sandra burchi
Laureata in Filosofia, ha conseguito il dottorato in Storia e sociologia della modernità presso l'Università di Pisa con una tesi sul tema del lavoro nelle riviste del femminismo italiano degli anni Settanta. Svolge attività di ricerca e di didattica presso il Dipartimentodi Scienze politiche dell’Università di Pisa. Collabora con la rivista DWF. Ha sviluppato progetti e collaborazioni con registe e artiste visive, curando parte dei testi critici e degli allestimenti.
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Sull’essere madri concretamente, sul volerlo diventare o meno, sull’autorizzare un desiderio ambivalente che si scontra con i problemi di un’epoca “multi-crisi” – il lavoro, il reddito, la stabilità, i servizi, la coppia, la famiglia – nei femminismi del nuovo Millennio ci è sembrato risuonasse soprattutto un rumoroso silenzio.
Nel 2020 la rivista «DWF, donnawomanfemme», ha aperto la redazione a un esteso gruppo di donne per elaborare i contenuti di un numero dedicato alla maternità, anzi alle “maternità femministe”. Il punto di partenza era la percezione di un vuoto, un vuoto di parole, di discorsi condivisi e di pratiche messe in comune. In molte ci siamo raccontate di esserci sentite sole nell’affrontare l’esperienza di diventare madri da femministe.
Solo fino a due anni fa, il vuoto intorno a questo racconto ci sembrava tale da spingerci a individuare - insieme ad altre - un paradossale “tabù della maternità̀” nel femminismo. Come se, proprio su questo tema, il profondo processo di messa in discussione e decostruzione dei modelli patriarcali (che individuavano fino agli anni Settanta la maternità come destino) avesse creato una sorta di interdetto o, all’opposto, una valorizzazione tutta teorica, soprattutto relativa al piano simbolico della maternità.
La libertà – conquistata dalle donne delle generazioni precedenti – ci ha emancipate dal dover essere madri, ma ha anche spinto in una sorta di cono d’ombra l’esperienza e il desiderio della maternità. Individualmente o soggettivamente questo ha voluto dire per molte lasciare sottotraccia questo desiderio, metterlo da parte per far fronte a tutto il resto. Precarietà, revisione dei modelli familiari, nuove tecnologie riproduttive, gestazione per altr@, sono solo alcuni dei temi con cui si sono confrontate le ultime generazioni di femministe quando hanno pensato di riprodursi, inaugurando stili esistenziali e materni ancora tutti da raccontare.
Le grandi trasformazioni avvenute nella società, che rendono la vita adulta tutt’altro che piana e uniforme, hanno messo le ultime generazioni di donne di fronte a difficoltà e potenzialità inedite rispetto al diventare madri. Difficoltà relative al piano materiale, difficoltà che minano anche la tenuta dei rapporti e la stabilità degli assetti familiari, che d’altra parte si sono diversificati e, pur con mille difficoltà, diventati più liberi e aperti. Difficoltà e potenzialità si sovrappongono, basti pensare al tema delle tecnologie riproduttive, che portano situazioni complesse da gestire, carichi emotivi e fisici non ancora facili da esprimere e socializzare. Le donne in Italia “scelgono” di fare figli da grandi, ne fanno pochi e si trovano ad affrontare situazioni piccole e grandi senza aver modo di elaborare, politicamente, questa esperienza, in molti casi nemmeno nei contesti del femminismo.
Tanto che si potrebbe paradossalmente parlare di un “tabù della maternità” nel femminismo. Come se – proprio su questo tema, la pratica della maternità, l’essere madri concretamente – avesse poco o nulla da dire e dare.
Ossimoro? Contraddizione? O inevitabile conseguenza della messa in discussione dei modelli di maternità legati alla tradizione patriarcale?
Cosa è successo negli ultimi vent’anni nel femminismo italiano, nelle sue diverse declinazioni, rispetto al tema della maternità?
Senza alcuna pretesa di giungere a una conclusione, ma con il desiderio di costruire i contorni di una domanda centrale, le autrici si chiedono se e come è avvenuto – dentro la politica del femminismo – il passaggio da un’idea statica e singolare di “madre” ad una narrazione capace di rappresentare la pluralità di modi possibili, oggi, di diventare madre.
Precarietà, revisione dei modelli familiari, calo demografico, nuove tecnologie riproduttive, gestazione per altr@, sono solo alcuni dei temi con cui si sono confrontate le ultime generazioni di femministe.
Quello che di “vischioso” ho riscontrato nel corso delle interviste, nella ricostruzione dei percorsi e nelle proiezioni verso il futuro è la gestione delle linee di continuità/discontinuità fra i singoli e il sistema di richieste di disponibilità che il nostro modello economico e sociale lascia passare come “ovvie”. L’impresa in cui i soggetti intervistati si cimentano, con esiti differenti, è quella di costruire continuità e stabilità, attraverso discontinuità e incertezza, nel lavoro come nella vita personale, cercando di “giocare le proprie carte” in un sistema caratterizzato da quello che Isabell Lorey chiama “una dinamica di scarsità” (Lorey 2017).
Devido à instabilidade progressiva dos contratos de trabalho e à fragmentação geral do ambiente de trabalho, os limites entre público e privado, produção e reprodução, valorização e depreciação são cadavez mais frágeis. Para muitas mulheres, a multiplicação de empregos não padronizados ofereceu a
oportunidade de participar no mercado de trabalho, introduzindo, porém, características típicas do trabalho "doméstico" nos aspectos organizacionais de seu trabalho "profissional": a ausência de um cronograma rigoroso; a dificuldade de obter reconhecimento e pagamento por tarefas. O crescimento de empregos
não padronizados produziu um retorno do trabalho dentro das fronteiras domesticas, redefinindo o espaçoda casa. Com base em uma pesquisa recente que explora as semelhanças singulares entre as demandas progressivamente diversificadas de "desempenho do trabalho" e as características desse “trabalho vivo”
(melhor exemplificado pelo trabalho doméstico), o artigo se concentrará em como as trabalhadoras autônomas, consultoras, freelancers) mudaram o emprego para o espaço doméstico.
Aujourd’hui, de nombreuses femmes avec un haut niveau de diplômes, et des spécialisations dans des domaines traditionnels ou inédits, se retrouvent à occuper des postes de consultantes, collaboratrices, travailleuses indépendantes : leurs parcours fragmentés sont faits d’allers-retours entre des lieux différents où et depuis lesquels elles travaillent. Dans ce cadre, la maison est l’un des espaces de travail, entre nouvelles opportunités et contradictions anciennes. L’élan vers une organisation autonome et la satisfaction de faire naître de ses propres compétences des idées et projets qui trouvent leur place sur le marché du travail cohabitent avec la nécessité d’un investissement sans limites de temps et d’un engagement personnel sur de nombreux fronts qui n’exclut pas la solitude ni la sensation d’isolement. L’organisation du travail à distance, l’utilisation intensive de moyens technologiques suscitent la sensation de « travailler sans corps ». L’article éclaire « les vides et les pleins » touchant au thème de la corporéité et souligne « les effets de dématérialisation » qui se produisent à l’intérieur de l’organisation du travail « à distance », surtout lorsqu’il est produit dans l’espace domestique. En termes méthodologiques, l’utilisation d’une approche biographique et narrative a permis de comprendre les vécus des femmes interviewées à partir du sens qu’elles donnent elles-mêmes à leurs propres expériences de travail et à leur place singulière dans l’espace domestique.
Sull’essere madri concretamente, sul volerlo diventare o meno, sull’autorizzare un desiderio ambivalente che si scontra con i problemi di un’epoca “multi-crisi” – il lavoro, il reddito, la stabilità, i servizi, la coppia, la famiglia – nei femminismi del nuovo Millennio ci è sembrato risuonasse soprattutto un rumoroso silenzio.
Nel 2020 la rivista «DWF, donnawomanfemme», ha aperto la redazione a un esteso gruppo di donne per elaborare i contenuti di un numero dedicato alla maternità, anzi alle “maternità femministe”. Il punto di partenza era la percezione di un vuoto, un vuoto di parole, di discorsi condivisi e di pratiche messe in comune. In molte ci siamo raccontate di esserci sentite sole nell’affrontare l’esperienza di diventare madri da femministe.
Solo fino a due anni fa, il vuoto intorno a questo racconto ci sembrava tale da spingerci a individuare - insieme ad altre - un paradossale “tabù della maternità̀” nel femminismo. Come se, proprio su questo tema, il profondo processo di messa in discussione e decostruzione dei modelli patriarcali (che individuavano fino agli anni Settanta la maternità come destino) avesse creato una sorta di interdetto o, all’opposto, una valorizzazione tutta teorica, soprattutto relativa al piano simbolico della maternità.
La libertà – conquistata dalle donne delle generazioni precedenti – ci ha emancipate dal dover essere madri, ma ha anche spinto in una sorta di cono d’ombra l’esperienza e il desiderio della maternità. Individualmente o soggettivamente questo ha voluto dire per molte lasciare sottotraccia questo desiderio, metterlo da parte per far fronte a tutto il resto. Precarietà, revisione dei modelli familiari, nuove tecnologie riproduttive, gestazione per altr@, sono solo alcuni dei temi con cui si sono confrontate le ultime generazioni di femministe quando hanno pensato di riprodursi, inaugurando stili esistenziali e materni ancora tutti da raccontare.
Le grandi trasformazioni avvenute nella società, che rendono la vita adulta tutt’altro che piana e uniforme, hanno messo le ultime generazioni di donne di fronte a difficoltà e potenzialità inedite rispetto al diventare madri. Difficoltà relative al piano materiale, difficoltà che minano anche la tenuta dei rapporti e la stabilità degli assetti familiari, che d’altra parte si sono diversificati e, pur con mille difficoltà, diventati più liberi e aperti. Difficoltà e potenzialità si sovrappongono, basti pensare al tema delle tecnologie riproduttive, che portano situazioni complesse da gestire, carichi emotivi e fisici non ancora facili da esprimere e socializzare. Le donne in Italia “scelgono” di fare figli da grandi, ne fanno pochi e si trovano ad affrontare situazioni piccole e grandi senza aver modo di elaborare, politicamente, questa esperienza, in molti casi nemmeno nei contesti del femminismo.
Tanto che si potrebbe paradossalmente parlare di un “tabù della maternità” nel femminismo. Come se – proprio su questo tema, la pratica della maternità, l’essere madri concretamente – avesse poco o nulla da dire e dare.
Ossimoro? Contraddizione? O inevitabile conseguenza della messa in discussione dei modelli di maternità legati alla tradizione patriarcale?
Cosa è successo negli ultimi vent’anni nel femminismo italiano, nelle sue diverse declinazioni, rispetto al tema della maternità?
Senza alcuna pretesa di giungere a una conclusione, ma con il desiderio di costruire i contorni di una domanda centrale, le autrici si chiedono se e come è avvenuto – dentro la politica del femminismo – il passaggio da un’idea statica e singolare di “madre” ad una narrazione capace di rappresentare la pluralità di modi possibili, oggi, di diventare madre.
Precarietà, revisione dei modelli familiari, calo demografico, nuove tecnologie riproduttive, gestazione per altr@, sono solo alcuni dei temi con cui si sono confrontate le ultime generazioni di femministe.
Quello che di “vischioso” ho riscontrato nel corso delle interviste, nella ricostruzione dei percorsi e nelle proiezioni verso il futuro è la gestione delle linee di continuità/discontinuità fra i singoli e il sistema di richieste di disponibilità che il nostro modello economico e sociale lascia passare come “ovvie”. L’impresa in cui i soggetti intervistati si cimentano, con esiti differenti, è quella di costruire continuità e stabilità, attraverso discontinuità e incertezza, nel lavoro come nella vita personale, cercando di “giocare le proprie carte” in un sistema caratterizzato da quello che Isabell Lorey chiama “una dinamica di scarsità” (Lorey 2017).
Devido à instabilidade progressiva dos contratos de trabalho e à fragmentação geral do ambiente de trabalho, os limites entre público e privado, produção e reprodução, valorização e depreciação são cadavez mais frágeis. Para muitas mulheres, a multiplicação de empregos não padronizados ofereceu a
oportunidade de participar no mercado de trabalho, introduzindo, porém, características típicas do trabalho "doméstico" nos aspectos organizacionais de seu trabalho "profissional": a ausência de um cronograma rigoroso; a dificuldade de obter reconhecimento e pagamento por tarefas. O crescimento de empregos
não padronizados produziu um retorno do trabalho dentro das fronteiras domesticas, redefinindo o espaçoda casa. Com base em uma pesquisa recente que explora as semelhanças singulares entre as demandas progressivamente diversificadas de "desempenho do trabalho" e as características desse “trabalho vivo”
(melhor exemplificado pelo trabalho doméstico), o artigo se concentrará em como as trabalhadoras autônomas, consultoras, freelancers) mudaram o emprego para o espaço doméstico.
Aujourd’hui, de nombreuses femmes avec un haut niveau de diplômes, et des spécialisations dans des domaines traditionnels ou inédits, se retrouvent à occuper des postes de consultantes, collaboratrices, travailleuses indépendantes : leurs parcours fragmentés sont faits d’allers-retours entre des lieux différents où et depuis lesquels elles travaillent. Dans ce cadre, la maison est l’un des espaces de travail, entre nouvelles opportunités et contradictions anciennes. L’élan vers une organisation autonome et la satisfaction de faire naître de ses propres compétences des idées et projets qui trouvent leur place sur le marché du travail cohabitent avec la nécessité d’un investissement sans limites de temps et d’un engagement personnel sur de nombreux fronts qui n’exclut pas la solitude ni la sensation d’isolement. L’organisation du travail à distance, l’utilisation intensive de moyens technologiques suscitent la sensation de « travailler sans corps ». L’article éclaire « les vides et les pleins » touchant au thème de la corporéité et souligne « les effets de dématérialisation » qui se produisent à l’intérieur de l’organisation du travail « à distance », surtout lorsqu’il est produit dans l’espace domestique. En termes méthodologiques, l’utilisation d’une approche biographique et narrative a permis de comprendre les vécus des femmes interviewées à partir du sens qu’elles donnent elles-mêmes à leurs propres expériences de travail et à leur place singulière dans l’espace domestique.
Storia e narrazioni, relazioni e territori sono gli spazi in cui ci si muove nel volume. Il libro nasce dalla Giornata di studi promossa, nel marzo 2012, dalla redazione Iaph Italia, “Lavoro o no? Crisi dell’Europa e nuovi paradigmi della cittadinanza”.
Se il tema attorno a cui il libro ruota è il lavoro, ad osservare e analizzare tale realtà sono qui le donne e ciò che viene osservato è il lavoro proprio in relazione all’essere donna. Gli interventi sviluppati presentano quindi un precipuo punto di vista che tesse una rinnovata narrazione sul tema del lavoro e di conseguenza del non lavoro.
Il posizionamento esplicitato è ciò che costruisce il libro e quindi il paesaggio che ci si accinge a delineare. Questo non ha natura oggettiva, muta a seconda della posizione di chi osserva e costruisce una parte di ciò che viene percepito, portando ricchezza al complesso immaginario che ne scaturisce. Di conseguenza, le donne che osservano l’attuale mondo del lavoro e ciò che vi è connesso, vi sono anche immerse, ne fanno parte, sono osservatrici e osservate che danno vita ad una densa ri-scrittura di un aspetto fondamentale nella vita dei singoli, come in quella sociale e politica.
Questo “strano ritorno a casa” ha rappresentato ai miei occhi un effetto importante della de-standardizzazione generale del mondo del lavoro a cui ho deciso da tempo di dedicarmi attraverso una serie di indagini e di riflessioni (Burchi, 2008, 20, 2013a, 2013b). In questa ricerca ho voluto esplorare il problema partendo sempre dai racconti sulla descrizione e l’allestimento dello spazio fisico in cui si svolge materialmente e quotidianamente il lavoro, ipotizzando che conoscere i pensieri che guidano nel praticare un adattamento così fortemente performativo, fosse il modo migliore per individuare la ri-edizione contemporanea di una esperienza nota nel lavoro femminile, anche della storia recente.