« Les savoirs médiévaux dans tous leurs états : de la spécialisation à la pluridisciplinarité », ... more « Les savoirs médiévaux dans tous leurs états : de la spécialisation à la pluridisciplinarité », Université de Genève, vendredi 24 mai.
Colloque international « Le sang et la vertu. Noblesse de sang et noblesse d’âme au Moyen Âge », ... more Colloque international « Le sang et la vertu. Noblesse de sang et noblesse d’âme au Moyen Âge », Poitiers, 12-14 octobre 2023.
"Journées à la mémoire de Denis Muzerelle. Nouvelles de la recherche sur les manuscrits médiévaux... more "Journées à la mémoire de Denis Muzerelle. Nouvelles de la recherche sur les manuscrits médiévaux", Paris, 4-5 juillet 2022
LEGETIMAM – L’expérience exégétique au Moyen Âge et durant la première modernité. Journée d’étude... more LEGETIMAM – L’expérience exégétique au Moyen Âge et durant la première modernité. Journée d’étude 4 : LA MATÉRIALITÉ DES COMMENTAIRES, 27 mars 2021
conférence à la bibliothèque de Metz dans le cadre des journées européennes du patrimoine (20/09/... more conférence à la bibliothèque de Metz dans le cadre des journées européennes du patrimoine (20/09/2020)
WEBINAIRE H37 "Histoire et cultures graphiques" sous la direction de Paul Bertrand, https://www.y... more WEBINAIRE H37 "Histoire et cultures graphiques" sous la direction de Paul Bertrand, https://www.youtube.com/watch?v=ko2fqSh978E
"La transmission des savoirs", 143e congrès national des sociétés historiques et scientifiques, P... more "La transmission des savoirs", 143e congrès national des sociétés historiques et scientifiques, Paris, 23-27 avril 2018
« LA PLACE DU SOMNIUM MORALE PHARAONIS DANS LE RÉSEAU DES COLLECTIONS DE DICTAMINA : UN CAS ATYPI... more « LA PLACE DU SOMNIUM MORALE PHARAONIS DANS LE RÉSEAU DES COLLECTIONS DE DICTAMINA : UN CAS ATYPIQUE D’HYBRIDATION TEXTUELLE » (NICOLAS MICHEL) : RIASSUNTO
La mia comunicazione si propone di studiare il ruolo che ha svolto il Somnium di Iohannis Lemovicensis nella rete di sillogi di dictamina, nell’insegnamento e l’utilizzazione dell’ars dictaminis, ma anche di sottolineare la pluralità degli usi dell’opera, in particolare i legami che uniscono il Somnium alla disciplina dell’ars praedicandi.
L’opera di Giovanni di Limoges, scritta negli anni 1240-1250 per il conte Thibaut IV di Champagne, si presenta come un commento esegetico del passo di Genesi 41, meglio conosciuto con il nome di « Sogno del faraone ». Combinando una componente politica e letteraria, il Somnium fu definito come uno speculum principis, benché il contenuto propriamente politico dell’opera non sia molto originale. L’interesse del testo non risiede tanto nel suo contenuto, quanto nella sua forma, che è organizzata come un dialogo epistolare in 20 lettere, scambiate tra il Faraone, Giuseppe e i cortigiani del Faraone. Nella sua opera Giovanni ha scelto di utilizzare le regole e la struttura dell’ars dictaminis, disciplina che l’autore conosceva bene perché ha anche composto un’ars dictandi, intitolata De dictamine et dictatorio syllogismorum.
Se il testo era fino ad ora sconosciuto dalla critica, è sopprattuto a causa dell’ignoranza dell’incredibile diffusione manoscritta dell’opera, ricca di 88 manoscritti, trasmessi attraverso tutta l’Europa tra la seconda metà del XIII secolo e l’inizio del periodo moderno. Troviamo i manoscritti del Somnium in differenti ambienti, laici ed ecclesiastici, ma soppratutto nelle mani di privati legati all’ambiente universitario. L’ambiente scolastico, e particolarmente quello universitario, sembra l’ambiente privilegiato di diffusione e utilizzazione dell’opera. Questa costatazione spiega per esempio perché il Somnium continui ad essere copiato nel XV secolo, momento in cui inizia il crepusculo dei manuali d’ars dictaminis. Il Somnium era allora usato nelle università per il perfezionamento delle tecniche di composizione in prosa latina, in particolare in connessione con la grammatica.
L’esame dei manoscritti permette di notare tre utilizzo principali dell’opera di Giovanni : per l’insegnamento, il suo utilizzo si combina spesso coll’ars dictaminis e l’ars praedicandi. Per l’ars dictaminis, il testo è trasmesso soppratutto nelle summe dictaminis (queste raccolte epistolari contengono sopprattutto le collezioni di Pier della Vigna, di Tommaso da Capua e di Ricardo da Pofi) non come un modello che l’utilizzatore di queste collezioni testuali poteva ricopiare direttamente, ma piuttosto come un modello letterario, usato per sviluppare le proprie competenze nell’esercizio della composizione in prosa latina. Peraltro, i prestiti diretti dall’opera che possiamo trovare in altre lettere o atti sembrano abbastanza rari. Era possibile per il notaio trovare nel Somnium un campione di figure retoriche, in particolare per la redazione di lettere che dovevano essere di un livello stilistico elevato.
Per quanto rigarda l’ars praedicandi, è importante notare che l’utilizzo del Somnium in questo caso è abbastanza simile a quella delle summe dictaminis, cioè come modello letterario. Troviamo il Somnium nelle raccolte di sermoni, ma anche nei manoscritti che contengono testi legati all’ars praedicandi e nello stesso tempo testi legati alla pratica dell’ars dictaminis. L’esame dei questi manoscritti suggerisce che il Somnium ha potuto essere usato per la redazione di sermoni in ambiente monastico o canonico.
Lungi dall’essere confinata ad un uso esclusivo, l’opera di Giovanni di Limoges si distingue per la sua polivalenza tipologica, confermata dallo studio delle collezioni testuali nelle quali lo scritto viene inserito. L’esame degli ambienti di diffusione, unitamente agli indizi codicologici, sottolinea inoltre il profondo radicamento del testo in ambiente universitario. Sarebbe dunque errato considerare il Somnium morale pharaonis unicamente secondo il punto di vista dell’ars dictaminis, dell’ars praedicandi o degli specula principorum. È piuttosto nella sua globalità, secondo i numerosi usi che spiegano il suo successo, e dunque nello suo contesto storico di diffusione che è opportuno studiare questa importante opera della storia della litteratura latina degli ultimi secoli del Medio Evo.
« Les savoirs médiévaux dans tous leurs états : de la spécialisation à la pluridisciplinarité », ... more « Les savoirs médiévaux dans tous leurs états : de la spécialisation à la pluridisciplinarité », Université de Genève, vendredi 24 mai.
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« LA PLACE DU SOMNIUM MORALE PHARAONIS DANS LE RÉSEAU DES COLLECTIONS DE DICTAMINA : UN CAS ATYPI... more « LA PLACE DU SOMNIUM MORALE PHARAONIS DANS LE RÉSEAU DES COLLECTIONS DE DICTAMINA : UN CAS ATYPIQUE D’HYBRIDATION TEXTUELLE » (NICOLAS MICHEL) : RIASSUNTO
La mia comunicazione si propone di studiare il ruolo che ha svolto il Somnium di Iohannis Lemovicensis nella rete di sillogi di dictamina, nell’insegnamento e l’utilizzazione dell’ars dictaminis, ma anche di sottolineare la pluralità degli usi dell’opera, in particolare i legami che uniscono il Somnium alla disciplina dell’ars praedicandi.
L’opera di Giovanni di Limoges, scritta negli anni 1240-1250 per il conte Thibaut IV di Champagne, si presenta come un commento esegetico del passo di Genesi 41, meglio conosciuto con il nome di « Sogno del faraone ». Combinando una componente politica e letteraria, il Somnium fu definito come uno speculum principis, benché il contenuto propriamente politico dell’opera non sia molto originale. L’interesse del testo non risiede tanto nel suo contenuto, quanto nella sua forma, che è organizzata come un dialogo epistolare in 20 lettere, scambiate tra il Faraone, Giuseppe e i cortigiani del Faraone. Nella sua opera Giovanni ha scelto di utilizzare le regole e la struttura dell’ars dictaminis, disciplina che l’autore conosceva bene perché ha anche composto un’ars dictandi, intitolata De dictamine et dictatorio syllogismorum.
Se il testo era fino ad ora sconosciuto dalla critica, è sopprattuto a causa dell’ignoranza dell’incredibile diffusione manoscritta dell’opera, ricca di 88 manoscritti, trasmessi attraverso tutta l’Europa tra la seconda metà del XIII secolo e l’inizio del periodo moderno. Troviamo i manoscritti del Somnium in differenti ambienti, laici ed ecclesiastici, ma soppratutto nelle mani di privati legati all’ambiente universitario. L’ambiente scolastico, e particolarmente quello universitario, sembra l’ambiente privilegiato di diffusione e utilizzazione dell’opera. Questa costatazione spiega per esempio perché il Somnium continui ad essere copiato nel XV secolo, momento in cui inizia il crepusculo dei manuali d’ars dictaminis. Il Somnium era allora usato nelle università per il perfezionamento delle tecniche di composizione in prosa latina, in particolare in connessione con la grammatica.
L’esame dei manoscritti permette di notare tre utilizzo principali dell’opera di Giovanni : per l’insegnamento, il suo utilizzo si combina spesso coll’ars dictaminis e l’ars praedicandi. Per l’ars dictaminis, il testo è trasmesso soppratutto nelle summe dictaminis (queste raccolte epistolari contengono sopprattutto le collezioni di Pier della Vigna, di Tommaso da Capua e di Ricardo da Pofi) non come un modello che l’utilizzatore di queste collezioni testuali poteva ricopiare direttamente, ma piuttosto come un modello letterario, usato per sviluppare le proprie competenze nell’esercizio della composizione in prosa latina. Peraltro, i prestiti diretti dall’opera che possiamo trovare in altre lettere o atti sembrano abbastanza rari. Era possibile per il notaio trovare nel Somnium un campione di figure retoriche, in particolare per la redazione di lettere che dovevano essere di un livello stilistico elevato.
Per quanto rigarda l’ars praedicandi, è importante notare che l’utilizzo del Somnium in questo caso è abbastanza simile a quella delle summe dictaminis, cioè come modello letterario. Troviamo il Somnium nelle raccolte di sermoni, ma anche nei manoscritti che contengono testi legati all’ars praedicandi e nello stesso tempo testi legati alla pratica dell’ars dictaminis. L’esame dei questi manoscritti suggerisce che il Somnium ha potuto essere usato per la redazione di sermoni in ambiente monastico o canonico.
Lungi dall’essere confinata ad un uso esclusivo, l’opera di Giovanni di Limoges si distingue per la sua polivalenza tipologica, confermata dallo studio delle collezioni testuali nelle quali lo scritto viene inserito. L’esame degli ambienti di diffusione, unitamente agli indizi codicologici, sottolinea inoltre il profondo radicamento del testo in ambiente universitario. Sarebbe dunque errato considerare il Somnium morale pharaonis unicamente secondo il punto di vista dell’ars dictaminis, dell’ars praedicandi o degli specula principorum. È piuttosto nella sua globalità, secondo i numerosi usi che spiegano il suo successo, e dunque nello suo contesto storico di diffusione che è opportuno studiare questa importante opera della storia della litteratura latina degli ultimi secoli del Medio Evo.
dans Nicolas Michel (éd.), Les Miroirs aux princes aux frontières des genres
(viiie-xve siècle), ... more dans Nicolas Michel (éd.), Les Miroirs aux princes aux frontières des genres (viiie-xve siècle), Paris, 2022, p. 7-66.
Le Policraticus constitue sans nul doute le plus bel exemple de l’amour de Jean pour les textes c... more Le Policraticus constitue sans nul doute le plus bel exemple de l’amour de Jean pour les textes classiques. Ce texte, d’une complexité rare, tant du point de vue des idées que de la langue, est aujourd’hui bien connu, à tout le moins en ce qui concerne son contenu. Si plusieurs auteurs ont tenté d’en mesurer le succès durant les derniers siècles du Moyen Âge, en particulier l’influence qu’il put avoir sur tel ou tel auteur, on est encore peu informé sur sa diffusion manuscrite. Notre réflexion ne prétend nullement combler ce vide. Elle se propose plutôt d’offrir un nouvel éclairage sur le statut du texte et son emploi tel que pensé par Jean de Salisbury à travers l’étude des manuscrits produits et conservés du Policraticus. Grâce à une analyse exhaustive des plus anciens témoins manuscrits de l’œuvre, nous avons pu mettre au jour une série d’annotations transcrites dans les marges des manuscrits, annotations qui, nous le verrons, apportent un nouvel éclairage sur le rapport entretenu par Jean de Salisbury avec son propre texte. L’objectif de cette étude vise donc à mobiliser les tout premiers manuscrits du Policraticus en tentant d’expliquer la place occupée par les nombreuses annotations qui jalonnent le texte de l’humaniste anglais, tout en s’interrogeant sur leur paternité.
dans Paul Bertrand et Xavier Hermand (dir.), Réformes, production et usages du livre dans les mon... more dans Paul Bertrand et Xavier Hermand (dir.), Réformes, production et usages du livre dans les monastères bénédictins (XIVe–XVe siècles), (à paraître en 2021)
dans Benoît Grévin et Florian Hartmann (éd.), Der mittelalterliche Brief zwischen Norm und Praxis... more dans Benoît Grévin et Florian Hartmann (éd.), Der mittelalterliche Brief zwischen Norm und Praxis, Köln, 2020, p. 221-236
"Écriture et transmission des savoirs de l’Antiquité à nos jours", Dominique Briquel (dir.) , 2020
Œuvre majeure pour la connaissance historique de l’Italie ostrogothique, les Variæ constituent un... more Œuvre majeure pour la connaissance historique de l’Italie ostrogothique, les Variæ constituent une source de première main pour l’historien de l’Antiquité tardive. Ce recueil de 468 lettres, articulées en douze livres, apparaît du reste comme l’une des premières collections épistolaires organisées. Loin de chercher à questionner à nouveau les Variæ en tant que source historique, nous souhaitons nous intéresser à la réception de celles-ci près de six siècles après leur rédaction par Cassiodore. Avec près de 180 manuscrits recensés, les Variæ constituent l’une des collections épistolaires les plus diffusées et les plus utilisées durant tout le Moyen Âge. Notre communication, issue d’une thèse de doctorat en cours, visera à mettre en lumière les mécanismes de transmission, de réappropriation et de réutilisation d’une œuvre, dans une perspective résolument diachronique.
Peu d’œuvres médiévales ont suscité autant d’intérêt que le Policraticus de Jean de Salisbury. Co... more Peu d’œuvres médiévales ont suscité autant d’intérêt que le Policraticus de Jean de Salisbury. Composée à la fin de l’automne 1159 à l’attention du non moins célèbre Thomas Becket, chancelier du roi Henri II Plantagenêt et futur archevêque de Cantorbéry, l’œuvre fut abondamment étudiée pour son contenu politique, en somme comme miroir au prince. Si la recherche a depuis nuancé cette étiquette, insistant notamment sur le caractère profondément humaniste du texte, louant l’exceptionnelle culture classique de Jean, peu d’études furent consacrées à la diffusion concrète de
l’œuvre au travers des exemplaires manuscrits. Notre recherche vise un double objectif : d’une part, proposer une synthèse de la première diffusion du Policraticus en France, facilitée par le séjour concomitant de Jean de Salisbury et Thomas Becket en Champagne dans les années 1164-1170 ; d’autre part, comprendre le rôle et la place qu’occupe dans cette diffusion le manuscrit Charleville-Mézières BM 151, provenant de l’abbaye cistercienne de Signy et considéré comme l’un des premiers témoins du Policraticus en France, en insistant sur le réseau de relations existant entre Jean de Salisbury, Thomas Becket et l’ordre de Cîteaux.
Few medieval works have generated as much interest as the Policraticus of John of Salisbury. Written in late autumn 1159 for Thomas Becket, chancellor of King Henri II Plantagenet and future archbishop of Canterbury, the work has been abundantly studied for its political content, as a mirror for princes. If research has since nuanced this characterization, by stressing in particular the humanistic culture of the text, praising John’s knowledge of the classics, few studies have been devoted to the precise diffusion of the text through the manuscript tradition. Our research has two objectives: on the one hand, to propose an overview of the first diffusion of the Policraticus in France, which was facilitated by the simultaneous stay of John of Salisbury and Thomas Becket in Champagne during the years 1164-1170; on the other hand, to understand the function and the place occupied in this diffusion by the manuscript Charleville-Mézières BM 151, which comes from the Cistercian abbey of Signy. It is presented as one of the earliest French witnesses of the Policraticus to survive and stresses the relations observed between John of Salisbury, Thomas Becket and the Cistercian Order.
Revue d'Histoire des Textes, n. s., XIV (2019), p. 257-278.
Among all the mirrors for princes ... more Revue d'Histoire des Textes, n. s., XIV (2019), p. 257-278.
Among all the mirrors for princes currently listed, there is one atypical, almost entirely unknown by the research world, whose attribution raises many questions. The Speculum regiminis, work composed during the last decades of the Fourteenth-century, attributed to Philippe of Bergame, deserves more attention. We will see by a short analyse of his content, that is a commentary of the well-known Disticha catonis, but also by the study of the manuscript tradition, rich of eighty-five manuscripts, that the general attribution of this text, which is controversial, is a complex issue.
Through the prism of his best known work, the Somnium morale pharaonis, this study attempts to de... more Through the prism of his best known work, the Somnium morale pharaonis, this study attempts to demonstrate the central importance of John of Limoges, a relatively under researched author John, who has all too often been mistaken with his early 13th century Cistercian namesake, may be described as "first of all an intellectual", in Jacques Le Goff's terms. Fresh study of his biographical sources, combined with some new clues, underlines the Paris phase of his formation, the period the Somnium dates to. Subsequently enterring the Cistercian order in Clairvaux, he continued to maintain closes relationships with the French capital. His career retraced, we will try to lift the veil on the recipient of the Somnium, Count Thibaut of Champaign.
This study tries to demonstrate the incredible diffusion of John of Limoges’s manuscript of the S... more This study tries to demonstrate the incredible diffusion of John of Limoges’s manuscript of the Somnium morale pharaonis, diffusion until now widely unknown by the research world. By a systematic study of the manuscript corpus, rich in 86 codices, this article underlines the plurality in practices of John’s work, with a particular focus on the relation that unites the Somnium with the ars dictaminis field. Far from being restricted to a single use, John’s work shines by its typological plasticity, as demonstrated by the study of the textual collections in which it fits. The analysis of the diffusion environment, combined with the codicological clues, also underlines the deep anchorage of the text within university environments.
S’il est une notion qui a fait couler beaucoup d’encre et dont le sens continue pourtant à nous é... more S’il est une notion qui a fait couler beaucoup d’encre et dont le sens continue pourtant à nous échapper en grande partie, c’est bien celle de bien commun. Ce concept éminemment actuel, ne cesse de susciter l’intérêt, tant au sein du milieu académique qu’auprès des acteurs du monde politique, économique, agricole, ou humanitaire. Dans son acception éthique, le bien commun semble toutefois de plus en plus considéré comme un idéal utopique, d’où le déplacement de la focale sur la notion de biens communs et de communs, dans la lignée des travaux d’Elinor Ostrom.
Au Moyen Âge, le bonum commune, compris comme fin ultime de tout individu inscrit au sein d’une communauté, fonde toute la grammaire politique, et plus particulièrement à partir de la seconde moitié du XIIIe siècle, sous l’impulsion de la redécouverte du corpus politique aristotélicien. Quoiqu’omniprésente, la notion est comprise et utilisée de manière extrêmement diverse, selon des finalités qui semblent souvent incompatibles avec l’universalité même qui sous-tend l’idée de « commun ».
Plusieurs travaux récents ont mis en lumière le caractère extrêmement vague et ambigu de la définition même du bonum commune ; dans l’œuvre de Thomas d’Aquin, pour ne citer que lui, le concept est mobilisé à maintes et maintes reprises, dans un sens qui est loin d’être univoque, équivocité renforcée par l’absence de toute tentative définitoire par le docteur angélique. Cette polysémie, qui ne va pas sans une certaine plasticité, explique les usages extrêmement variés voire parfois opposés de la notion de bien commun au Moyen Âge, tantôt utilisée comme fer de lance de l’absolutisme pontifical, tantôt pour justifier l’existence d’institutions contraignantes censées empêcher l’avènement d’un gouvernement tyrannique. Cette journée d’étude cherche à réinterroger la notion même de bonum commune en s’intéressant aux conditions dans lesquelles celle-ci se voit mobilisée, en s’intéressant aux éventuels conflits qui surgissent dans sa confrontation avec le réel historique, tout en guettant les solutions proposées par les auteurs pour concilier théorie et pratique du bien commun, dans une approche comparable à l’analogie théologico-politique proposée par l’Aquinate.
Colloque international, Namur, 10-12 Mai 2023
Le « long XIIe siècle » est une période d'importan... more Colloque international, Namur, 10-12 Mai 2023
Le « long XIIe siècle » est une période d'importantes mutations sur le plan culturel et intellectuel, mais aussi politique et institutionnel. Les penseurs médiévaux, majoritairement des ecclésiastiques, perçoivent également ces transformations fondamentales et les réflexions autour des questions du pouvoir et du gouvernement laïc (vanité de la cour, tyrannicide, thème du roi lettré, métaphore organiciste, etc.) fleurissent au sein de textes aux caractères extrêmement variés. L'objectif de ce colloque est de mener une analyse croisée de l'action et de la pensée politique entre le XIe siècle et le début du XIIIe siècle, et surtout de parvenir à faire résonner ces deux aspects du pouvoir sur une fréquence commune. Une réflexion d'ensemble, évitant l'écueil de l'opposition entre théorie et pratique politique, est nécessaire pour apporter une perspective novatrice à l'appréhension de la pensée et de l'action politique au cours de ce long XIIe siècle. Cette rencontre convie les participants à réfléchir sur une mise en relation entre des modèles ou des actes gouvernementaux concrets et des considérations plus théoriques et sur l'influence que ces deux éléments structurants pourraient avoir l'un sur l'autre. Une seconde question primordiale sous-tend ce raisonnement : celle de la finalité et de la réception des oeuvres qui les contiennent. En effet, il convient de déterminer par quel(s) moyen(s) et quel(s) intermédiaire(s) les gouvernants pouvaient y avoir accès et quel impact ces textes pouvaient avoir sur leurs pratiques gouvernementales et sur les mutations évoquées ci-dessus.
Présentation de l'ouvrage "Les miroirs aux princes aux frontières des genres (VIIIe-XVe s.)" dan... more Présentation de l'ouvrage "Les miroirs aux princes aux frontières des genres (VIIIe-XVe s.)" dans le cadre du séminaire de Stéphane Péquignot ("Relations internationales et diplomatie"). La présentation sera suivie d'une discussion avec Christophe Grellard (EPHE – PSL) et Annliese Nef (Université Paris I Panthéon-Sorbonne).
La séance aura lieu le jeudi 16 mars, de 14 h à 16h, au 54 boulevard Raspail (Paris), au niveau – 1, en salle 9.
Si les termes de « specula principum », « fürstenspiegel », « mirrors for princes » ou « miroirs ... more Si les termes de « specula principum », « fürstenspiegel », « mirrors for princes » ou « miroirs aux princes » semblent aujourd’hui communément admis et largement usités par la communauté scientifique, on est pourtant bien en mal de définir avec précision les contours d’un tel corpus. La définition traditionnelle proposée par Ein Már Jónsson en 1987, et à laquelle on se réfère aujourd’hui, cadre mal avec la réalité textuelle médiévale, réfractaire à toute tentative de cloisonnement typologique. La lecture de plusieurs œuvres présentées comme exemplaires, à l’instar du Policraticus de Jean de Salisbury ou encore du fameux De regimine principum de Gilles de Rome, tend pourtant à souligner la différence fondamentale qui existe entre les genres médiévaux et les genres médiévistes, pour reprendre le titre d’un article de Patrick Moran. L'objectif de ce colloque sera donc de réinterroger une littérature aux contours sinueux et pourtant cloisonnée sous une définition arbitraire qui cache une part importante des potentialités d'étude d'un tel corpus. En choisissant de prendre le parti non de la forme mais de la fonction, de l'usage des miroirs aux princes, au travers notamment de l'étude de leur réception manuscrite, de leur combinaison avec d'autres formes de littérature, mais aussi du projet de l'auteur (au moyen notamment de la préface au texte, si celle-ci existe), nous souhaitons souligner la grande plasticité des textes spéculaires qui dépassent largement les cadres typologiques restreints dans lesquels nous les classons habituellement. C'est pourquoi nous souhaitons faire intervenir lors de ce colloque des spécialistes de tous horizons, des miroirs carolingiens aux miroirs vernaculaires de la fin du Moyen Âge, tout en souhaitant également bénéficier de la participation de jeunes chercheurs, qui pourront ainsi apporter un regard neuf sur cette thématique. Une telle démarche permettra de répondre à une question simple, mais pourtant lourde de conséquences : est-ce la forme d’une œuvre, son contenu intrinsèque qui en détermine la nature, ou est-ce davantage sa visée et, plus important encore, sa réception ?
Thèse réalisée par M. Nicolas Michel en vue de l'obtention du grade de Docteur en histoire, art e... more Thèse réalisée par M. Nicolas Michel en vue de l'obtention du grade de Docteur en histoire, art et archéologie des Universités de Namur et de Louvain.
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La mia comunicazione si propone di studiare il ruolo che ha svolto il Somnium di Iohannis Lemovicensis nella rete di sillogi di dictamina, nell’insegnamento e l’utilizzazione dell’ars dictaminis, ma anche di sottolineare la pluralità degli usi dell’opera, in particolare i legami che uniscono il Somnium alla disciplina dell’ars praedicandi.
L’opera di Giovanni di Limoges, scritta negli anni 1240-1250 per il conte Thibaut IV di Champagne, si presenta come un commento esegetico del passo di Genesi 41, meglio conosciuto con il nome di « Sogno del faraone ». Combinando una componente politica e letteraria, il Somnium fu definito come uno speculum principis, benché il contenuto propriamente politico dell’opera non sia molto originale. L’interesse del testo non risiede tanto nel suo contenuto, quanto nella sua forma, che è organizzata come un dialogo epistolare in 20 lettere, scambiate tra il Faraone, Giuseppe e i cortigiani del Faraone. Nella sua opera Giovanni ha scelto di utilizzare le regole e la struttura dell’ars dictaminis, disciplina che l’autore conosceva bene perché ha anche composto un’ars dictandi, intitolata De dictamine et dictatorio syllogismorum.
Se il testo era fino ad ora sconosciuto dalla critica, è sopprattuto a causa dell’ignoranza dell’incredibile diffusione manoscritta dell’opera, ricca di 88 manoscritti, trasmessi attraverso tutta l’Europa tra la seconda metà del XIII secolo e l’inizio del periodo moderno. Troviamo i manoscritti del Somnium in differenti ambienti, laici ed ecclesiastici, ma soppratutto nelle mani di privati legati all’ambiente universitario. L’ambiente scolastico, e particolarmente quello universitario, sembra l’ambiente privilegiato di diffusione e utilizzazione dell’opera. Questa costatazione spiega per esempio perché il Somnium continui ad essere copiato nel XV secolo, momento in cui inizia il crepusculo dei manuali d’ars dictaminis. Il Somnium era allora usato nelle università per il perfezionamento delle tecniche di composizione in prosa latina, in particolare in connessione con la grammatica.
L’esame dei manoscritti permette di notare tre utilizzo principali dell’opera di Giovanni : per l’insegnamento, il suo utilizzo si combina spesso coll’ars dictaminis e l’ars praedicandi. Per l’ars dictaminis, il testo è trasmesso soppratutto nelle summe dictaminis (queste raccolte epistolari contengono sopprattutto le collezioni di Pier della Vigna, di Tommaso da Capua e di Ricardo da Pofi) non come un modello che l’utilizzatore di queste collezioni testuali poteva ricopiare direttamente, ma piuttosto come un modello letterario, usato per sviluppare le proprie competenze nell’esercizio della composizione in prosa latina. Peraltro, i prestiti diretti dall’opera che possiamo trovare in altre lettere o atti sembrano abbastanza rari. Era possibile per il notaio trovare nel Somnium un campione di figure retoriche, in particolare per la redazione di lettere che dovevano essere di un livello stilistico elevato.
Per quanto rigarda l’ars praedicandi, è importante notare che l’utilizzo del Somnium in questo caso è abbastanza simile a quella delle summe dictaminis, cioè come modello letterario. Troviamo il Somnium nelle raccolte di sermoni, ma anche nei manoscritti che contengono testi legati all’ars praedicandi e nello stesso tempo testi legati alla pratica dell’ars dictaminis. L’esame dei questi manoscritti suggerisce che il Somnium ha potuto essere usato per la redazione di sermoni in ambiente monastico o canonico.
Lungi dall’essere confinata ad un uso esclusivo, l’opera di Giovanni di Limoges si distingue per la sua polivalenza tipologica, confermata dallo studio delle collezioni testuali nelle quali lo scritto viene inserito. L’esame degli ambienti di diffusione, unitamente agli indizi codicologici, sottolinea inoltre il profondo radicamento del testo in ambiente universitario. Sarebbe dunque errato considerare il Somnium morale pharaonis unicamente secondo il punto di vista dell’ars dictaminis, dell’ars praedicandi o degli specula principorum. È piuttosto nella sua globalità, secondo i numerosi usi che spiegano il suo successo, e dunque nello suo contesto storico di diffusione che è opportuno studiare questa importante opera della storia della litteratura latina degli ultimi secoli del Medio Evo.
La mia comunicazione si propone di studiare il ruolo che ha svolto il Somnium di Iohannis Lemovicensis nella rete di sillogi di dictamina, nell’insegnamento e l’utilizzazione dell’ars dictaminis, ma anche di sottolineare la pluralità degli usi dell’opera, in particolare i legami che uniscono il Somnium alla disciplina dell’ars praedicandi.
L’opera di Giovanni di Limoges, scritta negli anni 1240-1250 per il conte Thibaut IV di Champagne, si presenta come un commento esegetico del passo di Genesi 41, meglio conosciuto con il nome di « Sogno del faraone ». Combinando una componente politica e letteraria, il Somnium fu definito come uno speculum principis, benché il contenuto propriamente politico dell’opera non sia molto originale. L’interesse del testo non risiede tanto nel suo contenuto, quanto nella sua forma, che è organizzata come un dialogo epistolare in 20 lettere, scambiate tra il Faraone, Giuseppe e i cortigiani del Faraone. Nella sua opera Giovanni ha scelto di utilizzare le regole e la struttura dell’ars dictaminis, disciplina che l’autore conosceva bene perché ha anche composto un’ars dictandi, intitolata De dictamine et dictatorio syllogismorum.
Se il testo era fino ad ora sconosciuto dalla critica, è sopprattuto a causa dell’ignoranza dell’incredibile diffusione manoscritta dell’opera, ricca di 88 manoscritti, trasmessi attraverso tutta l’Europa tra la seconda metà del XIII secolo e l’inizio del periodo moderno. Troviamo i manoscritti del Somnium in differenti ambienti, laici ed ecclesiastici, ma soppratutto nelle mani di privati legati all’ambiente universitario. L’ambiente scolastico, e particolarmente quello universitario, sembra l’ambiente privilegiato di diffusione e utilizzazione dell’opera. Questa costatazione spiega per esempio perché il Somnium continui ad essere copiato nel XV secolo, momento in cui inizia il crepusculo dei manuali d’ars dictaminis. Il Somnium era allora usato nelle università per il perfezionamento delle tecniche di composizione in prosa latina, in particolare in connessione con la grammatica.
L’esame dei manoscritti permette di notare tre utilizzo principali dell’opera di Giovanni : per l’insegnamento, il suo utilizzo si combina spesso coll’ars dictaminis e l’ars praedicandi. Per l’ars dictaminis, il testo è trasmesso soppratutto nelle summe dictaminis (queste raccolte epistolari contengono sopprattutto le collezioni di Pier della Vigna, di Tommaso da Capua e di Ricardo da Pofi) non come un modello che l’utilizzatore di queste collezioni testuali poteva ricopiare direttamente, ma piuttosto come un modello letterario, usato per sviluppare le proprie competenze nell’esercizio della composizione in prosa latina. Peraltro, i prestiti diretti dall’opera che possiamo trovare in altre lettere o atti sembrano abbastanza rari. Era possibile per il notaio trovare nel Somnium un campione di figure retoriche, in particolare per la redazione di lettere che dovevano essere di un livello stilistico elevato.
Per quanto rigarda l’ars praedicandi, è importante notare che l’utilizzo del Somnium in questo caso è abbastanza simile a quella delle summe dictaminis, cioè come modello letterario. Troviamo il Somnium nelle raccolte di sermoni, ma anche nei manoscritti che contengono testi legati all’ars praedicandi e nello stesso tempo testi legati alla pratica dell’ars dictaminis. L’esame dei questi manoscritti suggerisce che il Somnium ha potuto essere usato per la redazione di sermoni in ambiente monastico o canonico.
Lungi dall’essere confinata ad un uso esclusivo, l’opera di Giovanni di Limoges si distingue per la sua polivalenza tipologica, confermata dallo studio delle collezioni testuali nelle quali lo scritto viene inserito. L’esame degli ambienti di diffusione, unitamente agli indizi codicologici, sottolinea inoltre il profondo radicamento del testo in ambiente universitario. Sarebbe dunque errato considerare il Somnium morale pharaonis unicamente secondo il punto di vista dell’ars dictaminis, dell’ars praedicandi o degli specula principorum. È piuttosto nella sua globalità, secondo i numerosi usi che spiegano il suo successo, e dunque nello suo contesto storico di diffusione che è opportuno studiare questa importante opera della storia della litteratura latina degli ultimi secoli del Medio Evo.
(viiie-xve siècle), Paris, 2022, p. 7-66.
l’œuvre au travers des exemplaires manuscrits. Notre recherche vise un double objectif : d’une part, proposer une synthèse de la première diffusion du Policraticus en France, facilitée par le séjour concomitant de Jean de Salisbury et Thomas Becket en Champagne dans les années 1164-1170 ; d’autre part, comprendre le rôle et la place qu’occupe dans cette diffusion le manuscrit Charleville-Mézières BM 151, provenant de l’abbaye cistercienne de Signy et considéré comme l’un des premiers témoins du Policraticus en France, en insistant sur le réseau de relations existant entre Jean de Salisbury, Thomas Becket et l’ordre de Cîteaux.
Few medieval works have generated as much interest as the Policraticus of John of Salisbury. Written in late autumn 1159 for Thomas Becket, chancellor of King Henri II Plantagenet and future archbishop of Canterbury, the work has been abundantly studied for its political content, as a mirror for princes. If research has since nuanced this characterization, by stressing in particular the humanistic culture of the text, praising John’s knowledge of the classics, few studies have been devoted to the precise diffusion of the text through the manuscript tradition. Our research has two objectives: on the one hand, to propose an overview of the first diffusion of the Policraticus in France, which was facilitated by the simultaneous stay of John of Salisbury and Thomas Becket in Champagne during the years 1164-1170; on the other hand, to understand the function and the place occupied in this diffusion by the manuscript Charleville-Mézières BM 151, which comes from the Cistercian abbey of Signy. It is presented as one of the earliest French witnesses of the Policraticus to survive and stresses the relations observed between John of Salisbury, Thomas Becket and the Cistercian Order.
Among all the mirrors for princes currently listed, there is one atypical, almost entirely unknown by the research world, whose attribution raises many questions. The Speculum regiminis, work composed during the last decades of the Fourteenth-century, attributed to Philippe of Bergame, deserves more attention. We will see by a short analyse of his content, that is a commentary of the well-known Disticha catonis, but also by the study of the manuscript tradition, rich of eighty-five manuscripts, that the general attribution of this text, which is controversial, is a complex issue.
Au Moyen Âge, le bonum commune, compris comme fin ultime de tout individu inscrit au sein d’une communauté, fonde toute la grammaire politique, et plus particulièrement à partir de la seconde moitié du XIIIe siècle, sous l’impulsion de la redécouverte du corpus politique aristotélicien. Quoiqu’omniprésente, la notion est comprise et utilisée de manière extrêmement diverse, selon des finalités qui semblent souvent incompatibles avec l’universalité même qui sous-tend l’idée de « commun ».
Plusieurs travaux récents ont mis en lumière le caractère extrêmement vague et ambigu de la définition même du bonum commune ; dans l’œuvre de Thomas d’Aquin, pour ne citer que lui, le concept est mobilisé à maintes et maintes reprises, dans un sens qui est loin d’être univoque, équivocité renforcée par l’absence de toute tentative définitoire par le docteur angélique. Cette polysémie, qui ne va pas sans une certaine plasticité, explique les usages extrêmement variés voire parfois opposés de la notion de bien commun au Moyen Âge, tantôt utilisée comme fer de lance de l’absolutisme pontifical, tantôt pour justifier l’existence d’institutions contraignantes censées empêcher l’avènement d’un gouvernement tyrannique. Cette journée d’étude cherche à réinterroger la notion même de bonum commune en s’intéressant aux conditions dans lesquelles celle-ci se voit mobilisée, en s’intéressant aux éventuels conflits qui surgissent dans sa confrontation avec le réel historique, tout en guettant les solutions proposées par les auteurs pour concilier théorie et pratique du bien commun, dans une approche comparable à l’analogie théologico-politique proposée par l’Aquinate.
Le « long XIIe siècle » est une période d'importantes mutations sur le plan culturel et intellectuel, mais aussi politique et institutionnel. Les penseurs médiévaux, majoritairement des ecclésiastiques, perçoivent également ces transformations fondamentales et les réflexions autour des questions du pouvoir et du gouvernement laïc (vanité de la cour, tyrannicide, thème du roi lettré, métaphore organiciste, etc.) fleurissent au sein de textes aux caractères extrêmement variés. L'objectif de ce colloque est de mener une analyse croisée de l'action et de la pensée politique entre le XIe siècle et le début du XIIIe siècle, et surtout de parvenir à faire résonner ces deux aspects du pouvoir sur une fréquence commune. Une réflexion d'ensemble, évitant l'écueil de l'opposition entre théorie et pratique politique, est nécessaire pour apporter une perspective novatrice à l'appréhension de la pensée et de l'action politique au cours de ce long XIIe siècle. Cette rencontre convie les participants à réfléchir sur une mise en relation entre des modèles ou des actes gouvernementaux concrets et des considérations plus théoriques et sur l'influence que ces deux éléments structurants pourraient avoir l'un sur l'autre. Une seconde question primordiale sous-tend ce raisonnement : celle de la finalité et de la réception des oeuvres qui les contiennent. En effet, il convient de déterminer par quel(s) moyen(s) et quel(s) intermédiaire(s) les gouvernants pouvaient y avoir accès et quel impact ces textes pouvaient avoir sur leurs pratiques gouvernementales et sur les mutations évoquées ci-dessus.
La séance aura lieu le jeudi 16 mars, de 14 h à 16h, au 54 boulevard Raspail (Paris), au niveau – 1, en salle 9.
L'objectif de ce colloque sera donc de réinterroger une littérature aux contours sinueux et pourtant cloisonnée sous une définition arbitraire qui cache une part importante des potentialités d'étude d'un tel corpus. En choisissant de prendre le parti non de la forme mais de la fonction, de l'usage des miroirs aux princes, au travers notamment de l'étude de leur réception manuscrite, de leur combinaison avec d'autres formes de littérature, mais aussi du projet de l'auteur (au moyen notamment de la préface au texte, si celle-ci existe), nous souhaitons souligner la grande plasticité des textes spéculaires qui dépassent largement les cadres typologiques restreints dans lesquels nous les classons habituellement.
C'est pourquoi nous souhaitons faire intervenir lors de ce colloque des spécialistes de tous horizons, des miroirs carolingiens aux miroirs vernaculaires de la fin du Moyen Âge, tout en souhaitant également bénéficier de la participation de jeunes chercheurs, qui pourront ainsi apporter un regard neuf sur cette thématique. Une telle démarche permettra de répondre à une question simple, mais pourtant lourde de conséquences : est-ce la forme d’une œuvre, son contenu intrinsèque qui en détermine la nature, ou est-ce davantage sa visée et, plus important encore, sa réception ?