sua narrazione ci sono molti suggerimenti che segnalano una classica edulcorazione – soprattutto a distanza di vari decenni dai fatti – del colonialismo italiano. In primo luogo c’è la questione degli spargimenti di sangue da parte dell’apparato giuridico. Stando a quanto sostiene Materazzo le condanne a morte – definì «un diabolico giudizio» la prima che dovette infliggere – furono una vera rarità rispetto al periodo della riconquista da parte del maresciallo Rodolfo Graziani, considerando una vittoria personale quando riusciva a strappare una condanna alla reclusione per gli imputati25. Poi il problema razziale. Per Materazzo la divisione tra indigeni e colonizzatori era solo formale e totalmente sfumata, mentre gli elementi di comunione tra le varie etnie conviventi – in particolar modo con gli ebrei – erano numerose26. Infine l’impalcatura del regime e la sua connivenza con la monarchia. Il giudice fu partecipe sia alla visita di Mussolini che di Vittorio Emanuele III a Tripoli, dando di entrambe una visione piuttosto cupa. Il duce viene ricordato per «l’idea infelicissima» di impugnare «la spada dell’Islam», segno evidente della mancanza di rispetto verso la cultura mussulmana27. Il re, invece, per «l’atmosfera glaciale» con cui fu accolto, e la «distanza» col «popolo», confermata dalle scelte per il cerimoniale28. È lecito chiedersi quanto fossero sincero, al tempo, queste prese di posizione potendo guardare dentro il suo fascicolo personale. Materazzo era un funzionario totalmente assimilato nel sistema di potere della colonia. Non era più fascista di altri, ma certo si era trovato a suo completo agio 22 G. Rochat, Italo Balbo, Utet, Torino 1986, p. 355. Fino ad allora, infatti, Tripolitania e Cirenaica erano due regioni completamente separate, con propri governi e due distinti governatori. 23 Al termine della serie di operazioni militari per la riconquista della colonia venne varato il Rd 27 luglio 1935, n. 2167 per l’ordinamento giudiziario della Libia. Cfr. G. Mondaini, La legislazione coloniale italiana nel suo sviluppo storico e nel suo stato attuale (1881-1940), v. 2, Istituto per gli studi di politica internazionale, Milano 1941, p. 700-709. 24 Cfr. C. Giorgi, L’Africa come carriera, cit., pp. 107-113. 25 C. Materazzo, Una toga per Tripoli, cit., p. 28. Il riferimento era alla gestione militare della giustizia negli anni immediatamente precedenti al suo arrivo, cfr. A. Volterra, M. Zinni, Il leone, il giudice e il capestro. Storia e immagini della repressione italiana in Cirenaica (1928-1932), Donzelli, Roma 2021, pp. 38-44. 26 Cfr. N. Labanca, Oltremare, cit., pp. 411-424. Vedi anche M. Sarfatti, I confini di una persecuzione. Il fascismo e gli ebrei fuori d’Italia (1938-1943), Viella, Roma 2023, pp. 35-42. 27 C. Materazzo, Una toga per Tripoli, cit., p. 37. 28 Ivi, p. 47. 242 Giovanni Brunetti all’interno del sistema creato dal regime. La prefettura di Tripoli lo nominò componente di parecchie commissioni da essa dipendenti, dimostrando fiducia nelle sue doti organizzative e politiche. Questo, insieme all’essere un antemarcia ed aver lavorato attivamente per la federazione del Pnf di Milano, cercò di metterlo in evidenza nei concorsi che fece per raggiungere il grado di consigliere di Corte d’appello nel 1940, 1941, 1942 e 1943. Fu valutato come «uno dei migliori magistrati comandati in Libia», particolarmente esperto di questioni di «ambito coloniale» e dotato «di grande spirito di sacrificio» per aver deciso di rimanere in colonia anche dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale29. Hic manebimus optime L’esordio bellico italiano aveva investito anche la Libia, con la fallimentare offensiva per l’invasione dell’Egitto. Il successo britannico con l’operazione Compass, con la conquista di gran parte della Cirenaica ed il crollo del fronte italiano, portò alla necessità di istituire un governo militare per l’amministrazione dei nuovi territori. L’idea di base era quella di riservare questo tipo di compiti amministrativi a uomini provenienti dal mondo civile per non appesantire i compiti dei combattenti, che comunque dovevano dimostrarsi rispettosi della gerarchia militare e delle esigenze belliche30. Era chiaro che non si potesse agire come se si trattasse semplicemente di nuovi territori da colonizzare, e cioè come se l’apparato statuale dovesse nascere ex novo in quelle terre, ma l’unica esperienza concreta nella mente degli inglesi veniva da quel mondo. Per tale ragione all’inizio del 1941 Philiph Mitchell, ex governatore dell’Uganda, fu nominato responsabile di tutti i territori italiani occupati, Ralph Hone, avvocato generale a Gibilterra e in Uganda, suo consulente legale insieme a Francis Rodd – poi noto come Lord Rennell – banchiere aristocratico con dei trascorsi nello spionaggio militare, per la parte economica31. Il loro staff era composto quasi esclusivamente da funzionari provenienti dall’amministrazione coloniale32. L’arrivo degli inglesi a Tripoli fu rallentato dall’intervento del contingente tedesco comandato dal celebre maresciallo Erwin Rommel, ma nel gennaio del 1943 anche la capitale della Tripolitania venne occupata. Il giudice Materazzo ricorda nelle sue memorie come la Corte d’appello fosse «l’unico ufficio» che rimase in funzione durante i mesi più duri della guerra, resistendo ai bombardamenti ed al caos amministrativo creato dal trovarsi nelle immediate retrovie del fronte33. L’ingresso nel Acs, Mgg, Usp, Ufficio II°, Magistrati, 4° vers., matr. 86018, lettera di Valenzi (22 dicembre 1942). Cfr. F.J. Rennell Rodd, British military administration, cit., pp. 14-23. 31 Rennell fu il comandante dell’Amgot, l’organo interalleato per il governo dei territori occupati in Italia dal 1943, difendendo una strategia di governo decisamente pragmatica e filo-coloniale. P. Bobbyer, Lord Rennell, Chief of AMGOT: A Study of His Approach to Politics and Military Government (c. 1940-43), in «War in History», n. 3, 2018, pp. 304-327; id., The Life and World of Francis Rodd, Lord Rennell (1895-1978), Anthem Press, London 2021. 32 F.J. Rennell Rodd, British military administration, cit., pp. 25-26, 34-35. 33 C. Materazzo, Una toga per Tripoli, cit., p. 82. 29 30 Da una Procura del regno alla Corte suprema di un regno 243 governo militare britannico dei funzionari italiani non apertamente compromessi col fascismo fu una conseguenza dell’adozione del principio di indirect rule, testato già nei territori del Corno d’Africa e rivelatosi efficace per mantenere l’ordine all’interno delle ex colonie italiane34. I magistrati di Tripoli tornarono in servizio in primavera – dopo un periodo di asprezza imposto dagli inglesi per tutta la comunità italiana – sotto la guida del loro vecchio capo Valenzi. Non ci furono particolari ripensamenti sul proprio recente passato, convinti che loro fossero unicamente «tenuti ad applicare la legge, chiunque ne sia l’autore»35. Dello stesso parere, almeno inizialmente, non era il nuovo governo italiano nato dopo la liberazione di Roma. Con la promulgazione del Dll 27 luglio 1944, n. 159 tutti i dipendenti pubblici italiani passarono attraverso i procedimenti di epurazione, cioè la valutazione del loro passato all’interno del regime fascista per l’applicazione delle eventuali sanzioni amministrative. Anche Materazzo finì sotto la lente d’ingrandimento della commissione preposta a questo compito del Mgg, venendo sospeso in attesa di una decisione. Per l’amministrazione britannica questa notizia rendeva di fatto inutile il ruolo di Materazzo, assottigliando il già scarno fronte di collaboratori – definito altrove come un «local bar» – giuridici36. La sospensione si configurava come una temporanea invalidazione del potere di giudicare, prestando il fianco ai ricorsi dei vari imputati che avrebbe presieduto nel frattempo37. Era un ragionamento estremamente concreto, che non prevedeva in alcun modo una riflessione politica. Materazzo, per gli inglesi, non era fascista nella misura in cui non aveva dimostrato di essere un pericolo per i militari alleati dall’inizio dell’occupazione. Le sue posizioni personali, o la sua militanza politica passata, non avevano alcun interesse per i nuovi amministratori della Libia. Alla decisa presa di posizione alleata rispose direttamente il ministro Umberto Tupini, spiegando che la sospensione fosse stata applicata «a tutti i magistrati che si sono trovati nelle stesse condizioni di Materazzo». Non c’era una volontà di interferire con la sua attività nel «territorio soggetto all’Amministrazione militare britannica», quanto quella di intervenire «sulla posizione di carriera del magistrato». Gli Alleati erano quindi assolutamente liberi di considerare valida o meno la sospensione del giudice nell’ex colonia, ma questa sarebbe rimasta attiva La medesima politica venne applicata anche altrove nelle ex colonie italiane, cfr. F. Guazzini, De-fascistizzare l’Eritrea e il vissuto dei vinti, 1941-1945, in L’Africa orientale italiana nel dibattito storico contemporaneo, a c. di B.M. Carcangiu, T. Negash, Carocci, Roma 2007, pp. 51-56; N. Lucchetti, Funzionari e amministratori italiani ed eritrei all’ombra della bandiera inglese, in Governare l’Oltremare. Istituzioni, funzionari e società del colonialismo italiano, a c. di G. Dore et al., Carocci, Roma 2013, pp. 193-202; E. Ertola, La società italiana nell’Etiopia di Haile Selassie, in La fine del colonialismo italiano. Politica, società e memorie, a c. di A.M. Morone, Le Monnier, Firenze 2018, pp. 175-195. 35 C. Materazzo, Una toga per Tripoli, cit., p. 96. 36 Acs, Acc, Headquarters Allied Commission (10000), Legal (142)/751, Col. Upjohn personal 02-07/1944, richiesta di invio di nuovi funzionari italiani per l’Eritrea (27 aprile 1944). 37 Questo elemento venne esplicitato dal tenente colonello Guy G. Hannaford, della Legal subcomission dell’Acc, il quale richiese personalmente al Mgg di ritirare il decreto di sospensione. Acs, Acc, Headquarters Allied Commission (10000), Legal (142)/562, lettera di Hannaford per il Mgg (4 dicembre 1944). 34 244 Giovanni Brunetti in territorio italiano38. La risposta del Mgg era chiara: Materazzo doveva essere giudicato dall’apposita commissione ministeriale al pari dei suoi colleghi. Il timore britannico era di ambito eminentemente giurisprudenziale, e cioè che gli atti di un magistrato sospeso dalle sue funzioni da parte dell’amministrazione di provenienza potessero essere invalidati. A sostegno della tesi erano citati tre procedimenti penali aventi per oggetto il potere dei giudici durante un periodo di occupazione militari39. La querelle stava superando il caso singolo del giudice Materazzo, divenendo un tema di ordine generale per capire come muoversi nella complessa questione dello status delle ex colonie italiane, oltre che dei procedimenti epurativi. In prima battuta si poneva la questione che la Libia non fosse esattamente una colonia, ma una provincia del Regno d’Italia. Per questo motivo c’era da capire fin dove si dovesse tenere conto della politica sanzionatoria contro il fascismo adottata nei territori italiani occupati dagli Alleati, e accolta dall’Acc nelle varie province liberate. A questo problema di tipo interpretativo si univa uno molto più politico, e cioè fino a che punto tenere conto della legislazione italiana su quello che Mussolini aveva dichiarato essere l’Impero, e quindi le ricadute sul futuro assetto geopolitico dei territori africani. Per gli inglesi non c’era molto da discutere. Secondo il Foreing Office, la legislazione italiana era soggetta a quella di occupazione così come previsto dalle norme di diritto internazionale. Erano gli americani – attraverso l’Acc – a mostrare una maggiore titubanza, aprendo – in maniera inconsapevole – dei timidi spiragli per un ritorno dei territori coloniali all’Italia40. Il risultato di questo braccio di ferro fu una lenta perdita d’interesse per il «judge Materazzo». Il governo militare britannico, non tenendo conto delle istanze del Mgg, continuò a servirsi di Materazzo per i procedimenti discussi di fronte alla Corte d’appello, mentre il Mgg portò avanti il giudizio di epurazione contro di lui41. La principale accusa era quella di essere stato fiduciario del Pnf all’interno del tribunale di Milano. Materazzo cercò di riabilitarsi in ogni modo, rappresentandosi non come informatore fascista, bensì un garante «della dignità dell’ordine giudiziario»42. Consapevole della difficoltà di far passare questa linea difensiva, fece affidamento sulle attestazioni di benemerenza rilasciategli da Valenzi e dai responsabili del governo militare britannico. Provò a dimostrare fin da subito di Acs, Acc, Headquarters Allied Commission (10000), Legal (142)/562, lettera di Tupini (18 dicembre 1944). Erano casi immediatamente successivi alla prima guerra mondiale: belga, francese ed ungherese. Acs, Acc, Headquarters Allied Commission (10000), Legal (142)/562, lettera per l’Acc (3 gennaio 1945). 40 A. Del Boca, Gli italiani in Libia. Dal fascismo a Gheddafi, Laterza, Roma-Bari 1988, pp. 332-335; F. Cresti, M. Cricco, Storia della Libia contemporanea, Carocci, Roma 2015, p. 130. Durante il Consiglio dei ministri del 20 dicembre 1944 il presidente, Ivanoe Bonomi, ministro ad interim dell’Africa italiana si espose senza mezzi termini sul mantenimento in funzione della Pai per mantenere una voce in capitolo sul futuro assetto coloniale del continente africano. Verbali del consiglio dei ministri. Governo Bonomi 12 dicembre 1944-21 giugno 1945, a c. di A.G. Ricci, Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per l’informazione e l’editoria, Roma 1995, pp. 34-35. 41 Acs, Acc, Headquarters Allied Commission (10000), Legal (142)/1228, The Tripolitania Gazette 02-12/1943, General notice n. 19 (6 maggio 1943). 42 Acs, Mgg, Usp, Epurazione, b. 9, fasc. 69, ricorso contro il provvedimento di sospensione (4 maggio 1945). 38 39 Da una Procura del regno alla Corte suprema di un regno 245 essere meritevole delle attenuanti contenute nell’art. 16 del Dll 27 luglio 1944, n. 159 per «chi, dopo l’8 settembre 1943, si è distinto nella lotta contro i tedeschi». La legge prevedeva comunque una proroga per i funzionari residenti nei «territori non liberati e per quelli liberati ma non ancora affidati all’Amministrazione del Governo italiano», permettendo a Materazzo di rimandare il giudizio. Nell’ottobre 1946 dichiarò di rinunciare a questa possibilità, chiedendo che venisse «definita la propria posizione»43. La scelta non era casuale. Da poco meno di un anno era in vigore il Dll 9 novembre 1945, n. 702 – detta “legge Nenni”, dal nome del suo ideatore – che prevedeva per tutta una serie di impiegati pubblici sottoposti a procedimento di epurazione. Il giudice iniziò quindi a sollecitare il Mgg affinché venisse concluso il suo procedimento, scontrandosi però con un’apparente – in realtà salvifica, nella misura in cui si stava discutendo concretamente su una nuova legge epurativa – scarsa reattività da parte del centro. Finalmente, il 31 marzo 1948, la commissione ministeriale esaminò il suo caso dichiarando «esente dal procedimento di dispensa dal servizio» non solo per quanto prevedeva il Dll 9 novembre 1945, n. 702, ma soprattutto per il Dl 7 febbraio 1948, n. 48 che garantiva l’estinzione della pena per tutti i dipendenti pubblici a meno che non fossero accusati di «collaborazione con i tedeschi». Materazzo, infatti, stando a quanto recitava la vecchia normativa era ancora passibile di «faziosità fascista», neo che avrebbe potuto compromettere la sua carriera successiva44. Corsi e ricorsi Materazzo non dedicò nemmeno una riga delle sue memorie al procedimento epurativo, preferendo concentrarsi sull’attiva collaborazione con gli inglesi e la sua permanenza oltremare, resasi «necessaria, anche per insegnare ai libici come vada amministrata la giustizia senza i fronzoli di un dottrinarismo dannoso e con abnegazione»45. Il trattato di pace di Parigi del 1947 aveva sancito la perdita delle colonie per la neonata Repubblica italiana, nonostante i numerosi tentativi di mantenere un proprio dominio in Africa. Questo però non significava la partenza improvvisa di tutti i funzionari, ma la permanenza di un’aliquota di essi per la transizione dei paesi verso altre forme di amministrazione46. Materazzo fu tra coloro che rimasero in Libia. Ottenne d’ufficio, ma all’unanimità, la promozione a consigliere di Corte d’appello – fino ad allora era un giudice facente funzioni – venendo destinato prima a L’Aquila e poi a Napoli. Dopo un breve periodo di permanenza nella Ivi, esposto per l’accelerazione del giudizio (6 ottobre 1946). Cfr. G. Focardi, Le sfumature del nero, cit., pp. 85-87. 45 C. Materazzo, Una toga per Tripoli, cit., p. 119. 46 Cfr. A. Del Boca, Gli italiani in Libia, cit., pp. 359-370; V. Pellegini, A. Bertinelli, Per la storia dell’amministrazione coloniale italiana, Giuffrè, Milano 1994, p. 26; A.M. Morone, Quando è finito il colonialismo italiano?, in La fine del colonialismo italiano, a c. di id., cit., pp. 13-14. Vedi da ultimo E. Ertola, Il colonialismo degli italiani. Storia di un’ideologia, Carocci, Roma 2022, pp. 131-137. 43 44 246 Giovanni Brunetti sua città natale, ottenne di tornare a Tripoli, come presidente di quel tribunale47. Stavolta il suo sostenitore era il nuovo presidente della Corte d’appello di Tripoli, Aurelio Finzi. Proveniente dalla Corte di cassazione, Finzi era una vecchia conoscenza della magistratura nell’ex colonia italiana. Era stato uno dei primi magistrati civili a raggiungere la Libia all’indomani della sua conquista, ed era rimasto a Bengasi fino al 1919. Tornato a Tripoli nel 1928 con la qualifica di presidente del locale tribunale, era rientrato in Italia nel 1931 da consigliere di Corte d’appello, dandosi di fatto il cambio con Valenzi48. Per questo motivo Finzi conosceva già prima di arrivare il profilo di Materazzo, a tal punto da impegnarsi direttamente per averlo al suo fianco. Se la speranza di un ritorno all’Italia delle colonie era svanito, l’interesse del governo italiano – e di tutto l’arco politico – attraverso l’ancora esistente Mai era di poter influenzare a proprio favore la nascita del nuovo stato autonomo49. «Libicizzare» sì, come disse anche Materazzo, ma seguendo il dettato degli ex padroni. Su questo sembrava esserci accordo con gli inglesi e, di conseguenza, con re Idris I, califfo di Cirenaica e Tripolitania e capo dei mussulmani Senussi50. Lo scopo, per l’Italia, era perpetuare in ogni modo un “simulacro” della propria dominazione. Per quanto riguardava la giustizia si trattava di un reclutamento ad personam da parte dei giudici italiani di quei libici che ritenevano adatti per il ruolo. Materazzo scelse «il più esperto ed il più equilibrato» degli ausiliari arabi che erano al suo servizio, chiedendo l’immediata promozione a magistrato. Si trattava della conferma sul colpevole ritardo rispetto alla promozione di un sistema amministrativo autoctono, che aveva previsto per i dominatori la conservazione di tutti i ruoli decisori51. A questo affiancamento aggiunse anche la nomina a presidente del Consiglio legislativo che si sarebbe dovuto occupare della predisposizione del Codice di procedura civile del Regno unito di Libia. Il culmine di questa carriera oltremare venne raggiunto nel dicembre 1953, con la nomina a consigliere supplente della suprema Corte federale per la sezione cause pendenti52. Si trattava di definire in ultima istanza – in sostituzione della Corte di cassazione – i ricorsi provenienti dai tribunali libici, in continuità con quanto Le pratiche per la promozione furono piuttosto travagliate. Il Mgg aveva smarrito le precedenti domande, ammettendolo allo scrutinio per quanto riportato nell’art. 4 della L. 31 ottobre 1942, n. 1352 per «i magistrati dislocati […] in Libia, nei possedimenti dell’Egeo e in Aoi». Materazzo si oppose a questo trattamento di favore, chiedendo che invece venissero presi in esame i suoi lavori giudiziari inviati a Roma fin dal 1940 e le attestazioni di collaborazione successiva col governo militare britannico. Ebbe la meglio, venendo promosso per «merito distinto», invece che «semplice», nell’estate 1948. Col nuovo grado doveva essere destinato a Venezia, ma poi venne mandato a L’Aquila a causa della sua indisponibilità al trasferimento. La permanenza in Abruzzo durò poco per il «clima freddissimo rispetto al clima africano» a cui si era abituato, e per permettere al figlio maggiore di frequentare l’università nella Capitale. Acs, Mgg, Usp, Ufficio II°, Magistrati, 4° vers., matr. 86018, richiesta di trasferimento (2 giugno 1949). 48 Cfr. L. Martone, Diritto d’oltremare. Legge e ordine per le colonie del regno d’Italia, Giuffrè, Milano 2008, p. 149. 49 Cfr. L. Monzali, Il colonialismo nella politica estera italiana 1878-1949. Momenti e protagonisti, Dante Alighieri, Roma 2017, pp. 285-287. 50 A. Del Boca, Gli italiani in Libia, cit., pp. 447-448. 51 Cfr. C. Giorgi, L’Africa come carriera, cit., pp. 201-202. 52 V. Gianturco, La Corte Suprema del Regno Unito di Libia, in «Libia», n. 2, 1954, pp. 3-36, qui p. 19. 47 Da una Procura del regno alla Corte suprema di un regno 247 aveva fatto in Corte d’appello nel periodo coloniale. Il magistrato italiano motivò questo incarico con la mancanza di capacità «dei consiglieri titolari [libici n.d.a] di farlo, essendo sforniti di quella preparazione giudiziaria in siffatta materia»53. Si trattava però dell’ultimo capitolo della lunga esperienza libica. Sempre stando alle sue memorie, per il giudice la ragione di questo esito erano i numerosi consiglieri egiziani del sovrano, ostili agli italiani ed in competizione con loro, che stavano seguendo «un programma di supremazia tecnica»54. Erano gli altri, quindi, e non lui ed i suoi colleghi ai vertici dell’apparato giuridico libico, ad aver vinto la gara per condizionare l’assetto futuro dell’importante paese africano. Nel frattempo Materazzo non aveva affatto rinunciato al miglioramento della propria carriera. Dal 1951 partecipò annualmente al concorso per essere promosso al grado di consigliere della Corte di cassazione. Nonostante le note di elogio di Finzi, riuscì nell’intento solo nel 1957 mentre era in servizio alla Corte d’appello di Bologna, segnale di una perdita di gradimento da parte dell’alta magistratura. In seguito all’esperienza libica, infatti, il Mgg faticò non poco a trovargli una sistemazione che lo soddisfacesse55. Desiderava essere destinato a Roma, in un qualsiasi ufficio giudiziario o amministrativo, ma gli furono offerti dei ruoli a Cremona, Milano e Forlì. Il capoluogo emiliano fu la sua ultima sede di servizio. Dopo un anno in Cassazione, vi tornò come presidente di sezione fino al 1969. Nella lettera di pensionamento firmata dal ministro Silvio Gava non fu fatto il minimo accenno al lungo periodo trascorso in colonia, stendendo di fatto una coltre pesante su quello che Materazzo definì «il meglio della mia vita»56. Conclusioni Nelle valutazioni di Finzi sull’operato di Materazzo, dopo il rientro definitivo in Italia, fu messa in risalto la sua estraneità «alla politica, dando con ciò sicura dimostrazione di essere alieno ad ogni faziosità». Ad essere interessante è come questo “equilibrio” fosse usato per palesare dell’inconsistenza del procedimento di epurazioni amministrativa che aveva subito per «la sua anzianità fascista»57. Non C. Materazzo, Una toga per tripoli, cit., p. 141. Ivi, p. 132. 55 È facile constatare come fossero cambiati gli equilibri guardando non solo alla sua posizione negli annuari del Mgg del 1960 e 1964 – rispettivamente 167° e 92° del suo grado – ma anche all’anzianità d’ingresso in carriera dei magistrati immediatamente sopra a lui. Ad nomen, Mgg, Ruolo di anzianità della magistratura, Ipzs, Roma, aa. 1960-1964. 56 Acs, Mgg, Usp, Ufficio II°, Magistrati, 4° vers., matr. 86018, lettera di commiato (28 ottobre 1969), p. 148. Per assenze di questo tipo Focardi, riferendosi alla magistratura del Consiglio di Stato, ha parlato di «buchi neri», G. Focardi, Gli «africani» di Palazzo Spada, in «Quaderni fiorentini», L’Europa e gli ‘Altri’, cit., pp. 1167-1168. Cfr. E. Ertola, Il colonialismo degli italiani, cit., p. 149. 57 Acs, Mgg, Usp, Ufficio II°, Magistrati, 4° vers., matr. 86018, rapporto informativo su Materazzo (31 dicembre 1955). 53 54 248 Giovanni Brunetti era un limite essere stato un ingranaggio, nemmeno troppo minimale, del regime58. Prima per gli inglesi, poi per la Repubblica italiana, ciò che rendeva Materazzo indispensabile era la sua puntuale conoscenza della giustizia così com’era amministrata in colonia. Era realmente una «sentinella avanzata» del diritto come tenne a rappresentarsi, e questo gli fu manifestato da più parti. Ad un esito del genere contribuì decisamente lui stesso, cercando di rendersi indispensabile per la tenuta del tessuto giudiziario italiano in Libia. Dapprima mostrando agli inglesi tutto il proprio interesse a collaborare, dialogando da pari con loro in virtù della comune condizione di conquistatori di un territorio straniero, poi divenendo un’arma per le mire del governo di Roma di rimettere piede stabilmente in terra d’Africa. Quanto era avvenuto prima non importava molto, mentre diventava fondamentale poter contare su un bagaglio di conoscenze tecniche – affinate solo con la pratica dato che, a quanto sembra, Materazzo partì dall’Italia a digiuno della giurisprudenza esistente nel mondo arabo – per nulla diffuse tra i suoi parigrado59. Quello di Materazzo è un atteggiamento che può apparire ambiguo sia negli anni d’esordio della carriera che quando attraversò il Mediterraneo. Sempre affine alla politica del governo che stava rappresentando, appare più che «un missionario che va dovunque la giustizia lo esiga», un apologeta della propria corporazione di appartenenza60. Era consapevole di far parte di un mondo, quello della magistratura, che doveva muoversi compattamente per conservare quegli spazi di potere e rispettabilità sociale che era riuscita a ritagliarsi nel corso del tempo. E come tale agì, passando sopra a tutto ciò che si muoveva in direzione contraria. Era in completa sintonia con quanto faceva la maggioranza dei colleghi, dimostrando allo stesso tempo uno scarso interesse per le culture altrui e una ferrea volontà di ascendere ai vertici della propria gerarchia amministrativa. Lo mettono bene in luce la testardaggine con cui affrontò i concorsi più importanti della sua carriera, ma anche la “lotta” per vedersi riconosciuto, senza sconti nonostante la propria condizione ibrida prima e dopo la guerra, il diritto di parteciparvi. Fu un «uomo nuovo del fascismo» in colonia nella misura in cui iniziò la carriera nel 1922 e si servì del Pnf per svettare tra la massa dei parigrado, ma utilizzò in gran parte mezzi e persone appartenenti alla categoria dei vecchi “tecnici” di colonia61. La vicenda di Gaetano Azzariti è certamente la più esemplificativa, cfr. M. Boni, «In questi tempi di fervore e di gloria». Vita di Gaetano Azzariti, magistrato senza toga, capo del tribunale della razza, presidente della corte costituzionale, Bollati Boringhieri, Torino 2022. 59 C. Giorgi, L’Africa come carriera, cit., pp. 123-124. Vedi anche V. Deplano, La Repubblica italiana ed il suo passato coloniale, in «Italia contemporanea», n. 300, 2022, pp. 146-152. 60 C. Materazzo, Una toga per Tripoli, cit., p. 129. Cfr. A. Meniconi, Storia della magistratura italiana, il Mulino, Bologna 2012, pp. 163-169; G. Focardi, Arbitri di una giustizia politica: i magistrati tra la dittatura fascista e la Repubblica democratica, in Nei tribunali. Pratiche e protagonisti della giustizia di transizione nell’Italia repubblicana, a c. di G. Focardi, C. Nubola, il Mulino, Bologna 2015, pp. 95-96. 61 Cfr. C. Giorgi, L’Africa come carriera, cit., pp. 33-34. Vedi anche A. Ventrone, Perché il fascismo si sentiva moderno: alla ricerca dell’«uomo nuovo», in Il fascismo nella storia italiana, a c. di S. Lupo, A. Ventrone, Donzelli, Roma 2022, pp. 57-59. 58 Da una Procura del regno alla Corte suprema di un regno 249 Il poter contare poi sulle sue memorie personali, oltre che sulla documentazione archivistica di provenienza ministeriale, permette infine di valutare quali elementi ritenne importanti mettere in rilievo della lunga permanenza a Tripoli62. Anche se si tratta di una narrazione parziale – o forse proprio per questo – ad emergere con forza è il suo atteggiamento da conquistatore, da rappresentante di un paese dominatore che offre la propria conoscenza ad un popolo che intimamente considera inferiore. Il passo che rende chiaro questo atteggiamento – costante, va detto, in ogni pagina – si riferisce al ruolo che ebbe dopo la ratifica del trattato di pace e la partecipazione alla stesura del progetto per il nuovo Codice penale. Riferendosi al dibattito in sede legislativa per l’approvazione della sua risposta e sottolineando la presenza di «un gruppo di pseudo giuristi egiziani», scrisse: «compresi subito che si voleva demolire quel progetto, come gli altri progetti di ispirazione latina»63. Dimostrava di essere una figura perfettamente coerente col suo tempo, fedele ad un modello di comportamento aderente ai principi più basilari del colonialismo europeo. A questo sentimento di campione del modello occidentale, si univa una costante nostalgia per l’ultima stagione giovanile della propria vita. Un sentimento forse acuito dall’aver trascorso l’ultimo capitolo della carriera in sordina e lontano dai riflettori romani, che tanto avrebbe gradito. Infine, ma questo è un appunto personale, sarebbe interessante poter indagare l’impatto – se lo ebbe – del bagaglio coloniale di Materazzo sulle decisioni prese in camera di consiglio nel lungo periodo di tempo in cui fece parte della Corte d’appello di Bologna. Il condizionale è d’obbligo. Nel suo fascicolo personale non c’è praticamente niente su quest’ultimo periodo di servizio, se non una lettera di encomio del presidente della Corte d’appello di Bologna, il futuro procurato generale della Corte di cassazione Enrico Poggi, inneggiante «al Suo valore, in base ai giudizi costantemente espressi dai suoi superiori […] e per il prestigio sin dall’inizio conquistatosi per le prove date»64. A cosa si riferisse nello specifico il superiore di Materazzo non è chiaro, anche se non sembra, annuari alla mano, che l’esperienza successiva a quella libica lo agevolò troppo per un ulteriore avanzamento di grado. Il suo rimanere oltre un decennio a Bologna fu una scelta motivata da ragioni personali – aveva un figlio entrato in magistratura nel 1954 – oppure imposta da altri per marginalizzare un “africano” ed il suo modo di amministrare la giustizia? Forse non c’è risposta a questa domanda, se non nella memoria diretta dei familiari. Andando però oltre il caso singolo, varrebbe la pena estendere il quesito a tutti i magistrati che avevano prestato servizio in colonia negli anni culminanti del regime fascista, osservando quali pieghe presero – ed in che verso – le loro carriere nell’Italia repubblicana. 62 Prendendo in esame altre memorie di magistrati, Guido Neppi Modona mette in evidenza la loro importanza non come prodotti letterari ma per le «vistose omissioni» che possono presentare. G. Neppi Modona, La transizione dal fascismo all’ordinamento democratico nelle memorie di sei magistrati, in «Le Carte e la Storia», n. 1, 2021, pp. 20-27, qui p. 20. 63 C. Materazzo, Una toga per Tripoli, cit., p. 136. La narrazione di Materazzo rientra nel modello di memoria coloniale delineato da Labanca per gli anni Settanta. Cfr. N. Labanca, Oltremare, cit., pp. 455-456. 64 Acs, Mgg, Usp, Ufficio II°, Magistrati, 4° vers., matr. 86018, lettera di elogio (28 settembre 1962).