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Alla fine della Seconda guerra mondiale la geopolitica entrò in una fase di profonda crisi: lo stigma derivante dalla sua associazione ai regimi nazi-fascisti e il consolidamento di letture del sistema internazionale sempre più dominate... more
Alla fine della Seconda guerra mondiale la geopolitica entrò in una fase di profonda crisi: lo stigma derivante dalla sua associazione ai regimi nazi-fascisti e il consolidamento di letture del sistema internazionale sempre più dominate da piattaforme ideologiche contrapposte ne segnarono la sostanziale espulsione dal dibattito pubblico per decenni. In un contesto sempre più dominato dall’avvento di sistemi d’arma apparentemente in grado di annullare le distanze e da logiche binarie che tendevano a inscrivere la competizione tra i diversi attori del sistema-mondo all’interno di dinamiche prettamente bipolari sembrava non vi fosse più spazio per la disciplina geopolitica.
Pur con tutte le sue differenze, il 2020-2021, così pesantemente segnato dal diffondersi della pandemia di Covid-19 su scala globale, ha registrato un processo per certi versi simile: di fronte a un nemico invisibile che ci ha costretti per mesi a rimanere all’interno delle mura domestiche o di ben delimitati ambiti lavorativi, il fattore spaziale è sembrato divenire un elemento secondario, quasi accessorio, di un contesto internazionale congelato in una sorta di stasi. All’interno di un mondo apparentemente più piccolo e, al tempo stesso, più omogeneo perché accomunato dalla lotta a una minaccia comune e di proporzioni immani, la competizione geopolitica è parsa perdere di rilevanza, tanto da divenire sempre meno presente all’interno del dibattito pubblico.
Eppure, così come avvenuto in passato, essa non ha cessato di influenzare le dinamiche e gli equilibri globali. Per quanto sempre più distante dalle prime pagine dei giornali, l’agone geopolitico ha continuato a esercitare i propri effetti, in alcuni casi con ancora maggior intensità rispetto al passato, determinando con il proprio moto perpetuo la vita e le possibilità di intere comunità.
È anche sulla base di tali considerazioni che il presente volume si inscrive all’interno di quella che per oltre undici anni è stata la missione prima del Centro Studi Internazionali di Geopolitica: gettar luce su quei processi che più contribuiscono a definire gli equilibri del sistema internazionale e alimentare un dibattito pubblico che, purtroppo, pare sempre più appiattito su logiche legate a interessi estemporanei e limitati a orizzonti di breve (se non brevissimo) periodo.
Il trait d’union che lega i nove contributi di questa raccolta è la volontà di guardare a teatri di crisi e fenomeni destabilizzanti con un approccio non appiattito sul momento, ma capace di orientarsi all’interno di coordinate spazio-temporali ampie e profonde.
Muovendo da tali premesse, il volume si apre con un saggio dedicato all’Afghanistan: nella sua analisi il Gen. Giorgio Battisti delinea quei fattori che contribuiscono in misura significativa a rendere il Paese uno dei teatri operativi più difficili e complessi al mondo, soffermandosi sui rischi che il ritiro delle forze internazionali potrebbe comportare.
Il secondo capitolo di Federico Borsari si sofferma sulla città contesa di Kirkuk, in Iraq, ricorrendo a una prospettiva diacronica in grado di mettere in luce gli interessi e le rivendicazioni dei principali attori coinvolti, così come l’evoluzione di una disputa che da decenni rende il territorio in esame uno degli hotspot più significativi del panorama mediorientale e internazionale.
Michele Brunelli, invece, guarda alla escalation militare che è tornata ad infiammare il “giardino nero” del Caucaso, la regione del Nagorno-Karabakh, ricorrendo a una visione di lungo periodo che affonda le proprie radici in epoca zarista e che punta a evidenziare gli elementi di continuità e di discontinuità di una questione capace di unire in un gioco di ombre in costante evoluzione attori locali, regionali e internazionali.
Nel quarto capitolo, Lucia Castelli ci offre uno spaccato su un mondo che gioca un ruolo determinante all’interno dei contesti di crisi: quello delle organizzazioni non-governative impegnate in attività di sostegno delle popolazioni locali. Ripercorrendo alcuni tra i momenti più significativi della sua esperienza sul campo, la Dott.ssa Castelli ci permette di aprire gli occhi su fenomeni, dinamiche e realtà che sovente tendono a essere presentate come marginali rispetto all’agone geopolitico, ma che – al di là della loro importanza specifica sul piano della solidarietà internazionale e della fratellanza universale - sono riconosciuti come sempre più determinanti dalla disciplina e dai suoi principali interpreti.
Con Lorena Stella Martini torniamo invece allo scenario iracheno. Questa volta, però, oggetto di analisi non è una disputa relativa a uno specifico territorio, ma il movimento di protesta che ha investito buona parte dell’Iraq centro-meridionale a partire dalla seconda metà del 2019. Ricorrendo a una prospettiva che interseca le dimensioni micro, meso e macro, il capitolo esamina le ragioni che hanno spinto milioni di persone a sfidare un sistema di potere accusato di essere lontano anni luce dalle istanze della popolazione e di essere profondamente influenzato da attori e interessi esterni al contesto iracheno.
Nel suo capitolo, Aldo Pigoli si sofferma su un continente, quello africano, che continua a essere profondamente segnato da nuovi e vecchi conflitti. Proprio questi ultimi sono al centro delle considerazioni dell’autore, che, dopo aver delineato le tradizionali classificazioni impiegate per descrivere il fenomeno, si sofferma sui suoi trend più significativi e sulla natura sempre più complessa e articolata delle sue crisi.
Il settimo contributo guarda all’evoluzione interna alla galassia jihadista a distanza di venti anni dagli attentati dell’11 settembre 2001, soffermandosi sulle pesanti sconfitte subite dal movimento e sulle sue divisioni interne, ma anche sulla straordinaria resilienza di un fenomeno che rischia di continuare a influenzare per decenni a venire le vite di ognuno di noi.
La Siria è invece oggetto dell’analisi di Mauro Primavera. A essere scandagliati, però, non sono tanto gli obiettivi, il modus operandi o le responsabilità degli attori coinvolti sul campo di battaglia, ma il peso specifico giocato dalla crisi idrica che ha investito il Paese ben prima dello scoppio della guerra civile; un aspetto, questo, che evidenzia ancora una volta la complessità di un teatro di scontro che dopo dieci anni è ancora ben lungi dall’essere pacificato
A chiudere il volume è il saggio di Francesco Salesio Schiavi che completa il trittico dedicato all’Iraq. L’autore, ricorrendo a un’analisi di stampo storico-politico, esamina il ruolo giocato dalle crisi che investirono il sistema iracheno alla fine del secolo scorso sui delicati equilibri identitari del Paese, soffermandosi in particolare sulle conseguenze che esse produssero all’interno di una comunità arabo-sciita sempre più consapevole della propria specificità e del proprio peso specifico all’interno della “terra dei due fiumi”.
Spazio liminale e crocevia di popoli e culture differenti, la terra dei due fiumi ha da sempre avuto nella diversità una delle sue principali cifre costitutive. A partire dai primi anni del ventesimo secolo questa complessità di fondo si... more
Spazio liminale e crocevia di popoli e culture differenti, la terra dei due fiumi ha da sempre avuto nella diversità una delle sue principali cifre costitutive. A partire dai primi anni del ventesimo secolo questa complessità di fondo si è tradotta in una serie di progetti di articolazione del potere spesso apertamente divergenti rispetto all’assetto prevalso nel 1921. Pur con forme, intensità e modalità differenti, queste “visioni alternative di Iraq” hanno continuato a esercitare un’influenza profonda nei decenni successivi, non solo nel nord a maggioranza curda, ma anche nelle province centro-meridionali. Oggi, con la liberazione di Mosul dalla presa del sedicente “Stato Islamico”, esse sono tornate a giocare un ruolo di primo piano e a influenzare in profondità gli equilibri di un Paese che, ancora una volta, appare in bilico tra promesse di rinascita e rischi di dissoluzione.
Three years after the proclamation of the "Islamic State" (IS), the militants of al-Baghdadi have been driven back from most of the territories they conquered in Iraq. Tikrit, Sinjar, Ramadi, Fallujah and Mosul, once strongholds of the... more
Three years after the proclamation of the "Islamic State" (IS), the militants of al-Baghdadi have been driven back from most of the territories they conquered in Iraq. Tikrit, Sinjar, Ramadi, Fallujah and Mosul, once strongholds of the “caliphate”, have been liberated and the group appears unable to keep faith with its motto: baqiya wa tatamaddad (remaining and expanding).
Mosul has become the symbol of the rise of the "Islamic state" and its fall could represent a real turning point for the land of the two rivers. But several crucial questions remain unanswered: once the auto-proclaimed Islamic State is defeated, what will be the fate of the liberated territories? And the destiny of the so-called disputed areas? Is it possible to fully eradicate IS from the country or is Iraq destined to fight an insurgency for years to come? If Iraq has to remain a “single, independent federal state with full sovereignty”, as indicated in art. 1 of the Iraqi Constitution, how it will be possible to reassemble the pieces of its complex mosaic and to counter the heightening polarization that is threatening the very foundations of its diverse community? What visions of the future have been exhibited by Iraq’s main socio-political actors? What are the interests and agendas of the main regional and international players and how can they influence the future of the country?
The volume intends to respond to these questions through a multi-pronged approach presenting the complexity of the Iraqi scenario and the influence exerted over it by a broad array of actors operating at the local, regional and international levels.
The first chapter written by Ibrahim al-Marashi set the stage of the debate. The author delineates the main challenges affecting the Iraqi State, focusing on the complexity and fluidity of its inter and intra ethno-sectarian dynamics, as well as on the problems the government has to face at the socio-political, financial, administrative, security and international levels.
Giovanni Parigi focuses its analysis on the multiple souls of the Iraqi Shi‘a community, presenting its main socio-political actors, their different agendas, the relations they established with key regional and international players and the the fragility of Shi’a political block much more fragmented than generally assumed.
The future of the Iraqi Kurdistan Region (KRI) is the subject of the chapter written by Ofra Bengio. The author presents the factors that allowed Erbil to strengthen enormously its autonomy vis a vis Baghdad at the same time underlining the fractures affecting the “other” Iraq. The author examines also the elements supporting the KRI potential bid for independence, presenting also the factors playing against it and the strategies adopted by the main Kurdish socio-political players.
Myriam Benraad takes in exam the crisis that invested the Iraqi Sunni community as well as its fractured socio-political spectrum, presenting challenges and opportunities of a community whose marginalization contributed dramatically to IS successes.
Marina Calculli focuses instead on the competing Iranian, Turkish and Saudi agendas in Iraq, as well on the potential and the limits of US influence on Baghdad. The chapter presents the strategies adopted by these different players and the patron-client networks they established in the land of the two rivers, underlining the risk stemming from an escalation of the current competition.
The last section of the volume deals with the fate of the “Islamic State” in Iraq. After delineating the evolution of the movement and the reasons that allowed it to re-emerge from its ashes in 2010, Andrea Plebani examines IS unique selling points and the strategy it adopted in the region. The last part of the chapter focuses on the possible options IS has at it disposal in Iraq, delineating the status of its remaining strongholds, the important operational capabilities it still retains and the challenges related to its eradication.
In the present edited volume, a serious of internationally recognised scholars adopt an inter-disciplinary approach to the study of ‘religious nationalism’ and the ‘nationalization’ of religion, through focusing on case studies and the... more
In the present edited volume, a serious of internationally recognised scholars adopt an inter-disciplinary approach to the study of ‘religious nationalism’ and the ‘nationalization’ of religion, through focusing on case studies and the religious affiliations and denominations of Islam, Christianity and Judaism. The aim of this book is to reconsider the ongoing debate between different communities of the so-called Islamic World regarding the nature of the nation and state, and the role of religion in a nation-state’s institutional ground, both as a viable integrative or segregating factor. It is through focusing on the state dimension, as the subject of collective action or socio- cultural and political representation, that the book proposes to reconsider the relationship between religion, politics and identity in the perspective of ‘religious nationalism’ and the ‘nationalization’ of religion in the contemporary Islamic World.
Research Interests:
L’11 settembre 2001 ha segnato l’avvio di un nuovo capitolo della storia mondiale. Da quel momento il terrorismo di "matrice islamica" è diventato uno dei fenomeni che più hanno segnato lo scenario internazionale. Ma quali sono le radici... more
L’11 settembre 2001 ha segnato l’avvio di un nuovo capitolo della storia mondiale. Da quel momento il terrorismo di "matrice islamica" è diventato uno dei fenomeni che più hanno segnato lo scenario internazionale. Ma quali sono le radici storiche delle diverse formazioni jihadiste? Cosa si intende per jihadismo? Cosa distingue al–Qa’ida dall’ISIS? Quali sono le sfide portate dai gruppi jihadisti a Tunisia, Libia ed Egitto?
In questo saggio, curato da Andrea Plebani, sette esperti riuniti dall’ISPI analizzano l’origine e l’evoluzione della galassia jihadista, dei suoi protagonisti e della minaccia che rappresenta per il Medio Oriente e l’Europa.
Com'è sorto lo "Stato islamico" nell'Iraq e nella Siria devastati dalla guerra civile e perché il jihad armato è diventato un attore chiave del panorama internazionale? Qual è la forza di un messaggio che attrae migliaia di foreign... more
Com'è sorto lo "Stato islamico" nell'Iraq e nella Siria devastati dalla guerra civile e perché il jihad armato è diventato un attore chiave del panorama internazionale? Qual è la forza di un messaggio che attrae migliaia di foreign fighters? Perché il radicalismo islamista compie atti di inaudita efferatezza?
Queste sono alcune delle domande cui il volume intende dare risposta, analizzando profili e strategie delle sigle che hanno scatenato una spirale di violenza capace di infiammare intere regioni del dar al-islam. Con la nascita di al-Qa'ida, e dopo l'11 settembre 2001, le formazioni che innalzano il vessillo del jihad armato hanno raggiunto un raggio d'azione che va dal Pakistan alla Mauritania e, nonostante sconfitte e ripiegamenti, sono riuscite a squassare i precari equilibri del mondo musulmano.
Un'analisi precisa e articolata che dimostra con quali strategie il terrorismo jihadista sia stato capace, dopo la morte di Osama bin Laden, di riorganizzarsi e diversificarsi per agire da protagonista nel grande disordine della geopolitica mondiale. Oggi sta sfidando il predominio di potenze regionali come l'Arabia Saudita, l'Iran e la Turchia in uno scontro dagli esiti imprevedibili, e ha portato la sua violenza sanguinaria anche nel cuore dell'Europa.
13 years after the tragic events of 9/11, al-Qa‘ida can count on as many regional nodes as never before, as well as on a still significant influence over the most extreme parts of the wider radical Islamist galaxy. The movement survived... more
13 years after the tragic events of 9/11, al-Qa‘ida can count on as many regional nodes as never before, as well as on a still significant influence over the most extreme parts of the wider radical Islamist galaxy. The movement survived to the loss of its sanctuaries in Afghanistan, to the elimination of its founder and several of its top leaders, as well as to the ephemeral victories obtained by the Muslim Brotherhood and its sister organizations, after the Arab Spring toppled several of the regimes it vowed to destroy. Victories that, till a couple of years ago, were described as the final nails in the coffin of al-Qa‘ida’s armed struggle: a global jihad that did not tolerate any compromise and that considered the ballot boxes as no more than a tool in the hands of the enemies of Islam. An armed global jihad tasked with the restructuring of the international system and with the restoration of the Golden Age of Islam.
Despite all the requiems sang in the past decade by experts and officials alike, then, al-Qa‘ida is alive, albeit not as dangerous as in 2001. But, differently from the past, the group seems not to be alone. The last few years witnessed the emergence of a series of actors that, while sharing several features with al-Qa‘ida, developed new and often competing interpretations able to threaten its supremacy over the whole jihadi community. The swift ascendance of the Islamic State in Iraq and Syria, its creation of an emirate ruled by extremely rigid shariah norms, and the dispute soared between its leader, the “Caliph” Abu Bakr al-Baghdadi, and the amir of al- Qa‘ida, Ayman al-Zawahiri, are the most tangible evidences of this process. But they are just a part of a wider picture. In Tunisia and Libya the local branches of Ansar al-Shariah gave birth to an hybrid stream of jihadism, mixing appeals to social justice with calls to renew the armed struggle in defense of the Islamic community. In the “post-Morsi Egypt” the restive Sinai peninsula appears to have become the seat of a new “jihadist international”, able to gather a composite array of violent groups extolling objectives and modus operandi close to the ones expressed by al-Qa‘ida but not officially under its clouts. At the same time, growing numbers of foreign volunteers responded to the appeal launched by jihadist organizations fighting in Syria and Iraq - their ranks replenished by would be jihadist (often in their twenties or even younger) coming from all over the world, Europe included. A phenomenon that has been described by the main intelligence agencies as the most serious threat the West will have to face in the mid-long term.
How did the Islamic State emerged in Iraq and Syria and how serious is its challenge for the international community and for al-Qa‘ida? What could be the impact of the different Tunisian and Libyan Ansar al-Shariah branches operating over north Africa and beyond? Can Sinai become the next frontier of jihadism and how is it affected by the instability pervading Libya and Palestine? Who are the European jihadists fighting in Syria and Iraq and what could be their impact once they decide to return to their homes? How do security agencies perceive the threat of transnational extremist networks and which are the strategies they implement to counter them? These are some of the questions this volume aims to address taking in account the heterogeneity of a phenomenon that has been aptly described as an hydra, capable of regenerating from every single blow and – above all – of spawning new heads once one is cut off.
Negli ultimi decenni, le immagini delle guerre e degli eccidi che hanno insanguinato l’Iraq hanno invaso i media per poi scivolare lentamente ai margini delle cronache. Quasi che l’incessante ripetizione di stragi e massacri finisse con... more
Negli ultimi decenni, le immagini delle guerre e degli eccidi che hanno insanguinato l’Iraq hanno invaso i media per poi scivolare lentamente ai margini delle cronache. Quasi che l’incessante ripetizione di stragi e massacri finisse con l’anestetizzare l’opinione pubblica e col diventare la normalità per una terra sconvolta da una serie interminabile di conflitti e rivalità intestine. La realtà, però, è ben più complessa e il volume cerca di restituire un’immagine più veritiera partendo proprio dalla situazione politica e socio-culturale di questa regione prima che fosse cristallizzata nella forma statuale odierna. Al di là dei lasciti coloniali, delle cicatrici di una dittatura fra le più sanguinarie della storia e delle divisioni etno-settarie, gran parte della popolazione irachena cerca ancora oggi ostinatamente una strada per dare al proprio paese un assetto stabile e un governo rappresentativo.
In the last fifteen years, Iraq has been continuously described as on the brink of dissolution: its social fabric too diverse and fragmented to sustain a system devoid of a center of gravity able to impose its will over a wide array of... more
In the last fifteen years, Iraq has been continuously described as on the brink of dissolution: its social fabric too diverse and fragmented to sustain a system devoid of a center of gravity able to impose its will over a wide array of competing internal and external power centers. Yet despite the many tragedies that have struck the “Land of the Two Rivers”, the Iraqi State remains a crucial point of reference for millions of citizens, demonstrating a resilience and support for the state that caught off guard even some of its most fervent adherents. Indeed, neither the civil war nor the brutal occupation of huge parts of the country by the
self-proclaimed Islamic State (IS) and the many flaws that characterized
the post-2003 order succeeded in tearing Iraq apart.
Nevertheless, the challenges Baghdad must face remain daunting. While often overshadowed by security and geopolitical concerns, center-periphery relations are a factor that could prove crucial for the fate of the fragile democracy built on the ashes of the former Baathist regime. The situation is well symbolized by the vitality of the debate over devolution, which pervaded the history of the Iraqi polity and rose to prominence
again from 2003 onwards. This analysis aims to delineate the features of the decentralization movements active in post-Saddam Iraq, with particular emphasis on the southern and central governorates. Areas which, in contrast with the aspirations of the Kurdistan Region of Iraq (KRI), receive only limited and sporadic coverage, especially in the West.
Research Interests:
More than six years after the outbreak of the Arab Spring, both Syria and Iraq have to cope with a series of challenges threatening their inner coherence and their survival as unitarian states. Deeply divided along ethno-sectarian and... more
More than six years after the outbreak of the Arab Spring, both Syria and Iraq have to cope with a series of challenges threatening their inner coherence and their survival as unitarian states. Deeply divided along ethno-sectarian and regional lines and marked by the emergence of internal oppositions questioning the very legitimacy of their governments, Damascus and Baghdad have witnessed the entrenchment of competing power centres within their own territories backed by a broad array of external players. The involvement of these actors contributed to complicate even further the regional scenario, favouring the overlapping of civil and proxy wars. Moving from these elements the essay aims at tracing the equilibriums dominating the Iraqi and Syrian scenarios, the relations Washington established with the key-players on the ground as well as the policy options the new U.S. administration can count on.
Research Interests:
Even if it seems that the Islamic State became headline news only recently, its roots run deeper in the transformations and mergers that have involved jihadist groups active in Iraq since the occupation by international coalition forces... more
Even if it seems that the Islamic State became headline news only recently, its roots run deeper in the transformations and mergers that have involved jihadist groups active in Iraq since the occupation by international coalition forces in 2003. Its leader, Abu Bakr al-Baghdadi, takes the “merit” for having launched a project originally devised by Abu Musab al-Zarqawi in the first decade of the 21st century. He managed to tap into the widespread discontent among Iraq’s Sunni population in the face of Nouri al-Maliki’s Shia-led government and subsequently lead Daesh forces to a series of considerable military victories, which allowed him to expand his control over increasingly larger areas of Iraq and Syria. However, compared to his predecessors and other jihadist organisations, the self-proclaimed caliph raised the stakes by aiming to reconstruct the caliphate not in the  distant future but rather “here and now”.
Research Interests:
The essay examines the relationship between IS, the enemy and communication delineating how IS made its message more  compelling through a careful representation of the enemy, its humiliation, elimination and defeat.
Andrea Plebani e Paolo Maggiolini affrontano nel secondo capitolo il tema del rapporto tra IS, nemico e comunicazione. Appare evidente come IS sia riuscito a far risuonare prepotentemente il suo messaggio proprio attraverso l’abile... more
Andrea Plebani e Paolo Maggiolini affrontano nel secondo capitolo il tema del rapporto tra IS, nemico e comunicazione. Appare evidente come IS sia riuscito a far risuonare prepotentemente il suo messaggio proprio attraverso l’abile rappresentazione del nemico, della sua umiliazione, uccisione e sconfitta. IS ha dimostrato di saper utilizzare i tempi e gli strumenti della comunicazione contemporanea sincronizzando le sue attività in una dimensione locale, regionale e internazionale. Il nemico e la sua manipolazione divengono lo strumento di quest’operazione nella prospettiva di una continua campagna di reclutamento e per la diffusione del terrore a tutti i livelli.
Mai come a partire dai primi mesi del 2011 si è discusso in maniera così continuativa e approfondita del ruolo che l’Islam dovrebbe giocare all’interno del sistema egiziano. Persino ora, a distanza di quasi tre anni dagli... more
Mai come a partire dai primi mesi del 2011 si è discusso in maniera così continuativa  e  approfondita  del  ruolo  che  l’Islam  dovrebbe  giocare all’interno del sistema egiziano.
Persino  ora,  a  distanza  di quasi  tre  anni dagli  eventi  del  2013  e  dalla complessa  stagione  politica  che  ne  è  seguita,  il  dibattito  rimane estremamente attuale e vivo.
Ad  animarlo,  a  dispetto  di  certa  critica  e  di  una  parte  importante  dei media, non sono tanto quei movimenti eversivi di matrice islamista radicale che  sono  tornati a sfidare l’autorità del Cairo soprattutto nella regione del
Sinai,  ma  una  serie  di  realtà  latrici  di  agende  e  punti  di  vista  spesso fortemente divergenti.
I termini della questione, infatti, hanno radici profonde, che attraversano l’intero secolo scorso e che si dipanano all’interno delle molteplici correnti che dominano la società egiziana.
Ridurre  la  complessità  attuale  a  una  mera  dicotomia  tra  estremisti e moderati  equivale,  quindi,  a  chiudere  gli  occhi  di  fronte  a  dinamiche  che fanno proprio della loro diversità la loro principale cifra stilistica. È muovendo da queste basi che la presente analisi ha voluto prendere in
esame  quattro attori/correnti che hanno dominato  lo spazio socio-religioso (e politico) egiziano. Innanzitutto, l’università di al-Azhar che – a dispetto delle critiche legate alla  sua  vicinanza  agli establishment che  si  sono  susseguiti  alla  guida  del paese – continua a godere di un’autorità senza eguali all’interno del mondo islamico sunnita e a costituire la principale espressione del cosiddetto Islam tradizionale (o istituzionale).
In  secondo  luogo,  è  stata  presa  in  considerazione  l’Asso
ciazione  dei Fratelli  Musulmani.  Nata  in  Egitto  nel  1928  essa  ha  giocato  un  ruolo centrale  nel  paese,  pur trovandosi  in  questo  momento  ad  affrontare  una congiuntura che rischia di metterne in discussione non solo le tesi fondanti ma la sua stessa ragion d’essere.
A fianco ad esse, la corrente salafita che, a dispetto di una visibilità tutto sommato recente e di una pluralità di visioni spesso sottovalutata, è emersa come uno degli attori più importanti dell’Egitto post-Mubarak.
Infine,  la  galassia  jihadista  con le sue  molteplici  anime,  che  è  riuscita a sfruttare abilmente la crescente instabilità interna e a divenire una minaccia significativa non solo per il paese ma per l’intera regione.
The report aims to analyse the origins and the main features of the Sadrist trend in Iraq, underlining the importance of Muhammad Sadiq al-Sadr’s legacy for its ascendance in the post-Saddam Hussein Iraq and its evolution since 2003. The... more
The report aims to analyse the origins and the main features of the Sadrist trend in Iraq, underlining the importance of Muhammad Sadiq al-Sadr’s legacy for its ascendance in the post-Saddam Hussein Iraq and its evolution since 2003. The last part of the analysis will focus on the reasons which could have pushed Muqtada al-Sadr to limit his political activities in 2014 and the consequences this decision may have on his movement and the whole Iraqi system.
Eleven years after the toppling of the Saddam Hussein regime, the prospects of a “new Iraq” able to become a beacon of prosperity, stability and democracy for the whole Middle East crumbled under a series of centripetal and centrifugal... more
Eleven years after the toppling of the Saddam Hussein regime, the prospects of a “new Iraq” able to become a beacon of prosperity, stability and democracy for the whole Middle East crumbled under a series of centripetal and centrifugal forces that threaten the very idea of an Iraqi state. How did the country fall into the current spiral of violence and hatred? Who bears the responsibility? And, even more important, is the Iraqi polity doomed to fail or is it possible to reverse the course of history?
The paper aims to delineate the evolution of the Iraqi socio‐political scenario after the fall of Saddam Hussein’s regime and the end of the Coalition Provisional Authority experience. In doing so the research attempts to pinpoint key... more
The paper aims to delineate the evolution of the Iraqi socio‐political scenario after the fall of Saddam
Hussein’s regime and the end of the Coalition Provisional Authority experience. In doing so the
research attempts to pinpoint key actors in the Iraqi political system and the degree of popular
support they were able to muster both on the local (2005, 2010 and 2013 provincial elections) and
national (January ‐December 2005 and 2010 voting) levels. The final part of the paper examines the
political dynamics that emerged during al‐Maliki’s second term. Particular attention has been given
to the heightening political infighting seen since the withdrawal of US troops in December 2011 and
to the apparent fragmentation of the Iraqi political arena attested to by the results of the recent
provincial elections.
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Lo scorso giugno le forze dello Stato Islamico dell’Iraq e della Siria hanno preso la città chiave di Mosul, estendendo il proprio controllo su ampie porzioni della Siria centro-orientale e del nord-ovest iracheno. Nel frattempo il leader... more
Lo scorso giugno le forze dello Stato Islamico dell’Iraq e della Siria hanno preso la città chiave di Mosul, estendendo il proprio controllo su ampie porzioni della Siria centro-orientale e del nord-ovest iracheno. Nel frattempo il leader del movimento Abu Bakr al-Baghdadi ha proclamato la nascita di un nuovo califfato, espandendo le proprie mire ben al di là di Mesopotamia e Levante. A poche settimane dall’insediamento di un nuovo governo a Baghdad, le sorti della sintesi statuale irachena appaiono ancora fortemente in bilico. Ma da dove provengono i militanti che combattono sotto le insegne nere del “nuovo califfo”? In che modo sono riusciti a divenire uno degli attori più influenti del panorama siro-iracheno? E, soprattutto, quali sono le debolezze del sedicente Stato Islamico e quali le condizioni fondamentali affinché esso venga sconfitto?
Esattamente un anno fa Mosul cadeva nelle mani dei militanti del Da‘ish, segnando l’inizio di una nuova fase per il movimento sorto nel 2003 sulle ceneri del regime iracheno di Saddam Hussein. Il 24 giugno scorso, infatti, Abu Bakr... more
Esattamente un anno fa Mosul cadeva nelle mani dei militanti del Da‘ish, segnando l’inizio di una nuova fase per il movimento sorto nel 2003 sulle ceneri del regime iracheno di Saddam Hussein. Il 24 giugno scorso, infatti, Abu Bakr al-Baghdadi veniva proclamato nuovo “califfo” e Isis decideva di superare la propria specifica connotazione territoriale per puntare a una dimensione globale. Un passaggio, questo, esplicitato da un cambio di nome (da Stato Islamico dell’Iraq e di al-Sham a Stato Islamico tout court - Is) che mirava a fare del movimento il nuovo punto di riferimento non solo dell’universo jihadista, ma dell’intera comunità islamica.  A distanza di un anno da quei tragici eventi, qual è la situazione di Is? Quali le sfide che deve affrontare e quali le vittorie ottenute?
A oltre un anno di distanza dalla caduta di Mosul, qual è lo stato del sistema iracheno e quali sono le possibilità che esso riesca a uscire da una crisi che appare per molti versi irreversibile? Come sempre, quando si parla di Iraq, le... more
A oltre un anno di distanza dalla caduta di Mosul, qual è lo stato del sistema iracheno e quali sono le possibilità che esso riesca a uscire da una crisi che appare per molti versi irreversibile? Come sempre, quando si parla di Iraq, le risposte a questi quesiti sono molteplici e raramente univoche.
Research Interests:
Era il leader di una delle più sanguinose milizie durante la guerra in Iraq, oggi Muqtada al-Sadr è alla testa di un movimento che porta in piazza migliaia di persone. Con toni populisti, chiede la fine della corruzione del governo del... more
Era il leader di una delle più sanguinose milizie durante la guerra in Iraq, oggi Muqtada al-Sadr è alla testa di un movimento che porta in piazza migliaia di persone. Con toni populisti, chiede la fine della corruzione del governo del premier sciita Haider al-Abadi e riforme. I manifestanti che per settimane hanno protestato attorno alla green zone, cuore di Baghdad e simbolo per molti iracheni della ricchezza e corruzione dei politici, protetta da alti muri di cemento e da metri di filo spinato, hanno fatto poche settimane fa irruzione nel parlamento, a maggioranza sciita.