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Plusvalore

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«La produzione capitalista non è soltanto produzione di merce, è essenzialmente produzione di plusvalore.»

Edizione tedesca orientale del 1956 di Teorie sul plusvalore di Karl Marx

Nell'economia marxiana, il plusvalore (in tedesco Mehrwert) è uguale al valore creato durante la giornata lavorativa dai lavoratori che è in eccesso rispetto al valore della loro forza-lavoro.[1][2] Viene inteso anche come profitto.[2][3][4]

Il concetto ebbe origine nel socialismo ricardiano, con il termine "plusvalore" coniato da William Thompson nel 1824;[5] tuttavia, non era coerentemente distinto dai concetti correlati di pluslavoro e plusprodotto. La teoria è stata successivamente sviluppata e resa popolare da Karl Marx. La formulazione marxiana è il senso standard e la base primaria per gli ulteriori sviluppi, sebbene sia contestato quanto del concetto di Marx sia originale e distinto dal concetto ricardiano.

Lo stesso argomento in dettaglio: Fisiocrazia.

Il padre della fisiocrazia, l'economista francese François Quesnay, poneva l'agricoltura alla base dell'economia nel Tableau économique ("Tavola economica") del 1759, sostenendo che nel processo agricolo si creava un valore aggiunto noto come "prodotto netto" (in francese produit net) dato dalla differenza tra la ricchezza totale prodotta dal contadino e la porzione della stessa consumata per la propria sussistenza.[6] Ritenendo l'agricoltura come l'unico settore realmente produttivo, è la sola in grado di produrre un sovrappiù sotto forma di rendita o profitto.[6][7]

In Réflexions sur la formation et la distribution des richesses ("Riflessioni sulla formazione e distribuzione delle ricchezze") Anne Robert Jacques Turgot affermò che, quando appena il lavoro dell'agricoltore produceva in misura superiore ai suoi bisogni grazie a un "puro dono" della natura, egli poteva usare l'eccesso per comprare i frutti del lavoro di altri membri della società.[8][9] L'agricoltore riceveva quindi una ricchezza indipendente da quella necessaria per vivere e che poteva mettere in circolo.[8][9] Secondo Turgot, con l'introduzione della proprietà privata della terra, nacque la figura del proprietario fondiario che portò a una minor disponibilità di terreni liberi e lasciò alle persone la sola possibilità di lavorare come contadini per i proprietari fondiari.[10][11] Mentre il singolo coltivatore produceva il proprio salario e in più il reddito che serviva a retribuire tutta la classe degli artigiani e degli altri stipendiati, il proprietario fondiario riceveva dal lavoro del coltivatore i suoi mezzi di sussistenza e la "notevole eccedenza" del raccolto per pagare i lavori degli altri stipendiati.[12][13]

Altri fisiocratici accennavano a un valore in eccesso prodotto dai lavoratori e sottratto dal "datore di lavoro, il proprietario e tutti gli sfruttatori".[14]

James Steuart

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Nel 1767, l'economista scozzese James Steuart pubblicò il saggio An Inquiry into the Principles of Political Economy ("Un'inchiesta nei principi dell'economia politica") dove introdusse il concetto di profitto positivo, ottenuto da un "aumento del lavoro, dell'industria o dell'abilità e che ha l'effetto di gonfiare o aumentare il benessere pubblico".[15][16] Considerò inoltre nel prezzo di una merce la presenza di un "valore reale", determinato dalla quantità di tempo e materiale necessario per produrre un bene e dal salario dell'operaio, e di un "profitto mediante l'alienazione", determinato al momento della vendita con una sopravvalutazione della merce secondo l'offerta.[17][18]

Nel capitolo VI del libro I de La ricchezza delle nazioni (1776), l'economista scozzese Adam Smith affermò che, non appena si accumula del capitale nelle mani di singole persone, qualcuno di loro lo impiega per dar lavoro a persone industriose, fornendole di materie prime e di mezzi di sussistenza, "allo scopo di ritrarre un profitto dalla vendita del loro prodotto, ossia da ciò che il loro lavoro aggiunge al valore delle materie prime".[19][20] Nello scambio tra il prodotto finito con del denaro, lavoro o con altri beni, oltre al necessario per pagare i costi di produzione e i salari, gli operai, qualcosa deve essere dato per i profitti dell'imprenditore che rischia il suo capitale per la fabbrica: di conseguenza, il valore aggiunto dagli operai ai materiali si divide nella parte necessaria per pagare il salario e in un'altra che costituisce il profitto dell'imprenditore.[19][21]

In Nouveaux principes d'économie politique ("Nuovi principi dell'economia politica") del 1819, l'economista svizzero Jean Charles Léonard Simonde de Sismondi affermò che, vendendo la propria merce, un imprenditore guadagnava un "valore extra" ottenuto dalla differenza tra il valore di scambio di una merce e il suo costo di produzione.[14][22]

I socialisti ricardiani, iniziarono a usare il termine "plusvalore" decenni dopo, in seguito alla sua coniazione da parte di William Thompson nel 1824.

«Si presentano qui due misure del valore di questo uso: la misura dell'operaio e la misura del capitalista. La misura dell'operaio consiste nel conferimento di somme tali da sostituire lo spreco e il valore del capitale nel momento in cui si sarebbe consumato, con tale compenso aggiuntivo al proprietario e al sovrintendente di esso, tale da sostenerlo in pari comodità con i lavoratori produttivi più attivamente impiegati. La misura del capitalista, invece, sarebbe il valore addizionale prodotto dalla stessa quantità di lavoro in conseguenza dell'uso della macchina o di altro capitale; tutto questo plusvalore di cui gode il capitalista per la sua superiore intelligenza e abilità nell'accumulare e far avanzare agli operai il suo capitale o l'uso di esso.»

William Godwin e Charles Hall sono anche accreditati come i primi sviluppatori del concetto. I primi autori usavano anche i termini "lavoro in eccesso" e "prodotto in eccesso" (nel linguaggio di Marx, pluslavoro e plusprodotto), che hanno significati distinti nell'economia marxiana: il pluslavoro produce un plusprodotto, che ha un plusvalore.[2] Alcuni autori considerano il concetto di Marx come completamente mutuato da Thompson, in particolare Anton Menger:

«Marx è completamente sotto l'influenza dei primi socialisti inglesi, in particolare quella di William Thompson. [...] L'intera teoria del plusvalore, la sua concezione, il suo nome e le stime della sua quantità sono prese in prestito dagli scritti di Thompson in tutte le parti essenziali [...] Cf. Karl Marx, Das Kapital, traduzione inglese del 1887, pp. 156, 194, 289, con Thompson, Distribution of Wealth, p. 163; 2ª edizione, p. 125. [...] I veri scopritori della teoria del plusvalore sono Godwin, Hall e specialmente W. Thompson.»

Questa rivendicazione di priorità è stata vigorosamente contestata in un articolo di Friedrich Engels, completato da Karl Kautsky e pubblicato in forma anonima nel 1887, in cui reagiva e criticava Menger in una recensione del suo The Right to the Whole Produce of Labour ("Il diritto all'intero prodotto del lavoro"), sostenendo che era in comune soltanto il termine "plusvalore".[23]

Una posizione intermedia riconosce il primo sviluppo ai socialisti ricardiani e altri economisti, ma attribuisce a Marx uno sviluppo sostanziale del concetto. John Spargo afferma:

«Ciò che è originale in Marx è la spiegazione del modo in cui viene prodotto il plusvalore.»

Thomas Hodgskin (1787-1869), a cui ci si riferisce spesso come un ricardiano socialista o ricardiano di sinistra, considerava immorale per i lavoratori creare un prodotto in eccedenza di cui i capitalisti si sarebbero poi appropriati.[24]

Johann Karl Rodbertus sviluppò una teoria del plusvalore negli anni trenta e quaranta del XIX secolo, in particolare in Zur Erkenntnis unserer staatswirthschaftlichen Zustände ("Verso un apprezzamento della nostra situazione economica") del 1842, e rivendicava la priorità su Marx, in particolare per aver "mostrato praticamente allo stesso modo di Marx, solo più brevemente e chiaramente, la fonte del plusvalore dei capitalisti". Il dibattito, schierandosi dalla parte di Marx, è dettagliato nella prefazione di Engels al secondo volume del Capitale.

Marx elaborò per la prima volta la sua dottrina del plusvalore nei manoscritti del 1857-1858 pubblicati in Per la critica dell'economia politica nel 1859, seguendo i precedenti sviluppi nei suoi scritti del 1840.[2] Costituì l'argomento del suo manoscritto del 1862-1863 Teorie del plusvalore (successivamente pubblicato come IV volume del Capitale) e comparve nel primo volume del Capitale del 1867. Marx criticò i classici Adam Smith e David Ricardo per non aver sviluppato un concetto generale di plusvalore e sviluppando invece il plusvalore solo nelle sue varie forme.[25][26]

Marx si ispirò ai socialisti ricardiani, ma la sua teoria del valore e del plusvalore è differente: non considerava la produzione mercantile come il modo di produzione appropriato o naturale per l'essenza dell'uomo e non comprendeva il principio dello scambio di equivalenti come giustizia naturale.[24] Marx volle spiegare come sia possibile lo sfruttamento sotto il capitalismo.[27] Secondo Marx, il plusvalore non è da intendersi come un fenomeno casuale, ma come un momento necessario dello sviluppo capitalistico.[28]

Teoria marxiana

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Società capitalista

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L'obiettivo economico di tutte le società pre-capitaliste era la produzione di valori d'uso. Nella misura in cui i produttori diretti (ad esempio gli agricoltori) producevano più valore d'uso di quanto ne consumassero essi stessi, vi era un prodotto in eccedenza del quale si appropriavano le classi dirigenti generalmente tramite la coercizione (ad esempio come lavoro obbligatorio).[29] Secondo la teoria marxiana, la produzione di plusvalore rappresenta una "legge assoluta" del modo di produzione capitalista e tale processo avviene secondo la legge del valore.[Nota 1][2][30][31]

Il modo di produzione capitalistico non si occupa principalmente dell'appropriazione dei valori d'uso, ma implica la generalizzazione della produzione di merci ed è orientato al valore di scambio.[32]

Secondo Marx, una società socialista o comunista è caratterizzata, tra l'altro, dal fatto che non ha proprietà privata dei mezzi di produzione, né merci, né denaro, né capitale.[33] Nel primo volume del Capitale, Marx osservò che in una società post-capitalista la giornata lavorativa sarebbe ridotta al solo lavoro necessario.[34]

Fonte del plusvalore

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Forma di denaro e capitale

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Il problema di spiegare la fonte del plusvalore è così espresso da Friedrich Engels nell'Anti-Dühring:

«Da dove si origina questo plusvalore? Non può originarsi né dal fatto che il compratore abbia comprato le merci al di sotto del loro valore, né dal fatto che il venditore le venda al di sopra del loro valore. Infatti in entrambi i casi i guadagni e le perdite di ciascuno si compensano vicendevolmente perché ciascuno è alternativamente compratore e venditore. Non può neanche originarsi da truffa; infatti la truffa può certo arricchire l'uno alle spese dell'altro, ma non può aumentare in modo generale la somma totale posseduta da entrambi e quindi neppure la somma dei valori circolanti in genere. [...] La questione, che deve risolversi, e precisamente su un piano puramente economico, escludendo ogni truffa e ogni intromissione di qualsiasi violenza, è questa: come è possibile vendere costantemente più caro di quanto si è comprato, presupponendo pure che valori eguali vengano costantemente scambiati con valori eguali?»

Nel Capitale, Marx analizzò i rapporti di mercato capitalisti secondo la formula generale del capitale che descrive la metamorfosi del denaro in capitale. Il denaro viene usato dal capitalista per comprare una merce da trasformare e/o rivendere per ottenere una somma di denaro maggiore di quella anticipata.[35] è uguale al denaro originariamente anticipato più un incremento di denaro che serve per aumentare il capitale ().[2][35] Tale denaro in eccesso viene identificato da Marx come plusvalore, la cui origine risiede nel lavoro umano.[2][35] Afferma infatti:

«Tuttavia sappiamo già che il processo lavorativo continua e dura oltre il punto nel quale sarebbe riprodotto e aggiunto all'oggetto del lavoro solo un puro e semplice equivalente del valore della forza lavoro. Invece delle sei ore a ciò sufficienti il processo dura p.es. dodici ore. Dunque, con la messa in atto della forza-lavoro, non viene riprodotto solo il suo proprio valore, ma viene anche prodotto un valore eccedente. Questo plusvalore costituisce l'eccedenza del valore del prodotto sul valore dei fattori del prodotto consumati, cioè dei mezzi di produzione e della forza-lavoro.»

Nel dettaglio, Marx introdusse il plusvalore a partire dall'analisi del processo di formazione dei capitali: il capitalista anticipa un capitale totale , formato dal capitale costante (equivalente al valore dei mezzi di produzione)[36] e dal capitale variabile (equivalente al valore della forza-lavoro),[37] per ottenere un capitale realizzato ottenuto dalla somma del capitale totale con il plusvalore .[38] In formula:

Il plusvalore rappresenta quindi il profitto del capitalista.[2] In una lettera a Engels del 30 aprile 1868, Marx affermò:

«Il profitto per noi è principalmente solo un altro nome o un'altra categoria del plusvalore. Poiché, grazie alla forma del salario, tutto il lavoro appare come pagato, sembra inevitabilmente che la parte non pagata di esso derivi non dal lavoro, ma dal capitale, e, inoltre, non da una parte variabile di esso, ma da tutto l'intero capitale. Di conseguenza, il plusvalore assume la forma del profitto senza differenza quantitativa tra l'uno e l'altro. Questa è solo una forma illusoria della manifestazione del plusvalore.»

Lavoro non necessario (pluslavoro)

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Il presupposto per la produzione del plusvalore è la trasformazione della forza lavoro in merce.[2] Non possedendo i mezzi di produzione, i lavoratori sono costretti a vendere la loro forza lavoro al capitalista secondo il suo valore e in cambio di denaro, come se si trattasse di una merce.[2] Il valore della forza lavoro è rappresentato dal totale del tempo di lavoro socialmente necessario richiesto per la sua riproduzione,[2] ovvero il lavoro e il tempo medio richiesto per creare una determinata merce. Il capitalista compra la forza lavoro perché essa è in grado di generare altro valore.[2][39]

In Salario, prezzo e profitto, Marx ipotizza che la produzione della quantità media di oggetti necessari alla vita di un operaio richieda 6 ore di lavoro medio, incorporate in una quantità d'oro uguale a tre scellini.[40] Se lavorasse 6 ore al giorno, ovvero per il tempo di lavoro necessario come definito da Marx, produrrebbe ogni giorno un valore sufficiente per comperare la quantità media degli oggetti di cui ha bisogno quotidianamente.[40] Essendo però un lavoratore salariato che ha venduto la propria forza lavoro di tre scellini al capitalista, quest'ultimo ha la possibilità di farlo lavorare 12 ore per generare un valore superiore a quello creato in 6 ore e necessario all'operaio per produrre l'equivalente del proprio salario (ovvero del valore della sua forza-lavoro).[41] Nell'esempio di Marx, la giornata lavorativa dell'operaio si divide quindi in 6 ore di lavoro necessario più altre 6 ore di lavoro non necessario (definito da Marx, pluslavoro) aggiunte dal capitalista per ottenere un valore maggiore di quello pagato.[41] Il pluslavoro genera un plusprodotto e quindi un plusvalore.[41] Anticipando tre scellini per pagare le 12 ore di lavoro dell'operaio, il capitalista otterrà un valore di sei scellini, di cui tre verranno impiegati per pagare il salario dell'operaio e tre per formare il plusvalore di cui si appropria sotto forma di profitto.[41]

Plusvalore assoluto

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Nel Capitale, Marx definisce il valore generato dal lavoro non necessario come "plusvalore assoluto", ovvero il plusvalore prodotto mediante il prolungamento della giornata lavorativa oltre il tempo necessario a produrre il valore dei fattori di produzione.[2][42]

Il lavoratore non può acquisire direttamente questo plusvalore perché non ha diritto sui mezzi di produzione o sui suoi prodotti e la sua capacità di contrattare il salario è limitata dalle leggi e dal mercato del lavoro salariato. Questa forma di sfruttamento era ben compresa dai socialisti pre-marxiani e dai seguaci di sinistra di Ricardo, come Proudhon, e dai primi sindacalisti, che cercavano di unire i lavoratori in sindacati capaci di contrattazione collettiva, al fine di ottenere una quota dei profitti e limitare la durata della giornata lavorativa.[43]

Plusvalore relativo

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Il plusvalore relativo è il plusvalore derivante dall'accorciamento del tempo di lavoro necessario e dal corrispondente cambiamento nel rapporto di grandezza delle due parti costitutive della giornata lavorativa.[2][42] Si ottiene principalmente:

  • aumentando il pluslavoro a discapito del lavoro necessario;[2][44]
  • riducendo i salari entro un determinato limite, perché se i salari scendono al di sotto della capacità dei lavoratori di acquistare i loro mezzi di sussistenza, non saranno in grado di riprodursi e i capitalisti non saranno in grado di trovare forza lavoro sufficiente;[45][46]
  • riducendo il costo dei beni-salario attraverso vari mezzi, in modo da ridimensionare la crescita dei salari;[47]
  • aumentando della forza produttiva e dell'intensità del lavoro in generale, tramite meccanizzazione e razionalizzazione, per una maggiore produttività.[2][42]

Il plusvalore relativo non viene creato in una singola impresa o sito di produzione. Nasce invece dalla relazione totale tra più imprese e più rami dell'industria quando il tempo di lavoro necessario alla produzione si riduce, determinando una variazione del valore della forza-lavoro. Ad esempio, quando la nuova tecnologia o le nuove pratiche commerciali aumentano la produttività del lavoro già impiegato da un capitalista, o quando le merci necessarie per la sussistenza dei lavoratori diminuiscono di valore, la quantità di tempo di lavoro socialmente necessario diminuisce, il valore della forza lavoro viene ridotto e un plusvalore relativo viene realizzato come profitto per il capitalista, aumentando il saggio generale del plusvalore nell'economia totale.

Poiché il plusvalore relativo è direttamente proporzionale allo sviluppo della forza produttiva del lavoro, mentre il valore delle merci è inversamente proporzionale allo sviluppo, e poiché il medesimo e identico processo riduce maggiormente il prezzo delle merci e ne aumenta il plusvalore, il capitalista cerca costantemente di far calare il valore di scambio delle merci.[48]

Saggio del plusvalore

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Il saggio del plusvalore rappresenta per Marx "l'esatta espressione del grado di sfruttamento della forza lavoro da parte del capitale, o del lavoratore da parte del capitalista."[2][49][50] Viene calcolato tramite il rapporto tra il plusvalore () e il capitale variabile ().[2][49]

Dalla formula, si ricava che la massa del plusvalore equivale al valore del capitale variabile moltiplicato per il saggio del plusvalore ().

Marx afferma che, poiché il valore del capitale variabile è eguale al valore della forza-lavoro che determina la parte necessaria della giornata lavorativa e il plusvalore è determinato a sua volta dalla parte eccedente della giornata lavorativa, il plusvalore sta al capitale variabile nello stesso rapporto in cui il pluslavoro sta al lavoro necessario.[49]

Il primo tentativo di misurare il saggio del plusvalore in unità monetarie è stato effettuato da Marx stesso nel settimo capitolo del primo libro del Capitale, utilizzando i dati di fabbrica di una filanda.[51] In manoscritti sia editi sia inediti, Marx esamina in dettaglio le variabili che influenzano il tasso e la massa del plusvalore.

Fin dai primi studi di economisti marxisti come Eugen Varga, Charles Bettelheim, Joseph Gillmann, Edward Wolff e Shane Mage, ci sono stati numerosi tentativi di misurare statisticamente l'andamento del plusvalore utilizzando i dati di contabilità nazionale.[52]

Marx riteneva che la tendenza storica a lungo termine sarebbe stata quella di livellare le differenze nei saggi di plusvalore tra imprese e settori economici, come spiega Marx nel terzo libro del Capitale:

«Il fatto che capitali, i quali mettono in opera quantità diverse di lavoro vivo, producono quantità ineguali di plusvalore presuppone, almeno in una certa misura, che il grado di sfruttamento del lavoro o il saggio del plusvalore sia lo stesso, o che le differenze esistenti vengano annullate da elementi reali o immaginari (convenzionali) di compensazione. Perché ciò si verifichi, occorre che gli operai siano fra loro in concorrenza e che si produca un livellamento mediante il loro continuo spostamento da una sfera di produzione ad un’altra. L’esistenza di un tale saggio generale del plusvalore — quale tendenza, come tutte le leggi economiche — è stata da noi ammessa per semplificazione teorica; essa per altro costituisce nella vita reale una condizione effettiva del modo capitalistico di produzione, ostacolata in grado maggiore o minore da attriti che nella pratica provocano differenze locali più o meno importanti, come per esempio la legislazione sul domicilio (settlement laws) per i braccianti agricoli in Inghilterra. In teoria si postula che le leggi del modo capitalistico di produzione si sviluppino senza interferenze. Nella vita reale c'è solo un’approssimazione, e questa approssimazione è tanto maggiore quanto maggiore è il grado di sviluppo del modo capitalistico di produzione, e quanto più esso è riuscito a liberarsi da contaminazioni ed interferenze con i residui di situazioni economiche anteriori.»

Massa totale del plusvalore

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La massa totale del plusvalore è data dal plusvalore fornito dalla giornata lavorativa di un singolo operaio moltiplicato per il numero totale degli operai impiegati.[53]

indica la massa del plusvalore, il saggio del plusvalore medio giornaliero considerando un singolo operaio, la somma complessiva del capitale variabile, il valore medio di una singola forza-lavoro, il suo grado di sfruttamento e il numero dei lavoratori impiegati.[54] Nella produzione di una determinata massa di plusvalore, la diminuzione di una variabile può essere sostituita dall'aumento di un'altra: per esempio, diminuendo il capitale variabile e aumentando il saggio del plusvalore contemporaneamente e con le stesse proporzioni, la massa del plusvalore rimane invariata.[54] Si può quindi compensare la diminuzione del capitale con l'aumento proporzionale del grado di sfruttamento della forza-lavoro, ovvero la diminuzione del numero degli operai occupati è compensabile mediante un prolungamento proporzionale della giornata lavorativa.[55] Entro certi limiti, l'offerta di lavoro diventa indipendente dalla offerta di operai.[56] Viceversa, la massa dei plusvalore prodotto rimane invariata se la diminuzione del saggio del plusvalore è compensata dall'aumento proporzionale del capitale variabile o del numero degli operai occupati.[56]

Marx formulò la legge secondo cui:

«le masse di valore e plusvalore prodotte da capitali diversi, a valore dato ed essendo eguale il grado di sfruttamento della forza-lavoro, variano in proporzione diretta al variare delle grandezze delle parti variabili di quei capitali, cioè delle loro parti convertite in forza-lavoro vivente.»

Saggio del profitto

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Il saggio del profitto indica l'efficienza dell'uso del capitale totale e la redditività di un'impresa capitalista.[57] Nel libro III del Capitale, il rapporto tra il plusvalore e il capitale totale è indicato da Marx come saggio del profitto, ovvero il saggio del plusvalore calcolato in rapporto al capitale totale.[58] In formula:

All'aumentare degli investimenti complessivi sulla produzione, se aumenta la sproporzione tra capitale costante e capitale variabile in favore del primo il saggio di profitto diminuisce. Secondo Marx, il modo di produzione capitalistico porterà alla caduta tendenziale del saggio di profitto.

Joseph Schumpeter

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L'economista austriaco Joseph Schumpeter scrisse in Teoria dello sviluppo economico che alcune delle sue affermazioni erano simili per certi aspetti a quelle di Marx,[59] ma accettò del plusvalore marxiano solo quello che appare come profitto imprenditoriale e interesse sul capitale.[60] Secondo lo storico economico e studente di Schumpeter Eduard März, il plusvalore marxiano deriva dalla produzione mentre quello schumpeteriano deriva dalla circolazione.[61]

Per Schumpeter, la funzione dell'imprenditore è semplicemente quella di introdurre innovazioni nell'economia e non di accumulare capitale traendo il plusvalore dai lavoratori.[62] Ciò vale soprattutto per nuovi prodotti, nuovi metodi di produzione, nuove fonti di materie prime o mercati di vendita, nonché la riorganizzazione di un'industria, ad esempio creando o rompendo un monopolio.[63] Nel caso di un imprenditore che introduce per primo un nuovo modo di produzione, può produrre a un prezzo inferiore rispetto ai suoi concorrenti e vendere al prezzo normale. Quindi realizza un profitto imprenditoriale; questo scompare quando altri ne imitano l'innovazione e la domanda dei relativi fattori di produzione aumenta.[64] Le banche svolgono qui un ruolo importante, creando denaro ex nihilo e mettendolo a disposizione degli imprenditori.[65]

In Capitalismo, socialismo e democrazia, Schumpeter criticò e relativizzò la teoria del valore-lavoro e preferì una teoria dell'utilità marginale.[66] Schumpeter affermò che la teoria dello sfruttamento di Marx aveva sì cercato di spiegare lo sfruttamento in maniera scientifica ma la ritenne insostenibile. La teoria del valore-lavoro non può essere applicata alla merce forza lavoro, poiché gli operai non possono essere riprodotti come macchine.[67]

Eugen von Böhm-Bawerk

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In La conclusione del sistema marxiano, l'economista austriaco Eugen von Böhm-Bawerk affermò che la concezione marxiana di sfruttamento è errata perché il plusvalore e il profitto non sono la stessa cosa.[68] I profitti secondo Bohm-Bawerk risiedono nelle regolari deviazioni dei prezzi delle merci dal totale dei loro costi in lavoro.[69] Inoltre, accusò Marx di aver ragionato per astrazione e secondo l'assunto non verificato dello scambio di merci secondo la quantità di lavoro incorporata in esse.[69]

Michael Heinrich

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Michael Heinrich critica il fatto che Marx non fosse pienamente consapevole che la sua teoria del plusvalore non fosse empirica e non riconoscesse quanto lui stesso si fosse allontanato dal campo teorico dei Classici.[70] Ad esempio, Marx criticò Adam Smith per aver colto il plusvalore come un dato di fatto o come una categoria generale. Secondo Heinrich, tuttavia, Smith non includeva alcuna categoria di plusvalore perché trascurava il livello non empirico su cui Marx sviluppò il suo concetto di plusvalore.[71] Heinrich afferma inoltre che Marx non aveva sottolineato abbastanza che il lavoro è una merce speciale: il valore dei mezzi di produzione consumati è incluso nel valore di una merce comune, compreso il valore che il lavoro umano aggiunge al prodotto; il valore del lavoro come merce, invece, è determinato solo dai mezzi di sussistenza necessari.[72]

  1. ^ Il Capitale, vol. I, cap. VI Capitale costante e capitale variabile, p. 242.

    «il processo lavorativo continua e dura oltre il punto nel quale sarebbe riprodotto e aggiunto all'oggetto del lavoro un puro e semplice equivalente del valore della forza-lavoro. [...] Con la messa in atto della forza-lavoro, non viene riprodotto solo il proprio valore, ma viene anche prodotto un valore eccedente. Questo plusvalore costituisce l'eccedenza del valore del prodotto sul valore dei fattori del prodotto consumati, cioè dei mezzi di produzione e della forza lavoro.»

  2. ^ a b c d e f g h i j k l m n o p q r V. S. Vygodskij, Прибавочная стоимость, in Большая советская энциклопедия, vol. 20, 3ª ed..
  3. ^ Theories of Surplus Value, p. 41.

    «[...] surplus value - that is, profit in the form of profit [...]»

  4. ^ Полное собрание сочинений, 2ª ed., tomo 32, МАРКС — ЭНГЕЛЬСУ В МАНЧЕСТЕР, 30 АПРЕЛЯ 1868 г, p. 60.

    «Прибыль для нас прежде всего лишь другое название или другая категория для прибавочной стоимости.»

  5. ^ William Thompson, An Inquiry into the Principles of the Distribution of Wealth, 2ª ed., 1824, p. 128.
  6. ^ a b Henry William Spiegel, The Growth of Economic Thought, Revised and Expanded Edition, Duke University Press, 1983, p. 189.
  7. ^ Theories of Surplus Value, vol. I, pp. 46 e 54.
  8. ^ a b Réflexions 1844, p. 11.
  9. ^ a b Theories of Surplus Value, vol. I, p. 55.
  10. ^ Réflexions 1844, pp. 11-12.
  11. ^ Theories of Surplus Value, vol. I, p. 56.
  12. ^ Réflexions 1844, pp. 13 e 15.
  13. ^ Theories of Surplus Value, vol. I, pp. 56-57.
  14. ^ a b W. Tcherkesoff, Pages of Socialist History: Teachings and Acts of Social Democracy, C.B. Cooper, 1902, p. 19.
  15. ^ Stuart 1767, vol. I, libro II, cap. VIII Of what is called Expence, Profit, and Loss, p. 206.

    «Positive profit [...] results from an augmentation of labour, industry, or ingenuity, and has the effect of swelling or augmenting the public good»

  16. ^ Theories of Surplus Value, vol. I, p. 41.
  17. ^ Stuart 1767, vol. I, libro II, cap. IV How the Prices of Goods are determined by Trade, pp. 181-183.
  18. ^ Theories of Surplus Value, pp. 41-42.
  19. ^ a b Smith 1851, p. 33.
  20. ^ Theories of Surplus Value, p. 78.
  21. ^ Theories of Surplus Value, p. 79.
  22. ^ Jean Charles Leonard Simonde de Sismondi, Nouveaux principes d'économie politique. 1, Parigi, Simon Cesar Delaunay, Armand-Louis-Jean Fain, 1827.
  23. ^ Juristen-Sozialismus, in Die Neue Zeit, 1887.
  24. ^ a b Heinric 2020, pp. 60-61.
  25. ^ Karl Marx, Theorien über den Mehrwert, in Institut für Marxismus-Leninismus beim ZK der SED (a cura di), Karl Marx Friedrich Engels Werke, vol. 26.1, Berlino Est, Dietz Verlag, 1965, p. 60.
    «Weil Adam zwar der Sache nach, aber nicht ausdrücklich in der Form einer bestimmten, von ihren besondren Formen unterschiednen Kategorie den Mehrwert entwickelt, wirft er ihn hernach direkt mit der weiterentwickelten Form des Profits unmittelbar zusammen. Dieser Fehler bleibt bei Ricardo und allen seinen Nachfolgern. Es entstehn daraus […] eine Reihe Inkonsequenzen, ungelöster Widersprüche und Gedankenlosigkeiten, die die Ricardians […] scholastisch durch Redensarten zu lösen suchen.»
  26. ^ Theories of Surplus Value, vol. I, cap. III Adam Smith, p. 89.

    «Because Adam makes what is in substance an analysis of surplus-value, but does not present it explicitly in the form of a definite category, distinct from its special forms; he subsequently mixes it up directly with the further developed form, profit. This error persists with Ricardo and all his disciples. Hence arise [...] a series of inconsistencies, unresolved contradictions and fatuities, which the Ricardians [...] attempt to solve with phrases in a scholastic way.»

  27. ^ Heinrich 2018, pp. 93-94.
  28. ^ Heinrich 2018, pp. 87-88.
  29. ^ Il Capitale, vol. I, sez. VIII La giornata lavorativa, pp. 269-270.

    «Il capitale non ha inventato il pluslavoro. Ovunque una parte della società possegga il monopolio dei mezzi di produzione, il lavoratore, libero o schiavo, deve aggiungere al tempo di lavoro necessario al suo sostentamento tempo di lavoro eccedente per produrre i mezzi di sostentamento per il possessore dei mezzi di produzione. [...] È evidente, tuttavia,che, quando in una formazione sociale economica è preponderante non il valore di scambio, ma il valore d'uso del prodotto, allora il pluslavoro è limitato da una cerchia di bisogni più o meno ampia, ma non sorge dal carattere stesso della produzione nessun bisogno illimitato di pluslavoro. Quindi, nell’antichità, il sovraccarico di lavoro si mostra spaventoso dove si tratta di ottenere il valore di scambio nella sua forma indipendente di moneta, cioè nella produzione di oro e di argento. Qui la forma ufficiale del sovraccarico di lavoro è il lavorare coatti fino a morirne. Basta leggere Diodoro Siculo. Ma nel mondo antico queste sono eccezioni. Però, appena popoli la cui produzione si muove nelle forme inferiori del lavoro degli schiavi, della corvéee cc., vengono attratti in un mercato internazionale dominato dal modo di produzione capitalistico, il quale fa evolvere a interesse preponderante la vendita dei loro prodotti all’estero, allora sull’orrore barbarico della schiavitù, della servitù della gleba ecc. s’innesta l’orrore civilizzato del sovraccarico di lavoro.»

  30. ^ Полное собрание сочинений, 5ª ed., vol. 23, p. 632.
  31. ^ Michael Heinrich, Kritik der politischen Ökonomie, in Ulrich Albrecht e Helmut Volger (a cura di), Lexikon der Internationalen Politik, Monaco e Vienna, R. Oldenbourg Verlag, 1997, pp. 298-300.
  32. ^ Il Capitale, vol. I, sez. IV La trasformazione del denaro in capitale, p. 203, nota 41.

    «Quel che dà il carattere all'epoca capitalistica è il fatto che la forza-lavoro assume anche per lo stesso lavoratore la forma d’una merce che gli appartiene, mentre il suo lavoro assume la forma di lavoro salariato. D’altra parte la forma di merci dei prodotti del lavoro acquista validità generale solo da questo momento in poi.»

  33. ^ Heinrich 2018, pp. 225-227.
  34. ^ Il Capitale, vol. I, sez. XV Variazione di grandezza nei prezzi, pp. 557-558.

    «Il limite minimo assoluto della giornata lavorativa è in genere formato da questa sua parte costitutiva necessaria ma contrattile. Se tutta la giornata lavorativa si riducesse a quella parte, il pluslavoro scomparirebbe, il che è impossibile sotto il regime del capitale. L’eliminazione della forma di produzione capitalistica permette di limitare la giornata lavorativa al lavoro necessario. Tuttavia quest’ultimo, invariate rimanendo le altre circo stanze, estenderebbe la sua parte: da un lato, perché le condizioni di vita dell’operaio si farebbero più ricche e le esigenze della sua vita maggiori. Dall’altro lato, una parte dell’attuale pluslavoro rientrerebbe allora nel lavoro necessario, cioè nel lavoro necessario per ottenere un fondo sociale di riserva e di accumulazione»

  35. ^ a b c Il Capitale, vol. I, cap. IV La formula generale del capitale, p. 184.
  36. ^ Il Capitale, vol. I, cap. VI Capitale costante e variabile, p. 242.

    «La parte del capitale che si converte in mezzi di produzione [...] non cambia la propria grandezza di valore nel processo di produzione. Quindi la chiamo parte costante del capitale, o, in breve, capitale costante.»

  37. ^ Il Capitale, vol. I, cap. VI Capitale costante e variabile, p. 242.

    «La parte del capitale convertita in forza-lavoro cambia il proprio valore nel processo di produzione. Riproduce il proprio equivalente e inoltre produce un’eccedenza, il plusvalore, che a sua volta può variare, può essere più grande o più piccolo. Questa parte del capitale si trasforma continuamente da grandezza costante in grandezza variabile. Quindi la chiamo parte variabile del capitale, o in breve: capitale variabile.»

  38. ^ Il Capitale, vol. I, cap. VII Il saggio del plusvalore, p. 245.
  39. ^ Полное собрание сочинений, 2ª ed., tomo 23, p. 177.
  40. ^ a b Karl Marx, Salario, prezzo e profitto in Opere scelte 1966, p. 804.
  41. ^ a b c d Karl Marx, Salario, prezzo e profitto in Opere scelte 1966, p. 805.
  42. ^ a b c Il Capitale, vol. I, cap. XII La produzione di plusvalore relativo, p. 354.
  43. ^ Kojin Karatani, Transcritique: on Kant and Marx, pp. 248–251.
  44. ^ Il Capitale, vol. I, cap. XII La produzione di plusvalore relativo, pp. 351-353.
  45. ^ Il Capitale, vol. I, cap. XII La produzione di plusvalore relativo, p. 353.
  46. ^ Collected Works 1994, pp. 75–76.
  47. ^ Collected Works 1994, p. 77.
  48. ^ Il Capitale, vol. I, cap. XII La produzione di plusvalore relativo, p. 359.
  49. ^ a b c Il Capitale, vol. I, cap. VII Il saggio del plusvalore, p. 251.
  50. ^ Полное собрание сочинений, 2ª ed., tomo 23, p. 229.
  51. ^ Il Capitale, vol. I, cap. VII Il saggio del plusvalore, pp. 252-253.
  52. ^ Shaikh e Tonak 1996.
  53. ^ Il Capitale, vol. I, cap. IX Saggio e massa del plusvalore, pp. 341-342.
  54. ^ a b Il Capitale, vol. I, cap. IX Saggio e massa del plusvalore, p. 342.
  55. ^ Il Capitale, vol. I, cap. IX Saggio e massa del plusvalore, pp. 342-343.
  56. ^ a b Il Capitale, vol. I, cap. IX Saggio e massa del plusvalore, p. 343.
  57. ^ R. M. Entov, Норма прибыли, in Большая Советская Энциклопедия, vol. 20, 3ª ed..
  58. ^ Il Capitale, vol. III*, cap. II Il saggio del profitto, pp. 68-69.
  59. ^ Theorie der wirtschaftlichen Entwicklung, p. XXIV.

    «Ich sage dies nicht, um irgendetwas, das ich in diesem Buche schreibe, mit seinem [=Karl Marx, d. V.] großen Namen zu verbinden. Intention und Ergebnisse sind viel zu verschieden, um mir hierzu ein Recht zu geben. Gleichartigkeiten in den Resultaten, die zweifellos vorhanden sind (vergleiche zum Beispiel die These dieses Buches, das im vollkommenen Gleichgewicht der Zins gleich Null sein würde mit Marxens Satz, das konstantes Kapital keinen Mehrwert hervorbringt) werden nicht nur durch einen sehr großen Unterschied in der allgemeinen Grundhaltung ausgelöscht, sondern auch durch so unterschiedliche Methoden erreicht, das jede Betonung von Parallelen für Marxisten in hohem Grade unbefriedigend sein würde.»

  60. ^ Theorie der wirtschaftlichen Entwicklung, p. 223.

    «Nur dieser Überschuß, der also privatwirtschaftlich als Unternehmergewinn und Kapitalzins erscheint, kann als Mehrwert im marxistischen Sinne bezeichnet werden. Einen andern oder anders zu erklärenden Überschuß dieser Art gibt es nicht.»

  61. ^ März 1980, pp. 262-263.

    «Mit Hilfe des ihm von den Banken zeitweise überlassenen Kapitalfonds ist der Unternehmer imstande, ein Herrschaftsverhältnis über Sachen und Menschen zu begründen, um diesen eine neue produktive Orientierung zu geben. Der Bankkredit ist demnach nur eine Methode der Anbahnung neuer Produktionsverhältnisse. Schumpeter vollzieht somit einen radikalen Bruch mit dem dinglichen Konzept des Kapitals, das sich bis in die Zeit der klassischen Ökonomie zurückverfolgen läßt. Aber die Ähnlichkeit des Schumpeterschen Kapitalbegriffes zu dem Marxschen ist unseres Erachtens nur eine rein verbale. Denn das mit Hilfe des Bankkredits entstandene Herrschaftsverhältnis über Menschen und Sachen resultiert wohl in der Erscheinung des Mehrwerts, aber dieser entspringt nicht der Sphäre der Produktion, wie dies bei Marx der Fall ist, sondern der der Zirkulation.»

  62. ^ Kerstin Burmeister, Die Vorstellungen Joseph Alois Schumpeters vom dynamischen Unternehmer, in Francesca Schinzinger (a cura di), Unternehmer und technischer Fortschritt, Monaco, Harald Boldt Verlag im R. Oldenbourg Verlag, 1996, pp. 25-30.
  63. ^ Theorie der wirtschaftlichen Entwicklung, pp. 100-101.
  64. ^ März 1980, p. 56.
  65. ^ März 1980, pp. 256-257.
  66. ^ Kapitalismus, Sozialismus und Demokratie, pp. 27-30.
  67. ^ Kapitalismus, Sozialismus und Demokratie, pp. 33-34.

    «Hinsichtlich der Verdienste dieses wissenschaftlichen Arguments müssen wir sorgfältig zwei Seiten auseinanderhalten, deren eine beharrlich von den Kritikern vernachlässigt worden ist. Auf dem gewöhnlichen Stand der Theorie eines stationären Wirtschaftsprozesses ist es leicht nachzuweisen, daß unter Marxens eigenen Voraussetzungen die Mehrwertlehre unhaltbar ist. Die Arbeitswerttheorie, – selbst wenn wir zugeben könnten, daß sie für jede andere Ware gültig ist –, kann niemals auf die Ware Arbeit angewandt werden; denn das würde heißen, daß Arbeiter wie Maschinen nach rationalen Kostenrechnungen erzeugt werden. Da sie das nicht werden, ist man nicht befugt anzunehmen, daß der Wert der Arbeitskraft proportional sein wird den Arbeitsstunden, die in ihre „Produktion“ eingehen. Logisch hätte Marx seine Position verbessert, wenn er Lassalles „ehernes Lohngesetz“ angenommen oder wenn er einfach in den Bahnen von Malthus argumentiert hätte, wie Ricardo es tat. Da er dies aber wohlweislich ablehnte, hat seine Ausbeutungstheorie von Anbeginn an eine ihrer wesentlichen Stützen verloren.»

  68. ^ (EN) Böhm-Bawerk Explains Why Marxist "Exploitation" Is Nonsense, su Mises Institute, 9 novembre 2020. URL consultato l'8 dicembre 2021 (archiviato dall'url originale l'8 dicembre 2021).
  69. ^ a b Böhm-Bawerk, “On the Completion of Marx’s System (of Thought)” (1896, 1898), su Online Library of Liberty. URL consultato l'8 dicembre 2021.
  70. ^ Heinric 2020, pp. 45-46.
  71. ^ Heinric 2020, p. 45.
  72. ^ Michael Heinrich, Kritik der politischen Ökonomie. Eine Einführung, 14ª ed., Stuttgart, Schmetterling Verlag, 2018, pp. 92.
Altre
  1. ^ La legge del valore descrive lo scambio economico dei prodotti del lavoro umano, vale a dire che il relativo valore di scambio di questi prodotti nel commercio, solitamente espresso in prezzi monetari, è proporzionale alla quantità media di lavoro umano necessario per produrli.
Marx e Engels
  • Karl Marx, Il Capitale, traduzione di Maria Luisa Boggeri, vol. I-III, 9ª ed., Roma, Editori Riuniti.
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  • Karl Marx, Salario, prezzo e profitto, Editori Riuniti, 2018, ISBN 9788835957386.
  • Karl Marx e Friedrich Engels, Полное собрание сочинений, Mosca, Издательство политической литературы.
  • Karl Marx e Friedrich Engels, Opere scelte, Editori Riuniti, 1966.
  • Karl Marx e Friedrich Engels, The Collected Works of Karl Marx and Frederick Engels, vol. 34, New York, International Publishers, 1994.
Altri autori
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  • Anne Robert Jacques Turgot, Réflexions sur la formation et la distribution des richesses, in Eugène Daire (a cura di), Oeuvres, vol. I, Parigi, Guillaumin, 1844.
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  • Shane Mage, The Law of the Falling Tendency of the Rate of Profit; Its Place in the Marxian Theoretical System and Relevance to the US Economy, Columbia University, 1963.
  • Carlo Cafiero, Compendio al Capitale, Aldo Garzanti Editore, 1976.
  • Eduard März, Die Theorie der wirtschaftlichen Entwicklung von Joseph A. Schumpeter in ihrer Beziehung zum Marxschen System, in Wirtschaft und Gesellschaft. Wirtschaftspolitische Zeitschrift der Kammer für Arbeiter und Angestellte für Wien, 6. Jahrgang, Heft 3, 1980.
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  • Tat'jana Volkova e Feliks Volkov, What Is Surplus Value?, collana ABC of Social-political Knowledge, Mosca, Progress Publishers, 1987.
  • Joseph Alois Schumpeter, Theorie der wirtschaftlichen Entwicklung. Eine Untersuchung über Unternehmergewinn, Kapital, Kredit, Zins und den Konjunkturzyklus, 7ª ed., Berlino, Duncker & Humblot, 1987.
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  • Michael Heinrich, Die Wissenschaft vom Wert. Die Marxsche Kritik der politischen Ökonomie zwischen wissenschaftlicher Produktion und klassischer Tradition, 8ª ed., Münster, Westfälisches Dampfboot, 2020.
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Voci correlate

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Collegamenti esterni

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